Anna Stepanovna Politkovskaja

giornalista russa
(Reindirizzamento da Anna Politkovskaja)

Anna Stepanovna Politkovskaja (1958 – 2006), giornalista russa.

Anna Politkovskaja nel 2005

Citazioni di Anna Politkovskaja

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Da Agli ufficiali anonimi dello Stato Maggiore del 68mo Corpo d'Armata, partecipanti all'operazione antiterrorismo

Lettera aperta pubblicata ne La Regione, 13 aprile 2001; citato in Anna Politkovskaja (2003), Cecenia. Il disonore russo, Fandango tascabili, 2009, pp. 57-60. ISBN 978-88-6044-105-8

  • Non firmo mai con pseudonimi e non nascondo il mio nome, contrariamente agli ufficiali russi di stanza in Cecenia che, nascondendo il volto in calze nere munite di buchi per gli occhi, le orecchie e la bocca, e tacciono sul loro grado, la loro funzione e il loro nome. Secondo me, chi si sente nel giusto non ha bisogno dell'anonimato.
  • I giornalisti non "sfidano" l'ordine costituito, non è questo il loro ruolo. Descrivono soltanto quello di cui sono testimoni. È il loro dovere, così come è dovere di un medico curare un malato e dovere di un ufficiale difendere la patria. È molto semplice: la deontologia giornalistica ci vieta di abbellire la realtà.
  • Sono nemica di un esercito immorale e depravato. Sono nemica delle menzogne sulla Cecenia, nemica dei miti e delle leggende fabbricate dai propagandisti dell'esercito, nemica dei vigliacchi anonimi che osano portare le spalline.

Intervista di Committee to Protect Journalists, cpj.org, 13 novembre 2001

  • [Sull'abbattimento dell'Mil Mi-8 in Groznyj del 2001] La versione ufficiale è che un combattente ceceno l'ha abbattuto con un missile Stinger. Sapevo che semplicemente non era possibile che un combattente ceceno fosse in strada: niente si sarebbe potuto muovere quel giorno senza essere notato. Naturalmente ho scritto un articolo in cui affermavo che era impossibile per chiunque lanciare un missile senza l'esplicito permesso delle stesse forze armate russe.
The official version was that a Chechen fighter shot it down with a Stinger missile. I knew there was simply no way a Chechen fighter could be out on the streets— nothing could have moved that day without being spotted. Naturally, I wrote an article saying that it was impossible for anyone to fire a missile without the express permission of the Russian military itself.
  • La maggior parte dei mass media ha scelto di coprire questa guerra senza lasciare Mosca. Se andassero in Cecenia, sarebbe solo per recarsi alla base militare russa. Tutte le visite in Cecenia erano controllate dai militari e nessuno poteva trasgredire. Molti dei miei colleghi hanno accettato subito questa situazione e la maggior parte di loro ha pensato che fosse giusto, che si trattasse di giornalismo patriottico.
Most of the mass media chose to cover this war without leaving Moscow. If they did go to Chechnya it would be only to travel to the Russian military base. All visits to Chechnya were controlled by the military, and no one could step out of line. Many of my colleagues accepted this situation straight away, and most of them thought that it was right, that this was patriotic journalism.
  • [Sulle bombe nei palazzi in Russia] C'era una forte propaganda, soprattutto in televisione, che diceva che i ceceni erano colpevoli, anche se non c'era alcuna prova. Nei mass media cominciò a diffondersi l'idea che un intero popolo dovesse assumersi la responsabilità collettiva delle azioni di una persona o di un gruppo. Questa è un’idea che semplicemente non posso accettare.
There was strong propaganda, especially on the TV, saying the Chechens were guilty, even though there was no evidence at all. The idea began to spread throughout the mass media that an entire people must accept collective responsibility for the actions of one person or one group. That is an idea that I simply cannot accept.
  • La maggior parte dei giornalisti russi che lavorano oggi hanno studiato e hanno iniziato a lavorare durante l’era sovietica, un’epoca in cui i giornalisti erano propagandisti. La propaganda era la base del giornalismo e tutti sapevano come funzionava il sistema. Quindi gli anni del giornalismo libero furono molto duri per molti. Quando si presentò l’opportunità di tornare alla propaganda, alcune persone furono più che felici di farlo. È molto meno lavoro. Stai semplicemente seduto a Mosca, non esci a cercare informazioni. Scrivi semplicemente di quanto siano malvagi i ceceni senza muoverti dal tuo posto.
Most Russian journalists who are working today were educated and started to work during the Soviet era—a time when journalists were propagandists. Propaganda was the basis of journalism, and everyone knew how the system worked. So the years of free journalism were very hard for many. When the opportunity came to return to propaganda, some people were more than happy to do so. It’s far less work. You just sit in Moscow, don’t go out looking for information. You just write about how evil the Chechens are without moving from your seat.
  • Mi considero un canale di informazioni da un luogo all'altro, un mezzo per mostrare ai russi cosa sta realmente accadendo in Cecenia in modo che non credano erroneamente che l'azione militare stia creando ordine.
I see myself as a conduit of information from one place to another, a means of showing Russians what is really happening in Chechnya so they do not mistakenly believe that the military action is creating order.

Sulla crisi del teatro Dubrovka, Internazionale.it, n. 461, 1 novembre 2002

  • "Veniamo al dunque?".
    "D'accordo".
    "Innanzitutto i bambini più grandi. Bisogna liberarli, sono bambini". È il primo problema che Sergej Jastrzhembskij, collaboratore del presidente russo, mi ha chiesto di affrontare con "loro".
    "Bambini? Qui non ci sono bambini. Nei rastrellamenti prendete i nostri bambini quando hanno dodici anni, e noi qui ci terremo i vostri".
    "Per vendicarvi?".
    "Per farvi capire cosa si prova".
  • Sono tornata molte altre volte sui bambini, pregandoli di fare delle concessioni. Per esempio portargli del cibo. Ma le risposte sono sempre state categoriche. "Ai nostri bambini durante i rastrellamenti non danno da mangiare, devono resistere anche i vostri".
  • Comincio a chiedere cosa vogliono. Ma politicamente Bakar è in difficoltà. Lui è "soltanto un soldato" e nient'altro. Spiega a lungo e confusamente a che serve questa azione, e si possono trovare quattro punti. Primo, Putin deve "dire una parola": annunciare la fine della guerra. Secondo: entro ventiquattr'ore deve dimostrare che non sono solo parole, per esempio deve ritirare le truppe da una regione.
  • Continuo a impuntarmi sulle parole. Il mio cervello si scontra con un problema superiore alle sue forze: cercare di salvare gli ostaggi, dato che hanno accettato di parlare con me, e allo stesso tempo non perdere la dignità. Ma purtroppo non riesco a venirne a capo. Sempre più spesso non so cosa dire, e blatero delle sciocchezze, purché Bakar non dica: "Basta!", e io non debba andarmene a mani vuote, senza aver ottenuto niente.
  • Si tratta di uno dei reparti che in Cecenia fanno tutto da soli. Hanno una loro guerra autonoma, ed è assolutamente radicale. E se ne infischiano di Maskhadov: perché non è un estremista.
  • Questa giornata di storia è finita. Poi c'è stato l'attacco. E io continuo a chiedermi: abbiamo fatto tutto il possibile per contribuire a evitare che ci fossero vittime? È stata davvero una grande "vittoria"? E io personalmente sono servita a qualcuno con i miei succhi e i miei tentativi sull'orlo del baratro?
    La mia risposta è sì, sono servita. Ma non abbiamo fatto tutto il possibile. Perché abbiamo ancora molto davanti a noi, anche se alle nostre spalle c'è già troppo. La tragedia del Nord-Ost non è nata dal nulla e non segna la fine. Adesso vivremo nel terrore costante vedendo uscire di casa i bambini e gli anziani: li rivedremo di nuovo? Proprio come ha vissuto in questi ultimi anni la gente in Cecenia.

Index on Censorship, vol. 31, n. 1, novembre 2002

  • [Sull'abbattimento dell'Mil Mi-8 in Groznyj del 2001] Solo un'ora prima che l'elicottero venisse abbattuto, [Anatolij Pozdnjakov] mi ha detto che il compito della sua commissione era quello di raccogliere dati sui crimini commessi dai militari, analizzare i risultati, metterli in un certo ordine e sottoporre le informazioni all'esame del presidente. Niente del genere era stato fatto prima. Il loro elicottero è stato abbattuto quasi esattamente sopra il centro della città. Tutti i membri della commissione morirono e, poiché erano già in viaggio verso la base aerea di Chankala per prendere l'aereo per tornare a Mosca, perirono anche tutti i materiali che avevano raccolto.
Only an hour before the helicopter was shot down, he told me the task of his commission was to gather data on crimes committed by the military, analyse their findings, put them in some order and submit the information for the president's consideration. Nothing of the kind had been done before. Their helicopter was shot down almost exactly over the city centre. All the members of the commission perished and, since they were already on their way to Khankala airbase to take a plane back to Moscow, so did all the material they had collected.
  • Non posso rispondere per il presidente ceceno Maschadov, ma offrirò una breve analisi delle sue azioni. Secondo me non sta facendo assolutamente nulla. Si è ritirato nel suo guscio e pensa, escludendo tutto il resto, al proprio futuro immediato: ha dimenticato la nazione cecena. Proprio come le autorità federali di Mosca hanno abbandonato i ceceni, così fa ora anche l'altra parte. La nazione deve badare a se stessa, senza leadership o protezione. Sopravvive come può. Se le persone avranno bisogno di vendicarsi per i loro parenti torturati e assassinati, lo faranno. Se non hanno bisogno di dire nulla, terranno la bocca chiusa. In tali circostanze, che equivalgono ad una guerra civile, e sotto la continua pressione delle forze federali, nessuno oggi può dire per chi voterebbe il popolo ceceno se si tenessero le elezioni. Nessuno ormai ha idea di chi eleggeranno e sotto questo aspetto tutti hanno commesso lo stesso enorme errore.
I can't answer for Chechen President Maskhadov, but will offer a brief analysis of his actions. In my view, he is doing nothing whatsoever. He has retreated into his shell and is thinking, to the exclusion of all else, about his own immediate future — he's forgotten the Chechen nation. Just as the federal authorities in Moscow have abandoned the Chechens, so now have the other side. The nation has to fend for itself, with no leadership or protection. It survives as best it can. If people need to take revenge for their tortured and murdered relatives, they will. If they need to say nothing, they'll keep their mouths shut. In such circumstances, which are the equivalent of a civil war, and under continuing pressure from the federal forces, no one today can say whom the Chechen nation would vote for if elections were held. No one now has any idea whom they'd elect and in that respect everyone has committed the same enormous mistake.
  • Maschadov è stato ovviamente messo all'angolo. Ma la lotta per l'indipendenza è diventata per lui un'ossessione: non sentirà parlare d'altro. Non capisco davvero a che cosa gli sarà utile l'indipendenza, quando lui, Šamil Basaev e la sua guardia del corpo personale saranno tutto ciò che resta. Il primo dovere di un presidente è lottare per il benessere della sua nazione. Ho il mio presidente e non fa differenza che io personalmente non abbia votato per Putin.
Maskhadov has obviously been driven into a corner. But the struggle for independence has become an obsession with him: he will hear of nothing else. I don't really understand what use independence will be to him, when he, Shamil Basayev and his immediate bodyguard are all that's left. The first duty of a president is to fight for the well-being of his nation. I have my own president and it makes no difference that I personally did not vote for Putin.
  • Se le persone nel mio paese non hanno protezione da questo regime senza legge, ciò significa che sopravvivo qui mentre altri muoiono. Nell'ultimo anno mi sono trovata in quella posizione troppo spesso. Persone che erano miei testimoni e informatori in Cecenia sono morte per questo motivo, e solo per questo motivo, non appena ho lasciato le loro case. Se ciò dovesse accadere ancora una volta, come posso continuare a vivere all'estero mentre altri muoiono al mio posto?
If people in my country have no protection from this lawless regime, that means I survive here while others are dying. Over the last year I've been in that position too often. People who were my witnesses and informants in Chechnya have died for that reason, and that reason alone, as soon as I left their homes. If it again proves the case, then how can I go on living abroad while others are dying in my place?

Internazionale.it, n. 471, 16 gennaio 2003

  • L'Europa è strisciata via vigliaccamente da un luogo dove bisognava lottare e insistere sulle proprie posizioni. Così ha firmato la condanna dei ceceni a non essere più considerati europei, uguali agli altri e degni di tutti i diritti universalmente riconosciuti, rifiutandogli anche il diritto a un controllo formale dell'Europa sull'andamento della guerra. Giudicate voi stessi.
  • Perché l'Europa ha assegnato alla Cecenia dei rappresentanti a cui non importa assolutamente niente di niente? Perché si sprecano risorse enormi per mantenerli in Cecenia a spese dell'erario europeo? Perché gli hanno ordinato di tacere? Per tutte le domande difficili c'è sempre una risposta molto semplice. Per la situazione cecena è questa: il silenzio fa comodo.
  • In Cecenia sono stati traditi i mandati europei. Così ha ordinato il Cremlino, e l'Europa ha ubbidito docilmente, distruggendo tutti i valori che il nostro continente difendeva dalla fine della seconda guerra mondiale e che si sono sbriciolati scontrandosi con la tragedia chiamata seconda guerra cecena.
  • L'Europa ha profanato se stessa. Prima limitandosi a osservare il massacro che si consumava in Cecenia. E ora rinunciando persino a questo, dopo aver dimostrato che non esiste più l'Europa che per tanto tempo abbiamo considerato il baluardo dei diritti dell'uomo e la speranza di tutti gli umiliati e gli oppressi. Fine. È calato il sipario.

Internazionale.it, n. 495, 3 luglio 2003

  • La donna cecena oggi è veramente uno zombie: lo è diventata grazie ai lunghi anni di sofferenza continua e quotidiana. Lo è diventata per la situazione in cui vive la sua famiglia. È stata addestrata al martirio dai metodi usati con la popolazione civile da entrambe le parti combattenti.
  • [Sulla donna cecena] La sua educazione tradizionale è assolutamente ascetica. Il suo dovere è farsi carico di tutto. Non deve parlare delle sue sofferenze personali. La sua virtù è la riservatezza, la capacità di nascondere i sentimenti dentro di sé e non lasciarli mai trapelare, non soltanto in pubblico ma anche in casa, davanti ai parenti maschi, persino i più stretti. Le sue tempeste, quindi, sono interiori. Quanto durerà?
  • Il vulcano ha cominciato a eruttare. La giustizia personale è diventata l'unica risposta efficace all'arbitrio: la donna ha cominciato a difendersi, attuando un programma di vendetta personale contro quelli che considera assassini. Il sogno delle cecene è diventato quello di morire, pur di non vivere come ora – senza riuscire a difendere i figli, i fratelli, i mariti.
  • Lo status politico della futura Cecenia? Certo, verrà, con il tempo. Ma dopo, tutto verrà dopo. Prima bisogna sopravvivere. Nessuno lo nega: bisogna essere degli eroi per sbrogliare questa spaventosa matassa. Ed eroi non ce ne sono. Ma noi abbiamo il dovere di trovarne uno. Perché tutte le altre strade per la sopravvivenza ce le siamo già giocate.

Intervista di Giorgio Fornoni sulla seconda guerra cecena, Giorgiofornoni.com, agosto 2003

 
Soldato russo sopra una fossa comune
  • Ci sono varie tecniche di pulizia etnica, che in sostanza sono operazioni punitive contro villaggi interi. Viene circondato un villaggio, vengono portati via tutti gli uomini, e non tutti vi fanno ritorno. Dicono che viene controllato che fra loro non ci sia nessuno che abbia preso parte ai combattimenti, invece vengono pestati da qualche parte, vengono portati via e dichiarati scomparsi. La violenza di massa sulla popolazione maschile è un fatto perché rientra nella mentalità dei nostri soldati. Vengono portati via dai villaggi tutti gli uomini alti, forti, e vengono lasciati i vecchi e i drogati. In genere dipende tutto dal comandante della divisione. Questa non è una guerra di generali, ma di colonnelli: la sorte della persone dipende dall'ufficiale che comanda la divisione, che di fatto ha potere di vita e di morte.
  • Per prima cosa ci sono due tipi di donne kamikaze. Ci sono quelle della djamahat, le comunità religiose che ritengono tutto ciò un loro dovere verso Allah. La maggior parte sono persone portate alla disperazione da tutto ciò che ho raccontato prima. Madri, sorelle di scomparsi che hanno bussato alle porte di tutte le sezioni di polizia ricevendo sempre la stessa risposta: «Non ci sono più, sono scomparsi, rassegnatevi».
  • Ho visto con i miei occhi le tombe degli arabi che hanno combattuto qui nella seconda guerra cecena, ma non so se fossero membri di al Qaeda. Credo che al Qaeda sia un paravento dei nostri potenti per nascondere i propri errori quando non riescono a fronteggiare gli attacchi terroristici. È come una nuova alleanza dopo la guerra fredda.
  • Personalmente non è che non mi piaccia Putin, è che non mi piace ciò che sta facendo. Lui deve mantenere la pace, è un suo dovere costituzionale. Invece continua la guerra nel Caucaso, con migliaia di morti non solo ceceni, ma anche russi. Gli attentati non possono cessare. Putin deve smetterla con questa guerra suicida e mettersi a trattare anche con quelle persone che non gli piacciono.
  • [«Perché Mosca non vuole osservatori internazionali in Cecenia?»]
    È chiaro che non li vogliono perché sono stati commessi molto delitti. Gli osservatori vedrebbero i cadaveri, le donne violentate e capirebbero chi è stato. Per questo l'accesso è limitato al massimo. Non vogliono testimoni.
  • Non ho una buona opinione della società occidentale. Non siamo nel 2000, quando c'erano grandi speranze che raccontando ciò che stava accadendo l'Occidente avrebbe fatto qualcosa per aiutarci. So da tempo che l'Occidente non si interessa di questi problemi, ha tradito queste persone che pure vivono in Europa. La Cecenia tra l'altro fa parte dell'Europa, geograficamente. Per questo non mi metterò a solleticare i nervi con racconti di come hanno ucciso, tolto scalpi e tagliato nasi e orecchie. Capitemi bene, non è quello lo scopo del mio lavoro, ma prevenire atrocità di questo genere in futuro.
  • Tutti hanno paura ora, e anch'io sono una parte del tutto. Anch'io ho paura, ma questa è la mia professione e avere paura è una cosa tua, personale. La professione esige che si lavori e si parli di quello che è il fatto principale nel Paese e la guerra che continua è il fatto principale. Perché lì muore la nostra gente. E avere paura o non averne è il rischio di questa professione.

Intervista di Fiammetta Cucurnia su Silvio Berlusconi, La Repubblica, 7 novembre 2003

 
Silvio Berlusconi e Vladimir Putin
  • Non so come si possa dire che sulla Cecenia si diffondono leggende. Evidentemente, il vostro Presidente del Consiglio non è mai stato, laggiù. Perché non di leggenda si tratta, ma dell'inferno.
  • Credo che se Berlusconi si trovasse per un momento nelle condizioni in cui da anni vivono circa 600mila persone in Cecenia, beh, non parlerebbe così. Non m' importa come sia chiamata: seconda guerra cecena, come diciamo noi, o operazione antiterroristica, come dice Putin. Quel che m' importa sono i metodi crudeli che vengono utilizzati per piegare la popolazione.
  • Solo per Berlusconi [le vittime cecene] sono leggende. Per me sono uomini, donne, ragazzi, con le loro facce e le loro storie drammatiche. Persone che ormai sono a un passo dal trasformarsi in bombe umane.
  • Quanto ci interessano le torture dei carcerieri americani sui detenuti iracheni, e quanto ce ne infischiamo invece delle torture inflitte dagli aguzzini russi ai combattenti ceceni prigionieri. Vorrei chiarire di cosa sto parlando. I soldati federali in Cecenia, come gli americani in Iraq, girano spesso dei video – per se stessi e per i loro familiari. È una tradizione.[fonte 1]

Intervista di Giampaolo Visetti, La Repubblica, 10 maggio 2004

  • Kadyrov ormai non andava bene più a nessuno. Irritava Mosca parlando dei civili spariti, non arginando il terrorismo e non riuscendo a uccidere i leader indipendentisti. Umiliava i ceceni con crudeltà inaudite. Si era messo contro l'esercito affidando tutto il potere alla guardia comandata dal figlio. Era molto attivo solo nel settore del petrolio. La sua morte colpisce il suo clan, ma è un messaggio diretto al Cremlino: le scelte di Putin si confermano sbagliate e ora la situazione diventa incontrollabile.
  • L'eliminazione di Kadyrov apre un sacco di partite: quella tra i clan per l'enorme business della guerra, quella della vendetta dei parenti delle vittime del presidente, quella per il potere in Cecenia, quella politica a Mosca. Tra tutti però, è vero, chi oggi esce a pezzi è Putin. [...] Putin ha puntato tutto sul leader unico e ha perso, ma adesso non ha alternative a Kadyrov, non ci sono personaggi di livello simile, né Gantamirov, né Jamadajev. Chi ha agito lo ha fatto per interessi propri: ma la Russia finisce nelle sabbie mobili della lotta islamico-cecena.
  • L'Occidente finge di non vedere che in Cecenia è molto peggio che in Iraq, o nei Balcani. Ogni giorno la gente sparisce e muore, si scoprono cadaveri di bambini e fosse comuni. Le torture della soldatessa Usa sui prigionieri iracheni, sono nulla rispetto ai supplizi inferti in Cecenia. Tutti documentati e denunciati, ma inascoltati. L'Europa non deve perdere la possibilità di pretendere di esaminare la situazione assieme a Putin: è l'ultima occasione, risponderebbe della sua consapevole e calcolata indifferenza.

Intervista di Giampaolo Visetti, La Repubblica, 29 agosto 2004

  • La scelta di Putin di mantenere la linea di Akhmad Kadyrov ha fatto risorgere la resistenza armata. In Cecenia resta solo apatia, la gente è abbandonata a saccheggi, rapine, omicidi. Ma il Cremlino, azzerando la speranza della popolazione, ha decretato la propria sconfitta.
  • La popolazione ormai è indifferente ad ogni scelta del Cremlino. Vive nel terrore dei sicari di Ramzan Kadyrov e delle violenze dei federali. Nei villaggi si scavano rifugi sotto le case in vista della terza guerra. Tutti dicono la stessa cosa: Ramzan ha i giorni contati, Alkhanov le settimane. Poi restano solo le bombe.
  • [Su Alu Alchanov] Un uomo moralmente debole. I ceceni lo definiscono una ridicola nullità. Per loro c'è un solo spartiacque: o hai qualcosa da contrapporre a Ramzan Kadyrov e a Vladimir Putin, o non sei nessuno.
  • Alkhanov è stato capo della polizia quando i suoi uomini, mascherati e ubriachi, schiacciavano i contadini sotto i camion, uccidevano a cinghiate i vecchi, violentavano le donne.
  • Solo l'Europa, dando vita ad un protettorato internazionale, può aiutare Russia e Cecenia a fermarsi prima del baratro. Putin, prima o poi, dovrà discuterne: se l'Occidente starà a guardare vorrà dire che il petrolio è il suo unico e ultimo dio.

