Friedrich Nietzsche

filosofo tedesco (1844-1900)
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Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844 – 1900), filosofo, poeta, saggista, compositore e filologo tedesco.

Friedrich Nietzsche nel 1869

Citazioni di Friedrich Nietzsche

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  • Colui che finalmente si accorge quanto e quanto a lungo fu preso in giro, abbraccia per dispetto anche la più odiosa delle realtà; cosicché, considerando il corso del mondo nel suo complesso, la realtà ebbe sempre in sorte gli amanti migliori, poiché i migliori furono sempre e più a lungo burlati.[1]
  • [A proposito dell'area di Paestum] È come se un dio, qui, avesse costruito con enormi blocchi di pietra la sua casa.[2]
  • È impossibile che il nostro conoscere possa andare al di là dello stretto necessario per la conservazione della vita. La morfologia ci mostra che i sensi, i nervi, nonché il cervello si sviluppano proporzionalmente alla difficoltà di nutrirsi.[3]
  • Io vi insegno l'oltreuomo. L'uomo è qualcosa che deve essere superato. Che avete fatto per superarlo? Tutti gli esseri hanno creato qualcosa al di sopra di sé e voi volete essere il riflusso in questa grande marea e retrocedere alla bestia piuttosto che superare l'uomo? Che cos'è per l'uomo la scimmia? Un ghigno o una vergogna dolorosa. E questo appunto ha da essere l'uomo per l'oltreuomo: un ghigno o una dolorosa vergogna.[4]
  • I preti sono i nemici più crudeli... in essi l'odio cresce in proporzioni mostruose e sinistre, una forma di odio tra le più spirituali e tossiche.[5]
  • L'intero apparato della coscienza è un apparato per astrarre e semplificare – non orientato verso la conoscenza, ma verso il dominio delle cose.[3]
  • La conoscenza esiste nella misura in cui è utile. Non c'è dubbio, infatti, che tutte le percezioni di senso sono impegnate in giudizi di valore: utile e dannoso, quindi piacevole e spiacevole.[3]
  • La logica è legata a questa condizione: supporre che si diano casi identici, perché senza costanti l'uomo non può sopravvivere.[3]
  • Mio caro signor dottore, queste poesie di Giordano Bruno sono un regalo di cui le sono grato con tutto il cuore. Mi sono permesso di appropriarmele come se le avessi scritte io e per me – e le ho prese come gocce corroboranti. Se lei sapesse quanto raramente mi viene ancora qualcosa di corroborante dall'esterno.[6]
  • Nella solitudine il solitario divora se stesso. Nella moltitudine lo divorano i molti. Ora scegli.[7]
  • Nichilismo: manca il fine; manca la risposta al "perché?". Che cosa significa nichilismo? – che i valori supremi perdono ogni valore.[8]
  • Non ho mai sentito dire che le flatulenze determinino situazioni filosofiche.[9]
  • Non resta altro mezzo per rimettere in onore la politica, si devono come prima cosa impiccare i moralisti.[10]
  • Non si è dato mai il caso di una donna che abbia preso un raffreddore con un vestito scollato di un grande sarto.[11]
  • Osserva il gregge che pascola davanti a te: non sa che cosa sia ieri, che cosa sia oggi: salta intorno, mangia, digerisce, salta di nuovo. È così dal mattino alla sera e giorno dopo giorno, legato brevemente con il suo piacere ed il suo dispiacere, attaccato cioè al piolo dell'attimo e perciò né triste né annoiato... L'uomo chiese una volta all'animale: "Perché mi guardi soltanto senza parlarmi della felicità?" L'animale voleva rispondere e dice: "Ciò avviene perché dimentico subito quello che volevo dire" – ma dimenticò subito anche questa risposta e tacque: così l'uomo se ne meravigliò. Ma egli si meravigliò anche di se stesso, di non poter imparare a dimenticare e di essere sempre accanto al passato: per quanto lontano egli vada e per quanto velocemente, la catena lo accompagna. È un prodigio: l'attimo, in un lampo è presente, in un lampo è passato, prima un niente, dopo un niente, ma tuttavia torna come fantasma e turba la pace di un istante successivo. Continuamente si stacca un foglio dal rotolo del tempo, cade, vola via – e improvvisamente rivola indietro, in grembo all'uomo. Allora l'uomo dice "Mi ricordo".[12]
  • Per la ventesima volta ho ieri assistito al capolavoro di Bizet e ancora l'ho udito con la stessa gentile reverenza. Mi sorprende di poter così vincere la mia impazienza. Ma guardare come un'opera siffatta integri la natura di un uomo. Essa è malvagia, perversa, raffinata, fantastica, eppure avanza con passo leggero e composto; la sua raffinatezza non è quella di un individuo, bensì di una razza. Si sono mai uditi sulla scena accenti più tragici, più dolorosi? E come sono ottenuti? Senza smorfie, senza contraffazioni di alcun genere, in piena libertà dalle bugie del "grande stile". Io mi sento diventar migliore quando questo Bizet mi parla. Il mio udito si sprofonda in quella musica; ne percepisco le origini; mi par di assistere alla sua nascita e tremo davanti ai pericoli che ci accompagnano a qualunque audacia; mi trovo incantato dai felici ritrovamenti che Bizet stesso ignora. Sopra quest'opera la fatalità sta sospesa; la felicità di essa è corta, fulminea, e non conosce dilazioni. Io invidio a Bizet il coraggio di questa sua sensibilità eccezionale, che prima di adesso non aveva trovato mezzo per esprimersi nella musica colta d'Europa; il coraggio di questa sensibilità meridionale, brunita, arsa dal sole... Ah finalmente l'amore, l'amore ricondotto indietro verso la natura!... L'amore come destino, come un destino cinico, innocente, crudele, l'amore esatto nella sua forma natura. Io non conosco altro esempio dove la tragica ironia che costituisce il nocciolo dell'amore sia stata espressa con tale severità, con formula così terribile come nell'ultimo grido di José: Oui, c'est moi qui l'a tuée, Carmen, ma Carmen adorée....[13]
  • Sento spesso il bisogno di ruminare il passato e di rendere digeribile il presente con quel condimento.[14]
  • Sull'origine della logica: caos originario delle rappresentazioni. Le rappresentazioni compatibili tra loro rimasero, la maggioranza di loro andò in rovina e va in rovina.[3]
  • Tutto considerato, caro amico, d'ora in poi non ha più senso parlare e scrivere su di me, ho passato agli atti per la prossima eternità la questione «chi io sia» con l'opera che sto pubblicando, Ecce Homo. D'ora in poi non bisognerà più curarsi di me, bensì delle cose per cui io esisto.[15]
  • [Su Bach] Uno che ha dimenticato del tutto il Cristianesimo, lo ascolta come fosse un gospel.[16]
  • Vivi ogni giorno della tua vita come se fosse il primo, come se fosse l'ultimo.[17]

Attribuite

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  • E coloro che sono stati visti danzare erano ritenuti pazzi da coloro che non potevano ascoltare la musica.[18]
And those who were seen dancing were thought to be insane by those who could not hear the music.
[Citazione errata] La frase viene spesso attribuita a Nietzsche sia in lingua italiana che in lingua inglese, tuttavia non vi è alcuna evidenza che la citazione appartenga realmente al filosofo tedesco. La prima attribuzione nota a Nietzsche risale infatti solo al 2003, più di cento anni dopo la sua morte. Probabilmente scaturisce da uno scritto del religioso Thomas Manton, edito nel 1873. Una delle prime menzioni di questa citazione risale al 1927, quando venne riportata in una versione molto simile dal giornale londinese The Times ed etichettata come "vecchio proverbio" (old proverb).[19]

Il dramma musicale greco

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I traduzione

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Nella nostra odierna vita teatrale non si ritrovano semplici ricordi ed echi delle arti drammatiche della Grecia: piuttosto, le sue forme fondamentali gettano le radici nel terreno ellenico, sia per una crescita naturale, sia in conseguenza di una derivazione artificiosa. Soltanto i nomi si sono in molti modi trasformati e spostati. Così la musica medievale in realtà possedeva ancora le tonalità greche, con il loro nome greco, sennonché, per esempio, ciò che i Greci chiamavano «locrese» era designato nella musica ecclesiastica come «dorico». Troviamo simili confusioni anche nel campo della terminologia drammatica: ciò che l'Ateniese intendeva per «tragedia», noi lo riportiamo tutt'al più sotto il concetto di «grande opera»; così almeno ha fatto Voltaire, in una lettera al Cardinale Quirini.

[Friedrich Nietzsche, Il dramma musicale greco in La filosofia nell'epoca tragica dei greci e Scritti dal 1870 al 1873, traduzione di Giorgio Colli, Adelphi, Milano 2006]

II traduzione

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Nel teatro contemporaneo non sono presenti solo memorie e risonanze delle arti drammatiche della Grecia; anzi, le sue forme fondamentali hanno radici nel terreno ellenico, o per crescita naturale oppure per via di una derivazione artificiale. Soltanto i nomi in diversi modi si sono mutati e spostati: analogamente la musica medievale era di fatto ancora basata su tonalità greche, solo che, per esempio, ciò che i greci chiamavano «locrese» nel canto liturgico veniva indicato come «dorico». Confusioni del genere le s'incontra nell'ambito della terminologia drammatica: ciò che l'Ateniese considerava «tragedia», noi tutt'al più lo iscriviamo al concetto di «grande opera»; così almeno ha fatto Voltaire in una lettera al Cardinal Quirini.

[Friedrich Nietzsche, Il dramma musicale greco in Verità e menzogna (e altri scritti giovanili), traduzione di Sergio Givone, Newton Compton Editori, 1988]

Citazioni

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  • La musica dovrebbe sostenere la poesia, rafforzare l'espressione dei sentimenti e l'interesse della situazione, senza spezzare l'azione o disturbarla con inutili fiorettature. (p. 47, 1988)
  • La musica dovrebbe essere per la poesia ciò che la vivacità dei colori e una felice mescolanza d'ombre e di luci sono per un disegno corretto e ben studiato; cose, tutte, che servono unicamente a dar vita alle figure senza confondere i contorni. (p. 47, 1988)

Socrate e la tragedia

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La tragedia greca morì in modo diverso da tutti gli antichi generi d'arte affini: finì tragicamente, mentre tutti quegli altri scomparvero con la morte più bella. Se infatti è conforme a uno stato naturale ideale esalare l'ultimo respiro con una bella discendenza e senza spasimi, la fine di quei generi artistici antichi ci mostra un tale mondo ideale; essi trapassano e si estinguono, mentre già la loro figliolanza più bella leva il capo vigorosamente. Con la morte del dramma musicale greco si produsse invece un enorme vuoto, ovunque e profondamente sentito; si disse che la poesia stessa era andata perduta e si inviarono con scherno nell'Ade gli intristiti, smagriti epigoni, affinché là si saziassero con le briciole dei maestri. E come si esprime Aristofane, si sentì una tale intima e calda nostalgia verso l'ultimo dei grandi morti, come quando qualcuno è colto da un'improvvisa, violenta voglia di crauti. Ma quando fiorì realmente un nuovo genere d'arte, che venerava nella tragedia la sua precorritrice e maestra, si poté constatare con terrore che esso portava sì i lineamenti della madre, ma proprio quelli che essa aveva mostrato nella sua lunga lotta contro la morte. Questa lotta della tragedia con la morte si chiama Euripide e il posteriore genere artistico è noto come commedia attica nuova. In essa sopravvisse la forma degenerata della tragedia, in memoria della sua dipartita oltremodo laboriosa e violenta.

[Friedrich Nietzsche, Socrate e la tragedia in La filosofia nell'epoca tragica dei greci e Scritti dal 1870 al 1873, traduzione di Giorgio Colli, Adelphi, Milano 2006]

Citazioni

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  • La tragedia greca, rispetto a tutti gli altri generi d'arte imparentati con essa, è finita per motivi diversi: la sua fine è stata tragica, là dove tutti quegli altri generi sono venuti meno nella morte più bella. (p. 51, 1988)
  • Si sa di quale straordinaria venerazione Euripide godesse presso i poeti della nuova commedia attica. Uno dei più rinomati, Filemone, dichiarò che si sarebbe immediatamente fatto impiccare, pur di vedere Euripide negli inferi, qualora si fosse potuto convincere che il defunto aveva ancora vita e intelletto. (p. 51, 1988)
  • Euripide è il primo drammaturgo che segue consapevolmente un'estetica. Di proposito egli cerca ciò che è perfettamente comprensibile: i suoi eroi sono nei fatti quel che sono quando parlano. Essi si esprimono totalmente attraverso le parole, là dove invece i personaggi di Eschilo e di Sofocle sono assai più profondi e più pieni rispetto alle parole che dicono: propriamente essi balbettano su di sé. (p. 56, 1988)
  • Euripide dà forma ai personaggi, e nello stesso tempo li decostruisce: di fronte alla sua anatomia essi non hanno più niente di nascosto. Se Sofocle aveva detto di Eschilo ch'egli faceva il giusto pur senza averne coscienza, Euripide avrebbe dovuto dire di lui ch'egli faceva quel che non bisognava fare, poiché non ne aveva coscienza. (p. 56, 1988)

[Friedrich Nietzsche, Socrate e la tragedia in Verità e menzogna (e altri scritti giovanili), traduzione di Sergio Givone, Newton Compton Editori, 1988]

La visione dionisiaca del mondo

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I traduzione

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I Greci, che esprimono e al tempo stesso nascondono la dottrina segreta della loro visione del mondo nei loro dèi, hanno stabilito come duplice fonte della loro arte due divinità, Apollo e Dioniso. Questi nomi rappresentano nel dominio dell'arte dei contrari stilistici, che incedono l'uno accanto all'altro quasi sempre in lotta tra loro, e appaiono fusi una volta soltanto, quando culmina la «volontà» ellenica, nell'opera d'arte della tragedia attica. In due stati, difatti, l'uomo raggiunge il sentimento estatico dell'esistenza, nel sogno e nell'ebbrezza. La bella illusione del mondo del sogno, dove ogni uomo è artista pieno, è madre di ogni arte figurativa e altresì, come vedremo, di una metà importante della poesia. Noi godiamo in una comprensione immediata della figura, tutte le forme che ci parlano; non vi è nulla di indifferente e di non necessario. nella vita suprema di questa realtà di sogno traluce ancora tuttavia il nostro sentimento della sua illusorietà; solo quando cessa questo sentimento, si presentano gli effetti patologici, in cui il sogno non ristora più, e cessa la forza naturale risanatrice di quello stato.

[Friedrich Nietzsche, La visione dionisiaca del mondo in La filosofia nell'epoca tragica dei greci e Scritti dal 1870 al 1873, traduzione di Giorgio Colli, Adelphi, Milano, 2006]

II traduzione

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I Greci, che esprimono e in pari tempo nascondono nei loro dèi la dottrina segreta della loro visione del mondo, hanno eretto a duplice scaturigine della loro arte due divinità: Apollo e Dioniso. Questi due nomi rappresentano, nel regno dell'arte, due stili opposti. Essi procedono l'uno accanto all'altro, quasi sempre in lotta tra loro, e solo una volta, nel momento della fioritura della «volontà» ellenica, appaiono fusi: nell'opera d'arte della tragedia attica. In due diversi stati, in effetti, l'uomo raggiunge il sentimento estatico dell'esistenza: nel sogno e nell'ebbrezza. La bella parvenza del mondo del sogno, in cui ogni uomo è pienamente artista, è la madre di ogni arte figurativa e, come vedremo, anche di una metà importante della poesia. Noi godiamo della comprensione immediata della figura, tutte le forme ci parlano; non c'è niente di indifferente e di non necessario. Ma anche nella vita più fervida di questa realtà di sogno, abbiamo ancora una sensazione balenante della sua illusorietà; solo quando questa cessa cominciano gli effetti patologici, in cui il sogno non ristora più e la forza risanatrice naturale di quello stato viene meno.

[Friedrich W. Nietzsche, La visione dionisiaca del mondo, in Verità e menzogna, traduzione di Sossio Giametta, RCS Quotidiani, 2010]

La nascita della tragedia

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  • Come una volta ai tempi di Tiberio i naviganti greci udirono in vicinanza di un'isola solitaria lo sconvolgente grido: «il grande Pan è morto»,[20] così per il mondo ellenico risuonò ora come un doloroso lamento: «la tragedia è morta! Anche la poesia è perduta con essa! Via, via, voi intristiti, smagriti epigoni! Via nell'Ade, perché possiate là saziarvi delle briciole dei passati maestri!».
  • L'antica leggenda narra che il re Mida inseguì a lungo nella foresta il saggio Sileno, seguace di Dioniso, senza prenderlo. Quando quello gli cadde infine fra le mani, il re domandò quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l'uomo. Rigido e immobile, il demone tace; finché, costretto dal re, esce da ultimo fra stridule risa in queste parole: 'Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è – morire presto'.
  • La bella parvenza dei mondi del sogno, nella cui produzione ogni uomo è artista pieno, è il presupposto di ogni arte figurativa.

La volontà di potenza

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  • Ciò che racconto è la storia dei prossimi due secoli. Io descrivo ciò che viene, ciò che non può più venire in altro modo: l'insorgere del nichilismo. (Prefazione, 2, 1995)
  • Le posizioni estreme non sono sostituite da posizioni moderate, ma solo da altre estreme, però capovolte. (I, Il nichilismo europeo; 1995)
  • Grazie al cristianesimo l'individuo acquistò un'importanza così grande, fu posto in modo così assoluto, che non lo si poté più sacrificare: ma il genere umano sussiste soltanto mediante i sacrifici umani... [...] E questa pseudoumanità che si chiama cristianesimo vuole precisamente ottenere che nessuno venga sacrificato... (II, Critica dei valori supremi, 246; 1995)
  • La virtù rimane il vizio più costoso: deve rimanere tale! (II, Critica dei valori supremi, 325; 1995)
  • I fatti non esistono, esistono solo interpretazioni. (III, Principio di una nuova posizione di valori, 481; 1995)
  • Che cos'è la verità? (Inertia; l'ipotesi che ci soddisfa; il minimo uso di forza spirituale ecc.). (III, Principio di una nuova posizione di valori, 537; 1995)
  • Per una caratterizzazione del genio nazionale, relativamente a ciò che è straniero e tolto a prestito:
    – il genio inglese rende grossolano e naturale tutto ciò che riceve;
    – il genio francese diluisce, semplifica, logicizza, orna;
    – il genio tedesco mescola, media, imbroglia, moralizza;
    – il genio italiano ha usato nel modo di gran lunga più libero e fine ciò che ha preso a prestito e ci ha messo dentro molto di più di quello che ne ha ricavato, essendo il genio più ricco, che più poteva donare. (III, Principio di una nuova posizione di valori, 831, 2005)
  • C'è un solo mondo, e questo è falso, crudele, contraddittorio, seduttore, senza senso... Un mondo siffatto è il mondo vero. Noi abbiamo bisogno di menzogne, per riportare la vittoria su questa realtà, su questa "verità", ossia per vivere... Il fatto che la menzogna sia necessaria per vivere fa parte di questo carattere terribile ed enigmatico dell'esistenza... La metafisica, la morale, la religione, la scienza vengono prese in considerazione in questo libro soltanto come altrettante forme di menzogna: con il loro aiuto si crede nella vita. (III, Principio di una nuova posizione di valori, 853, 1; 1995)
  • Ci vuole più coraggio e forza di carattere per fermarsi o addirittura per volgersi indietro che per andare avanti. (80a; 2006)[21]
  • Tutta la bellezza e la magnificenza che abbiamo conferito alle cose reali e immaginarie, voglio reclamarla come proprietà e produzione dell'uomo: come la sua più bella apologia. L'uomo come poeta, come pensatore, come Dio, come amore, come potenza – : oh! la regale liberalità con la quale ha donato alle cose, per immiserirsi e sentirsi meschino! Finora il suo più grande disinteresse è stato che egli ha ammirato e adorato e ha saputo nascondersi, che è stato lui che ha prodotto ciò che ha ammirato. (87; 1989)
  • L'ozio è il padre della filosofia. – Di conseguenza – la filosofia è un vizio?... (107; 1989)[22]
  • [Su Richard Wagner] Un grande punto interrogativo del nostro secolo.[23]

Citazioni su La volontà di potenza

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  • Sono annotazioni durante un viaggio attraverso mari sconvolti dal Maelström e sotto la minaccia dei mostri che emergono dalle onde. Vediamo il timoniere che osserva i suoi strumenti mentre si arroventano lentamente. Lo vediamo pensoso del corso e della mèta. Egli esamina tutte le rotte possibili, le rotte estreme, sulle quali poi naufragherà la ragione pratica. Il primo momento, quello in cui ci si rende spiritualmente conto della catastrofe, è più terribile degli orrori concreti a cui si va incontro in quel mondo di fiamme. È l'avventura che tentano soltanto gli spiriti più ardimentosi, quelli di grandissima portata, proporzionati alla misura, se non al peso del carico. Restare schiacciati da questo peso, è stato il destino di Nietzsche, che oggi è di buon gusto prendere a sassate. Dopo il terremoto, ci si rivolta contro i sismografi. Però non si può far espiare ai barometri la colpa dei tifoni senza passar per gente rozza e primitiva. (Ernst Jünger)

Schopenhauer come educatore

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  • Perché drizzare le orecchie per sentire ciò che dice il prossimo? È così provinciale sentirsi vincolati a opinioni che a distanza di qualche centinaio di miglia già non sono più vincolanti. Oriente e occidente sono segni di gesso che qualcuno traccia davanti ai nostri occhi per prendersi gioco della nostra pavidità. (1; 1993)
  • Un solo scrittore conosco che per sincerità posso mettere allo stesso livello se non addirittura più in alto di Schopenhauer: Montaigne. Il solo fatto che un uomo simile abbia scritto, ha aumentato, in verità, la gioia di vivere su questa terra. (2; 1993)
  • In tutti i tempi gli uomini più profondi hanno avuto compassione degli animali [...]. Certo è una grave pena vivere così, come animale, nella fame e nei desideri e non giungere ad alcuna consapevolezza su questa vita; e non si può immaginare sorte più dura di quella della bestia da preda che è spinta per i deserti dal tormento più rodente, che raramente è soddisfatta e, se lo è, la soddisfazione diventa pena nella lotta dilaniante con altri animali o per l'avidità e la sazietà più nauseanti. Essere attaccati alla vita in modo così cieco e pazzo, per nessun premio superiore, senza sapere che così si è puniti e perché si è puniti, bensì desiderare questa pena come una felicità, con la stupidità di una brama spaventevole: questo vuol dire essere un animale; [...]. Finché si aspira alla vita come ad una felicità, non si è ancora sollevato lo sguardo oltre l'orizzonte dell'animale, si vuole soltanto con maggiore consapevolezza ciò che l'animale cerca per impulso cieco. Ma così va a noi tutti per la maggior parte della vita: solitamente non usciamo dall'animalità, noi stessi siamo gli animali che sembrano soffrire insensatamente. (5)[24]

La filosofia nell'epoca tragica dei greci

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I traduzione

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Rispetto a uomini che sono lontani da noi, ci basta conoscere i fini per approvarli o disapprovarli in un complesso. Rispetto a uomini che sono più vicini, noi diamo un giudizio, fondandoci sui mezzi con cui essi perseguono i loro scopi: spesso disapproviamo questi fini, ma amiamo tali uomini a causa dei loro mezzi e del loro modo di volere. I sistemi filosofici, orbene, sono completamente veri solo per i propri fondatori: per tutti i filosofi posteriori, ciascuno di tali sistemi è di solito un unico grande errore, per i cervelli meno acuti è una somma di errori e di verità. Comunque un errore nel suo fine supremo, e quindi condannabile. Molti uomini perciò disapprovano sempre il filosofo, poiché il suo fine non è il loro: si tratta di quelli che sono più lontani. Chi invece trae gioia da grandi uomini come tali, trarrà pure una gioia da siffatti sistemi, quand'anche siano completamente erronei. In sé, questi hanno peraltro un elemento del tutto inconfutabile, un tono personale, un colorito personale: possiamo servirci di essi per ottenere l'immagine del filosofo, allo stesso modo che dai frutti di una certa località si può dedurre la natura di quel terreno. In ogni caso questo modo di vivere e di considerare le cose umane è già esistito una volta, ed è quindi possibile: il «sistema», o per lo meno una parte di tale sistema, è il frutto di questo terreno.

[Friedrich Nietzsche, La filosofia nell'epoca tragica dei greci e Scritti dal 1870 al 1873, traduzione di Giorgio Colli, Adelphi, Milano, 2006]

II traduzione

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Degli uomini che sono lontani da noi ci basta conoscere i fini per approvarli o rifiutarli nel loro complesso. Per quelli che sono più vicini, giudichiamo in base ai mezzi con cui essi perseguono i loro fini; spesso disapproviamo i loro fini, però li amiamo per i loro mezzi e per il loro modo di volere. Orbene, i sistemi filosofici sono interamente veri solo per i loro fondatori; per tutti i filosofi posteriori ciascuno di essi è di solito un unico grande errore, e per le teste meno forti è una somma di errori e verità; ma in ogni caso, nel suo fine supremo, è un errore e pertanto rigettabile. Perciò molti disapprovano qualunque filosofo, dato che il suo fine non è il loro: sono quelli che stanno più lontano. Chi invece prova gioia per i grandi uomini in genere, prova gioia parimenti per tali sistemi, anche se sono del tutto erronei, perché hanno comunque in sé un punto che è assolutamente inconfutabile, un pathos e un colore personale, che possono servire per ricavare l'immagine del filosofo, allo stesso modo che dalla vegetazione di un certo luogo si può capire la natura del terreno. Quel modo di vivere e di vedere le cose umane è comunque esistito una volta ed è dunque sempre possibile; il «sistema», o almeno una parte del sistema, è quello che cresce[25] su questo terreno.

[Friedrich W. Nietzsche, La filosofia nell'epoca tragica dei greci, in Verità e menzogna, traduzione di Sossio Giametta, RCS Quotidiani, 2010]

III traduzione

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Quanto ai lontani, ci basta conoscere le loro mète per approvarli o rigettarli in blocco. Quanto ai vicini, giudichiamo secondo i mezzi con i quali essi promuovono i loro obiettivi: spesse volte disapproviamo le loro mète, ma li amiamo a cagione degli strumenti e della guisa del loro volere. Orbene, soltanto per i loro fondatori sono i sistemi filosofici interamente veri: per tutti i filosofi posteriori sono di norma un unico grande errore, per le teste più deboli una somma di errori e di verità, in ogni caso però, in quanto massimo obiettivo, sono un errore e, in questo senso, riprovevoli. Per questa ragione molti uomini disapprovano ogni filosofo, giacché la sua mèta non è la loro: sono questi i più lontani. Chi invece trova nei grandi uomini la sua gioia, gioisce altresì di siffatti sistemi, per quanto essi siano completamente erronei: purtuttavia v'è in quelli un punto che è assolutamente inconfutabile, un tono, una coloritura personali; possiamo servircene per conquistare l'immagine del filosofo, allo stesso modo con cui si può giudicare il terreno dai frutti di un determinato luogo. Quel modo di vivere e di considerare le cose umane è comunque esistito una volta ed è dunque possibile: il «sistema», o almeno una parte di questo sistema, è il frutto di questo terreno.

[Friedrich Wilhelm Nietzsche, La filosofia nell'età tragica dei greci, traduzione di Ferruccio Masini, Newton, 1991]

Su verità e menzogna in senso extramorale

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I traduzione

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In un angolo remoto dell'universo scintillante e diffuso attraverso infiniti sistemi solari c'era una volta un astro, su cui animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e più menzognero della «storia del mondo»: ma tutto ciò durò soltanto un minuto. Dopo pochi respiri della natura, la stella si irrigidì e gli animali intelligenti dovettero morire. — Qualcuno potrebbe inventare una favola di questo genere, ma non riuscirebbe tuttavia a illustrare sufficientemente quanto misero, spettrale, fugace, privo di scopo e arbitrario sia il comportamento dell'intelletto umano entro la natura. Vi furono eternità in cui esso non esisteva; quando per lui tutto sarà nuovamente finito, non sarà avvenuto nulla di notevole. Per quell'intelletto, difatti, non esiste una missione ulteriore che conduca al di là della vita umana. Esso piuttosto è umano, e soltanto chi lo possiede e lo produce può considerarlo tanto pateticamente, come se i cardini del mondo ruotassero su di lui. Se noi riuscissimo a intenderci con la zanzara, apprenderemmo che anch'essa nuota attraverso l'aria con questo pathos e si sente il centro — che vola — di questo mondo. Non vi è nulla di abbastanza spregevole e scadente nella natura, che con un piccolo e leggero alito di quella forza del conoscere non si gonfi senz'altro come un otre. E come ogni facchino vuole avere i suoi ammiratori, così il più orgoglioso fra gli uomini, il filosofo, crede che da tutti i lati gli occhi dell'universo siano rivolti telescopicamente sul suo agire e sul suo pensare.

[Friedrich Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale in La filosofia nell'epoca tragica dei greci e Scritti dal 1870 al 1873, traduzione di Giorgio Colli, Adelphi, Milano 2006]

II traduzione

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In un angolo remoto dell'universo scintillante, diffuso in innumerevoli sistemi solari, c'era una volta un astro sul quale animali intelligenti inventarono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e più menzognero della «storia universale»; ma fu solo un minuto. Dopo pochi respiri della natura, l'astro si irrigidì e gli animali intelligenti dovettero morire. Qualcuno potrebbe inventare una favola del genere, ma non riuscirebbe mai a illustrare adeguatamente quanto lamentevole, quanto vago e fugace, quanto inane e capriccioso appaia nella natura l'intelletto umano. Ci furono eternità in cui esso non c'era, e quando di nuovo non ci sarà più non sarà successo niente. Giacché per questo intelletto non c'è nessuna missione ulteriore che porti al di là della vita umana. Esso è totalmente umano e solo chi lo possiede e lo produce ne ha un'idea così patetica, quasi che su di esso ruotassero i cardini del mondo. Ma se noi potessimo comunicare con la zanzara, apprenderemmo che anch'essa svolazza nell'aria con questo pathos e si sente appunto il centro svolazzante del mondo. Nella natura non c'è niente di così spregevole e meschino che, con un piccolo soffio di questa forza del conoscere, non si gonfi subito come un otre; e come ogni facchino vuole avere i suoi ammiratori, così il più superbo degli uomini, il filosofo, crede che da tutte le parti gli occhi dell'universo siano telescopicamente puntati sul suo agire e pensare.

