Esiodo

poeta greco antico

Esiodo (VIII secolo a.C. – VII secolo a.C.), poeta greco antico.

Esiodo e la musa (Eugène Delacroix)

Citazioni di Esiodo modifica

  • Le opere spettano ai giovani, i consigli agli uomini maturi e le preghiere ai vecchi.[1]

Le opere e i giorni modifica

Incipit modifica

O Muse della Pieria che date la gloria coi carmi, cantate qui il vostro padre Zeus, per opera del quale gli uomini mortali sono in pari modo illustri e oscuri, noti e ignoti nel suo possente volere.

[Esiodo, Le opere e i giorni, traduzione di Lodovico Magugliani, Rizzoli, 1988.]

Citazioni modifica

  • Stolti, perché non sanno quanto più grande è la metà dell'intero. (v. 40; 2007)
  • Prima una stirpe aurea di uomini mortali | fecero gli immortali che hanno le Olimpie dimore. | Erano ai tempi di Kronos, quand'egli regnava nel cielo; | come dèi vivevano, senza affanni nel cuore, | lungi e al riparo da pene e miseria, né triste | vecchiaia arrivava, ma sempre ugualmente forti di gambe e di braccia, | nei conviti gioivano, lontano da tutti i malanni; | morivano come vinti dal sonno, e ogni sorta di beni | c'era per loro; il suo frutto dava la fertile terra | senza lavoro, ricco ed abbondante, e loro, contenti, | in pace, si spartivano i frutti del loro lavoro in mezzo a beni infiniti, | ricchi d'armenti, cari agli dèi beati. (vv. 109-120; 2007)
  • Spesso un'intera città ha pagato per un uomo malvagio. (240)[2]
  • Tale legge, infatti, il Cronide (Zeus) ha dato agli uomini: che i pesci, le fiere e gli uccelli volanti si divorino tra di loro, perché non hanno giustizia; agli uomini, invece, ha dato la giustizia. (vv. 276-280[3])
  • Ma quegli è in assoluto il migliore, chi, meditando, da solo | comprende tutto ciò che alla fine sarà poi vantaggioso; | e saggio è inoltre colui che obbedisce a chi ben lo consiglia; | chi però da sé non riflette, e neppure, un altro ascoltando, | se ne mette nel cuore i precetti, quegli invece è un uomo dappoco. (vv. 293-297; 1994, p. 27)
  • Non trarre ingiusti profitti: gli ingiusti profitti sono uguali a sciagure. | Ama chi t'ama, ed accostati a chi ti s'appressa; | e dona a chi dona, e a chi non dona, non donare: | si dona a chi dona, e a chi non dona non si dona;[4] | il dono è buono, la rapina è cattiva e apportatrice di morte; | difatti l'uomo che dona spontaneo, anche se il dono è costoso, | di esso gioisce, e nel cuor se n'allegra; | ma chi, sfrontatezza ascoltando, egli stesso qualcosa depreda, | fosse anche poco, il suo cuore si gela. (vv. 352-360; 1994)
  • Chi della donna si fida, si fida dei ladri. (v. 375; 2007)
  • Fa' poi attenzione, quando tu oda il verso della gru, | che ogni anno strepita dall'alto delle nubi: | essa reca il segnale dell'aratura, e dell'inverno piovoso | indica la stagione: e morde il cuore all'uomo senza buoi; | allora pasci dei buoi dalle corna ricurve che stiano al coperto: | è facile infatti esclamare: «Dammi due buoi e un carro»; | ma è facile rifiutare: «I buoi han lavoro da fare». (vv. 448-454; 1994)
  • Non appena per i mortali arriva il tempo dell'aratura, | allora slanciatevi, tanto i tuoi servi che tu stesso, | ad arare la terra, arida o umida, nella stagione dell'aratura, | molto affrettandoti di buon'ora, perché i campi ti si copran di frutto. | Semina il maggese quando la terra è ancora leggera; | rivoltalo a primavera: e l'estate, al suo ritorno, non t'indurrà in inganno; | il maggese protegge dai mali ed acquieta i fanciulli. (vv. 462-464; 1994)

Teogonia modifica

Incipit modifica

Incominciamo il nostro canto dalle Muse eliconie, che abitano l'eccelso e santissimo monte Elicona! Esse di solito ballano con agili passi intorno alla fonte azzurrina e all'altare del molto possente Cronione; ma spesso, lavate le tenere membra nel Permesso o nell'Ippocrene o nel sacro Olmio, anche sull'altissima vetta intrecciano, con rapide evoluzioni leggiadre, deliziose figure di danza.

[Esiodo, Teogonia, traduzione di Francesco Gargiulo, Rizzoli, 1959.]