Internazionale.it, n. 556, 9 settembre 2004

  • [Sulla Seconda guerra cecena] In Russia è in corso una guerra: sono ormai cinque anni che va avanti, e per lunghezza batte già la seconda guerra mondiale. Eppure, la campagna elettorale per la duma (il parlamento russo) alla fine del 2003 non ha mai affrontato questa domanda: perché la guerra non è ancora finita?
  • Per i russi, ormai, la Cecenia è una cancrena, un vicolo cieco; ma è anche un punto di riferimento nella Russia di Putin. Con la guerra è stato facile tornare al passato e mettere a dura prova la trasformazione del paese in uno stato non sovietico: la proprietà privata è stata accompagnata da un'unica ideologia dominante, dall'affermazione di una leadership personale incontrollata, dal disprezzo dei diritti umani e dall'idea, diffusa con la propaganda, che è necessario subordinare gli interessi individuali a quelli dello stato.
  • La guerra è stata chiamata ufficialmente "operazione antiterrorista nel Caucaso del nord" – in altre parole, lotta contro il terrorismo – mentre tutti i ceceni, per volontà del Cremlino, sono stati dichiarati indistintamente banditi e terroristi e obbligati ad addossarsi collettivamente la responsabilità delle azioni criminali di alcuni loro concittadini.
  • Il Cremlino ha risposto con uno stratagemma tipico del Kgb: ha cominciato ad arruolare per la Cecenia dei soldati scelti tra chi aveva passato l'infanzia in un orfanotrofio. Soldati orfani: nessuno si preoccupa per loro, non ci sono madri che ne piangono la scomparsa, che chiedono risarcimenti per la loro morte, che gridano, organizzano manifestazioni o addirittura parlano con la stampa. Oggi gli orfani sono la categoria di soldato più diffusa.
  • La Cecenia è lo strumento con cui Putin ha conquistato il Cremlino e che lo ha spinto a cercare di soffocare la società civile e la libertà di espressione.
  • E così dalla seconda guerra cecena è nata la nuova Russia del dopo Eltsin, postdemocratica e non sovietica, dove l'importante – come ai tempi del comunismo – non è ciò che succede in realtà, ma come fare il lavaggio del cervello alla gente. Nel caso della Cecenia, il potere ha adottato una tattica tipicamente sovietica: nascondere la verità dietro una montagna di menzogne.
  • Essere una persona in Cecenia non ha lo stesso significato che in occidente. Una persona in Cecenia è un soggetto biologico privo di qualsiasi diritto e della possibilità di contare sulle strutture dello stato.
  • Con Putin la Russia sta recuperando i peggiori valori sovietici, come il brutale fondamentalismo stalinista.
  • La Russia sta per precipitare in un abisso, scavato da Putin e dalla sua miopia politica.

Theguardian.com, 9 settembre 2004

 
Fotografie delle vittime della strage di Beslan
  • L'aereo decolla. Chiedo un tè. Sono molte ore di strada da Rostov a Beslan, e la guerra mi ha insegnato che è meglio non mangiare. Alle 21:50 lo bevo. Alle 22:00 mi rendo conto che devo chiamare la hostess perché sto rapidamente perdendo conoscenza. Gli altri miei ricordi sono frammentari: la hostess piange e grida: "Stiamo atterrando, tieni duro!"
    "Bentornata", ha detto una donna chinata su di me nell'ospedale regionale di Rostov. L'infermiera mi dice che quando mi hanno portato dentro ero "quasi senza speranza". Poi sussurra: "Mio cara, hanno cercato di avvelenarti". Tutti gli esami effettuati all'aeroporto sono stati distrutti – per ordine "dall'alto", dicono i medici.
The plane takes off. I ask for a tea. It is many hours by road from Rostov to Beslan and war has taught me that it's better not to eat. At 21:50 I drink it. At 22:00 I realise that I have to call the air stewardess as I am rapidly losing consciousness. My other memories are scrappy: the stewardess weeps and shouts: "We're landing, hold on!"
"Welcome back," said a woman bending over me in Rostov regional hospital. The nurse tells me that when they brought me in I was "almost hopeless". Then she whispers: "My dear, they tried to poison you." All the tests taken at the airport have been destroyed – on orders "from on high", say the doctors.
  • Si dice che Ruslan Aušev, l'ex presidente dell'Inguscezia, rifiutato dalle autorità per aver sostenuto una soluzione della crisi cecena, sia improvvisamente entrato in trattative con i terroristi a Beslan. È entrato da solo perché per 36 ore gli uomini del quartier generale dei servizi speciali responsabili delle trattative non sono riusciti a mettersi d'accordo tra loro su chi sarebbe andato per primo. I militanti danno tre bambini ad Aušev e poi rilasciano altri 26 ragazzi e le loro madri. Ma i media cercano di mettere a tacere il coraggioso comportamento di Aušev: nessuna trattativa, nessuno è entrato.
Word comes that Ruslan Aushev, the former president of Ingushetia, rejected by the authorities for advocating a settlement of the Chechen crisis, suddenly walked into negotiations with the terrorists in Beslan. He walked in alone because the people at the special services headquarters responsible for the negotiations were unable for 36 hours to agree among themselves who would go first. The militants give three babies to Aushev and then release 26 more kids and their mothers. But the media try to hush up Aushev's courageous behaviour: no negotiations, nobody has gone inside.
  • Il 3 settembre le famiglie degli ostaggi si trovano in un totale blackout di notizie. Sono disperati; tutti ricordano l'esperienza dell'assedio del teatro di Dubrovka in cui morirono 129 persone quando i servizi speciali rilasciarono gas nell'edificio, ponendo fine alla situazione di stallo. Ricordano come il governo ha mentito.
By September 3, the families of hostages are in a total news blackout. They are desperate; they all remember the experience of the Dubrovka theatre siege in which 129 people died when the special services released gas into the building, ending the stand-off. They remember how the government lied.
  • Questo è stato un problema costante negli ultimi cinque anni della seconda guerra in Cecenia: le persone hanno perso ogni speranza di ottenere protezione da parte dello Stato e non si aspettano altro che esecuzioni extragiudiziali da parte dei servizi speciali. Quindi cercano di difendere se stessi e i loro cari. L'autodifesa, naturalmente, porta al linciaggio. Non potrebbe essere altrimenti. Dopo l'assedio del teatro del 2002, gli ostaggi fecero questa straziante scoperta: salva te stesso, perché lo Stato può solo aiutarti a distruggerti.
This has been a constant issue during the past five years of the second war in Chechnya: people have lost all hope of getting any protection from the state and they expect nothing but extra-judicial executions from the special services. So they try to defend themselves and their loved ones. Self-defence, naturally, leads to lynching. It couldn't be otherwise. After the theatre siege in 2002, the hostages made this harrowing discovery: save yourself, because the state can only help to destroy you.
  • La notizia più importante è che Putin vola a Beslan di notte. Ci viene mostrato Putin che ringrazia i servizi speciali; vediamo il presidente Dzasochov, ma non viene detta una parola su Aušev. È un ex presidente caduto in disgrazia, caduto in disgrazia perché ha esortato le autorità a non prolungare la crisi cecena, a non portare le cose al punto di una tragedia che lo Stato non sarebbe stato in grado di gestire. Putin non menziona l'eroismo di Aušev, quindi i media tacciono.
The top news story is Putin flying into Beslan at night. We are shown Putin thanking the special services; we see President Dzasokhov, but not a word is said about Aushev. He is a disgraced former president, disgraced because he urged the authorities not to prolong the Chechen crisis, not to bring things to the point of a tragedy that the state could not handle. Putin does not mention Aushev's heroism, so the media are silent.
  • Gli avvenimenti di Beslan hanno dimostrato che le conseguenze di un vuoto informativo sono disastrose. Le persone respingono lo stato che le ha lasciate in asso e cercano di agire da sole, cercano di salvare i propri cari e di esigere la propria giustizia sui colpevoli. Successivamente Putin ha dichiarato che la tragedia di Beslan non aveva nulla a che fare con la crisi cecena, quindi i media hanno smesso di occuparsi dell'argomento. Quindi Beslan è come l'11 settembre: tutta una questione di Al-Qaeda. Non si parla più della guerra cecena, di cui questo mese ricorre il quinto anniversario. Questa è una sciocchezza, ma non era la stessa cosa in epoca sovietica, quando tutti sapevano che le autorità dicevano sciocchezze ma facevano finta che l'imperatore fosse vestito?
The events in Beslan have shown that the consequences of an information vacuum are disastrous. People dismiss the state that has left them in the lurch and try to act on their own, try to rescue their loved ones themselves, and to exact their own justice on the culprits. Later, Putin declared that the Beslan tragedy had nothing to do with the Chechen crisis, so the media stopped covering the topic. So Beslan is like September 11: all about al-Qaida. There is no more mention of the Chechen war, whose fifth anniversary falls this month. This is nonsense, but wasn't it the same in Soviet times when everyone knew the authorities were talking rubbish but pretended the emperor had his clothes on?
  • Stiamo precipitando di nuovo in un'abisso sovietico, in un vuoto di informazioni che significa morte a causa della nostra stessa ignoranza. Tutto ciò che ci resta è Internet, dove le informazioni sono ancora liberamente disponibili. Del resto, se vuoi continuare a fare il giornalista, è un servilismo totale nei confronti di Putin. Altrimenti può trattarsi della morte, della pallottola, del veleno o del processo – qualunque cosa i nostri servizi speciali, i mastini di Putin, ritengano opportuno.
We are hurtling back into a Soviet abyss, into an information vacuum that spells death from our own ignorance. All we have left is the internet, where information is still freely available. For the rest, if you want to go on working as a journalist, it's total servility to Putin. Otherwise, it can be death, the bullet, poison, or trial – whatever our special services, Putin's guard dogs, see fit.

Internazionale.it, n. 557, 16 settembre 2004

  • Sono indispensabili trattative politiche con il leader indipendentista Aslan Maskhadov, anche se la maggior parte della popolazione non lo rispetta. Ma è comunque necessario passare attraverso queste trattative.
  • Bisogna imporre l'obbligo di smilitarizzare il territorio. È la condizione principale per una soluzione politica impossibile senza il ritiro delle forze armate. I soldati potranno restare solo nelle caserme e nelle basi militari e per un periodo di tempo transitorio rigorosamente definito. Questo periodo dovrà essere comunicato pubblicamente, così come le condizioni in base alle quali si effettuerà il ritiro. Le eventuali violazioni della smilitarizzazione saranno punite.
  • [...] lasciare un qualsiasi ruolo a Ramzan Kadyrov è assolutamente impossibile, poiché il capo delle forze di sicurezza di Grozny, accusato di molte atrocità, è una figura che scatena solo ostilità.

Intervista di James Meek, Theguardian.com, 15 ottobre 2004

  • [Sulla sua carriera giornalistica durante la perestrojka] Ogni giornalista riceveva un biglietto gratuito tutto l'anno; potevi andare su qualsiasi aereo e volare dove volevi. Grazie a questo ho visto tutto il nostro vasto paese. Ero una ragazza di famiglia diplomatica, lettrice, un po' secchiona; non conoscevo affatto la vita.
Every journalist got a free ticket all year round; you could go on any plane and fly wherever you wanted. Thanks to this I saw the whole of our huge country. I was a girl from a diplomatic family, a reader, a bit of a swot; I didn't know life at all.
  • [Sugli anni novanta] Da un punto di vista economico la vita divenne molto difficile, [...] ma politicamente non fu affatto scioccante. Era pura felicità, poter leggere, pensare e scrivere quello che volevi. È stata una gioia. Bisogna essere disposti a sopportare molto, anche in termini di difficoltà economica, per amore della libertà.
From an economic point of view, life became very difficult, [...] but politically it wasn't shocking at all. It was simple happiness, that you could read and think and write whatever you wanted. It was a joy. You need to endure a great deal in the way of economic hardship for the sake of freedom.
  • Ancora oggi in ogni filiale dell'Fsb in Cecenia si pratica la tortura, come il cosiddetto "telefono", dove viene fatta passare una corrente elettrica attraverso il corpo di una persona. Ho visto centinaia di persone che hanno subito questa tortura. Alcuni sono stati torturati in modo così intricato che mi è difficile credere che ciò sia stato fatto da persone che hanno frequentato il mio stesso tipo di scuole e che hanno letto gli stessi libri di testo.
To this day there's torture in any FSB branch in Chechnya, like the so-called "telephone", where they pass an electric current through a person's body. I've seen hundreds of people who've been through this torture. Some have been tortured in such an intricate way that it's hard for me to believe that it was done by people who went to the same sort of schools that I did, who read the same textbooks.
  • [Sui leaders occidentali] La maggior parte delle volte dimenticano la parola Cecenia. Se ne ricordano solo quando c'è un atto terroristico. E poi è "Oh!", e ricominciano la loro copertura completa. Ma praticamente nessuno racconta cosa sta realmente accadendo in quella zona, in Cecenia, e sulla crescita del terrorismo. La verità è che i metodi impiegati nell'operazione antiterroristica di Putin stanno generando un'ondata di terrorismo come non abbiamo mai sperimentato.
Most of the time they forget the word Chechnya. They only remember it when there's a terrorist act. And then it's, "Oh!" And they start their full coverage up again. But virtually nobody reports on what is really going on in that zone, in Chechnya, and the growth of terrorism. The truth is that the methods employed in Putin's anti-terrorist operation are generating a wave of terrorism the like of which we have never experienced.
  • [Sullo scandalo di Abu Ghraib] In Russia si sente la gente parlarne con orgoglio: "Noi abbiamo trattato i neri[1] così prima degli americani, e avevamo ragione, perché sono terroristi internazionali".
In Russia you hear people talking about it with pride: that, "We treated the blacks like this before the Americans did, and we were right, because they are international terrorists."
  • Putin ha iniziato a provare a dimostrare sulla scena mondiale che anche lui combatte i terroristi internazionali, che è solo un partecipante di questa guerra alla moda. E ha avuto successo. Per un po' è stato il migliore amico di Blair. Quando, dopo Beslan, ha cominciato ad affermare che stavamo praticamente vedendo la mano di Bin Laden, è stato spaventoso. Cosa c'entra Bin Laden con tutto questo? Il governo russo ha creato queste bestie, le ha allevate, si sono recate a Beslan e si sono comportate proprio come bestie.
Putin's begun to try to prove on the world stage that he's also fighting international terrorists, that he's just a part of this fashionable war. And he's been successful. He was Blair's best friend for a while. When, after Beslan, he began to state that we were seeing virtually the hand of Bin Laden, it was appalling. What's Bin Laden got to do with it? The Russian government created these beasts, brought them up, and they came to Beslan and behaved like beasts.
  • È impossibile parlare da un lato dell'elevato numero di vittime in Cecenia e dello sviluppo del terrorismo per poi stendere il tappeto rosso, abbracciare Putin e dirgli: "Siamo con te, sei il migliore". Questo non dovrebbe succedere. Capisco, il nostro Paese è un grande mercato, è molto attraente. Lo capisco molto bene. Ma non siamo persone di seconda classe, siamo persone come te, e vogliamo vivere.
It's impossible to talk on the one hand about the monstrous scale of victims in Chechnya and the spawning of terrorism and then lay out the red carpet, embrace Putin and tell him: "We're with you, you're the best." That shouldn't be happening. I understand, our country's a big market, it's very attractive. I understand it very well. But we're not second-class people, we're people like you, and we want to live.

Intervista di Andrew Osborn, Independent.co.uk, 15 ottobre 2004

  • Con il presidente Putin non saremo in grado di forgiare la democrazia in Russia e torneremo solo al passato. Non sono ottimista a questo riguardo e quindi il mio libro è pessimista. Non ho più speranza nella mia anima. Solo un cambio di leadership mi permetterebbe di avere speranza, ma è un inverno politico. Il Cremlino sta riportando il Paese al suo passato sovietico.
Under President Putin we won't be able to forge democracy in Russia and will only turn back to the past. I am not an optimist in this regard and so my book is pessimistic. I have no hope left in my soul. Only a change of leadership would allow me to have hope but it's a political winter. The Kremlin is turning the country back to its Soviet past.
  • I miei eroi sono quelle persone che vogliono essere individui ma sono costretti a tornare ad essere ingranaggi. [...] In un impero ci sono solo ingranaggi.
My heroes are those people who want to be individuals but are being forced to be cogs again. [...] In an Empire there are only cogs.
  • Ci sono molte persone in Russia che sarebbero leader forti. [...] Potresti pensare che abbiano i loro difetti ma niente potrebbe essere peggio di Putin.
There are many people in Russia who would be strong leaders. [...] You might think they have their faults but nothing could be worse than Putin.
  • [...] Putin, un prodotto del più oscuro servizio di intelligence del paese, non è riuscito a trascendere le sue origini e a smettere di comportarsi come un tenente colonnello del KGB. È ancora impegnato a sistemare i suoi connazionali amanti della libertà; persiste nel schiacciare la libertà proprio come ha fatto all'inizio della sua carriera.
[...] Putin, a product of the country's murkiest intelligence service, has failed to transcend his origins and stop behaving like a lieutenant-colonel in the KGB. He is still busy sorting out his freedom-loving fellow countrymen; he persists in crushing liberty just as he did earlier in his career.
  • Putin è come Akakij Akakievič di Gogol'. È una persona piccola e grigia che vuole davvero non essere grigia. Putin ha avuto un'occasione storica per essere grande e non essere grigio, ma è pur sempre grigio.
Putin is like Gogol's Akaky Akakievich. He is a small grey person who really wants not to be grey. Putin had a historic chance to be great and not to be grey but he is still grey.
  • Durante la campagna pre-elettorale presidenziale (quest'anno) si è comportato esattamente come Stalin. Ha distrutto l'opposizione democratica, ha gettato fumo negli occhi della gente, ha rifiutato persino il dibattito e ha costantemente mentito sulla Cecenia e sulle riforme sociali. Dicono che abbiamo un Paese felice ma non è così. È un paese povero. Putin non rispetta le persone e la repressione seguirà proprio come accadde con Stalin.
During the presidential pre-election campaign (this year) he behaved exactly like Stalin. He destroyed the democratic opposition, pulled the wool over people's eyes, refused to even debate and constantly lied about Chechnya and about social reforms. They say we have a happy country but we do not. It is a poor country. Putin doesn't respect people and repression will follow just as it did with Stalin.
  • [Su Šamil' Salmanovič Basaev] Mi ha chiesto di venire a intervistarlo una volta ma ho rifiutato. Dopo Budennovsk pensavo che non ci fosse più niente di cui parlare. In Cecenia non ci sono né eroi né angeli. La guerra lì va avanti da così tanto tempo che ci sono solo persone interessate a continuarla... E poi ci sono le persone, bloccate nel mezzo.
He asked me to come and interview him once but I refused. After Budennovsk I thought there was nothing to talk about. There are no heroes and no angels in Chechnya. The war there has been going on for so long that there are only people who are interested in continuing it... And then there are the people, stuck in the middle.
  • Certe volte le persone pagano con la vita il fatto di dire ad alta voce ciò che pensano. Infatti, una persona può perfino essere uccisa semplicemente per avermi dato una informazione. Non sono la sola ad essere in pericolo e ho esempi che lo possono provare. (da una conferenza a Vienna sulla libertà di stampa, dicembre 2005)[fonte 2]

Internazionale.it, n. 582, 17 marzo 2005

 
Šamil' Salmanovič Basaev
  • Aslan Maskhadov è morto, come migliaia di altri uomini e donne ceceni, a causa della delazione di altri ceceni. Una delazione avvenuta in seguito a torture, cioè al metodo per ottenere informazioni e condurre indagini usato sia durante la prima sia durante la seconda guerra cecena. Ciò fa di Maskhadov un uomo che ha condiviso le sorti del suo popolo, come vorrebbe fare ogni vero leader. E questo significa che con ogni probabilità resterà nella memoria dei ceceni come un grande martire, indipendentemente da quanto ha fatto in passato.
  • Maskhadov è morto durante la lunga tregua unilaterale da lui stesso dichiarata il 14 gennaio. Una tregua che, anche se non ha avuto un grande successo, resta comunque l'unica nella storia della seconda guerra cecena; era una mano tesa verso il Cremlino per l'avvio di trattative sul cessate il fuoco, la demilitarizzazione e la reciproca consegna dei criminali di guerra.
    L'uccisione di Maskhadov significa che la tregua è terminata. Scordatevela, completamente. Non ci saranno trattative. Non ci sarà più bisogno del comitato delle madri dei soldati russi, che aveva cercato di negoziare con gli uomini di Maskhadov. Non ci sarà bisogno di nessuna madre. Solo di guerre.
  • Dietro a Kadyrov c'è Putin. Chi c'è invece dietro a Basaev? Gli "arabi", come piace dire ai federali russi in Cecenia? [...] Dietro a Basaev c'è una resistenza che si sta radicalizzando sempre di più. Le sue fila sono alimentate soprattutto dalla gioventù cecena, che non sa vivere in altro modo se non prendendo parte ad azioni in cui muoiono martiri innocenti per sfuggire alle umiliazioni a cui è sottoposta di continuo dai federali russi.
  • La morte di Maskhadov, ucciso a Tolstoj-Yurt, è per Basaev la migliore conferma del suo slogan: con la Russia non si può trattare, con la Russia si può solo combattere. Con ogni mezzo.