[Friedrich W. Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale, in Verità e menzogna, traduzione di Sossio Giametta, RCS Quotidiani, 2010]

Citazioni

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  • Che cos'è dunque la verità? Un mobile esercito di metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve una somma di relazioni umane che sono state potenziate poeticamente e retoricamente, che sono state trasferite e abbellite, e che dopo un lungo uso sembrano a un popolo solide, canoniche e vincolanti: le verità sono illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria, sono metafore che si sono logorate e hanno perduto ogni forza sensibile, sono monete la cui immagine si è consumata e che vengono prese in considerazione soltanto come metallo, non più come monete. (p. 233, 2006)
  • L'indagatore di queste verità in fondo cerca soltanto la metamorfosi del mondo nell'uomo, si sforza di comprendere il mondo come una cosa umana e nel caso migliore riesce a raggiungere il sentimento di una assimilazione. (p. 236, 2006)
  • Il suo metodo considera l'uomo come misura di tutte le cose: nel far ciò tuttavia egli parte da un errore iniziale, credere cioè che egli abbia queste cose immediatamente dinanzi a sé, come oggetti puri. Egli dimentica così che le metafore originarie dell'intuizione sono pur sempre metafore, e le prende per le cose stesse. (p. 236, 2006)

Appello ai tedeschi

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Vogliamo essere ascoltati, poiché parliamo per ammonire, e sempre la voce di chi ammonisce, chiunque egli sia e dovunque essa risuoni, è nel suo diritto; in cambio voi, cui si rivolge l'appello, avete il diritto di decidere se volete prendervi come vostri ammonitori uomini onesti e chiaroveggenti, che fanno sentire la loro voce soltanto perché siete in pericolo, e si spaventano di trovarvi così muti, indifferenti e ignari. Ma a noi è lecito attestare di noi stessi, che parliamo con cuore puro, e che vogliamo e ricerchiamo il nostro soltanto in quanto è anche il vostro — cioè il bene e l'onore dello spirito tedesco e del nome tedesco. Vi è stata annunziata la solennità che, nel maggio dell'anno scorso, è stata celebrata a Bayreuth: si trattava di porre laggiù una possente prima pietra, sotto la quale credevamo di seppellire per sempre molti timori, e dalla quale credevamo che le nostre più nobili speranze fossero confermate per sempre: o piuttosto, come oggi dobbiamo dire, ci alludevamo che così fosse. Infatti in tutto ciò, ahimè!, vi era molta illusione: ancora persistono quei timori; e se anche non abbiamo affatto disimparato a sperare, il nostro appello odierno, con il quale rivolgiamo un ammonimento e chiediamo aiuto, fa capire che più che sperare temiamo. Il nostro timore peraltro riguarda voi: potreste non saper affatto che cosa accade, e forse addirittura impedire, per ignoranza, che qualcosa accada.

[Friedrich Nietzsche, Appello ai tedeschi in La filosofia nell'epoca tragica dei greci e Scritti dal 1870 al 1873, traduzione di Giorgio Colli, Adelphi, Milano 2006]

Richard Wagner a Bayreuth

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Due cose debbono concorrere affinché un evento abbia grandezza: il grande animo di coloro che lo portano a compimento e il grande animo di coloro che fanno esperienza. Non c'è evento che abbia grandezza di per sé, nonostante intere costellazioni svaniscono e popoli decadono, nonostante vengano sostituite grandi nazioni e vengano condotte guerre con enormi perdite e spiegamento di forze: su molte cose del genere il respiro della storia trascorre soffiando, quasi si trattasse di fiocchi di neve. Eppure, succede anche che un uomo potente affondi un colpo che tocca una dura roccia e rimane privo di effetto: una breve, acuta eco ed è tutto finito. La storia non sa raccontare quasi nulla di tali eventi, per così dire troncati.
Così, in chiunque osservi l'approssimarsi di un evento, si insinua sempre un interrogativo sull'esserne degni da parte di coloro che ne faranno esperienza.

[Friedrich Wilhelm Nietzsche, Richard Wagner a Bayreuth, traduzione di Giovanna Vignato, Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1992]

Citazioni

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  • È noto che certi uomini, nell'attimo di un pericolo eccezionale, o soprattutto nel prendere un'importante decisione sulla propria vita, condensano tutto il vissuto in una visione infinitamente accelerata e tornano a conoscere, con acutezza davvero rara, tanto le cose prossime come le più lontane. (p. 7, 1992)
  • Le rare persone che giungono davvero all'ingenuità, come Goethe e Wagner, l'acquisiscono più facilmente nell'età matura che nella fanciullezza o nella giovinezza. (p. 11, 1992)
  • Il Sigfrido dell'Anello del Nibelungo, quel modello straordinariamente vigoroso di giovane, poteva essere creato soltanto da un uomo e, in verità, da un uomo che avesse trovato nella maturità la propria giovinezza. E come la giovinezza, anche l'età virile giunse tardi per Wagner: su questo egli è davvero l'opposto di una natura precoce. (p. 11, 1992)
  • Assai di rado fu reso a qualcuno tanto difficile trovare le vie d'accesso alle scienze e alle tecniche, e spesso egli dovette improvvisare queste vie d'accesso. Il riformatore del dramma semplice, lo scopritore della posizione dell'arte nella vera società umana, il poetico chiarificatore delle passate visioni della vita, il filosofo, lo storico, lo studioso di estetica e critico Wagner, il maestro del linguaggio, lo studioso e il poeta dei miti, colui che per primo circoscrisse la magnifica, enorme struttura primordiale e vi impresse sopra le tracce del suo spirito: quale abbondanza di saperi dovette riunire ed abbracciare per divenire tutto questo! (p. 21, 1992)
  • Wagner è in massima misura filosofo là dove più è energico ed eroico. E appunto come filosofo egli non si limitò ad attraversare il fuoco di diversi sistemi filosofici senza intimorirsene, ma attraversò anche i vapori del sapere e dell'erudizione mantenendosi sempre fedele al suo io più elevato, che gli chiedeva "azioni comprensive della natura polifona" e gli imponeva di soffrire e di imparare per poter compiere quelle azioni. (p. 25, 1992)
  • Non si può essere felici finché intorno a noi tutti soffrono e si infliggono sofferenze; non si può essere morali fintantoché il procedere delle cose umane viene deciso da violenza, inganno e ingiustizia; non si può neppure essere saggi fintantoché l'umanità non si sia impegnata nella gara della saggezza e non introduca l'uomo alla vita e al sapere del più saggio dei modi. (p. 34, 1992)
  • Nell'economia spirituale dei nostri uomini di cultura, l'arte viene considerata oggi un bisogno del tutto falso o indegno e degradante, un nulla o un cattivo qualcosa. (p. 47, 1992)

Umano, troppo umano

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  • Alle persone che non amiamo imputiamo a colpa le gentilezze che ci fanno. (I, 309)[26]
  • Con sguardi, suoni e atti, molti animali stimolano l'uomo a immaginare se stesso in loro, e molte religioni insegnano a vedere in certi casi nell'animale la dimora di anime di uomini e di dèi: ragion per cui raccomandano in genere più nobile attenzione, anzi rispettoso timore, nel modo di trattare gli animali.
    Anche dopo la scomparsa di questa superstizione, i sentimenti da essa suscitati continuano ad agire, maturando e fiorendo. Su questo punto, com'è noto, il cristianesimo si è dimostrato una religione povera e retrograda. (II[27])
  • Con un talento in più si è spesso più insicuri che con uno in meno: come il tavolo sta meglio su tre che su quattro gambe. (I, 560; 2011)
  • Concludere dalle conseguenze alla fondatezza e infondatezza. Tutti gli Stati e gli ordinamenti della società: i ceti, il matrimonio, l'educazione, il diritto, tutte queste cose hanno la loro forza e durata solo nella fede che ripongono in esse gli spiriti vincolati – cioè nell'assenza di ragioni, o per lo meno nel rifiuto delle indagini sulle ragioni. Ciò gli spiriti vincolati non ammettono volentieri e sentono bene che è un pudendum. Il Cristianesimo, che era molto innocente nelle sue ispirazioni intellettuali, non notò nulla di questo pudendum, esigé fede e nient'altro che fede e respinse con passione la richiesta di ragioni; indicò il successo della fede: sentirete subito il vantaggio della fede, spiegava, sarete per essa beati. (I, 227; 2016)
  • I medici più pericolosi sono quelli che, da attori nati, imitano con perfetta arte di illusione il medico nato. (I, 306; 2011)
  • In realtà fra la religione e la vera scienza non esiste parentela, né amicizia e neanche inimicizia: esse vivono su pianeti diversi. (I, 110; 2011)
  • L'autore migliore sarà quello che si vergognerà di diventare scrittore. (I, 192; 2011)
  • L'ipocrita più distinto. – Il non parlare mai di sé è un'ipocrisia molto distinta. (I, 504; 2011)
  • La cattiveria è rara. Gli uomini sono per la maggior parte troppo indaffarati con se stessi per essere cattivi. (I, 85; 2016)
  • La piena irresponsabilità dell'uomo per il suo agire e per il suo essere è la goccia più amara che chi persegue la conoscenza deve inghiottire. (II, 107 in ed. critica G.Colli, M. Montinari, Milano 1979, p. 83)
  • La più nobile specie di bellezza è quella che non trascina a un tratto, che non scatena assalti tempestosi e inebrianti (una tale bellezza suscita facilmente nausea), ma che si insinua lentamente, che quasi inavvertitamente si porta via con sé e che un giorno ci si ritrova davanti in sogno, ma che alla fine, dopo aver a lungo con modestia giaciuto nel nostro cuore, si impossessa completamente di noi e ci riempie gli occhi di lacrime e il cuore di nostalgia. (I, 149; 2011)
  • La riforma di Lutero dimostra che in quel secolo ogni moto di libertà dello spirito era ancora incerto, gracile, adolescente e la scienza non poteva ancora sollevare il capo. (I, 26)
  • [...] la speranza [...] è in realtà il peggiore dei mali, perché prolunga il tormento degli uomini. (II, 71; 1927, p. 98)
  • La vita consiste in rari momenti singoli di altissimo significato e in innumerevoli intervalli in cui nel miglior caso ci si aggirano intorno le ombre di quei momenti. L'amore, la primavera, ogni bella melodia, la montagna, la luna, il mare – tutto parla una sola volta veramente al cuore: seppure giunge mai a parlare. Giacché molti uomini non hanno affatto quei momenti e sono essi stessi intervalli e pause nella sinfonia della vita reale. (I, 586; 2011)
  • Le donne fini credono che una cosa non esista affatto, quando non è possibile parlarne in società. (I, 383; 2011)
  • Le donne possono stringere benissimo amicizia con un uomo; ma per poterla conservare – a tal fine deve ben aiutare una piccola antipatia fisica. (I, 390; 2011)
  • Ma quale differenza non resta sempre fra il mal di denti e il dolore (compassione) che risveglia la vista del mal di denti? (I, 104; 2016)
  • Nessuna religione ha mai finora contenuto, né direttamente né indirettamente, né come dogma né come allegoria, una verità. Poiché ciascuna è nata dalla paura e dal bisogno e si è insinuata nell'esistenza fondandosi su errori della ragione. (I, 110; 2011)
  • Noi lavoriamo continuamente a questo inganno di noi stessi. E ora credete voi, che tanto parlate e decantate l'"obliar se stessi nell'amore", lo "sciogliersi dell'io nell'altra persona", che ciò sarebbe qualcosa di sostanzialmente diverso? Dunque si infrange lo specchio, ci si immagina in un'altra persona che si ammira, e si gode poi la nuova immagine del proprio io, anche se la si chiama col nome dell'altra persona. (II, 37, "Opinioni e sentenze diverse"; 2011)
  • Non c'è niente da fare: ogni maestro ha solo un allievo – e questo gli diventa infedele – perché è destinato anche lui a essere maestro. (II, 357; 2011)
  • Ogni cosa finita, perfetta, viene ammirata; ogni cosa in divenire, sottovalutata. (I, 162; 2016)
  • Perché si contraddice. Spesso contraddiciamo un'opinione, mentre propriamente ci è antipatico soltanto il tono con cui essa è stata espressa. (I, 303; 2016)
  • Quando in un mattino di domenica sentiamo rimbombare le vecchie campane, ci chiediamo: ma è mai possibile! Ciò si fa per un ebreo crocifisso duemila anni fa che diceva di essere il figlio di Dio. La prova di una tale asserzione manca. Sicuramente nei nostri tempi la religione cristiana è un'antichità emergente da epoche remotissime, e che si creda a quell'asserzione – mentre per il resto si è così rigorosi nell'esaminare ogni pretesa – è forse il frammento più antico di quest'eredità. (I, 113; 2011)
  • Santippe. – Socrate trovò una donna, quale gli abbisognava; – ma non l'avrebbe mai cercata, se l'avesse conosciuta abbastanza bene: anche l'eroismo di questo spirito libero non sarebbe andato così lontano. In realtà Santippe lo spinse sempre più alla sua propria vocazione, rendendogli spiacevole e inabitabile la sua casa e il suo focolare; gli insegnò a vivere nelle strade e dovunque si potesse chiacchierare e restare in ozio, e con ciò fece di lui il più grande dialettico delle strade d'Atene; il quale dovette finire con paragonare sé stesso ad un pungente assillo che fosse stato posto da un dio sul collo del bel cavallo Atene per non lasciarlo mai in pace. (433; 1927)
  • Serietà nel gioco. A Genova, nel tempo del crepuscolo, sentii giungere da una torre un prolungato suono di campane: non voleva finire e risonava come insaziato di se stesso, sopra il rumore dei vicoli nel cielo serotino e nell'aria marina, così agghiacciante, così fanciullesco insieme, così melanconico. Allora mi ricordai delle parole di Platone e le sentii tutt'a un trarro nel cuore: Tutto ciò che è umano non è, in complesso, degno di esser preso molto sul serio; tuttavia...[28] (I, 628; 2008)
  • Si dovrebbe considerare uno scrittore come un malfattore, che solo in rarissimi casi merita l'assoluzione o la grazia: questo sarebbe un rimedio contro il dilagare dei libri. (I, 193; 2011)
  • Si è maggiormente in pericolo di essere investiti quando si è appena scansata una vettura. (I, 564; 2011)
  • Spesso contraddiciamo un'opinione, mentre propriamente ci è antipatico soltanto il tono con cui essa è stata espressa. (I, 303; 2011)
  • Tiranni dello spirito. Nel nostro tempo si riterrebbe malato chiunque fosse l'espressione di un carattere morale così strettamente come lo sono i personaggi di Teofrasto e di Molière, e si parlerebbe per lui di «idea fissa». L'Atene del terzo secolo ci apparirebbe, se potessimo farvi una visita, come popolata di pazzi. (II, parte seconda, 230; 2008)
  • Tutti gli uomini si distinguono, come in ogni tempo anche oggi, in schiavi e liberi; poiché chi non ha per sé due terzi della sua giornata è uno schiavo, qualunque cosa poi: uomo di Stato, commerciante, funzionario, dotto. (I, 283; 2011)
  • Tutti gli uomini che facciamo aspettare a lungo nell'anticamera del nostro favore vanno in fermentazione o divengono acidi. (II, parte prima, 255; 2011)
  • Una madre ama di solito in suo figlio più sé che il figlio stesso. (I, 385; 2011)

Traduzione di Mirella Ulivieri

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  • Tutte le valutazioni sono affrettate, e debbono esserlo. (Delle prime e ultime cose, 32)
  • In ogni morale ascetica, l'uomo adora una parte di sé come Dio, e a tale scopo è costretto a render diabolica la parte che resta. (La vita religiosa, 137)
  • Ciò che una volta ha mosso, è racchiuso e reso eterno nella concatenazione totale di tutto ciò che è, come un insetto nell'ambra. (Dell'anima degli artisti e degli scrittori, 208)
  • Agli uomini attivi di solito fa difetto l'attività più alta: voglio dire quella individuale. Essi sono attivi come funzionari, commercianti, dotti, cioè come esseri generici, non come uomini affatto determinati, singoli, unici. (Indizi di cultura superiore e inferiore, 283)
  • Contro i confidenziali. – Persone che ci regalano la loro piena fiducia credono con ciò di aver diritto alla nostra. Il loro è un ragionamento sbagliato; i regali non conferiscono alcun diritto. (L'uomo nel rapporto con gli altri, 311)
  • Presenza di testimoni. – Dietro un uomo caduto in acqua ci si tuffa tanto più volentieri se si è in presenza di persone che non osano farlo. (L'uomo nel rapporto con gli altri, 325)
  • Bontà materna. – Ci son madri che han bisogno di figli felici e rispettati, altre invece di figli infelici: altrimenti non possono mostrare la loro bontà materna. (La donna e il bambino, 387)
  • L'unità di luogo e di dramma. – Se i coniugi non vivessero insieme, i buoni matrimoni sarebbero più frequenti. (La donna e il bambino, 393)

Per la storia dei sentimenti morali

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  • Si deve possedere una buona memoria per poter mantenere le promesse fatte. (59)
  • Intemperanza nella vendetta. – Uomini grossolani che si ritengono offesi sono soliti sopravvalutare il più possibile l'entità dell'offesa, e ne raccontano la causa in termini di forte esagerazione, solo per potersi meglio avvoltolare nel sentimento di odio e di vendetta una volta destato. (62)
  • Tutte le azioni «cattive» sono motivate dall'istinto di conservazione o, ancor più esattamente, dal desiderio dell'individuo di cercare il piacere e fuggire il dolore: così motivate, però, esse non sono cattive. (99)

L'uomo solo con se stesso

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  • Nemiche della verità. – Le convinzioni sono nemiche della verità più pericolose delle menzogne. (483)
  • Ricco di carattere. – Un uomo appare ricco di carattere molto più spesso perché segue sempre il suo temperamento, che non perché segue sempre i suoi principi. (485)
  • Prerogativa della grandezza. – È prerogativa della grandezza rendere molto felici con piccoli doni. (496)
  • Dall'esperienza. – L'irrazionalità di una cosa non è affatto una ragione contro la sua esistenza, ma piuttosto una condizione di questa. (515)
  • Verità. – Oggi nessuno muore di verità mortali: ci sono troppi antidoti. (516)
  • Idea fondamentale. – Non esiste alcuna armonia prestabilita tra il favorire la verità e il bene dell'umanità. (517)
  • Destino umano. – Chi pensa profondamente sa di aver sempre torto, comunque agisca e giudichi. (518)
  • Grandezza significa: imprimere una direzione. – Nessun fiume è grande e ricco di per sé, ma è il fatto di ricevere e convogliare in sé tanti affluenti a renderlo tale. Ciò vale anche per ogni grandezza dello spirito. Importa solo questo: che uno imprima la direzione che poi tanti affluenti dovranno seguire, e non che uno possieda sin dall'inizio capacità grandi o piccole. (521)
  • Voler essere amati. – Pretendere di essere amati è la presunzione più grande. (523)
  • La lunghezza della giornata. – Quando c'è molto da infilarci, un giorno ha mille tasche. (529)
  • Più importante. – Si considera la cosa non spiegata e oscura più importante di quella spiegata e chiara. (532)
  • Disprezzo. – Al disprezzo altrui l'uomo è più sensibile che a quello che gli viene da se stesso. (549)
  • Soccorrevolezza pericolosa. – Esistono persone che voglion rendere pesante la vita agli uomini per nessun altro motivo se non quello di offrir poi loro le proprie ricette per alleviarla, per esempio il proprio cristianesimo. (555)
  • Essere bersaglio. – I cattivi discorsi degli altri su di noi spesso non si riferiscono propriamente a noi, ma sono l'espressione di un'ira, di un malumore che han tutt'altro motivo. (562)
  • Opinioni proprie. – La prima opinione che ci viene in mente quando all'improvviso siamo interrogati su qualcosa, di solito non è la nostra, ma solo quella corrente, della nostra casta, della nostra posizione, della nostra origine; le opinioni proprie raramente vengono alla superficie. (571)
  • Cattiva memoria. – Il vantaggio della cattiva memoria è che si godono più volte le stesse buone cose per la prima volta. (580)
  • Presunzione come ultimo conforto. – Se si interpreta una disgrazia, la propria carenza intellettuale, la propria malattia in modo da vedere in ciò una predestinazione, una prova o una misteriosa punizione per azioni commesse in precedenza, ci si rende interessante il proprio essere e ci si innalza nell'immaginazione al di sopra dei propri simili. Il peccatore orgoglioso è una figura nota a tutte le sètte religiose. (590)
  • Vegetazione della felicità. – Immediatamente accanto al dolore del mondo, e spesso sul suo terreno vulcanico, l'uomo ha posto i suoi piccoli giardini di felicità. Che si guardi alla vita con l'occhio di chi dall'esistenza vuole soltanto la conoscenza, o di chi si arrende e si rassegna, o di chi si rallegra per la difficoltà superata, ovunque si vedrà che vicino al male è sbocciata un po' di felicità – e una felicità tanto maggiore, quanto più il terreno era vulcanico; sarebbe però ridicolo affermare che questa felicità giustifichi lo stesso dolore. (591)
  • Novellini della filosofia. – Non appena si è assimilata la saggezza di un filosofo, si va per le strade con la sensazione di essere diversi, di esser diventati dei grandi uomini; giacché ci si imbatte solo in gente che ignora quella saggezza, e dunque si ha da pronunciare su tutto un giudizio nuovo e mai sentito: per il fatto di saper riconoscere un codice, oggi si pensa di potersi anche atteggiare a giudice. (594)
  • Desiderio di profondo dolore. – La passione, quando è passata, si lascia dietro un'oscura nostalgia di sé e, prima di scomparire del tutto, ci lancia uno sguardo seducente. Dunque deve pur esserci stata una sorta di piacere nell'esser colpiti dalla sua sferza. Paragonati ad essa, i sentimenti più moderati ci sembrano insulsi; a quanto pare, a un fiacco piacere si preferisce pur sempre un forte dolore. (606)
  • Uomini arretrati e uomini precorritori. – Il carattere sgradevole, che è pieno di diffidenza, che prova invidia per ogni successo del suo competitore e del suo prossimo ed è violento e collerico contro le opinioni divergenti, mostra di appartenere a un livello precedente di cultura, e di essere dunque un residuo: infatti il suo rapporto con gli uomini era giusto e adeguato in un'epoca in cui vigeva il diritto del più forte: è un uomo rimasto indietro. Un altro carattere, che partecipa alla gioia altrui, si fa amici dappertutto, sente amore per tutto quanto cresce e diviene, gode insieme con gli altri dei loro onori e successi e non si arroga la prerogativa di essere il solo a conoscere la verità ed anzi è pieno di un'umile diffidenza – questo è un uomo che precorre, che aspira a una cultura umana superiore. Il carattere sgradevole proviene dai tempi in cui le rudimentali fondamenta dei rapporti umani erano ancora da costruire, l'altro vive sul piano più alto di tali rapporti, il più lontano possibile dalla belva selvaggia che infuria e urla nei sotterranei, rinchiusa sotto le fondamenta della cultura. (614)
  • Estraneo al presente. – Ha grandi vantaggi l'estraniarsi per una volta in forte misura dal proprio tempo, ed essere per così dire trascinati via dalla sua sponda, nell'oceano delle passate concezioni del mondo. Guardando di lì verso la costa, per la prima volta se ne coglie la conformazione complessiva e, quando ci si riavvicina ad essa, si ha il vantaggio di intenderla nel suo insieme meglio di coloro che non l'hanno mai abbandonata. (616)

Opinioni e detti diversi

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  • Contro i sognatori. – Il sognatore rinnega la verità di fronte a sé, il bugiardo solo davanti agli altri. (6)
  • Il buono seduce alla vita. – Tutte le cose buone sono potenti incentivi alla vita, persino ogni buon libro scritto contro di essa. (16)
  • La verità non vuol altro dio all'infuori di sé. – La fede nella verità comincia con il dubbio in tutte le «verità» credute sino a quel momento. (20)
  • Historia in nuce. – La parodia più seria che abbia mai sentito è questa: «in principio era il non-senso, e il non-senso era, presso Dio!. e Dio (divinamente) era il non-senso». (22)
  • Un idealista è incorreggibile: se lo si precipita dal suo cielo, si confeziona un ideale con l'inferno. (23)
  • A chi nega la propria vanità. – Chi nega la propria vanità, di solito la possiede in forma così brutale da chiudere istintivamente gli occhi davanti ad essa, per non dover disprezzare se stesso. (38)
  • Avere molta gioia. – Chi ha molta gioia deve essere un buon uomo: ma forse non il più intelligente, benché ottenga proprio quello che il più intelligente cerca di raggiungere con tutta la sua intelligenza. (45)
  • La collera come spia. – La collera prosciuga l'anima e ne porta alla luce il sedimento. Pertanto, quando non si può arrivare in altro modo alla chiarezza, bisogna saper fare andare in collera chi ci sta intorno, i nostri seguaci e i nostri avversari, per apprendere tutto ciò che accade e viene pensato contro di noi nel profondo. (54)
  • Un errore più amaro. – Offende in modo irreparabile lo scoprire che là dove si era convinti di essere amati, si era considerati solo una suppellettile, un gingillo da salotto, grazie al quale il padrone di casa poteva sfogare davanti agli ospiti la propria vanità. (74)
  • Sfiducia. – La sfiducia in se stessi non sempre se ne va timida e insicura, ma a volte è quasi frenetica; per non tremare si è ubriacata. (80)
  • Filosofia del parvenu. – Se per una volta si vuol essere una persona, bisogna onorare anche la propria ombra. (81)
  • Lode insincera. – Una lode insincera produce poi assai più rimorsi di un biasimo insincero, probabilmente solo perché con una lode troppo pronunciata, abbiamo compromesso la nostra capacità di giudizio molto più che con un biasimo forte seppure ingiusto. (87)
  • Soddisfare i migliori. – Quando con la propria arte si «sono soddisfatti i migliori del proprio tempo», è segno che con essa non si soddisferanno i migliori dell'epoca successiva: «vissuto», certo, «lo si è per tutti i tempi» – il plauso dei migliori assicurerà la gloria. (103)
  • La buona memoria. – Taluni non diventano pensatori solo perché hanno una memoria troppo buona. (122)
  • Scortesie di lettore. – La duplice scortesia del lettore nei confronti dell'autore consiste nel lodare il secondo libro di costui a spese del primo (o viceversa) e nel volere che l'autore gliene sia grato. (130)
  • Poeti e realtà. – La musa del poeta che non è innamorato della realtà, non sarà appunto la realtà e gli darà figli dagli occhi cavi e dalle ossa troppo tenere. (135)
  • Mezzi e fine. – In arte il fine non santifica i mezzi: ma i mezzi santi possono santificare il fine. (136)
  • I peggiori lettori. – I peggiori lettori sono quelli che si comportano come soldati durante un saccheggio: si prendono quello di cui possono aver bisogno, insudiciano e scompigliano il resto e bestemmiano su tutto. (137)
  • La critica più aspra. – Si criticano un uomo, un libro, con la stessa massima asprezza quando se ne disdegnano gli ideali. (157)
  • Vantaggio per gli avversari. – Un libro ricco di spirito ne comunica anche ai suoi avversari. (160)
  • A favore dei critici. – Gli insetti pungono non per cattiveria, ma perché anch'essi vogliono vivere; così pure i critici: vogliono il nostro sangue, non il nostro dolore. (164)
  • Sibi scribere. – Un autore accorto non scrive per nessun'altra posterità se non per la propria, vale a dire per la sua vecchiaia, onde poter provare anche allora gioia di sé. (167)
  • Il vero talento teatrale dei tedeschi fu Kotzebue; egli e i suoi tedeschi, dell'alta come della media società, fanno necessariamente tutt'uno, e i contemporanei avrebbero potuto seriamente dire di lui: «In lui viviamo e siamo noi». In lui non ci fu nulla di forzato, di costruito approssimativamente, di piacevole per metà o approssimativamente: quello che egli volle e poté, fu capito, anzi l'onesto successo teatrale sui palcoscenici tedeschi appartiene tuttora agli eredi, verecondi o impudenti, dei mezzi e degli effetti kotzebuiani, soprattutto nella misura in cui la commedia è ancora in auge; ne risulta che, soprattutto lontano dalle grandi città, molto del germanesimo di allora continua a sopravvivere. Bonari, incontinenti nei piccoli piaceri, facili al pianto, desiderosi di potersi liberare almeno a teatro dell'innata freddezza e senso del dovere e di esercitarvi una tolleranza sorridente, anzi ridente, scambiando e mischiando il bene con la compassione – che è l'essenza della sentimentalità tedesca –, oltremodo felici di un'azione bella e generosa, per il resto ossequiosi dell'autorità, reciprocamente invidiosi e tuttavia bastanti a se stessi nel proprio intimo – così erano essi, così era lui. (170)
  • Le muse come mentitrici. – «Sappiamo dire molte menzogne» – così cantarono un giorno le muse, quando si rivelarono a Esiodo. Conduce a scoperte assai importanti il considerare finalmente l'artista come impostore. (188)
  • Il motto di spirito. – Il motto di spirito è l'epigramma sulla morte di un sentimento. (202)
  • Star sulla testa. – Quando capovolgiamo la verità, di solito non ci accorgiamo che neanche la nostra testa sta dove dovrebbe stare. (208)
  • In Grecia gli spiriti profondi, scrupolosi e seri erano l'eccezione; l'istinto del popolo inclinava piuttosto a considerare la serietà e la scrupolosità come una specie di deformazione. (221)
  • Scrittori di partito. – I rulli di tamburo di cui tanto si compiacciono i giovani scrittori a servizio di un partito, suonano a chi non appartiene a quel partito come uno stridore di catene, e suscitano più compassione che ammirazione. (308)
  • Quando sono necessari gli asini. – Non si spingerà la folla a gridare osanna se non si entrerà nella città cavalcando un asino. (313)
  • Diventar vuoti. – Di colui che si abbandona agli avvenimenti resta sempre di meno. Per questo grandi politici possono diventare affatto vuoti, pur essendo stati un giorno pieni e ricchi. (315)
  • Caldo sulle vette. – Sulle vette è più caldo di quanto non si immagini nelle valli, soprattutto in inverno. Il pensatore conosce il significato di questa similitudine. (335)
  • A che scopo vuoi ancora attaccare? Siedi come uno che abbia vinto! (354)
  • Uccelli canori. – I seguaci di un grand'uomo sono soliti accecarsi per meglio cantarne le lodi. (390)
  • Non all'altezza. Una cosa buona non ci piace quando non ne siamo all'altezza. (391)
  • Commedia. – Talvolta mietiamo amore e gloria per azioni e opere di cui da lungo tempo ci siamo spogliati come di una pelle: allora veniamo facilmente sedotti a fare i commedianti del nostro passato e a gettarci ancora una volta sulle spalle la vecchia pelle – e non solo per vanità, ma anche per benevolenza verso i nostri ammiratori. (393)
  • Il giudice. – Chi ha contemplato l'ideale di un altro, ne è il giudice inesorabile e per così dire la cattiva coscienza. (402)

