Giulio Confalonieri

musicista, musicologo e critico musicale italiano (1896-1972)

Giulio Confalonieri (1896 – 1972), scrittore, compositore, critico musicale italiano.

Giulio Confalonieri

Storia della musica Modifica

Incipit Modifica

Come tutti sanno, una parte non trascurabile del progresso umano consiste nel condannare come inutili e ingenui, come infantili e indegni di perderci tempo, buon numero di quei problemi che ieri o ier l'altro parevano essenziali, che a padri e avoli toglievano il sonno e che pure, sfuggendo alle tenaci ricerche. mandavano da lontano un messaggio: «Se sei buono a risolverci, tu possiederai i segreti della vita». Scaduti i tempi della pietra filosofale, della quadratura del circolo e dell'elisir di giovinezza, quest'indagine intorno alla possibilità di definire la musica parve più dura a morire. E iniziata con gli inizi d'ogni pensiero, con i primi tentativi di affidare a una scrittura il pensiero perché durasse, perché testimoniasse di se medesimo anche in futuro, essa vivacchiò sino ai giorni presenti, dopo aver raggiunto i suoi fastigi più alti tra seconda metà del XVIII secolo e la seconda metà del XIX secolo. Ma oggi come oggi, giorno in cui scrivo, chiedersi che cosa è la musica farebbe sorridere un vero scienziato o un vero filosofo.