Intervento al Festival della letteratura di Mantova, 11 settembre 2005; Micromega.net, 7 ottobre 2022

  • In effetti, mi reputo una giornalista, forse anche una fanatica del giornalismo; e ritengo, per questo, semplicemente di svolgere il mio dovere e di lavorare di conseguenza.
  • Quello del colonnello Budanov è rimasto l'unico caso di ufficiale punito severamente per aver compiuto un delitto. Nel corso degli ultimi due anni c'è stato un altro caso analogo: l'indagine su un gruppo di ufficiali della direzione dei servizi segreti militari, comandati da un certo Ulman, che, sempre in Cecenia, avevano ucciso sei civili e poi ne aveva bruciato i corpi. I militari «credevano» – credevano soltanto! – che quelle persone fossero dei guerriglieri, sebbene si trattasse di vecchi e di donne. La sentenza del tribunale ha riconosciuto che sì, i civili erano stati uccisi e bruciati, ma non ha ammesso la colpevolezza degli imputati in quanto costoro non avrebbero fatto altro che compiere il loro dovere. Ci si domanda, allora, in cosa consista questo «dovere»: tra gli uccisi c'era il direttore di una scuola, il suo vice, un guardiaboschi, una donna incinta con altri otto figli a casa da accudire. Che «dovere» è?
  • Il problema è che nella Russia di oggi assistiamo alla coesistenza di due verità, che tra loro non si sfiorano neppure. La prima è quella della gente che vorrebbe vivere come ai tempi dell'Unione Sovietica, mettendosi al servizio dell'ideologia e non della legge; sono persone che negano le leggi pur di essere al servizio di qualche ideologia politica di nuova invenzione. In questo ritengono consista il loro dovere. C'è poi un'altra parte della popolazione, che concepisce il dovere nel senso di osservare onestamente quanto avviene nel paese, agendo in modo tale che la legge stia al di sopra di tutto, permettendo così il prevalere dei principî democratici.
  • La seconda guerra cecena è cominciata nel 1999. La si può considerare come una rivalsa da parte delle truppe federali per essere state costrette a firmare la pace che aveva posto fine alla prima guerra cecena, nel 1996. A quell'epoca, in Cecenia, la vita della gente era molto penosa, perché effettivamente esistevano numerosi gruppi di banditi e di fanatici religiosi. All'epoca, molte persone con le quali parlai, mi dissero che la guerra sarebbe probabilmente durata poco e che, una volta ripristinata la legalità, la vita sarebbe migliorata per tutti. Alcune persone mettevano in relazione la guerra con la risoluzione dei problemi interni. Ma i metodi applicati dall'esercito federale sono stati tali da non lasciare scelta: hanno colpito chiunque, indipendentemente dalle opinioni, indipendentemente dalla legge. Hanno ucciso sulla base dell'esclusivo «diritto» di avere un'arma in mano.
  • L'evoluzione verificatasi negli ultimi anni nel Caucaso settentrionale ha molto poco a che fare con ciò che si usa chiamare al-Qaida: è qualcosa che abbiamo creato noi stessi e che produce il terrorismo interno. Putin va in giro a dire che questa gente vuole instaurare uno Stato islamico unitario, un califfato; ma nessun terrorista ha mai avanzato una simile rivendicazione. Ciò che chiedono, invece, è di porre fine alla guerra.
  • Non so su cosa si basi la grande amicizia esistente tra Putin e Berlusconi. So solo che i mass media ufficiali russi ripetono continuamente che Berlusconi è il maggior avvocato europeo di Putin nella sfera di quelli che contano e che hanno potere.
  • Contrariamente a quanto avveniva in epoca sovietica, infatti, la politica di Putin è del tutto antisociale. È una politica che dice alla gente di allontanarsi dallo Stato, di pagarsi le cure mediche coi propri soldi, che l'istruzione è solo per le famiglie ricche. I poveri devono essere estromessi dall'assistenza sanitaria e da un'istruzione decente. Dal 1° gennaio è entrata in vigore la legge 122, che è di grande importanza per noi. In virtù di questa legge si è ridotta ancora di più la partecipazione dello Stato alla politica sociale in favore dei propri cittadini, soprattutto della parte più povera della popolazione, che nel nostro paese rappresenta un terzo dei cittadini. Putin è a favore del capitalismo, e in questo è senza dubbio simile a Berlusconi; ma il suo è un capitalismo oligarchico, burocratico: i ricchi da noi non sono più quelli che riuscirono a creare la propria ricchezza ai tempi disonesti di Eltsin. I ricchi di oggi siedono, per così dire, sul fiume delle risorse di bilancio.
  • Nel nostro paese oggi non esiste alcuna televisione indipendente, non esiste alcun talkshow indipendente dove i politici possano discutere dei problemi più importanti. L'ultimo talkshow politico è stato interrotto all'incirca un anno fa, si chiamava Libertà di parola. Putin ha detto di non vederne l'utilità visto che vi si raccoglievano solo i politici falliti. Adesso è stato ripreso e viene trasmesso a Kiev, in Ucraina. Da noi esiste, oltre a un numero assolutamente limitato di quotidiani che non segue la linea ufficiale, una sola stazione radio indipendente al 50 per cento, dove di tanto in tanto si riesce a discutere in diretta di quanto avviene nel paese.
  • I motivi per i quali siamo stati dichiarati dei nemici sono tanti: il fatto di avere chiesto, insieme agli abitanti di Beslan, un'inchiesta indipendente sull'attacco terroristico e di starne conducendo anche una nostra; il fatto di aver appoggiato la protesta popolare contro la legge 122; l'esserci fermamente espressi contro la distruzione della Jukos – un'enorme industria petrolifera che finanziava parte dei partiti di opposizione e un importantissimo istituto della società civile come quello delle organizzazioni di difesa dei diritti della popolazione; abbiamo poi sostenuto coerentemente, nel corso degli ultimi sei anni, una posizione contraria ai metodi impiegati in Cecenia, spiegando che l'esplosione del terrorismo nel paese, compresa la tragedia di Beslan, è una conseguenza diretta di quanto accade in Cecenia; abbiamo inoltre condotto inchieste sulla corruzione diffusa a causa delle quali due nostri giornalisti sono stati uccisi. Nessun altro giornale ha subìto perdite tanto gravi; uno di questi colleghi è stato ucciso vicino alla propria abitazione, un altro è stato avvelenato. Questa è la libertà di parola, secondo Putin.
  • Posso dire che gli strati più poveri della popolazione nel nostro paese, che sono costituiti da milioni di persone, oggi sono contagiati dal nazionalismo e da idee antidemocratiche. [...] Noi li chiamiamo i «rosso-bruni»: è povera gente che ritiene colpevoli di tutto i «negri» – scusate se uso questo termine – e, naturalmente, come sempre, gli ebrei. È un'idea politica che al momento si sta effettivamente diffondendo, perché la maggior parte dei nuovi russi è costituita da ebrei che, dopo il crollo dell'Unione Sovietica, sono riusciti a mettere assieme il loro smisurato capitale in tempi prodigiosamente brevi. Poi è cominciata la guerra in Cecenia e, in generale, nel Caucaso, che ha portato a forti sentimenti anticaucasici. Gli abitanti del Caucaso vengono chiamati «i nostri negri». Oggi in provincia gode di estrema popolarità il movimento nazional-bolscevico. [...] Penso che se in Russia si arriverà a una rivoluzione, non sarà come quella delle rose in Georgia, o come quella dei tulipani in Kirghizistan o come quella arancione in Ucraina: da noi ci sarà una rivoluzione sanguinosa.
  • [...] malgrado tutta l'ambiguità della sua figura politica, Eltsin è riuscito a fermare la prima guerra cecena, a fermare lo spargimento di sangue e a salvare la vita a molta gente. Con Eltsin noi lavoravamo in piena libertà, per questo potevamo informare su quanto avveniva in Cecenia durante la guerra e il risultato è che si arrivò alla decisione politica di fermare la guerra. Eltsin stesso capiva che nel paese esistevano milioni di indigenti che andavano sostenuti, e che senza il sostegno dello Stato non potevano fornire un'istruzione ai propri figli o curarsi della propria salute. Oggi, con Putin, di questo ci si è dimenticati.
  • A volte sento dire che adesso il paese è più sicuro. Non è assolutamente così. La quantità di attentati terroristici verificatisi sotto Putin non ha precedenti nell'epoca di Eltsin. Mi si obietta che lui trattò con Maskhadov e Basaev, però all'epoca non ci furono episodi come Beslan e per me questa è la cosa più importante.
  • Io ritengo che dopo Putin saranno senz'altro i nazionalisti ad andare al potere. Tuttavia, il successo del nazionalismo è di fatto, e paradossalmente, indotto proprio dall'amministrazione Putin. L'amministrazione non svolge affatto un ruolo di consolidamento della società, ma al contrario alimenta la guerra civile. In agosto, l'amministrazione Putin ha dato vita a un movimento chiamato Nashe (Il nostro). Gli «altri» non sono «dei nostri». Non è un segreto che siano stati invitati a far parte di questo movimento anche organizzazioni di tifosi di calcio in qualità di gruppi d'assalto. A carico di molti di questi facinorosi pendono condanne per rissa, atti di teppismo eccetera. Si tratta di piccoli, e a volte anche grandi delinquenti; di hooligan particolarmente aggressivi. Ora, tutti i procedimenti penali a loro carico sono stati sospesi ed è stato loro promesso che tali rimarranno finché militeranno nel movimento Nashe. Si tratta di un fatto catastrofico, perché questi tifosi scalmanati, che adesso sono diventati «nostri», sono continuamente coinvolti in risse, e non in risse innocue da adolescenti, ma in risse dalle pesanti conseguenze, con teste rotte, braccia e gambe fratturate e così via. Le vittime sono appositamente scelte tra coloro che aderiscono al fronte contro Putin. È una politica molto vile, perché può portare direttamente a una rivoluzione. Personalmente sono contraria alla rivoluzione.
  • Quanto al fenomeno [...] definito «russismo», senza dubbio è forte il razzismo nei confronti di coloro che arrivano da altri paesi, particolarmente dai paesi dell'Asia centrale. Ed è forte non solo a Mosca o a San Pietroburgo, ma anche in città molto piccole. Io ho scritto di numerosi casi in cui degli adolescenti hanno ucciso dei loro coetanei proprio in piccole città. A Mosca e San Pietroburgo, almeno, simili casi approdano in tribunale; nel resto di questo sterminato paese questo, invece, non succede facilmente. Si tratta in effetti di un nazionalismo molto strano perché non è raro che ne siano vittime addirittura persone etnicamente russe. È il caso di quelle persone che, per esempio, lasciano le zone del Caucaso, dove oggi, non senza sforzi del potere, si stanno creando delle repubbliche e dei territori di fatto monoetnici in cui ai russi è assai difficile vivere, e che perciò si trasferiscono in regioni e città russe. Un esempio è la stessa Cecenia o il Daghestan. Ora, le discriminazioni nazionalistiche riguardano appunto anche questi «russi impuri», malgrado siano completamente russi. Penso che le vere cause di ciò siano sempre le stesse: la povertà contro la quale non si riesce a far nulla, la corruzione che non consente alla povera gente, indipendentemente da dove proviene, di regolarizzare la propria posizione, perché la politica delle autorità consente la regolarizzazione solo a chi ha denaro, e chi non ha soldi diventa clandestino, infine la nascita di una forte delinquenza minorile, nazionalista e ignorante.

Intervista di Fiammetta Cucurnia, La Repubblica, 15 ottobre 2005

  • Quel che sta accadendo nel Caucaso è il frutto della politica di Putin. Una politica miope di repressione e di violenza senza prospettive, che sta spingendo i musulmani del Caucaso nella clandestinità. Sbaglia chi dice che Putin non ha scelta: se non è capace di trovare una soluzione per la Cecenia e il Caucaso, si faccia da parte.
  • Dopo la strage di Beslan Mosca ha dato il via a una campagna di repressione nel Caucaso che sta spingendo sempre più giovani nella rete clandestina. Questa diventa sempre più attiva e capillare e, evidentemente, crea una riserva di giovani braccia per le squadre di Basaev.
  • Nel Caucaso, come ai tempi sovietici, il potere perseguita i Mufti: a Nalcik è stata chiusa perfino la moschea. Il risultato è che la gente, i giovani in particolare, si nasconde, entra in clandestinità: magari, all inizio, solo per pregare. Ma col tempo cova risentimento e giura vendetta. La politica del Cremlino ha creato materialmente l'underground musulmano, anche dove non c'era.
  • Io mi sono occupata negli ultimi mesi dei numerosissimi processi contro i terroristi musulmani: la stragrande maggioranza di questi è fabbricata di sana pianta, con presunti complici condannati a vent' anni senza uno straccio di prova. Questo succede in tutte le repubbliche del Caucaso.

Index on Censorship, novembre 2005

  • Gli stati dell’Asia centrale un tempo erano sovietici, ma ora, quando non apprezzano la politica della Russia, si rivolgono alla Cina, che è una potenza economica, situata nelle vicinanze e pronta a rivendicare il territorio che considera suo. La nostra influenza diminuirà se non perseguiamo una politica intelligente e flessibile. Ma non lo facciamo. Abbiamo esperti di livello mondiale in questo campo ma non vengono consultati. Viviamo in uno zarismo, dove lo zar decide tutto. E i suoi consiglieri non sono esperti, sono solo persone di cui si fida.
The central Asian states were once Soviet, but now, when they dislike Russia’s policy they turn to China, which is an economic power-house, lying nearby and ready to re-claim territory it considers its own. Our influence will decline if we do not pursue an intelligent, flexible policy. And we don’t. We have world-class experts in this field but they are not consulted. We live in a tsardom, where the tsar decides all. And his advisors are not expert, they are just people he trusts.
  • Più la Chiesa ortodossa russa si è consolidata, meno è rimasta spirituale. Ormai è di moda che gli studenti diventino musulmani, e se la Chiesa non cambia, o non trova un linguaggio comune con il Vaticano, continuerà a perdere terreno rispetto all'Islam, che è più giovane e dinamico. L'alcol e la droga stanno distruggendo la Russia, ma la Chiesa non si è mai occupata seriamente di questi problemi. L’Islam mette immediatamente le persone nella posizione di poter dire: “Non bevo e non mi drogo”, e questo continuerà ad attrarre seguaci.
The more established the Russian Orthodox Church has become, the less spiritual it is. It is the fashion now for students to become Muslim, and if the Church does not change, or find a common language with the Vatican, it will continue to lose ground to Islam, which is younger and more dynamic. Drink and drugs are destroying Russia but the Church has never seriously addressed them. Islam immediately puts people in a position where they can say, "I don’t drink and I don’t take drugs," and that will continue to attract followers.
  • In Russia, qualcuno può entrare al Cremlino e arricchirsi sottraendo risorse nazionali. Non abbiamo filantropi e l’incarcerazione di Chodorkovskij è un avvertimento per gli altri. Ha creato la fondazione Open Russia e ha finanziato partiti di opposizione, organizzazioni ambientaliste e per i diritti umani. Vladimir Putin ha affermato che la Russia non permetterà agli stranieri di finanziare la nostra società civile, ma ora non abbiamo investitori nazionali per farlo, il che è una tragedia. Se continuiamo così, tra 100 anni non ci sarà più una società civile in Russia.
In Russia, someone can enter the Kremlin and make a killing, siphoning off national resources. We have no philanthropists and Khodorkovsky’s imprisonment is a warning to others. He set up the Open Russia Foundation and financed opposition parties, environmental organisations and human rights. Vladimir Putin has said that Russia will not allow foreigners to finance our civil society, but now we have no domestic investors to do it, which is a tragedy. If we continue like this, 100 years years from now there will be no civil society in Russia.

Dibattito con Elena Rykovzeva, Radio Svoboda, 5 ottobre 2006; citato e tradotto in PeaceLink, 9 ottobre 2006

  • Sto conducendo un'inchiesta. Riguarda le torture effettuate nelle prigioni segrete di Kadyrov oggi e in passato. Persone che sono state sequestrate dagli uomini di Kadyrov per un motivo del tutto incomprensibile. Sono sparite semplicemente perché organizzavano public relations.
  • I giornalisti, che non conoscono questa regione, dicono che Kadyrov faccia rinascere le tradizioni cecene. Sono tutte fesserie. Lui le distrugge. Non sono certo sostenitrice dell'istituto della vendetta trasversale, ma fatto sta che per lunghi anni tale tradizione aveva mantenuto una certa stabilità nella regione. Ma Ramzan è intervenuto anche in questo campo distruggendola.
  • Il mio sogno personale nel giorno del compleanno di Kadyrov riguarda soltanto un fatto. Parlo di questo in modo assolutamente serio. Sogno che lui sieda sul banco degli imputati. E che l'indagine su tutti i suoi delitti segua la procedura giuridica più severa, con un'elencazione di tutti i reati.

Intervista di Natalia Mozgovaja, lastampa.it, 9 ottobre 2006

 
Ramzan Kadyrov
  • [Su Ramzan Kadyrov] Non gli piace che io lo ritenga un bandito di Stato, che lo consideri uno degli errori tragici di Putin. [...] Lui è pazzo, un idiota assoluto. [...] Come un bambino terribile, dice e fa ciò che vuole. Uccide molte persone, laggiù.
  • La gente legge, poi ne parla con gli amici. Ne ho parlato con i difensori dei diritti umani, siamo stati costretti ad ammettere che non esiste una quantità di sangue sufficiente a portare i russi in piazza. Se scrivessi che ieri sono morti 200 mila ceceni direbbero, sì, in effetti sono tanti. Tutto qui. Nemmeno se morissero 200 mila abitanti di una città russa. La società oggi è molto crudele.
  • Una volta la gente parlava. Oggi, se vado a fare la spesa, incontro sicuramente qualcuno che mi dice qualcosa, ma solo in un orecchio. Penso che sia perché nelle posizioni chiave ci sono gli uomini del Kgb. Nel dna della nostra gente c'è il ricordo che a "questi" non ci si oppone. Gli unici che hanno il coraggio di alzare la voce sono i nazionalisti, i fascisti.
  • [«Lei non aveva mai fatto la corrispondente di guerra. Poi è finita in una fossa, prigioniera dei russi.»] È stato disgustoso. Continuavo a dire: vi sbagliate. Non ne avete il diritto, è illegale. Mi rispondevano che stavano lottando con il terrorismo e io ero una serpe che stava con i guerriglieri, che sarebbe stato giusto ammazzarmi, ma si sarebbero limitati a rendermi innocua. Secondo loro, se non consideravo i ceceni degli animali ero dalla loro parte.
  • [Sulla crisi del teatro Dubrovka] La sera prima del blitz si sperava ancora in un accordo. Le loro richieste erano primitive, ma avevano una logica: Putin doveva almeno far vedere di voler fermare la guerra. Dirlo in tv, ritirare le truppe da un distretto ceceno. Non chiedevano né treni, né aerei, né soldi, né droga. Avevo trasmesso le loro richieste dopo essere uscita. Poi è successo quello che è successo. Probabilmente, se avessi saputo come sarebbe andata a finire, non sarei entrata per il negoziato. Avevo capito che le cose stavano andando male alle due di notte: dovevo rientrare nel teatro, invece aveva vinto l'idea dei servizi, niente più trattative. Era chiaro che ci sarebbe stato l'assalto. Ma non potevo immaginare che avrebbero usato il gas, anche se li vedevo scavare passaggi.
  • Putin è stato messo lì da Berezovskij, ma non ha più importanza. All'inizio era mite, non si faceva notare. Poi ha deciso di diventare imperatore. È stato educato così. Ma a me questo ordine non piace. Piace al 51% della popolazione? E il rimanente 49%? È una minoranza che non si può nemmeno chiamarla tale, perché non ha diritto a dibattere con la maggioranza.
  • Per quanto riguarda mio marito, il giornalista Aleksandr Politkovskij, sono contenta che ci siamo lasciati. Era vittima della propaganda ufficiale, beveva e mi diceva che mi ero venduta ai ceceni. Vivere insieme, dopo 22 anni, è diventato impossibile.
  • I giornalisti maschi qualche volta giocano alla guerra. Io la odio. È orrenda. Quando ero prigioniera nella fossa era terribile, sporcizia, puzza, senza bagno, acqua, cibo. Mi avevano tolto anche i bottoni, temevano che dentro ci fossero microfoni, mi avevano lasciato solo il burro di cacao e poi uno mi ha rotto pure quel tubetto, cercava i microfoni.
  • Prima si poteva sperare che Putin avesse una strategia. Ma l'unica idea è restare al potere e prendere più soldi che puoi. Chi sono gli oligarchi? Gli uomini dell'amministrazione presidenziale. [...] Ultimamente negli ambienti della gente ricca si dice che lui finirà come Ceaucescu.

Internazionale.it n. 662-663, 12 ottobre 2006

  • Vivere senza un cane era come vivere senza una capsula dell'amore ad azione continua impiantata sotto pelle.
  • Gli psicologi più economici costano 1.300 rubli a visita. Per questa somma danno consigli di questo tenore: andare in vacanza, passare più tempo all'aria aperta, riposarsi, cambiare casa, ambiente, città, paese... Ma non li danno tutti insieme.
  • In una grande città il destino di un cane malato, se il suo padrone non ha i mezzi per curarlo e mantenerlo, è essere soppresso. Il mondo, che è diventato crudele con tutte le persone in difficoltà (disabili, orfani, malati), è diventato altrettanto crudele con gli animali. È naturale, non potrebbe essere diversamente. Per capire fino a che punto l'odore dei soldi ci rende feroci basta portare a spasso un cane malato.
  • Non appartengo alla tribù degli animalisti folli, quelli che amano i cani più degli uomini. Io gli uomini li amo più dei cani. Ma non sono capace di tradire. Soprattutto se so che quell'essere vivente non sopravviverebbe a un altro abbandono: morirebbe senza di me.
  • Questa casta sempre più numerosa dei cani abbandonati [...] è stata generata dal mondo dei ricchi. Li comprano come se fossero un giocattolo – ci si divertono un po', si stufano, gli mollano un calcio.
    Ignorano il valore dei soldi proprio come ignorano il valore di un essere vivente che ti è fedele fino alla fine. So bene cosa mi si potrebbe obiettare: non tutti i ricchi sono così cattivi, non tutti i veterinari sono degli squartatori. Certo. Ma allora perché da noi si vedono branchi di cani di razza che cercano rifugio negli androni?
  • Tutti ti piantano, tutti si stancano di te – il cane non smette mai di amarti.

La Repubblica, 12 ottobre 2006

  • Ogni giorno, di fronte a me, ci sono decine di cartelle. Sono atti di pratiche penali contro persone incarcerate per "terrorismo", o ancora sotto inchiesta. Perché uso la parola terrorismo tra virgolette? Perché queste persone sono terroristi solo di nome. Nel 2006 la prassi di "nominare i terroristi" non solo ha eliminato qualsiasi vera lotta antiterrorismo, ma ha cominciato a moltiplicare quelli che vogliono vendicarsi, cioè i potenziali terroristi.
  • Quando la procura e i tribunali russi lavorano non in nome di legge, per punire i colpevoli, ma per ordine politico e per presentare al Cremlino statistiche antiterroristiche positive, le cause si fanno in fretta.
  • In sostanza questi istituti di penitenza si sono trasformati in campi di concentramento per i condannati ceceni. Essi vengono sottoposti a discriminazione per motivi etnici. Non vengono lasciati uscire dalle celle. La maggioranza, quasi tutti, sono stai condannati in base a cause falsificate, senza prove. Trovandosi in condizioni tragiche, sottoposti a umiliazioni della dignità umana, in loro si genera odio per tutto.

