Giordano Bruno

scrittore e filosofo italiano

Filippo Giordano Bruno, conosciuto anche come Bruno Nolano o Bruno da Nola (1548 – 1600), filosofo e scrittore italiano.

Presunto ritratto di Giordano Bruno
Per approfondire, vedi: Citazioni su Giordano Bruno.

Citazioni di Giordano Bruno modifica

  • [Su Enrico III di Francia] Ama la pace, conserva quanto si può in tranquillitade e devozione il suo popolo diletto; non gli piaceno gli rumori, strepiti e fragori d'instrumenti marziali che administrano al cieco acquisto d'instabili tirannie e prencipati de la terra; ma tutte le giustizie e santitadi che mostrano il diritto cammino al regno eterno.[1]
  • Chi, perciò, consistendo nel luogo e nel tempo, libererà le ragioni delle idee dal luogo e dal tempo, si conformerà agli enti divini.[fonte 1]
  • Colui che vede in se stesso tutte le cose è al tempo stesso tutte le cose.[fonte 2]
  • Dio è in ogni luogo e in nessuno, fondamento di tutto, di tutto governatore, non incluso nel tutto, dal tutto non escluso, di eccellenza e comprensione egli il tutto, di defilato nulla, principio generatore del tutto, fine terminante il tutto. Mezzo di congiunzione e di distinzione a tutto, centro ogni dove, fondo delle intime cose. Estremo assoluto, che misura e conchiude il tutto, egli non misurabile né pareggiabile, in cui è il tutto, e che non è in nessuno neanche in se stesso, perché individuo e la semplicità medesima, ma è sé.[fonte 3]
  • E noi, per quanto ci troviamo in situazioni inique [...] tuttavia serbiamo il nostro invincibile proposito [...] tanto da non temere la morte stessa.[fonte 4]
  • Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam.[fonte 5][2]
Avete più paura voi ad emanare questa sentenza che non io nel riceverla.[fonte 6]
Certamente voi proferite questa sentenza contro me con più timore di quello che io provo nell'accoglierla.[fonte 7]
Il timore che provate voi a infliggermi questa pena è superiore a quello che provo io a subirla.[fonte 8]
  • Ho lottato, è molto; ho creduto nella mia vittoria [...]. È già qualcosa essere arrivati fin qui [...]. Non aver temuto di morire, [...] aver preferito coraggiosa morte a vita imbelle.
Pugnavi, multum est; me vincere posse putavi [...]. Est aliquid prodisse tenus [...]. Non timuisse mori, [...] praelatam mortem animosam imbelli vitae.[fonte 9]
  • I filosofi sono in qualche modo pittori e poeti, i poeti sono pittori e filosofi, i pittori sono filosofi e poeti. Donde i veri poeti, i veri pittori e i veri filosofi si prediligono l'un con l'altro e si ammirano vicendevolmente.[fonte 10]
  • Italia, Napoli, Nola; quella regione gradita dal Cielo, e posta insieme talvolta a capo e destra di questo globo, governatrice e dominatrice de l'altre generazioni, e sempre da noi et altri stimata maestra e madre di tutte le virtudi, discipline et umanitadi.[fonte 11]
  • L'amante di Dio, dottore della più alta teologia, professore di cultura purissima e innocente, noto filosofo, accolto e ricevuto presso le prime accademie d'Europa, vincitore dell'ignoranza presuntuosa e persistente, che tuttavia protesta che nelle sue azioni c'è amore per tutti i suoi simili, per i britanni non meno che per gli italiani, per le donne non meno che per gli uomini, per i sovrani non meno che per i prelati.[fonte 12][3]
  • La sapienza ha dunque tre dimore: la prima inedificata, eterna, perché è essa stessa la sede dell'eternità; la seconda, sua primogenita, è questo mondo visibile; la terza, sua secondogenita, è l'anima dell'uomo.[fonte 13]
  • Non è dunque filosofo se non chi immagina e riproduce.
Non est enim philosophus, nisi qui fingit et pingit.[fonte 14]
  • Ogni volta, infatti, che riteniamo che rimanga una qualche verità da conoscere, un qualche bene da raggiungere, noi sempre ricerchiamo un'altra verità ed aspiriamo ad un altro bene. Insomma l'indagine e la ricerca non si appagheranno nel conseguimento di una verità limitata e di un bene definito. [...] Nello stesso modo la materia particolare, sia essa corporea o incorporea, non assume mai una struttura definitiva, e non essendo paga delle forme particolari assunte in eterno, aspira nondimeno in eterno al conseguimento di nuove forme.[fonte 15]
  • Per ciò che si riferisce alle discipline intellettuali possa io tener lontano da me non solo la consuetudine di credere, instillata da maestri e genitori, ma anche quel senso comune che in molti casi e luoghi (per quanto ho potuto giudicare io stesso) appare colpevole di inganno e di raggiro; possa io tenerli lontani in maniera da non affermare mai nulla, nel campo della filosofia, sconsideratamente e senza ragione; e siano per me ugualmente dubbie tutte le cose, tanto quelle che sono reputate astrusissime e assurde, quanto quelle che sono considerate le più certe ed evidenti, tutte le volte che vengono messe in discussione.[fonte 16]
  • Venni, tra gli altri io, attratto dal desiderio di visitare la casa della sapienza, ardente di contemplare codesto Palladio, onde non mi vergogno d'aver sopportato la povertà, la malevolenza e l'odio dei miei, le esacrazioni, le ingratitudini di coloro ai quali volli giovare e giovai, gli effetti d'un'estrema barbarie e d'un'avarizia sordidissima; [...]. Per il che non mi duole d'esser incorso in fatiche, dolori, esilio: ché faticando profittai, soffrendo feci esperienza, vivendo esule imparai: ché trovai in breve fatica lunga quiete, in leggera sofferenza gaudio immenso, in un angusto esilio una patria grandissima.[fonte 17]

Costituti modifica

  • Io dirò la verità, più volte m'è stato minacciato de farmi venire a questo Santo Offitio, et sempre l'ho tenuto per burla, perche io son pronto a dar conto di me. (dal I costituto[4])
  • Io ho nome Giordano della famiglia di Bruni, della città de Nola vicina a Napoli dodeci miglia [...] et la professione mia è stata et è di littere et d'ogni scienzia [...] e nacqui, per quanto ho inteso dalli miei, dell'anno '48. (dal I costituto)
  • Io stetti in Noli, come ho detto di sopra, circa quattro mesi, insegnando la grammatica a figliuoli e leggendo la Sfera a certi gentilomini; e doppoi me partii de là ed andai prima a Savona, deve stetti circa quindici giorni. (dal II costituto)
  • Andai a Paris, dove me messi a legger una lezione straordinaria per farmi conoscere e a far saggio di me. (dal II costituto)
  • Parlando cristianamente e secondo la teologia e che ogni fidel cristiano e catolico deve creder, ho in effetti dubitato circa il nome di persona del Figliuolo e del Spirito santo, non intendendo queste due persone distinte dal Padre se non nella maniera che ho detto de sopra, parlando filosoficamente. (dal III costituto)
  • Quando alla seconda persona io dico che realmente ho tenuto essere in essenzia una con la prima, e cusì la terza; perché essendo indistinte in essenzia, non possono patire inequalità [...] solo ho dubitato come questa seconda persona se sia incarnata [...], ma non ho però mai ciò negato né insegnato. (dal III costituto)
  • Io credo che nelle mie opere si troveranno scritte molte cose, quali saranno contrarie alla fede catolica [...] ma però io non ho detto né scritto queste cose ex professo, né per impugnar direttamente la fede catolica, ma fondandomi solamente nelle raggioni filosofiche o recitando le opinion de eretici. (dal IV costituto)
  • [Interrogato su sue presunte asserzioni che i miracoli di Gesù e degli Apostoli fossero opere magiche] Che cosa è questa? chi è stato che ha trovato queste diavolerie? Io non ha mai detto tal cosa, né mai mi passò per l'imaginazione tal cosa. (dal IV costituto)
  • Quanto a questo io ne ho parlato qualche volta, dicendo che il peccato della carne, parlando in genere, era il minor peccato delli altri. (dal IV costituto)
  • Questo non si troverà mai nelle mie parole, né meno nelle mie scritture, perché non ho mai detto né scritto che l'azioni del mondo si governano dal fato e non dalla providenzia divina; anzi ritrovarete nei miei libri che io pongo la providenzia ed il libero arbitrio, da che se comprende, come si dà il libero arbitrio, se oppugna il fato. (dal V costituto)
  • Io non tengo per nimico in queste parti alcun altro se non il S.r Gioanni Mocenigo ed altri suoi seguaci e servitori, dal quale sono stato più gravemente offeso che da omo vivente; perché lui me ha assassinato nella vita, nello onore e nelle robbe. (dal VI costituto)

Attribuite modifica

  • Bella Chiesa è questa governata da ignorantazzi et asini.[fonte 18]
  • La messa è una biastema e una mala cosa, perché in quella il pane non è transubstantiato ne la carne di Christo, come dite voi altri, e come ne la messa si alza su l'ostia, così tu sarai alzato su la forca.[fonte 19]
  • Questo Papa [Clemente VIII] è un galant'huomo perché favorisce i filosofi e posso ancora io sperare d'essere favorito [...].[fonte 20][5]
  • Sino Christo ha peccato [nel Getsemani] quando non volse fare la volontà del Padre.[fonte 21]

Errate modifica

  • "Verrà un giorno che l'uomo si sveglierà dall'oblio e finalmente comprenderà chi è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, a una mente fallace, menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo. L'uomo non ha limiti e quando un giorno se ne renderà conto, sarà libero anche qui in questo mondo"
La citazione è riportata una delle prime volte, priva di fonte, su una pagina web nell'anno 2000[6]. Da un articolo su L'incontro[7] leggiamo che queste parole sarebbero state rivolte da Bruno prima di andare al rogo a un suo ipotetico discepolo di nome Sagredo. Da una recensione di Giuseppe Iannozzi[8] si conferma che la citazione è tratta da un testo edito nell'anno 2000[9], e che questo testo conterrebbe varie inesattezze sulla vita e le opere del filosofo, nonché interpretazioni soggettive e fuorvianti.

Cabala del cavallo pegaseo modifica

Incipit modifica

DIALOGO PRIMO
Interlocutori:
Sebasto, Saulino, Coribante

Sebasto: È il peggio che diranno che metti avanti metaffore, narri favole, raggioni in parabola, intessi enigmi, accozzi similitudini, tratti misterii, mastichi tropologie.
Saulino: Ma io dico la cosa a punto come la passa; e come la è propriamente, la metto avanti gli occhi.
Coribante: Id est, sine fuco, plane, candide[10]; ma vorrei che fusse cossí, come dite, da dovero.
Saulino: Cossí piacesse alli dei, che fessi tu altro che fuco con questa tua gestuazione, toga, barba e supercilio: come, anco quanto a l'ingegno, candide, plane et sine fuco, mostri a gli occhi nostri la idea della pedantaria.

Citazioni modifica

  • O sant'asinità, sant'ignoranza, | Santa stolticia e pia divozione, | Qual sola puoi far l'anime sí buone, | Ch'uman ingegno e studio non l'avanza; | [...] | La santa asinità di ciò non cura; | Ma con man gionte e 'n ginocchion vuol stare, | Aspettando da Dio la sua ventura. | Nessuna cosa dura, | Eccetto il frutto de l'eterna requie, | La qual ne done Dio dopo l'essequie. (dal sonetto anteposto alla declamazione, In lode dell'asino)
  • Gli uomini più divoti e santi, amatori et exequitori dell'antiqua e nova legge, absolutamente e per particolar privilegio son stati chiamati asini. (dalla declamazione)
  • Stolti del mondo son stati quelli ch'han formata la religione, gli ceremoni, la legge, la fede, la regola di vita; gli maggiori asini del mondo (che son quei che, privi d'ogni altro senso e dottrina, e voti d'ogni vita e costume civile, marciti sono nella perpetua pedanteria) son quelli che per grazia del cielo riformano la temerata e corrotta fede, medicano le ferite de l'impiagata religione, e togliendo gli abusi de le superstizioni, risaldano le scissure della sua veste; non son quelli che con empia curiosità vanno, o pur mai andâro perseguitando gli arcani della natura, computâro le vicissitudini de le stelle. (dalla declamazione)
  • O dunque forte, vittoriosa e trionfatrice mascella d'un asino morto, o diva, graziosa e santa mascella d'un polledro defunto, or che deve essere della santità, grazia e divinità, fortezza, vittoria e trionfo dell'asino tutto, intiero e vivente, – asino, pullo e madre, – se di quest'osso e sacrosanta reliquia la gloria ed exaltazion è tanta? [...] Pregate, pregate Dio, o carissimi, se non siete ancora asini, che vi faccia dovenir asini. (dalla declamazione)
  • A la verità nulla cosa è piú prossima e cognata che la scienza; la quale si deve distinguere, come è distinta in sé, in due maniere: cioè in superiore ed inferiore. La prima è sopra la creata verità, ed è l'istessa verità increata, ed è causa del tutto; atteso che per essa le cose vere son vere, e tutto quel che è, è veramente quel tanto che è. La seconda è verità inferiore, la quale né fa le cose vere né è le cose vere, ma pende, è prodotta, formata ed informata da le cose vere, ed apprende quelle non in verità, ma in specie e similitudine: perché nella mente nostra, dove è la scienza dell'oro, non si trova l'oro in verità, ma solamente in specie e similitudine. (Saulino: I dialogo)
  • [...] il dotto Agostino, molto inebriato di questo divino nettare, nelli suoi Soliloquii testifica che la ignoranza piú tosto che la scienza ne conduce a Dio, e la scienza piú tosto che l'ignoranza ne mette in perdizione. In figura di ciò vuole ch'il redentor del mondo con le gambe e piedi de gli asini fusse entrato in Gerusalemme, significando anagogicamente in questa militante quello che si verifica nella trionfante cittade. (Saulino: I dialogo)
  • Sebasto: Dunque, constantemente vuoi che non sia altro in sustanza l'anima de l'uomo e quella de le bestie? e non differiscano se non in figurazione?
    Onorio: Quella de l'uomo è medesima in essenza specifica e generica con quella de le mosche, ostreche marine e piante, e di qualsivoglia cosa che si trove animata o abbia anima: come non è corpo che non abbia o piú o meno vivace e perfettamente communicazion di spirito in se stesso. (II dialogo)
  • Quindi possete capire esser possibile che molti animali possono aver più ingegno e molto maggior lume d'intelletto che l'uomo (come non è burla quel che proferì Mosè del serpe, che nominò sapientissimo tra tutte l'altre bestie de la terra); ma per penuria d'instrumenti gli viene ad essere inferiore, come quello per ricchezza e dono de medesimi gli è tanto superiore. (Onorio: II dialogo)
  • Sebasto: Non volete dunque che sia l'intelligenza universale che muove?
    Onorio: Dico che la intelligenza efficiente universale è una de tutti; e quella muove e fa intendere; ma, oltre, in tutti è l'intelligenza particulare, in cui sono mossi, illuminati ed intendono; e questa è moltiplicata secondo il numero de gli individui. (II dialogo)
  • Con questa. Quella cosa, dicono, o devrà esser vera o falsa. Se è falsa, non può esser insegnata, perché del falso non può esser dottrina né disciplina: atteso che a quel che non è, non può accader cosa alcuna, e perciò non può accader anco d'esser insegnato. Se è vera, non può pure più che tanto essere insegnata: perché o è cosa la quale equalmente appare a tutti, e cossì di lei non può esser dottrina, e per conseguenza non può essere alcun dottore [...]; o è cosa, che altrimente ed inequalmente ad altri ed altri appare, e cossì in sé non può aver altro che opinabilità, e sopra lei non si può formar altro che opinione. (Onorio: II dialogo)

Citazioni su Cabala del cavallo pegaseo modifica

  • In effetti, fra Spaccio e Cabala c'è una diversità su questo punto: nel primo la punta della critica è rivolta anzitutto contro Lutero e i suoi seguaci, mentre nella seconda è sotto tiro il ciclo ebraico-cristiano nella sua complessità. (Michele Ciliberto)

Candelaio modifica

 
Frontespizio del Candelaio, 1582

Incipit modifica

ATTO PRIMO
SCENA I
Interlocutori:
Bonifacio, Ascanio

Bonifacio: Va' lo ritrova adesso adesso, e forzati di menarlo qua. Va', fa', e vieni presto.
Ascanio: Mi forzarrò di far presto e bene. Meglio un poco tardi, che un poco male: «Sat cito, si sat bene»[11].