Il viandante e la sua ombra

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  • L'albero della conoscenza. – Verosimiglianza, ma non verità: parvenza di libertà, ma non libertà – è per questi due frutti che l'albero della conoscenza non può venir scambiato per l'albero della vita. (1)
  • Dire due volte. – È bene esprimere subito una cosa due volte e darle un piede destro e uno sinistro. La verità può sì stare in piedi su una gamba, ma con due camminerà e andrà in giro. (13)
  • Rimorso. – Il rimorso è, come un morso di un cane a una pietra, una sciocchezza. (38)
  • Cloache dell'anima. – Anche l'anima deve avere le sue determinate cloache nelle quali far defluire la sua immondizia; a ciò servono persone, relazioni, classi, o la patria oppure il mondo oppure infine – per quelli molto boriosi (voglio dire i nostri cari «pessimisti» moderni) – il buon Dio. (46)
  • Spirito e noia. – Il proverbio «Il magiaro è troppo pigro per annoiarsi» fa pensare. Solo gli animali più fini e attivi sono capaci di noia. – Un tema per un grande poeta sarebbe la noia di Dio nel settimo giorno della creazione. (56)
  • La virtù più nobile. – Nella prima èra dell'umanità superiore il valore è considerato la più bella delle virtù, nella seconda la giustizia, nella terza la moderazione, nella quarta la saggezza. In quale èra viviamo noi? In quale vivi tu? (64)
  • ''Una santa bugia. – La bugia, pronunciando la quale Arria morì (Paete, non dolet), oscura tutte le verità che mai furono pronunciate da morenti. È l'unica bugia santa che sia divenuta famosa; mentre in altri casi l'odore di santità rimase attaccato solo ad errori. (75)
  • Jean Paul sapeva moltissimo ma non aveva scienza, s'intendeva di ogni astuzia artistica ma non aveva arte, non trovava disgustoso quasi nulla ma non aveva gusto, possedeva sentimento e serietà ma, quando li faceva assaggiare, ci versava sopra un repellente brodo di lacrime, aveva certo spirito – troppo poco, purtroppo, rispetto alla gran fame che ne aveva: per cui porta il lettore alla disperazione proprio con la sua mancanza di spirito. Fu in complesso l'erbaccia variopinta, dal forte profumo, spuntata nottetempo nei delicati frutteti di Schiller e Goethe; fu un uomo buono e comodo, eppure fu una fatalità – una fatalità in camicia da notte. (99)
  • Lessing possiede una virtù prettamente francese, e come scrittore ha frequentato in genere con la massima diligenza la scuola dei francesi: sa ordinare e ben esporre le sue cose in vetrina. Senza quest'arte reale, i suoi pensieri come pure i loro oggetti sarebbero rimasti piuttosto in ombra, senza che la perdita fosse troppo grave. Ma dalla sua arte hanno imparato in molti (soprattutto le ultime generazioni di dotti tedeschi), e innumerevoli ne hanno tratto gioia. – In verità quegli apprendisti non avrebbero avuto bisogno, come tanto spesso è accaduto, di imparare anche lo sgradevole manierismo del suo tono, con quel miscuglio di litigiosità e probità. – Sul Lessing «lirico» si è oggi unanimi: sul «drammatico» lo si diventerà. (103)
  • Wieland ha scritto in tedesco meglio di chiunque altro, e ha avuto in ciò le sue brave soddisfazioni e insoddisfazioni di maestro (le sue traduzioni delle lettere ciceroniane e di Luciano sono le migliori traduzioni tedesche); ma i suoi pensieri non ci forniscono più nulla cui pensare. Sopportiamo le sue piacevoli moralità tanto poco quanto le sue piacevoli immoralità: le une ben si confanno alle altre. Gli uomini che ne trassero godimento erano però in fondo migliori di noi – ma anche, in buona misura, più lenti, e avevano appunto bisogno di un tale scrittore. – Di Goethe i tedeschi non ebbero bisogno, e anche per questo non sanno farne alcun uso. Si considerino i migliori tra i nostri politici e artisti; nessuno di loro ha avuto Goethe come educatore – non lo ha potuto avere. (107)
  • Il senso drammatico. – Chi non possiede i quattro sensi artistici più raffinati, cerca di comprendere tutto con il quinto, il più grossolano: questo è il senso drammatico. (117)
  • Herder non è nulla di quello che egli fece credere di sé (e che egli stesso desiderava credere): non un grande pensatore e inventore, non un fecondo terreno nuovo e germogliante, con la forza fresca e intatta della foresta primordiale. Ma possedeva in grandissima misura il senso del fiuto, vedeva e coglieva le primizie di stagione prima di ogni altro, che poi poteva credere che le avesse fatte crescere lui: il suo spirito stava tra la luce e l'oscurità, tra il vecchio e il nuovo e, come un cacciatore in agguato, ovunque vi fossero passaggi, abbassamenti, sconvolgimenti, segni di un intimo sgorgare e divenire: lo spingeva l'irriquietezza della primavera, ma egli era la primavera! (118)
  • Schiller, come altri artisti tedeschi, credeva che, avendo spirito, si potesse anche improvvisare con la penna su ogni sorta di argomenti difficili. Ed ecco che i suoi saggi in prosa – sotto ogni riguardo un modello di come non si debbono affrontare questioni scientifiche di estetica e di morale – e un pericolo per lettori giovani i quali, nella loro ammirazione per il poeta Schiller, non hanno il coraggio di pensar male dello Schiller pensatore e scrittore. (123)
  • Herder ebbe la sfortuna che i suoi scritti fossero sempre o nuovi o invecchiati; per le menti più sottili e robuste (come per Lichtenberg), persino l'opera principale di Herder, le sue Idee per la storia dell'umanità, furono per esempio qualcosa di vecchio già al loro apparire. (125)
  • Il moralismo di Kant, – da dove viene? Lo dà continuamente a capire: da Rousseau e dal ridestato stoicismo romano. (216)
  • Il moralismo di Beethoven in musica: è l'eterno inno di lode a Rousseau, agli antichi francesi e a Schiller. (216)
  • Cos'è l'intera filosofia morale tedesca, a partire da Kant, con tutti i suoi germogli e le sue secondarie diramazioni francesi, inglesi e italiane? Un attentato semiteologico contro Helvétius, un rifiuto dei liberi orizzonti lentamente e faticosamente conquistati o delle indicazioni della retta via, che egli da ultimo ha ben espresse e riunite. Ancor oggi Helvétius è in Germania il più vilipeso tra tutti i buoni moralisti e tra tutti i buon'uomini. (216)
  • Epicuro è vissuto e vive in ogni tempo, sconosciuto a quelli che si definivano e si definiscono epicurei, e senza fama presso i filosofi. Egli stesso ha dimenticato il suo nome: fu il bagaglio più pesante che egli mai abbia gettato via. (227)
  • L'Atene del terzo secolo, se potessimo visitarla, ci sembrerebbe quasi popolata di pazzi. (230)
  • In Russia esiste una emigrazione degli intellettuali: si passa il confine per leggere e scrivere buoni libri. Ma così si fa in modo che la patria, abbandonata dallo spirito, diventi sempre più la bocca spalancata dell'Asia, che vorrebbe inghiottire la piccola Europa. (231)
  • I greci sono i pazzi per lo Stato della storia antica – in quella moderna lo sono altri popoli. (232)
  • Lettera. – La lettera è una visita inaspettata, e il postino è il mediatore di scortesi sorprese. Si dovrebbe avere per le lettere un'ora ogni otto giorni, e poi farsi un bagno. (261)
  • Non femminile. – "Stupido come un uomo", dicono le donne: "vile come una donna", dicono gli uomini. La stupidità è nella donna l'elemento non femminile. (273)
  • Ogni far politica, anche nei più grandi statisti, è un improvvisare a caso. (277)
  • Quarantena centenaria. – Le istituzioni democratiche sono istituti di quarantena contro la vecchia peste degli appetiti tirannici: e, come tali, molto utili e molto noiose. (289)
  • La stanchezza dello spirito. – La nostra indifferenza e freddezza verso gli uomini, che viene interpretata come durezza e mancanza di carattere, spesso è solo stanchezza dello spirito: durante la quale gli altri ci sono, come lo siamo noi a noi stessi, indifferenti o molesti. (299)
  • Uomo! – Che cos'è la vanità dell'uomo più vanitoso in confronto a quella del più modesto, nel sentirsi, nella natura e nel mondo, «uomo»! (304)
  • Il miglior rimedio. – Un po' di salute ogni tanto è il miglior rimedio per il malato. (325)
  • Profeti del tempo. – Come le nubi ci dicono in che direzione corrono i venti lassù in alto, sopra di noi, così gli spiriti più leggeri e liberi fanno presagire con le loro direzioni che tempo farà. (330)
  • Filologia, infatti, è quella onorevole arte che esige dal suo cultore soprattutto una cosa, trarsi da parte, lasciarsi tempo, divenire silenzioso, divenire lento, essendo un'arte e una perizia di orafi della parola, che deve compiere un finissimo attento lavoro e non raggiunge nulla se non lo raggiunge lento. (prefazione, 5; 2006)
  • Anche quel senso della verità, che in fondo è il senso della sicurezza, l'uomo l'ha in comune con l'animale: non ci si vuol lasciar ingannare, non si vuol esser tratti in errore da noi stessi, si presta un diffidente ascolto all'esortazione delle proprie passioni, ci si domina e si rimane in agguato contro se stessi; tutto questo l'animale lo comprende parimenti all'uomo, anche in lui il dominio di sé si sviluppa dal senso del reale (dalla saggezza). Parimenti l'animale osserva gli effetti che esercita sulla rappresentazione di altri animali, e da lì impara a rivolgere il suo sguardo indietro su se stesso, a considerarsi «oggettivamente»; così ha il suo grado di autocoscienza. L'animale giudica i movimenti dei suoi nemici e amici, impara a memoria le loro peculiarità, su queste si regola: verso individui di una determinata specie rinunzia una volta per tutte alla lotta e così, nell'avvicinare alcuni tipi di animali, indovina l'intenzione di pace e di accordo. Gli inizi della giustizia, come quelli della saggezza, della moderazione, del coraggio, – in breve tutto ciò che noi definiamo virtù socratiche, è di carattere animale: una conseguenza di quegli istinti che insegnano a cercare il cibo e a sfuggire ai nemici. (26; 2012)
  • «Conosci te stesso» è tutta la scienza. Solo alla fine della conoscenza di tutte le cose, l'uomo avrà conosciuto se stesso. Le cose infatti sono soltanto i limiti dell'uomo. (48; 2006)
  • Quale luogo spaventevole ha saputo fare della terra il cristianesimo, già per il solo fatto di aver collocato ovunque il crocifisso, e per aver in tal modo designato la terra come il luogo in cui «il giusto viene martirizzato a morte»! (77; 2006)
  • Il cristianesimo ha fatto di tutto per chiudere il circolo, e ha dichiarato che già il dubbio è peccato. (89; 2006)
  • Un Dio che è onnisciente e onnipotente, e che non provvede neppure a che la sua intenzione venga compresa dalle sue creature, dovrebbe essere un Dio di bontà? (91; 2006)
  • Tutte le azioni sono essenzialmente ignote. (116; 2006)
  • Com'è venuta la ragione nel mondo? Come è giusto che arrivasse, in un mondo irrazionale, attraverso il caso. Si dovrà indovinare questo caso, come un enigma. (123; 2006)
  • Governare. – Gli uni governano per il piacere di governare, gli altri per non essere governati: questi ultimi hanno soltanto il più piccolo dei due mali. (181; 2006)
  • Il pauroso non sa che cosa significa essere soli: dietro la sua poltrona c'è sempre un nemico. (249; 2006)
  • Quanto più pensiamo a tutto quel che fu e che sarà, tanto più pallido ci diventa quel che appunto è ora. (441; 2017)
  • Maestri e scolari. – Conviene all'umanità di un maestro, mettere i propri discepoli in guardia contro se stesso. (447; 2006)
  • Avanti sul nemico. – Che bel suono hanno la cattiva musica e le cattive ragioni quando si marcia contro il nemico! (557; 2006)
  • Perdite. Vi sono perdite che comunicano all'anima una sublimità, nella quale essa si astiene dal lamento e cammina in silenzio come sotto alti, neri cipressi. (570; 2017)
  • Disquamarsi. – Il serpente che non può disquamarsi, perisce. Così pure gli spiriti ai quali si impedisce di mutare le loro idee: cessano di essere spirito. (573; 2006)
  • Da non dimenticare. – Quanto più ci innalziamo, tanto più piccoli sembriamo a quelli che non possono volare. (574; 2006)

Citazioni su Aurora

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  • Opera di trapasso, Aurora, intesa ancora ad abbattere più che a costruire, vibra di una singolare tensione interna per il paradosso del suo impegno stesso, che è dimostrare razionalmente l'irrazionalità originaria della morale in corso. Occasione per eccellenza sia a demolire idoli, sia (anche più) a illuminare caverne dell'inconscio occupate da «sacra» tenebra di millenni. (Leone Traverso)

La gaia scienza

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  • Epicuro. Sì, sono fiero di sentire il carattere di Epicuro in modo diverso, forse, da chiunque altro, e soprattutto di gustare in tutto ciò che di lui leggo e ascolto la gioia pomeridiana dell'antichità – vedo il suo occhio che guarda un vasto, albicante mare, oltre gli scogli delle coste su cui si posa il sole, mentre grandi e piccole fiere giuocano nella sua luce, sicure e placide come questa luce e quell'occhio stesso. Una tale gioia l'ha potuta inventare solo un uomo che ha perpetuamente sofferto, la gioia d'un occhio davanti al quale il mare dell'esistenza si è quietato e che non si sazia più di guardare la sua superficie, e questo screziato, tenero, abbrividente velo di mare: non era mai esistita prima di allora una tale compostezza della voluttà. (45; 2007)
  • Come è noto, l'Alfieri ha mentito moltissimo, nel raccontare agli sbalorditi contemporanei la storia della sua vita. Mentì per quel dispotismo contro se stesso che dimostrò, per esempio, nel modo con cui si dette a creare un suo linguaggio e si costrinse tirannicamente a diventar poeta – aveva finito per trovare una severa forma di grandezza in cui imprimere a viva forza la sua vita e la sua memoria: deve esserci stato non poco tormento in tutto questo. – Non presterei fede alcuna neppure a una biografia di Platone, scritta da lui medesimo: così come non credo a quella di Rousseau o alla vita nuova di Dante. (91; 2007)
  • Dio è morto: ma stando alla natura degli uomini, ci saranno forse ancora per millenni caverne nelle quali si additerà la sua ombra. (108; 2015)
  • Il carattere complessivo del mondo è il caos per tutta l'eternità, non nel senso di un difetto di necessità, ma di un difetto di ordine, di articolazione, forma, bellezza, sapienza e di tutto quanto sia espressione delle nostre estetiche nature umane. (109; 2007)
  • Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: "Cerco Dio! Cerco Dio!". E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. "È forse perduto?" disse uno. "Si è perduto come un bambino?" fece un altro. "Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?" – gridavano e ridevano in una gran confusione. L'uomo folle balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: "Dove se n'è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! L'abbiamo ucciso – voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all'ultima goccia? Chi ci dette la spugna per strofinare via l'intero orizzonte? Che mai facemmo per sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov'è che si muove ora? Dov'è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all'indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? – Non si è fatto piú freddo? Non seguita a venire notte, sempre piú notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo ancora nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di piú sacro e di piú possente il mondo possedeva fino ad oggi si è dissanguato sotto i nostri coltelli – chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo lavarci? Quali riti espiatòri, quali sacre rappresentazioni dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo anche noi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un'azione piú grande – e tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtù di questa azione, ad una storia più alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!". A questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch'essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. "Vengo troppo presto" proseguì "non è ancora il mio tempo. Questo enorme evento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino – non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle stelle vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano viste e ascoltate. Quest'azione è ancor sempre piú lontana dagli uomini delle stelle più lontane – eppure son loro che l'hanno compiuta!". – Si racconta ancora che l'uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: "Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?". (125; 2007)
  • La decisione del cristiano di trovare brutto e malvagio il mondo ha reso il mondo brutto e malvagio. (130; 2007)
  • Fama. Quando la gratitudine di molti verso qualcuno getta via ogni pudore, nasce la fama. (171; 2015)
  • Contro alcune difese. – Il modo più perfido di danneggiare una cosa è quello di difenderla intenzionalmente adducendo motivi falsi. (191; 1993)
  • Limiti del nostro udito. – Si odono soltanto le domande a cui siamo in grado di rispondere. (196; 1993)
  • Ridere.Ridere significa godere dell'altrui sofferenza, ma con la coscienza tranquilla. (200; 2007)
  • L'invidioso. È un invidioso – cui non si devono augurare dei bambini: sarebbe invidioso di loro perché non può più essere bambino. (207; 2015)
  • Sacrificio. Riguardo a sacrificio e a spirito di sacrificio le vittime la pensano diversamente dagli spettatori: ma da tempo immemorabile non si è mai data loro la possibilità di dirlo. (220; 2015)
  • Critica degli animali. Temo che gli animali vedano nell'uomo un essere loro uguale che ha perduto in maniera estremamente pericolosa il sano intelletto animale – vedano cioè in lui l'animale delirante, l'animale che ride, l'animale che piange, l'animale infelice. (224; 2015)
  • Per muovere la folla. – Colui che vuol muovere la folla, non deve forse essere l'attore di se stesso? Non deve dapprima tradursi in un qualcosa di grottescamente chiaro e presentare tutta la sua persona e le sue tesi in questa rozza semplificazione? (236; 1993)
  • Abitudine. Ogni abitudine rende la nostra mano più arguta e la nostra arguzia meno agile. (247; 1993)
  • Nessun vincitore crede al caso. (258; 2006)
  • L'ultima scepsi. Che cosa sono, in fondo, le verità degli uomini? Sono gli errori inconfutabili dell'umanità. (265; 1993)
  • Che cosa dice la tua coscienza? – «Tu devi diventare colui che sei.» (270; 1993)[29]
  • Genova. Io mi sono guardato questa città, con le sue ville, i suoi parchi e l'ampio circondario delle sue colline e dei suoi declivi, tutti abitati, per un bel po'; debbo infine dire che vedo volti di stirpi passate, ché questa regione è disseminata di immagini di uomini arditi e sicuri di sé. Hanno vissuto e voluto continuare a vivere: me lo dicono con le loro case, costruite e abbellite per i secoli, e non per l'ora fugace; amavano la vita, per quanto spesso potessero essere malvagi con se stessi. (291; 1993, p. 150)
  • Nel Nord a chi osservi l'architettura delle città si impongono la legge e un desiderio generalizzato di legalità e di obbedienza: vi si indovina quella interiore tendenza a conformarsi e a equipararsi che doveva prevalere nell'anima di tutti i costruttori. Qui invece [a Genova], dietro ogni angolo, trovi una persona a sé, che conosce il mare, l'avventura e l'Oriente, un uomo poco incline alla legge e al vicino, che gli giungono noiosi, e misura con sguardo invidioso tutto ciò che è antico e già fondato: egli vorrebbe, con uno scaltro prodigio della sua fantasia, rifondare tutto ciò almeno nel pensiero, mettervi la sua mano e la sua sensibilità - fosse anche per un istante di un soleggiato pomeriggio in cui la sua anima malinconica e insaziabile avverte, per una volta, sazietà, e al suo occhio possono presentarsi soltanto cose proprie e non più estranee. (291; 1993, pp. 150-151)
  • Io amo le abitudini brevi e le ritengo uno strumento inestimabile per conoscere molte cose e circostanze. (295; 1993)
  • Nel fare non facciamo. Sono fondamentalmente avverso a quelle morali che dicono: «Non farlo! Rinuncia! Frenati!» [...] «Il nostro fare deve determinare ciò che noi non facciamo: nel fare non facciamo» – così piace a me, così suona il mio placitum. (304; 2007)
  • No. La vita non mi ha disilluso! Di anno in anno la trovo invece più vera, più desiderabile e più misteriosa – da quel giorno in cui venne a me il grande liberatore, quel pensiero cioè che la vita potrebbe essere un esperimento di chi è volto alla conoscenza – e non un dovere, non una fatalità, non una frode! E la conoscenza stessa: può anche essere per altri qualcosa di diverso, per esempio un giaciglio di riposo o il percorso verso un giaciglio di riposo, oppure uno svago o un oziare; ma per me essa è un universo di pericoli e di vittorie, in cui anche i sentimenti eroici hanno la loro arena. "La vita come mezzo della conoscenza": con questo principio nel cuore si può non soltanto valorosamente, ma perfino gioiosamente vivere e gioiosamente ridere! E chi saprebbe ridere e vivere bene, senza intendersi prima di guerra e di vittoria? (324; 2007)
  • [...] una felicità, che finora l'uomo non ha mai conosciuto – la felicità di un dio colmo di potenza e d'amore, di lacrime e di riso, una felicità che, come il sole alla sera, non si stanca di effondere doni della sua ricchezza inestinguibile e li sparge nel mare, e come il sole, soltanto allora si sente assolutamente ricca, quando anche il più povero pescatore rema con un remo d'oro! Questo sentimento divino si chiamerebbe, allora – umanità! (337; 2007)
  • [Sull'eterno ritorno] Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione – e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere! (341; 2007)
  • Ci vien già da ridere quando troviamo «uomo e mondo» posti l'uno accanto all'altro, separati dalla sublime arroganza della paroletta «e»! (346; 2015)

Così parlò Zarathustra

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Originale

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Als Zarathustra dreissig Jahr alt war, verliess er seine Heimat und den See seiner Heimat und ging in das Gebirge. Hier genoss er seines Geistes und seiner Einsamkeit und wurde dessen zehn Jahr nicht müde. Endlich aber verwandelte sich sein Herz, – und eines Morgens stand er mit der Morgenröthe auf, trat vor die Sonne hin und sprach zu ihr also:
"Du grosses Gestirn! Was wäre dein Glück, wenn du nicht Die hättest, welchen du leuchtest!
Zehn Jahre kamst du hier herauf zu meiner Höhle: du würdest deines Lichtes und dieses Weges satt geworden sein, ohne mich, meinen Adler und meine Schlange.
Aber wir warteten deiner an jedem Morgen, nahmen dir deinen Überfluss ab und segneten dich dafür."

[Friedrich Nietzsche, Also sprach Zarathustra, Deutscher Taschenbuch Verlag, Monaco, 1967–77]

I traduzione

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Quando Zarathustra ebbe trent'anni, lasciò il suo paese e il lago del suo paese e andò sui monti. Qui gustò il suo spirito e la sua solitudine, per dieci anni, senza stancarsene. Ma alla fine il suo cuore si trasformò – e un mattino egli si alzò con l'aurora, andò dinnanzi al sole e gli parlò.
"Grande astro! Cosa sarebbe la tua felicità se non avessi coloro ai quali risplendi!
Per dieci anni sei venuto quassù alla mia caverna: saresti saturo della tua luce e di questo cammino senza di me, della mia aquila e del mio serpente.
Noi però ti abbiamo atteso ogni mattino, ti abbiamo alleggerito della tua sovrabbondanza e di ciò ti abbiamo benedetto."

[Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, traduzione di Maria Francesca Occhipinti, Mondadori]

II traduzione

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Giunto a trent'anni, Zarathustra lasciò il suo paese e il lago del suo paese, e andò sui monti. Qui godette del suo spirito e della sua solitudine, né per dieci anni se ne stancò. Alla fine si trasformò il suo cuore, – e un mattino egli si alzò insieme all'aurora, si fece al cospetto del sole e così gli parlò:
"Astro possente! Che sarebbe la tua felicità, se non avessi coloro ai quali risplendi! Per dieci anni sei venuto quassù, alla mia caverna; sazio della tua luce e di questo cammino saresti divenuto, senza di me, la mia aquila, il mio serpente.
Noi però ti abbiamo atteso ogni mattino e liberato del tuo superfluo, di ciò ti abbiamo benedetto.

[Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, versione di Mazzino Montinari, in Opere, Adelphi, 1972.]

III traduzione

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Compiuto ch'ebbe il trentesimo anno, Zarathustra abbandonò patria e lago natio, e andò sulle montagne. Ivi godè del suo spirito e della sua solitudine e non se ne stancò per dieci anni. Ma alla fine il suo cuore si cangiò, e un mattino, levatosi con l'aurora, si mise di fronte al sole e così parlò:
«O grande astro! Che ne sarebbe della tua felicità se non avessi a chi risplendere?
Da dieci anni vieni quassù nella mia caverna; ti saresti tediato della tua luce e di questo cammino, non fosse stato per me, per l'aquila mia e pel mio serpente.
Ma noi ti attendevamo ogni mattina, prendevamo il tuo superfluo, benedicendoti in cammino.»

[Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra (Also sprach Zarathustra Ein Buch für Alleund Keinen, traduzione di Michele Costa, Grande Universale Mursia, Milano 1963.]