Internazionale.it, n. 665, 26 ottobre 2006

  • Sono una reietta. È questo il risultato principale del mio lavoro di giornalista in Cecenia e della pubblicazione all'estero dei miei libri sulla vita in Russia e sul conflitto ceceno. A Mosca non mi invitano alle conferenze stampa né alle iniziative in cui è prevista la partecipazione di funzionari del Cremlino: gli organizzatori non vogliono essere sospettati di avere delle simpatie per me.
    Eppure tutti i più alti funzionari accettano d'incontrarmi quando sto scrivendo un articolo o sto conducendo un'indagine. Ma lo fanno di nascosto, in posti dove non possono essere visti, all'aria aperta, in piazza o in luoghi segreti che raggiungiamo seguendo strade diverse, quasi fossimo delle spie. Sono felici di parlare con me. Mi danno informazioni, chiedono il mio parere e mi raccontano cosa succede ai vertici. Ma sempre in segreto.
    È una situazione a cui non ti abitui, ma impari a conviverci: erano queste le condizioni in cui lavoravo durante la seconda guerra in Cecenia, scoppiata nel 1999.
  • [Su Ramzan Kadyrov] Tutte mi hanno ricordato che il premier aveva giurato pubblicamente di uccidermi. Era successo durante una riunione dell'esecutivo: Kadyrov aveva dichiarato di averne abbastanza e aveva aggiunto che Anna Politkovskaja era una donna spacciata. Me lo hanno raccontato alcuni membri del governo. Perché tanto odio? Forse non gli piacevano i miei articoli?
  • Qualche tempo fa Vladislav Surkov, viceresponsabile dell'amministrazione presidenziale, ha spiegato che alcuni nemici si possono far ragionare, altri invece sono incorreggibili: con loro il dialogo è impossibile. La politica, secondo Surkov, dev'essere "ripulita" da questi personaggi. Ed è proprio quello che stanno facendo, non solo con me.
  • "È talmente stupida che non conosce neanche il valore dei soldi. Le ho offerto del denaro ma non lo ha accettato", ha detto Kadyrov a un mio vecchio conoscente, un ufficiale delle forze speciali della milizia.
  • Perché Kadyrov vuole uccidermi? Una volta l'ho intervistato e ho pubblicato le sue risposte senza cambiare una virgola, rispettando tutta la loro incredibile stupidità e ignoranza. Kadyrov era convinto che avrei riscritto completamente l'intervista, per farlo apparire più intelligente. In fondo oggi la maggior parte dei giornalisti, quelli che fanno parte "dei nostri", si comporta così.
  • Non sono un vero animale politico. Non ho aderito a nessun partito perché lo considero un errore per un giornalista, almeno in Russia. E non ho mai sentito la necessità di difendere la duma, anche se ci sono stati anni in cui mi hanno chiesto di farlo. Quale crimine ho commesso per essere bollata come "una contro di noi"? Mi sono limitata a riferire i fatti di cui sono stata testimone. Ho scritto e, più raramente, ho parlato.
  • [...] impedire a una persona che fa il suo lavoro con passione di raccontare il mondo che la circonda è un'impresa impossibile. La mia vita è difficile, certo, ma soprattutto umiliante. A 47 anni non ho più l'età per scontrarmi con l'ostilità e avere il marchio della reietta stampato sulla fronte. [...] Naturalmente gli articoli che mi presentano come la pazza di Mosca non mi fanno piacere. Vivere così è orribile. Vorrei un po' di comprensione. Ma la cosa più importante è continuare a fare il mio lavoro, raccontare quello che vedo.

Cecenia

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Sul tavolo un orologio meccanico scandisce il suo tic-tac. È carico, conta solo le ore a venire. L'uomo, comprendendo le regole che governano l'orologio, lo carica ogni mattina, in modo che il tempo non si fermi mai.
Ma l'uomo è un essere strano. Si preoccupa molto delle lancette che gli indicano l'ora, ma riflette poco sul tempo.
Nel settembre del 1999 Vladimir Putin, dopo aver "ricaricato" un po' l'orologio e aver recitato con la gente la parte dell'antiterrorista, scatena in Russia la seconda guerra cecena.
È così che Putin è riuscito a mandare indietro il tempo. Ben presto, insieme alla seconda guerra cecena, si è scatenata in Russia una nuova guerra, questa volta intestina.
Oggi le nostre lancette girano solo all'indietro. La nuova guerra civile non è stata dichiarata contro un unico popolo del territorio russo, ma contro tutti.

Citazioni

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  • Chi siamo noi, cittadini russi dell'inizio del ventunesimo secolo?
    Noi? Noi siamo pronti a scannarci per ogni parola che non ci piace. Siamo intolleranti e intransigenti.
    Noi? Noi, molto semplicemente, abbiamo ricominciato a mettere in circolazione concetti gravi come quello di "nemico del popolo", e affibbiamo questa etichetta a tutti quelli che non la pensano come la maggioranza, senza alcuna distinzione.
    Noi? Noi abbiamo riconosciuto che una pallottola in testa è il mezzo più semplice e più naturale per risolvere qualunque conflitto, per minimo che sia. Noi? Noi, inariditi dalla guerra, odiamo più spesso di quanto non amiamo. L'odio è la nostra preghiera. Stringiamo i pugni volentieri, ma abbiamo difficoltà a riaprire le mani. E ancora una volta, invece di respirare l'aria a pieni polmoni, ci nutriamo del sangue dei nostri compatrioti senza battere ciglio.
    Non è forse guerra civile, questa? (pp. 25-26)
  • Contrariamente a quanto affermano i medici, neurologi e psichiatri sulle nostre infinite possibilità, ogni uomo dispone di una resistenza morale limitata al di là della quale si apre il suo abisso personale. Non è necessariamente la morte. Ci possono essere situazioni peggiori, ad esempio la perdita totale della propria umanità, come unica risposta alle innumerevoli nefandezze della vita. Nessuno può sapere ciò di cui sarebbe capace in guerra. (p. 27)
 
Soldati russi durante la seconda guerra cecena
  • Mandano qui ragazzi di diciotto o diciannove anni completamente ignoranti, grazie allo sfacelo totale del sistema scolastico degli anni Novanta. A cosa serviranno queste lezioni impartite nella primavera della loro vita? E gli ufficiali? Come potranno, dopo, tornare alle proprie famiglie e crescere i loro figli? (pp. 28-29)
  • I sociologi hanno stabilito che la guerra provoca una degenerazione. Ma in questo posto avanza troppo in fretta. È una degenerazione fulminante. Più la guerra va avanti, accompagnata dall'inqualificabile slogan del "tutto è permesso", più il degrado di migliaia di nuove reclute è rapido. Sono spesso stata costretta a indietreggiare davanti all'orrore di soldati che non sono in grado di giustificare le loro azioni! Quando ci provano, si accontentano quasi sempre di testimoniare la decadenza dovuta a una guerra la cui logica è stata dimenticata da tempo e proprio da coloro che l'hanno scatenata. Questa guerra (definita con l'espressione preferita di Putin "operazione antiterrorismo", che irrita e fa ridere chi si trova nel pantano ceceno) non ha obiettivi chiari. In questo conflitto, l'unico obiettivo di ognuno è sopravvivere con qualsiasi mezzo; ecco perché sono tutti moralmente fragili di fronte a un massacro iniquo, fuori controllo, dove il giudizio arbitrario diventa legge. Senza riflettere né preoccuparsi di eventuali punizioni, i soldati applicano alla popolazione civile i metodi più violenti e barbari. Nel cuore di questi giovani, facilmente influenzabili, una guerra del genere cancella completamente ogni traccia di ciò che avrebbero potuto leggere prima in qualche buon libro, o vedere in un buon film. Al contrario, dopo una tale orgia di crudeltà gratuita, i soldati conserveranno, radicata nel profondo, un'incapacità totale a mettersi nei panni del prossimo, un'indifferenza gelida alle sofferenze altrui e un odio tenace. (pp. 33-34)
  • Se una russa, un ucraina o un'armena è in grado di sopravvivere a una violenza carnale, di imparare nuovamente a vivere e persino a sorridere dopo un trauma tanto doloroso e pesante, per una cecena la violenza significa quasi sicuramente la morte. A maggior ragione se ci sono testimoni o se gli uomini della famiglia hanno saputo dell'accaduto. Poco importa che la donna non abbia colpa, quello che conta è che sia stata violentata. Così vuole la tradizione, salvo rare eccezioni, ma non se ne parla, ed è proprio questo silenzio che rende possibili gli stupri. (p. 37)
  • In Cecenia decidere di violentare o di avere pietà di una donna dipende unicamente dalle qualità personali e dai desideri dell'uomo in divisa. I militari sanno perfettamente che una violenza non avrà conseguenze giudiziarie e che quindi non rischiano niente. Del resto, la maggior parte dei militari che prestano servizio in Cecenia non credono di avere alcuna responsabilità nei confronti delle donne cecene: ai loro occhi sono "niente", e di conseguenza con loro "tutto è permesso". (pp. 38-39)
  • Giunta al suo terzo anno, la guerra ha partorito un'idra mostruosa: le brigate criminali russo-cecene. Queste brigate riuniscono militari, o ex militari russi, e ceceni, ex della resistenza o altro, quasi a dimostrare che il conflitto non ha alcun fondamento morale. Queste bande, che saccheggiano e uccidono, violentano e torturano, se ne fregano altamente delle controversie ideologiche, religiose e nazionali tra Russia e Cecenia di cui, invece, si nutrono politici e politologi di Mosca. In questo "ambiente" davvero internazionale (che non ha niente a che vedere con il presunto terrorismo internazionale), conta solo il saccheggio e la razzia. Questo "ambiente" è molto più potente degli stati maggiori dell'esercito o della milizia, incapaci di fermare il sanguinario rullo compressore. (pp. 40-41)
  • La guerra ha pervertito i deboli. Ma si può davvero chiedere a tutti di essere forti? Le rovine dove vive questa povera gente sono invase dalla criminalità notturna. E questa criminalità è provocata e controllata dai federali: senza il loro appoggio nessuna banda potrebbe scorrazzare impunemente per le vie di Grozny durante un coprifuoco a cui gli stessi criminali ceceni prendono parte attiva. Il cocktail criminale russo-ceceno è l'apoteosi di questa guerra immorale. Gli abitanti di Grozny, anticamente la più bella città del Caucaso del nord, hanno ribattezzato la loro città, tanto amata in passato, Griazny Grozny, un soprannome che riflette il dolore causato dalla distruzione totale della città, ridotta in rovine e polvere, ma anche l'orrore di fronte a un banditismo peggiore della barbarie. (p. 42)
  • [...] niente potrà togliermi il senso di colpa che ho nei confronti di coloro che hanno sacrificato la vita per il mio lavoro, per la mia resistenza al tipo di giornalismo che si sta instaurando in Russia grazie alla guerra "alla Putin". Parlo di un giornalismo ideologico senza accesso all'informazione, senza incontri né conversazioni con le fonti, senza verifiche dei fatti. Come ad esempio quello dei miei colleghi, che seduti dietro tre barriere di filo spinato nelle basi militari russe, riferiscono a Mosca del "miglioramento quotidiano" dei villaggi ceceni. Quel tipo di lavoro, che io credevo morto insieme al comunismo, da noi è ormai considerato la norma, e inoltre è riconosciuto e lodato dalle autorità. Quanto all'altro tipo di giornalismo, quello che comporta uno sguardo diretto su ciò che succede, non solo viene perseguitato, ma si rischia addirittura la vita. Un salto indietro di dieci anni, dopo la caduta dell'URSS! (pp. 46-47)
  • In Cecenia ci si abitua alla depressione che regna sovrana, raramente si sente qualcuno ridere e si è persa, ormai, l'abitudine di ridere di se stessi. (p. 48)
  • La Russia neosovietica plasmata dalla macchina statale putiniana ha deciso di creare sul proprio territorio un'enclave di assenza di diritti civili. Possiamo anche chiamarla zona di residenza, o ghetto per ceceni.
    È fondamentale capire questo punto. Il paese, che ha vissuto settant'anni sotto il socialismo e ballato il valzer democratico per una decina d'anni, è pronto a ritornare, per una nuova tappa della sua storia, alla brutta tradizione dell'epoca zarista.
    Abbiamo forse dimenticato la nostra storia, per voler tornare indietro in questo modo?
    Diamo uno sguardo alla Russia zarista della fine del diciannovesimo secolo e inizio del ventesimo. Vi regnava un eccesso di patriottismo beatamente entusiasta e un antisemitismo di stato non molto diverso dalla retorica anticecena di oggi (all'epoca si diceva che era "tutta colpa degli ebrei", oggi i capri espiatori sono i ceceni). Nella zona di residenza in cui erano confinati gli ebrei, la gioventù cresceva convinta di essere relegata alla condizione di paria: in effetti non avevano diritto di abitare o lavorare fuori dalla zona, salvo rare eccezioni; e l'accesso ai licei e alle università era limitato da un numerus clausus. Non era una situazione molto diversa da quella dei ceceni di oggi.
    Via via che i pogrom aumentavano d'intensità, molti giovani ebrei cominciarono a vivere la propria sorte da martiri, impadronendosi dell'ideologia della lotta di classe e trasformandosi in fanatici pronti a vendicare i loro cari e a battersi per un futuro migliore. Conosciamo i risultati: i numerosi capi bolscevichi, dai nomi conosciuti in tutto il mondo, che fecero il colpo di stato nell'ottobre del 1917 chiamando il popolo alla rivoluzione socialista, venivano da quel gruppo di giovani ebrei e dalla "zona". Morivano dalla voglia di vendicarsi dell'umiliazione subita dal potere. La rivoluzione fece la sua marcia trionfale: i bolscevichi fucilarono la famiglia dello zar, liquidarono gran parte dell'intellighenzia, perseguitarono i preti di ogni religione, mandarono milioni di persone nei gulag, e non aggiungo altro.
    È strano che da noi si sia dimenticato tutto questo. (pp. 49-50)
  • Sono pochi i risultati positivi della Russia di Putin: l'economia è ancora controllata dagli oligarchi, l'assistenza sociale è inesistente. E allora, su quale base è possibile costruire una politica interna? Sulla nostalgia della grande Unione Sovietica e su quella dell'Impero, perché abbiamo sempre tanta voglia di sentirci "grandi". (p. 51)
  • La gioia orgasmica di sentirsi una grande potenza si nutre dell'oppressione e dell'umiliazione di un altro che si può calpestare impunemente. (pp. 51-52)
  • [Su Vladimir Putin] La favola della sua intelligenza diabolica è destinata solo alla campagna pubblicitaria per l'Occidente. E immagino che l'Europa e gli Stati Uniti lo corteggino non tanto per la sua intelligenza e pervicacia, quanto per la sua capacità di "contenere la Russia" nei limiti consentiti, senza preoccuparsi troppo dei mezzi che il potere russo utilizza per farlo. (p. 52)
  • A due anni dall'inizio della seconda guerra di Cecenia, non c'era più niente da rubare ai ceceni. Quelli che si erano assuefatti a questa "droga" cominciarono a depredare i loro simili. (p. 66)
  • I crimini di guerra e i crimini contro l'umanità in Cecenia vengono commessi principalmente grazie alla copertura fornita dal diritto a nascondere il proprio nome, diritto concesso dalla più alta autorità del paese ai militari "affinché i boieviki non si vendichino sulle loro famiglie". Questo diritto si è insinuato pian piano nella vita russa. Tornando a casa dopo la Cecenia, questi "sconosciuti" graduati non vogliono più avere un'identità precisa. Si sono abituati alla comodità dell'anonimato e non vogliono più tornare indietro. (pp. 74-75)
  • Gli ufficiali e i mercenari (che percepiscono una paga più alta degli ufficiali e, a volte, degli stessi generali) stanno tre mesi in Cecenia. Finito il periodo devono tornare a casa. Anche tenendo conto del fatto che alcuni partecipano a due o più missioni, si può calcolare che siano centinaia di migliaia di persone passate dalla Cecenia, zona di combattimento e di repressione. Con le leggi attuali, non dispongono di alcun aiuto psicologico dopo aver partecipato alla guerra. Uomini che sono stati assassini e carnefici vivono in mezzo a noi, ovunque, e le loro reazioni sono imprevedibili. In realtà, siamo tutti in pericolo. (p. 75)
  • Questa sporca guerra ha creato, poco a poco, un'onnipresente atmosfera bellicosa nella quale gli argomenti normali non sono più in voga. Abbiamo preso l'abitudine di parlarci con intolleranza, [...] senza più traccia della nostra benevolenza naturale, della nostra pazienza, della tendenza a perdonare, insomma di tutto quello che rappresenta tradizionalmente il carattere russo. La gente, anche se non ha niente a che vedere con la Cecenia, è diventata dura, caustica, aggressiva, violenta. (p. 77)
 
Aslan Maschadov
  • Evidentemente Maskhadov preferisce non vedere e non sentire quello che subisce il suo popolo. Tace. Sempre. Anche nei momenti più difficili, quando un cenno del leader della nazione sarebbe di fondamentale importanza. (p. 79)
  • Nella Cecenia di oggi i parenti e gli amici di Kadyrov sono più protetti del Papa. Vivono circondati da truppe speciali i cui metodi sono tristemente famosi. I loro uomini hanno l'abitudine di occupare le foreste e le radure intorno al posto dove si trova la persona che devono proteggere ed eliminare tutti quelli che vi si trovano. Fanno sistematicamente sparire tutti i sostenitori di Maskhadov. (p. 80)
  • Maskhadov parlò a lungo della "vittoria sulla Russia", della sua natura imperialista, della crudeltà e dei crimini dell'esercito federale. Tutto questo era vero, indubbiamente. Ma il popolo non si aspettava certo dal suo capo quella retorica antirussa così comune in Cecenia. Il popolo aveva bisogno della parola di un uomo. (p. 81)
  • Nel corso del terzo anno di guerra, Maskhadov ha smesso definitivamente di essere il comandante in capo delle truppe indipendentiste. È pur sempre un presidente legittimamente eletto, ma senza poteri reali. Il titolo non è che una pagliacciata, checché se ne dica. Maskhadov lo sa perfettamente. Allora, di cosa potrebbe parlare? Della sua solitudine? Del fatto che non può più avere alcun ruolo? Forse dovrebbe confessare che nei negoziati organizzati dai russi tra i "rappresentanti di Maskhadov" e i "rappresentanti di Putin" si parlerà più del suo futuro personale che di quello della Cecenia. (p. 82)
  • Bassaiev aveva bisogno dei soldi arabi di Khattab e Khattab, da parte sua, contava su Basaiev per rinforzare la sua legittimità nei ranghi della resistenza. (p. 83)
  • Nel giro di un anno, l'inetta politica del Cremlino nel Caucaso e la sua guerra contro la popolazione civile, lungi dallo sradicare il terrorismo, li ha spinti a entrare nella resistenza. I metodi usati dall'esercito russo, omicidi, stupri, sequestri per ottenere riscatti, saccheggi, umiliazioni, hanno portato queste persone a prendere le armi per combattere contro l'anarchia e l'arbitrio. Secondo il codice d'onore ceceno, avevano un'unica scelta: vendicare i parenti assassinati o dati per dispersi. (p. 87)
  • Tutti i servizi segreti del pianeta sanno, come un assioma, che far eliminare un nemico da qualcun altro è meglio che farlo personalmente. (p. 89)
  • Un giorno la pace verrà ristabilita. Ma la martellante e virulenta propaganda anticecena che va avanti da anni non faciliterà le cose. Dopo le terribili umiliazioni, dopo la morte violenta di migliaia di persone da entrambe le parti, dovremo vivere insieme. Anche se la Cecenia raccogliesse le forze e diventasse un giorno uno stato indipendente, cosa che oggi sembra poco probabile visto quanto la popolazione è sfibrata dalla guerra, il paese resterebbe comunque un'enclave della Russia, con le repubbliche caucasiche autonome alla quali è legata da stretti vincoli come vicini. La sua indipendenza sarebbe molto limitata. Sarebbe quella di un territorio accerchiato dal suo peggior nemico, non quella di un lontano paese la cui esistenza può essere dimenticata dall'antico padrone. (p. 92)
  • In Cecenia la gente è abituata a vivere cose che il resto del mondo ha cercato di dimenticare dopo la Seconda guerra mondiale, sicuri che non sarebbero mai più avvenute. (p. 97)
  • Non c'è niente di peggio che una menzogna prolungata. Il malcapitato che si trova vittima di una menzogna del genere sembra una mosca prigioniera della ragnatela, che si dibatte, sola, davanti allo sguardo divertito di chi l'ha catturata. Dall'inizio della seconda guerra cecena, moltissimi carnefici si sono esercitati in questo tipo di supplizio. Quasi tremila famiglie in Cecenia, cioè venticinquemila tra bambini, vecchi e donne, continuano a non avere notizie dei loro cari, rapiti dai militari russi. Il loro destino è di non avere alcuna informazione. Giorno e notte queste famiglie cercano segni, seguono tracce, interpretano notizie parziali lasciate trapelare dagli inquirenti, si nutrono di leggende e pettegolezzi. I supplizi descritti nei romanzi gialli sono poca cosa in confronto alla tortura di non sapere niente. Nessuno chiede riscatti, nessuno prova a mettersi in contatto con le famiglie, nessuno fa indagini o si interessa di questi casi. Il sistema giudiziario si accontenta di dire che non ne sa niente. Cosa fare, allora? Come vivere? Come agire? (p. 113)
  • [Sul Gru] In linea generale questi agenti hanno carta bianca: hanno licenza di uccidere, a condizione di non lasciare tracce. Eliminano quelli che sospettano di wahabismo, banditismo, terrorismo o altri misfatti. Sono altamente specializzati e agiscono come vogliono, pur se finanziati dalle casse dello Stato. Non riconoscono che un dio sopra di loro: il capo supremo dell'esercito Vladimir Putin. (p. 129)
  • Il nostro paese ha tradizioni storiche molo particolari. Per decenni abbiamo vissuto sotto un regime in cui le provocazioni più vili erano l'essenza stessa della vita politica. Poco importa in nome di quali "grandi idee" quelle azioni venissero commesse. Quel che conta è che erano una realtà. Ed ecco che dopo gli anni tumultuosi della perestroika e il regno burlesco di Boris Eltsin, il paese ha affidato il suo destino a rappresentanti di questo passato che non riescono a pensarla diversamente. È la loro natura profonda che non si può cambiare. (pp. 130-131)
  • I nostri killer di stato non hanno ancora eliminato i numerosi capobanda e capi guerrieri ceceni. In compenso si sono affrettati a bruciare i corpi di una donna incinta e di altri civili innocenti e a far esplodere un camion con a bordo i migliori ragazzi del distretto di Shatoi. In Cecenia siamo caduti in un buco nero, abbiamo allevato una tale quantità di assassini cinici da coprire l'intero fabbisogno di killer a pagamento del pianeta. Mi assumo la responsabilità delle mie parole: a dir poco una persona su due uccisa in Cecenia è un civile abbattuto in condizioni di giustizia sommaria. Ciò significa che migliaia di militari che hanno prestato servizio in Cecenia sono in realtà dei boia sistematici. (p. 132)
  • La violenza si è scatenata in misura molto maggiore della prima guerra, e in questo contesto è cresciuta tutta una generazione di ragazzi e ragazze che non hanno mai visto Babbo Natale e non hanno paura di morire. I ragazzi sono diventati adolescenti vedendo seppellire i loro fratelli maggiori, e non ammirando Kadyrov o Maskhadov, ma le fanciulle kamikaze del Nord-Ost e il commando suicida che si era fatto esplodere contro l'edificio del governo ceceno. Cosa ci resta, oltre che sbattere la testa al muro? (pp. 138-139)
  • Lo stile e la buona educazione non sono mai state prerogative del Cremlino. (p. 160)
  • Non c'è popolazione meno sicura di sé dei cittadini russi. Dubitano di tutto, anche se non c'è ragione di dubitare. (p. 161)
  • [...] da noi il "cittadino" non vale niente, è un grumo di polvere, un granello di sabbia, un seme di papavero, non ha diritto neanche a essere protetto dal proprio governo. Bisogna essere un Putin per sentirsi cittadini. (p. 161)
  • La maggior parte degli abitanti della Cecenia si sente in un vicolo cieco. Quando dei figli, dei padri, dei fratelli vengono portati verso una destinazione sconosciuta senza che si sappia perché, le autorità militari e civili dicono alle loro famiglie: "Basta. Smettetela. Non li cercate più. Sono in gioco gli interessi supremi della lotta antiterrorista". E questi funzionari e militari scoppiano di rabbia quando le madri affrante esigono di sapere perché i loro figli sono stati uccisi.
    La schiacciante maggioranza guardava con indifferenza alla Cecenia, fino a che non è successo il fatto del Nord-Ost. Il potere ha applicato la stessa logica alle vittime dell'azione terrorista e alle loro famiglie. È come se avessero detto loro: Smettetela. Dimenticate. Bisognava farlo. Gli interessi superiori hanno la precedenza sulle vostre vite individuali". Con le vittime del Nord-Ost, le autorità si sono comportate alla stessa maniera che nei confronti della popolazione cecena durante questi tre anni e mezzo di guerra, anche si qui, alla fine, hanno dovuto pagare delle indennità seppure irrisorie, dai cinquantamila ai centomila rubli. In Cecenia, ovviamente, di indennizzi non se ne parla. (p. 162)
  • Per me Putin è una funzione, non una persona. Riguardo a questa funzione ho delle esigenze molto semplici: un presidente deve operare per far diventare il suo paese migliore e più prospero. Ma da noi non è successo niente del genere. Moralmente, la Russia di Putin è ancora più sporca di quella di Eltsin, è una discarica di immondizia coperta di rovi. (p. 164)
  • In Russia, Putin e il suo popolo hanno dato la loro benedizione a qualcosa che nessun paese, che non sia totalitarista, può approvare: una corruzione fondata sul sangue, migliaia di vittime che non suscitano stupore né protesta, un esercito corroso dall'anarchia militare, uno spirito sciovinista in seno all'apparato di governo spacciato per patriottismo, una retorica sfrenata dello stato forte, un razzismo anticeceno ufficiale e popolare con metastasi che si estendono ad altri popoli della Russia. (p. 164)
  • Le autorità carezzano i media e l'intellighenzia nel senso del pelo e distribuiscono loro allori, premi e altre "carote" per ricompensarli delle loro prese di posizione anticecene e anticaucasiche. E se una personalità, un giornale, un canale televisivo esce dal coro, viene violentemente richiamato all'ordine dal Cremlino, con tutte le conseguenze che ciò comporta. (p. 168)
 