Citazioni modifica

  • Nella tristezza ilare, nell'ilarità triste.
In tristitia hilaris, in hilaritate tristis. (in epigrafe)
  • Voi che tettate di muse da mamma, | e che natate su lor grassa broda | col musso, l'eccellenza vostra m'oda, | si fed'e caritad'il cuor v'infiamma. | Piango, chiedo, mendico un epigramma, | un sonetto, un encomio, un inno, un'oda | che mi sii posta in poppa over in proda, | per farmene gir lieto a tata e mamma | eimè ch'in van d'andar vestito bramo, | oimè ch'i' men vo nudo com'un Bia, | e peggio: converrà forse a me gramo | monstrar scuoperto alla Signora mia | il zero e menchia, com'il padre Adamo, | quand'era buono dentro sua badia. | Una pezzenteria | di braghe mentre chiedo, da le valli | veggio montar gran furia di cavalli. (dal sonetto anteposto all'epistola, A gli abbeverati nel fonte cavallino)
  • Ricordatevi, Signora, di quel che credo non bisogna insegnarvi: «Il tempo tutto toglie e tutto dà; ogni cosa si muta, nulla s'annichila; è un solo che non può mutarsi, un solo è eterno, e può perseverare eternamente uno, simile e medesmo» (dall'epistola)
  • Con questa filosofia l'animo mi s'aggrandisse, e me si magnifica l'intelletto. Però, qualunque sii il punto di questa sera ch'aspetto, si la mutazione è vera, io che son ne la notte, aspetto il giorno, e quei che son nel giorno, aspettano la notte. (dall'epistola)
  • Son tre materie principali intessute insieme ne la presente comedia: l'amor di Bonifacio, l'alchimia di Bartolomeo e la pedanteria di Manfurio. (incipit dell'argumento)
  • Messer sì, ben considerato, bene appuntato, bene ordinato. Forse che non ho profetato che questa comedia non si sarrebbe fatta questa sera? Quella bagassa che è ordinata per rapresentar Vittoria e Carubina, ave non so che mal di madre. Colui che ha da rapresentar il Bonifacio, è imbraco che non vede ciel né terra da mezzodì in qua; e, come non avesse da far nulla, non si vuol alzar di letto; dice: – Lasciatemi, lasciatemi, ché in tre giorni e mezzo e sette sere, con quattro o dui rimieri, sarrò tra parpaglioni e pipistregli: sia, voga; voga, sia. (incipit dell'antiprologo)
  • L'autore[12], si voi lo conoscete, direste ch'ave una fisionomia smarrita: par che sii in contemplazione delle pene dell'inferno, par sii stato alla pressa come le barrette[13]: un che ride sol per far come fan gli altri: per il più lo vedrete fastidito e bizzarro, non si contenta di nulla, ritroso come un vecchio d'ottant'anni, fantastico com'un cane ch'ha ricevute mille spellicciate, pasciuto di cipolla. (dall'antiprologo)
  • Questa è una specie di tela, ch'ha l'ordimento e tessitura insieme: chi la può capir, la capisca; chi la vuol intendere, l'intenda. Ma non lascierò per questo di avertirvi che dovete pensare di essere nella regalissima città di Napoli, vicino al seggio di Nilo. Questa casa che vedete qua formata, per questa notte servirrà per certi barri, furbi e marioli, – guardatevi, pur voi, che non vi faccian vedovi di qualche cosa che portate adosso: – qua costoro stenderranno le sue rete, e zara a chi tocca[14]. (dal proprologo)
  • Questo animale che chiamiamo Amore, per il più suole assalire colui ch'ha poco da pensare e manco da fare. (Bartolomeo: atto I)
  • È buon segno quando le cose vanno per la mente: guardati che la mente non vadi essa per le cose, perché potrebbe rimaner attaccata con qualch'una di quelle, ed il cervello, la sera, indarno l'aspetterebbe a cena. (Gioan Bernardo: atto I)
  • I savi vivono per i pazzi, ed i pazzi per i savii. Si tutti fussero signori, non sarebbono signori: cossì, se tutti saggi, non sarebbono saggi, e se tutti pazzi, non sarebbono pazzi. Il mondo sta bene come sta. (Vittoria: atto II)
  • Erbe, parole e pietre son materia di virtù a presso certi filosofi matti ed insensati, li quali, odiati da Dio, dalla natura e dalla fortuna, si vedono morir di fame, lagnarsi senza un poverello quattrino in borsa; per temprar il tossico dell'invidia ch'hanno verso pecuniosi, biasmano l'oro, argento e possessori di quello. Poi quando mi accorgo, ecco che tutti questi vanno come cagnoli per le tavole de ricchi, veramente cani che non sanno con altro che col baiare acquistars' il pane. (Bartolomeo: atto III)
  • Il danaio contiene tutte l'altre quattro[15]: a chi manca il danaio, non solo mancano pietre, erbe e parole, ma l'aria, la terra, l'acqua, il fuoco e la vita istessa. (Bartolomeo: atto III)
  • L'uomo, senza l'argento ed oro, è come uccello senza piume, ché chi lo vuol prendere, sel prende, chi sel vuol mangiar, sel mangia. (Bartolomeo: atto IV)
  • Onore non è altro che una stima, una riputazione; però sta sempre intatto l'onore, quando la stima e riputazione persevera la medesima. Onore è la buona opinione che altri abbiano di noi: mentre persevera questa, persevera l'onore. E non è quel che noi siamo e quel [che] noi facciamo, che ne rendi onorati o disonorati, ma sì ben quel che altri stimano, e pensano di noi. (Gioan Bernardo: atto V)
  • È forza che gli doni e grazie sien divisi, a fin che l'uno abbi bisogno dell'altro, e, per conseguenza, l'uno ami l'altro. A chi è concesso il meritare, sii negato l'avere; a chi è concesso l'avere, sii negato il meritare. (Ascanio: atto V)

Citazioni su Candelaio modifica

  • Come avremo modo di osservare seguendo la trama del Candelaio, la scrittura di Bruno è l'abito di un realismo vitalistico e geniale, una sorta di sperimentalimo insofferente, senza riguardi per norme o consuetudini linguistiche, che concede di seguire in ogni direzione la molteplicità naturale del mondo, tanto quello fisico quanto quello del sentimento e dell'ingegno. (Antonio Riccardi)
  • Come opera d'arte non è bella, ma è ammirabile per forza d'ingegno. (Luigi Settembrini)
  • Cosa è questo primo lavoro? Una commedia, il Candelaio. Bruno vi sfoga le sue qualità poetiche e letterarie. La scena è in Napoli, la materia è il mondo plebeo e volgare, il concetto è l'eterna lotta degli sciocchi e de' furbi, lo spirito è il più profondo disprezzo e fastidio della società, la forma è cinica. È il fondo della commedia italiana dal Boccaccio all'Aretino, salvo che gli altri vi si spassano, massime l'Aretino, ed egli se ne stacca e rimane al di sopra. Chiamasi accademico di nulla accademia, detto il Fastidito. Nel tempo classico delle accademie il suo titolo di gloria è di non essere accademico. Quel fastidito ti dà la chiave del suo spirito. La società non gl'ispira più collera; ne ha fastidio, si sente fuori e sopra di essa. (Francesco De Sanctis)
  • È stato detto che il Candelaio è una fosca rappresentazione pessimistica; ma né il Bruno in quanto filosofo può dirsi pessimista, né in questa sua commedia c'è la poesia del pessimismo. E sebbene si usi ora discorrerne come di una possente creazione d'arte, il giudizio del De Sanctis [...] mi pare che, se non in ogni deduzione, nella sua conclusione, debba rimaner saldo, per quel che concerne il Candelaio: un uomo come il Bruno (egli dice) «era destinato a speculare sull'uno e sul medesimo, non certo a fare un'opera d'arte». (Benedetto Croce)
  • Il Candelaio costituisce, nell'intera opera di Bruno, l'esempio, fin dalla dimostrazione del genere, del peso e dell'importanza che la letteratura ha per il filosofo: la commedia, anzitutto, con l'amplissima parodia del linguaggio del Petrarca e del petrarchismo cinquecentesco nel proprologo e nel prologo, quale poi ritornerà nella dedicatoria e nell'argomento degli Eroici furori, a testimonianza di un impegno particolarmente accanito e prolungato del Bruno nei confronti della situazione letteraria contemporanea. (Giorgio Bàrberi Squarotti)
  • Il Candelaio è una commedia scellerata ed infame. (Scipione Maffei)
  • Il Candelaio, scritto in un volgare popolaresco ricco di napoletanismi plebei, ma non senza echi della tradizione burlesca rinascimentale (Aretino, Berni, ecc.) accanto a moduli parodici della retorica classica, riflette sul piano morale il momento di rottura con l'Ordine, né è da escludere che la composizione ne fosse stata iniziata prima dell'allontanamento dall'Italia. (Giovanni Aquilecchia)
  • Il Candelaio si presenta così come una commedia filosofica, mentre i dialoghi mettono in scena qua e là una filosofia in commedia. In entrambi i casi, il Nolano fa deflagrare gli elementi costitutivi del genere. (Nuccio Ordine)
  • Nel 1582, la pubblicazione del Candelaio, una commedia ambientata nella Napoli famelica e corrotta del tardo Cinquecento, gli alienò le simpatie della Corte, della Chiesa e del mondo accademico. Il lavoro era infatti una satira feroce contro il clero, gli eruditi e i pedanti, in cui molti professori della Sorbona credettero di riconoscersi, e forse non avevano torto perché Bruno ebbe per tutta la vita l'uzzolo della provocazione e del litigio. (Indro Montanelli e Roberto Gervaso)
  • Scrive molto, Bruno. Ovunque si trovi nel suo eterno peregrinare entra ed esce dalle Università iscrivendosi a volte come allievo, altre come docente, e ovunque si segnala per la vivacità del temperamento e l'ingegno brillante. Né scrive solo di filosofia o sulla mnemotecnica. Scrive anche per il teatro, componendo Il Candelaio. Vi appare un mondo corrotto e violento del quale si ride, ma si ride con l'amarezza che qualche volta noi riserviamo alle satire politiche dei nostri tempi che ci fanno sorridere, ma ci fanno sorridere amaramente. (Corrado Augias)
  • Tratti che campeggiano poi nel Candelaio, nel quale è descritta una società senza virtù, senza giustizia, senza pudore e carità. (Michele Ciliberto)

Cantus Circaeus modifica

 
Ricostruzione di un'illustrazione dal Cantus Circaeus: ruota mnemonica

Incipit modifica

DIALOGO PRIMO
Interlocutori:
Circe, Meri

Circe: Sole che illumini il tutto. Apollo, inventore del canto, cinto della faretra, arciere potente nello scagliare i dardi, Pizio, ornato di alloro, divinatore, pastore, vate, augure e medico. Febo, roseo, dalla lunga chioma, belcrinito, dorato, splendente, sereno, suonatore di cetra, cantore e rivelatore del vero.

[Giordano Bruno, Il canto di Circe, in Le ombre delle idee – Il canto di Circe – Il sigillo dei sigilli, traduzione e note di Nicoletta Tirinnanzi, BUR, Milano, 2008]

Citazioni modifica

  • Per vedere la maga figlia del gran sole, | spingendoti fuori da questi rifugi, | senza ostacoli verrai nel dominio Circeo, | che non è affatto racchiuso entro angusti confini. | Per vedere le belanti pecore e i muggenti buoi, | per vedere i saltellanti padri dei capretti, | tu verrai, e per vedere tutti quanti gli animali del campo, | e tutte le belve della selva. | Con vario ed armonioso canto si leveranno qua e là i volatili nel cielo, | aggirandosi per la terra, sull'onda e nell'aere. | Mentre lasceranno che tu passi indisturbato i pesci del mare, | mantenendosi nel loro naturale silenzio. | Bada però che quando ti accosterai alla dimora, | per ritrovare gli animali domestici: | allora infatti proprio di fronte alle porte ed all'ingresso dell'atrio | facendosi avanti tutto fangoso, | ti correrà incontro il porco, e se per caso gli andrai troppo accosto, | col fango, colle zanne e con gli zoccoli | quello ti morderà, ti sporcherà, ti calpesterà, | e col suo grugnito t'importunerà. | Sulla soglia poi, e nello stesso ingresso dell'atrio, | il genere di bestie latranti che là se ne sta in ozio, | ti sarà molesto per il gran abbaiare, | e terribile per le fauci. | Se per questo non smarrirai il senso, e se neanche i cani si infurieranno, | per timore tu delle loro zanne, quelli del tuo bastone, | quelli non ti morderanno, tu non li picchierai: | sarai libero di passare, né quelli ti saranno di ostacolo. | Superate con solerte industria tutte queste prove, | mentre ti addentri nei luoghi più celati, | ti verrà incontro il solare volatile, il gallo, | per condurti in presenza della figlia del sole. (da Giordano al libro; 2008)
  • Ecco che sotto una scorza umana sono celati animali ferini. Conviene forse che un'anima bestiale abiti un corpo di uomo come se questo fosse una dimora cieca e ingannevole? Dove sono le leggi che per diritto governano la natura?... Vi scongiuro, per i ministri menzogneri che proteggono il volto degli errori, per l'alta potenza dei custodi che sono presidio della natura, strappando da ciascuno individuo di specie bestiali le sembianze umane, fate sì che questi esseri si mostrino nelle loro figure esteriori e veritiere. (Circe: dialogo I; 2008)
  • Meri: Sono scossa dal terrore, mia dea e regina, giacché adesso belve terribili a vedersi ci minacciano.
    Circe: Avevi paura poco fa?
    Meri: In verità no. (dialogo I; 2008)
  • Circe: Adesso hai dunque meno ragione di preoccuparti.
    Meri: Com'è possibile?
    Circe: Questi che adesso vedi (come hai riconosciuto tu stessa) nel loro aspetto di animali bruti e di bestie non sono per niente diversi da quelli che poco fa vedevi come uomini, se non perché ora soltanto hanno reso evidenti quelle unghie, quei denti, quegli aculei e quelle corna che prima celavano. Anzi, voglio che ti sia ben chiaro questo: poiché adesso sono privi di quell'organo che è efficacissimo nel ferire l'intimo stesso degli animi, sono divenuti tutti quanti meno nocivi e temibili.
    Meri: Quale organo è questo?
    Circe: La lingua.
    Meri: Che gli dei mi aiutino, temo più quanto potevano fare che quanto potevano dire.
    Circe: Mostri dunque meno giudizio. (dialogo I; 2008)
  • Circe: Il porco è infatti un animale A. avaro, B. barbaro, C. coperto di fango, D. duro, E. errante qua e là, F. fetido, G. goloso, H. ha un debole senno, K. Cocciuto, L. lascivo, M. molesto, N. non è buono a nulla, O. ocioso, P. pertinace, Q. querulo, R. rude, S. stolto, T. turgido, V. vile, X. Lunatico, Y. Auricolato, Z. volubile, Ψ. non si dice buono se non quando è morto.
    Meri: Componendo l'alfabeto porcino, o Circe, hai dimenticato una delle lettere più necessarie.
    Circe: Non è stato fatto a caso, giacché questa lettera è implicata in tutte le altre come pure sembra essere la lettera delle lettere stesse. Ad uno dunque tutto si riporti, come in tutto è stato riportato uno. A. ingrato, B. immondo, C. irragionevole... (dialogo I; 2008)
  • Quella è la stessa razza di barbari che condanna e attacca tutto quanto non intende: così adesso questi cani, vili e smascherati per tali dal loro stesso aspetto, latrano contro tutti gli sconosciuti, anche se vengono con intenti benefici, mentre si fanno più miti con quelli che conoscono, per quanto siano malvagi e scellerati. (Circe: dialogo I; 2008)

Citazioni su Cantus Circaeus modifica

  • Nel Cantus Circaeus, invece, balza in primo piano quello che è un altro motivo strutturale della «mente» del Nolano: la problematica di ordine morale. (Michele Ciliberto)

De gli eroici furori modifica

Incipit modifica


DIALOGO PRIMO
Interlocutori:
Tansillo, Cicada


Tansillo: Gli furori, dunque, atti piú ad esser qua primieramente locati e considerati, son questi che ti pono avanti secondo l'ordine a me parso piú conveniente.
Cicada: Cominciate pur a leggerli.
Tansillo: Muse, che tante volte ributtai,
Importune correte a' miei dolori,
Per consolarmi sole ne' miei guai
Con tai versi, tai rime e tai furori,
Con quali ad altri vi mostraste mai,
Che de mirti si vantan ed allori;
Or sia appo voi mia aura, àncora e porto,
Se non mi lice altrov'ir a diporto.
O monte, o dive, o fonte
Ov'abito, converso e mi nodrisco;
Dove quieto imparo ed imbellisco;
Alzo, avvivo, orno il cor, il spirto e fronte,
Morte, cipressi, inferni
Cangiate in vita, in lauri, in astri eterni.