Citazioni

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  • Erano gradini per me, li ho saliti; a tal fine ho dovuto oltrepassarli. Ma quelli credevano che volessi riposarmi su di loro.
  • L'uomo è una fune tesa fra l'animale e il Superuomo, una corda sopra l'abisso.[30]
Der Mensch ist ein Seil, geknüpft zwischen Tier und Übermensch - ein Seil über einem Abgrunde. (prefazione, 4)
  • Le vostre debolezze sono salite al cielo delle virtù.
  • Nell'amore c'è sempre un po' di follia. Ma nella follia c'è sempre un po' di saggezza. (I, Del leggere e scrivere; Quattrocchi)

Parte prima

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Mazzino Montinari
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  • Questo santo vegliardo non ha ancora sentito dire nella sua foresta che: Dio è morto. (Prologo, 3, 1972)
Dieser alte Heilige hat in seinem Walde noch Nichts davon gehört, dass Gott todt ist!
  • "Io vi insegno il superuomo". L'uomo è qualcosa che deve essere superato. (Prologo, 3; 1972)
Ich lehre euch den Übermenschen. Der mensch ist Etwas, das überwunden werden soll.
  • In passato foste scimmie, ma ancor oggi l'uomo è più scimmia di qualsiasi scimmia. (Prologo, 3; 1972)
  • L'uomo è un cavo teso tra la bestia e il superuomo, – un cavo al di sopra di un abisso. (Prologo, 4; 1972)
Der Mensch ist ein Seil, geknüpft zwischen Thier und Übermensch, – ein Seil über einem Abgrunde.
  • Bisogna avere ancora un caos dentro di sé per partorire una stella danzante. (Prologo, 5; 1972)
Man muss noch Chaos in sich haben, um einen tanzenden Stern gebären zu können.
  • Il mondo mi sembrò l'opera di un dio sofferente e torturato [..] Il creatore non voleva guardare se stesso – e allora creò il mondo. (I, Di coloro che abitano un mondo dietro il mondo; 1972)
  • Vi è più ragione nel tuo corpo che nella tua migliore saggezza. E chissà a quale scopo per il tuo corpo è necessaria proprio la tua migliore saggezza? (I, Dei dispregiatori del corpo, 1972)
Es ist mehr Vernunft in deinem Leibe, als in deiner besten Weisheit.
  • Chi è salito sui più alti monti, ride di tutte le tragedie del teatro e della vita. (I, Del leggere e scrivere, 1915)
  • Chi scrive in sangue e sentenze, non vuol essere letto ma imparato a mente. (Del leggere e scrivere)
  • Potrei credere solo a un dio che sapesse danzare. E quando ho visto il mio demonio, l'ho sempre trovato serio, radicale, profondo, solenne: era lo spirito di gravità, grazie a lui tutte le cose cadono. Non con la collera, col riso si uccide. Orsù, uccidiamo lo spirito di gravità. Ho imparato ad andare: da quel momento mi lascio correre. Ho imparato a volare: da quel momento non voglio più essere urtato per smuovermi. Adesso sono lieve, adesso io volo, adesso vedo al di sotto di me, adesso è un dio a danzare, se io danzo. (I, Del leggere e scrivere, 1972)
  • In nome del mio amore e della mia speranza, ti scongiuro: non buttar via l'eroe che è nella tua anima! Mantieni sacra la tua speranza più elevata! (I, Dell'albero sul monte, 1972)
  • Tu dici che è la buona causa che consacra perfino la guerra? Io ti dico: è la buona guerra che consacra ogni causa. (I, Della guerra e dei guerrieri, 1972)
  • Dovete avere solo nemici da odiare, e non nemici da disprezzare: dovete essere orgogliosi del vostro nemico. (I, Della guerra e dei guerrieri, 1972)
  • La nostra fede in altri rivela in che cosa noi vorremmo credere di noi stessi. (I, Dell'amico, 1973)
  • Due cose vuole l'uomo autentico: pericolo e giuoco. Perciò egli vuole la donna, come il giocattolo più pericoloso. L'uomo deve essere educato per la guerra e la donna per il ristoro del guerriero: tutto il resto è sciocchezza. Al guerriero non piacciono frutti troppo dolci. Perciò gli piace la donna; anche la donna più dolce è amara. (I, Delle femmine, vecchie e giovani, 1972)
  • L'uomo tema la donna, se odia: giacché in fondo all'anima l'uomo è solo malvagio, mentre la donna è cattiva. (I, Delle femmine vecchie e giovani, 1972)
  • La felicità dell'uomo dice: io voglio. La felicità della donna dice: lui vuole. (I, Delle femmine vecchie e giovani, 1972)
  • «Vai dalle donne? Non dimenticare la frusta!» (I, Delle femmine vecchie e giovani, 1972)
Du gehst zu frauen? Vergiss die Peitsche nicht!
  • Matrimonio: ecco come chiamo la volontà di creare in due quell'uno che sarà qualcosa di più dei suoi due procreatori. (I, Dei figli e del matrimonio, 1972)
  • Quando volete parlar bene di voi, vi procurate un testimonio; e quando l'avete sedotto a pensar bene di voi, allora anche voi pensate bene di voi stessi. (Dell'amore del prossimo)
  • Chi va dal prossimo, perché cerca se stesso, e chi, perché vorrebbe perdersi. Il vostro cattivo amore di voi stessi vi trasforma la solitudine in un carcere. (Dell'amore del prossimo, 36; 1973)
  • Vi scongiuro, fratelli miei, rimanete fedeli alla Terra, e non credete a coloro che vi parlano di speranze soprannaturali! Sono avvelenatori, che lo sappiano o no. (Prologo, 3)
  • Io amo colui che spreca la propria anima, che non vuole ringraziamenti, e che non restituisce nulla: perché egli dona sempre e non vuole conservarsi. (Prologo, 4; Scalero 1972)
  • Io amo colui che si vergogna quando il dado cade in modo favorevole a lui, e si chiede: "Sono forse un baro?" giacché egli vuole andare a fondo. (Prologo, 4; Scalero 1972)
  • Io amo colui che getta parole d'oro davanti alle sue azioni e mantiene sempre più di ciò che aveva promesso: perché egli vuole la propria distruzione. (Prologo, 4; Scalero 1972)
  • Dormire non è poca arte: è necessario vegliare tutto il giorno per giungervi. (I, Delle cattedre della virtù)
  • Ci furono sempre malati fra coloro che sognano e cercano Dio; e tutti odiano ferocemente chi aspira alla conoscenza e la più giovane tra le virtù, che ha nome sincerità. (I, Di coloro che abitano un mondo dietro il mondo, 1963)
  • Il vostro omicidio, o giudici, dev'essere compassione e non vendetta. E mentre uccidete badate a giustificare la vita! (I, Del pallido delinquente, 1963)
  • È vero: amiamo la vita non perché siamo abituati alla vita, ma perché siamo abituati ad amare. C'è sempre un grano di pazzia nell'amore. D'altra parte c'è sempre anche un po' di ragione nella follia. (I, Del leggere e scrivere)
  • Una volta lo spirito era Dio, poi si fece uomo, e adesso sta diventando plebe. (I, Del leggere e scrivere 1963)
  • Una vita libera è ancora aperta alle anime grandi. Chi poco possiede tanto meno è posseduto: sia lodata la piccola povertà. (I, Del nuovo idolo, 1963)
  • Là, dove lo stato cessa, li vedete, fratelli miei, l'arcobaleno e i ponti del superuomo? (I, Del nuovo idolo)
  • Stato si chiama il più freddo di tutti i mostri. Ed è freddo anche nel suo mentire; e dalla sua bocca striscia questa menzogna: "Io, lo Stato, sono il popolo!" (I, Del nuovo idolo)
  • Queste persone si astengono, è vero: ma la Sensualità, quella cagna, invidiosa e torva, guarda in fuori da tutto ciò che fanno. (I, Della castità)
  • Colui che conosce la verità salta malvolentieri nelle sue acque, non quando sono sporche, ma quando sono poco profonde. (I, Della castità)
  • [Alle donne] Sia questo il vostro onore: amare sempre più di quanto siete amate, non essere mai seconde! (I, Delle femmine vecchie e giovani)
  • Per la donna, l'uomo è un mezzo il cui fine è un bambino. (I, Delle femmine vecchie e giovani)
  • Chi deve essere un creatore non fa che distruggere. (Di mille e una meta, 1993)
  • Una piccola vendetta è cosa più umana che nessuna vendetta. (Del morso della vipera, 1915)
  • V'ha maggior dignità nel dare torto a sé stesso che non nel volere aver ragione, specialmente quando si ha ragione. Soltanto bisogna esser molto ricchi per far ciò. (Del morso della vipera, 1915)

Parte seconda

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Mazzino Montinari
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  • Da quando vi sono uomini, l'uomo ha gioito troppo poco: solo questo, fratelli, è il nostro peccato originale! (II, Dei compassionevoli, 1972)
  • Con tuoni e celesti fuochi d'artificio si deve parlare a sensi fiacchi e addormentati. Ma la voce della bellezza parla sommessa: essa s'insinua soltanto nelle anime più deste. (II, Dei virtuosi, 1972)
  • Diffidate di tutti coloro nei quali è forte l'istinto di punire! (II, Delle tarantole, 1972)
  • Perché gli uomini non sono eguali: così parla la giustizia. (II, Dei dotti, 1972)
  • Ah, ci sono tante cose fra cielo e terra, di cui soltanto i poeti hanno sognato qualcosa. (II, Dei poeti, 1972[31])
  • Per me essi sono dei prigionieri e dei segnati. Colui che essi chiamano il loro redentore li ha messi in catene: nelle catene di valori falsi e parole fallaci! Oh, se qualcuno li redimesse dal loro redentore! (II, "Dei preti", 1972)
  • Così ragionano tutti i pesci, [...] ciò di cui essi non toccano il fondo, è senza-fondo. (Il canto della danza)
  • E chi non ha ali non deve mettersi al di sopra di abissi. (Dei saggi illustri)
  • E se un amico ti fa del male, devi dire: «Io ti perdono ciò che hai fatto a me; ma come potrei perdonarti di aver fatto ciò – a te stesso!». (Dei compassionevoli)
  • Così mi disse una volta il diavolo: "Anche Dio ha il suo inferno: è il suo amore per gli uomini." (II, Dei compassionevoli)
  • Sì, c'è qualcosa di invulnerabile, d'inseppellibile in me, qualcosa che frantuma le rocce: si chiama la mia volontà. Silenziosa e immutata resta al passare degli anni.[...] Sì, tu sei quella che trasforma tutti i sepolcri in rovine: salute a te, mia volontà! E soltanto dove ci sono sepolcri, ci sono resurrezioni. (II, Il canto dei sepolcri)
  • Ma dove trovai essere vivente, là udii anche il discorso dell'obbedienza. Ogni essere vivente è qualcosa che obbedisce. E questa è la seconda cosa: riceve comandi colui che non sa obbedire a sé stesso. Tale è l'essenza dell'essere vivente. E la terza cosa che udii è: che comandare è più difficile che obbedire. E non solo che chi comanda porta il peso di tutti coloro che obbediscono e che questo peso è facile che lo schiacci. (II, Della vittoria su se stessi)

Parte terza

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Mazzino Montinari
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  • Ma a che parlo, quando nessuno ha i miei orecchi! (III, Della virtù che rende meschini, 1972)
  • Se le foglie appassiscono – che c'è da lamentarsi! (Degli apostati, 41; 1973)
  • La migliore saggezza è tacere e passare oltre: questo – adesso l'ho imparato! (Il ritorno a casa, 66; 1973)
  • L'uomo è difficile da scoprire, ed egli è per se stesso la più difficile delle scoperte. (Dello spirito di gravità, 2, 68; 1973)
  • Ci vuole più coraggio a farla finita, che a scrivere un verso nuovo: ciò sanno i medici e i poeti. (III, Di antiche tavole e nuove, 1972)
  • Fratelli miei, forse sono crudele? Ma io dico: a ciò che sta cadendo si deve dare anche una spinta! (III, Di antiche tavole e nuove, 20; 1972)
  • «Perché così duro! – disse una volta il carbone al diamante; non siamo forse parenti stretti?» – Perché così molli? Fratelli miei, questo io chiedo a voi: non siete forse – i miei fratelli? (III, Di antiche tavole e nuove, 1972)
  • Ah, sono sempre pochi coloro il cui cuore ha lungo coraggio e lunga baldanza; e a questi anche lo spirito rimane paziente. Ma tutto il resto è vile. Il resto: sono sempre i più, il quotidiano, il superfluo, i troppi – tutti costoro sono vili! (III, Degli apostati)
  • Non di dove venite sia d'ora in poi il vostro onore, bensì dove tendete! La vostra volontà e il vostro piede che vuole portarvi al di là di voi stessi, questo sia il vostro nuovo onore! (III, Di antiche tavole e nuove)
  • Lascia che il mondo vada come vuole! Non muovere un dito per impedirlo! (III, Di antiche tavole e nuove, 1963, p. 180)
  • La vita è una sorgente di piacere: ma per colui nel quale parla lo stomaco guasto, padre dell'afflizione, tutte le fonti sono avvelenate. (III, Di antiche tavole e nuove)
  • Qual è la specie più alta dell'essere e qual è la più vile? Il parassita è la più vile, ma chi è della specie più alta nutre il maggior numero di parassiti. (III, Di antiche tavole e nuove', 1963)
  • Così voglio l'uomo e la donna: abile l'uomo alla guerra, l'altra a partorire, entrambi a danzare con la testa e con le gambe.
    E un giorno senza danzar sia considerato perduto! E falsa ogni verità che non destò almeno una risata! (III, Di antiche tavole e nuove, 1963)
  • Ogni anima ha il proprio mondo; per ogni anima ogni altra anima è un mondo di là. (III, Il convalescente, 1963)

Parte quarta

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Mazzino Montinari
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  • Meglio non sapere nulla, che molte cose a metà! Meglio essere un folle per propria iniziativa, che un saggio secondo il parere di un altro! (IV, La sanguisuga, 1972)
  • Per essere felici, quanto poco basta per essere felici! (IV, Mezzogiorno, 1972)
  • Non ogni parola si addice ad ogni bocca. (IV, Dell'uomo superiore 1972)
  • «L'uomo è cattivo», così parlano con mio conforto i più saggi. Ah se fosse pur vero anche oggi! Giacché il male è la migliore energia dell'uomo. (IV, Dell'uomo superiore 1972)
  • Bisogna per forza maledire, là dove non si può amare? (IV, Dell'uomo superiore, 1972)
  • Il deserto cresce; guai a colui che cela deserti dentro di sé! (IV, Tra figlie del deserto, 1972)
  • Qui su questi monti io attendo "altri" e il mio piede non si alzerà di qui senza di loro, – più elevati, più forti, più vittoriosi, più lieti, squadrati e rettilinei nel corpo e nell'anima: "leoni che ridono" hanno da venire! (IV, Il saluto; 1972)
  • Diventa ciò che sei! (Il sacrificio del miele, 1993)[32]
Werde, der du bist!
  • Essi si vantano di non mentire: ma l'impotenza a mentire è ben lungi dall'amore per la verità. Guardatevi da loro! [...] Chi non sa mentire non sa che cos'è la verità. (IV, Dell'uomo superiore)
  • Non vogliate nulla al di là della vostra capacità: hanno una falsità odiosa quelli che vogliono al di là delle proprie capacità. Soprattutto quando vogliono cose grandi! Poiché suscitano diffidenza verso le cose grandi, questi raffinati falsari e commedianti: – finché diventano falsi con se stessi, strabici, pieni di vermi e riverniciati, ammantati di parole forti, di virtù da esposizione, di opere splendenti e false. (IV, Dell'uomo superiore)
  • Se volete arrivare in alto, usate le vostre gambe! Non lasciatevi trasportare in alto, non sedetevi su dorsi e teste altrui! (IV, Dell'uomo superiore)
  • Colui che disse "Dio è uno spirito" – compì il più grande passo e salto verso l'incredulità che mai si vide in terra: a queste parole non si rimedierà facilmente in terra. (IV, La festa dell'asino)

Al di là del bene e del male

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Prefazione

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[Friedrich Nietzsche, Al di là del bene e del male, traduzione di Sossio Giametta, Fabbri/Rizzoli, 1990]

La volontà di verità che ci sedurrà ancora a molti rischi, quel famoso spirito di verità di cui tutti i filosofi fino ad oggi hanno parlato con venerazione: questa volontà di verità, quali mai domande ci ha già proposto! Quali malvagie, bizzarre, problematiche domande! È già una lunga storia – eppure non si direbbe, forse, che essa sia appena ora cominciata? Quale meraviglia se una buona volta, finalmente, diventiamo diffidenti, perdiamo la pazienza, e con impazienza ci rivoltiamo? Che si debba anche da parte nostra imparare da questa sfinge a interrogare? "Chi" è propriamente che ora ci pone domande? "Che cosa" in noi tende propriamente alla 'verità'? – In realtà, abbiamo sostato a lungo dinanzi al problema della causa di questo volere – finché abbiamo finito per arrestarci completamente dinanzi a un problema ancor più profondo. Ci siamo posti la questione del "valore" di questa volontà. Posto pure che noi vogliamo la verità: "Perché non, piuttosto", la non verità? E l'incertezza? E perfino l'ignoranza? – Il problema del valore della verità ci si è fatto innanzi – oppure siamo stati noi a farci innanzi a questo problema? Chi di noi è in questo caso Edipo? Chi la Sfinge? Pare che si siano dati convegno interrogazioni e punti interrogativi. – E si potrebbe mai credere all'impressione, nata, in definitiva, in noi, che il problema non sia stato finora mai posto – che siamo stati noi per primi ad averlo intravisto, preso di mira, "osato"? Giacché esso comporta un rischio e forse non esiste rischio più grande.
[Friedrich Nietzsche, Al di là del bene e del male, traduzione di Ferruccio Masini, Adelphi, 1977]

Citazioni

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  • La verità è una delle tante seduzioni letterarie.
  • Il fatto che una teoria sia confutabile, non è il suo fascino più insignificante: proprio per questo essa attrae le intelligenze più acute. (18; 1993)
  • Ogni persona squisita tende istintivamente alla sua rocca e alla sua intimità, dove trovare la liberazione dalla massa, dai molti, dal maggior numero, dove è possibile dimenticare la regola «uomo», in quanto sua eccezione: – salvo l'unico caso, che da un istinto ancor più forte costui venga ricacciato direttamente su questa regola, come uomo della conoscenza nel suo grande ed eccezionale significato. (26; 2007)
  • E nessuno mente tanto quanto l'indignato. (26; 2007)
  • Ciò che serve di nutrimento e di ristoro a un tipo superiore di uomini deve essere quasi un veleno per un tipo umano assai diverso e inferiore. (30; 2007)
  • Le nostre conoscenze più elevate risuonano inevitabilmente – e anzi deve essere così – come follie, in talune circostanze come delitti, allorché vengono indebitamente all'orecchio di coloro che non sono strutturati né predestinati per cose siffatte. (30; 2007)
  • Vi sono libri che hanno per l'anima e la salute un valore opposto, a seconda che se ne serva un'anima ignobile, un'inferiore forza letale, oppure invece quella più alta e più possente: nel primo caso sono libri pericolosi, frantumati e dissolventi, nel secondo, sono appelli d'araldo, che invitano i più prodi alla loro prodezza. I libri per tutti sono sempre libri maleodoranti: l'odore della piccola gente resta loro attaccato addosso. Dove il popolo mangia e beve, perfino là dove esso tributa la sua venerazione, c'è di solito del fetore. Non si deve andare in chiesa se si vuol respirare aria pura. (30; 2007)
  • L'atteggiamento di venerazione e di disprezzo negli anni giovanili è ancora privo di quell'arte della nuance che costituisce il miglior profitto della vita, e bisogna pagare un prezzo giustamente duro per avere in tal modo aggredito uomini e cose con un sì e un no. Tutto è disposto in modo che il peggiore di tutti i gusti, il gusto dell'assoluto, venga crudelmente alimentato e sia sottoposto ad abuso, finché l'uomo non impari a riporre una qualche arte nei suoi sentimenti e preferisca arrischiarsi anche nel tentativo dell'artificioso: così fanno i veri artisti della vita. (31; 2007)
  • Il superamento della morale, in un certo senso persino l'autosuperamento della morale: possa essere questa la denominazione di quel lungo lavoro segreto che è riservato alle più fini ed oneste e anche più maliziose coscienze d'oggi, quali viventi pietre di paragone dell'anima. (32; 2007)
  • Non sono le cose peggiori quelle di cui ci si vergogna nel peggior modo: dietro una maschera non c'è soltanto fraudolenza – c'è molta bontà nell'astuzia. Niente mi impedisce di pensare che un uomo, il quale abbia da nascondere qualcosa di prezioso e di facile a guastarsi, rotoli attraverso la vita tondo e rozzo come una grande, vecchia botte di vino pesantemente cerchiata di ferro: così vuole la finezza del suo pudore. (40; 2007)
  • Ogni spirito profondo ha bisogno di una maschera: e più ancora, intorno a ogni spirito profondo cresce continuamente una maschera, grazie alla costantemente falsa, cioè superficiale interpretazione di ogni parola, di ogni passo, di ogni segno di vita che egli dà. (40; 2007)
  • Tutto ciò che è profondo ama la maschera; le cose più profonde hanno per l'immagine e l'allegoria perfino dell'odio. Non dovrebbe essere soprattutto l'antitesi il giusto travestimento con cui incede il pudore di un dio? (40; 2007)
  • Occorre dare a se stessi le prove che si è destinati all'indipendenza e al comando, e ciò a tempo giusto. Non bisogna sfuggire a queste prove, sebbene esse siano forse il gioco più pericoloso che si possa giocare, e siano infine soltanto prove che vengono fornite dinanzi a noi stessi, come testimoni, e a nessun altro giudice. (41; 2007)
  • Non si deve restare attaccati a una persona: fosse anche la più amata – ogni persona è un carcere e anche un cantuccio. (41; 2007)
  • Occorre saper conservarsi: è la più forte prova d'indipendenza. (41; 2007)
  • Pensiamo che durezza, prepotenza, schiavitù, pericoli per le strade e nel cuore, segretezza, stoicismo, arte tentatrice e demonismo d'ogni sorta, che tutto quanto v'è nell'uomo di malvagio, di tirannico, dell'animale rapace e del serpente, serva all'elevazione della specie «uomo» altrettanto come il suo opposto. (44; 2007)
  • Alla fine si deve fare ogni cosa da sé, per sapere da sé qualcosa: cioè si ha sempre molto da fare! (45; 2007)
  • L'amore per la verità ha la sua ricompensa nel cielo e anche già sulla terra. (45; 2007)
  • La fede cristiana è fin da principio sacrificio: sacrificio di ogni libertà, di ogni orgoglio, di ogni autocoscienza dello spirito, e al tempo stesso asservimento e dileggio di se stessi, automutilazione. (46; 2007)
  • Ciò che nella religiosità degli antichi Greci fa stupire, è la smisurata pienezza di gratitudine che da essi prorompe – è una nobilissima specie di uomini quella che si pone in questo modo dinanzi alla natura e alla vita! – più tardi, quando in Grecia la plebe divenne preponderante, la paura allignò a dismisura anche nella religione; si andava preparando il cristianesimo. (49; 2007)
  • È il timore profondamente sospettoso di un pessimismo immedicabile che costringe interi secoli ad attaccarsi coi denti a una interpretazione religiosa dell'esistenza; la paura di quell'istinto, il quale presagisce che si potrebbe essere troppo presto in possesso della verità, prima che l'uomo sia diventato abbastanza forte, abbastanza duro, abbastanza artista ... La religiosità, la "vita in Dio", considerate da questo punto di vista, apparirebbero il più raffinato e ultimo prodotto del timore della verità, l'adorazione e l'ebbrezza dell'artista di fronte alla più conseguente di tutte le falsificazioni, la volontà di capovolgere il vero, la volontà di non verità a qualsiasi prezzo. (59; 2007)
  • Chi è fondamentalmente un maestro prende sul serio ogni cosa soltanto in relazione ai suoi scolari – perfino se stesso. (63; 2007)
  • L'amore verso un solo essere è una barbarie: esso infatti si esercita a detrimento di tutti gli altri. Anche l'amore verso Dio. (67; 2007)
  • «Io ho fatto questo» dice la mia memoria. «Io non posso aver fatto questo» – dice il mio orgoglio e resta irremovibile. Alla fine – è la mia memoria ad arrendersi. (68; 2007)
  • Si è stati cattivi spettatori della vita se non si è visto anche la mano che delicatamente – uccide. (69; 2007)
  • Se si ha carattere, si ha anche una propria tipica esperienza interiore, che ritorna sempre. (70; 2007)
  • Non è già la forza, bensì la durata di un alto sentire che fa gli uomini superiori. (72; 2007)
  • In tempi di pace l'uomo guerriero si scaglia contro se stesso. (76; 2007)
  • Con i princìpi si vuole tiranneggiare o giustificare oppure onorare o vituperare o nascondere le proprie abitudini. (77; 2007)
  • Chi disprezza se stesso, continua pur sempre ad apprezzarsi come disprezzatore. (78; 2007)
  • È terribile morire di sete in mezzo al mare. Dovete voi proprio mettere subito tanto sale nella vostra verità, sì che essa non estingua più neppure una volta la sete? (81; 2007)
  • La donna impara a odiare nella misura in cui disimpara ad affascinare. (84; 2007)
  • Le stesse passioni nell'uomo e nella donna hanno un "tempo diverso": perciò uomo e donna non cessano di fraintendersi. (85; 2007)
  • Chi non si è, neppure una volta, sacrificato per il suo buon nome? – (92; 2007)
  • Maturità dell'uomo: significa aver ritrovato la serietà che da fanciulli si metteva nei giuochi. (94; 2007)
  • Come? Un grand'uomo? Ma io non vedo che un commediante del suo proprio ideale. (97; 2007)
  • Non già il loro amore per il prossimo, bensì l'impotenza del loro amore per il prossimo impedisce agli attuali cristiani di metterci [...] sul rogo. (104; 2007)
  • Non esistono affatto fenomeni morali, ma soltanto una interpretazione morale dei fenomeni [...]. (108; 2007)
  • Dove non concorre al giuoco amore e odio, il giuoco della donna diventa mediocre. (115; 2007)
  • Le grandi epoche della nostra vita si hanno quando noi abbiamo il coraggio di ribattezzare il nostro male come quel che abbiamo di meglio. (116; 2007)
  • La volontà di vincere una passione non è in fin dei conti che la volontà di un'altra o di diverse altre passioni. (117; 2007)
  • Anche il concubinato è stato corrotto: – per mezzo del matrimonio. (123; 2007)
  • Chi continua a esultare sul rogo, non trionfa sul dolore, bensì sul fatto che, contrariamente a quanto si aspettava, non sente alcun dolore. Una allegoria. (124; 2007)
  • Quando siamo costretti a farci una diversa opinione su qualcuno, gli facciamo pagare a caro prezzo il disagio che così ci arreca. (125; 2007)
  • Un popolo è il giro vizioso della natura per giungere a sei, sette grandi uomini. – Sì: e poi scantonarli. (126; 2007)
  • Quanto più astratta è la verità che tu vuoi insegnare, tanto più devi sedurre anche i sensi a essa. (128; 2007)
  • Nella vendetta e nell'amore la donna è più barbarica dell'uomo. (139; Rimini, 1996)
  • Il basso ventre è il motivo per cui non è tanto facile all'uomo credersi un dio. (141; 2007)
  • La frase più castigata che io abbia mai udito: "dans le véritable amour c'est l'âme, qui enveloppe le corps".[33] (142; Rimini, 1996)
  • Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l'abisso scruterà dentro di te. (146; 2007)
  • Quel che si fa per amore, è sempre al di là del bene e del male. (153; 2007)
  • La follia è nei singoli qualcosa di raro – ma nei gruppi, nei partiti, nei popoli, nelle epoche è la regola. (156; 2007)
  • I poeti non hanno pudore verso le loro esperienze intime: le sfruttano. (161; 2007)
  • Il cristianesimo dètte da bere a Eros del veleno – costui in verità non ne morì, ma degenerò in vizio. (168; 2007)
  • Utilitaristi, anche voi dunque amate ogni utile solo in quanto è veicolo delle vostre tendenze – anche voi trovate invero insopportabile il fragore delle sue ruote? (174; 2007)
  • Alla fine si ama il proprio desiderio, e non l'oggetto del proprio desiderio. (175; Rimini, 1996)
  • La familiarità del superiore irrita, perché non può essere ricambiata. (182; 1993)
  • C'è una tracotanza nella bontà che si presenta come malvagità. (184; 2007)
  • Beati quelli che dimenticano, perché essi giungeranno a farla "finita" anche con le loro stupidaggini. (217; Rimini, 1996)
  • Persino al buon gusto si addice un granello di torto. (221; 2007)
  • [...] Shakspeare, meravigliosa sintesi del gusto ispano-mauro-sassone, a proposito del quale un vecchio ateniese amico d'Eschilo sarebbe scoppiato dalle risa o dal dispetto: ma noi – accogliamo precisamente codesta accozzaglia di ciò che v'ha di più delicato, di più grossolano, di più artifizioso, con una certa segreta confidenza e cordialità, la gustiamo come una raffinatezza dell'arte, che fu riservata a noi soli e non ci lasciamo indisporre dalle esalazioni mefitiche, dalla prossima vicinanza della plebaglia inglese, in mezzo alla quale vivono l'arte ed il gusto shaksperiani, allo stesso modo come quando ci troviamo a Napoli sulla riviera di Chiaia; noi la seguiamo, affascinati e volonterosi, senza preoccuparci delle esalazioni che tramandano le cloache dei quartieri della plebe. (224; 1898)
  • Confessiamolo infine a noi stessi: quel che per noi uomini del «senso storico» è estremamente difficile a cogliersi, a sentirsi, a serbarne il sapore e l'amore, quel che in fondo ci trova prevenuti e quasi ostili è precisamente la perfezione e l'estrema maturità in ogni cultura e in ogni arte, quel che v'è di propriamente nobile nelle opere e negli uomini, il loro attimo di placido mare e di alcionia letizia di sé, quel tono dorato e freddo proprio di tutte le cose che sono giunte al compimento. Forse la nostra grande virtù del senso storico si pone necessariamente in contrasto con il buon gusto, almeno con il gusto in linea assoluta migliore, e solo malamente, solo esitando, solo facendo costrizione a noi stessi, riusciamo a riprodurre in noi le piccole lievi ed eccelse felicità e trasfigurazioni della vita umana, che s'accendono all'improvviso or qua or là in guisa irripetibile: quegli attimi e quei prodigi in cui una grande forza spontaneamente si arresta di fronte allo smisurato e all'illimitato –, dove fu goduto il subitaneo comporsi e pietrificarsi di un delizioso traboccante desiderio, il suo arrestarsi, il suo piantarsi saldamente su una terra che trema ancora. Ci è estranea la misura, riconosciamolo: il nostro assillo è appunto l'assillo dell'infinito, dello smisurato. Similmente a chi cavalca un destriero fremente di buttarsi al galoppo, noi abbandoniamo le briglie dinanzi all'infinito, noi uomini moderni, noi semibarbari e siamo nella nostra beatitudine soltanto laddove siamo anche maggiormente in pericolo. (224; 1981)
  • Il benessere, come voi lo intendete – non rappresenta già un fine, bensì, almeno per noi, la fine! Significa per noi uno stato che finisce per rendere l'uomo ridicolo e spregevole, – fa desiderarne la perdizione! La scuola del dolore, del gran dolore – non sapete forse che questa scuola soltanto ha permesso all'uomo di acquistare certe attitudini? Quella tensione dell'anima nella sventura, che le proviene dalla propria forza, i brividi che l'attraversano quando assiste ad una grande ruina, l'ingegno, la bravura che si dimostra nel sopportare, nel perseverare, nell'interpretare, nello sfruttare la sventura, tutto ciò che l'anima ha acquistato in profondità, segretezza, dissimulazione, spirito, astuzia, grandezza: – non l'ha forse acquistato sotto la sferza del dolore, alla scuola del grande dolore? Nell'uomo si trovano riuniti la creatura ed il creatore: nell'uomo c'è la materia, c'è l'incompleto, il superfluo, c'è l'argilla, il fango, l'assurdo, il caos; ma nell'uomo c'è anche il soffio che crea, che plasma, c'è la durezza del martello, c'è lo spettatore – Dio, c'è il settimo giorno [...] (225; 1898)
  • Non è forse la vita cento volte troppo breve per annoiarvisi? (227; 2007)
  • Quello che nella donna c'ispira rispetto e non di rado anche timore, è la di lei natura, che è molto più naturale di quella dell'uomo, la di lei mobilità, l'agilità da vera bestia selvaggia, l'unghia della tigre che nasconde sotto il guanto profumato; il suo egoismo ingenuo, la sua inettezza ad esser educata, il suo essere intimamente selvaggio, l'inconcepibile, lo sconfinato, il divagante delle sue brame e delle sue virtù... Quello che ci ispira della pietà per codesto bel gatto pericoloso che chiamiamo «donna», si è che essa è più soggetta a soffrire, che è più sensibile, più bisognosa d'affetto, più accessibile alle disillusioni di qualsiasi altro animale. Timore e pietà, ecco i sentimenti che l'uomo sinora provava dinanzi alla donna, sempre con un piede nella tragedia, la quale dilania mentre entusiasma. Ed ora tutto ciò dovrebbe esser finito? – Eh?
    Ed ora tutto ciò dovrebbe esser finito? E si lavorerebbe al disincantamento della donna? E si sta per formarne a poco a poco il più noioso degli esseri? Oh! Europa! Europa! (239; 1898)
  • L'uomo nobile separa da sé quegli individui nei quali si esprime il contrario di tali stati di elevatezza e di fierezza – egli li disprezza. [...] È disprezzato il vile, il pauroso, il meschino, colui che pensa alla sua angusta utilità; similmente lo sfiduciato, col suo sguardo servile, colui che si rende abbietto, la specie canina degli uomini che si lascia maltrattare, l'elemosinante adulatore e soprattutto il mentitore. (260; 2007)
  • [...] è possibile che oggi nel popolo, nel basso popolo, cioè tra i contadini, si trovi ancor sempre una relativa nobiltà del gusto, un senso della venerazione maggiore che nel demi monde dello spirito, lettore di giornale, nei dotti. (263; 1997)
  • Il successo è sempre stato il più grande bugiardo. (269; Rimini, 1996)
  • Oh! i sapienti del cuore indovinano quanto povero, perplesso, presuntuoso, facile ad errare, più facile ancora a distruggere che a salvare è anche il migliore, il più profondo amore! – È possibile che la santa leggenda della vita di Gesù celi uno dei casi più dolorosi del martirio che proviene dalla scienza dell'amore: il martirio d'un cuore purissimo ed ardente che non si sentiva pienamente soddisfatto da alcun amore umano e che sempre domandava d'essere amato ancora, che lo domandava ruvidamente, follemente, con degli scatti terribili contro chi gli negava amore; la storia d'un povero assetato incapace a mai dissetarsi nell'amore, che doveva imaginare l'inferno per precipitarvi coloro che non volevano amarlo, – e che finalmente avendo acquistato la scienza dell'amore umano, dovette imaginare un Dio tutto amore, tutto potenza d'amore, – il quale ha pietà dell'amore umano, perché è un amore tanto meschino, tanto ignorante! Chi sente in tal modo, chi giunge a conoscere a tal punto l'amore –, va in cerca della morte.
    Ma perché occuparsi di cose sì dolorose? Semprecché non vi si sia costretti! (269, 1898)
  • [...] questo spirituale taciturno orgoglio del sofferente, questa superbia dell'eletto della conoscenza, dell'«iniziato», del quasi offerto in sacrificio, trova necessaria ogni forma di travestimento per proteggersi dal contatto di mani invadenti e compassionevoli, e soprattutto da tutti coloro che non sono suoi simili nel dolore. La profonda sofferenza rende nobili; essa divide. Una delle più raffinate forme di travestimento è l'epicureismo e una certa prodezza del gusto, messa da quel momento in evidenza, la quale prende con leggerezza la sofferenza e si mette in guardia contro ogni cosa triste e profonda. Esistono «uomini sereni» che si servono della serenità, perché a cagione di essa vengono fraintesi – costoro vogliono essere fraintesi. Esistono «uomini di scienza» che si servono della scienza, perché dà un aspetto sereno e perché la scientificità porta a concludere che l'uomo è superficiale – essi vogliono sedurre a una falsa conclusione. Esistono spiriti liberi, audaci, che vorrebbero nascondere e negare di essere cuori infranti, superbi, immedicabili; e talvolta la follia stessa è la maschera per un sapere infelice troppo certo. (270; 1981)
  • «Male! male! Come? Se ne sta forse tornando ... indietro?» Sì! Ma lo comprendete male, se vi lagnate di ciò. Arretra, ma a somiglianza di chiunque voglia spiccare un gran salto ... (280; 2007)
  • Vivere con immensa e superba imperturbabilità; sempre al di là. (284; 2007)
  • Il solitario non crederà mai che un filosofo – ammesso che un filosofo sia stato sempre in primo luogo un solitario – abbia espresso nei libri le sue vere opinioni finali: non si scrivono forse dei libri appunto per nascondere quanto s'ha di più intimo? – Sì, egli dubiterà, che un filosofo possa avere delle opinioni proprie e finali, e sospetterà che dietro ogni sua caverna si nasconda, si debba nascondere un'altra caverna ancor più profonda – un mondo più vasto, più strano, più ricco al disopra d'una superficie, una profondità dietro ogni fondo, sotto ogni «fondamento». Ogni filosofia è una filosofia della superficie – questa è convinzione del solitario: «havvi in ciò qualche cosa di arbitrario se egli si è arrestato proprio qui, guardando dietro, e intorno a sé, se qui non ha scavato più profondamente, se ha gettata via la vanga – e tutto questo genera diffidenza». Ogni filosofia nasconde un'altra filosofia: ogni opinione è un nascondiglio, ogni parola una nuova maschera. (289, 1898)
  • Un filosofo: un uomo, cioè, che costantemente vive, vede, ascolta, sospetta, spera, sogna cose fuori dell'ordinario; che vien còlto dai suoi stessi pensieri quasi dal di fuori, dall'alto e dal basso, come da quel genere di avvenimenti e di fulmini che è suo proprio; e forse è egli stesso una procella che si avanza gravida di nuovi fulmini; un uomo fatale, intorno al quale c'è sempre un brontolio e un rovinio, qualcosa che si cretta e sinistramente accade. Un filosofo: ahimè, un essere che spesso sfugge a se stesso, spesso ha timore di sé – tuttavia è troppo curioso per non "tornare" sempre di nuovo "a sé" [...]. (292; 2007)
  • Il vizio olimpico. — A dispetto di quel filosofo, che da vero inglese cercò di calunniare il riso presso tutti i pensatori — «il riso è una grave infermità della natura umana, che ogni esser pensante dovrà saper vincere» (Hobbes) — io mi permetterei di istituire persino una classificazione dei filosofi a seconda della classe cui il loro riso appartiene — sino ad arrivare a coloro che sono capaci del riso aureo. E supposto che anche gli Dei s'occupino di filosofia, alla quale supposizione mi sento portato da varie ragioni — io non dubito, ch'essi sapranno ridere in un modo nuovo e superumano — in ispecie di tutte le cose le più serie! Gli dei sono inclinati allo scherno; persino nelle cose sacre sembra non si possano trattenere dal ridere (294; 1898)
  • Gli dèi amano motteggiare: pare che nemmeno nelle sacre azioni possano impedirsi di ridere. (294; 2007)
  • – Così un'altra volta egli [Dioniso] disse: «in certe circostanze amo l'uomo» – così dicendo alludeva ad Ariadne ch'era presente – : «l'uomo mi sembra essere un animale amabile, valoroso ed ingegnoso, che sulla terra non un suo pari, e che sa ritrovare il filo in tutti i labirinti».
    «Io gli voglio bene: penso talvolta come potrei farlo progredire ancor di più, e renderlo più forte, più maligno e più profondo, di quanto lo sia finora». – «Più forte, più maligno, più profondo?» domandai spaventato. «Sì,» mi ripeté « più forte, più maligno, più profondo; ed anche più «bello» – soggiunse il Dio-tentatore sorridendo del suo riso alcionico, come se in quel punto avesse detto una cosa estremamente gentile.
    Per cui vediamo in pari tempo, che quella divinità non manca soltanto del pudore – ; anzi, vi sono molte buone ragioni di ritenere, che per certe cose gli dei, tutti insieme, potrebbero imparare molto dagli uomini. Noi uomini siamo più – umani. (295; 1898)
  • Proprio le donne, sullo sfondo di tutta la loro personale vanità, hanno pur sempre un loro impersonale disprezzo – verso «la donna». (IV, "Sentenze e intermezzi")[26]
  • Quando si incatena duramente il proprio cuore e lo si tiene prigioniero, si possono permettere al proprio spirito molte libertà. (IV, "Sentenze e intermezzi")[26]