Grigorij Javlinskij
  • Cos'è che Putin non perdona a Yavlinski? Le sue critiche sul comportamento dell'armata federale in Cecenia. Il suo sostegno ai rifugiati ceceni. Il suo rifiuto di dividere la Russia in cittadini di serie A e cittadini di serie B. Il suo rifiuto verso la politica dello stato forte e del razzismo. (p. 168)
  • [Su Grigorij Javlinskij] Non appare assolutamente sui media, come se non esistesse. Il paese non lo vede e crede che abbia abbandonato la scena politica (alcune lettere dei nostri lettori lo testimoniano). Solo i più curiosi lo sentono qualche volta alla radio o lo leggono su certi periodici che si permettono ancora qualche velleità di indipendenza. (p. 168)
  • In Europa il razzismo trova terreno fertile nelle categorie svantaggiate. In Russia, dove la maggioranza della popolazione ha perso i suoi punti di riferimento ed è immersa nella miseria, il razzismo ha un'eco fantastica e ciò fa magnificamente al caso di Putin, aiutandolo a mantenersi si un trono al quale è giunto quasi per caso. (pp. 170-171)
  • Dopo una guerra, ogni società si preoccupa della reconciliazione nazionale, è una questione di sopravvivenza. Vi si è impegnata la Germania posthitleriana, e ora vi sta lavorando la ex Jugoslavia. [...] Da noi, niente del genere. Menati per il naso da Putin, facciamo di tutto per organizzare una separazione interetnica. Facciamo di tutto, e ne siamo coscienti, perché il fossato tra le diverse componenti della popolazione si ingrandisca, si allarghi fino a diventare invalicabile. Voglio sottolinearlo: lo fanno apposta. A tutt'oggi la Russia non ha un solo centro di riabilitazione. Né per i militari che hanno combattuto in Cecenia né per la popolazione civile che è sopravvissuta ai combattimenti. Al contrario! Oggi lo stato spende milioni di rubli per diffondere propaganda sciovinista attraverso i media che controlla (e che beneficiano delle sovvenzioni del governo e dell'amministrazione presidenziale, mentre i media d'opposizione vengono privati di licenze, strangolati dal fisco, ecc.). Inoltre lo stato si serve di vettori particolari per la sua propaganda, come i telefilm dove le parti principali sono interpretate dagli attori preferiti dei giovani (e quindi più "cari") o la produzione ex novo di successi musicali efficaci con promozione martellante. (pp. 171-172)
  • [Sulla nostalgia per l'Unione Sovietica] Come è noto, alla fine del periodo eltsiniano la maggior parte dei cittadini russi ripensava all'epoca sovietica come a un periodo felice. Ricordavano l'URSS come un gigantesco impero che faceva paura a tutto il mondo, dove la popolazione era sicura del domani. Non sapendo come gestire il nuovo corso economico, la maggioranza della gente, invece di rimboccarsi le maniche e mettersi a costruire una società democratica, era divenuta nostalgica di quella comoda epoca dove non eravamo responsabili di quasi niente, dove quasi non lavoravamo ma avevamo comunque pane e salame assicurato: una nostalgia battezzata "salame da due rubli e venti", dal nome dell'indigesto prodotto dell'epoca sovietica alla portata di tutti. (p. 179)
  • Il nostro paese ha un passato segnato da un profondo servilismo, tutti hanno l'abitudine di allinearsi allo zar, il nostro grande padre. Tutto ciò che dice, fa o sottintende il capo serve da punto di riferimento quanto a comportamento da adottare, a idoli da adorare. Basta che dica: "Salva la Russia: uccidi un giudeo", e cominceranno persecuzioni antisemite. Se dice: "Amo gli ebrei, i colpevoli di tutto sono i caucasici", noi lasceremo tranquilli gli ebrei, il Cremlino si riempirà di rabbini che si estasieranno per l'estirpazione totale dell'antisemitismo (come è successo nella primavera del 2002) e noi cominceremo a trovare nuovi capri espiatori nella persona dei nativi del Caucaso, distruggeremo i loro negozi, i loro chioschi, i loro mercati. E la milizia si guarderà bene dal reagire a questi abusi. Così è il nostro paese. Il nostro destino è la schiavitù. E anche il nostro feticcio, perché ci piace essere schiavi. È il sogno della "schiacciante maggioranza", che la vede come la forma più comoda di esistenza. (p. 180)
  • Un tempo non riuscivo a capire come facessero i medici legali a fare tranquillamente colazione accanto a un tavolo di dissezione. Ora lo capisco. Sono diventata anch'io capace di bere un tè accanto a un cadavere, sicura che "lui" mi perdonerà: "lui" è originario di questi luoghi e sa perfettamente che se uno non coglie al volo l'occasione di fare colazione (cosa che già di per sé è una chance inaudita), è possibile che non se ne presentino altre. O che la prossima si presenti tra vari giorni. (p. 184)
  • In qualsiasi albergo del mondo, vado subito in bagno per controllare se c'è acqua. In realtà corro, mi precipito, spinta dai miei riflessi "ceceni". Mi rendo conto che è totalmente stupido verificare se nei bagni del Waldorf Astoria c'è l'acqua, ma non posso farci niente. Dopo aver controllato i rubinetti mi calmo. Ma non completamente. Il mio sperimentato sguardo "militare" si fissa su una mensola. Tra una moltitudine di piccoli flaconi profumati, individuo subito un collutorio per la bocca. Mi illumino: "O felicità! O fortuna pazzesca!". Prendo la bottiglia e faccio degli sciacqui. Praticamente il nirvana. (p. 189)
  • Lo ammetto. Sono stata picchiata all'inizio della guerra. E anche dopo, in occasione di un arresto e in occasione di un tentativo di fare luce sulle circostanze dell'assassinio di un abitante di Grozny. Sono stata picchiata esclusivamente perché facevo il mio lavoro di giornalista, che consiste nel raccogliere informazioni. E sempre mi veniva contestata la stessa accusa: "Sei dalla loro parte". (p. 198)
  • [Sulla condizione della donna in Russia] La società russa continua a essere patriarcale e conservatrice. Rispetto a leggi fatte per gli uomini, che tutto comandano, la donna è sempre colpevole di tutto. Se ci aggiungiamo l'odio generalizzato per la Cecenia e il rifiuto di sapere cosa sta davvero succedendo laggiù... (pp. 198-199)
  • Chi sono io? Una giornalista che descrive quello cha ha visto e sentito. Prima del mio arresto, avevo sentito molti racconti di gente che era stata arrestata e sottoposta a interrogatori, e spesso alla tortura, dai militari. Ma onestamente avevo avuto qualche difficoltà a credere a tutto ciò che dicevano, era probabile che quei disgraziati tendessero a esagerare le atrocità dei federali... Oggi credo loro al cento percento. (p. 204)
  • Malgrado lo shock nervoso, di un grado tale che ancora oggi ho problemi a parlare di alcuni particolari del mio arresto, non rimpiango niente. Perché ho potuto constatare di persona che i miei personaggi, gli eroi dei miei reportage, non mi hanno mentito. Nessuno potrà venirmi a dire che racconto storie inventate, dopo averne fatto io stessa l'esperienza. Con una differenza: io sono rimasta in vita, sono stata risparmiata, la morte mi si è avvicinata molto ma poi ha avuto pietà dei miei figli. La maggior parte di coloro che hanno subito torture e trattamenti sadici è morta. Per loro, l'esecuzione non è stata una farsa. E ormai io vivo per loro. (p. 204)
  • Il giornalista deve produrre reportage, servizi, interviste. E le lacrime che versa nell'una o nell'altra occasione non interessano, in fondo, nessuno. Descrivi quello che vedi, metti insieme dei fatti e analizzali. Punto e basta. (p. 205)
  • Mese dopo mese e anno dopo anno, da quasi dieci anni, su questo territorio disgraziato centinaia di migliaia di persone vivono in condizioni disumane. Ma, come tutti noi, questa gente vive, ama, spera. Loro siamo noi. Nessuno è al riparo quando i nostri uomini politici agitano le loro spade, nessuno può escludere di trovarsi un giorno, a sua volta, vittima delle loro ambizioni, come i civili ceceni. (p. 205)

Un proverbio russo dice che il sazio e l'affamato non potranno mai andare d'accordo. Neanche chi è stato picchiato e chi non lo è stato. Non escludo che un giorno il mio caporedattore, che mi ha incaricata di coprire questa guerra, non sappia più cosa farsene di me, come di un vecchio articolo non pubblicato al momento giusto che viene buttato nel cestino.

Un piccolo angolo d'inferno

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Chi sono io? E perché scrivo della Seconda guerra cecena?
Sono una giornalista, un'inviata speciale del quotidiano moscovita «Novaja Gazeta», e questa è l'unica ragione per cui ho visto la guerra in Cecenia: sono stata mandata sul campo. E non perché fossi una corrispondente di guerra o conoscessi bene questo conflitto, ma al contrario, perché ero solo una «civile». L'idea del direttore della «Novaja Gazeta» era semplice: il mero fatto che io fossi una civile mi avrebbe permesso di comprendere l'esperienza della guerra più a fondo di chi, vivendo nelle città e nei villaggi ceceni, la subiva giorno dopo giorno. Tutto qui. E così sono tornata in Cecenia ogni mese, a partire dal luglio 1999, quando l'offensiva di Basaev nel Daghestan ha spinto fiumi di profughi via dai loro villaggi montani, scatenando il conflitto.
Ho viaggiato in lungo e in largo per tutto il Paese e visto tanta sofferenza; la cosa peggiore è che molte delle persone di cui ho scritto negli ultimi due anni e mezzo ora sono morte. È una guerra terribile; medievale, letteralmente, anche se la si combatte mentre il Ventesimo secolo scivola nel Ventunesimo, per giunta in Europa.

Citazioni

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  • Ovunque mi invitano a parlare della «situazione cecena», ma senza che ciò porti a qualche risultato concreto. Dico: «Ricordate, in Cecenia la gente continua a morire ogni giorno. Anche ora». In tutta risposta ottengo solo compìti applausi occidentali. Si tratta di una chiara, evidente e inconcepibile violazione mondiale dei valori umanitari. La Dichiarazione universale dei diritti umani, vecchia solo poco più di mezzo secolo, è morta con la Seconda guerra cecena. (p. 9)
  • Il fatto è che quando ci si trova in una situazione di pericolo per troppo tempo, tutto finisce per apparire insignificante e noioso. (p. 18)
  • Una pioggia di razzi sa trasformarti in una bestia che ha imparato a gioire della sfortuna del suo prossimo. (p. 19)
  • È impossibile non notare fino a che punto la tradizionale mentalità cecena sia stata annientata, qui, tra questa gente rovinata e corrotta dalla guerra e dalla fame. Osservandoli e mischiandomi a loro, non riesco a ritrovare nemmeno un briciolo della loro leggendaria forza d'animo, della loro certezza di sopravvivere anche nei momenti più difficili. Nessun uomo d'affari ceceno, per quanto ricco che sia, darebbe un decimo della sua fortuna per salvare la sua gente. I ceceni poveri – e chiunque in questo campo profughi è povero – sono soli con la loro miseria, la loro mancanza di speranza e i loro G-1, G-2, G-3, G-4... (p. 26)
  • La guerra non ha solo danneggiato la terra cecena, ha anche lasciato un segno nell'anima di questa gente. Centinaia di migliaia di persone sono state costrette ad abbandonare le loro case, finendo nei campi profughi, nelle campagne o nel bel mezzo di niente, e si sono ritrovate a dover adottare nuove regole di vita: quelle dei campi profughi. Apparentemente uniti, i ceceni in realtà sono ormai tragicamente divisi. Le spie sono dappertutto, e il loro unico scopo è quello di sopravvivere, anche al prezzo della vita altrui. Un popolo arrivato a questo punto, è praticamente morto. (p. 30)
  • In Cecenia le violenze e i furti, mascherati da spedizioni per stanare i miliziani, sono all'ordine del giorno. In questa seconda guerra, l'unica cosa che è cambiata è chi commette i crimini; tutte quelle attività che l'operazione antiterrorismo doveva sradicare – rapimenti, schiavitù, ricatti – sono ora specialità dei nuovi padroni: i soldati. (p. 35)
  • Questo è uno dei problemi principali della Cecenia: non la forza dei miliziani e delle loro armi, o la provenienza straniera dei loro lancia-razzi, ma il tradimento da parte degli stessi difensori del Paese; chi tra loro vuole che la guerra vada avanti è capace di qualunque cosa. (pp. 51-52)
  • Si sente raramente piangere a Grozny. Hanno tutti finito le lacrime da un pezzo. Se una donna piange, significa che è tornata da poco da un campo profughi. (p. 60)
  • Nella vita, lottiamo tutti per raggiungere la verità sotto la superficie. Eccolo, pensi, proprio dietro l'angolo... E invece no, sei stato di nuovo sfortunato, era solo un miraggio. Allora pensi che se scavi più a fondo in te stesso, lo troverai. Ma la verità è vanità e sei di nuovo al punto di partenza, correndo in cerchio dietro a sensazioni e impressioni sempre nuove, sempre vivide, solo per affrontare di nuovo la sconfitta. (p. 65)
  • Nessuno direbbe che la strage di Chatyn' è stata più importante dell'orrore di Guernica. Non ci sono scale o graduatorie per misurare la sofferenza. Tutti hanno il proprio dolore e questo dolore è sempre il peggiore per chi lo vive. La Seconda guerra cecena ha aggiunto nuove pagine alla storia del Paese, paragonabili a Guernica come a Chatyn' in termini di numero delle vittime, macerie, sangue versato e conseguenze per il mondo intero. E non importa affatto che nessuno l'abbia ancora riconosciuto; verrà il momento in cui tutti ne parleranno. (p. 66)
  • La più giovane generazione di ceceni, diplomati o laureati, è la più scaltra che sia mai vissuta qui: l'indipendenza in stile Dudaev? L'hanno vista. La prima guerra? Le sono sopravvissuti. La seconda guerra? Ci stanno passando adesso. Cadaveri? Più di quanti se ne possano tollerare. Il loro scopo in vita? Nascondersi dal tizio col kalašnikov in tempo. Il valore di una vita umana? L'hanno visto scendere fino allo zero. (p. 71)
  • La guerra ha corrotto gli animi di quelli che non erano abbastanza forti. I criminali della notte attaccano le case devastate di persone già ridotte alla miseria. Da un lato, la criminalità è incoraggiata dai Servizi federali: senza il loro consenso e il loro supporto, oggi nessuno sarebbe in grado di girare per le strade durante il coprifuoco, figurarsi di sparare, rubare o stuprare. D'altro canto, quest'orrore richiede anche la partecipazione attiva dei ceceni. Dall'inizio del terzo anno di guerra, è emerso che le bande che ripuliscono le case distrutte durante la notte fanno parte di un'associazione criminale che conta tra le sue fila sia ceceni che federali. E a questa gente non importa proprio niente delle differenze ideologiche e nazionali né del fatto di appartenere a fazioni opposte. Sono sicura che se annunciassero domani la fine della guerra e il ritiro delle truppe, Grozny resterebbe in pugno a questi criminali e chissà quando riuscirebbe a sbarazzarsene. È facile cominciare una guerra, quasi impossibile eliminare tutti i mostri che ha creato. (pp. 76-77)
  • Ecco un pezzetto di storia nazionale: alla fine dell'Ottocento e all'inizio del Novecento un'ondata di antisemitismo incoraggiato dal Governo ha invaso la Russia, proprio come ora è avvenuto con la dilagante mentalità anticecena. Erano state pianificate delle zone d'insediamento: i bambini ebrei sono cresciuti sapendo di non potersi muovere senza il permesso della polizia e di non poter studiare in molti istituti scolastici. Questo ha generato prima un complesso d'inferiorità e poi l'elezione di molti giovani ebrei quali martiri: erano pronti a vendicare la propria infanzia rovinata, perché non volevano che gli anni di vita futura fossero devastati nello stesso modo, com'era accaduto ai loro genitori e ai loro nonni.
    Il mondo intero conosce il risultato. Molti dei famosi bolscevichi che hanno guidato la rivoluzione d'Ottobre erano ebrei. Non volevano solo smettere di vivere come degli emarginati, ma anche vendicarsi dei loro prevaricatori. È strano come oggi abbiamo di nuovo dimenticato quel che non dovremmo mai e a nessun costo dimenticare. (pp. 78-79)
  • Viviamo in un'epoca oscura. L'aria è avvelenata dalle bugie dei militari d'alto rango, dall'anarchia dei loro sottoposti e dal puzzo del denaro che i soldati ottengono come ricompensa per il tradimento dei loro capi. È così che funziona il sistema ceceno. (p. 97)
  • La maggior parte dei ceceni sopravvissuti fino a oggi è disperata. Vivono immersi in questa disperazione, in un inferno senza grazia, in un'eterna notte senza stelle. È questo il risultato principale della totale assenza di legge, che grava sulla popolazione nel corso della Seconda guerra cecena. Uscire dal villaggio o anche solo andare a fare un giro, significa rischiare la vita. Si può venire arrestati con qualsiasi pretesto. Il braccio dei federali afferra i giovani e li fa scomparire ogni giorno. Andare fino a Urus-Martan è fuori questione: la strada è piena di posti di blocco e ognuno può diventare l'ultimo. Gli esempi abbondano. (p. 111)
  • [...] i militari non solo stanno alimentando la discordia internazionale – reato che di per sé implicherebbe una punizione esemplare –, ma anche istradando il Paese sulla via della monoetnicità, vale a dire della sua prossima disintegrazione in blocchi regionali nazionalisti. (p. 124)
  • Il diritto dei soldati a nascondere il loro vero cognome, «così che i miliziani non si possano vendicare sulle loro famiglie», è diventato uno dei principali incentivi dei crimini e delle mostruosità compiute in Cecenia. (p. 130)
  • Il circolo vizioso di bugie a tutto spiano è stato alimentato da uomini che si definiscono ufficiali e che, dopo questo delirio d'anarchia senza freni, se ne sono tornati a casa, sparpagliandosi per il Paese. C'è un modo di pensare, sentire, agire, che si sta diffondendo con la fatale rapidità di cellule cancerogene e si sta trasformando in una tragedia di portata nazionale, che infetta ogni strato della società. (p. 131)
  • L'operazione speciale «Cecenia» ha infettato l'intero paese, abbrutendolo sempre più e facendolo degenerare. Il valore della vita umana, che in Russia era già molto basso, ora corrisponde quasi a zero. Abbiamo tutti toccato il fondo, come lo sfortunato sottomarino Kursk. Ma non arrivano ordini che cerchino di portarci in salvo. (p. 133)
 
Guerriglieri ceceni in preghiera
  • L'islam ceceno è molto giovane. Gli studiosi sono in disaccordo sulla data esatta dell'islamizzazione delle tribù Vajnach. La cosa più probabile è che sia diventato la religione ufficiale del Paese nella prima metà del Settecento. Comunque, resta un intricato misto di tradizioni musulmane e antiche usanze che governavano la vita cecena nel periodo preislamico, tendenti a onorare la famiglia, il buon vicinato e i valori comunitari. (p. 135)
  • Il potere sovietico ha confinato il giovane islam ceceno nella clandestinità. Una volta tornati i religiosi deportati dal 1944 al 1957, venne loro proibito di erigere moschee, diversamente da quel che accadeva in altre zone del Caucaso occidentale. Così si è arrivati al punto che in Cecenia non c'era nessun clero da far controllare al Kgb. E questo si è rivelato un vantaggio, perché le comunità spontanee di musulmani sono emerse liberamente. Se in un villaggio c'era un mullah, era soltanto un abitante come gli altri, che aveva raggiunto da sé la sua posizione, rispondeva al villaggio e da questo era scelto. Se non c'era un mullah, andava bene comunque. I più anziani venivano rispettati molto di più e i vird[2] garantivano comunque una forma di aggregazione della comunità. Per questo i ceceni hanno reagito al successivo stabilirsi di un muftiato o con indifferenza. («continueremo a vivere come prima») o con fastidio («sono legati al Kgb»).
    Il risultato è stato che in Cecenia, a partire dalla fine dell'era sovietica, è nato un islam del tutto peculiare: libero, con milti vird sufi in competizione tra di loro per le diverse interpretazioni della religione. Tutti erano liberi di scegliere anche in materia di fede. (pp. 136-137)
  • Da un lato, è cresciuto il numero dei musulmani credenti: i giovani hanno preso a frequentare la moschea e molti hanno cominciato a pregare. Dall'altro lato però, i problemi dell'islam ceceno sono diventati più seri. Innanzitutto il cosiddetto kadyrovismo (che prende il nome da Achmad-Chaži Kadyrov) ha portato una ventata di discordia nella comunità. In secondo luogo, la Cecenia è stata invasa dal wahhabismo saudita, una corrente religiosa dell'islam sunnita, i cui seguaci sostengono che il loro è il «puro» islam e che tutti gli altri non sono degni, sufismo compreso. Una scisma religioso ha cominciato a dividere le famiglie stesse in un modo fino ad allora impensabile: i padri hanno ripudiato i figli seguaci del wahhabismo, e i figli hanno rinnegato i padri per il loro islam impuro e non wahhabita. (pp. 137-138)
 