Citazioni modifica

  • La poesia non nasce da le regole, se non per leggerissimo accidente; ma le regole derivano da le poesie: e però tanti son geni e specie di vere regole, quanti son geni e specie di veri poeti. (Tansillo: parte prima, dialogo I)
  • L'amor fa dovenir li vecchi pazzi, e gli giovani savii. (Cicada: parte prima, dialogo I)
  • Cicada: Da qua si vede che l'ignoranza è madre della felicità e beatitudine sensuale; e questa medesima è l'orto del paradiso de gli animali; come si fa chiaro nelli dialogi de la Cabala del cavallo Pegaseo e per quel che dice il sapiente Salomone: chi aumenta sapienza, aumenta dolore.
    Tansillo: Da qua avviene che l'amore eroico è un tormento, perché non gode del presente, come il brutale amore; ma e del futuro e de l'absente, e del contrario sente l'ambizione, emulazione, suspetto e timore. Indi dicendo una sera dopo cena un certo de nostri vicini: – Giamai fui tanto allegro quanto sono adesso; – gli rispose Gioan Bruno, padre del Nolano: – Mai fuste piú pazzo che adesso. –
    Cicada: Volete dunque, che colui che è triste, sia savio, e quell'altro ch'è piú triste, sia piú savio?
    Tansillo: Non, anzi intendo in questi essere un'altra specie di pazzia, ed oltre peggiore.
    Cicada: Chi dunque sarà savio, se pazzo è colui ch'è contento, e pazzo è colui ch'è triste?
    Tansillo: Quel che non è contento, né triste.
    Cicada: Chi? quel che dorme? quel ch'è privo di sentimento? quel ch'è morto?
    Tansillo: No; ma quel ch'è vivo, vegghia ed intende; il quale considerando il male ed il bene, stimando l'uno e l'altro come cosa variabile e consistente in moto, mutazione e vicissitudine (di sorte ch'il fine d'un contrario è principio de l'altro, e l'estremo de l'uno è cominciamento de l'altro), non si dismette, né si gonfia di spirito, vien continente nell'inclinazioni e temperato nelle voluptadi; stante ch'a lui il piacere non è piacere, per aver come presente il suo fine. Parimente la pena non gli è pena, perché con la forza della considerazione ha presente il termine di quella. Cossí il sapiente ha tutte le cose mutabili come cose che non sono, ed afferma quelle non esser altro che vanità ed un niente; perché il tempo a l'eternità ha proporzione come il punto a la linea. (parte prima, dialogo II)
  • In viva morte morta vita vivo! (Tansillo: parte prima, dialogo II)
  • Tansillo: Poneno, e sono, piú specie de furori, li quali tutti si riducono a doi geni: secondo che altri non mostrano che cecità, stupidità ed impeto irrazionale che tende al ferino insensato; altri consisteno in certa divina abstrazione per cui dovegnono alcuni megliori, in fatto, che uomini ordinarii. E questi sono de due specie [...].
    Cicada: Di questi doi geni quali stimi megliori?
    Tansillo: Gli primi hanno piú dignità, potestà ed efficacia in sé, perché hanno la divinità; gli secondi son essi piú degni, piú potenti ed efficaci, e son divini. Gli primi son degni come l'asino che porta li sacramenti; gli secondi come una cosa sacra. Nelli primi si considera e vede in effetto la divinità; e quella s'admira, adora ed obedisce; ne gli secondi si considera e vede l'eccellenza della propria umanitade. (parte prima, dialogo III)
  • Tansillo: L'eroico ingegno si contenta più tosto di cascar o mancar degnamente e nell'alte imprese, dove mostre la dignità del suo ingegno, che riuscir a perfezione in cose men nobili e basse.
    Cicada: Certo che meglio è una degna ed eroica morte, che un indegno e vil trionfo.
    Tansillo: A cotal proposito feci questo sonetto:
    Poi che spiegat'ho l'ali al bel desio, | Quanto piú sott'il piè l'aria mi scorgo, | Piú le veloci penne al vento porgo, | E spreggio il mondo, e vers'il ciel m'invio. | Né del figliuol di Dedalo il fin rio | Fa che giú pieghi, anzi via piú risorgo. | Ch'i' cadrò morto a terra, ben m'accorgo, | Ma qual vita pareggia al morir mio?[16]
    Cicada: Io intendo quel che dice: basta ch'alto mi tolsi; ma non quando dice: e da l'ignobil numero mi sciolsi, s'egli non intende d'esser uscito fuor de l'antro platonico, rimosso dalla condizion della sciocca ed ignobilissima moltitudine; essendo che quei che profittano in questa contemplazione, non possono esser molti e numerosi.
    Tansillo: Intendi molto bene. (parte prima, dialogo III)
  • [...] non è cosa naturale né conveniente che l'infinito sia compreso, né esso può donarsi finito: percioché non sarebbe infinito [...]. (Tansillo: parte prima, dialogo IV)
  • Ogni amore procede dal vedere: l'amore intelligibile dal vedere intelligibilmente; il sensibile dal vedere sensibilmente. (Tansillo: parte prima, dialogo IV)
  • Non è armonia e concordia dove è unità, dove un essere vuol assorbir tutto l'essere; ma dove è ordine ed analogia di cose diverse; dove ogni cosa serva la sua natura. (Tansillo: parte prima, dialogo IV)
  • Più facilmente determina e condanna chi manco considera. (Tansillo: parte prima, dialogo V)
  • Cesarino: Come intendi che la mente aspira alto? verbi grazia, con guardar sempre alle stelle? al cielo empireo? sopra il cristallino?
    Maricondo: Non certo, ma procedendo al profondo della mente, per cui non fia mistiero massime aprir gli occhi al cielo, alzar alto le mani, menar i passi al tempio, intonar l'orecchie de simulacri, onde piú si vegna exaudito; ma venir al piú intimo di sé, considerando che Dio è vicino, con sé e dentro di sé piú ch'egli medesimo esser non si possa; come quello ch'è anima de le anime, vita de le vite, essenza de le essenze: atteso poi che quello che vedi alto o basso, o incirca (come ti piace dire) degli astri, son corpi, son fatture simili a questo globo in cui siamo noi, e nelli quali non piú né meno è la divinità presente che in questo nostro, o in noi medesimi. (parte seconda, dialogo I)
  • Nessuna potenza et appulso naturale è senza gran raggione. (Severino: parte seconda, dialogo IV)
  • Accade in color che amano la verità e la bontà [...] s'adirano tanto contro quelli che la vogliono adulterare, guastare, corrompere [...], come son trovati di quelli che si son ridutti sino alla morte, alle pene ed essere ignominiosamente trattati da gli popoli ignoranti e sette volgari. (Severino: parte seconda, dialogo IV)

Citazioni su De gli eroici furori modifica

  • Degli eroici furori ricorda la Vita nuova di Dante: una filza di sonetti, ciascuno col suo commento, il quale nella sua generalità è una dottrina allegorica intorno all'entusiasmo e alla ispirazione. (Francesco De Sanctis)
  • L'uomo è parte essenziale della natura e la presenza in essa del divino si traduce ineluttabilmente in presenza del divino nell'umano, manifestantesi in quell'eroico furore, in sé sforzo incessante, mai esausto, mai appagato di ricerca della verità. (Gabriele La Porta)
  • Questi voli metafisici ricordano da vicino il sapiente indiano che trascende il saṃsāra e, squarciando il velo di Māyā, diventa puro soggetto della conoscenza. Ma ci sono altre affinità tra la filosofia di Bruno e quella indiana, per esempio il monismo, la metempsicosi o trasformazione palingenetica dell'anima individuale, la concentrazione per giungere alla vita intellettiva e anche l'amore per tutte le creature. (Anacleto Verrecchia)

De innumerabilibus, immenso et infigurabili modifica

  • A me non è mestieri trascorrere ai confini della terra: | basta mi profondi nella mente; basta che sopra a tutto | vivamente desideri, per se medesima, la luce divina, | e col sommo del mio ingegno mi sforzi di pervenire al cospetto della maestà sua, | bramando e sperando di potermi beare nel di lei volto. | E, mirabile a dirsi quanto ella sia dappresso, mirabile come ben pronta s'appresenti.[fonte 22]
  • Alla mente che ha ispirato il mio cuore con arditezza d'immaginazione piacque dotarmi le spalle di ali e condurre il mio cuore verso una meta stabilita da un ordine eccelso: in nome del quale è possibile disprezzare e la fortuna e la morte. Si aprono arcane porte e si spezzano le catene che solo pochi elusero e da cui solo pochi si sciolsero. I secoli, gli anni, i mesi, i giorni, le numerose generazioni, armi del tempo, per le quali non sono duri né il bronzo, né il diamante, hanno voluto che noi rimanessimo immuni dal loro furore.[fonte 23]
  • Allora da Trismegisto sarà detto grande miracolo l'uomo che si muta in dio quasi fosse un dio egli stesso; che cerca di essere il tutto come dio è in tutto; che aspira all'oggetto illimitato (tuttavia dovunque da circoscrivere), come illimitato è dio, immenso, dovunque totalmente.
Hinc "miraculum magnum a Trismegisto appellabitur homo", qui in deum transeat quasi ipse sit deus, qui conatur omnia fieri, sicut deus est omnia; ad obiectum sine fine (ubique tamen finiendo) contendit, sicut infinitus est deus, immensus, ubique totus. (I.1)
  • [Sul Vesuvio] Allora io, rivoltomi da quella parte con i miei limpidi occhi, contemplando quella figura informe e percorrendo con lo sguardo il suo aspetto, nient'altro che un ammasso nerastro di terra, dissi: quello con il dorso prominente, quello con la schiena curva e dentellata, che raggiunge e fende il cielo? Tanto distante di qui, brutto, coperto di fumo, non produce alcun frutto, né pomi, né uva, né dolci fichi: è privo di alberi e di orti, oscuro, tetro, triste, truce, vile, avaro. Ma tu[17], sorridendo: eppure è mio fratello e mi ama, e vuole bene anche a te. Osservalo bene, dunque, e non disprezzare le sue blandizie. So che non farà niente che ti sia molesto, e se non vorrai rimanerci ritornerai.[fonte 24]

Citazioni su De innumerabilibus, immenso et infigurabili modifica

  • Il De immenso, insomma, non va letto soltanto come una pura e semplice versificazione della dottrina filosofica del Nolano, ma come il risultato della suprema ambizione di raggiungere la perfetta armonia e consonanza di poesia e pensiero attraverso la mediazione dell'«eroico furore» che muove la ricerca filosofica e, al tempo stesso, l'elaborazione poetica. (Giorgio Barberi Squarotti)

De l'infinito, universo e mondi modifica

Incipit modifica


DIALOGO PRIMO
Interlocutori:
Elpino, Filoteo, Fracastorio, Burchio


Elpino: Come è possibile che l'universo sia infinito?
Filoteo: Come è possibile che l'universo sia finito?
Elpino: Volete voi che si possa dimostrar questa infinitudine?
Filoteo: Volete voi che si possa dimostrar questa finitudine?
Elpino: Che dilatazione è questa?
Filoteo: Che margine è questa?

Citazioni modifica

  • Se io, illustrissimo Cavalliero, contrattasse l'aratro, pascesse un gregge, coltivasse un orto, rassettasse un vestimento, nessuno mi guardarebbe, pochi m'osservarebono, da rari sarei ripreso e facilmente potrei piacere a tutti. Ma per essere delineatore del campo de la natura, sollecito circa la pastura de l'alma, vago de la coltura de l'ingegno e dedalo circa gli abiti de l'intelletto, ecco che chi adocchiato me minaccia, chi osservato m'assale, chi giunto mi morde, chi compreso mi vora; non è uno, non son pochi, son molti, son quasi tutti. (incipit dell'epistola)
  • Ottavo, da quel che nessun senso nega l'infinito, atteso che non lo possiamo negare per questo, che non lo comprendiamo col senso; ma da quel, che il senso viene compreso da quello e la raggione viene a confirmarlo lo doviamo ponere. (dall'epistola)
  • Ecco la raggion della mutazion vicissitudinale del tutto, per cui cosa non è di male da cui non s'esca, cosa non è di buono a cui non s'incorra, mentre per l'infinito campo, per la perpetua mutazione, tutta la sustanza persevera medesima ed una. [...] e verremo certamente piú grandi che que' dei che il cieco volgo adora, perché dovenerremo veri contemplatori dell'istoria de la natura, la quale è scritta in noi medesimi, e regolati executori delle divine leggi, che nel centro del nostro core son inscolpite. (dall'epistola)
  • E chi mi impenna, e chi mi scalda il core? | Chi non mi fa temer fortuna o morte? | Chi le catene ruppe e quelle porte, | Onde rari son sciolti ed escon fore? | L'etadi, gli anni, i mesi, i giorni e l'ore | Figlie ed armi del tempo, e quella corte | A cui né ferro, né diamante è forte, | Assicurato m'han dal suo furore. | Quindi l'ali sicure a l'aria porgo; | Né temo intoppo di cristallo o vetro, | Ma fendo i cieli e a l'infinito m'ergo. | E mentre dal mio globo a gli altri sorgo, | E per l'eterio campo oltre penetro: | Quel ch'altri lungi vede, lascio al tergo. (dall'epistola)
  • Ma, per venire alla conclusione [...] nel spacio infinito o potrebono essere infiniti mondi simili a questo, o che questo universo stendesse la sua capacità e comprensione di molti corpi, come son questi, nomati astri; ed ancora che (o simili o dissimili che sieno questi mondi) non con minor raggione sarebe bene a l'uno l'essere che a l'altro; perché l'essere de l'altro non ha minor raggione che l'essere de l'uno, e l'essere di molti non minor che de l'uno e l'altro, e l'essere de infiniti che di molti. Là onde, come sarebe male la abolizione ed il non essere di questo mondo, cossì non sarebe buono il non essere de innumerabili altri. (Elpino: dialogo I)
  • Io dico Dio tutto infinito, perché da sé esclude ogni termine ed ogni suo attributo è uno ed infinito; e dico Dio totalmente infinito, perché tutto lui è in tutto il mondo, ed in ciascuna sua parte infinitamente e totalmente: al contrario dell'infinità de l'universo, la quale è totalmente in tutto, e non in queste parti (se pur, referendosi all'infinito, possono esser chiamate parti) che noi possiamo comprendere in quello. (Filoteo: dialogo I)
  • [...] la fede si richiede per l'instituzione di rozzi popoli che denno esser governati, e la demostrazione per gli contemplativi che sanno governar sé ed altri. (Fracastorio: dialogo I)
  • Dico, dunque, che nelle cose è da contemplare, se cossì volete doi principii attivi di moto: l'uno finito secondo la raggione del finito soggetto, e questo muove in tempo; l'altro infinito secondo la raggione dell'anima del mondo, overo della divinità, che è come anima de l'anima, la quale è tutta in tutto e fa esser l'anima tutta in tutto; e questo muove in istante. (Filoteo: dialogo I)
  • Uno dunque è il cielo, il spacio immenso, il seno, il continente universale, l'eterea regione per la quale il tutto discorre e si muove. Ivi innumerabili stelle, astri, globi, soli e terre sensibilmente si veggono, ed infiniti raggionevolmente si argumentano. L'universo immenso ed infinito è il composto che resulta da tal spacio e tanti compresi corpi. (Filoteo: dialogo III)
  • Ha molto conosciuto e visto questo galantuomo [Nicola Cusano] ed è veramente uno de particularissimi ingegni ch'abbiano spirato sotto questo aria; ma, quanto a l'apprension de la verità, ha fatto qual nuotatore da tempestosi flutti ormesso alto or basso; perché non vedea il lume continuo, aperto e chiaro, e non nuotava come in piano e tranquillo ma interrottamente e con certi intervalli. La raggion di questo è che lui non avea evacuati tutti gli falsi principii de quali era imbibito dalla commune dottrina [peripatetica] onde era partito [...]. (Filoteo: dialogo III)
  • Burchio: Cossì dunque gli altri mondi sono abitati come questo?
    Fracastorio: Se non cossì e se non megliori, niente meno e niente peggio. (dialogo III)
  • Onde possiamo stimare che de stelle innumerabili sono altre tante lune, altre tanti globi terrestri, altre tanti mondi simili a questo; circa gli quali par che questa terra si volte, come quelli appaiono rivolgersi ed aggirarsi circa questa terra. (Fracastorio: dialogo III)
  • [...] abbassando gli occhi, si vede l'università di venti, nubi, nebbie e tempeste, flussi e reflussi che procedeno dalla vita e spiramento di questo grande animale e nume, che chiamiamo Terra [...]. (Fracastorio: dialogo III)
  • Resta, dunque, da sapere ch'è un infinito campo e spacio continente, il qual comprende e penetra il tutto. In quello sono infiniti corpi simili a questo, de quali l'uno non è piú in mezzo de l'universo che l'altro, perché questo è infinito, e però senza centro e senza margine; benché queste cose convegnano a ciascuno di questi mondi [...]. (Fracastorio: dialogo III)
  • Fracastorio: Voler con più raggioni mostrar la veritade a simili, è come se con più sorte di sapone e di lescìa più volte se lavasse il capo a l'asino; ove non se profitta più lavando cento che una volta, in mille che in un modo, ove è tutto uno l'aver lavato e non l'avere.
    Filoteo: Anzi, quel capo sempre sarà stimato più sordido in fine del lavare che nel principio ed avanti. (dialogo III)
  • Filoteo: Vedete ancora, che non è contra raggione la nostra filosofia, che reduce ad un principio e referisce ad un fine e fa concidere insieme gli contrarii, di sorte che è un soggetto primo dell'uno e l'altro; dalla qual coincidenza stimiamo ch'al fine è divinamente detto e considerato che li contrarii son ne gli contrarii, onde non sia difficile di pervenire a tanto che si sappia come ogni cosa è di ogni cosa: quel che non poté capire Aristotele ed altri sofisti.
    Albertino: Volentieri vi ascolto. So che tante cose e sí diverse conclusioni non si possono insieme e con una occasione provare; ma da quel, che mi scuoprite inconvenienti le cose che io stimava necessarie, in tutte l'altre, che con medesima e simil raggione stimo necessarie, dovegno suspetto. Però con silenzio ed attenzion mi apparecchio ad ascoltar i fondamenti, principii e discorsi vostri.
    Elpino: Vedrete che non è secol d'oro quello ch'ha apportato Aristotele alla filosofia. Per ora, espediscansi gli dubii da voi proposti. (dialogo V)