Citazioni modifica

  • Dunque, per primo fu Chaos, e poi Gaia dall'ampio petto, sede sicura per sempre di tutti gli immortali che possiedono le vette dell'Olimpo nevoso, e Tartaro nebbioso nei recessi della terra dalle ampie strade, poi Eros, il più bello fra gli dei immortali, che rompe le membra, e di tutti gli dei e di tutti gli uomini doma nel petto il cuore ed il saggio consiglio. (vv. 116-122; 1959)
  • Poi Momo partorí, la sempre dogliosa Miseria, | l'Espèridi, che cura, di là dall'immenso Oceàno, | hanno degli aurei pomi, degli alberi gravi di frutti, | e le dogliose Moire, che infliggono crudi tormenti, | Atropo, Cloto e Lachesi, che a tutte le genti mortali | il bene, appena a luce venute, compartono e il male, | e dei trascorsi le pene agli uomini infliggono e ai Numi. | Né dallo sdegno tremendo desistono mai queste Dive, | prima che infliggano a ognuno la pena com'esso ha fallito. (Le prime quattro essenze, vv. 214-222; 1929)
  • Nereo, che mai mentisce, ma dice sempre la verità, fu generato come primo figlio da Ponto. Lo si chiama il vecchio, perché è verace e benigno. Mai egli si discosta dal giusto, ma tende sempre verso la giustizia e la bontà. (vv. 233-236; 1959)
  • Come quando negli alveari ombrosi le api | nutrono i fuchi, che hanno parte dei frutti delle loro aspre fatiche | – esse per tutto il giorno, fino al tramonto del sole, | ogni giorno s'affrettano sollecite e fanno i bianchi favi, | e quelli restando dentro gli ombrosi alveari | l'altrui fatica nel loro ventre raccolgono – | cosi per gli uomini un male, le donne, | Zeus altotonante fece, che hanno parte dei frutti delle fatiche | moleste.[5] (vv. 594-602; 2007)
  • E Giove, poi che armò l'ira sua, poi che l'armi ebbe prese, | il tuono col baleno, col folgore fumido ardente, | con un gran lancio un colpo scagliò dall'Olimpo; e le teste | intorno intorno tutte bruciò di quell'orrido mostro. [Tifone] | E quello, poi che fu domato, spezzato dai colpi, | piombò giú mutilato, die' gemiti lunghi la Terra. | Ed una vampa sprizzò dal Dio folgorato percosso | nelle selvose convalli dell'Etna tutto aspro di rupi. (Giove stermina Tifone, vv. 853-860; 1929)
  • Sposò la molle Tèmi seconda, che a luce die' l'Ore, | Dice, con Eunomía, con Pace possente — su l'opre | esse a vegliare sempre degli uomini stanno — e le Parche, | a cui massimo onore concesse il Croníde: Lachèsi | Atropo e Cloto: il bene partiscono agli uomini e il male. (Regno di Giove e sua discendenza, vv. 901-905; 1929)

Citazioni su Esiodo modifica

Eraclito modifica

  • Sapere molte cose non insegna ad avere intelligenza: l'avrebbe altrimenti insegnato ad Esiodo.
  • Maestro dei più è Esiodo: credono infatti che questi conoscesse molte cose, lui che non sapeva neppure che cosa fossero il giorno e la notte; sono infatti un'unica cosa.
  • Esiodo considerava alcuni giorni fasti e altri nefasti, di non sapere che la natura di ogni giorno è una sola.

Note modifica

  1. Citato in Arpocrazione, Lessico dei dieci oratori, voce ἔργα νέων; traduzione in Oratori attici minori, traduzione di Mario Marzi, UTET, 1995, p. 273. ISBN 978-88-02-02633-6
  2. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  3. Citato nell'introduzione di Alessandra Borgia a Plutarco, I dispiaceri della carne. Perì sarcophagìas, Stampa alternativa, Roma, 1995, p. 6. ISBN 88-7226-269-0
  4. Cfr. Etica della reciprocità.
  5. Secondo Martin Litchfield West, per Esiodo le donne sono ladre di cibo, cosa che, in questa forma, l'autore non dice da nessuna parte.

Bibliografia modifica

  • Esiodo, La Teogonia in Esiodo - I Poemi: Le opere e i giorni, La Teogonia, Lo scudo di Ercole, Frammenti, con incisioni di A. De Carolis e A. Moroni, traduzione di Ettore Romagnoli, illustrazioni di Adolfo De Carolis/Antonello Moroni, Zanichelli, Bologna, 1929.
  • Esiodo, Le opere e i giorni, traduzione di Lodovico Magugliani, Rizzoli, 1988.
  • Esiodo, Le opere e i giorni, traduzione di Virgilio Costa, Studio Tesi, Pordenone, 1994. ISBN 88-7692-254-7
  • Esiodo, Opere, traduzione di Graziano Arrighetti, Mondadori, 2007.
  • Esiodo, Teogonia, traduzione di Francesco Gargiulo, Rizzoli, 1959.

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