Citazioni su Al di là del bene e del male

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  • Quelle cariche di dinamite che furono usate per costruire la ferrovia del Gottardo, erano segnalate da una bandiera nera, per indicare un pericolo di morte. È soltanto in questo senso che parliamo del nuovo libro[34]del filosofo Nietzsche come di un libro pericoloso. In questa designazione non c'è ombra di biasimo verso l'autore e la sua opera, così come quella bandiera nera non voleva biasimare quella dinamite... Nietzsche è il primo che conosca una via di scampo, ma è una via così paurosa che davvero ci si spaventa quando lo si vede percorrere il suo sentiero solitario, sinora mai calpestato!... (Joseph Victor Widmann)

Genealogia della morale

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Questi psicologi inglesi, ai quali si devono pure gli unici tentativi, sino a oggi compiuti, di dar vita a una sorta di origini della morale – ci impongono un non piccolo enigma nei loro riguardi: devo ammettere che, in quanto enigmi viventi, costoro hanno come vantaggio sui loro libri qualcosa d'essenziale – già come persone essi sono interessanti!

[Friedrich Nietzsche, Genealogia della morale, Scelta di frammenti postumi 1886–1887, traduzioni di Ferruccio Masini e Sossio Giametta, Mondadori 1991]

Citazioni

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  • Siamo ignoti a noi medesimi, noi uomini della conoscenza, noi stessi a noi stessi: è questo un fatto che ha le sue buone ragioni. Non abbiamo mai cercato noi stessi – come potrebbe mai accadere che ci si possa, un bel giorno trovare? Non a torto è stato detto:«Dove è il vostro tesoro, là è anche il vostro cuore»; il nostro tesoro è là dove sono gli alveari della nostra conoscenza. A questo scopo siamo sempre in cammino, come animali alati per costituzione, come raccoglitori di miele dello spirito, e soltanto un'unica cosa ci sta veramente a cuore – «portare a casa» qualcosa. Del resto, per quanto riguarda la vita, le cosiddette «esperienze» – chi di noi ha anche soltanto una sufficiente serietà per queste cose? [incipit della prefazione]
  • È chiaro che per esercitare così la lettura come arte, è necessaria soprattutto una cosa che al giorno d'oggi si è disimparata più di tante altre – e perciò, per arrivare alla "leggibilità" delle mie opere, ci vorrà ancora tempo – una cosa, cioè, per cui si deve essere piuttosto simili a una vacca e in nessun caso a un "uomo moderno": il ruminare. (pref., 8)
  • I signori sono stati spazzati via: la morale dell'uomo comune ha vinto. (I, 9; 1993)
  • Sono stati invece gli stessi «buoni», vale a dire i nobili, i potenti, gli uomini di condizione superiore e di elevato sentire ad aver avvertito e determinato se stessi e le loro azioni come buoni; cioè di prim'ordine, e in contrasto a tutto quanto è ignobile e d'ignobile sentire, volgare e plebeo. (I, 2; 1991)
  • Come sono diverse queste due parole, «cattivo» e «malvagio» [...] domandiamoci chi propriamente è il «malvagio», nel senso della morale del ressentiment. Con una risposta rigorosa occorrerà dire: appunto il «buono» dell'altra morale, appunto il nobile, il potente, il dominatore. (I, 11; 1991)
  • L'inoffensività del debole [...] il suo inevitabile dover aspettare [...] il non-potersi-vendicare è detto non-volersi-vendicare, forse addirittura perdonare («giacché costoro non sanno quel che fanno»). (I, 14; 1991)
  • I Romani erano invero i forti e i nobili, come non sono mai esistiti sulla terra di più forti e più nobili, e nemmeno mai sono stati sognati: ogni loro reliquia, ogni iscrizione manda in estasi, ammesso che si riesca a indovinare che cosa scrive in quelle. (I, 16; 2007)
  • Grazie all'eticità dei costumi e alla sociale camicia di forza l'uomo venne reso effettivamente calcolabile. (II, 1; 1991)
  • Soltanto quel che non cessa di dolorare resta nella memoria. (II, 3; 1991)
  • In che senso può essere la sofferenza una compensazione di «debiti»? In quanto far soffrire arrecava soddisfazioni in sommo grado. (II, 6; 1991)
  • Il senso della colpa, della nostra personale obbligazione, per riprendere il corso della nostra indagine, ha avuto, come abbiamo visto, la sua origine nel più antico e originario rapporto tra persone che esista, nel rapporto tra compratore e venditore, creditore e debitore. (II, 8; 1991)
  • Tutti gli istinti che non si scaricano all'esterno, si rivolgono all'interno – questo è quella che io chiamo interiorizzazione dell'uomo: in tal modo soltanto si sviluppa nell'uomo quella che più tardi verrà chiamata la sua «anima». (II, 16; 1991)
  • Ateismo e una sorta di seconda innocenza sono intrinsecamente connessi. (II, 20; 1991)
  • Si riconosce un filosofo nel suo rifuggire tre cose abbaglianti e chiassose: la gloria, i principi e le donne. (III, 8; 1991)
  • I malati sono il pericolo massimo per i sani; non dai più forti viene il danno per i forti, bensì dai più deboli. (III, 14; 1991)
  • Il prete è il modificatore di direzione del ressentiment. Ogni sofferente, infatti, cerca istintivamente una causa del proprio dolore. (III, 15; 1991)
  • Non si trascuri infatti questa circostanza: per necessità di natura i forti tendono a dissociarsi, quanto i deboli ad associarsi. (III, 18; 1991)
  • Il «peccato» – giacché suona così la reinterpretazione sacerdotale della «cattiva coscienza» animale (della crudeltà volta all'indietro) – è stato sino a oggi l'avvenimento più grande nella storia dell'anima malata: in esso noi abbiamo lo stratagemma più pericoloso e più funesto dell'interpretazione religiosa. (III, 20; 1991)
  • Ancora sono ben lontani costoro dall'essere spiriti liberi: poiché ancora essi credono alla verità ... Allorché i Crociati cristiani si scontrarono in Oriente con quell'invincibile ordine di Assassini, quell'ordine di spiriti liberi par excellence, i cui gradi infimi vivevano in una obbedienza quale non fu mai raggiunta da alcun ordine monastico, ricevettero per qualche via anche una indicazione su quel simbolo e su quella parola d'ordine intagliata sul legno, che era riservata unicamente a grandi sommi, come loro secretum: «Nulla è vero, tutto è permesso» ... Orbene, questa era libertà dello spirito, in tal modo veniva congedata la fede nella stessa verità ... (III, 24; 2007)
  • L'arte, in cui appunto la menzogna si santifica e la volontà d'illusione ha dalla sua la tranquilla coscienza, è in maniera molto più radicale della scienza contrapposta all'ideale ascetico. (III, 25; 1991)
  • In tal modo il cristianesimo come dogma è crollato per la sua stessa morale: in tal modo anche il cristianesimo come morale deve ancora crollare – noi siamo alla soglia di questo avvenimento. (III, 27; 1991)

Crepuscolo degli idoli

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  • L'ozio è il padre di ogni psicologia. E che? La psicologia sarebbe un – vizio? (Detti e frecce, 1, 1989)
  • Per vivere soli bisogna essere o un animale o un dio – dice Aristotele. Manca il terzo caso: bisogna essere l'uno e l'altro – un filosofo... (Detti e frecce, 3, 1989)
  • «Ogni verità è semplice». – Non è questa una doppia menzogna? – (Detti e frecce, 4, 1989)
  • E che? L'uomo è soltanto un errore di Dio? Oppure Dio è soltanto un errore dell'uomo? – (Detti e frecce, 7, 1989)
  • Dalla scuola di guerra della vita. Quello che non mi ammazza mi rende più forte. (Detti e frecce, 8, 1989)
  • Aiuta te stesso. Poi anche ogni altro ti aiuterà. Principio dell'amore del prossimo. (Detti e frecce, 9, 1998)
  • Il verme calpestato si rattrappisce. E questo è intelligente. Diminuisce infatti le probabilità di venir calpestato un'altra volta. Nel linguaggio della morale: umiltà. (Detti e frecce, 31, 1989)
  • Senza musica la vita sarebbe un errore. (Detti e frecce, 33, 1989)
  • Parla il deluso. – Cercavo grandi uomini, e ho trovato sempre e soltanto le scimmie del loro ideale. (Detti e frecce, 39, 1989)
  • Io ho conosciuto Socrate e Platone come sintomi di decadenza, come strumenti della dissoluzione greca, come pseudogreci, come antigreci. (da Il problema di Socrate, 2, 1998)
  • Il moralismo dei filosofi greci da Platone in poi è patologicamente condizionato; così anche il loro apprezzamento della dialettica. Ragione = virtù = felicità significa soltanto: si deve imitare Socrate e stabilire in permanenza una luce solare contro le oscure bramosie – la luce solare della ragione. Si deve essere a ogni costo accorti, chiari e distinti; ogni cedimento agli istinti, all'inconscio trascina in basso... (da Il problema di Socrate, 10, 1998)
  • La «ragione» è la causa per cui falsifichiamo la testimonianza dei sensi. In quanto mostrano il divenire, il trapassare, il mutamento, i sensi non mentono... Ma Eraclito avrà eternamente ragione di affermare che l'essere è una vuota finzione. Il mondo «apparente» è l'unico mondo; il «mondo vero» è solo un'aggiunta menzognera... (da La «ragione» nella filosofia, 2, 1998)
  • Favoleggiare di un mondo «altro» da questo non ha alcun senso, qualora non prevalga in noi un istinto di denigrazione, svilimento, diffidenza verso la vita; in quest'ultimo caso ci vendichiamo della vita con la fantasmagoria di un'«altra» vita, di una vita «migliore»... (da La «ragione» nella filosofia, 6, 1998)
  • Il mondo vero lo abbiamo eliminato: quale mondo è rimasto? quello apparente, forse?... Ma no! Col mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente! (da Come il «mondo vero» finì per diventare una favola, 6, 1989)
  • La Chiesa combatte la passione con l'estirpazione in ogni senso: la sua prassi, la sua «cura» è il castratismo. Essa non chiede mai: «come si spiritualizza, si abbellisce, si divinizza un desiderio?» (da Morale contronatura, 1, 1998)
  • La teoria del libero arbitrio è inventata in sostanza allo scopo del castigo, ossia del voler-trovare-colpevole. (da I quattro grandi errori, 7, 1998)
  • Come appariva [...] un tale Germano «migliorato», sedotto al chiostro? Come una caricatura d'uomo, come un aborto: era diventato «peccatore», stava in una gabbia, lo si era rinserrato tra idee semplicemente terribili... Ora se ne stava lì, malato, meschino, incattivito contro se stesso: pieno di odio verso gli impulsi alla vita, pieno di sospetto per tutto quanto fosse ancora forte e felice. Insomma, un «cristiano»... (da I miglioratori dell'umanità, 2, 1989)
  • Due grandi narcotici europei, l'alcool e il cristianesimo. (da Quel che manca ai tedeschi, 2, 1989)
  • Occorrono educatori che siano essi stessi educati, spiriti superiori, nobili, provati tali in ogni momento, provati tali dalla parola e dal silenzio, culture diventate mature, dolci – non i dotti tangheri che il ginnasio e l'università offrono oggi alla gioventù come «superiori nutrici». (da Quel che manca ai tedeschi, 5, 1989)
  • In una nobile educazione non si può prescindere dalla danza in ogni sua forma, dal saper danzare con i piedi, con i concetti, con le parole: debbo forse dire che si deve saperlo fare anche con la penna, – che bisogna imparare a scrivere? (da Quel che manca ai tedeschi, 7, 1989)
  • Dante: ovvero la iena che poeta fra le tombe. (Scorribande di un inattuale, 1, 1998)
  • Victor Hugo: o il faro sul mare dell'assurdo. (Scorribande di un inattuale, 1, 1997)
  • Liszt: o la scuola della scioltezza – verso le donne. (Scorribande di un inattuale, 1, 1997)
  • Carlyle: o il pessimismo come rigurgito del pranzo. (Scorribande di un inattuale, 1, 1997)
  • Zola: o «il compiacimento del puzzare». (Scorribande di un inattuale, 1, 1997)
  • Renan. – Teologia, ovvero la corruzione della ragione a causa del «peccato originale» (il cristianesimo). Ne è testimonianza Renan, che, non appena azzarda per una volta un Sì o un No di natura più generale, con minuziosa regolarità manca il bersaglio. (da Scorribande di un inattuale, 2, 1998)
  • George Sand. – Ho letto le prime Lettres d'un voyager: come tutto ciò che proviene da Rousseau, sono false, artificiose, gonfiate, esagerate. (da Scorribande di un inattuale, 6, 1998)
  • Emerson. – Molto più illuminato, errabondo, multiforme, raffinato di Carlyle, soprattutto più felice... (da Scorribande di un inattuale, 13, 1998)
  • Si dovrebbe, per amore della vita – volere una morte diversa, libera, consapevole, senza accidenti, senza incidenti.... (da Scorribande di un inattuale, 36, 1998)
  • Dostoevskij, l'unico psicologo [...] dal quale ho imparato qualcosa. (da Scorribande di un inattuale, 45, 1989)
  • Goethe. – Non un avvenimento tedesco ma europeo: un grandioso tentativo di superare il XVIII secolo con un ritorno alla natura, con un elevarsi alla naturalità del Rinascimento, una sorta di autosuperamento da parte di questo secolo. Egli ne portava dentro i più forti istinti [...]. (da Scorribande di un inattuale, 49, 1998)
  • L'aforisma, la sentenza, [...] sono le forme dell'«eternità»; la mia ambizione è dire in dieci frasi quello che chiunque altro dice in un libro, – quello che chiunque altro non dice in un libro... (da Scorribande di un inattuale, 51, 1989)

L'Anticristo. Maledizione del Cristianesimo

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– Guardiamoci in viso. Noi siamo Ipeborei – sappiamo abbastanza bene di vivere in disparte. «Né per terra, né per acqua troverai la via che conduce agli Iperborei»: questo già Pindaro sapeva di noi.

[Friedrich Nietzsche, L'Anticristo. Maledizione del Cristianesimo, traduzione di Ferruccio Masini, Adelphi, Milano, 2010]

Citazioni

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  • A me si confà unicamente il giorno seguente al domani. C'è chi è nato postumo. (Prefazione; 2008)
  • Si deve essere superiori all'umanità per forza, per altezza d'animo – per disprezzo... (Prefazione; 2008)
  • Che cos'è cattivo? – Tutto ciò che ha origine dalla debolezza. [...] I deboli e i malriusciti devono perire: questo è il principio del nostro amore per gli uomini. E a tale scopo si deve anche essere loro d'aiuto. (2; 2008)
  • Basta pronunziare la parola «seminario di Tübingen», per capire che cos'è, in fondo, la filosofia tedesca – una scaltrita teologia... (12, 2015)
  • Con la mia condanna del cristianesimo non vorrei aver arrecato un'ingiustizia a una religione affine, che anche per il numero dei seguaci è superiore a esso: vale a dire il buddismo. Sono connesse tra loro in quanto religioni nichilistiche – sono religioni della décadence. (20; 2008)
  • L'amore è quello stato in cui l'uomo vede, il più delle volte, le cose così come non sono. (23; 2008)
  • Cristiano è un certo senso di crudeltà verso se e gli altri, l'odio contro coloro che pensavano diversamente; la volontà di perseguitare. Cristiana è la morale inimicizia contro i signori della terra, contro i "nobili" – e al tempo stesso una nascosta, segreta rivalità (- si lascia loro il "corpo", si vuole soltanto l'anima...). Cristiano è l'odio contro lo spirito, contro l'orgoglio, il coraggio, la libertà, il libertinage dello spirito; cristiano è l'odio contro i sensi, contro le gioie dei sensi, contro la gioia in generale. (pag. 25; ed. Adelphi 2011)
  • Il «regno dei cieli» è una condizione del cuore – non qualcosa che giunge «oltre la terra» o «dopo la morte». [...] Il «regno di Dio» non è qualcosa che si attende: non ha un ieri e un dopodomani, non giunge tra «mille anni» – è l'esperienza di un cuore; esiste ovunque e in nessun luogo... (34; 2008)
  • Già la parola «cristianesimo» è un equivoco – in fondo è esistito un solo cristiano, e questi morì sulla croce. (39; 2008)
  • Il veleno della dottrina dei «diritti uguali per tutti» – è stato diffuso dal cristianesimo nel modo più sistematico; procedendo dagli angoli più segreti degli istinti cattivi, il cristianesimo ha fatto una guerra mortale ad ogni senso di venerazione e di distanza fra uomo e uomo, cioè al presupposto di ogni elevazione, di ogni sviluppo della cultura – con il risentimento delle masse si è fabbricato la sua arma principale contro di noi, contro tutto quanto v'è di nobile, di lieto, di magnanimo sulla terra, contro la nostra felicità sulla terra … Concedere l'«immortalità» a ogni Pietro e Paolo, è stato fino a oggi il più grande e il più maligno attentato all'umanità nobile. – E non sottovalutiamo la sorte funesta che dal cristianesimo si è insinuata fin nella politica! Nessuno oggi ha più il coraggio di vantare diritti particolari, diritti di supremazia, un sentimento di rispetto dinanzi a sé e ai suoi pari – un pathos della distanza … La nostra politica è malata di questa mancanza di coraggio! – L'aristocraticità del modo di sentire venne scalzata dalle più sotterranee fondamenta mercé questa menzogna dell'eguaglianza delle anime; e se la credenza nel «privilegio del maggior numero» fa e farà rivoluzioni, – è il cristianesimo, non dubitiamone, sono gli apprezzamenti cristiani di valore quel che ogni rivoluzione ha semplicemente tradotto nel sangue e nel crimine! Il cristianesimo è una rivolta di tutto quanto striscia sul terreno contro ciò che possiede un'altezza: il Vangelo degli «umili» rende umili e bassi ... (43; 2008)
  • Contro la noia gli stessi dèi lottano invano. (48; 2008)
  • [...] Dio creò la donna. E in realtà a questo punto ebbe fine la noia – ma ebbero fine anche altre cose! La donna fu il secondo errore di Dio. (48; 2008)
  • Che la fede in determinate circostanti renda beati, che non basti la beatitudine a fare di una idea fissa un'idea vera, che la fede non sposti le montagne, sibbene ponga le montagne laddove non esistono: un rapido giro attraverso un manicomio è abbastanza chiarificativo al riguardo. (51; 2008)
  • I fanatici sono pittoreschi, l'umanità preferisce veder gesticolare, piuttosto che sentire ragioni... (54; 1989)
  • Se l'Islam ha in dispregio il cristianesimo, ha in ciò mille volte ragione: l'Islam ha per presupposto dei maschi ... (59; 2008)
  • Ah, questi tedeschi, quanto già ci sono costati! Inutilità – è sempre stata questa l'opera dei Tedeschi. (61; 2008)
  • Questa eterna accusa al cristianesimo voglio scriverla su tutti i muri, ovunque esistano muri – posseggo caratteri per far vedere anche i ciechi ... (62; 2008)
  • Definisco il cristianesimo l'unica grande maledizione, l'unica grande e più intima depravazione, l'unico grande istinto della vendetta, per il quale nessun mezzo è abbastanza velenoso, furtivo, sotterraneo, meschino – lo definisco l'unica immortale macchia d'infamia dell'umanità. (62; 2008)
  • Prima proposizione. – Viziosa è ogni specie di contronatura. La varietà di uomo più viziosa è il prete: lui insegna la contronatura. Contro il prete non si hanno ragioni, si ha il carcere. (Legge contro il Cristianesimo; 2008)
  • Seconda proposizione. – [...] L'elemento criminale nell'essere cristiani aumenta nella misura in cui ci si avvicina alla scienza. Il criminale dei criminali è perciò il filosofo. (Legge contro il Cristianesimo; 2008)
  • Terza proposizione. – Il luogo maledetto dove il cristianesimo ha covato le sue uova di basilisco sia raso al suolo e atterrisca tutta la posterità, in quanto luogo nefando della terra. Vi si allevino serpenti velenosi. (Legge contro il Cristianesimo; 2008)
  • Quarta proposizione. – La predica della castità è un pubblico incitamento alla contronatura. Ogni disprezzo della vita sessuale, ogni insozzamento della medesima mediante il concetto di «impuro» è il vero e proprio peccato contro lo spirito santo della vita. (Legge contro il Cristianesimo; 2008)
  • Quinta proposizione. – [...] Il prete è il nostro Ciandala – sia proscritto, affamato, cacciato in ogni specie di deserto. (Legge contro il Cristianesimo; 2008)
  • Sesta proposizione. – La storia «sacra» sia chiamata con il nome che merita: storia maledetta; le parole «Dio», «salvatore», «redentore», «santo» siano usate come insulti, come marchi d'infamia. (Legge contro il Cristianesimo; 2008)

Ecce Homo

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Prologo
II
In previsione del fatto che fra breve dovrò affrontare l'umanità con l'esigenza più grave che le si mai stata posta, mi sembra necessario dire "chi sono". In fondo è possibile che lo si sappia già: poiché non ho mai mancato di "dare testimonianza di me": Ma la discrepanza tra la grandezza del mio compito e la "piccolezza" dei miei contemporanei si manifesta nel fatto che non mi hanno udito o anche soltanto visto. Vivi a mio proprio credito, forse è solo un pregiudizio, che io viva?... Mi basta solo parlare con qualche "dotto" che venga d'estate in Alta Engadina per convincermi che "non" vivo... In queste circostanze c'è un dovere contro il quale, in fondo, la mia abitudine e ancor più l'orgoglio dei miei istinti si rivolta, dire cioè: "Ascoltatemi! poiché io sono questo e quest'altro. E soprattutto non confondetemi con altri!"