Explicit modifica

Elpino: È proprio di non addormentato ingegno da poco vedere ed udire posser considerare e comprender molto.
Albertino: Benché sin ora non mi sia dato di veder tutto il corpo del lucido pianeta, posso pur scorgere pe' raggi che diffonde per gli stretti forami de chiuse fenestre dell'intelletto mio, che questo non è splendor d'artificiosa e sofistica lucerna, non di luna o di altra stella minore. Però a maggior apprension per l'avenire m'apparecchio.
Filoteo: Gratissima sarà la vostra familiarità.
Elpino: Or andiamo a cena. (dialogo V)

Citazioni su De l'infinito, universo e mondi modifica

  • Quest'opera, dice a ragione Berti, è il massimo dei libri di Bruno; è il più importante che abbia dettato. Noi diremo di più; esso è il Vangelo, la buona novella dell'età moderna, dischiude nuovi cieli, apre orizzonti più vasti e luminosi allo spirito umano, e determina i destini segnati all'individuo sulla terra e all'umanità nello spazio e nel tempo. (David Levi)

De la causa, principio et uno modifica

 
Busto dedicato a Giordano Bruno, Avenida Bolivariana, Medellín, Colombia

Incipit modifica

DIALOGO PRIMO
Interlocutori:
Elitropio, Filoteo, Armesso

Elitropio: Qual rei nelle tenebre avezzi, che, liberati dal fondo di qualche oscura torre, escono alla luce, molti degli essercitati nella volgar filosofia ed altri paventaranno, admiraranno e, non possendo soffrire il nuovo sole de' tuoi chiari concetti, si turbaranno.
Filoteo: Il difetto non è di luce, ma di lumi: quanto in sé sarà piú bello e piú eccellente il sole, tanto sarà agli occhi de le notturne strige odioso e discaro di vantaggio.
Elitropio: La impresa che hai tolta, o Filoteo, è difficile, rara e singulare, mentre dal cieco abisso vuoi cacciarne e amenarne al discoperto, tranquillo e sereno aspetto de le stelle, che con sí bella varietade veggiamo disseminate per il ceruleo manto del cielo.

Citazioni modifica

  • La differenza tra la causa formale universale, la quale è una anima per cui l'universo infinito, come infinito, non è uno animale positiva – ma negativamente, e la causa formale particulare moltiplicabile e moltiplicata in infinito. (dall'epistola)
  • La prima e principal forma naturale, principio formale e natura efficiente, è l'anima de l'universo: la quale è principio di vita, vegetazione e senso in tutte le cose, che vivono, vegetano e sentono. (dall'epistola)
  • Non è cosa sí manca, rotta, diminuta e imperfetta, che, per quel che ha principio formale, non abbia medesimamente anima, benché non abbia atto di supposito che noi diciamo animale. E si conchiude, con Pitagora e altri, che non in vano hanno aperti gli occhi, come un spirito immenso, secondo diverse raggioni e ordini, colma e contiene il tutto. (dall'epistola)
  • Gli peripatetici e altri filosofi da volgo, benché nominano forma sustanziale, non hanno conosciuta altra sustanza che la materia. (dall'epistola)
  • La potenza coincide con l'atto e l'universo è tutto quello che può essere, quanto da altre raggioni, si conchiude ch'il tutto è uno. (dall'epistola)
  • Da questo possiamo inferire una essere la omniforme sustanza, uno essere il vero ed ente, che secondo innumerabili circostanze e individui appare, mostrandosi in tanti e sí diversi suppositi. (dall'epistola)
  • Lo ente, logicamente diviso in quel che è e può essere, fisicamente è indiviso, indistinto ed uno; e questo insieme insieme infinito, immobile, impartibile, senza differenza di tutto e parte, principio e principiato. (dall'epistola)
  • L'universo è tutto centro e tutto circonferenza. (dall'epistola)
  • Chi ha ritrovato quest'uno, dico la raggione di questa unità, ha ritrovata quella chiave, senza la quale è impossibile aver ingresso alla vera contemplazion de la natura. (dall'epistola)
  • L'altezza è profondità, l'abisso è luce inaccessa, la tenebra è chiarezza, il magno è parvo, il confuso è distinto, la lite è amicizia, il dividuo è individuo, l'atomo è immenso. (dall'epistola)
  • Gli contrarii veramente concorreno, sono da un principio e sono in verità e sustanza uno. (dall'epistola)
  • Amor, per cui tant'alto il ver discerno, | Ch'apre le porte di diamante e nere, | Per gli occhi entra il mio nume; e per vedere | Nasce, vive, si nutre, ha regno eterno. | Fa scorger quant' ha il ciel terr'ed inferno, | Fa presente d'absenti effigie vere, | Repiglia forze, e, trando dritto, fere, | E impiaga sempre il cor, scuopre ogn'intero. | O dunque, volgo vile, al vero attendi, | Porgi l'orecchio al mio dir non fallace, | Apri, apri, se può, gli occhi, insano e bieco. | Fanciullo il credi, perché poco intendi; | Perché ratto ti cangi, ei par fugace; | Per esser orbo tu, lo chiami cieco. (dal sonetto anteposto ai dialoghi)
  • Armesso: Volete, dunque, parer cane che morde, a fin che non ardisca ognuno di molestarvi?
    Filoteo: Cossí è, perché desidero la quiete, e mi dispiace il dispiacere.
    Armesso: Sí, ma giudicano che procedete troppo rigorosamente.
    Filoteo: A fine che non tornino un'altra volta essi, ed altri imparino di non venir a disputar meco e con altro, trattando con simili mezzi termini queste conclusioni.
    Armesso: La offesa fu privata, la vendetta è publica.
    Filoteo: Non per questo è ingiusta; perché molti errori si commettono in privato, che giustamente si castigano in publico.
    Armesso: Ma con ciò venite a guastare la vostra riputazione, e vi fate piú biasimevole che coloro; perché publicamente se dirà che siete impaziente, fantastico, bizarro, capo sventato.
    Filoteo: Non mi curo, pur che oltre non mi siano essi o altri molesti; e per questo mostro il cinico bastone, acciò che mi lascino star co' fatti miei in pace; e se non mi vogliono far carezze, non vegnano ad esercitar la loro inciviltà sopra di me. (dialogo I)
  • Voglio che siano considerate due sorte di forme: l'una, la quale è causa, non già efficiente, ma per la quale l'efficiente effettua; l'altra è principio, la quale da l'efficiente è suscitata da la materia. (Teofilo: dialogo II)
  • Dico dunque, che la tavola come tavola non è animata, né la veste, né il cuoio come cuoio, né il vetro come vetro; ma, come cose naturali e composte, hanno in sé la materia e la forma. Sia pur cosa quanto piccola e minima si voglia, ha in sé parte di sustanza spirituale; la quale, se trova il soggetto disposto, si stende ad esser pianta, ad esser animale, e riceve membri di qualsivoglia corpo che comunemente se dice animato: perché spirto si trova in tutte le cose, e non è minimo corpusculo che non contegna cotal porzione in sé che non inanimi. (Teofilo: dialogo II)
  • Se dunque il spirto, la anima, la vita si ritrova in tutte le cose e, secondo certi gradi, empie tutta la materia; viene certamente ad essere il vero atto e la vera forma de tutte le cose. L'anima, dunque, del mondo è il principio formale constitutivo de l'universo e di ciò che in quello si contiene. Dico che, se la vita si trova in tutte le cose, l'anima viene ad esser forma di tutte le cose: quella per tutto è presidente alla materia e signoreggia nelli composti, effettua la composizione e consistenzia de le parti. E però la persistenza non meno par che si convegna a cotal forma, che a la materia. (Teofilo: dialogo II)
  • La materia della natura non ha forma alcuna assolutamente; ma la materia dell'arte è una cosa formata già della natura. (Teofilo: dialogo III)
  • [Sulla materia] Bisogna dunque che sia una medesima cosa che da sé non è pietra, non terra, non cadavero, non uomo, non embrione, non sangue o altro; ma che, dopo che era sangue, si fa embrione, ricevendo l'essere embrione; dopo che era embrione, riceva l'essere uomo, facendosi omo; come quella formata dalla natura, che è soggetto de la arte, da quel che era arbore, è tavola, e riceve esser tavola; da quel che era tavola, riceve l'esser porta, ed è porta. (Teofilo: dialogo III)
  • Cossí la forma, significata per il maschio, essendo posta in familiarità della materia e venuta in composizione o copulazion con quella, con queste parole, o pur con questa sentenza risponde alla natura naturante[18]: Mulier, quam dedisti mihi, – idest, la materia, la quale mi hai dato consorte, – ipsa me decepit: hoc est, lei è caggione d'ogni mio peccato. (Polihimnio: dialogo IV)[19]
  • E li teologi, benché alcuni di quelli siano nodriti ne l'aristotelica dottrina, non mi denno però esser molesti in questo, se accettano esser piú debitori alla lor Scrittura che alla filosofia e natural raggione. (Teofilo: dialogo IV)
  • La medesima materia (voglio dir piú chiaro) il medesimo che può esser fatto o pur può essere, o è fatto, è per mezzo de le dimensioni ed extensioni del suggetto, e quelle qualitadi che hanno l'essere nel quanto; e questo si chiama sustanza corporale e suppone materia corporale; o è fatto (se pur ha l'essere di novo) ed è senza quelle dimensioni, extensione e qualità; e questo si dice sustanza incorporea, e suppone similmente detta materia. Cossí ad una potenza attiva tanto di cose corporali quanto di cose incorporee, over ad un essere tanto corporeo quanto incorporeo, corrisponde una potenza passiva tanto corporea quanto incorporea, e un posser esser tanto corporeo quanto incorporeo. Se dunque vogliamo dir composizione tanto ne l'una quanto ne l'altra natura, la doviamo intendere in una ed un'altra maniera; e considerar che se dice nelle cose eterne una materia sempre sotto un atto, e che nelle cose variabili sempre contiene or uno or un altro; in quelle la materia ha, una volta, sempre ed insieme tutto quel che può avere, ed è tutto quel che può essere; ma questa in piú volte, in tempi diversi, e certe successioni. (Teofilo: dialogo IV)
  • Dicsono: Tanto che non solamente secondo gli vostri principii, ma, oltre, secondo gli principii de l'altrui modi di filosofare, volete inferire che la materia non è quel prope nihil, quella potenza pura, nuda, senza atto, senza virtú e perfezione.
    Teofilo: Cossí è. La dico privata de le forme e senza quelle, non come il ghiaccio è senza calore, il profondo è privato di luce, ma come la pregnante è senza la sua prole, la quale la manda e la riscuote da sé; e come in questo emispero la terra, la notte, è senza luce, la quale con il suo scuotersi è potente di racquistare. (dialogo IV)
  • Lascio che, quando si dà la causa de la corrozione, non si dice che la forma fugge la materia o che lascia la materia, ma piú tosto che la materia rigetta quella forma per prender l'altra. (Teofilo: dialogo IV)
  • È dunque l'universo uno, infinito, inmobile. Una, dico, è la possibilità assoluta, uno l'atto, una la forma o anima, una la materia o corpo, una la cosa, uno lo ente, uno il massimo ed ottimo; il quale non deve posser essere compreso; e però infinibile e interminabile, e per tanto infinito e interminato, e per conseguenza inmobile. (Teofilo: dialogo V)
  • Se il punto non differisce dal corpo, il centro da la circonferenza, il finito da l'infinito, il massimo dal minimo, sicuramente possiamo affirmare che l'universo è tutto centro, o che il centro de l'universo è per tutto, e che la circonferenza non è in parte alcuna per quanto è differente dal centro, o pur che la circonferenza è per tutto, ma il centro non si trova in quanto che è differente da quella. (Teofilo: dialogo V)
  • Ogni produzione, di qualsivoglia sorte che la sia, è una alterazione, rimanendo la sustanza sempre medesima; perché non è che una, uno ente divino, immortale. (Teofilo: dialogo V)
  • In conclusione, chi vuol sapere massimi secreti di natura, riguardi e contemple circa gli minimi e massimi de gli contrarii e oppositi. Profonda magia è saper trar il contrario dopo aver trovato il punto de l'unione. A questo tendeva con il pensiero il povero Aristotele, ponendo la privazione (a cui è congionta certa disposizione) come progenitrice, parente e madre della forma; ma non vi poté aggiungere. Non ha possuto arrivarvi, perché, fermando il piè nel geno de l'opposizione, rimase inceppato di maniera che, non descendendo alla specie de la contrarietà, non giunse, né fissò gli occhi al scopo; dal quale errò a tutta passata, dicendo i contrarii non posser attualmente convenire in soggetto medesimo. (Teofilo: dialogo V)

Explicit modifica

Lodati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima e absolutissima causa, principio e uno. (Teofilo: dialogo V)

Citazioni su De la causa, principio et uno modifica

  • I quattro dialoghi più propriamente speculativi della Causa concernono la definizione dei tre termini enunciati nel titolo: "causa" e "principio" sono intesi, rispettivamente, come la "forma" e la "materia" che, indissolubilmente unite, costituiscono l'"uno", cioè il "tutto". Movendo dalla critica dei postulati della tradizione aristotelica, e non senza ricorso alle formulazioni di stampo neoplatonico ed ermetico, il B. giunge in tal modo a fornire una originale base teoretica alla propria cosmologia già in parte enunciata nella Cena e di lì a poco elaborata nei dialoghi De l'infinito. (Giovanni Aquilecchia)
  • La filosofia, nella sua massima espressione, si concretizza proprio in questa ricerca dell'Uno, in questa contemplazione della natura, in questo sforzo di cogliere l'invisibile nel visibile, l'unità nella molteplicità. (Nuccio Ordine)

De magia modifica

Incipit modifica

Prima di dissertare sulla magia, come su qualsiasi altro soggetto, il nome va distinto nei suoi significati: tanti sono i significati del termine magia, quante le specie dei maghi. Mago anzitutto significa sapiente, come lo erano i Trimegisti fra gli Egizi, i Druidi fra i Galli, i Gimnosofisti fra gli Indi, i Cabalisti fra gli ebrei, i Magi fra i Persiani (discendenti da Zoroastro), i Sofisti fra i Greci, i Sapienti fra i Latini.