Achmat Kadyrov
  • [Su Achmat Kadyrov] Aveva organizzato il primo pellegrinaggio ceceno alla Mecca, approfittandone per rubare alla sua gente. Il re dell'Arabia Saudita aveva finanziato questo primo pellegrinaggio e Kadyrov non aveva mai restituito i soldi che tanti poveri ceceni gli avevano affidato per vivere un'esperienza che capita una sola volta nella vita. (p. 138)
  • [Su Achmat Kadyrov] Non ho mai incontrato un solo ceceno che direbbe: «Io rispetto Kadyrov». È sorprendente e spaventoso che il capo di una repubblica abbia zero autorità. (p. 138)
  • Il mio incontro con Kadyrov nel suo ufficio, nell'aprile del 2002, è stato fastidioso. Mi guardava in cagnesco, e parlava tantissimo di se stesso, definendosi il mentore spirituale di Maschadov, e sostenendo di averlo formato in quanto essere umano e in quanto leader di una nazione responsabile del destino della sua gente. Si è definito un fiero oppositore a ogni trattativa di pace con i suoi ex compagni d'armi e ha detto che sperava di riportare in voga i metodi notturni dell'Nkdv per distruggere i nemici in Cecenia. (p. 139)
  • Gli wahhabiti sono molto impopolari, e sarebbe un errore ipotizzare che abbiano una qualche vera influenza o giochino un qualche ruolo in Cecenia. Il loro ruolo e la loro influenza al momento dipendono unicamente dal fatto che possiedono delle armi. Sono spaventati, proprio come i federali, che pure possono contare solo sulla forza bruta. Ma come insegna la storia, tutte le conquiste prima o poi finiscono. (p. 141)
  • Ci siamo accorti tutti che la parola «pietà» è stata cancellata dal vocabolario del Governo. Il Governo oggi fa affidamento sulla crudeltà dei propri cittadini: la distruzione è incoraggiata, la logica dell'omicidio seguita e diffusa. In un contesto simile, per diventare un eroe devi uccidere. (p. 147)
  • Questa è l'ideologia di Putin: quando i capitalisti non ce la fanno, i compagni d'armi riprendono il sopravvento; e sappiamo molto bene che questi ultimi non dimenticano mai di far quadrare i conti. È così che stanno le cose: alla fine del settimo anno di guerra, durante il terzo anno della seconda campagna, la Cecenia è diventata una vera e propria vacca da mungere per chi intende approfittarne. Qui, i militari vengono formati in fretta e fanno strada velocemente; si compilano lunghi elenchi di premi; ranghi e titoli vengono elargiti prima del tempo. Tutto quel che bisogna fare per ottenerli è uccidere un ceceno e presentarne il cadavere. (p. 147)
  • Un Paese dove il numero degli eroi di Stato è un'informazione riservata, «per solo uso ufficiale» dei burocrati che hanno maneggiato i premi, mentre i veri eroi non ricevono alcun riconoscimento, è un Paese senza speranza. Perderà tutte le guerre, perché non incoraggia mai le persone giuste. (p. 149)
  • [Su Jurij Dmitrievič Budanov] Secondo molta gente è un combattente e un martire perseguitato per le sue «convinzioni patriottiche». Dal punto di vista di una minoranza, invece, è un assassino, un ladro, un rapitore e un violentatore. In ogni caso, il processo al colonnello Budanov ha scioccato l'intero Paese, fornendo un vivido ritratto degli aspetti peggiori della nostra società, spaccata in due dal conflitto e distrutta dall'incredibile cinismo e dalle bugie della burocrazia di Putin, dall'assurda sudditanza del sistema giudiziario al Cremlino e, cosa più importante, dall'inquietante rinascita di tendenze neosovietiche. (p. 154)
  • Il caso rimane farraginoso e in parte illogico. Gli ufficiali di servizio in Cecenia, dal grado più alto a quello più basso, hanno difeso Budanov compatti ma con questa riserva, che ho sentito spesso in Cecenia: «Che l'abbia uccisa lo capiamo... Era una cecena, quindi una miliziana... Ma perché si sarebbe "sporcato" stuprandola?». Budanov ha capito molto bene questa mentalità. Nel corso dell'intero processo, per «salvarsi la faccia» ha negato categoricamente di aver disonorato la ragazza prima di ucciderla. Ma è qui che le cose si complicano: il rapporto della prima perizia medica, fatto in seguito alla riesumazione del corpo, dichiarava che c'erano evidenti segni di uno stupro, avvenuto subito prima o subito dopo la morte della ragazza. Non era chiaro che cosa fosse «meglio» per l'immagine dell'ufficiale: dichiararsi uno stupratore o un necrofilo. (p. 157)
  • Ad alcuni potrà sembrare strano, ma conti fatti la Seconda guerra cecena si è dimostrata redditizia per tutti i partecipanti. Ognuno ha trovato una nicchia in cui arricchirsi: i mercenari ai posti di blocco hanno guadagnato i loro dieci o venti rubli illegali l'ora, i generali di Mosca e di Chankala hanno usato i fondi pubblici a scopo personale, gli ufficiali di rango medio si sono fatti pagare profumatamente per restituire ostaggi e cadaveri, i loro sottoposti si sono divertiti a depredare i civili durante le operazioni punitive. E tutti insieme, i soldati e alcuni miliziani, hanno partecipato al traffico clandestino di petrolio e di armi.
    Per non dire di promozioni, premi, scatti di carriera... (p. 163)
  • La guerra continua e i miliziani incendiano strutture di nuovissima costruzione perché è incredibilmente vantaggioso sia per gli oligarchi sia per i generali d'élite dell'edilizia militare. Per qualcosa di tanto redditizio, combatteranno il più a lungo possibile in Cecenia, fino al collasso economico dello Stato. (pp. 167-168)
  • La Cecenia è coinvolta in una lotta continua e sanguinosa per i pozzi di petrolio e i campi miracolosi, che però non frutta alla repubblica nemmeno una copeca. Mancano i soldi per tutto: per ristrutturare le fabbriche come per costruire nuove case sulle macerie. Il petrolio ceceno serve a tutti tranne che al Paese. La crisi è ancor più grave dal momento che il caos economico in Cecenia è stato creato artificialmente ed è incoraggiato per vie traverse dalla stessa Mosca. Nella repubblica non ci sono ancora banche commerciali, e nessuna fonte legale di finanziamenti. Tutti i proventi del petrolio vengono conservati nei materassi o fuori dalla Cecenia. Gli sforzi per far nascere un sistema finanziario legale sono vanificati dal sabotaggio operato dai più alti ufficiali federali. È nell'interesse di Mosca che le banche, le ispezioni fiscali, i tribunali funzionanti e gli uffici del procuratore restino assenti in Cecenia il più a lungo possibile. Al Cremlino vogliono che i dividendi del petrolio vadano nella direzione più conveniente per loro; è per questo che nessuna barriera doganale ostacola la strada fino alle casse della federazione. (pp. 176-177)
  • Khattab è semplicemente un barbaro, e questo è tutto. Di Basaev, invece posso dire che per i soldi sarebbe disposto a fare qualsiasi cosa; non è mai stato un segreto per nessuno, né per quelli del suo entourage né per tutti gli altri. (p. 185)
  • Annan ha ignorato la situazione cecena e il rapporto dell'Hrw[3]. Quelli con cui ho parlato erano diplomatici che lavorano direttamente per lui e mi hanno assicurato che anche ora non gli importa niente di chi soffre e per quali motivi in quel remoto angolo del pianeta, dal momento che l'angolo in questione si trova sul territorio della Federazione russa. La cosa più importante per lui è di venire rieletto per un secondo mandato, non importa a quale costo. E in questo caso il prezzo è la Cecenia. (pp. 193-194)
  • Putin è felice che il mansueto Annan si tenga il suo posto di segretario generale delle Nazioni Unite perché fintanto che resterà lì, la Russia non dovrà preoccuparsi di eventuali pressioni in merito alla questione cecena, e Annan ha bisogno del voto di Putin per essere rieletto. (p. 194)
  • Zakaev non può scendere dalla macchina. È altamente sconsigliabile per lui andare in un caffè di Londra, perché le autorità inglesi temono che la Sicurezza federale russa lo rapisca. È proprio come nei film sulle spie sovietiche: ecco come è tornato a essere. Terribile. In che cosa ci siamo trasformati? Cos'è successo al Paese che Putin ha mandato alla guerra, che poi è rimasto scioccato dalla tragedia del Nord-Ost e che oggi ha così poche speranze di una vita normale? (p. 226)
  • Credo meno che mai al metodo convenzionale di misurare il tempo. Sempre di più, invece, mi sembra che ognuno di noi abbia il proprio calendario e che viviamo tutti secondo quella personale scansione del tempo che non va da gennaio a febbraio a marzo, ma tiene il passo delle circostanze in cui ci troviamo, o che abbiamo scelto. Io ho un calendario così per l'anno del Nord-Ost, che è passato molto in fretta, e per l'inizio del successivo 2003. Questo calendario non è affatto oggettivo, non è altro che una collezione di immagini tenute insieme dalla logica dei sentimenti generati da una tragedia simile. (p. 226)
  • Kadyrov non perdona chi è amato dalla gente, perché la gente odia lui. (p. 235)

Sopravviveremo al 2003?
Non posso dire con certezza di sì. In questo sta l'intera tragedia.

La Russia di Putin

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Questo libro parla di un argomento che non è molto in voga in Occidente: parla di Putin senza toni ammirati.
A scanso di equivoci, spiego subito perché tale ammirazione (di stampo prettamente occidentale e quanto mai relativa in Russia, dato che è sulla nostra pelle che si sta giocando la partita) faccia qui difetto. Il motivo è semplice: diventato presidente, Putin – figlio del più nefasto tra i servizi segreti del Paese – non ha saputo estirpare il tenente colonnello del KGB che vive in lui, e pertanto insiste nel voler raddrizzare i propri connazionali amanti della libertà. E la soffoca, ogni forma di libertà, come ha sempre fatto nel corso della sua precedente professione.