[Friedrich Nietzsche, Ecce homo, traduzione di Silvia Bortoli Cappelletto, Newton Compton, Milano, 1978]

Citazioni

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  • Nei sette anni durante i quali ho insegnato greco nella classe superiore del Pädagogium di Basilea, non ho avuto alcuna occasione per infliggere una punizione; i più pigri erano diligenti con me. Sono sempre all'altezza del caso; devo essere impreparato per poter essere padrone di me stesso. (Perché sono così saggio, 4; 1989)
  • L'ateismo, per me, non è un risultato, e tanto meno un avvenimento – come tale non lo conosco: io lo intendo per istinto. Sono troppo curioso, troppo problematico, troppo tracotante, perché possa piacermi una risposta grossolana. Dio è una risposta grossolana, un'indelicatezza verso noi pensatori – in fondo è solo un grossolano divieto che ci vien fatto: non dovete pensare![35] (Perché sono così accorto, 1)
  • Abbiamo già osservato come nello stato di profonda tensione in cui l'incubazione di un pensiero sommerge lo spirito e, in pratica, l'intero organismo, il caso o qualunque eccitamento proveniente dall'esterno agisca troppo violentemente e colpisca troppo a fondo. Ebbene bisogna sottrarsi, per quanto è possibile, al caso, agli stimoli che vengono dall'esterno; l'auto-murarsi, per così dire, è uno dei primi precetti della prudenza istintiva in ogni parto intellettuale. (Perché sono così accorto, 3; 1989)
  • Ovunque giunga, la Germania guasta la civiltà. (Perché sono così accorto, 3; 1989)
  • In quanto artisti non si ha altra patria in Europa che Parigi. (Perché sono così accorto, 5; 1989)
  • Se cerco un'altra parola per la musica, trovo sempre e soltanto la parola Venezia. (Perché sono così accorto, 7; 1989)
  • Una cosa sono io, un'altra i miei scritti. — Prima di parlare dei miei scritti stessi toccherò qui la questione di come sono stati capiti o non capiti. Lo faccio di sfuggita, come si conviene: perché non è ancora venuto il tempo per una tale questione. Anche per me non è ancora venuto il tempo, ci sono uomini che nascono postumi. (Perché scrivo libri così buoni, 1, p. 55)
  • In definitiva, nessuno può trarre dalle cose, libri compresi, altro che quello che già sa. Chi non ha accesso per esperienza a certe cose, non ha neppure orecchie per udirle. Pensiamo a un caso estremo: un libro che parli solamente di esperienze che stanno al di là delle possibilità dell'esperienza comune, o magari anche piuttosto rara – e che perciò sia il primo linguaggio per una nuova serie di esperienze. In questo caso semplicemente nessuno udrà niente, con l'illusione acustica per cui, là dove non si ode niente, non deve esserci niente ... (Perché scrivo libri così buoni, 1, p. 57; 2007)
  • Dove voi vedete cose ideali, io vedo – cose umane, ahi, troppo umane! (Umano, troppo umano, 1; 1989)
  • In fondo mi dava noia oltremisura questo luogo, il più indecoroso della terra, per il poeta dello Zarathustra e che non avevo scelto liberamente; volevo andare all'Aquila, l'antitesi di Roma, fondata per ostilità contro Roma, simile al luogo che fonderò un giorno, un ricordo di un ateo e di un anticlericale comme il faut, di uno degli esseri a me più affini, il grande imperatore degli Hohenstaufen Federico II. (Così parlò Zarathustra, 4; 1989)
  • Il diavolo è solo l'ozio di Dio ogni settimo giorno. (Al di là del bene e del male, 2; 1989)
  • Mi viene la voglia, lo sento perfino come dovere, di dire una volta ai Tedeschi tutto quello che hanno già sulla coscienza. Hanno sulla coscienza tutti i grandi delitti contro la civiltà degli ultimi quattro secoli! (Il caso Wagner, 2; 2007)
  • Nel Tedesco, come nella donna, non si arriva mai al fondo: non c'è. (Il caso Wagner, 3; 1989)
  • Se immagino un tipo umano che vada contro tutti i miei istinti, ne esce sempre un Tedesco. (Il caso Wagner, 4; 1989)
  • Un giorno sarà legato al mio nome il ricordo di qualcosa di enorme – una crisi, quale mai si era vista sulla terra, la più profonda collisione della coscienza, una decisione evocata contro tutto ciò che finora è stato creduto, preteso, consacrato. Io non sono un uomo, sono dinamite. (Perché sono un destino, 1; 1989)
  • Le religioni sono affari per la plebe, io ho bisogno di lavarmi le mani dopo il contatto con uomini religiosi... (Perché sono un destino, 1; 1989)
  • Non voglio «credenti», penso di essere troppo malizioso per credere a me stesso [...]. Ho una paura spaventosa che un giorno mi facciano santo [...]. Non voglio essere un santo, allora piuttosto un buffone... Forse sono un buffone... (Perché io sono un destino, 1; 1991[36])

Biglietti della follia

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[I biglietti della follia sono una serie di lettere che Nietzsche scrisse a conoscenti e amici nel 1889, dove si nota l'improvviso cedimento psichico che investì Nietzsche in quel periodo.]

  • Il mondo è trasfigurato, perché Iddio è sulla terra. Non vede come tutti i cieli esultano? Ho appena preso possesso del mio regno, getterò il papa in prigione e farò fucilare Guglielmo, Bismarck e Stoecker. (dalla lettera a Meta von Salis del 3 gennaio 1889; citato in Curt Paul Janz, Vita di Nietzsche, vol. III, p. 23)
  • Cantami un nuovo inno: il mondo è trasfigurato e tutti i cieli esultano. Il Crocifisso.[37] (dalla lettera a Peter Gast (Heinrich Köselitz) del 4 gennaio 1889; citato in Curt Paul Janz, Vita di Nietzsche, vol. III, p. 13)
  • Caro signor professore,
    alla fine sarei stato molto più volentieri professore basileese che Dio; ma non ho osato spingere così lontano il mio egoismo privato, da tralasciare, per causa sua, la creazione del mondo. Lei vede, bisogna fare sacrifici, come e dove si viva. – Tuttavia, mi sono riservata una piccola camera da studente che si trova di fronte al Palazzo Carignano (– nel quale sono nato come Vittorio Emanuele) e oltre a ciò permette di sentire, dal proprio tavolo di lavoro, la magnifica musica nella Galleria Subalpina. Pago 25 franchi con servizio, preparo il mio tè e faccio tutte le spese da solo, soffro di stivali rotti e ringrazio ogni momento il cielo per il vecchio mondo, per il quale gli uomini non sono stati abbastanza semplici e silenziosi. – Poiché sono condannato a intrattenere la prossima eternità con cattive spiritosaggini, ho qui un'attività scrittoria, che invero non lascia nulla a desiderare, molto carina e nient'affatto faticosa. La posta è a cinque passi, imbuco io stesso le lettere per trasmettere il grande fogliettonista «der grande monde». Naturalmente, sono in stretti rapporti con il Figaro, e affinché lei abbia un'idea di quanto io possa essere innocuo, ascolti le mie prime due cattive spiritosaggini:
    Non prenda troppo sul serio il caso Prado. Io sono Prado, sono anche il padre di Prado, oso dire che sono anche Lesseps… Vorrei dare ai miei parigini, che amo, una nuova idea – quella del criminale dabbene.
    Seconda spiritosaggine. Saluto gli Immortali. Daudet appartiene ai quarante.
    Astu
    (dalla lettera a Jacob Burckhardt del 5 gennaio 1889[38]; citato in Anacleto Verrecchia, La catastrofe di Nietzsche a Torino, p. 181)
  • Quel che è spiacevole e nuoce alla mia modestia è che io, in fondo, sia ogni nome nella storia; anche per i figli che ho messi al mondo le cose stanno in modo tale, che rifletto con una qualche diffidenza se tutti quelli che vengono nel «regno di Dio» vengano anche da Dio. Per due volte, questo autunno, mi sono trovato, vestito il meno possibile, al mio funerale, dapprima come conte Robilant (– no, questi è mio figlio, in quanto io sono Carlo Alberto, la mia natura sotto) ma Antonelli ero proprio io. Caro signor professore, lei dovrebbe vedere questo edificio; dato che sono assolutamente inesperto nelle cose che creo, a lei qualsiasi critica; io sono grato, senza poter promettere di trarre vantaggio. Noi artisti siamo incorreggibili. – Oggi mi sono vista un'operetta genial-moresca – e anche constatato con piacere, in questa occasione, che adesso Mosca come pure Roma sono cose grandiose. Vede, anche per il paesaggio non mi si nega del talento. – Rifletta, facciamo una bella chiacchierata, Torino non è lontana, per ora non ci sono impegni professionali molto seri, sarebbe possibile procurare un bicchiere di valtellinese. Prescritto il negligé. Con cordiale affetto, Suo
    Nietzsche
    (dalla lettera a Jacob Burckhardt del 5 gennaio 1889[38]; citato in Anacleto Verrecchia, La catastrofe di Nietzsche a Torino, pp. 181-182)
  • Vado dappertutto nel mio vestito da studente, qua e là batto sulla spalla a qualcuno e dico: siamo contenti? son dio, ho fatto questa caricatura…[39]
    Domani viene il mio figlio Umberto con la graziosa Margherita, che qui, però, riceverò ugualmente in maniche di camicia.
    Il resto per la signora Cosima… Arianna… Di quando in quando si fanno incantesimi…
    Ho fatto mettere in catene Caifa; l'anno scorso sono stato crocefisso in maniera molto penosa dai medici tedeschi. Aboliti Guglielmo, Bismarck e tutti gli antisemiti.
    Di questa lettera lei può fare qualsiasi uso che non mi diminuisca nella considerazione dei basileesi. (dai margini della lettera a Jacob Burckhardt del 5 gennaio 1889[38]; citato in Anacleto Verrecchia, La catastrofe di Nietzsche a Torino, p. 182)
  • Tra un paio d'anni governerò io il mondo; perché ho deposto il vecchio Dio. (dalla lettera a Carl Fuchs del 14 gennaio)
  • Come ricordo del misero che non la mania di grandezza ha condotto alla malattia, bensì la malattia alla follia. (da una lettera a Olga Monod[40])
  • Alla principessa Arianna, mia amata. Che io sia un uomo, è un pregiudizio. Ma io ho già vissuto spesso fra gli uomini e conosco tutto ciò che gli uomini possono provare, dalle cose più basse fino a quelle più alte. Sono stato Buddha tra gli indiani e Dioniso in Grecia, – Alessandro e Cesare sono mie incarnazioni, come pure Lord Bacon, il poeta di Shakespeare. Da ultimo, ancora, sono stato Voltaire e Napoleone, forse anche Richard Wagner... Ma questa volta vengo come Dioniso il vittorioso, che farà della terra una giornata di festa... Non avrei molto tempo...
    I cieli si rallegrano che io sia qui... Sono stato anche appeso alla croce... (da una lettera a Cosima Wagner[41])

Citazioni sui Biglietti della follia

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  • Quando sta per lasciare la sfera del mondo cosciente, Nietzsche ritorna, tipicamente, a tutti gli amici del passato con i messaggi torinesi. Di questi, i due più lunghi e commoventi sono indirizzati a Burckhardt. Certamente non è facile afferrare un senso in queste righe esaltate, dove lucide intuizioni sono sopraffatte da vaneggiamenti folli. Prima che il sipario della pazzia scenda a difenderlo (anche contro la gloria imminente ed equivoca), Nietzsche fornisce a Burckhardt la chiave per comprenderlo: «alla fine sarei stato molto più volentieri professore basileese che Dio; ma non ho osato spingere così lontano il mio egoismo privato da omettere, per causa sua, la creazione del mondo». Queste parole hanno un significato, e non richiedono commenti. Ma Jacob Burckhardt continua a essere il «grande, grandissimo maestro» di Nietzsche: è giusto ricordarsi dei propri maestri, anche quando abbiamo dovuto abbandonarli. (Mazzino Montinari)

Frammenti postumi

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  • Non sono abbastanza forte per il nord: là imperversano gli spiriti pedanti ed artefatti, che non sanno fare altro che lavorare alle norme della convenienza, come il castoro alla sua costruzione. Ho vissuto tutta la mia gioventù fra gente simile! Mi è venuto in mente all'improvviso, mentre per la prima volta vedevo il cielo grigio e rosso della sera scendere su Napoli – un brivido di compassione per me stesso, l'idea di cominciare a vivere da vecchio, e lacrime, e, all'ultimo istante, la sensazione di essere ancora in tempo per salvarmi.[42]
  • Secondo l'uso linguistico attuale, un grande uomo non ha bisogno di essere né buono né nobile – mi ricordo un solo esempio di un uomo di questo secolo che abbia ricevuto tutti e tre questi predicati, e perfino dai suoi nemici – Mazzini. (citato in Giacomo Scarpelli, La scimmia, l'uomo e il superuomo. Nietzsche: evoluzioni e involuzioni, p. 85)
  • [Bisogna] deporre tutti i vincoli umani sociali e morali, fino ad essere capaci di danzare e saltare come i bambini.[43]
  • La voce dell'uomo è l'apologia della musica.[44]
  • Per chi è molto solo, il rumore è già una consolazione.[44]

1875 - 1876

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  • E io sopporto soltanto più i poeti, che tra l'altro hanno anche dei pensieri, come Pindaro e Leopardi. (8 [2]; 1967)

1876 - 1878

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  • Il prestigio dei medici riposa sull'ignoranza delle persone sane e malate: e questa ignoranza a sua volta riposa sul prestigio dei medici. (19 [14]; 1965)
  • Una bella donna ha qualcosa in comune con la verità (checché ne dicano i maligni!): ambedue dispensano maggiore felicità se vengono desiderate che se vengono possedute. (19 [52]; 1965)
  • Un uomo politico divide gli uomini in due specie: primo, strumenti; secondo, nemici. Dunque per lui non esiste propriamente che una specie di uomini: nemici. (19 [55]; 1965)
  • Cento profonde solitudini formano insieme la città di Venezia — questo è il suo incanto. Un'immagine per gli uomini del futuro. (2 [28]; 1964)
  • La vista continua di persone sofferenti fa diminuire continuamente la compassione, invece si diventa tanto più sensibili al dolore degli altri quanto più si è capaci di partecipare alla loro gioia. (3 [86]; 1964)
  • Dove la moralità è più grande, l'intelletto perisce. (3 [169]; 1964)

[Friedrich Nietzsche, Breviario, a cura di Claudio Pozzoli, traduzioni di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Rusconi, 1993]

  • È nauseante! Qualcuno ci viene incontro con una parola di lode, con cui vuole conquistarci, vuole cioè impossessarsi di noi perché crede che lasciamo mano libera a chi ci loda. Ma chi loda si pone al di sopra di noi, vuole possederci: è nostro nemico. (2, 73)
  • Invece di desiderare che ci conoscano come siamo, desideriamo che gli altri pensino di noi il meglio possibile; desideriamo quindi che si ingannino su di noi: ciò significa che non siamo fieri della nostra unicità. (3, 59)
  • Colui al quale i pregiudizi correnti non suonano paradossali, non ha ancora sufficientemente riflettuto. (3, 72)
  • L'uguaglianza riduce la felicità del singolo, ma apre la strada all'assenza di dolore per tutti. Se giungesse al traguardo, certo, insieme all'assenza di dolore avremmo anche l'assenza di felicità. (3, 144)
  • Quando la menzogna coincide con il nostro carattere mentiamo nel migliore dei modi. (3, 167)
  • Quando non si capisce si diventa solenni. Ciò ha giovato alla morale. (4, 11)
  • Parlerò della più grande malattia degli uomini, e mostrerò che è derivata dalla lotta ad altre malattie: che l'apparente rimedio col tempo ha causato una cosa peggiore di quelle che doveva eliminare. (4, 318)
  • Forse tutta la morale non è che un'interpretazione di istinti fisici. (6, 7)
  • L'umanità non ha fine alcuno, proprio perché non lo avevano i sauri, ma ha un'evoluzione: e cioè la sua fine non è più significativa di qualunque altro punto del suo cammino. Di conseguenza non si può definire il bene dicendo che è lo strumento per raggiungere il fine dell'umanità. (6, 59)
  • È necessaria un'infinita dissimulazione per diventare una persona amabile. (6, 227)
  • La sincerità verso se stessi è più antica della sincerità verso gli altri. L'animale si accorge di venire spesso ingannato, e altrettanto spesso deve dissimulare. Ciò lo induce a distinguere tra lo sbagliarsi e il veder giusto, tra la dissimulazione e la realtà. La dissimulazione voluta si fonda sul senso primario di sincerità verso se stessi. (6, 236)
  • Non è possibile riprodurre i nostri pensieri in parole, queste rimangono troppo rapidamente indietro, come ombre, dietro le sensazioni. (6, 304)
  • Ogni giorno mi stupisco: io non mi conosco! (7, 39)
  • Ma sono aforismi! Sono aforismi? Quelli che me ne fanno un rimprovero ci riflettano un poco, e si scuseranno dinanzi a se stessi – per me non ho bisogno di alcuna parola. (7, 192)
  • Ognuno crede di poter dire la sua a proposito del tempo, delle malattie e del bene e del male. È questo il segno distintivo della volgarità intellettuale. (9 [4][45])
  • Come mai ho sempre sete di persone che rispetto alla natura, a una passeggiata sulle alture fortificate intorno a Genova, non diventino piccole? Forse non so trovarle? (10 [B18][46])
  • Immerso nei tuoi pensieri stai in mezzo agli scogli, su cui frange l'onda del mare – non lontano scivola via, davanti a te, la spettrale muta bellezza di un grande veliero – (12 [205][47])
  • Friedrich Nietzsche / alla fine del suo secondo / soggiorno a Genova: / lux mea crux / crux mea lux. (12 [215][48])
  • Genova, un Sud che ha perso i colori. (12 [232][49])

1882 - 1883

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  • Gli uomini passano per essere crudeli, le donne invece lo sono. Le donne passano per sentimentali, gli uomini invece lo sono. (1 [94]; 1982)
  • Un uomo labirintico non cerca mai la verità, bensì sempre e soltanto la sua Arianna – qualunque cosa voglia farci credere. (4 [55]; 1982)
  • L'onore è qualcosa di così venerabile, perché non è di oggi: esso è sempre una virtù antica. (17 [31]; 1965)
  • Vi è un grado di falsità connaturata che si chiama «buona coscienza». (22 [3]; 1982)
  • Che «energia» e «spazio» altro non sono che due espressioni e due diversi modi di considerare la stessa cosa [...]. (26 [431]; 1976)

1886 – 1887

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[Genealogia della morale, Scelta di frammenti postumi 1886–1887, traduzioni di Ferruccio Masini e Sossio Giametta, Mondadori 1991]

  • Massima: non avere rapporti con nessuno che prenda parte alla bugiarda impostura delle razze. (Quanta menzogna e palude ci vuole, per sollevare problemi di razza nella promiscua Europa attuale!). (5[52], 1991)
  • Platone aveva in fondo, da artista qual era, preferito l'illusione all'essere, e cioè la menzogna e l'escogitazione della verità, l'irreale all'esistente. (7[2], 1991)
  • In Dio mancano volontà, intelletto, personalità e scopo. Spinoza è contro coloro che dicono che Dio fa tutto sub ratione boni. Sembra che costoro ammettano qualcosa al di fuori di Dio, che non sia dipendente da Dio, e su cui Dio si regoli nel suo agire come su un modello, o a cui Dio miri come a un fine. Ciò significa in effetti assoggettare Dio al destino, che è la più grande assurdità. (7[4], 1991)
  • I preti sono i commedianti di qualcosa di sovrumano a cui devono prestare concretezza, si tratta di ideali, di dèi o di salvatori: in ciò trovano la loro professione, in tal senso sono disposti i loro istinti; per ottenere la maggiore credibilità possibile, devono mirare alla immedesimazione, per quanto è possibile; la loro abilità di commedianti deve produrre in loro anzitutto la buona coscienza, con l'aiuto della quale soltanto si può veramente persuadere. (7[5], 1991)
  • Il determinismo è dannoso solo per quella morale che crede al libero arbitrio come presupposto della moralità, crede alla «responsabilità». (7[59], 1991)
  • Pascal vedeva in due figure, Epitteto e Montaigne, i suoi veri e propri tentatori, contro i quali aveva bisogno di difendere e assicurare sempre di nuovo il suo cristianesimo. (7[69], 1991)

1888 – 1889

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  • Che differenza resta tra un convinto e un ingannato? Nessuna, se è stato ben ingannato. (14 [159]; 1986)
  • Abbiamo nella Riforma uno squallido e plebeo contrapposto del Rinascimento italiano. (15 [23]; 1986)