Antequam De magia, sicut antequam de quocunque subiecto disseratur, nomen in sua significata est dividendum; totidem autem sunt significata magiae, quot et magi. Magus primo sumitur pro sapiente, cuiusmodi erant Trimegisti apud Aegyptios, Druidae apud Gallos, Gymnosophistae apud Indos, Cabalistae apud Hebraeos, Magi apud Persas (qui a Zoroastre), Sophi apud Graecos, Sapientes apud Latinos.

[Giordano Bruno, La magia, in La magia e le ligature, traduzione di Luciano Parinetto, Mimesis, Milano, 2000]

Citazioni modifica

  • Da Dio così v'è una discesa mediante il mondo all'essere animato, e dall'essere animato v'è un'ascesa mediante il mondo fino a Dio. (2000, p. 39)
  • In ogni cosa, in ogni vita si trova questa specie di senso, che non nominiamo animale al mondo del volgo, collegandolo ad una determinata anima; né possono essere nominate animali queste parti, ma con riferimento all'universo, spirito unico, ovunque insito, e senso inteso a captare ovunque le cose, che dappertutto sente tali effetti e passioni, constatabile in ogni cosa. (2000, p. 43)
  • Da qui si può prendere in considerazione la causa per la quale non solo l'azione concerne le cose vicine, ma pure quelle remote per il senso; mentre, in concreto, come si disse sopra, ogni cosa si verifica mediante la comunione dello spirito universale, tutto in tutto e in ogni parte del mondo. (2000, p. 51)
  • Corpo continuo è in verità il corpo insensibile, cioè lo spirito aereo ovvero etereo, attivissimo, ed efficacissimo, come quello mai collegato all'anima, per la somiglianza per cui più recede dalla rozzezza della ottusa sostanza sensibile dei composti. (2000, pp. 51-53)
  • Duplice è il movimento delle cose: naturale e preternaturale; quello naturale proviene da principio intrinseco; quello preternaturale da principio estrinseco; naturale è quello che armonizza con la natura, la solidità, la generazione; al contrario il preternaturale, è duplice: violento, contro natura, oppure ordinato e coordinabile, non in contrasto con la natura. (2000, p. 55)
  • [...] al demone non occorrono neanche orecchie, neppure voce o sussurro; penetra il senso interno, come si è detto. In questa maniera inviano sogni; fanno ascoltare voci, provocano visioni non solo, ma anche a chi è sveglio inculcano determinati pensieri a stento attribuibili a un altro, talvolta mediante enigmi, talvolta insinuando la verità mediante più precisi sensi, talaltro ingannando forse. (2000, p. 65)
  • La ligatura prima, da cui gli spiriti sono avvinti, è quella generale, e metaforicamente è figurata nell'avvinto Cerbero a tre teste di Trivia, portiere degli inferi: si tratta del triplice impegno, in fisica, matematica e metafisica, richiesto a chi liga, ovvero il mago. (2000, p. 73)
  • La quarta ligatura è l'anima del mondo, ovvero spirito cosmico, che accoppia ed unifica il tutto al tutto, e così ogni cosa si apre ad ogni cosa, come già detto. (2000, p. 73)
  • La ligatura della fantasia, per sé è lieve, a meno che la ligatura della cogitativa non ne raddoppi le forze. Infatti gli spettri che ligano e costringono l'animo dell'ingenuo, dello stolto, del credulo, della mente fanatica, sono derisi e spregiati come inani ombre dall'ingegno sobrio, ben nato e disciplinato. (2000, p. 91)
  • Di qui la nota sentenza di Ippocrate: Il più efficace dei medici è quello in cui molti hanno fede, in quanto liga molti, o coll'eloquio, o con l'aspetto, o con la notorietà. Ciò riguarda non solo il medico, ma anche ogni genere di mago, e quale che sia il titolo di potere, perché chi opera ligature difficilmente con altri mezzi potrà suscitare l'immaginazione.
    Ed i teologi credono ed ammettono e predicano su colui che per sé può compiere ogni cosa, ma che non era in grado di curare quelli che non avevano fede in lui, e l'esauriente spiegazione di simile impotenza va riportata all'immaginazione, che egli non fu in grado di ligare; i famigliari, infatti, cui la sua modesta origine ed educazione erano note, spregiavano ed irridevano il medico e il profeta: di qui il proverbio Nessun profeta è riconosciuto nella sua terra.
    È dunque più facile, per qualcuno, ligare colui che è meno noto, per mezzo dell'opinione e della disponibilità della fede, per la quale la potenza dell'anima si predispone in una certa maniera, si apre, si esplica, come se, per accogliere il sole, aprisse finestre che in altro frangente manterrebbe sigillate, e vien dato accesso a quelle impressioni che l'arte del ligatore esige, onde imporre successive ligature, come la speranza, la compassione, il timore, l'amore, l'odio, l'indignazione, l'ira, la gioia, la pazienza, lo spregio della vita, della morte, della fortuna, e tutti gli altri affetti, le cui forze dall'anima trasmigrano nel corpo, per modificarlo. (2000, pp. 91-93)

Citazioni su De magia modifica

  • Questo è il programma della magia di Giordano Bruno per il quale "non essendoci nell'universo parte più importante dell'altra" non è concesso all'uomo quel primato, prima biblico e poi cartesiano, che lo prevede "possessore e dominatore del mondo", ma semplice "cooperatore dell'operante natura (operanti naturae homines cooperatores esse possint)". Questa differenza è decisiva perché smaschera quella sotterranea parentela che, al di là delle dispute, lega la tradizione cristiana all'agnosticismo scientifico. L'una e l'altro infatti condividono la persuasione che l'uomo, disponendo dell'anima come vuole la religione o della facoltà razionale come vuole la scienza, è, tra gli enti di natura, l'ente privilegiato che può sottomettere a sé tutte le cose. A questa enfatizzazione cartesiana del soggetto (Ego cogito) preparata dalla tradizione giudaico-cristiana (per la quale l'uomo è immagine di Dio e quindi nel diritto di dominare su tutte le cose), Giordano Bruno contrappone un percorso radicalmente diverso da quello che caratterizzerà per secoli il pensiero europeo. Non il primato dell'uomo, ma il primato degli equilibri sempre instabili e sempre da ricostruire tra soggetto e oggetto, tra uomo e natura. La magia, che non è potere sulla natura, ma scoperta dai vincoli con cui tutte le cose si incatenano, secondo il modello eracliteo dell'"invisibile armonia", è la proposta filosofica di Bruno, antitetica sia alla scienza matematica che si alimenta della progettualità umana, sia alla religione che, se da un lato subordina l'uomo a Dio, non esita a considerarlo, fin dal giorno della sua cacciata dal paradiso terrestre, dominatore di tutte le cose. (Umberto Galimberti)
  • La magia di Bruno non è dunque superstizione, ma al contrario partecipazione dal di dentro alle potenzialità illimitate della natura [...] La magia di Bruno è ispirata al principio dell'amore universale, il quale è fondamentale nella tradizione ermetica. (Enzo Mazzi)

De umbris idearum modifica

Incipit modifica

DIALOGO PRELIMINARE APOLOGETICO DI FILOTEO GIORDANO BRUNO NOLANO RIGUARDO ALLE OMBRE DELLE IDEE PER IL SUO RITROVATO MNEMONICO
Interlocutori:
Ermes, Filotimo, Logifero

Ermes: Sei libero di proseguire. Non ignori infatti che medesimo è il sole, e medesima l'arte. Il medesimo sole fa conoscere ed onora le gesta di uno, espone al biasimo le azioni di un altro. Si contristano per la sua presenza le notturne strige, il rospo, il basilisco, il gufo: esseri solitari, notturni e sacri a Plutone. Esultano invece gallo, fenice, cigno reale, cigno, aquila, lince, ariete e leone.

[Giordano Bruno, Le ombre delle idee, in Le ombre delle idee – Il canto di Circe – Il sigillo dei sigilli, traduzione e note di Nicoletta Tirinnanzi, BUR, Milano, 2008]

Citazioni modifica

  • Umbra profunda sumus, ne nos vexetis inepti. Non vos, sed doctos tam grave quaerit opus. (dal frontespizio)
Ombra profonda siamo. Non tormentateci, o inetti: non voi richiede un'opera così seria, ma i dotti.[fonte 25]
Io sono un'ombra profonda: non tormentatemi, o incolti. Impresa tanto ardua vuol gente dotta, non voi.[fonte 26]
  • È posto a Chio nel luogo più alto | il volto di Diana, | il quale appare triste a quanti entrano nel tempio, | ilare invece a quanti ne escono. | Ugualmente la lettera di Pitagora, | tracciata con un segno bicorne, | dona la più eccellente conclusione | a coloro cui mostrò il truce aspetto del sentiero di destra. | Delle ombre, che dalla profonda | tenebra emersero, | adesso appaiono assai aspri, ma saranno alla fine graditi | sia il volto sia la lettera. (dal sonetto anteposto all'epistola; 2008)
  • Se voi sentite di essere adatti a scavare, | e niente affatto inadatti a volare, | pescare, cacciare e tendere lacci, | per cui riguardo a ciò non vi saranno lamenti, | ve lo concederò, se anche voi concedete | di essere entrati nel labirinto senza filo. (da sonetto di Merlino al Giudice adeguato; 2008)
  • L'inchiostro di una seppia, aggiunto ad una lucerna, fa sì che gli uomini sembrino Etiopi; così una mente guastata dal livore giudica turpi anche cose chiaramente belle. (Filotimo: dialogo preliminare; 2008)
  • Ha terminato [Logifero] l'altrui sermone col proprio raglio: il venerabile dottore ha fatto la parte del pappagallo e dell'asino. (Filotimo: dialogo preliminare; 2008)
  • Quest'arte non serve soltanto ad acquisire una semplice tecnica mnemonica, ma apre anche la via e introduce alla scoperta di numerose facoltà. (Ermes: dialogo preliminare; 2008)
  • Trattiamo questa arte sotto una duplice forma, e seguendo una duplice via: la prima di queste è più elevata e generale; essa serve a ordinare tutte le operazioni dell'animo [...] consiste in trenta modi di intendere le ombre [...] La seconda forma dell'arte, che viene esposta in seguito, è più sintetica e serve per acquistare, attraverso un sistema di regole, un genere ben preciso di memoria. (Ermes: dialogo preliminare; 2008)

Trenta modi di intendere le ombre modifica

  • Non è infatti tanto potente la nostra natura da dimorare nello stesso campo del vero. (2008)
  • Quello che è vero e buono è unico e primo. (2008)
  • Quest'ombra, pur non essendo verità, deriva tuttavia dalla verità e conduce alla verità; di conseguenza, non devi credere che in essa sia insito l'errore, ma che vi sia il nascondiglio del vero. (2008)
  • L'ombra prepara lo sguardo alla luce. Attraverso l'ombra la divinità tempera e pone davanti all'occhio oscurato dell'anima affamata e assetata quelle immagini che sono i messaggeri delle cose. (2008)
  • Attraverso una sola specie si conosce in questo genere il bello e il turpe, il conveniente e il non conveniente, il perfetto e l'imperfetto, il bene e il male. (2008)
  • Niente è infatti contrario all'ombra, e precisamente né la tenebra, né la luce. (2008)
  • Tuttavia l'idea è nella mente divina in un atto unico, totalmente e simultaneamente. Nelle intelligenze, le idee sono secondo atti distinti. Nel cielo, sono in potenza attiva molteplice secondo una successione. Nella natura, sono a modo di vestigio e quasi per impressione. Nell'atto di intendere e nella ragione, sono a modo di ombre. (2008)

Sui trenta concetti delle idee modifica

  • Uno è ciò che tutto definisce. [...] Se ti convincerai di ciò, porrai tra i tuoi occhi e quanto è universalmente visibile un tale oculare, che niente potrà in qualche modo sfuggirti. (2008)
  • Un agente che opera per natura ovvero per caso, e non per una prescrizione della volontà, non presuppone le idee. (2008)
  • Occorre invece che noi ricerchiamo le idee al di fuori e al di sopra di noi: poiché in noi abbiamo soltanto le ombre. (2008)

Citazioni su De umbris idearum modifica

  • Bruno non intende potenziare solo il muscolo mnemonico, vuole mutare il cosmo. Ovvero – lo ribadiamo ancora – modificare la struttura stessa della mente di ogni iniziato e quindi, attraverso di esso, il mondo tramite l'interdipendenza micro-macrocosmo, cioè mente-universo. (Gabriele La Porta)
  • Ci è un libro pubblicato a Parigi nel 1582, col titolo: De umbris idearum, e lo raccomando a' filosofi, perché ivi è il primo germe di quel mondo nuovo, che fermentava nel suo cervello. Ivi tra quelle bizzarrie mnemoniche è sviluppato questo concetto capitalissimo, che le serie del mondo intellettuale corrispondono alle serie del mondo naturale, perché uno è il principio dello spirito e della natura, uno è il pensiero e l'essere. Perciò pensare è figurare al di dentro quello che la natura rappresenta al di fuori, copiare in sé la scrittura della natura. Pensare è vedere, ed il suo organo è l'occhio interiore, negato agl'inetti. Ond'è che la logica non è un argomentare, ma un contemplare, una intuizione intellettuale non delle idee, che sono in Dio, sostanza fuori della cognizione, ma delle ombre o riflessi delle idee ne' sensi e nella ragione. (Francesco De Sanctis)
  • Il fondamento teorico è semplicissimo: le idee partoriscono il mondo; se l'uomo riesce a condursi, con il pensiero immaginifico, là dove inizia l'emanazione delle cose, potrà creare lui stesso con la forza di un dio, anzi di Dio. (Gabriele La Porta)
  • In conclusione: fra la conoscenza di dio e la conoscenza dell'uomo non c'è rapporto, o proporzione; ciò che è proprio di dio, non appartiene all'uomo. O meglio, fra la conoscenza dell'uno e dell'altro si dà lo stesso rapporto che c'è fra l'ombra e la luce: fra l'idea e la sua ombra. (Michele Ciliberto)
  • Quest'opera straordinaria, la prima opera di Bruno, è, io penso, una "Grande Chiave" di tutta la sua filosofia e del suo modo di vedere, che avrebbe espresso ben presto nei dialoghi italiani pubblicati in Inghilterra. (Frances Yates)

De vinculis in genere modifica

Incipit modifica

Per poter ligare[20] l'uomo (epilogo di ogni cosa), occorre che chi deve ligare abbia un universale criterio delle cose. Come altrove ho detto, nel genere umano si rende visibile il genere di ogni cosa soprattutto mediante i numeri: alcuni uomini si collegano ai pesci, altri agli uccelli, ai serpenti, ai rettili, sia per il genere, sia per la specie.