Citazioni Modifica

  • La musica, la cosa più vicina al silenzio eloquente.«Impredicabile è Iddio – scrive Sant'Agostino – intraducibile di parole e pure impossibile a tacersi. Lo canterai senza costrizione di sillabe e il cuore godrà, libero dall'impaccio delle parole». (p. 25)
  • [Sul canto gregoriano] [...] tutto l'immenso patrimonio musicale della Chiesa è là, simile a un discorso rivolto dalla terra al cielo, privo di intenti propriamente artistici, semplicemente desideroso di spiegarsi e di farsi intendere.
    Non c'è voce di singolo uomo che sovrasti la collettività corale; l'Ecclesia cancella l'individuo e di tante ombre umane fa un corpo supremo. (p. 38)
  • La musica ruota nei cieli dell'universo, con tutte le sue possibilità e le sue leggi; è un pensiero già fatto, forse un pensiero di Dio, e i musici la scoprono, come i navigatori scoprono terre che c'erano e che ancora non si sapevano. (p. 73)
  • Proclamando la musica «un'arte limitata», Gluck, sopra tutto, alluse alla possibilità di tradurre in sensi precisi ciò che la sua mente si figurava con precisi concetti. Sicché questo musicista confidò piuttosto nei modi della poesia, della pittura e della plastica. Fu salvo da una grave minaccia per le virtù insopprimibili della sua arte e perché, fino al suo tempo, la musica non aveva saputo esprimersi se non in accenti così nobili che, senza pregiudizio di contenuto, rappresentavano già di per se stessi un'evoluzione e un miglioramento spirituale. (p. 263)
  • Non so neppur io quanti abbiano trovato sapore di Senna nell'acque del Danubio in principio di secolo. Sì, è vero; ma mentre i parigini, a un certo punto, si scontravan sempre con la politica e qui allora diventavan tutti gravi, noiosi e non di rado feroci, i viennesi non riuscivan mai ad occuparsene con vera passione; erano assai contenti di aver delegato questo incarico a un gruppetto di persone per nulla «popolari» e così, liberati, poter pensare a ben altro. Come dice Grillparzer, l'immagine monotona della verità «era tutta circonfusa di racconti e di giuochi»; ogni cosa trasvolava palpitante e svelta verso il cielo della musica. (p. 408)
  • «In codesto ragazzo c'è la fiamma divina». Sia storia o leggenda, avrà qualcuno riferito a Schubert il giudizio del suo idolo morente? Noi non possiamo neppure esser certi se Franz, come vuole Giuseppe Huttenbrenner, fosse riuscito finalmente a vedere Beethoven pochi giorni prima della sua morte e, in ogni caso, a rimaner là muto, in un angolo, davanti a un uomo che non poteva più né parlare né muoversi. (p. 417)
  • La musica è il solo mezzo di cui Schubert dispone per chiarire a se stesso l'interrogativo del proprio io e l'interrogativo delle cose create. (p. 419)
  • La Natura sente in certo modo il bisogno di rivelarsi, di esprimere il ritmo e le fatiche della propria vita, di trasmettere fino alla nostra coscienza i contorni del suo esistere, le personalità dei suoi esseri singolari, il significato che, pure oscuramente, ogni cosa animata o inanimata, sa di possedere. (p. 421)
  • Per merito di Schubert l'idioma germanico acquista una strana predisposizione alla musica e la lirica tedesca diventa tutta un gigantesco Lied possibile. Per merito suo è accaduto che in Germania, anche le persone del popolo non ignorano quasi mai, insieme col nome dei compositori, il nome dei poeti che hanno ispirato tante canzoni. (p. 430)
  • Per circa un secolo, in Muzio Clementi venne celebrato quasi esclusivamente il rinnovatore della tecnica pianistica, l'antesignano di quel pianismo trascendentale che culminerà poi nel Chopin di certi Studi e di certe Ballate, nel Liszt, nello Schumann dei Papillons e dei Carnevali, nel Brahms delle Variazioni su temi di Paganini e di Haendel. Documento del suo virtuosismo rimasero le opere didattiche e un'ammirazione, mista a un poco di noia, incoronò la sua vecchia figura sì[1] da dettare a Claudio Debussy la prima pagina del Children's Corner, intitolata appunto Doctor Gradus ad Parnassum. (p. 540)
  • Clementi, sia pure con la timidezza di un temperamento fondamentalmente classico, apre il cancello di un giardino non ancor visitato, entro cui stanno immagini non esprimibili se non nel confessionale del pianoforte. (p. 541)
  • Cento altre premonizioni della musica futura sarebbe facile rilevare nell'opera di Clementi, premonizioni e messaggi certamente raccolti, perché, se le influenze di un autore su un altro possono spesso revocarsi in dubbio, mancando l'assoluta sicurezza di una conoscenza effettiva, noi siamo certissimi che Liszt, Chopin, Mendelssohn, Schumann, Brahms, studiarono tutti almeno il Gradus ad Parnassum. (p. 542)
  • Le idee di Weber, per quanto figlie di un cervello impulsivo e ingombro di troppa mobilia, risultano abbastanza chiare. Il loro lato debole consiste in tre cose: primo, che molte «novità» sembravan tali al maestro e, in realtà, non lo erano; secondo, che l'attuazione non fu sempre pari all'entusiasmo del concepimento; terzo, che anche a Weber successe quanto succede, nella vita, frequentissimamente, ossia che uno crede di buttare in aria ogni cosa e non si accorge che molte cose le lascia invece nel loro bell'ordine primitivo. (p. 515)
  • Se esistettero le «galoppate all'italiana» di Rossini e dei rossiniani, esistette pure il soprassalto alla Weber, inaspettato ribollire dei violini all'unisono o in ottava, ascendenti in brevissimo spazio dal registro grave al più acuto, sopraffazioni fulminee degli «ottoni» che coprono, come in una valanga, il flebile canto di precedenti battute. (p. 518)
  • Diresti che il romanticismo di Weber è molto più letterario che musicale. Sotto l'aspetto musicale, se ne togli le Ouvertures le quali, per la volubilità architettonica, quasi preludono al Poema sinfonico, Weber sembra spesso dominato da puntigli classici se non addirittura accademici. Lo stacco della idea, lo slancio iniziale è quasi sempre nuovo e suggestivo, tanto che, ad ascoltatori del passato come Théophile Gautier, la musica del maestro tedesco poteva dare l'impressione di immagini e di reazioni «extra musicali»; ma il procedere del pensiero, le conseguenze delle proposizioni, la vita spaziale dei temi ricadono in rigide formule. (p. 519)
  • Il genio, secondo Goethe, è suscitatore di bellezza, apportatore di chiarezza e di luce; sue figurazioni divine sono Apollo, che libera la terra rinnovata dalla voracità di Pitone; Deucalione, che crea uomini scagliando pietre; Ganimede che si innalza con il desiderio verso la letizia eterna di Giove; Prometeo, che dona civiltà ai mortali. La musica di Mendelssohn appare a Goethe come un corrispettivo della propria poesia. E invero, se Mendelssohn non ha mai detto parole inaspettate come le ha dette Goethe, se non ha mai conosciuto il prodigioso modo goethiano di accordare la vertigine sulla cadenza del concetto logico, egli ha saputo tuttavia accordare il fondo romantico, l'aspirazione romantica dell'animo con la struttura classica della mente. (p. 608)
  • Mendelssohn e Schumann aggiungono pietre, arricchiscono di opere difensive il castello che Schubert aveva incominciato a costruire, quasi giocando; che Liszt era andato avanti a munire, spinto dalla sua natura di virtuoso e dalla sua natura di profeta; che Chopin aveva scelto a dimora per poter sorprendere, da quel recesso, l'esistenza occulta degli atomi spirituali, e, col loro nobile impegno, con la loro sterminata passione, col rinascente orgoglio nazionale e sociale, pervengono ad individuare, in maniera sempre più decisa e forte, la figura della nuova musica nordeuropea. Una musica la quale, nelle sue molteplici forme (da camera, liederistiche, sinfoniche, orchestrali-corali), tende a localizzarsi, a staccarsi da ogni residuo italianizzante o francesizzante, e, purtroppo, collabora ad acuire l'artificioso dissidio, la gratuita distinzione che rattristerà l'Ottocento, la dannosa, balorda opposizione fra musica «armonica» e musica «melodica», fra musica «di pensiero» e musica «di sentimento». (p. 604)

Bibliografia Modifica

  • Giulio Confalonieri, Storia della musica, Edizioni Accademia, Milano 1975.

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  1. Nella fonte: si, refuso.