Lettere

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  • [...] non si può negare che la nobile attitudine alla sintesi degli antichi manca alla maggior parte dei nostri filologi; essi si collocano troppo vicino al quadro e analizzano una macchia d'olio, invece di ammirare le grandi ardite linee del dipinto, o, che sarebbe ancor più utile, di contemplarlo... (lettera a Carl von Gersdorff, Naumburg, 6 aprile 1867[50])
  • [...] il tuo concetto mitologico della filologia, figlia (heu! heu!) della filosofia, e perciò sottratta a ogni controllo e giurisdizione, non si appoggia neppure vagamente a nessun argomento. Se devo parlare anch'io per metafore, dirò che la filologia è un aborto della dea filosofia che la generò assieme a un idiota o a un cretino. Peccato che Platone non abbia già escogitato questo mito; a lui crederesti, più che a me, e con ragione. (lettera a Paul Deussen, Lipsia, circa il 20 ottobre 1868[51])
  • A misura che il tempo passa vedo anch'io che significhi la teoria schopenhaueriana della «sapienza universitaria». Qui non è possibile un'esistenza radicata sulla verità. È certissimo poi che nulla di veramente rivoluzionario ne potrà mai uscire. Veri maestri potremo diventare solo liberandoci con ogni mezzo da questa atmosfera, divenendo non solo più saggi, ma, soprattutto, uomini migliori. Anche per questo sento soprattutto il bisogno della verità. Di conseguenza, non posso sopportare più a lungo l'aura accademica. Un bel giorno dunque scaraventeremo via questo giogo! per me, la cosa è decisa. E fonderemo una nuova Accademia ellenica! (lettera a Erwin Rohde, Basilea, 15 dicembre 1870[52])
  • Quando seppi la notizia dell'incendio di Parigi[53], per alcuni giorni fui come annientato, stordito dal dolore e dai dubbi: tutta la vita scientifica, filosofica, artistica mi parve un assurdo, poiché bastava un giorno a distruggere i più splendidi capolavori, anzi interi periodi d'arte. (lettera a Carl von Gersdorff, Basilea, 21 giugno 1871[54])
  • A me piace più di tutto quella continua nota tonica profonda e minacciosa – come nelle grandi cascate d'acqua – che consacra una polemica, la nobilita; quel tono fondamentale in cui risuonano e si fondono amore, fiducia, coraggio, forza, dolore, vittoria e speranza. (lettera a Erwin Rohde, Basilea, 25 ottobre 1872[55])
  • Sì, di tanto in tanto provo una vera ripugnanza per la carta stampata, che mi pare carta sporcata e niente di più. Posso benissimo immaginarmi un'epoca in cui si preferirà legger poco, scrivere ancor meno, ma pensar molto, e, molto più ancora, agire. Giacché ora tutto attende l'Uomo di azione, che scuota da sé e dagli altri le abitudini millenarie, e compia buone azioni animate da uno spirito nuovo, perché vengano imitate. (lettera a Malwida von Meysenburg, Basilea, 6 aprile 1873[56])
  • Walter Scott, che chiamerò, assieme a Schopenhauer, l'immortale, tanto mi si confà la sua calma artistica, il suo andante. (lettera a Erwin Rohde, 8 dicembre 1875[57])
  • Sul Don Chisciotte della Mancia [...] la più rude lettura che io conosca; lo lessi nelle ferie estive e tutta la mia sofferenza personale mi sembrò ne fosse impicciolita, degna tutt'al più che se ne ridesse. (lettera a Erwin Rohde, 8 dicembre 1875[57])
  • Il venerdì, con un tempo fosco e piovoso, verso mezzogiorno mi feci coraggio e andai alla galleria del Palazzo Brignole; e, meraviglia, la vista di questi ritratti di famiglia mi rapì e mi entusiasmò; un Brignole a cavallo e tutta la fierezza di questa famiglia raccolta nell'occhio di questo possente palafreno – proprio quel che ci voleva per la mia umanità mortificata! Personalmente io stimo van Dyck e Rubens superiori a tutti i pittori del mondo. Gli altri quadri mi hanno lasciato indifferente, a eccezione di una Cleopatra morente del Guercino. (lettera a Malwida von Meysenbug, 13 maggio 1877[58])
  • [Voltaire] [...] [l']uomo attorno al quale, anche dopo cent'anni, non esistono che giudizi partigiani: contro i liberatori dello spirito gli uomini sono implacabili nell'odio, ingiusti nell'amore. (lettera a Malwida von Meysenbug (cartolina), Basilea, 11 giugno 1878[59])
  • Caro amico, Le mando di corsa una cartolina solamente per comunicarLe la forte sensazione che ho in questo momento: credo che Lei e io siamo sulla via giusta! Solitudine e rigore nel giudicare noi stessi; mai più tendere l'orecchio agli altri, modelli e maestri! Una vita adatta e via via adattabile ai nostri desideri più profondi, un'operosità senza affanno, e senza nessuna coscienza estranea a vigilare su di noi e sul nostro operato! È così che tento ancora una volta di arrangiarmi, e Genova mi sembra il luogo adatto: ogni giorno per tre volte qui il cuore mi è traboccato, di fronte a questa vastità che chiama alle lontananze e al cospetto di una così imponente operosità. Qui ho la calca e il silenzio e sentieri sulle alture, e una cosa che è più bella di come l'ho sognata, il campo santo. (lettera a Heinrich Köselitz, 24 novembre 1880[60])
  • [Su Genova] Qui, la grande, vivace città di mare, dove ogni anno gettano l'ancora più di 10 000 navi – mi consente di starmene tranquillo e con me stesso. In più ho una mansarda con un letto meraviglioso, cibo semplice e sano (ho semplificato tutto), aria di mare, indispensabile per la mia testa; strade dal selciato stupendo, e, per essere in novembre, un tepore gradevolissimo! (Purtroppo piove molto). (lettera a Franziska ed Elisabeth Nietzsche, 24 novembre 1880[61])
  • Tutto sommato però sono stupito, te lo voglio confessare – di quante sorgenti l'uomo riesca a far scaturire dentro di sé. Persino uno come me, che non è certo tra i più ricchi. Credo che se possedessi tutte quelle qualità che tu hai in misura superiore a me diventerei arrogante e insopportabile. Già così ci sono momenti in cui mi aggiro per le alture sopra Genova con sguardi e sentimenti quali forse un tempo anche la buonanima di Colombo rivolgeva proprio da quassù al mare e a tutte le cose a venire. (lettera a Erwin Rohde, 24 marzo 1881[62])
  • La cucina genovese è fatta per me. Lo credereste che da 5 mesi ormai ho mangiato trippa quasi ogni giorno? Tra tutte le carni è la più digeribile e la più leggera, e costa meno; mi fa bene anche ogni genere di pescetti, che trovo nei locali popolari. Ma niente risotto e niente maccheroni finora! (lettera a Franziska ed Elisabeth Nietzsche, 6 aprile 1881[63])
  • Questa non è una Svizzera, non è una Recoaro, è qualcosa di molto diverso, e certo di molto più a sud: per trovare un paese analogo, credo che dovrei andare fino agli altipiani del Messico affacciati al Pacifico (per esempio Oaxaca), s'intende che lì ci sarebbe in più la vegetazione tropicale. Ebbene, questo Sils Maria cercherò di conservarmelo. (lettera a Peter Gast, Sils-Maria, 14 agosto 1881[64])
  • Mie care, eccomi di nuovo sistemato nella vecchia Genova, in mezzo al groviglio dei vicoli e in netto contrasto con l'eleganza dei malati di Nizza. (lettera a Franziska ed Elisabeth Nietzsche, 4 ottobre 1881[65])
  • Ebbene, caro vecchio amico, eccomi di nuovo nella mia Genova, la città meno moderna che io conosca e che al tempo stesso scoppia di vitalità – qualcosa di assolutamente non romantico e tuttavia veramente non comune: continuerò dunque a vivere sotto la protezione dei miei santi patroni locali, Colombo, Paganini e Mazzini, che insieme rappresentano molto bene la loro città. (lettera a Franz Overbeck, 14 ottobre 1881[66])
  • Piogge gelide, venti furiosi, insomma è inverno, rigido e carico di minacce. J. Burckhardt ha ragione, ma ora che sono mezzo cieco ogni nuovo tentativo di vivere in qualche città e qualsiasi viaggio in genere rappresentano per me tormenti assolutamente insopportabili; questa città [Genova] (e anche questa gente) si accorda con il mio carattere, mi dà la forza di resistere e di non abbandonare i miei sforzi. (lettera a Franz Overbeck, 21 ottobre 1881[67])
  • Qui a Genova sono così ricco, così fiero, un principe Doria in tutto e per tutto, e non desidero altro che Lei, amico caro – Le offro tutti i beni di questo mio mondo per attirarLa qui a Genova, magari per un mese, Lei con tutta la Sua nuova e vecchia musica! [...]
    Questo mese qui è bellissimo; di sera me ne sto seduto in una vigna, con il mare, le colline e le ville ai miei piedi, e faccio addirittura il bagno in mare, nella mia grotta dell'Aurora. (lettera a Heinrich Köselitz, 6 novembre 1881[68])
  • Ma Lei tenga fermo il nostro incontro a Genova – questo luogo appartiene a me. Glielo voglio tra poco presentare e rappresentare, proprio in veste di principe Doria, se Lei vuole. (lettera a Paul Rée, 6 novembre 1881[69])
  • Ero nel mio giardino, ossia quello della Villetta Negro, accanto alla quale abito (Stendhal una volta la definì «uno dei luoghi più pittoreschi d'Italia») e pensavo a Lei con tanto affetto. (lettera a Heinrich Köselitz, 27 novembre 1881[70])
  • La mia vista sta precipitando, non posso nascondermelo. Ora mi capita spesso di rovesciare e di rompere qualcosa, o di inciampare. Dove trovo un'altra città così perfettamente lastricata con pietre larghe come Genova, dove anche se mi aggiro nei dintorni trovo sempre pietre dure e lisce (e con scannellature sulle strade in salita)?
    Tutto sommato Genova è stata davvero la mia mossa più fortunata riguardo alla salute e alla tranquillità spirituale. La mia camera è piena di luce e ha un soffitto molto alto – cosa che ha un effetto benefico sul mio umore. Vicinissimo c'è un giardino delizioso, aperto a tutti, con una verzura imponente, come in un bosco (anche in inverno), e poi cascate, animali selvatici e uccelli, e stupendi scorci sul mare e sulle montagne – il tutto in uno spazio piccolissimo.
    I Genovesi ora mangiano in gran quantità il loro dolce natalizio, il loro pane dolce di Genova, e lo spediscono in tutto il mondo. È identico al nostro Stollen, o meglio: il nostro Stollen è l'imitazione tedesca del pane dolce di Genova. Un dolce con mandorle, uvetta e canditi difficilmente può essere un'invenzione del tutto tedesca – è evidente. (lettera a Franziska ed Elisabeth Nietzsche, 21 dicembre 1881[71])
  • Raramente noi siamo coscienti del vero valore di un periodo della nostra vita, finché lo viviamo, ma oggi, mentre camminavo lassù dominando Genova, scorrendo con lo sguardo lontano sulla città e sul mare, col tempo più paradisiaco che vi possa essere, rividi nitidamente davanti a me gli ultimi due anni, le loro sofferenze e il lento progresso verso il miglioramento; e intanto un raro senso di beatitudine saliva in me, m'invadeva: la beatitudine di colui che si sente guarire. Come malinconico erravo altre volte per queste strade e stradicciuole, come mi sentivo estraneo a quest'umanità rumorosa e impaziente nel domandare e nel godere, come se, tra i viventi, io non fossi stato che un'ombra. Invece adesso, tra il gridio e il giubilo di questi assetati di vita, io afferro un suono, una nota che trova un'assonanza nell'anima mia. (lettera a Elisabeth Nietzsche, Genova, 22 gennaio 1882[72])
  • Forse accompagno l'amico a fare una gita sulla Riviera. Speriamo che gli piaccia quanto Genova: io qui mi sento davvero a casa mia. [...] Quando c'è stato il grande corteo di Carnevale siamo andati al Cimitero, il più bello tra i più belli del mondo. (lettera a Franziska ed Elisabeth Nietzsche, fine febbraio 1882[73])
  • Genova sgualdrina
    mucche, gatti e uccelli (lettera a uno sconosciuto, forse Lou von Salomé, fine novembre 1882[74])
  • Questa volta passi da Genova – un'occasione così non ci capiterà mai più per tutta la vita. Le mostrerò, come fa il diavolo, tutte le «bellezze del mondo», e senza nemmeno l'intenzione di «corromperLa»! – (lettera a Heinrich Köselitz, 3 dicembre 1882[75])
  • Per ciò che riguarda l'«eroe» io non ne penso tutto il bene che ne pensa Lei. Ad ogni modo, esso è la forma più ammissibile della vita umana, specialmente quando non ci sia altra scelta.
    Ci si innamora di qualcosa, e appena questa cosa ci è diventata veramente cara, ecco che il nostro tiranno (quello che ci piace chiamare «il nostro io migliore») ci dice «sacrificamela». E noi gliela sacrifichiamo, ma intanto è come seviziare gli animali, bruciarli a lento fuoco. I problemi che Lei tratta sono quasi tutti problemi di sevizie. Le giova, questo? Le confesso sinceramente che io stesso ho in corpo troppi di questi «tragici complessi» per non maledirli frequentemente... Perciò anelo ad un'altezza, da cui poter dominare questo tragico problema. Vorrei liberare la vita umana da una parte del suo carattere straziante e crudele. (lettera a Heinrich von Stein, Santa Margherita Ligure, primi di dicembre 1882[76])
  • Mi sono detto cento volte che il rimedio sostanziale per la mia salute, negli ultimi tre anni, è consistito nell'astenermi da qualsivoglia contatto umano. Genova adesso per me è «perduta e rovinata». Sono orgoglioso abbastanza per vivere in assoluto incognito, persino in condizioni di povertà: ma così, mezzo rispettato, mezzo sopportato, mezzo scambiato per un altro, mi sento come all'inferno – per questo genere di cose non sono «orgoglioso abbastanza». – (lettera a Franz Overbeck, primi di aprile 1883[77])
  • Così all'amata città di Colombo [Genova] – per me non è mai stata altro che questo – ho detto addio; e alla fine, nella sua luce autunnale, era di una bellezza struggente. (lettera a Heinrich Köselitz, ai primi di 4 dicembre 1883[78])
  • Nizza, in quanto città francese, mi è insopportabile, e quasi una macchia in questo splendore mediterraneo; però resta anche pur sempre una città italiana – ho preso casa nella parte più antica, e qui, quando si deve parlare, si parla italiano: è come essere in un sobborgo di Genova. (lettera a Heinrich Köselitz, ai primi di 4 dicembre 1883[79])
  • Genova fu per me un'eccellente scuola di vita semplice e spartana – ora so che posso vivere come un operaio e un monaco. (lettera a Franz Overbeck, inizio di dicembre 1883[80])
  • Io sono fatto per la luce: – è quasi l'unica cosa di cui non posso assolutamente fare a meno e che non posso sostituire: la luminosità di un cielo sereno. Su questo punto con Genova mi è andata male: soltanto ora sono venuto a sapere il dato statistico per cui Genova non ha, in tutto l'anno, molte più giornate serene di quante ne abbia Nizza nei sei mesi invernali: al che sono subito partito per Nizza. Non appena mi impadronirò dello spagnolo, mi spingerò fino a Valencia, forse il prossimo inverno. (lettera a Franz Overbeck, 6 dicembre 1883[81])
  • Chi soffre è una preda alla portata di tutti: di fronte a un sofferente tutti si sentono saggi. (lettera a Franz Overbeck, Nizza, 14 febbraio 1884)[82]
  • [...] con questo Zarathustra mi lusingo di aver portato la lingua tedesca alla sua compiutezza. Dopo Lutero e Goethe c'era ancora un passo da fare; osserva, vecchio diletto camerata, se nella nostra lingua si siano mai fusi, come in quest'opera, forza, agilità ed armonia. Rileggi Goethe dopo una pagina di Zarathustra, e ti accorgerai che quell'«ondulatorio» che si riscontra nel Goethe disegnatore non è estraneo al Goethe plasmatore della lingua tedesca. Io lo supero nel vigore e nella virilità della linea, senza diventare per questo un cafone come Lutero. Il mio stile è un ballo, un gioco di simmetrie di ogni specie, e in pari tempo un balzare capriccioso e un prendermi gioco di queste simmetrie. E la finezza stilistica giunge fino alla scelta delle vocali. (lettera a Erwin Rohde, Nizza, 22 febbraio 1884[83])
  • Finalmente Sils-Maria! Finalmente il ritorno alla ragione! [...] Qui a Sils, luogo dove nacque lo Zarathustrismo, dobbiamo promettere di rivederci la prossima estate, amico carissimo. Le va? Recentemente ho visitato la Svizzera dal punto di vista paesaggio, e mi sono persuaso che Sils-Maria non ha il suo eguale: meravigliosa fusione di mitezza, grandiosità e mistero... (lettera a Peter Gast, Sils-Maria, 25 luglio 1884[84])
  • La formula wagneriana «melodia infinita» esprime nel modo più amabile il pericolo, la corruzione dell'istinto, e anche la tranquillità della coscienza in mezzo a tale corruzione. L'ambiguità ritmica, per cui non si sa più, non si deve più sapere, se una cosa è capo o coda, è senza dubbio un trucco artistico mediante il quale si ottengono effetti meravigliosi – il Tristano ne è ricco –; ma come sintomo di un'arte è e rimane il segno del dissolvimento. La parte impera sul tutto, la frase sulla melodia, l'attimo sul tempo (anche sul tempo musicale), il pathos sull'ethos (carattere o stile come lo si voglia chiamare), e finalmente l'esprit sul pensiero. Scusi! Ma quello che io credo di scorgere è un capovolgimento della prospettiva: si vede molto, troppo minutamente il particolare; molto, troppo confuso l'insieme. In musica la volontà è tesa verso quest'ottica sovvertitrice, e più della volontà: l'ingegno. E questo è décadence: una parola che tra gente come noi, s'intende, non giudica ma definisce. (lettera a Karl Fuchs, Nizza, inverno 1844-1845[85])
  • [Sul Preludio del Parsifal] [...] lasciando stare tutte le domande inopportune (a che cosa possa o debba servire questa musica?) e dal punto di vista puramente estetico, quando mai Wagner fece qualcosa di più bello? Vi è qui la suprema consapevolezza e precisione psicologica di ciò che si vuole dire, esprimere, comunicare; la forma più succinta e più diretta – ogni sfumatura del sentimento portata sino alla forma epigrammatica –; un'evidenza nella musica trattata come arte descrittiva che fa pensare a uno scudo di nobilissimo lavoro; e per ultimo, sullo sfondo di tale musica, un sentimento, un'esperienza, un evento psicologico sublime ed eccezionale, che fa il maggiore onore a Wagner. Insomma, una sintesi di emozioni che molti uomini, e anche «uomini superiori», riterrebbero inconciliabili: la severità del giustiziere, l'«elevazione» nel senso terrifico della parola, la comprensione e l'acutezza che penetra l'animo come uno stilo; e, infine, la compassione per ciò che si vede e si giudica. In Dante solo – in nessun altro – si può trovare l'equivalente. (lettera a Peter Gast, Nizza, 21 gennaio 1887[86])
  • [...] alla fine, la mia diffidenza si accentua al punto che io domando a me stesso se, in ultima analisi, è possibile scrivere la storia. Che vuol dunque stabilire lo storico? Un fatto che, al momento in cui accadde, non era affatto «stabilito»... (lettera a Franz Overbeck, Nizza, 23 febbraio 1887[87])
  • Nella dolorosa storia dell'anima moderna, che sotto molti aspetti è una tragica storia, Taine rappresenta uno degli esemplari meglio riusciti e più degni di rispetto delle nobili qualità di quest'anima: coraggio senza falsi ritegni, purezza della coscienza intellettuale, commovente e modesto stoicismo a prezzo di grandi rinunce e di solitudine. Un pensatore dotato di queste qualità merita venerazione: egli sta fra i pochi che rendono immortale la propria epoca. (lettera a Erwin Rohde, Coira, 21 maggio 1887[88])
  • Voltaire è una magnifica canaille piena di spirito. Ma io penso come l'abate Galiani che: «Un monstre gai vaut mieux qu'un sentimental ennuyeux.[89]»
    Voltaire è possibile e tollerabile solo nell'ambito di una cultura aristocratica, che appunto perciò può permettersi il lusso della canaillerie spiritosa... (lettera a Peter Gast, Nizza, 24 novembre 1887[90])
  • Quanto dice nella Sua lingua intorno allo stile di Wagner mi ricorda un mio sfogo in proposito scritto non so più dove: il suo «stile drammatico» non esser altro che una species di cattivo stile, anzi di non-stile musicale. Ma i nostri musicisti vi scorgono un «progresso».
    In verità, in questo campo tutto è ancor da dire, sospetto anzi che tutto sia ancora da pensare: Wagner stesso – come uomo come bestia come Dio come artista – passa di mille cubiti l'intelligenza e l'inintelligenza dei nostri tedeschi. (lettera a Peter Gast, Nizza, 26 febbraio 1888[91])
  • Temo di esser troppo musicista per non essere un romantico anch'io. Senza musica la vita per me sarebbe demenza. (lettera a Georg Brandes, Nizza, 27 marzo 1888[92])
  • A Genova me ne sono andato in giro come un'ombra in compagnia solo di ricordi. Quello che un tempo vi amavo, cinque o sei punti prediletti, adesso mi piaceva ancora di più: mi sembrava di una incomparabile pallida noblesse, e assai superiore a tutto quello che offre la Riviera. Ringrazio il mio destino che negli anni della décadence mi aveva condannato a vivere in questa città dura e cupa: se si esce da lei, ogni volta si è usciti anche da se stessi – la volontà si allarga di nuovo, non si ha più il coraggio di essere vili. Non sono mai stato colmo di gratitudine come in questo eremitaggio a Genova. – (lettera a Heinrich Köselitz, 7 aprile 1888[93])
  • [Torino] Ma che dignitosa, severa città! Niente metropoli, niente moderno, com'io temevo: una «Residenz»[94]del Seicento, dove un unico gusto ha imperato su tutto, quello della Corte e della noblesse. La quiete aristocratica è impressa su ogni cosa: non meschini sobborghi; un gusto unitario che si estende fin al colore (tutta la città è gialla e color d'ocra). E per i piedi come per gli occhi un luogo classico! Che sicurezza, che pavimentazione, a non dir niente degli omnibus e dei tram, organizzati e numerosi in modo straordinario. [...] Ma che piazze austere, solenni! E lo stile dei palazzi senza pretese, le strade serie e pulite, tutto molto più dignitoso di quanto mi fossi aspettato; e i più bei caffè che io abbia mai visto. Quei «portici» poi, dato il clima variabile, rispondono ad una necessità; inoltre sono ampi e alti e non opprimono. E la sera il tramonto dai ponti sul Po è cosa stupenda! Al di là del bene e del male! (lettera a Peter Gast, Torino, 7 aprile 1888[95])
  • A conti fatti, la malattia mi ha recato la maggiore utilità: mi ha sciolto da tutti i vincoli, mi ha ridato il coraggio di me stesso... Per istinto sono un animale coraggioso, anzi militare. La lunga opposizione ha esasperato alquanto il mio orgoglio. Se sono un filosofo? [...] Ma questo che importa? (lettera a Georg Brandes, Torino, 10 aprile 1888[96])
  • [Torino] Ecco una città secondo il mio cuore. Anzi, la sola. Tranquilla, quasi solenne. Terra classica per gli occhi e per i piedi [...]. Un soffio di buon Settecento. Palazzi di quelli che parlano al cuore; non fortezze stile Rinascimento! E poi: scorger le Alpi dal centro della città! queste lunghe strade che sembrano condurre in linea retta verso le auguste cime nevose! Aria serena, limpida in modo sublime. Non avrei mai creduto che una città, grazie alla luce, potesse diventare così bella. (lettera a Karl Fuchs, Torino, 14 aprile 1888[97])
  • [...] Sils-Maria, l'Alta Engadina, il mio paesaggio, così lontano dalla vita, così metafisico... (lettera a Karl Fuchs, Torino, 14 aprile 1888[98])
  • Un eremita, certo, eppure, per quanto poco mi si conosca si deve capire che la mia vita è stata più ricca di eventi che quella di chiunque altro. Ne testimoniano i miei libri: riga per riga scaturiscono da zone inesplorate, e quindi, come sostanza, rappresentano una conquista, un allargamento dei confini della vita. (lettera[99]alla sorella, Sils-Maria, 17 settembre 1888[100])
  • [Torino] Qui ogni giorno sotto lo stesso esuberante e supremo splendore di sole riappaiono la collina ammantata da foreste color dell'oro fulvo, e il cielo e l'ampio fiume di un pallido azzurro, mentre l'aria ha una purezza sublime – un Claude Lorrain come non mi ero mai sognato di trovare nella realtà. (lettera a Peter Gast, Torino, 30 ottobre 1888[101])
  • Per le nostre anime e i nostri corpi, caro amico, un breve intossicamento parigino sarebbe una liberazione... si troverebbe la nostra vera personalità, si smetterebbe di essere soltanto tedeschi. Non mi serbi rancore se Le dico che ho imparato a scrivere in tedesco dal momento che ho immaginato di essere un lettore parigino. Il caso Wagner è musica da operetta. (lettera a Peter Gast, Torino, 18 novembre 1888[102])
  • E com'è bella Torino nelle giornate grigie. Mi dicevo giorni fa: abitare una città da cui non si prova il bisogno di uscire, neppure per vedere la campagna – dove si gode, semplicemente girando per le strade. Una volta l'avrei creduto impossibile. (lettera a Peter Gast, Torino, 16 dicembre 1888, domenica[103])
  • Che uniti vinceremo siamo certi, e celebriamo | la festa delle feste: | venne l'amico Zarathustra, l'ospite degli ospiti! | È caduto l'orrido velario, il mondo ride, | sono le nozze per la luce e il buio... (da Gli alti monti) [in Al di là del bene e del male, 1886]
  • Io abito nella mia casa, | non ho mai imitato nessuno | e – sempre ho deriso i maestri | che di se stessi non ridono. [motto all'edizione 1887 de La Gaia Scienza]
  • Io amo te, antro dei sepolcri, | te, bugiarderia di marmo! | Sempre mi liberate l'anima | alla più libera beffa. (Lo spirito libero, autunno 1884[104])
  • L'altro giorno a ristorarmi | stavo sotto cupe fronde | e un sommesso ticchettio | cadenzato udii, piacevole. | Mi adirai, feci le smorfie | ma alla fine pur cedetti | ed anch'io come un poeta | cominciai a far tictac. (da Sentenza d'uccello) [in Idilli di Messina, 1882]
  • Là voglio essere io: e confido | In me, d'or innanzi, e nel mio timone. | Aperto è il mare: nel suo cupo azzurro | si spinge la mia prora genovese. | Tutto sempre più nuovo mi diventa, | Alle mie spalle è Genova. | Coraggio! Se la mia nave guidi, | Carissima Victoria! (Columbus novus, estate 1882, 24 [1][105])
  • Mi maledicano pure di cuore, | storcano il naso! | L'impotente cercar di questi occhi | mai troverà la strada fino a me. (da A queste anime incerte) [nell'appendice dell'edizione edizione 1887 de La Gaia Scienza]

Ditirambi di Dioniso

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  • Che vuoi sottrarre, | che suoni vuoi afferrare, | cosa strapparmi sotto tortura, | torturatore! | Tu, dio-giustiziere | Oppure dovrei come un cane | rotolarmi davanti a te? | Arresa, in estasi fuori-di-me, | scodinzolando – dirti quanto ti amo! | Invano! | Continua a colpire, | pungiglione spietato! | Non sono un cane – sono la tua selvaggina, | cacciatore spietato! | La tua più orgogliosa prigioniera, | predone dietro le nubi... | Parla infine! | Tu cinto di fulmini Ignoto! parla! | Che vuoi, tagliaborse, da – me... || [...] || | [...] Dammi amore – chi mi riscalda? | chi mi ama ancora? – | Dammi mani calde, | dammi bracieri per il cuore, | da' a me sola, sola come nessuno | cui il ghiaccio, sette strati di ghiaccio, | fa sognare di aver dei nemici, | perfino nemici, | dammi, consegna, | nemico spietato, | a me – te stesso!... || Via di qui! | Ed ecco, da sé è fuggito | il mio unico compagno, | il mio grande nemico, | il mio ignoto, | il mio dio-giustiziere!... | No! |
    torna indietro, |
    con tutti i tuoi martirii! | Le mie lacrime | corrono a te | e l'ultima fiamma del mio cuore | si erge per te. | Oh torna indietro, | mio dio ignoto | mio dolore, | mia estrema felicita!...

    Un lampo. Appare Dioniso in uno splendore di smeraldo.

    Dioniso:

    Sii saggia, Arianna!...| Tu hai orecchie piccole, hai le mie orecchie: | mettici una parola saggia – ! | Se ci si vuole amare non si deve forse prima odiarsi?... |
    Io sono il tuo labirinto... Da Lamento di Arianne, in Poesie, cura e traduzione di Anna Maria Carpi, Einaudi, Torino, 2000, pp. 207-211. ISBN 88-06-15538-5
  • L'anima mia, | con la sua lingua insaziabile | ha già leccato tutte le cose buone e cattive, | in tutte le profondità si è spinta. | Ma come un sughero sempre | è tornata a galla, in superficie, | come fa l'olio cangiante sui mari bruni: | per via di quest'anima mi chiamano il felice. (da Della povertà dei più ricchi)
  • O scaltri naviganti! | Rovine di stelle antiche! | Voi mari del futuro! Insondati cieli! | a tutti i solitari getto ora il mio amo: | rispondete all'impazienza della fiamma, | catturate per me, pescatore su alti monti, | la mia settima, ultima solitudine! – – (da Il segnale di fuoco)
  • Scudo della necessità! | supremo stellato dell'essere! | – ciò che desiderio non raggiunge, | ciò che nessun no contamina, | eterno sì dell'essere, | in eterno io sono il tuo sì: | perché io ti amo, o eternità! – – (da Fama ed eternità, 4)