Ut eum qui vincire debet necessarium est rerum quodammodo universalem rationem habere, ut hominem (qui epilogus quidam omnium est) valeat alligare, quandoquidem, ut alibi diximus, in hac potissimum specie rerum omnium species maxime per numeros licet intueri, ut eorum alii referuntur ad pisces, alii ad aves, ad serpentes, alii ad reptilia, tum secundum genus, tum secundum eorum species.

[Giordano Bruno, Le ligature nel loro insieme, in La magia e le ligature, traduzione di Luciano Parinetto, Mimesis, Milano, 2000]

Citazioni modifica

Ciò che liga nel suo insieme modifica

  • Nel cosmo, quanto liga è Dio, Demone, Animo, Natura, Sorte e Fortuna, e, per ultimo, Fato. (art. 1, 2000, p. 95)
  • Liga con arte l'artefice: il bello dell'artefice è arte. (art. 3, 2000, p. 97)
  • Tra le ligature, maggiori sono quelle che ligano non i bruti, ma gli uomini; gli ingegni più vivaci, non i più semplici, poiché quelli dispongono di maggiori facoltà e possibilità, a più parti, circostanze e fini mirano, e dunque da maggiori brame sono condotti. (art. 4, 2000, p. 97)
  • Scarsa brama, sollecitata da naturale pulsione, liga l'uomo torpido, dal cibo limitato e rozzo. Non lo ingentilisce l'eloquio, né eros lo solletica, non la musica o la pittura, né altre delizie di natura. (art. 5, 2000, p. 97)
  • Ligato sono da parecchie cose; sento dunque che parecchi mi ligano, perché diverse e distinte sono le gradazioni del bello. (art. 6, 2000, p. 97)
  • Da ignoranti che siamo, più ci lasciamo ligare da chi è astuto, che da un amico autentico, sicché le ligature ed il magistero di chi liga si fondano e si consolidano nell'artificio. (art. 24, 2000, p. 109)
  • Tre sono le porte per le quali il cacciatore di anime osa ligare: vista, udito, mente o immaginazione. (art. 30, 2000, p. 113)

Su ciò che nell'assieme è ligabile modifica

  • Pensa che, più delle bestie, gli uomini sono suscettibili di ligature; uomini bestiali e storditi non si prestano a ligature eroiche, diversamente da chi ha attinto un'anima più limpida. (art. 4, 2000, p. 117)
  • Può essere ligato soprattutto ciò che ha in chi liga qualcosa di suo, perché, attraverso quel qualcosa di suo, chi liga lo comanda. (art. 6, 2000, p. 117)
  • I contemplativi, tralasciando l'aspetto delle cose sensibili, vengono ligati a cose divine; i voluttuosi, col vedere, calano alla provvisione di cose tangibili; i morali sono tratti col godimento dei colloqui. (art. 10, 2000, p. 119)
  • Ciò che liga ad amore o ad odio, o a disprezzo, al di sotto di ogni razionale atteggiamento, è qualcosa di inconscio. (art. 23, 2000, p. 127)

Ligatura della brama e in generale modifica

  • Chi nulla ama, infatti, non ha da temere, o sperare, o vantarsi, a andar fiero, osare, umiliarsi, emulare, adirarsi, o provare altri sentimenti del genere. (2000, pp. 131-133)
  • Tanti sono i generi e le diversità del bello, tanti, si intende, sono i generi e le diversità delle ligature. (art. 7, 2000, p. 137)
  • Ad una più approfondita meditazione filosofica risulta invece, come spiegammo altrove, che nel suo seno la materia ha il cominciamento di ogni forma, e tutte le cava e le emette da esso, e non è pura privazione, quasi che accettasse ogni cosa, come estranea, dal di fuori; fuori dal grembo della materia non si dà infatti alcuna forma, tutte stanno occulte in esso, e da esso tutte promanano. (art. 14, 2000, p. 143)
  • Si aggiunga al già detto, che amore, con cui amiamo, è brama con cui ogni cosa brama, mediazione fra bene e male, brutto e bello (non dunque non brutto e non bello), ma buono e bello in rapporto a una certa comunicazione e partecipazione. (art. 15, 2000, p. 145)
  • L'animo umile, prono all'omaggio, liga l'animo superbo; il superbo ama colui dal quale si vede magnificato, a maggior ragione quando chi loda è grande. (art. 21, 2000, p. 151)

Citazioni su De vinculis in genere modifica

  • Capace di riconoscere le gamma infinita delle forme naturali e dei sentimenti umani, mirava ad agire «praticamente» nella dinamica degli affetti. Esemplare è l'introduzione del De vinculis, dove Bruno spiega che il mago è «capitano di popoli»: deve «vincolare gli uomini chiamati ad amministrare la cosa pubblica» nel quadro di una «riflessione sulla vita civile», in vista dell'universale «renovatio mundi» che vagheggiava. E in ciò, il Nolano non è troppo distante da Machiavelli. Magia pratica, dunque, ma sorretta da una visione ontologica. (Cesare Medail)
  • Certo v'è un elemento che collega la magia di Bruno alla successiva scienza, ed è l'accento posto vigorosamente da ambedue sulla prassi. Mago, per Bruno, è infatti chi efficacemente, operando sulla natura, rovescia nella prassi il sapere, che ha acquisito, del collegamento discendente/ascendente che liga tutti gli enti del cosmo infinito, nell'intrico, anch'esso infinito, di ligature che lo costituiscono. (Luciano Parinetto)

L'asino cillenico modifica

Incipit modifica

Interlocutori:
L'Asino, Micco Pitagorico, Mercurio

Asino: Or perché derrò io abusar de l'alto, raro e pelegrino tuo dono, o folgorante Giove? Perché tanto talento, porgiutomi da te, che con sí particular occhio me miraste (indicante fato), sotto la nera e tenebrosa terra d'un ingratissimo silenzio terrò sepolto? suffrirò piú a lungo l'esser sollecitato a dire, per non far uscir da la mia bocca quell'estraordinario ribombo, che la largità tua, in questo confusissimo secolo, nell'interno mio spirito (perché si producesse fuora) ha seminato? Aprisi aprisi, dunque, con la chiave de l'occasione l'asinin palato, sciolgasi per l'industria del supposito la lingua, raccolgansi per mano de l'attenzione, drizzata dal braccio de l'intenzione, i frutti de gli arbori e fiori de l'erbe, che sono nel giardino de l'asinina memoria.
Micco: O portento insolito, o prodigio stupendo, o maraviglia incredibile, o miracoloso successo! Avertano gli dii qualche sciagura! Parla l'asino? l'asino parla? O Muse, o Apolline, o Ercule, da cotal testa esceno voci articulate? Taci, Micco, forse t'inganni; forse sotto questa pelle qualch'uomo stassi mascherato, per burlarsi di noi.

Citazioni modifica

  • A l'Asino Cillenico Oh beato quel ventr'e le mammelle, | Che t'ha portato e 'n terra ti lattaro, | Animalaccio divo, al mondo caro, | Che qua fai residenza e tra le stelle! | [...]. (dal sonetto anteposto al dialogo)
  • Micco: Piú che fisico non può essere: perché delle cose sopranaturali non si possono aver raggioni, eccetto in quanto riluceno nelle cose naturali; percioché non accade ad altro intelletto che al purgato e superiore di considerarle in sé.
    Asino: Non si trova appo voi metafisica?
    Micco: No; e quello che gli altri vantano per metafisica, non è altro che parte di logica.
  • Asino: Or che differenza trovate voi tra noi asini e voi altri uomini, non giudicando le cose dalla superficie, volto ed apparenza? Oltre di ciò dite, giudici inetti: quanti di voi errano ne l'academia de gli asini? quanti imparano nell'academia de gli asini? quanti fanno profitto nell'academia de gli asini? quanti s'addottorano, marciscono e muoiono ne l'academia de gli asini? quanti son preferiti, inalzati, magnificati, canonizati, glorificati e deificati nell'academia de gli asini? che se non fussero stati e non fussero asini, non so, non so come la cosa sarrebe passata e passarebbe per essi loro. Non son tanti studii onoratissimi e splendidissimi, dove si dona lezione di saper inasinire, per aver non solo il bene della vita temporale, ma e de l'eterna ancora?

Explicit modifica

Asino: Avetel'inteso?
Micco. Non siamo sordi.

La cena de le ceneri modifica

Incipit modifica

Lorenzo Guagnano modifica

[Smith]: Parlavano bene il latino?
Teofilo: Sì.
Smith: Persone di riguardo?
Teofilo: Sì.
Smith: Di buona reputazione?
Teofilo: Sì.
Smith: Dotti?
Teofilo: Sufficientemente competenti.
[Giordano Bruno, La cena delle ceneri, traduzione di Lorenzo Guagnano, Amazon Italia Logistica, 2020. ISBN 9798582456841]

Augusto Guzzo e Romano Amerio modifica

Smitho: Parlavan ben latino?
Teofilo: Sì.
Smitho: Galantuomini?
Teofilo: Sì.
Smitho: Di buona riputazione?
Teofilo: Sì.
Smitho: Dotti?
Teofilo: Assai competentemente.
[Giordano Bruno, La cena delle ceneri, in "Opere di Giordano Bruno e di Tommaso Campanella", a cura di Augusto Guzzo e di Romano Amerio, Riccardo Ricciardi Editore, 1956.]

Citazioni modifica

  • Questi fiammeggianti corpi son que' ambasciatori, che annunziano l'eccellenza de la gloria e maestà de Dio. Cossì siamo promossi a scuoprire l'infinito effetto dell'infinita causa, il vero e vivo vestigio de l'infinito vigore; ed abbiamo dottrina di non cercar la divinità rimossa da noi, se l'abbiamo appresso, anzi di dentro, più che noi medesmi siamo dentro a noi; non meno che gli coltori degli altri mondi non la denno cercare appresso di noi, l'avendo appresso e dentro di sé, atteso che non più la luna è cielo a noi, che noi alla luna[21]. (Teofilo: dialogo I)
  • Lasciamo questi propositi per ora. Sono alcuni altri, che, per qualche credula pazzia, temendo che per vedere non se guastino, vogliono ostinatamente perseverare ne le tenebre di quello c'hanno una volta malamente appreso. Altri poi sono i felici e ben nati ingegni, verso gli quali nisciuno onorato studio è perso: temerariamente non giudicano, hanno libero l'intelletto, terso il vedere e son prodotti dal cielo, si non inventori, degni però esaminatori, scrutatori, giodici e testimoni de la verità. (Teofilo: dialogo I)
  • Smitho: Però comunemente si va appresso al giudizio comone, a fin che, se si fa errore, quello nonarà senza gran favore e compagnia.
    Teofilo: Pensiero indegnissimo d'un uomo! Per questo gli uomini savii e divini son assai pochi; e la volontà di dèi è questa, atteso che non è stimato né prezioso quel tanto ch'è comone e generale.
    Smitho: Credo bene, che la verità è conosciuta da pochi, e le cose preggiate son possedute da pochissimi; ma mi confonde che molte cose son, poche tra pochi, e forse appresso un solo, che non denno esser stimate, non vaglion nulla e possono esser maggior pazzie e vizii.
    Teofilo: Bene, ma in fine è più sicuro cercar il vero e conveniente fuor de la moltitudine, perché questa mai apportò cosa preziosa e degna, e sempre tra pochi si trovorno le cose di perfezione e preggio. Le quali, se fusser solo ad esser rare ed appresso rari, ognuno, benché non le sapesse ritrovare, almeno le potrebbe conoscere; e cossì non sarebbono tanto preziose per via di cognizione, ma di possessione solamente. (dialogo I)
  • La difficoltà è quella, ch'è ordinata a far star a dietro gli poltroni. Le cose ordinarie e facili son per il volgo ed ordinaria gente; gli uomini rari, eroichi e divini passano per questo camino de la difficoltà, a fine che sii costretta la necessità a concedergli la palma de la immortalità. (Teofilo: dialogo II)
  • Giungesi a questo che, quantunque non sia possibile arrivar al termine di guadagnar il palio, correte pure e fate il vostro sforzo in una cosa de sì fatta importanza, e resistete sin a l'ultimo spirto. Non sol chi vence vien lodato, ma anco chi non muore da codardo e poltrone. (Teofilo: dialogo II)
  • Venca dunque la perseveranza, perché, se la fatica è tanta, il premio non sarà mediocre. Tutte cose preziose son poste nel difficile. Stretta e spinosa è la via de la beatitudine; gran cosa forse ne promette il cielo:
    Pater ipse colendi
    haud facilem esse viam voluit, primusque per artem
    movit agros, curis acuens mortalia corda,
    nec torpere gravi passus sua regna veterno.
    [22] (Teofilo: dialogo II)
  • Al Copernico non ha bastato dire solamente, che la terra si move; ma ancora protesta e conferma quello scrivendo al Papa, e dicendo che le opinioni di filosofi son molto lontane da quelle del volgo, indegne d'essere seguitate, degnissime d'esser fugite, come contrarie al vero e dirittura. (Teofilo: dialogo III)
  • [...] li altri globi, che son terre, non sono in punto alcuno differenti da questo in specie; solo in esser più grandi e piccioli, come ne le altre specie d'animali per le differenze individuali accade inequalità; ma quelle sfere, che son foco come è il sole, per ora, crede che differiscono in specie, come il caldo e freddo, lucido per sé e lucido per altro. (Teofilo: dialogo III)
  • Per questo disse Alchazele, filosofo, sommo pontefice e teologo mahumetano, il fine delle leggi non è tanto di cercar la verità delle cose e speculazioni, quanto la bontà de' costumi, profitto della civilità, convitto di popoli e prattica per la commodità della umana conversazione, mantenimento di pace e aumento di republiche. (Smitho: dialogo IV)
  • Dove dunque gli uomini divini parlano presupponendo nelle cose naturali il senso comunmente ricevuto, non denno servire per autorità; ma più tosto dove parlano indifferentemente, e dove il volgo non ha risoluzione alcuna, in quello voglio che s'abbia riguardo alle paroli degli uomini divini, anco a gli entusiasmi di poeti, che con lume superiore ne han parlato; e non prendere per metafora quel che non è stato detto per metafora, e per il contrario prendere per vero quel che è stato detto per similitudine. Ma questa distinzione del metaforico e vero non tocca a tutti di volerla comprendere, come non è dato ad ogniuno di posserla capire. (Teofilo: dialogo IV)
  • Smitho: Io, per certo, molto mi muovo da l'autorità del libro di Giobbe e di Mosè; e facilmente posso fermarmi in questi sentimenti reali più tosto che in metaforici ed astratti: se non che, alcuni pappagalli d'Aristotele, Platone ed Averroe, dalla filosofia de' quali son promossi poi ad esser teologi, dicono che questi sensi son metaforici; e cossì, in virtù de lor metafore, le fanno significare tutto quel che gli piace, per gelosia della filosofia, nella quale son allevati.
    Teofilo: Or quanto siino costante queste metafore, lo possete giudicar da questo, che la medesma Scrittura è in mano di giudei, cristiani e mahumetisti, sètte tanto differenti e contrarie, che ne parturiscono altre innumerabili contrariissime e differentissime; le quali tutte vi san trovare quel proposito che gli piace e meglio gli vien comodo: non solo il proposito diverso e differente, ma ancor tutto il contrario, facendo di un sì un non, e di un non un sì, come, verbigrazia, in certi passi, dove dicono che Dio parla per ironia. (dialogo IV)
  • E noi medesmi e le cose nostre andiamo e vegniamo, passiamo e ritorniamo, e non è cosa nostra che non si faccia aliena e non è cosa aliena che non si faccia nostra. E non è cosa della quale noi siamo, che tal volta non debba esser nostra, come non è cosa la quale è nostra, della quale non doviamo talvolta essere, se una è la materia delle cose, in un geno, se due sono le materie, in dui geni: perché ancora non determino, se la sustanza e materia, che chiamiamo spirituale, si cangia in quella che diciamo corporale e per il contrario, o veramente non. Cossì tutte cose nel suo geno hanno tutte vicissitudine di dominio e servitù, felicità ed infelicità, de quel stato che si chiama vita e quello che si chiama morte, di luce e tenebre, di bene e male. E non è cosa alla quale naturalmente convegna esser eterna, eccetto che alla sustanza, che è la materia, a cui non meno conviene essere in continua mutazione. (Teofilo: dialogo V)