Citazioni

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  • In Russia, cioè, manca il benché minimo controllo della società civile sull'operato dei militari. I soldati semplici – lo scalino più basso della gerarchia – non sono nessuno. Al di là dei muri di cemento di una caserma, un ufficiale può fare a un soldato quello che vuole, quello che gli passa per la testa in un determinato momento. Analogamente, quello stesso ufficiale può trattare come più gli piace un collega di grado inferiore. (pp. 15-16)
  • Quando si delineò all'orizzonte politico russo in veste di probabile capo di Stato più che di impopolare direttore dell'universalmente inviso ex KGB (ora FSB), Putin esordì affermando che l'esercito screditato da El'cin (e intendeva con ciò gli esangui tentativi di porre un freno all'anarchia interna) sarebbe rinato a nuova vita. Quel che ci voleva per una rinascita completa e definitiva era una guerra, la seconda guerra cecena... La cronaca successiva degli eventi nel Caucaso Settentrionale è la conseguenza di questa premessa. (pp. 16-17)
  • La guerra in atto è assai utile e redditizia per l'esercito, fonte di promozioni lampo e di un gran numero di medaglie, fucina di carriere fulminee per i giovani generali "combattenti" che gettano le basi per future scalate politiche e finiscono catapultati nell'élite di Stato. Putin, intanto, martella il Paese con i suoi slogan: la rinascita dell'esercito è un dato di fatto e lui solo, Putin, ne è l'artefice perché ha rimesso in piedi un esercito umiliato (da El'cin) e offeso (nella prima guerra cecena). (p. 17)
  • Vorreste vivere in un Paese in cui le tasse che pagate vanno a foraggiare una simile istituzione? Come vi sentireste con un figlio diciottenne precettato quale «materiale umano», come lo si definisce qui da noi? Che ne dite di un esercito da cui i soldati disertano in massa ogni settimana (e solo per avere salva la vita), talvolta in intere squadre o compagnie? Che cosa pensereste di Forze Armate che in un solo anno, il 2002, hanno perso più di cinquecento uomini – un intero battaglione – non in guerra, ma per le percosse subite? Un esercito in cui gli ufficiali rubano di tutto: ai soldati i dieci rubli mandati dai genitori, e allo Stato intere colonne di carri armati? In cui gli ufficiali odiano e picchiano a loro discrezione i sottufficiali? In cui questi ultimi sfogano sui soldati semplici l'odio che provano per i superiori? In cui ufficiali e sottufficiali sono accomunati dall'odio per le madri dei soldati, colpevoli di protestare occasionalmente – vivono nel terrore e lo fanno solo quando le circostanze di una morte sono troppo scandalose – e di chiedere giustizia?... (pp. 17-18)
  • La linea politica attuale è prettamente neosovietica: non uomini, ma ingranaggi costretti a realizzare incondizionatamente gli azzardi politici di chi ha preso il potere. Ingranaggi senza alcun diritto, nemmeno quello a una morte dignitosa. (pp. 30-31)
  • Nulla è cambiato, nell'esercito, compreso il concetto perverso dell'«onore d'ufficiale» da difendere sempre e comunque, e che conta più della vita e della dignità dei soldati. (p. 39)
  • In Russia l'esercito – uno dei pilastri istituzionali dello Stato – continua a essere un campo di concentramento per i giovani che finiscono dietro il suo filo spinato. Un campo con relative norme di convivenza paracarcerarie imposte dagli ufficiali. Un luogo in cui il primo metodo educativo è quello di «stanarli e ammazzarli fin nel cesso» (il primo slogan che il neoeletto Putin ha usato per scandire la sua lotta con i nemici all'interno della Russia).
    È probabile che ciò aggradi al nostro attuale presidente, con le sue mostrine da tenente colonnello e con due figlie che non dovranno fare il servizio militare. A noialtri, invece (eccezion fatta per la casta degli ufficiali, perfettamente a loro agio nel ruolo dei fuorilegge impuniti), certe cose fanno soffrire. Soprattutto a chi ha dei figli maschi. E tanto più a chi li ha in età di leva, e dunque non ha tempo di aspettare quelle riforme dell'esercito promesse da tempo, ma che finiranno immancabilmente insabbiate. (pp. 47-48)
  • Al momento in Russia ci sono due tipi di criminali di guerra. [...] Il primo tipo di criminali comprende coloro che in guerra ci sono effettivamente stati e hanno combattuto. Essi sono, da un lato, i militari russi che hanno partecipato alle cosiddette «operazioni antiterrorismo» in Cecenia, e dall'altro i guerriglieri ceceni sul fronte opposto. I primi hanno visto cancellati i propri misfatti. I secondi si vedono affibbiare ogni sorta di crimini. I primi vengono assolti dal sistema giudiziario anche in presenza di prove certe (e pure questo è un fatto raro, in quanto la procura si preoccupa raramente di raccogliere le prove della loro colpevolezza). I secondi ricevono condanne severissime. (pp. 49-50)
  • La prima categoria di criminali di guerra, dunque, russi o ceceni che fossero, non ha mai avuto un processo degno di questo nome. E la conseguenza principale è che, emesso il verdetto, i combattenti ceceni non sopravvissero a lungo in colonie o prigioni lontane. Morirono tutti in circostanze poco chiare, «tolti di mezzo» per espresso desiderio del potere. [...] La seconda categoria di criminali di guerra è costituita da coloro che erano nel posto sbagliato al momento sbagliato. Persone finite tra gli ingranaggi della storia. Uomini e donne che non hanno mai combattuto, ma che sono nati ceceni e che perciò vanno condannati. (p. 51)
  • Tutti cercavamo di rispondere a una domanda: i soldati e gli ufficiali che ogni giorno, in Cecenia, uccidono, saccheggiano, torturano e stuprano, sono dei criminali comuni o dei criminali di guerra? O sono, piuttosto, paladini inflessibili autorizzati all'uso di qualunque mezzo in una guerra globale al terrorismo, dove il fine della salvezza del genere umano giustifica i mezzi a cui si ricorre? La conseguenza fu che il caso Budanov divenne un caso politico su scala nazionale, un'icona della nostra epoca. (p. 70)
  • È un caso che ha portato allo scoperto tutti i nostri problemi, la nostra vita ai margini della seconda guerra cecena, la nostra condotta irrazionale riguardo alla guerra e al governo Putin, il nostro modo di distinguere tra colpevoli e innocenti nel Caucaso Settentrionale e, soprattutto, le alterazioni morbose subite dal nostro sistema giudiziario con Putin al governo e la guerra sullo sfondo. (p. 71)
  • L'uomo russo di oggi, l'uomo dell'era Putin, ha il cervello offuscato dalla propaganda e per buona parte è tornato a pensare da bolscevico. Ma non ha disimparato del tutto a pensare con la propria testa, come era autorizzato a fare con il presidente El'cin. Oggi un russo non avrà fretta di rispondere alla domanda se un processo debba per forza essere politico o se debba, invece, fare i conti solo con la legge. Anzi, è molto probabile che chieda del tempo per rifletterci... (p. 71)
  • La base ideologica per l'"assoluzione" di Budanov fu la seguente: aveva ucciso, certo, ma aveva il diritto di farlo, di comportarsi con El'za Kungaeva come aveva fatto in quanto – ritenendola un cecchino responsabile della morte di alcuni ufficiali del reggimento nel febbraio del 2000, durante i violenti scontri nella Gola di Argun – si stava vendicando di un nemico. Come fu spiegato al processo, vendicarsi dei «nemici» – e i ceceni lo sono – è cosa buona e giusta... (p. 99)
  • Il Cremlino si stava disamorando dei giochi alla democrazia e alla «dittatura della legge». Di conseguenza, tutti coloro che combattevano in Cecenia erano «eroi» indipendentemente da quello che facevano, e il presidente cominciò a distribuire gradi e onorificenze a piene mani, rassicurando tutti quanti che lo Stato non li avrebbe mai «traditi». Una parola che nel lessico del potere significa molto: il potere, cioè, aveva tutte le intenzioni di essere indulgente fino all'assoluzione nei confronti dei criminali della guerra cecena, e le procure che avevano intentato delle cause penali contro i militari della Federazione accusati di crimini ai danni della popolazione civile andavano messe a tacere... (p. 113)
  • Nessuno metteva ormai in dubbio, almeno in televisione, che la diciottenne cecena di Tangi-Ču fosse una cecchina e una guerrigliera, e nessuno ricordava che né l'istruttoria né i difensori di Budanov erano riusciti a trovare una prova – per quanto indiretta – del coinvolgimento della ragazza con la guerriglia.
    La politica aveva ordinato di lavare il cervello alla popolazione, e questo era quel che si stava facendo a spron battuto in attesa di una sentenza assolutoria. (p. 114)
  • Così vanno le cose in Russia: per stilare perizie legali non sono i fatti che contano, ma chi li manipola. Il risultato di una perizia dipende da chi la effettua. (p. 126)
  • È mia opinione che in questa storia non ci sia nulla di casuale. Perché in Russia non può essere altrimenti. E perché così è stato sin dai tempi dell'Unione Sovietica. Speravamo tutti che certe cose fossero ormai svanite nel Lete, speravamo di essercene liberati, che i fantasmi di un orrendo passato non si ripresentassero più...
    Invece no. Quando ce n'è bisogno, quando e dove più aggrada ai vertici del Paese, gli spettri del comunismo tornano al nostro fianco. E sono sempre gli spettri peggiori. (pp. 126-127)
  • Come il cancro, la storia tende a essere recidivante. E la cura è una sola: una chemioterapia tempestiva contro le cellule portatrici di morte. Così non è stato, e nel passaggio dall'URSS alla nuova Russia ci siamo trascinati dietro tutti i nostri pidocchi sovietici. (p. 136)
  • Siamo, dunque, circondati da gente di cui Putin e i suoi si fidano. Da un lato è normale. Dall'altro si è scoperto che questa gente si fida (e si fidava) solo dei propri "simili", e che i loro "simili" hanno tutti un passato nel KGB. Quindi le strutture di potere e di semipotere della "nuova Russia" sono state inondate da cittadini con determinate tradizioni alle spalle, con una mentalità educata alla repressione, con un certo modo di risolvere le questioni di Stato... (p. 137)
  • Nei tre anni del caso Budanov il comportamento delle donne russe mi ha lasciato, francamente, senza parole... Le donne sono più della metà dell'intera nostra popolazione, e almeno quella metà era tenuta a disprezzare gli stupratori.
    Invece no.
    Decine di milioni di uomini russi, inoltre, hanno figlie femmine. Una ragione sufficiente, a mio modo di vedere, per capire e comprendere, da genitori, il dolore della famiglia Kungaev.
    E invece no.
    La televisione ha trasmesso le interviste alla moglie di Budanov, che ha farfugliato qualcosa sul suo povero marito che doveva sopportare perizie e processi, e sulla loro povera figlioletta stanca di aspettare che il papà tornasse a casa. E il Paese si è schierato con lei, l'ha compatita. Mentre non ha compatito i Kungaev, che non l'avrebbero più vista tornare a casa, la loro El'za...
    E chi più ne ha più ne metta. L'assoluzione medico-scientifica di Budanov (il fatto che fosse incapace di intendere e di volere nel brevissimo lasso di tempo in cui aveva commesso il crimine) e la circostanza che il reato di stupro fosse stato stralciato, non ha generato alcun moto di indignazione. Non c'è stata una sola dimostrazione di protesta organizzata dalle associazioni femminili e femministe. Non sono scesi in strada nemmeno gli attivisti per i diritti umani. La Russia ha pensato che quanto successo fosse giusto: Budanov aveva strangolato la ragazza vendicandosi su di lei, magari ingiustamente, dei guerriglieri ceceni... I rapimenti erano ammessi... Era ammesso infierire su un cadavere... E la conseguenza era che il criminale restava libero.
    Viviamo in un Paese tremendo. Le gesta del colonnello Budanov sono la norma per la maggioranza schiacciante dei russi.
    È un'aberrazione che si riscontra in un Paese in cui l'impunità è divenuta legge. In cui sono tutti impazziti. Dal primo all'ultimo, dalle alte sfere ai bassi ranghi. (pp. 143-144)
  • Per tutto il 2002 le epurazioni in Cecenia sono continuate su una scala e con una brutalità mai viste, accompagnate dalla voce monotona del giudice Kostin e dei suoi verdetti "assolutori". Interi villaggi sono stati circondati: le donne stuprate, gli uomini portati via. Molti vengono uccisi, molti altri spariscono senza lasciare traccia. La vendetta è assurta a giustificazione dell'omicidio commesso per una «giusta causa»; i pubblici ministeri, di fatto, sono riusciti a legalizzare il primato della vendetta sul diritto. La giustizia sommaria – occhio per occhio, dente per dente – è stata incoraggiata dal Cremlino stesso. Ci siamo dunque ritrovati nel Medioevo o in un bolscevismo a noi ideologicamente più vicino. Non eravamo dove credevamo di essere a arrivati plaudendo a Gorbačëv e scendendo in piazza con El'cin, ma a metà strada tra Stalin e Brežnev. Il nostro cammino va a ritroso: dalla stagnazione di Brežnev verso il «tutto è permesso» di Stalin. Terribile... Terribile perché questa è la gente che ci governa e terribile perché siamo come siamo. O forse è questo il governo che ci meritiamo. (p. 145)
  • Come già accaduto agli Stati Uniti del dopo-Vietnam, anche la Russia deve rispondere a una domanda: chi sono i soldati e gli ufficiali che ogni giorno, in Cecenia, uccidono, saccheggiano, torturano e stuprano? Sono criminali di guerra? O sono combattenti inflessibili e crudeli di una guerra globale al terrorismo internazionale in cui ogni mezzo è lecito e la salvezza del genere umano è il fine che giustifica i mezzi a cui si ricorre? E la posta ideologica in gioco in questa guerra moderna è talmente alta da indurre a ignorare ogni altra cosa?
    Al momento la Russia non ha una risposta da dare. Un occidentale risponderà, spero, che spetta al tribunale trovare le prove e mettere ogni cosa al suo posto.
    L'uomo russo di oggi, l'uomo dell'era Putin, ha il cervello offuscato dalla propaganda, ma non ha ancora disimparato del tutto a pensare con la propria testa.
    Oggi, con alle spalle i cinque anni dell'efferata seconda guerra cecena, il milione e più di soldati e ufficiali che l'hanno combattuta e la stanno ancora combattendo, è avvelenato da quell'esperienza; e continua a esserlo anche dopo, a casa propria. Quei soldati e ufficiali sono diventati un serio problema per la vita di una società civile, un problema che non si può più eludere, a cominciare dalla domanda: ma per che cosa hanno combattuto? (p. 155)
  • Fu subito chiaro, inoltre, che un vecchio ceto stava rinascendo a nuova vita: la nomenklatura, l'élite di governo, un anello fortissimo della catena di potere dell'era sovietica che stava marciando sui binari di un'economia a cui aveva saputo adattarsi in un batter d'occhio. I rappresentanti di questa nomenklatura hanno tutte le intenzioni di vivere nell'agio quanto i «nuovi russi», ma ufficialmente ricevono stipendi ridicoli. Non ritornerebbero mai indietro ai vecchi tempi sovietici, ma nemmeno i nuovi soddisfano del tutto il loro desiderio di ordine e legalità (che la società chiede con sempre maggior insistenza). Perciò perdono molto del proprio tempo ad aggirare la legalità e l'ordine costituito in favore del proprio arricchimento personale. La conseguenza è una rinascita assai rigogliosa della corruzione, che con la nuova-vecchia nomenklatura putiniana ha raggiunto vette inattingibili per i comunisti o per El'cin e compagni, una corruzione che stritola le piccole e medie imprese (e la classe media con loro) e sostiene («fa fiorire», cioè predilige quali erogatori di tangenti) i grandi e i grandissimi gruppi e i monopoli paragovernativi, che sono quelli che portano alla Russia le entrate maggiori, le più stabili, e non solo ai manager e ai padroni del vapore, ma anche a chi, nello Stato, offre loro protezione (e in Russia non si fanno grossi affari senza sponsor nel governo). Sullo sfondo di tale e tanto sfacelo – che nulla ha a che spartire con il mercato – la nostra nuova «nomenklatura di partito» (hanno ricominciato a chiamarla così, come in epoca sovietica) è rosa da una forte nostalgia per l'URSS, per i suoi miti e i suoi fantasmi. (pp. 158-159)
  • Verso la metà degli anni Novanta la Russia ha assistito a un boom di tossicodipendenti tra i ragazzi dai quindici ai diciotto anni. La mattina, uscendo di casa, ci trovavamo spesso a camminare su un tappeto di siringhe. Erano i figli delle donne che correvano al mercato per guadagnare qualcosa, figli che non avevano più nessuno che li tenesse d'occhio, senza più scuole (che di fatto non funzionavano), abbandonati a se stessi da genitori in cerca di soldi facili... Il numero delle donne tra i quaranta e i cinquant'anni che hanno perso uno o più figli, oggi, è altissimo. È stato calcolato che quasi il cinquanta per cento dei ragazzi e delle ragazze nati tra il 1978 e il 1982 siano morti di overdose a metà degli anni Novanta. (p. 169)
  • C'è stato un momento, in Russia, gli ultimi anni di El'cin, in cui avevamo tutti un gran da fare a procurarci di che vivere, tempi in cui non ci si telefonava per anni, vergognandosi chi della propria povertà, chi della propria ricchezza, tempi in cui molti sono partiti per sempre e altri si sono sparati una pallottola in fronte perché nessuno si curava più di loro; in cui si tirava cocaina perché schifati dalle proprie azioni... (p. 173)
  • Lo Stato continua a mandare gente in guerra, gente che vive per anni in quelle condizioni e che quando torna a casa non è in grado di capire la vita normale, di comprendere le leggi e le norme che la regolano. Molti allora si attaccano alla bottiglia o vanno a fare i sicari per la malavita. I nuovi datori di lavoro li pagano più che bene e riescono persino a convincerli che stanno facendo fuori gente che nuoce agli interessi dello Stato...
    E lo Stato che cosa fa, intanto? Se ne frega. Putin e i suoi hanno praticamente smesso di occuparsi degli ufficiali che hanno combattuto in guerre ormai lontane. E paiono quasi interessati a che la malavita possa disporre di killer competenti. (p. 189)
  • Oggigiorno gli ufficiali si dividono in due categorie tutt'altro che paritarie. La prima è quella di coloro che hanno combattuto, che hanno rischiato la vita arrampicandosi sulle montagne e sprofondando nella neve e nel fango per giorni e giorni, che hanno il corpo segnato dalle ferite. Per loro si può provare solo una grande pena. Stentano a riciclarsi nella vita di tutti i giorni, una vita che per noi è normale e per loro assurda. Dove bisogna sapersi muovere e dove non basta prendere il mitra in mano. Parlano una lingua diversa da quella degli ufficiali dell'altro gruppo, che sono stati anche loro in Cecenia, ma dietro una scrivania. E allora si ribellano, si attaccano alla bottiglia, soffrono, e gli «stanziali» ne fanno quel che vogliono: se ne lamentano con i superiori, li denunciano, brigano... Basta poco, e i più caparbi finiscono espulsi dall'esercito. Per che cosa? Per essere stati se stessi. Ricordando con ciò agli ufficiali da scrivania l'effettivo stato delle cose. Giorno dopo giorno. (pp. 193-194)
  • È una peculiarità del nostro Paese: se il sogno di ogni soldato è di diventare generale, quello di ogni criminale russo è di fare soldi legalmente. (p. 202)
  • Così vanno le cose in Russia: se ammazzi qualcuno sei degno di rispetto. (p. 205)
  • Quando l'autonomia dei giudici è stata brutalmente soffocata per anni a vantaggio del loro più completo asservimento (che i più anziani già dovevano alle corti sovietiche), come si può sperare in giudizi equi e coraggiosi?
    Chi ha voluto opporsi e dire «no» non è più al suo posto da un pezzo. Mentre coloro che alla richiesta di servire l'illegalità sono scattati sull'attenti lavorano tranquilli e avanzano sereni lungo la scala gerarchica. (p. 239)
  • Putin ha scelto di fondare il proprio potere su piedi d'argilla, gli oligarchi, cassando dal suo schema la gente comune. Putin lega con i miliardari che si sono spartiti le riserve di petrolio e di gas e dichiara guerra al resto della popolazione, che non conta nulla. Mosca e le province sono come il Sole e la Terra. Il Sole significa calore, luce, vita. La Terra gira attorno al Sole. Orbite diverse, diversi percorsi. (pp. 258-259)
  • La Kamčatka è un buon posto per capire quanto lontana sia la provincia dalla capitale. E non c'entrano le distanze. La provincia vive in modo diverso, respira in modo diverso. Ma la Russia vera è lì. (p. 259)
  • La Kamčatka è all'altro capo del mondo e dell'insensibilità dello Stato: da un lato le tecniche più perfezionate di distruzione umana, e dall'altra un livello di vita da cavernicoli per chi le gestisce. Tutto si fonda sull'entusiasmo dei singoli e sull'amore per la Patria. Niente soldi, niente gloria, niente futuro. (p. 261)
  • È curioso. Passano gli anni, il Partito comunista non c'è più da un pezzo, ma alcune peculiarità del passato restano immutate. Come la patologica mancanza di rispetto per le persone in generale e, in particolare, per chi, nonostante tutto, lavora con dedizione e sacrificio. Per chi ama la causa che serve. Il potere non ha ancora imparato a ringraziare chi gli dimostra fedeltà. Lavori duro? Bravo, continua fino a che non crepi o fino a che non ne puoi più di sopportare. Il potere si fa di giorno in giorno più spudorato nel voler annientare i nostri migliori concittadini e nel puntare sui peggiori con la pervicacia di un maniaco.
    Non c'è dubbio che il comunismo sia stato un danno tremendo per il nostro Paese. Ma quel che sta accadendo oggi è ancora peggio. (p. 269)
  • Le nostre foreste migliori vengono abbattute per soddisfare gli interessi degli oligarchi e dei loro accoliti. Interessi per i quali si promulgano decreti, si viola la legge e si assoldano i migliori avvocati del Paese. (pp. 281-282)
  • [Sulla crisi del teatro Dubrovka] Proviamo a vedere come vivono coloro ai quali la tragedia di Nord-Ost non ha fatto guadagnare «in pathos», ma che, anzi, ne sono usciti a pezzi. Proviamo a guardare il loro prima e il loro dopo. Le esistenze, uniche e irripetibili, che sono state spezzate. Le vittime che la macchina dello Stato sta cercando di dimenticare, inducendo noialtri a fare lo stesso. Le pulizie etniche che sono seguite al massacro. La nuova ideologia di Stato, letale per l'individuo. Putin l'ha illustrata più volte. E suona all'incirca così: «Non aspettatevi che le perdite ci frenino. Non lo faranno. Nemmeno se dovessero essere altissime». (p. 289)
  • I nostri tribunali non sono mai stati un esempio di autonomia, come ci si potrebbe aspettare leggendo la Costituzione. Tuttavia, la giustizia odierna si sta sottomettendo allegramente al potere esecutivo, e raggiunge l'apogeo in ciò che definiamo pozvonočnost', «giustizia da telefono», un fenomeno che vede un giudice emettere la propria sentenza a seconda della telefonata che riceve dai rappresentanti del governo e della pubblica amministrazione. Si tratta di un fenomeno consueto, in Russia, per cui quando un giudice dà prova di un'inattesa autonomia di giudizio, la nostra coscienza collettiva non può non considerarlo un gesto eroico. (p. 303)
  • Questa è la nuova ideologia russa. L'ideologia di Putin. Testata sul campo in Cecenia. È stato allora, con l'ascesa al trono del Cremlino di Vladimir Putin e il fragore delle bombe all'inizio della seconda guerra cecena, che la Russia ha commesso il suo primo errore, tragico e immorale, da imputare alla sua patologica incapacità di riflettere. La Russia ha ignorato che cosa stava davvero accadendo in Cecenia: bombardamenti su città e villaggi e non sugli accampamenti dei terroristi, centinaia di vittime innocenti. È stato allora che buona parte di coloro che in Cecenia ci vivevano ha sentito (e sente tutt'oggi) di non avere la benché minima speranza. «Basta piangere. Rassegnatevi: sono le ragioni della guerra al terrorismo» veniva (e viene) loro propinato dalle autorità militari e civili che gli portano via figli, padri e fratelli senza spiegazioni di sorta, e che si infuriano quando le madri disperate a cui hanno ucciso i figli pretendono di conoscere le ragioni di quelle morti. (p. 308-309)
  • [Sulla crisi del teatro Dubrovka] Come ha reagito l'opinione pubblica, la gente? Nessuna compassione per le vittime. Per lo meno nessuna compassione organizzata in reazione sociale e pubblica che le autorità non potessero ignorare. Anzi. La nostra società traviata vuole quiete e agio anche a prezzo della vita altrui. E passa oltre la tragedia di Nord-Ost, fidandosi del (comodo) lavaggio del cervello messo in atto dallo Stato più che della realtà dei fatti o delle parole di un vicino coinvolto in prima persona. (pp. 309-310)
  • Negli ultimi anni siamo diventati molto più rozzi. E molto più vili. È una tendenza evidente, e lo diventa sempre più man mano che la guerra nel Caucaso continua, trasformando vecchi tabù in abitudini consolidate. Omicidi? Roba di tutti i giorni... Furti? Che c'è di male! Sciacallaggio? È la norma. I crimini non trovano una condanna non solo in un'aula di tribunale, ma nemmeno nell'opinione pubblica. Quel che prima era vietato, ora è lecito... (p. 314)
  • Solo un pazzo potrebbe invidiare i ceceni che vivono in Russia. La loro vita non è mai stata rose e fiori neanche in passato, ma dopo il caso Nord-Ost la macchina della vendetta etnica di Stato ha ingranato la velocità massima. Attacchi razzisti e purghe sotto l'egida della polizia sono diventati routine. Basta un attimo per perdere la vita, la casa, il lavoro, la terra sotto i piedi... E la ragione è una sola: sono ceceni. Per loro la vita a Mosca e in molte altre città non solo è impossibile, con gente che pur di sbatterti qualche anno in galera ti infila della droga in tasca e delle pallottole in mano; la realtà è diventata un incubo, un vicolo cieco, un muro di gomma senza uscita per chi viene considerato apertamente un paria. Un tipo di vita a cui non sfugge nessuno, bambini e vecchi inclusi. (p. 318)
  • La depressione è un male comune per i ceceni che vivono accanto a noi. Non ci sono ottimisti, tra loro: né tra i giovani, né tra gli anziani. Nemmeno uno. Sono tutti apatici, si aspettano tutti il peggio. Sognano di fuggire all'estero per confondersi nella folla eterogenea e cosmopolita con il loro segreto, la loro nazionalità. Come ci siamo ridotti... (p. 331)
  • I russi condividono per buona parte la xenofobia di Stato e non le rispondono con dimostrazioni antirazzismo. Perché? La propaganda ufficiale è molto efficace, e la maggioranza crede con Putin che i ceceni siano responsabili come popolo dei crimini commessi da singoli loro connazionali. Idee rozze e primitive che trovano terreno fertile.
    Ma, nonostante una guerra che dura da anni, gli attentati terroristici, le tragedie e le fiumane di profughi, in Russia non si è ancora capito che cosa vogliano le autorità dai ceceni. Vogliono che restino nella Federazione Russa o no? (p. 332)
  • Il nostro ex KGBista non ha trovato inciampi sul suo cammino. Né in Occidente, né in un'opposizione seria all'interno del Paese. Per tutta la sua cosiddetta campagna elettorale – dal 7 dicembre del 2003 al 14 marzo 2004 – Putin si è fatto beffe del suo elettorato.
    In primo luogo perché si è rifiutato di discutere alcunché con chiunque. Non ha mai ritenuto opportuno fornire spiegazioni riguardo a qualsiasi punto del suo programma per i quattro anni precedenti. Ha mostrato disprezzo non solo per i rappresentanti dell'opposizione, ma per l'opposizione in quanto tale. Non ha fatto promesse. Non ha fatto appelli. Come in era sovietica, la televisione lo mostrava quotidianamente in tutte le sue ipostasi politiche: per esempio mentre riceveva i più alti funzionari nel suo ufficio del Cremlino e forniva loro consigli preziosi su come gestire il ministero o l'ente di loro competenza. (p. 342)
  • I putiniani – quelli che l'hanno messo dov'è, che volevano che salisse al trono una prima volta, quelli che ora siedono nell'ufficio del presidente e di fatto guidano il Paese (non il governo, che esegue le volontà del presidente, e non il Parlamento, che ratifica le leggi che il presidente vuole) – seguono con grande attenzione le reazioni dell'opinione pubblica. Non è vero che se ne infischiano. E ciò significa una cosa importantissima: i veri responsabili di quanto sta accadendo siamo noi. Noi, e non Putin. Il fatto che la nostra reazione a lui e alle sue ciniche manipolazioni si sia limitata a sparuti borbottii da cucina gli ha garantito l'impunità nei primi quattro anni di mandato. La nostra apatia è stata senza confini e ha concesso a Putin l'indulgenza plenaria per i quattro anni a venire. Le nostre reazioni a quel che ha detto e fatto non sono state solo fiacche, ma impaurite. Abbiamo mostrato di aver paura dei čekisti, inducendoli a perseverare nel trattarci da popolo bue. Il KGB rispetta solo i forti, i deboli li sbrana. E lo dovremmo sapere, ormai. Invece ci siamo scelti la parte dei deboli e siamo stati sbranati. La paura è pane per i denti di un čekista. Non c'è nulla di meglio, per lui, del sentire che la massa che vorrebbe sottomettere trema come una foglia. (pp. 343-344)
  • Putin ha dimostrato più volte di non comprendere il concetto stesso di dibattito. E tanto meno quello di «dibattito politico»: chi sta sopra non discute con chi sta sotto, e se chi sta sotto si permette di farlo diventa un nemico. Se Putin si comporta in questo modo non lo fa perché è un tiranno e un despota congenito, ma perché così gli è stato insegnato. Queste sono le categorie che gli ha inculcato il KGB e che lui stesso ritiene ideali, come ha più volte dichiarato. Perciò, non appena qualcuno dissente, Putin si limita a chiedergli di «piantarla con gli isterismi». Per questo rifiuta i dibattiti pre-elettorali: non sono il suo ambiente, non è capace di parteciparvi, non sa reggere un dialogo. La sua arte è quella del monologo, il suo schema quello militare: da basso rango ero costretto a non fiatare? Ora che sono in cima alla scala parlo, anzi monologo, e che gli altri fingano d'essere d'accordo con me. Un "nonnismo" ideologico che talvolta – come nel caso di Chodorkovskij – si risolve nell'allontanamento e nell'eliminazione dell'avversario. (pp. 347-348)
  • Perché ce l'ho tanto con Putin? Per tutto questo. Per una faciloneria che è peggio del ladrocinio. Per il cinismo. Per il razzismo. Per una guerra che non ha fine. Per le bugie. Per i gas nel teatro Dubrovka. Per i cadaveri dei morti innocenti che costellano il suo primo mandato. Cadaveri che potevano non esserci. Io la penso così. (p. 354)
  • Ci disprezza. Siamo solo un mezzo, per lui. Un mezzo per raggiungere il potere personale. Per questo dispone di noi come vuole. Può giocare con noi, se ne ha voglia. Può distruggerci, se lo desidera. Noi non siamo niente. Lui, finito dov'è per puro caso, è il dio e il re che dobbiamo temere e venerare. La Russia ha già avuto governanti di questa risma. Ed è finita in tragedia. In un bagno di sangue. In guerre civili. Io non voglio che accada di nuovo. Per questo ce l'ho con un tipico čekista sovietico che ascende al trono di Russia incedendo tronfio sul tappeto rosso del Cremlino. (pp. 355-356)
  • La Russia è un Paese stabile, come no. Ma di una stabilità mostruosa, nella quale nessuno chiede giustizia a tribunali di un asservimento e di una faziosità lampanti. Chiunque abbia un po' di cervello non cerca protezione presso le istituzioni intese a far rispettare la legge e a mantenere l'ordine, perché sa che sono corrotte fino al midollo. Il linciaggio è all'ordine del giorno, nelle azioni e nella coscienza della gente. Occhio per occhio, dente per dente. (pp. 357-358)
  • [Sulla strage di Beslan] Il nocciolo della questione è il seguente: in quei giorni, a Beslan, i rappresentanti del governo si preoccupano più di intuire che cosa voglia Putin che di contrastare quanto sta accadendo dentro la scuola. E quando Putin parla, nessuno osa contraddirlo. (p. 363)
  • Dopo Beslan lo slogan di Putin è stato à la guerre comme à la guerre, la verticale del potere va rafforzata. E lui l'ha resa completamente dipendente da un solo e unico uomo (se stesso), che sa meglio di chiunque altro come garantirci dagli attentati. (p. 365)
  • Dopo la tragedia del teatro Dubrovka le autorità non hanno fatto altro che assolversi, lodarsi, coccolarsi. E invece la seconda guerra cecena non solo non è finita, ma ha stretto ancora di più la sua morsa. È degenerata nell'annientamento e nella neutralizzazione di chiunque lavori per la pace e cerchi di impedire che la crisi cecena sfoci in nuovi atti di terrorismo quale unica risposta lecita al terrorismo di Stato in Cecenia e Inguscezia. È una tautologia: il «terrorismo antiterrorismo» russo è diventato il tratto distintivo della nostra vita da Nord-Ost a Beslan. Terrorismo e antiterrorismo, macine di uno stesso mulino che ci riduce in farina. Il numero degli attentati è cresciuto in progressione geometrica. La strada che da Nord-Ost porta a Beslan è sotto i nostri occhi. (p. 366)

Un tempo si diceva che popolo e partito erano la stessa cosa. Oggi come oggi popolo e partito non sono mai stati così distanti nella vita reale e così vicini in televisione. L'homo sovieticus si fa di giorno in giorno più forte e più sfrontato, e con lui incombe l'inverno della politica, una glaciazione che si annuncia perenne. Non ci sono segni di un rialzo termico. Ben ammaestrata dalle menzogne ufficiali sul teatro Dubrovka, la Russia non chiede giustizia nemmeno per Beslan. In questo senso la responsabilità di quanto accaduto è anche nostra. Dalla tragedia di Nord-Ost ai fatti di Beslan sono passati due anni, anni in cui abbiamo continuato a dormire pacificamente nelle nostre case o a ballare in discoteca, distraendoci da tali amene occupazioni solo per andare a votare Putin. La gente non si è data la pena di pretendere la verità su Nord-Ost o di curarsi del dolore delle vittime, ed è stato questo il momento cruciale: il potere ha capito di essere riuscito a piegare il proprio popolo. Su quest'onda è venuta Beslan.
Non possiamo tollerare altri decenni di glaciazione politica. Vorrei davvero essermeli lasciati alle spalle. Vorrei davvero che i nostri figli potessero essere liberi. E che i nostri nipoti ci nascessero, liberi. Per questo invoco il disgelo. Gli unici a poter cambiare il clima, però, siamo noi. E nessun altro. Aspettarcelo dal Cremlino, com'è accaduto con Gorbačëv, oggi è sciocco e irrealistico. Né ci potrà aiutare l'Occidente, che poco si cura della «politica antiterrorismo di Putin» e che invece mostra di gradire la vodka, il caviale, il gas, il petrolio, gli orsi e un certo tipo di persone... L'esotico mercato russo è attivo e reattivo, e l'Europa e il mondo non chiedono altro alla settima parte del globo terrestre, la nostra.
Tutto quel che sentiamo da voi è «al-Qaeda», «al-Qaeda»... Un maledetto mantra per scrollarsi di dosso la responsabilità di nuovi fatti di sangue, una rozza cantilena con cui cullare la coscienza di una società che altro non vuole se non essere cullata.