Citazioni su Friedrich Nietzsche

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  • Aristotele toglie linguaggio e mimesis all'animale, ma Nietzsche rianimalizza la genealogia di questo concetto. Nietzsche piange per il cavallo, prende il cavallo a testimone della sua compassione, prende la sua testa nelle sue mani. (Gianfranco Dalmasso)
  • Che nell'ora fatale per la Germania egli sia stato compromesso, falsificato in ogni senso, reso sospetto, non inficia la sua opera; nella svolta epocale essa rimane una prova per valutare l'intelligenza, e anche qualcosa di più. Di Nietzsche la critica non stabilisce le coordinate, si calibra su di lui. (Ernst Jünger)
  • Chi ha compreso il declino e il crollo della civiltà occidentale riconoscerà in Nietzsche colui che ha risvegliato la coscienza dell'Europa. (Ananda Coomaraswamy)
  • Ciò che dicevano lo sguardo dei tuoi occhi, la tua bocca amorosa, era pieno di bontà, di riguardo sempre, era come un celarsi della tua maestà: volevi (per richiamare una delle tue più delicate parole) «risparmiarci il rossore». Giacché la dovizia della tua mente, l'empito del cuor tuo di dar gioia agli altri – chi mai avrebbe potuto ricambiarli in misura degna? Tu fosti uno dei più nobili e puri individui che siano passati quaggiù. (Peter Gast)
  • Ciò che tu fosti come spirito motore del mondo, sta davanti agli occhi di tutti; ciò che fosti come uomo di cuore, lo annunzia ogni tuo pensiero. Giacché su ogni tuo pensiero sta l'impronta della grandezza, e ogni grande pensiero – dice Vauvenargues – deriva dal cuore. (Peter Gast)
  • Come Nietzsche aveva profetizzato, con la religione è sparita anche la morale. (Hans Küng)
  • Di Nietzsche ogni pensiero è una reazione a qualcos'altro; e – come da Balzac s'è cominciato a scrivere «con tutti i sensi» – le «prove» di Nietzsche appaiono lucidissime registrazioni fisiologiche [...].Ogni sentenza nietzschiana è filtrata dai suoi patimenti; eroica, non sempre vittoriosa sulle bizzarrie del temperamento, la passione della verità. Ogni fiore della pianta spinosa ha il sapore delle radici. (Leone Traverso)
  • Di una consonanza tra Nietzsche e Burckhardt si può parlare soltanto a proposito della loro posizione spregiudicata verso il cristianesimo. Entrambi, come discepoli di Schopenhauer, rinvenivano nel pessimismo greco l'origine delle massime opere dei greci (le attribuivano cioè a un eccesso di sofferenza), ma, mentre in Burckhardt ciò avveniva per «simpatia», in Nietzsche la comprensione dei greci è fondata su una affinità originaria della sua costituzione individuale. Infatti, se, come ritiene Burckhardt, le passioni dei greci attingono la grandezza che è loro propria dal fatto di sorgere sul terreno di un egoismo non limitato da alcuna morale religiosamente legittimata, l'ardente ambizione che animava Nietzsche, per quanto io ho potuto constatare, fu il nucleo del suo essere. La sua compassione per i greci non fu, appunto, «cristiana». (Franz Camille Overbeck)
  • Dice ancora qualcosa il nome di Dio agli uomini di oggi? Secondo Nietzsche, poco o nulla. Lo stesso annuncio che "Dio è morto" è destinato a cadere nel vuoto. Magari tutti ripetono la frase a proposito di questo o di quello (secolarizzazione, scristianizzazione, pensiero unico, e così via). Ma come se fosse un'ovvietà, una cosa scontata, di cui prendere atto per poi archiviarla senza farsi troppi problemi. Un po' come dire: siamo moderni, emancipati, la fede in Dio appartiene al passato. Dovranno passare secoli – è sempre Nietzsche a sostenerlo – prima che gli uomini tornino a interrogarsi sul senso profondo e misterioso di questa morte. Che la morte di Dio appaia come un evento che è ormai alle nostre spalle e che ci lascia sostanzialmente indifferenti non è ateismo. È nichilismo. (Sergio Givone)
  • Dio Onnipotente, mi dispiace di essere diventato ateo, ma hai mai letto Nietzsche?! Ah, che libro! (John Fante)
  • È un uomo straordinario; su ogni cosa egli ha una sua propria idea, conquistata da se stesso. (Jacob Burckhardt)
  • Era un accanito lettore di giornali e se fosse vissuto oggi sarebbe sul Web tutto il giorno, nonostante i problemi di vista. (Maurizio Ferraris)
  • Gli rimprovero le sue infatuazioni e persino i suoi fervori. Non ha abbattuto idoli se non per sostituirli con altri. Un falso iconoclasta, con tratti da adolescente, e non so che verginità, che innocenza, inerenti alla sua carriera di solitario. (Emil Cioran)
  • In una delle sue lettere, Nietzsche scrive: "Posso credere solo in un dio danzante", ma non riuscì a trovarne. Se avesse conosciuto qualcosa di Shiva, la sua vita sarebbe stata totalmente diversa: Shiva è il dio che danza. (Osho Rajneesh)
  • L'antitesi tra l'eroe e il santo si innalzò davanti a me attraverso lui e il suo dramma. Egli era l'eroe santo, ribelle e martire a un tempo. Prometeo e Cristo, Dioniso e il Crocifisso. Egli era l'uomo compiuto. La gioventù vuole pregare e adorare. L'immagine di Nietzsche fu sempre sopra il mio letto, un ritratto del tempo della demenza, colla tragica fronte oscurata, lo sguardo del martire, già lontano, affisato al nulla, all'infinito. Quel capo che cade in avanti che cos'ha in comune colla belva bionda, col Superuomo? È il figlio dell'uomo, tormentato, ferito. Ecce Homo. (Klaus Mann)
  • La critica di Freud, come quella di Feuerbach e di Nietzsche, ha ignorato completamente la dottrina cristiana della Trinità e, a proposito dello stesso Gesù Cristo, si basa su uno stadio della ricerca oggi nettamente superato che gli permetteva di liquidare con due parole la questione della sua storicità. (Raniero Cantalamessa)
  • La teoria del superuomo di Nietzsche fu saccheggiata dai nazisti e presentata come pensiero precorritore delle teoriche hitleriane mentre veniva da un filosofo il quale aveva potuto scrivere che quasi tutti i processi di trasformazione violenta si rivelavano «una patetica e sanguinosa baracconata». (Alberto Tagliati)
  • Lo circondava un'indescrivibile atmosfera di estraneità, qualcosa per me allora del tutto inquietante, c'era qualcosa in lui che prima non avevo conosciuto, e mancavano molte cose che un tempo l'avevano caratterizzato. Era come se venisse da una terra in cui non abita nessuno. (Erwin Rohde)
  • Mi resi conto che i soli maestri di danza che io potessi avere erano il J. J. Rousseau dell'Emile, Walt Whitman e Nietzsche. (Isadora Duncan)
  • Nel fulcro di questa ruota che dardeggia luce sugli spazi deserti, Blake e Nietzsche regnano come sfavillanti stelle doppie; il loro messaggio è ancora così nuovo che pensiamo ad essi in termini di pazzia. Nietzsche ricombina tutti i valori esistenti; Blake plasma una nuova cosmogonia. Per molti aspetti Rimbaud è vicino a entrambi. (Henry Miller)
  • Nice che dice? | Boh! (Zucchero)
  • Nietzsche e Péguy: due profeti che dominano la nostra epoca. Entrambi concordano nel fare un'opera di critica. Entrambi maledicono il «mondo moderno». Una parte delle loro diagnosi coincide. Tuttavia i loro due messaggi restano opposti. L'uno e l'altro si ricollegano a un passato che viene dal profondo delle età, ma non ne scelgono la stessa vena. L'uno e l'altro annunciano tempi nuovi, ma non li plasmano con lo stesso metallo. Se da una parte Nietzsche è il profeta della rottura, dall'altra Péguy è il profeta della fedeltà. E mentre per incatenarci al carro traballante del suo Dioniso Nietzsche è sempre più portato a maledire la croce di Cristo, Péguy mostra in Gesù colui che raccoglie tutto il tragico antico per trasfigurarlo. (Henri-Marie de Lubac)
  • Nietzsche è un Wagner del pensiero. La susseguenza dei suoi pensieri è assolutamente barbara, uguale alla musica wagneriana. In ciò unicamente nell'originalità barbaramente balzante e irrompente dei suoi pensieri sta la sua forza di sovvertimento e tutto anela alla distruzione tanto in Wagner come in lui. (Dino Campana)
  • Nietzsche era un puro, e talvolta il puro folle; ma il mondo contro il quale egli anima la turgida protesta di Zaratustra è proprio fatto, in ogni classe sociale, di esseri come Zaratustra e la sua matta bestialità. Il superuomo non è un personaggio da venire, è una miserabile presenza che tutti gli uomini scoprono nella parte più abbietta di se stessi. Compito della vera civiltà è liberarsi da questo atroce «stato di natura» rappresentato dal perenne Zaratustra. E il Nietzsche migliore è quello appunto che s'indigna contro la viltà del mondo, e non sa di avvalersi delle negate categorie cristiane. (Francesco Flora)
  • Nietzsche, il mio Nietzsche, il mio buon Nietzsche (non quello altro e di altri) è così affascinante perché parla all'anima e di cose dell'anima come Carmen parlava d'amore a Don José. «Non ci si annoiava con quella ragazza!» diceva questi a Merimée, alla vigilia di morire per lei. E nemmeno noi ci annoiamo con Nietzsche. Nietzsche non fu un filosofo; fu il caso estremo di una quasi completa sublimazione di Eros. Fu anche altra cosa; lo so. (Umberto Saba)
  • Nietzsche non negava l'arte di Wagner quando dichiarava che «i maestri cantori» erano un attentato alla civiltà, e non si poneva il problema perché riconosceva che tra l'ammirazione estetica e il consenso etico non c'è necessario rapporto di causa a effetto. (Leo Valiani)
  • Nietzsche non perde mai l'occasione dl fustigare ogni senso di pietà per i deboli e per i malati. Vero Don Chisciotte della morte, il filosofo condanna qualunque misura in favore dei diseredati, e denuncia nella preoccupazione per le vittime la causa di ciò che egli interpreta come invecchiamento precoce della nostra civiltà». (René Girard)
  • Nietzsche sarebbe l'unico abitante nobile di un mondo derelitto. Solo la sua scelta potrebbe esporsi senza vergogna alla resurrezione di Dio. (Nicolás Gómez Dávila)
  • Nietzsche si è completamente sbagliato su Dioniso, senza parlare dell'opposizione con Apollo che è pura fantasia poiché i Greci mescolavano ambedue nei miti e talvolta sembravano identificarli. (Simone Weil)
  • Nietzsche, un intenditore di prima forza in fatto di decadenza. (György Lukács)
  • Pensate a Nietzsche, il puro: il cui destino fu di nutrire l'arbitrio di criminali mediocri, che nel suo verbo trovavano una promessa di gloria e una giustificazione eroica. La teoria del superuomo, riflesso dalla follia da cui fu colto l'autore, restato sempre a mezzo tra la metafora e la speculazione filosofica, rappresenta la malattia letale e non la sana riscossa dello spirito moderno. Certo, in molti punti, Nietzsche fu frainteso; ma gli scrittori hanno i lettori che meritano, e nella sua opera bisogna coraggiosamente riconoscere una torbidezza fondamentale, che dell'uomo accarezzò piuttosto la bestia che l'angelo. Nietzsche, il puro, che osò chiamar morale da schiavi la morale cristiana e civile, non s'accorse di predicar lui, veramente, la sola morale di schiavi che esista al mondo, quella della servitù all'istinto e all'inconscio. Né s'accorse che il superuomo, quel suo turgido Zaratustra, retore e vanitoso, non è ancor giunto allo stadio umano, perché non ha senso sociale. (Francesco Flora)
  • Povero Nietzsche! È stato l'unico filosofo a cui è toccato il singolare privilegio di essere considerato responsabile niente meno che di una guerra mondiale. (Franco Volpi)
  • Se non vi fossero gli onesti, ma predicanti l'amoralità come Nietzsche, il mondo sarebbe d'una insopportabile virtù o ipocrisia. (Corrado Alvaro)
  • Tolstòj fu l'ultima grande passione di Nietzsche, prima della follia, e Nietzsche lo leggeva e compulsava avidamente, riconoscendo in lui lo stesso mito al quale anch'egli si sentiva forzato: la consumazione del confine tra «arte» e «vita», tra «volontà» e «realtà». (Igor Sibaldi)
  • Un accurato lavoro di reinterpretazione ha sottratto il pensiero di Friedrich Nietzsche (1844–1900) all'abbraccio con le esperienze politiche della destra radicale. Non perché non ci sia effettivamente stata la utilizzazione di spunti nietzscheani contro le ideologie del moderno (liberalismo e socialismo) da parte della destra radicale. Ma questa simpatetica dedizione degli ambienti di destra non basta a farne un campione della reazione. (Michele Prospero)
  • Una capacità di introspezione che non è mai stata raggiunta prima da nessuno, e probabilmente non verrà mai più raggiunta da nessun altro. (Sigmund Freud)
  • Una pressione infinitamente più pesante si esercita senza dubbio sui dittatori moderni, ridotti a trovare la loro forza nella identificazione con tutti quegli impulsi che Nietzsche disprezzava nelle masse, in particolare con «quella mendace autoammirazione e libidine razziale».[106] C'è una derisione corrosiva nel fatto d'immaginare un possibile accordo tra l'esigenza nietzscheana e una organizzazione politica che impoverisce l'esistenza al vertice, che imprigiona esilia o uccide tutto ciò che potrebbe costituire un'aristocrazia[107] di «spiriti liberi». Come se non fosse lampante che Nietzsche, quando richiede un amore a misura del sacrificio della vita, è per la «fede» che comunica, per i valori che la sua esistenza rende reali, evidentemente non per una patria...
    «Nota per gli asini», scriveva già Nietzsche stesso, temendo una confusione simile, altrettanto miserabile.[108]
  • In un articolo su «Fascismo» del luglio 1933, Cimmino nega ogni filiazione ideologica fra Nietzsche e Mussolini. Solo la volontà di potenza costituirebbe un legame fra le loro dottrine. Ma la volontà di potenza di Mussolini «non è egoismo», essa è predicata a tutti gli italiani dei quali il duce «vuole fare dei superuomini» [sic.]. Perché, afferma l'autore, «qualora fossimo tutti superuomini saremmo soltanto tutti uomini. Che poi Nietzsche piaccia a Mussolini è naturale: vi è nel Nietzsche qualcosa che è stata sempre di tutti gli uomini di azione e volontà». La differenza profonda tra Nietzsche e Mussolini è «nel fatto che la potenza come volontà, la forza, l'azione sono fatti dell'istinto, direi quasi della natura fisica, e la possono avere le persone fra loro più opposte, servendosene per i più diversi scopi; mentre l'ideologia è fattore spirituale, ed è sempre una per tutti quelli che l'accettano».
  • La grandezza e la vitalità di un pensatore si misurano dalla vastità e dalla profondità della traccia ch'egli lascia nel tempo. Nietzsche ancora oggi è un pensatore presente e discusso, con intensa passione e spirito discorde, nella cultura del nostro tempo.
  • Nietzsche può corrompere, e ha corrotto, uomini grossolani e spiritualmente immaturi. Nietzsche può anche aiutare a comprendere in profondità il significato del nostro tempo, liberando l'animo umano contemporaneo da molti pregiudizi.
  • Non è un'esagerazione sostenere che tutta quanta la cultura del ventesimo secolo, nei suoi vari aspetti filosofico-letterari e sociologico-psicologici, sta, in qualche misura, in una relazione significativa con le negazioni e le affermazioni del pensiero nietzscheano. Ciò prova che in ogni discorso sul senso e sul valore della vita e della cultura moderne Nietzsche è un interlocutore d'obbligo.
  • Evidentemente Nietzsche parla di questo secondo istinto, cioè della volontà di potenza. Tutto ciò che è istintuale deriva per lui dalla volontà di potenza: un grandissimo errore, un equivoco della biologia, uno sbaglio della sua natura nevrotica decadente, se lo si considera dal punto di vista della psicologia sessuale freudiana.
  • Non è ammissibile considerare impropria una vita come quella di Nietzsche, vissuta con rara coerenza fino alle sue fatali conseguenze, seguendo l'istinto di potenza che ne è alla base.
  • Questa fastidiosa caratteristica del barbaro era evidente anche in Nietzsche, certo per esperienza personale, ed è per questo che egli aveva un alto apprezzamento della mentalità ebraica e predicava la danza e la leggerezza e non di prendere sul serio le cose. Però non ci si accorgeva che non è il barbaro che prende le cose sul serio, ma che sono le cose a diventare serie per lui. Egli era preso dal dèmone. E chi prende le cose più seriamente di Nietzsche stesso?
  • È la «magia dell'estremo» l'elemento alchemico, 'mercuriale', del nichilismo nietzscheano e al tempo stesso il catalizzatore d'un processo sperimentale di esaustione del nichilismo stesso. Infatti è questa magia ad evocare una posizione estrema per superarla non già attraverso una mediazione, bensì attraverso un suo "assoluto" rovesciamento nell'estremo opposto: sta in ciò la tensione di un "confronto con il nulla" concepito come oltrepassamento. Nel nichilismo, in questo senso, si nasconde una comprensione della crisi che svolge fino in fondo tutte le sue contraddizioni esasperandole sino a un limite insostenibile, sino a provocare eccentricamente il suo "trascendimento".
  • Il ricorrente rifiuto nietzscheano delle «idee moderne» non deve essere frainteso: la modernità per Nietzsche è più profonda di quanto non sembri a chi la idoleggia in termini di ottimistico progresso e di armonia morale. La modernità è sempre il riflesso di una reinterpretazione dell'antico per cui ci si può avvicinare alla sua essenza solo percorrendo una via tortuosa, un Um-weg, come direbbe Benjamin. Per questo l'«inattuale» è la prima «maschera» del filosofo che sarà poi l'oscuro trivellatore, «l'essere sotterraneo» di Aurora, il divinatore d'enigmi, il «Dioniso crocifisso», nel cui sorriso straziato si cela l'ambigua complicità, la tragica solidarietà di decadenza e superamento della decadenza. Nietzsche traccia la carta nautica di un periplo temerario che segue anche i contorni del 'continente' sommerso.
  • [In Nietzsche] La malattia "apre" le antinomie radicalizzandole, ma al tempo stesso "dischiude" la possibilità di quel trascendimento estatico che rovescia gli opposti, l'estremo nell'estremo, l'assoluta afflizione-costrizione, la terribile Not dell'«uomo più brutto» nella Wende der Not, la malattia mortale nella «superiore salute». [...] Mentre la trasfigurazione classica (si pensi al Lessing del Laocoonte) svuota il tormento tragico nella compostezza del bello, in Nietzsche il volto di Dioniso «signore delle antitesi» (Herr der Gegensätze), irradia la sua insondabile gioia attraverso la maschera atroce di una sofferenza indicibile.
  • Non si può negare che entusiasmo e disperazione fossero appunto gl'ingredienti blasfemi del Nietzsche distruttore dei valori cristiani, del Nietzsche-Zarathustra, negatore di Dio e annunciatore dell'Übermensch. Ma non sono proprio questo entusiasmo e questa disperazione i modi nuovi di pensare il mistero del sacro? Non sono queste le forme di un oltrepassamento di una religio, intesa come sistema difensivo contro la follia? E non è in gioco proprio la follia nel Nietzsche "mistico" dei Ditirambi di Dioniso?
  • Il genio del Martellatore Baffuto sta in ciò, che la sua negazione del concetto di verità, ridotta a funzione energetica della volontà di potenza del soggetto, si adatta sia a Destra (tipo Divisione SS Nibelungen in azione contro Sottouomini slavi, ebrei, negri, zingari ed altra feccia biologica) sia a Sinistra (tipo intellettuali postmoderni pacifici e tranquilli, ma preoccupati – talora peraltro ingiustamente – che il concetto di verità non gli venga brandito contro per colpevolizzare o addirittura impedire le loro ultralegittime scelte di condotta di vita privata). Questo doppio uso di Nietzsche, vero e proprio elettrodomestico filosofico multiuso, deve essere messo al centro della riflessione, perché determina fortemente il clima filosofico contemporaneo ancor più del pur pittoresco positivismo, che vorrebbe ridurre tutto a trattori ed acceleratori di particelle, ma non può farlo, perché l'uomo è anche un animale simbolico (Cassirer), e non può soltanto aggirarsi fra provette fumanti e vetrini da ricercatore.
  • Il grande nemico della democrazia Nietzsche offre a questa democrazia stessa ed al suo principio livellatore ed uguagliatore l'argomento filosofico ad essa più affine, la riduzione della natura della verità ad infinito gioco delle interpretazioni. Non esiste principio filosofico più adatto al mondo dell'invidia, del risentimento, del livellamento verso il basso, il mondo che Nietzsche afferma a parole di temere: qualunque idiota superficiale ed ignorante potrà dire, con piena legittimità filosofica, che la sua interpretazione non è né migliore né peggiore, ma solo diversa, di una diversità in giudicabile, delle interpretazioni di Spinoza, Hegel o Marx. Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace, e per me la telenovela lacrimosa è meglio di Cervantes o di Stendhal. Il grande martellatore della verità non si accorge di dare grandi martellate sulle proprie dita. La negazione del carattere veritativo della conoscenza filosofica porta ad una vera e propria caricatura dell'"indifferenza" democratica, il carosello delle opinioni arbitrarie elevato a nobile gioco delle interpretazioni.
  • Negli ultimi decenni in Italia è divenuta corrente l'abitudine a discutere se il termine nicciano di Übermensch debba essere tradotto come Superuomo o come Oltreuomo. A questo rispettabile quesito filologico si unisce spesso anche un'inutile e fuorviante diatriba politica, sul fatto cioè che il termine Superuomo è di "destra", mentre il termine Oltreuomo è di "sinistra". Questa diatriba è ideologica, non filosofica. Si tratta di una diatriba interminabile, che rischia di non cogliere mai il centro storico del problema. Infatti Nietzsche, che, come persona, ai suoi tempi era ideologicamente piuttosto di "destra", come filosofo (che è la sola cosa che conta) non è né di destra né di sinistra, in quanto ha di mira soprattutto una critica radicale dell'intera cultura borghese, cui Hegel, aveva a suo tempo conferito un profilo "ideale" non coincidente con il capitalismo e con la sua dimensione economica. In una fase storica in cui il capitalismo si globalizza e si universalizza nel mondo intero, ed è perciò del tutto post-borghese (e post-proletario), la filosofia di Nietzsche non cambia di natura, ma muta di funzione. Quando si trattava di bastonare i proletari rivoluzionari, lo Übermensch era un Superuomo. Una volta bastonati e resi innocui i proletari, quando si tratta di sciogliere e distruggere gli ultimi resti dell'eticità borghese hegeliana, lo Übermensch può diventare un innocuo ed educato Oltreuomo. È questa la chiave storica per affrontare il segreto di Nietzsche.
  • Non c'è nulla di più sbagliato e fuorviante del pensare che Nietzsche abbia incarnato la risposta antropologica borghese (o addirittura piccolo-borghese) alla soluzione antropologica di Marx, definita proletaria. La soluzione antropologica che Nietzsche propone è invece consapevolmente post-borghese, perché dissolve tutti i precedenti "contenuti etici" della società borghese stessa. [...] Quella di Nietzsche è un'etica della valorizzazione onnilaterale dell'individuo, e nello stesso tempo un'etica che non ha più come riferimento un'eticità, come quella di Hegel. Nietzsche non ha più come punto di riferimento un'eticità, perché la sua proclamazione della morte di Dio è anche una proclamazione del venir meno di qualunque eticità borghese o proletaria. La sua è un'etica dell'individuo, o meglio dello stadio maturo (troppo maturo) dell'individualità moderna.
  • Là, disteso sul divano, giaceva l'Ottenebrato, con la sua fronte mirabilmente bella di artista e di pensatore. Erano le prime ore del pomeriggio. Gli occhi, pur essendo spenti, apparivano ancora pervasi d'anima; ma di quanto li circondava non accoglievano più che un'immagine a cui era ormai negato l'accesso all'anima. Stavamo dinanzi a lui, ma Nietzsche non lo sapeva. Eppure si sarebbe ancora potuto credere che quel volto spiritualizzato fosse l'espressione di un'anima la quale, nel corso del mattino, avesse intensamente pensato e volesse ora riposare un momento. Credetti che la scossa interiore da me provata si trasformasse in comprensione per il genio il cui sguardo mi fissava senza vedermi. La passività di quello sguardo, lungo e fisso, sprigionò la comprensione del mio proprio sguardo, che in quel momento poté lasciar agire la forza animica dell'occhio, senza che l'altro occhio lo incontrasse.
    E si presentò alla mia anima l'anima di Nietzsche, quasi librata sul suo capo, illimitatamente bella nella sua luce spirituale; liberamente aperta ai mondi spirituali nostalgicamente invocati, ma non trovati, prima dell'oscuramento: incatenata però ancora al corpo, conscio di essa soltanto quando il mondo spirituale era ancora per lei nostalgia. L'anima di Nietzsche era ancora presente, ma poteva tenere solo dal di fuori quel corpo che le aveva impedito di espandersi nella pienezza della sua luce finché era stata da esso circoscritta.
  • Nietzsche partì da una visione dello spirito in forma mitica. Apollo e Dioniso erano figure che egli sperimentava e sentiva. Tutto il corso della storia dell'uomo gli apparve come cooperazione o anche come lotta fra i due. Ma egli giunse solo ad una rappresentazione mitica di essi. Non penetrò fino alla visione di vere entità spirituali. Partì dal mito spirituale e arrivò alla natura. Nell'anima di Nietzsche, Apollo rappresentava la materia secondo l'idea della scienza naturale, Dioniso operava come forza di natura. Ma così la bellezza di Apollo gli si offuscò, e la commozione cosmica di Dioniso gli si paralizzò nella fermezza delle leggi naturali.
  • Osserviamo il brillante scritto del giovane Nietzsche: Dell'utilità e del danno della storia per la vita, col quale veramente con parole di fuoco egli chiede che si abbandoni il peso della storia, che l'uomo viva appieno nel presente e che ponga la vita al posto del passato. Che cosa ne è seguito? Che egli si è fatto prendere dal darwinismo e, come questo, fa derivare l'uomo dall'animale; fa dell'uomo un superuomo. Il suo superuomo è tuttavia rimasto un prodotto del tutto astratto, non ha contenuto, è un sacco vuoto. Fisicamente se ne può dire quel che si vuole, ma non si perviene ad alcuna immaginazione.
  1. Da Il Viandante e la sua ombra.
  2. Citato in Azienda autonoma di soggiorno e turismo di Paestum, Infopaestum.it.
  3. a b c d e Da la Repubblica, a cura di Umberto Galimberti, 7 febbraio 2003.
  4. Da Così parlò Zarathustra.
  5. Citato in AA.VV., Il libro della politica, traduzione di Sonia Sferzi, Gribaudo, 2018, p. 198. ISBN 9788858019429
  6. Da una lettera a Heinrich von Stein del 22 maggio 1884; citato in Anacleto Verrecchia, Giordano Bruno, Donzelli editore, 2002.
  7. Da la Repubblica, Gabriele Romagnoli, La scomparsa della solitudine, 2 giugno 2014.
  8. Citato in Umberto Galimberti, L'ospite inquietante, Feltrinelli, Milano 2008, p. 15.
  9. Da Lettere a Erwin Rohde, Lugano, 29 marzo 1871.
  10. Aforisma postumo citato da Giuliano Ferrara in il Giornale, 4 giugno 2009, p. 3.
  11. Citato in Ennio Flaiano, Frasario essenziale, Bompiani, 1993, p. 120. ISBN 88-452-2073-7
  12. Da Considerazioni inattuali.
  13. Citato in Giulio Confalonieri, La storia della musica, Edizioni Accademia, Milano 1975.
  14. Dalla lettera a Erwin Rohde, Naumburg, 3 novembre 1867.
  15. Dalla lettera a Carl Fuchs, Torino, 27 dicembre 1888.
  16. Citato in AA.VV., Il libro della musica classica, traduzione di Anna Fontebuoni, Gribaudo, 2019, p. 103. ISBN 9788858022894
  17. Citato in Luciano Verdone, Un brindisi con Socrate, Adea edizioni, 2007, p. 134. ISBN 978-88-86274-48-7
  18. Citato in Giovanni Floris, Quella notte sono io, Rizzoli, p. 20. ISBN 8858686748
  19. Cfr. Those Who Dance Are Considered Insane by Those Who Can't Hear the Music, QuoteInvestigator.com, 5 giugno 2012.
  20. Cfr. Plutarco, De defectu oraculorum, 17.
  21. Il frammento alla quale appartiene la citazione è stato pubblicato per la prima volta in inglese nell'edizione di The Will to Power del 1968 curata da Walter Kaufmann.
  22. Confronta anche Crepuscolo degli idoli, Detti e frecce, 1.
  23. Da Volontà di potenza.
  24. Da Schopenhauer come educatore, a cura di Mazzino Montinari, Adelphi, Milano, 2017. ISBN 978-88-459-7773-2
  25. Gewächs, da wachsen, crescere; dunque pianta, animale, in senso estensivo vegetazione; ma nel linguaggio popolare anche persona, tipo.
  26. a b c Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  27. Citato in Ditadi 1994, p. 872.
  28. Platone, Leggi, 803 b. Cfr. I, 2008, nota 65, p. 323
  29. Vedi anche Il sacrificio del miele in Così parlò Zarathustra.
  30. Citato in AA.VV., Il libro della filosofia, traduzione di Daniele Ballarini e Anna Carbone, Gribaudo, 2018, p. 218. ISBN 9788858014165
  31. Riprende un verso dell'Amleto di William Shakespeare: «Ci son più cose in cielo e in terra, Orazio, che non sogni la tua filosofia».
  32. Vedi anche La gaia scienza, 270. Si tratta di un tema ricorrente nelle opere di Nietzsche, ripreso da Pindaro (Pitica, II, 73); si confronti anche il titolo completo dell'autobiografia spirituale di Nietzsche, Ecce homo. Come si diventa ciò che si è (AA. VV., The Columbia World of Quotations, Columbia University Press, 1996).
  33. Nel vero amore è l'anima che abbraccia il corpo.
  34. Widmann recensì Al di là del bene e del male nel Bund di Berna (16-17 settembre 1886). Cfr. Al di là del bene e del male, Scelta di frammenti postumi 1885-1886, p. LX.
  35. Citata da Douglas Adams ne Il salmone del dubbio.
  36. Citato in J.K. Rowling, Il seggio vacante, traduzione di Silvia Piraccini, Salani, 2012, p. 89. ISBN 9788867150960
  37. Peter Gast (Heinrich Köselitz) non riconobbe in questo biglietto la follia nell'amico, tanto che così gli rispose: «Grandi cose devono accadere in Lei in questo momento! Il Suo entusiasmo, la Sua salute [...] debbono scuotere anche i più infermi; Lei è una sanità contagiosa; l'epidemia che Lei un tempo ha augurato alla salute, l'epidemia della Sua salute non può più farsi attendere» (citato in Curt Paul Janz, Vita di Nietzsche, vol. III, p. 13). Secondo Janz questo mancato riconoscimento della follia di Nietzsche fa sì che «Occorrerà tener presente questa scarsa facoltà di giudizio di Köselitz in occasione delle successive importanti decisioni» (ivi, p. 13).
  38. a b c «Sulla lettera c'è la data, scritta dallo stesso Nietzsche, «Am 6 Januar 1889». Ma si tratta di una data sbagliata, perché sulla busta c'è il timbro po­stale «Torino Ferrovia 5.1.89».» (Anacleto Verrecchia, La catastrofe di Nietzsche a Torino, p. 190, nota 116)
  39. In italiano, nel testo originale.
  40. Olga Monod era figlia di Malwida vov Meysenbug.
  41. Cosima Wagner era la moglie di Wagner e figlia di Franz Liszt.
  42. Da Aurora e Frammenti postumi (1879-1881)   maggiori informazioni?
  43. Friedrich Nietzsche, L'innocenza del divenire. Antologia dai frammenti postumi 1869-1888, Rusconi, Milano 1999
  44. a b Citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  45. Da Aurora e frammenti postumi (1879-1881)
  46. Da Aurora e frammenti postumi (1879-1881), p. 605
  47. Da Idilli di Messina, La gaia scienza e frammenti postumi (1881-1882), p. 419
  48. Da Idilli di Messina, La gaia scienza e frammenti postumi (1881-1882), p. 420
  49. Da Idilli di Messina, La gaia scienza e frammenti postumi (1881-1882), p. 423
  50. Epistolario 1865-1900, p. 21
  51. Epistolario 1865-1900, p. 33
  52. Epistolario 1865-1900, p. 51.
  53. Nel 1871 si diffuse a Basilea la notizia dell'incendio del Louvre. Ad essere distrutto, in realtà, fu il Palazzo delle Tuileries dato alle fiamme da un gruppo di rivoluzionari durante la repressione della Comune. Cfr. Epistolario 1865-1900, p. 58, nota 2.
  54. Epistolario 1865-1900, p. 58
  55. Epistolario 1865-1900, p. 77
  56. Epistolario 1865-1900, p. 83
  57. a b Citato in Epistolario 1865-1900, p. 99, nota 1
  58. Epistolario 1875-1879. Vol. III, p. 213
  59. Epistolario 1865-1990, p. 128.
  60. Epistolario 1880-1884. Vol. IV, p. 47
  61. Epistolario 1880-1884. Vol. IV, pp. 47-48
  62. Epistolario 1880-1884. Vol. IV, p. 70
  63. Epistolario 1880-1884. Vol. IV, p. 77
  64. Epistolario 1865-1900, pp. 160-161
  65. Epistolario 1880-1884. Vol. IV, p. 126
  66. Epistolario 1880-1884. Vol. IV, p. 128
  67. Epistolario 1880-1884. Vol. IV, p. 129
  68. Epistolario 1880-1884. Vol. IV, p. 132
  69. Epistolario 1880-1884. Vol. IV, p. 132
  70. Epistolario 1880-1884. Vol. IV, p. 136
  71. Epistolario 1880-1884. Vol. IV, pp. 143-144
  72. Epistolario 1865-1900, p. 165
  73. Epistolario 1880-1884. Vol. IV, p. 164
  74. Epistolario 1880-1884. Vol. IV, p. 266
  75. Epistolario 1880-1884. Vol. IV, p. 271
  76. Epistolario 1865-1900, p. 180
  77. Epistolario 1880-1884. Vol. IV, p. 334
  78. Epistolario 1880-1884. Vol. IV, p. 432
  79. Epistolario 1880-1884. Vol. IV, p. 432
  80. Epistolario 1880-1884. Vol. IV, p. 435
  81. Epistolario 1880-1884. Vol. IV, p. 437
  82. Da Epistolario 1865-1900, p. 206.
  83. Epistolario 1865-1900, p. 208
  84. Epistolario 1865-1900, p. 214
  85. Epistolario 1865-1900, p. 223
  86. Epistolario 1865-1900, pp. 255-256
  87. Epistolario 1865-1900, p. 257
  88. Epistolario 1865-1900, p. 266
  89. Un mostro allegro è preferibile ad un sentimentale noioso.
  90. Epistolario 1865-1900, p. 276
  91. Epistolario 1865-1900, pp. 285-286
  92. Epistolario 1865-1900, p. 291
  93. Epistolario 1885-1889. Vol. V, p. 593
  94. Piccola capitale. Cfr. Epistolario 1865-1900, p. 295.
  95. Epistolario 1865-1900, pp. 295-296
  96. Epistolario 1865-1900, p. 300
  97. Epistolario 1865-1900, p. 301
  98. Epistolario 1865-1900, p. 302
  99. Esclusa da Karl Schlechta perché manipolata dalla sorella di Nietzsche. Cfr. Epistolario 1865-1900, p. 314, nota 3.
  100. Epistolario 1865-1900, p. 316
  101. Epistolario 1865-1900, p. 324
  102. Epistolario 1865-1900, pp. 327-328
  103. Epistolario 1865-1900, p. 337
  104. Da Ditirambi di Dioniso e Poesie postume (1882-1888), p. 145
  105. Da Idilli di Messina, La gaia scienza e frammenti postumi (1881-1882)
  106. [Nota presente nel medesimo testo da cui è tratta la citazione] [F. Nietzsche] Gai savoir, § 377 [trad. it. La gaia scienza, in Id., Opere, vol. 5, 2, Adelphi, Milano 1965]
  107. [Ibid. nota precedente] Nietzsche parla di aristocrazia, parla anche di schiavitù, ma quando si esprime al riguardo dei «nuovi padroni», parla della «loro nuova santità», della «loro capacità di rinuncia». «Essi danno all'inferiore il diritto alla felicità, e loro stessi se ne privano».
  108. [Ibid. nota precedente] [Nietzsche] Volonté de puissance, § 942 [trad. it. cit.]

Bibliografia

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  • Friedrich Nietzsche, Umano, troppo umano, traduzione di Mirella Ulivieri, Newton & Compton, 1988.
  • Federich Nietzsche, Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi, introduzione e appendice di Elisabetta-Foerster Nietzsche, prima edizione autorizzata, traduzione di G. Delaudi, Casa Editrice Monanni, Milano, stampa 1927.
  • Friedrich Nietzsche, Umano, troppo umano, traduzione di Sossio Giametta, vol. I, Adelphi, Milano, 2016. ISBN 978-88-459-7777-0
  • Friedrich W. Nietzsche, Verità e menzogna, traduzione di Sossio Giametta, RCS Quotidiani, 2010.
  • Friedrich Nietzsche, Verità e menzogna (e altri scritti giovanili), traduzione di Sergio Givoni, a cura di Ferruccio Masini, Newton Compton Editori, 1988.

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