Citazioni su La cena de le ceneri modifica

  • Il 14 febbraio del 1584, mercoledì delle Ceneri, il B. venne invitato a illustrare la propria teoria sul moto della Terra nella "onorata stanza" di sir Fulke Greville, a Whitehall, in compagnia di Giovanni Florio e del medico gallese Matthew Gwinne, essendo presenti due dottori oxoniensi sostenitori del sistema geocentrico e un cavaliere di nome Brown (in sede processuale tale riunione venne dichiarata come avvenuta invece in casa del Castelnau). La conversazione degenerò presto in un diverbio causato dalla intolleranza dei due dottori oxoniensi: sdegnato, il B. si licenziò dall'ospite e di lì a qualche giorno iniziò la stesura della Cena de le Ceneri (stampata nello stesso anno).
    Tramite il resoconto della sfortunata discussione, il B. enuncia in questi dialoghi la propria cosmografia: movendo dall'eliocentrismo copernicano, egli approda intuitivamente a una concezione originale dell'universo che per molti rispetti sembra anticipare i postulati della scienza moderna. (Giovanni Aquilecchia)
  • La letteratura, con le sue figure e le sue forme e, soprattutto con il suo linguaggio, viene a essere, per il Bruno dei dialoghi italiani, un impegno fondamentale che finisce per andare oltre la semplice ricerca dell'efficacia migliore per la presentazione e l'esposizione delle idee e anche oltre la gratificazione della varietà e del gioco fantastico per accattivarsi più avvicentemente l'attenzione dei lettori. Nella Cena letteratura e filosofia vengono a costituire un nesso strettissimo. La presentazione dell'interpretazione che il Nolano dà alla teoria copernicana con le conseguenze filosofiche che ne trae è anche la commedia grottesca dei due dottori inglesi che difendono, invece, la concezione aristotelica dell'universo ed è anche l'allegorico libro del viaggio nella notte londinese. (Giorgio Bàrberi Squarotti)
  • Nella Cena de le Ceneri sviluppa una concezione dell'esegesi biblica che, delimitando con rigore i campi rispettivi dell'una e dell'altra, mira a stabilire le condizioni di una positiva «convivenza» fra Scrittura e «musa nolana». (Michele Ciliberto)
  • Se Voi, probabilmente avete letto le opere di Giordano Bruno, ebbene ne La cena delle ceneri, fa uno strano ragionamento. Dice: supponiamo di avere una palla, come la terra. La terra viene illuminata dal sole, ma soltanto una parte della terra viene illuminata dal sole. Man mano che ci si allontana, il sole è più lontano dalla terra, una parte sempre maggiore della sfera viene illuminata. Ora, domanda: quant'è la parte della sfera che al massimo può venire illuminata? Se il sole fosse all'infinito, allora illuminerebbe esattamente metà della sfera. Ora Giordano Bruno si chiede: ma poverina l'altra metà della sfera che cosa fa? Rimane in ombra? Allora l'idea di Giordano Bruno è: quando arriviamo all'infinito, facciamo un passo in più, incominciamo ad andare oltre questo primo infinito e il sole comincerà a illuminare la parte di dietro della sfera. Quando s'arriva all'infinito per la seconda volta tutta la sfera è illuminata. Non c'è bisogno di dire che questa è, ovviamente, è un'idea semplicemente metaforica, non ha nessun senso. Però è la prima volta nella storia in cui qualcuno pensa che ci sia effettivamente la possibilità di avere due o più infiniti. I matematici oggi sono arrivati ad averne addirittura infiniti. (Piergiorgio Odifreddi)

Sigillus sigillorum modifica

Incipit modifica

Composto per far esplicare secondo un ordine efficace tutte le disposizioni dell'animo e portarne a perfezione le attitudini

Quello spirito divino, che mai si è accontentato di ingegni sordidi, mi fece conoscere ciò insieme ad altre cose: e tu che esiti ma ardi fin nel profondo dell'animo per questa stessa cosa, devi in principio proporti di onorare come Dio primo e prossimo il medesimo spirito dal quale sei eccitato esteriormente e incitato interiormente, invocarlo come nume e volgere a quello il tuo sguardo come alla luce.

[Giordano Bruno, Il sigillo dei sigilli, in Le ombre delle idee – Il canto di Circe – Il sigillo dei sigilli, traduzione e note di Nicoletta Tirinnanzi, BUR, Milano, 2008]

Citazioni modifica

  • Ricorda che Prometeo non fu gradito agli dei, o perché costui, spargendo i tesori degli dei, sembrava incitare al torpore il genere umano, ovvero perché costui faceva comune promiscuamente a degni e indegni una cosa eccellentissima. (I, 7; 2008)
  • La natura ha assegnato a tutti ali squisite secondo necessità, ma sono davvero pochissimi coloro che sanno dispiegarle per solcare e battere quell'aria che invita e si presta a essere battuta per volare non meno di quanto sembri opporsi a essere solcata: infatti dopo che con fatica l'avrai smossa solcandola, questa, non ingrata, ti spingerà avanti sostenendoti. (I, 10; 2005)
  • [...] di conseguenza potrai capire come un medesimo principio naturale sia parimenti prossimo alla virtù e al vizio. (I, 22; 2008)
  • L'antichità chiamò grande demone questo amore che è padre di tutti i sentimenti, tutti i desideri e tutti gli effetti. (I, 23; 2008)
  • [...] sebbene infatti all'anima sia presente un'immagine non dobbiamo rivolgere la nostra attenzione a questa, ma dobbiamo rivolgerci a questa immagine come guardando attraverso di essa. (I, 28; 2008)
  • È abbastanza chiaro con quanta più facilità e limpidezza si manifestino in noi i sensi interni, allorché sono assopiti quelli esterni. (I, 29; 2008)
  • Per una contrazione che richiama l'atto intellettivo nell'immagine della cosa da conoscere l'animo si espone a sogni divini, visioni e rivelazioni; niente è in verità difficile per chi veramente intende. (I, 38; 2008)
  • [...] con grande efficacia operano i medici in cui moltissimi confidano; i malefici, che pure non toccano chi li disprezza, penetrano in chi li teme. (I, 39; 2008)
  • Colui che da una diversa visione della cosa più è commosso, non teme le angustie della morte. (I, 49; 2008)
  • Come i ramoscelli, le pagliuzze, le pelli sottili e altre cose di questo genere, gettate nel fuoco, si contraggono al modo delle cose che si dicono esser le uniche dotate di senso, come se fuggissero l'incombente e imminente distruzione, e sfuggono e balzan via di lì come possono, così a nessuno, per quanto indifferente e ottuso nei confronti del senso, manca il principio naturale grazie al quale può rafforzarsi e difendersi meglio riguardo alla condizione presente. Se poi osserverai con più attenzione, non troverai nulla che sia mutilo, reciso e totalmente morto a tal punto da esser completamente privo di una qualche interiore preoccupazione per se stesso, quale e di qual genere essa sia. (II, 1; 2005)
  • L'amore è ciò per la cui potenza tutte le cose son generate; è in tutte le cose, vivo in ciò che è vivo, grazie a lui ciò che è vivo vive, ed è lui stesso la linfa vitale di ciò che è vivo; riscalda ciò che è freddo, illumina ciò che è oscuro, risveglia ciò che è assopito, vivifica ciò che è morto, fa percorrere la regione sovraceleste alle cose inferiori, trasportandole con divino furore; per suo compito le anime son legate ai corpi, per la sua guida sono innalzate alla contemplazione, per il suo volo si uniscono a Dio superate le difficoltà naturali. È lui che insegna quali cose siano nostre e quali altrui, chi siamo noi e chi gli altri; è lui a fare in modo che le altre cose siano dominate e possedute da noi, e che noi comandiamo e dominiamo le altre cose; infatti la necessità, che si fa beffe di tutto, obbedisce al solo amore. (II, 2; 2005)
  • Dobbiamo poi richiamare alla mente questo a proposito dell'arte: quanto più precisamente si rivolgono al proprio scopo le cose naturali rispetto a quelle artificiali, tanto meno agiscono in base a un calcolo; perciò capì bene Aristotele come il maggior calcolo non sia il criterio della maggior perizia e intelligenza. Sperimentiamo infatti in noi che l'arte più perfetta non sta troppo a calcolare, e l'arte elaborata non ha bisogno di star lì a ragionare, sia perché agiamo a somiglianza della natura, sia perché la natura agisce insieme con noi. (II, 3; 2005)
  • Non c'è quindi alcun ente artificiale che abbia il suo fondamento fuori della natura. (II, 3; 2008)
  • La matematica, che ci insegna a fare astrazione dalla materia, dal moto e dal tempo, ci rende capaci di intendere e contemplare le specie intellegibili. (II, 4; 2008)
  • [...] la prima è quella magia che attraverso la credulità della fede ovvero attraverso non lodevoli specie di contrazione mortifica il senso [...] la seconda è quella magia che attraverso una fede regolata ed altre lodevoli specie di contrazione [...] corregge l'errante, rafforza ed acuisce il debole e l'ottuso. (II, 5; 2008)
  • [...] per virtù del grande demone (che è l'amore) attraverso lo spirito l'anima si congiunge al corpo, attraverso l'anima si congiunge allo spirito una forza più separata e divina, e attraverso un numero più o meno grande di enti intermedi tutte le cose dell'universo sono connesse e concatenate a tutte le altre. (II, 5; 2008)
  • C'è una sola semplice forma [...] la quale senza diminuizione si comunica a tutte le cose [...] Questa forma universale dell'essere è luce infinita [...] Attraverso questa forma che in diversi modi si comunica ai diversi enti secondo diverse figure si esplica la materia. (II, 10; 2008)

Citazioni su Sigillus sigillorum modifica

  • I dialoghi italiani, con i sigilli di memoria su cui si basano, debbono riportare il lettore ai Sigilli, come all'opera di Bruno che contiene un programma di lavoro, l'opera con cui egli inaugurò tutta la sua azione in Inghilterra, facendo dell'arte della memoria una questione cruciale. Un lettore dei Sigilli che si fosse spinto sino al Sigillo dei Sigilli era in grado di sentire dialoghi italiani sul piano della poesia, vederli sul piano dell'arte e capirli filosoficamente, come prediche sulla religione di Amore, Magia, Arte e Mathesis. (Frances Yates)
  • Nel Sigillus sigillorum si manifesta la fede del B. nell'unità del processo conoscitivo, cui corrisponde, sul piano ontologico, la fondamentale unità dell'universo. Alla innegabile utilizzazione di elementi propri alla tradizione platonico-alchimistica, fa qui riscontro l'assenza di preoccupazioni e tendenze d'ordine mistico-religioso: il carattere "speculativo" del Sigillus fa di quest'opera il legittimo antecedente della serie dialogica italiana. (Giovanni Aquilecchia)

Spaccio de la bestia trionfante modifica

 
Frontespizio dello Spaccio stampato in realtà a Londra e non a Parigi, 1584

Incipit modifica

DIALOGO PRIMO
Interlocutori:
Sofia, Saulino, Mercurio

Sofia: Talché, se ne li corpi, materia ed ente non fusse la mutazione, varietadine e vicissitudine, nulla sarebbe conveniente, nulla di buono, niente dilettevole.
Saulino: Molto bene l'hai dimostrato, Sofia.
Sofia: Ogni delettazione non veggiamo consistere in altro, che in certo transito, camino e moto.

Citazioni modifica

  • Cieco chi non vede il sole, stolto chi nol conosce, ingrato chi nol ringrazia; se tanto è il lume, tanto il bene, tanto il beneficio; per cui risplende, per cui eccelle, per cui giova; maestro dei sensi, padre di sustanze autor di vita. (incipit dell'epistola)
  • [...] se voglio remirare alla gloria o altri frutti che parturisce la moltitudine de voci, tanto manca ch'io debba sperar lieto successo del mio studio e lavoro, che più tosto ho da aspettar materia de discontentezza, e da stimar molto meglior il silenzio ch'il parlare. Ma, se fo conto de l'occhio de l'eterna veritade, a cui le cose son tanto più preciose ed illustri, quanto talvolta non solo son da più pochi conosciute, cercate e possedute, ma, ed oltre, tenute a vile, biasimate, perseguitate; accade ch'io tanto più mi forze a fendere il corso de l'impetuoso torrente, quanto gli veggio maggior vigore aggionto dal turbido, profondo e clivoso varco. (dall'epistola)
  • Non è delettazione senza mistura di tristezza. (Saulino: I dialogo)
  • Quello che da ciò voglio inferire, è che il principio, il mezzo e il fine, il nascimento, l'aumento e la perfezione di quanto veggiamo, è da contrarii, per contrarii, ne contrarii, a contrarii: e dove è la contrarietà, è la azione e reazione, è il moto, è la diversità, è la moltitudine, è l'ordine, son gli gradi, è la successione, è la vicissitudine. (Sofia: I dialogo)
  • L'ordine e la materia di far questo riparamento è che prima togliamo dalle nostre spalli la grieve somma d'errori che ne trattiene. (Sofia: I dialogo)
  • La Prudenza, rispose Giove, la quale deve essere vicina alla Veritade; perché questa non deve maneggiarsi, muoversi ed adoperarsi senza quella, e perché l'una senza la compagnia dell'altra non è possibile che mai profitte o vegna onorata. (Sofia: I dialogo)
  • Tutto dunque, quantunque minimo, è sotto infinitamente grande provvidenza; ogni qualsivoglia vilissima minuzzaria in ordine del tutto ed universo è importantissima; perché le cose grandi son composte de le picciole, e le picciole de le piccolissime, e queste de gl'individui e minimi. (Mercurio: I dialogo)
  • Sopra tutte le cose, o Saulino, è situata la Verità; perché questa è la unità che soprasiede al tutto, è la bontà che è preeminente a ogni cosa; perché uno è lo ente, buono e vero; medesimo è vero, ente e buono. (Sofia: II dialogo)
  • [...] per la quale chi dice sapere quel che non sa, è temerario sofista; chi nega sapere quel che sa, è ingrato a l'intelletto agente ed ingiurioso a la verità, ed oltraggioso a me. [...] Ma color che mi cercano per edificar se stessi, sono prudenti; gli altri che m'osservano per edificare altrui, sono umani; quei che mi cercano absolutamente, sono curiosi; gli altri che m'inquireno per amor della suprema e prima verità, sono sapienti, e per conseguenza felici. (Sofia: II dialogo)
  • Saulino: Vorrei, ch'al giudicio avesse ordinato qualche cosa espressa contra la temeritade di questi gramatici, che in tempi nostri grassano per l'Europa.
    Sofia: Molto bene, o Saulino, Giove ha comandato, imposto ed ordinato al giudizio, che veda se gli è vero che costoro inducano gli popoli al dispreggio ed al meno a poca cura di legislatori e leggi, con donargli ad intendere, che quelli proponeno cose impossibili e che comandano come per burla; cioè, per far conoscere a gli uomini, che gli dei sanno comandare quello che loro non possono mettere in esecuzione. Veda se, mentre dicono che vogliono riformare le difformate leggi e religioni, vegnono per certo a guastar tutto quel tanto che ci è di buono, e confirmar e inalzar a gli astri tutto quello che vi può essere o fingere di perverso e vano. Veda se apportano altri frutti, che di togliere le conversazioni, dissipar le concordie, dissolvere l'unioni, far ribellar gli figli da' padri, gli servi da padroni, gli sudditi da superiori, mettere scisma tra popoli e popoli, gente e gente, compagni e compagni, fratelli e fratelli, e ponere in disquarto le fameglie, cittadi, republiche e regni: ed in conclusione, se, mentre salutano con la pace, portano, ovunque entrano, il coltello della divisione ed il fuoco della dispersione. (II dialogo)
  • Alla filosofia donano impedimento le ricchezze, e la Povertade porge camino sicuro ed ispedito. (Sofia: II dialogo)
  • Perché non colui che ha poco, ma quello che molto desidera è veramente povero. (Sofia: II dialogo)
  • Nessuna cosa è absolutamente mala; perché la vipera non è mortale e tossicosa a la vipera; né il drago, il leone, l'orso a l'orso, al leone, al drago; ma ogni cosa è mala rispetto di qualch'altro. (Sofia: II dialogo)
  • Non è errore che sia fatto un prencipe, ma che sia fatto prencipe un forfante. (Sofia: II dialogo)
  • Quella [la luce della ragione] farà che dove importa l'onore, l'utilità pubblica, la dignità e perfezione del proprio essere, la cura delle divine leggi e naturali, ivi non ti smuovi per terrori che minacciano morte [...]. (tutti gli dèi: II dialogo)
  • Voglio, o Diligenza, che ottegni questo nobil spacio nel cielo; perché sei quella che nutri con la fatica gli animi generosi. [...] Su, Diligenza, che fai? perché tanto ociamo e dormiamo vivi, se tanto tanto doviamo ociar e dormire in morte? (Sofia: II dialogo)
  • [...] noi non lodiamo la virtù de la continenza nella scrofa, la quale si lascia chiavare da un sol porco ed una volta l'anno; ma in una donna la quale non solo è sollecitata una volta dalla natura per il bisogno de la generazione, ma ed ancora dal proprio discorso più volte per l'apprensione del piacere, e per esser ella ancor fine degli suoi atti. Oltre di ciò non troppo, ma molto poco lodiamo di continenza una femina o un maschio porcino, il quale per stupidità e durezza di complessione avien che di rado e con poco senso vegna sollecitato da la libidine, come quell'altro che per esser freddo e maleficiato, e quell'altro per esser decrepito; altrimente deve esser considerata la continenza, la quale è veramente continenza e veramente virtù in una complessione più gentile, più ben nodrita, più ingegnosa, più perspicace e maggiormente apprensiva. [...] Là onde, se più profondamente consideri, tanto manca che Socrate revelasse qualche suo difetto, che più tosto venne a lodarsi tanto maggiormente di continenza, quando approvò il giudicio del fisionomista circa la sua natural inclinazione al sporco amor di gargioni. (Sofia: III dialogo)
  • Tu, Ocio inerte, disutile e pernicioso, non aspettar che dalla tua stanza si dispona in cielo e per gli celesti dei; ma nell'inferno per gli ministri del rigoroso ed implacabile Plutone. (Sofia: III dialogo)
  • Sofia: [...] e questo, o Momo, disse Giove, non averlo per male, perché sai, che gli animali e piante sono vivi effetti di natura; la qual natura (come devi sapere) non è altro che dio nelle cose.
    Saulino: Dunque, natura est deus in rebus. (III dialogo)
  • Ti dirò. [Gli egizi] Non adoravano Giove, come lui fusse la divinità, ma adoravano la divinità come fusse in Giove [...]. (Sofia: III dialogo)
  • Non manca per questo, che quelli [gli egizi] non intendessero una essere la divinità che si trova in tutte le cose, la quale, come in modi innumerabili si diffonde e communica, cossì ave nomi innumerabili, e per vie innumerabili, con ragioni proprie ed appropriate a ciascuno, si ricerca, mentre con riti innumerabili si onora e cole. (Sofia: III dialogo)
  • Appresso dimandò Nettuno: – Che farrete, o dei, del mio favorito, del mio bel mignone, di quell'Orione dico, che fa, per spavento (come dicono gli etimologisti), orinare il cielo? – Qua, rispose Momo: – Lasciate proponere a me, o dei. Ne è cascato, come è proverbio in Napoli, il maccarone dentro il formaggio. Questo, perché sa far de maraviglie, e, come Nettuno sa, può caminar sopra l'onde del mare senza infossarsi, senza bagnarsi gli piedi; e con questo consequentemente potrà far molte altre belle gentilezze; mandiamolo tra gli uomini; e facciamo che gli done ad intendere tutto quello che ne pare e piace, facendogli credere che il bianco è nero, che l'intelletto umano, dove li par meglio vedere, è una cecità. (Sofia: III dialogo)
  • [...] l'esser beccaio debba essere stimata un'arte ed esercizio più vile che non è l'esser boia [...] perché questa si maneggia pure in contrattar membri umani, e talvolta administrando alla giustizia; e quello ne gli membri d'una povera bestia, sempre amministrando alla disordinata gola, a cui non basta il cibo ordinato dalla natura [il cibo vegetale], più conveniente alla complessione e vita dell'uomo (lascio l'altre più degne raggione da canto); cossì l'esser cacciatore è uno esercizio ed arte non meno ignobile e vile che l'esser beccaio; come non ha minor raggion di bestia la salvatica fiera che il domestico e campestre animale. (Sofia: III dialogo)

Explicit modifica

Saulino: Or ed io me ne vo alla mia cena.
Sofia: Ed io mi ritiro alle notturne contemplazioni. (III dialogo)

Citazioni su Spaccio de la bestia trionfante modifica

  • Così questo libro, il quale, per trecento anni, molti letterati italiani sentenziarono scellerato e infame, è uno dei pochissimi della nostra letteratura che s'inspiri ad un alto sentimento di religione, di verità e di giustizia. (David Levi)
  • Ho buone ragioni per credere, senza voler giurare, che non ci sono attualmente altri esemplari al mondo di questo libro, eccetto il mio. I membri della Società lo tennero così segreto che nessun bibliotecario né alcun autore inglese ne ha mai fatto la benché minima menzione; era del tutto sconosciuto agli eruditi prima del 1696 quando lo trovai e lo feci vedere a diverse persone, sebbene senza mai farne fare una copia. Questo trattato è sia pericoloso che empio ed è possibile che lo leggano solo coloro che hanno buon senso e forza di ragione per poter tenere testa a tutti i sofismi. Prima che io l'avessi mostrato a Bayle, Schopp era il solo che ne avesse riferito il titolo, nella sua lettera a Rittershausen; ma è certo che non aveva mai visto il libro, perché ha creduto che la Bestia Trionfante fosse il Papa e che Bruno avesse intenzione di lusingare i protestanti; invece per Bestia egli intende ogni religione rivelata in generale, di qualunque tipo sia, e in qualunque modo avvenga che essa trionfi nel Mondo. Sia la religione pagana, sia la giudaica o la cristiana, egli prende di mira, le mette in ridicolo, le rigetta allo stesso modo senza cerimonie e senza eccezioni. (John Toland)
  • In altre parole, nello Spaccio Bruno liquida in via definitiva, e in modo esplicito, il modello cristiano di creazione. (Michele Ciliberto)
  • In queste splendide pagine, Bruno esprime una visione della religione diametralmente opposta a quella sostenuta dalla teologia protestante. Per Lutero e Calvino il rapporto tra uomo e Dio si materializza in un legame individuale fondato solo ed esclusivamente sulla fede. E finanche le Leggi, che nella visione veterotestamentaria sanzionavano il contratto tra humanitas e divinitas, non garantiscono più la salvezza. Tutto ciò che riguarda l'orizzonte mondano viene escluso, espunto, neuralizzato. [...] Bruno capisce con chiarezza le conseguenza funeste che la dottrina della sola fide può avere sulla società: svalorizzare le opere e l'etica, ma anche la ragione e le scienze speculative, non incoraggia certamente gli uomini ad intraprendere la durissima strada del riscatto dalla feritas. (Nuccio Ordine)
  • In realtà ciò che l'autore nel libro presenta a stento è degno di una voce vuota o di un fungo avvelenato, molto meno quindi di un così alto prezzo e di una così grande fama: tutto viene copiato da un dialogo di Luciano e volto in forma peggiore. (Jacob Friedrich Reimmann)
  • Io non ho mai letto il suo Spaccio della bestia trionfante: mi pare che ne abbiamo parlato un giorno in Francia, ma non potrei assicurarlo: è passato troppo tempo. Non bisognerebbe dire Specchio invece di Spaccio? (Gottfried Wilhelm von Leibniz)

Summa terminorum metaphysicorum modifica

  • È noto presso i Platonici il paragone, derivante dall'insegnamento degli Egizi, per il quale la divinità abbraccia in un'unità una triade soprannaturale, nello stesso modo che nel sole c'è sostanza, luce e calore, e queste tre cose contempliamo in esso in duplice modo. […] Ancora nel sole queste tre cose (sostanza, luce e calore) si distinguono come una sostanza e due accidenti; ma nella divinità questi tre, come anche innumerevoli altri predicati che s'annoverano ad analogia di quelli, non fanno affatto nessuna distinzione. (pp. 168-169)
  • Che in tutte le cose o minime o, per l'occhio esterno, mutue e imperfettissime ci sia conoscenza, possiamo concluderlo da quanto già detto; giacché, sebbene per difetto di organi o di altre circostanze in alcune cose non vediamo in atto l'intelligenza, e tuttavia in potenza tutto è in tutto, e di conseguenza anche l'intelligenza, la quale concorre con l'anima del mondo e accompagna la divinità stessa che dappertutto è tutta, nella misura dell'effetto che desideriamo osservare nella materia o che provenga dalla materia, concludiamo che una certa partecipazione d'intelligenza, secondo una certa potenza, è in tutte le cose, ma è in atto in alcuni esseri i quali più s'avvicinano a nostra somiglianza, o stanno in somiglianza con noi, o noi a somiglianza con loro, come gli eroi e gli dèi. (p. 172)
  • L'intelletto primo e semplice, che in se stesso abbraccia ogni conoscenza, come l'unità abbraccia ogni numero, conosce dappertutto intero, come è dappertutto intero, senza distrazione e applicazione: poiché non ha l'oggetto fuori di sé, ma, come s'è detto, è esso stesso oggetto e conoscente. (p. 178)
  • Da ciò segue che nell'uno tutte le cose sono indistinte, e che quelle diverse e contrarie tra loro, nel principio semplicissimo sono una sola e medesima cosa, come spesso mostrammo il massimo coincidere col minimo al principio e alla fine; giacché quello che è l'estremo del caldo è il principio del freddo, l'estremo del male principio del bene, la fine delle tenebre principio della luce. (p. 181)

Note modifica

  1. Citato in Davide Dei, Atti del processo di Giordano Bruno, Sellerio, Palermo, 2000, pp. 24-25. ISBN 88-389-1591-1
  2. È la frase che Bruno pronunciò, costretto in ginocchio, dopo aver ascoltata la sentenza di condanna l'8 febbraio del 1600.
  3. È una definizione che Bruno diede di se stesso agli amici londinesi.
  4. I costituti sono le deposizioni davanti al Tribunale dell'Inquisizione di Venezia, ove Giordano Bruno fu tratto in arresto nel 1592.
  5. Ultime parole famose, poiché Clemente VIII avrebbe disatteso le speranze del Bruno, condannato al rogo sotto il suo pontificato.
  6. Vedi Aforismi e citazioni filosofiche, culturaesvago.com, 4 giugno 2000.
  7. 420 anni fa Giordano Bruno al rogo. L’ultimo suo dialogo, lincontro.news, 17 febbraio 2020.
  8. Giuseppe Iannozzi, La Futura Scienza di Giordano Bruno e la nascita dell'uomo nuovo, fantascienza.com, 21 aprile 2002.
  9. G. Conforto, La futura scienza di Giordano Bruno e la nascita dell'uomo nuovo, Noesis, 2000.
  10. "È così, senza trucco, evidentemente, candidamente."
  11. "Abbastanza in fretta, se abbastanza bene", motto di Catone.
  12. Giordano Bruno si riferisce a sé stesso.
  13. Le strisce di feltro che si pressano per usarle nella fattura dei cappelli.
  14. Espressione che significa: "guai a chi perde"; "zara" è un gioco che si fa coi dadi.
  15. Si riferisce ai quattro elementi, che elenca dopo.
  16. Qui Bruno cita il sonetto del poeta Luigi Tansillo, che gli ispirò anche il nome del personaggio (sonetto III, da Il Canzoniere).
  17. L'autore si rivolge al monte Cicala, nel territorio nolano.
  18. È il concetto di Natura naturans, che in quest'opera di Bruno fa la sua prima apparizione.
  19. Il pensiero di Polihimnio non rispecchia quello dell'autore, anzi gli è opposto.
  20. Latinismo, dal verbo vincire (da cui l'italiano "vincolo"): "legare" o anche "ligare" (cfr. Vocabolario degli Accademici della Crusca, 1691, vol. 1, p. 218), "incatenare", "assoggettare", "vincolare", e quindi, in senso figurato: "manipolare", "persuadere", "affascinare".
  21. O «a la luna» in alcune edizioni.
  22. Citando Virgilio, Georgiche, I, 121-124: «Lo stesso Padre [Giove] non volle che risultasse facile la via per la coltivazione, e con un artificio dissodò i campi, muovendo i cuori degli uomini col bisogno e non permettendo che nel suo regno dilagasse una pesante apatia.» [traduzione propria]

Fonti modifica

  1. Da Le ombre delle idee, a cura di Antonio Caiazza, Spirali, 1988.
  2. Da De imaginum compositione.
  3. Da De trìplici minimo et mensura, Francia, 1591, p. 17; citato in Domenico Berti, Vita di Giordano Bruno da Nola, Paravia, Torino, 1868, pp. 122-123.
  4. Da De Monade, numero et figura; citato in Enzo Mazzi, Giordano Bruno: attualità di un'eresia, Manifestolibri, 2000, p. 37.
  5. Citato in K. Schoppe, Epistola a Konrad Rittershausen, in Spampanato 1921, p. 801.
  6. Citato in Maurilio Frigerio, Invito al pensiero di Giordano Bruno, Mursia, Milano, 1991, p. 27. ISBN 88-425-1048-3
  7. Citato nella lettera di Caspar Schoppe a Konrad Rittershausen, 17 febbraio 1600; in Immagini di Giordano Bruno 1600-1725, a cura di Simonetta Bassi, Procaccini, Napoli, 1996, p. 35.
  8. Citato in Montanelli 1975, p. 560
  9. Da De Monade, numero et figura; citato in Giovanni Gentile, Giordano Bruno, in Opere, Valecchi, Firenze, 1925, p. 297.
  10. Da De imaginum, signorum et idearum compositione; citato in Ubaldo Nicola, Giordano Bruno pittore, in Bruno 2005, p. 7.
  11. Citato in Salvatore Tugini, Prefazione, in De umbris idearum, E.S. Mittlerum & filium, Berlino, 1858, p. V.
  12. Citato in Montanelli 1975, p. 557
  13. Dall'Oratio valedictoria; citato in Nicoletta Tirinnanzi, Note ai testi, in Giordano Bruno, Dialoghi filosofici italiani, Mondadori, Milano, 2000, p. 1244. ISBN 88-04-47416-5
  14. Da Triginta sigillorum explicatio, sigillo XII.
  15. Dalle Opere latine; citato in Nuccio Ordine, Postfazione, in Spampanato 1988, p. [21].
  16. Dall'Epistola dedicatoria a Rodolfo II, in Articuli centum et sexaginta adversus huius tempestatis mathematicos atque philosophos; citato in G. Calogero e G. Radetti, La professione di fede di Giordano Bruno, La cultura, gennaio 1963.
  17. Dall'Oratio valedictoria, in Opere latine; citato in Nuccio Ordine, Postfazione, in Spampanato 1988, p. [22].
  18. Dalle deposizioni di Francesco Graziano; citato in Firpo 1998, p. 252.
  19. Dalle deposizioni di Francesco Graziano; citato in Firpo 1998, p. 264.
  20. Dalle deposizioni di Giovanni Mocenigo; citato in Firpo 1998, p. 248.
  21. Dalle deposizioni di Matteo de' Silvestri; citato in Firpo 1998, p. 263.
  22. Da De Immenso et innumerabilibus, seu De Universo et mundis, traduzione di Giovanni Gentile; citato in Giovanni Gentile, Giordano Bruno e il pensiero del Rinascimento, Firenze, 1991 (1920).
  23. Da De immenso; citato in Filippo Mignini, Memoria di Giordano Bruno, in Febbraio 2013. Il pensiero libero di Giordano Bruno., ritirifilosofici.it.
  24. Citato in Anacleto Verrecchia, Giordano Bruno, Donzelli editore, Roma, 2002, p. 10. ISBN 88-7989-676-8
  25. Citato in Anacleto Verrecchia, Giordano Bruno, Donzelli editore, Roma, 2002, p. 110. ISBN 88-7989-676-8
  26. Citato in Diego Quaglioni, Introduzione, in Firpo 1998, p. XIX.

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