Citazioni su La Russia di Putin

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  • I primi capitoli del libro di Anna Politkovskaja sono dedicati alle Forze Armate, descritte come un inferno dove le reclute sono sottoposte a umiliazioni crudeli, senza pietà. Le falsificazioni dei vari graduati sono comportamenti correnti; creazione di false prove e documenti, torture e processi che il più delle volte sono soltanto farse. La cronista dedica spazio al colonnello Budanov, il quale violenta e uccide una ragazza cecena, e finisce con l'essere assolto. Lo stesso esercito combatte, distrugge, violenta adesso in Ucraina. (Bernardo Valli)
  • L'invasione dell'Ucraina ha ridato una straordinaria attualità al libro scritto quasi venti anni fa. Dalle prime righe emerge l'esercito russo d'oggi. Non è infatti cambiato. Anna ne fa il ritratto. Non è più quello - benché duro - di Vasilij Grossman, impegnato nella Seconda guerra mondiale e descritto in Vita e Destino e in Stalingrado. Quello degli anni Quaranta combatteva in patria contro l'invasore. Nella Germania appena occupata i comportamenti poi mutarono. L'esercito impegnato negli anni Duemila in cui Anna compie con onestà il suo lavoro di cronista a Mosca ma in particolare nella Cecenia insubordinata, è un «luogo chiuso, chiuso come una prigione». La vita del soldato semplice è quella di uno schiavo. L'esercito russo, a differenza degli altri, ha un rapporto peculiare con la popolazione. In patria manca qualunque controllo della società civile sull'operato dei militari. Al di là dei muri di una caserma un ufficiale può fare a un soldato quello che vuole, quello che gli passa per la mente. Può trattare come più gli piace un subalterno. (Bernardo Valli)

Diario russo

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Secondo i dati ufficiali del censimento dell'ottobre 2003 la popolazione in Russia ammonta a 145 milioni e 200 mila persone. Siamo il settimo paese più popoloso al mondo. Gli elettori sono 109 milioni. Al momento di dichiarare la propria nazionalità, il 79,8% dei censiti – circa 116 milioni di persone – si è detto «russo».

Citazioni

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  • [Sulle elezioni parlamentari in Russia del 2003] Stanco delle menzogne e della boria dei democratici, il paese si è arreso in silenzio a Putin e ha votato Russia Unita, partito fantasma il cui unico programma consiste nell'appoggio incondizionato a Putin e il cui unico merito è l'aver riunito sotto la stessa bandiera e a un sol cenno i burocrati patri (ex funzionari sovietici del partito e del Komsomol, ora impiegati nella miriade di enti del nostro paese), che hanno disciplinatamente versato somme ingentissime per le menzogne preelettorali dei «russouniti». (p. 14)
  • [Sulle elezioni parlamentari in Russia del 2003] La locale commissione elettorale disponeva di una hot line per raccogliere notizie di irregolarità avvenute durante la campagna elettorale e il voto. Peccato che l'80% delle chiamate non riguardasse la politica, ma fosse un mero ricatto alle autorità cittadine (non c'è che dire, i russi sanno cavalcare l'onda politica per vili scopi privati). Se non mi riparate le tubature dell'acqua, dicevano, non ci vengo, a votare. Sistematemi il riscaldamento... (p. 15)
  • [Sulle elezioni parlamentari in Russia del 2003] Vjačeslav Volodin, tra i maggiori esponenti di Russia Unita [...] ha stracciato gli avversari con l'82,9% delle preferenze. Un successo inaudito per un politico privo di carisma, che deve la sua notorietà ai farfugliamenti televisivi pro Putin e all'assoluta mancanza di un programma politico concreto. (p. 15)
  • [Sulle elezioni parlamentari in Russia del 2003] Il parlamento si ritrova privo, o quasi, di coloro che avrebbero potuto promuovere idee democratiche e formare un'opposizione costruttiva, intelligente, al Cremlino.
    Tuttavia, che i burocrati di Russia Unita abbiano vinto non è ancora il male peggiore. A fine giornata, a computo ultimato o quasi, è stato chiaro che – per la prima volta dalla fine dell'URSS – le simpatie del paese sono andate al nazionalismo estremo e violento, a chi ha promesso pubblicamente di impiccare «tutti i nemici della Russia». (8 dicembre 2003; p. 18)
  • In un paese corrotto, il mondo degli affari si fa ancora meno scrupoli che là dove la corruzione sta sparendo, o per lo meno è ridotta a un minimo tollerabile e comunque osteggiato dall'opinione pubblica. (8 dicembre 2003; p. 19)
  • Per i nostri ricchi libertà significa belle vacanze. Più sei ricco e più puoi scordarti Antalya e andartene a Tahiti o ad Acapulco! Tutto qui. I nostri ricchi non ci pensano, alla verità vera. Per buona parte di loro libertà è lusso. E dunque per promuovere i propri interessi sono più utili partiti e movimenti pro Cremlino, molti dei quali corrotti a un livello terra-terra. (8 dicembre 2003; p. 19)
  • La corruzione è il fondamento della crescita e della baldanza dei liberal-democratici di Žirinovskij. È la cosiddetta «opposizione populistica», che in realtà opposizione non è in quanto – nonostante urla e strepiti – sostiene sempre e comunque la linea del Cremlino. (8 dicembre 2003; p. 19)
  • Il «fattore russo» – e non filooccidentale – è dominante nel nuovo parlamento. Tutti i candidati e i partiti pro Putin vi hanno fatto ampio e proficuo ricorso. Russia Unita, per esempio, ha incoraggiato l'idea di un popolo russo «umiliato e offeso dall'Occidente», sfoderando cioè una propaganda dichiaratamente anticapitalistica e antioccidentale. Il lavaggio televisivo dei cervelli si è servito di parole come «lavoro», «concorrenza» o «iniziativa» solo in senso dispregiativo. Abusando, invece, di formule del tipo «...nell'autentica tradizione russa...». (8 dicembre 2003; p. 20)
  • [Sulle elezioni parlamentari in Russia del 2003] Il multipartitismo tanto auspicato dai democratici, e che El'cin si era assunto come missione personale, è fallito. La composizione della Duma esclude qualunque discussione. Anzi, subito dopo le elezioni, lo stesso Putin si è detto soddisfatto che così fosse, comunicando testualmente al paese che il parlamento non è luogo per discutere, ma per legiferare. (8 dicembre 2003; p. 20)
  • Ho sempre guardato con sospetto a Nikonov anche quando era un fervente democratico eltsiniano. C'era qualcosa, in lui, che non mi convinceva, compresi i suoi avi. Il nonno era quel Molotov – pezzo grosso del tritacarne staliniano – a cui Stalin aveva fatto imprigionare la moglie, «nemica del popolo», costringendo lui a mille salamelecchi. Che Molotov non gli lesinava. So che non è giusto giudicare qualcuno dal suo passato, ma ho sempre intuito in lui un uomo servile, pronto al compromesso e a cambiar bandiera a seconda delle circostanze. Mi sbaglierò, ma non posso farci niente: è un tarlo che ho dentro... (8 dicembre 2003; p. 23)
  • Nell'era di Putin la democrazia parlamentare è morta. E non perché Javlinskij è stato battuto. In primo luogo il ramo legislativo e quello esecutivo del potere sono confluiti in un unico assetto, come ha affermato con grande precisione Lilija Ševcova, la nostra migliore politologa. Un remake del sistema sovietico. Il risultato della fusione è che la Duma è diventata un semplice, scenografico paravento, buono solo a sfornare le decisioni di Putin.
    In secondo luogo – e motivo principale per cui trattasi non di crisi, ma di morte vera – la gente ha dato il proprio consenso. Nessuno s'è alzato in piedi. Nessuna dimostrazione, niente proteste di massa o azioni di disobbedienza civile. La gente ha «mandato giù il rospo» e ha accettato di viverre non tanto senza Javlinskij, ma senza democrazia. Ha accettato di passare per idiota. (8 dicembre 2003; p. 30)
  • Il Consiglio della Federazione Russa ha annunciato la data della rielezione di Putin.
    E lui si è subito dato da fare, attingendo ad anniversari e ricorrenze per presentarsi al paese e al mondo quale unico esperto di ciò che nel tal giorno si celebra. Alla festa degli allevatori è l'allevatore più blasonato. A quella dell'edilizia è il perfetto manovale. Sarà ridicolo, ma si comportava così anche Stalin. (10 dicembre 2003; p. 31)
  • Putin è un camaleonte. Se gli torna utile sarà dei vostri, altrimenti vi darà battaglia. Sa mettersi nei panni di chiunque, e molti ci cascano. Persino una parte di quegli onestissimi attivisti si è bevuta il suo trasformismo e, nonostante un approccio diametralmente opposto alla realtà, si è sciolta al suo cospetto. (10 dicembre 2003; pp. 34-35)
 
Vladimir Solov'ëv
  • [Su Vladimir Solov'ëv] Il giornalista spavaldo, ben informato e democratico che [...] aveva attaccato le autorità sull'uso dei gas alla Dubrovka, è diventato un aperto sostenitore di Putin e dello Stato.
    Com'è potuto succedere? Lo hanno portato al Cremlino e lo hanno riempito di premure. E lui è cambiato. È il solito problema dei russi: la vicinanza al potere li rende meno schizzinosi e più restii a pronunciare la parola «no». E il Cremlino lo sa. Quanti ne ha già addomesticati al silenzio in questo modo! Gli basta stringerseli un po' al petto. I più recalcitranti non si comprano coi soldi, ma accogliendoli tra le braccia del potere. E anche loro sciolgono. (10 dicembre 2003; p. 37)
  • A sentire i sondaggi, solo il 2% dei russi ha idea di che cosa sia scritto nella Costituzione. Il 45% ha dichiarato che il diritto più importante è quello al lavoro; solo il 6% ha menzionato la libertà di parola quale cardine della propria esistenza. (12 dicembre 2003; p. 40)
  • Oggi festeggiamo i čekisti. Gli ottantasei anni di onorato servizio di OGPU-VČK-MGB-KGB-FSB. È la notizia di apertura di tutti i telegiornali. Che orrore. Per di più il tono dei servizi è pacato, come se questa istituzione sporca di sangue non ci fosse costata milioni di vite umane. Ma può essere altrimenti in un paese in cui il capo di Stato dichiara pubblicamente e senza timori di essersi messo «in congedo operato dell'ufficio» per fare il presidente? (19 dicembre 2003; p. 52)
  • In Russia, oggi, i veri democratici sono quelli che votano «nessuno». È gente che va a votare – dunque cittadini consapevoli –, che pensa, ma è disgustata da chi è al potere. (19 dicembre 2003; p. 54)
  • È per abitudine che ascolto quel che dice Javlinskij. Gli altri lo ignorano. (24 dicembre 2003; p. 58)
  • Per il vocabolario di Gryzlov «costruttivo» è sinonimo di «senza discussioni». (24 dicembre 2003; p. 59)
  • «A cuccia» ci è stato detto. Il candidato numero uno sa meglio di chiunque altro che cosa è bene per voi. È talmente arrogante da disprezzare consigli. E nessuno può fargli abbassare la cresta. La Russia non era mai caduta tanto in basso. (26 dicembre 2003; p. 60)
 
Vladislav Surkov
  • [Su Vladislav Surkov] Uno stratega. Un bugiardo pericoloso. (29 dicembre 2003; p. 61)
  • L'addio al 2003 è mesto. Le elezioni politiche sono state il trionfo dell'assolutismo di Putin, ma quanto si può andare avanti a costruire imperi? Impero significa repressioni e, in ultima istanza, stagnazione. Che è giusto dove stiamo andando. Ma chi si opporrà affinché ciò non accada? I russi sono stremati dagli esperimenti di politica economica condotti sulla loro pelle, vogliono vivere meglio ma non vogliono battersi per questo. Aspettano che qualcosa cali loro dall'alto, e se dall'alto li schiacciano, abbassando la testa. La battuta più popolare, su Internet, è «In Russia è sera. I nani hanno ombre di giganti». (31 dicembre 2003; pp. 62-63)
  • Perché tanta gente fugge dalla Russia? In un anno le richieste di espatrio verso l'Occidente sono aumentate del 56%. La Russia è passata al primo posto nel mondo per numero di cittadini che riparano all'estero (dati dell'Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite). (31 dicembre 2003; p. 63)
  • In Georgia la Rivoluzione delle rose si è conclusa e Saakašvili festeggia. I risultati parziali gli attribuiscono l'85% dei consensi. I georgiani non dubitano che sarà il loro presidente. La sua vittoria è una sveglia per le altre repubbliche della Confederazione di Stati Indipendenti. E gli astanti lo hanno capito. C'è un limite a tutto, e quando la gente vuole che qualcosa cambi, niente può fermarla. Forse è di questo che hanno paura. (5 gennaio 2004; p. 64)
  • In Russia il tripudio della beneficenza si è interrotto nel 2002, quando il governo Putin ha abrogato le detrazioni fiscali connesse. Fino a quel momento i nostri orfani avevano ogni ben di Dio e a Natale ricevevano montagne di regali. Ora, invece, i ricchi non portano più doni. Sono i pensionati a regalare agli orfanotrofi vestiti vecchi di vent'anni. O a chiedere che passino a prendersi le loro vecchie pianole, usandoli, cioè, come facchini. Altro che standard americani! In America, la domenica, gli orfani pranzano al ristorante con le famiglie ospiti. E sempre in America c'è un apposito programma statale chiamato «Da' lavoro a un orfano». Noi niente. Anzi, se qualcuno adotta un bambino, viene persino guardato con sospetto. Perché lo fa? Cosa ci guadagna? si chiedono i vicini. Sono gli stessi orfani a preoccuparsi dei propri simili. (6 gennaio 2004; p. 69)
  • La tragedia della seconda guerra cecena è stata il trampolino di lancio per la carriera di chiunque la combattesse al fianco del presidente. Gli stessi che oggi si fanno carico delle «responsabilità del paese». E quanto più sangue hanno versato, tanto più rapida è stata l'ascesa. (14 gennaio 2004; p. 84)
  • A Mosca è scoppiato lo scandalo dei nuovi libri di storia. I «vincitori» (Russia Unita) pretendono che Putin vi faccia inserire l'«orgoglio» per la guerra di Finlandia del 1939 e per la collettivizzazione di Stalin. Insistono affinché ai ragazzi venga riproposta la trattazione «sovietica» della seconda guerra mondiale, la «Grande guerra patriottica», vogliono che si studi il ruolo positivo di Stalin. E Putin li accontenta. L'homo sovieticus è tornato ad alitarci sul collo. Allo stesso tempo è stato vietato un manuale in cui l'accademico Janov afferma che la Russia minaccia di diventare un paese nazional-socialista con un arsenale atomico. (15 gennaio 2004; p. 88)
  • La nostra democrazia continua ad agonizzare. Ormai nulla dipende dalla gente. E tutto dipende da Putin. Iperaccentramento del potere più iperabulia dei burocrati. Putin è riuscito a resuscitare un antichissimo modello comportamentale: «aspettiamo il padrone: ci dirà lui cosa fare». E ai russi piace, diciamolo chiaramente. Dunque se la toglierà la maschera. E presto. Non ha motivo di tenersela. (16 gennaio 2004; p. 93)
  • [Su Russia Unita] È sempre più evidente che all'interno del partito vige una rigorosa disciplina militare. Nessun deputato può rilasciare interviste o votare di propria iniziativa. A oggi Russia Unita vanta trecentodieci seggi. Grazie ai transfughi. È un continuo presentarsi e giurare fedeltà... (17 gennaio 2004; p. 94)
  • In occasione dei sessant'anni dalla fine dell'assedio di Leningrado i sopravvissuti ricevono medaglie e sussidi in denaro, dai 450 ai 900 rubli [13-26 euro]. A Pietroburgo, per incassarli, la gente è rimasta in coda per giorni. Sono poveri, i sopravvissuti. Circa trecentomila persone avevano diritto a riscuotere quella miseria. Solo quindicimila ce l'hanno fatta. Le medaglia non sono piaciute affatto, invece. Insieme alla scritta «Abitante nella Leningrado assediata» o «Per la difesa di Leningrado», vi compare la riproduzione della fortezza di San Pietro e Paolo vista da una prospettiva assurda e con sul lungofiume barriere di filo spinato che non si sono mai viste. Alla sovietica.
    Non vi piace? Chissenefrega. (21 gennaio 2004; p. 96)
  • Kozak ha fama di essere la persona più intelligente del governo Putin. Dopo Putin, è ovvio. (4 febbraio 2004; p. 101)
  • C'è gente carica di esplosivo che gira indisturbata per Mosca. L'FSB e la polizia hanno poteri eccezionali, inauditi, ma che fanno?
    Intanto i russi continuano a sostenere Putin. Nonostante le decine di attentati kamikaze dell'ultimo anno, nessuno pensa che sia il caso di cambiare la nostra politica in Cecenia. (6 febbraio; p. 110)
  • In che cosa consiste la campagna elettorale del presidente? Su che cosa si concentra? Su niente. I pretendenti non hanno premura di candidarsi. I candidati non hanno premura di diventare presidenti. E nessuno – pretendenti, candidati e sostenitori – si lamenta. Intanto il candidato numero uno non si preoccupa di combattere, vincere e convincere. (6 febbraio 2004; p. 112)
  • Noi russi amiamo pensare che tutti congiurino contro di noi, ma è soprattutto l'indolenza che abbiamo nel DNA. Non finiamo mai quel che cominciamo. Lasciamo tutto al caso. (7 febbraio 2004; p. 113)
 
Nikolaj Patrušev e Vladimir Putin
  • Putin non ha sollevato dall'incarico il direttore dell'FSB, Patrušev. È un suo carissimo amico. Quanti altri attentati, quante altre vite ci vorranno perché capisca che un amico non è necessariamente un bravo professionista? (7 febbraio 2004; p. 114)
  • Ventimila ragazzi di Pietroburgo appartengono a formazioni giovanili fasciste o razziste non autorizzate. Gli skinhead pietroburghesi sono tra i più attivi del paese. Non fanno che picchiare azerbajdžani, cinesi, africani... A tutt'oggi nessuno è mai stato condannato. Perché nella polizia il razzismo è una tara diffusa. Basta spegnere il registratore per sentirli dire che le capiscono, le teste rasate, perché quei «negri lì»... Il fascismo è di moda, fra i tutori dell'ordine. (10 febbraio 2004; p. 119)
  • Perché nessuno ha ancora rivendicato l'esplosione del 6 febbraio? I casi sono due. O c'entrano i servizi speciali, che l'hanno ideata affidando l'esecuzione a non so e non importa chi. Oppure è stato qualche «cane sciolto», terroristi che volevano vendicare la morte dei loro cari, l'onore ferito o la patria offesa. Le due teorie sono una più ripugnante e avvilente dell'altra. (11 febbraio 2004; pp. 123-124)
  • Perché in Russia è così facile liquidare l'opposizione democratica? Perché è così facile annullarla quale fattore della vita politica reale? Non è merito di un antagonista troppo forte (ma da tenere comunque in conto). È colpa di un'opposizione inconsistente, poco determinata e poco onesta. (12 febbraio 2004; p. 124)
  • Berezovskij è un giocatore, non un combattente. E non combatte nemmeno chi sta al suo fianco. Nemcov giochicchia, mentre Javlinskij fa sempre e solo l'offeso. (12 febbraio 2004; p. 124)
  • Oggi sono quindici anni che ci siamo ritirati dall'Afghanistan. Il 1989 sarà anche finita la guerra afghana, ma è soprattutto iniziato il terrorismo. In Afghanistan abbiamo gettato le basi del suo sviluppo futuro. Come gli americani con Bin Laden. E se Bin Laden è quel che è, lo dobbiamo allo stato in cui abbiamo lasciato l'Afghanistan quindici anni fa. (15 febbraio 2004; p. 132)
  • Fredkov è un mero esecutore sempre pronto a obbedire alle richieste del partito. E basta. (5 marzo 2004; p. 142)
 
Murat Magometovič Zjazikov
  • Mi chiedo [...] perché Zjazikov (e Putin con lui, dato che Zjazikov è solo un suo clone) non riesca a fare niente di buono. Come democrazia comanda. Come la gente comanda. Perché devono sempre mentire, ricorrere a mille espedienti, sostenere funzionari corrotti, sfuggire la gente, nascondersi, avere paura del proprio popolo e, in fin dei conti, non rispettarlo?
    L'errore strategico è che questa gente non era preparata al ruolo che ricopre. Sono presidenti per caso, alla sovietica. Il partito chiama e i giovani comunisti rispondono. Sono sicura che apprezzino molto il fatto di essere presidenti, questo sì, ma una volta spentasi l'eco delle fanfare, di cerimonie di insediamento e feste connesse, e iniziata una routine a base di programmazione economica, acquedotti, strade, terroristi, guerre e ladrocini, si scopre che non sanno fare altro che aggrottare le sopracciglia in espressioni torve o fingersi Talleyrand, tacendo per buona parte del tempo, vedendo nemici ovunque, in agguato dietro a ogni cespuglio, e attribuendo loro i propri fiaschi. (5 aprile 2004; p. 160)
  • È una vecchia, deplorabile abitudine sovietica: stattene buono, non muovere un dito e aspetta che dall'alto cali una vita migliore.
    Siamo fatti così. (5 aprile 2004; p. 162)
  • Un tale sistema – giudici corrotti, elezioni falsate, presidenti che se ne fregano spudoratamente dei cittadini – può esistere solo se la gente non protesta. È su questo che conta il Cremlino: oggi come oggi (è tutta qui, la «genialità» di mister Surkov) ciò che non deve mai mancare in Russia è l'apatia, radicata nella convinzione quasi unanime che il potere «sistemerà» comunque tutto a proprio vantaggio. Elezioni comprese. E più si vota, più la gente se ne convince. Più se ne convince, più se ne frega di tutto e di tutti. Più se ne frega, più è indifesa e muta. Più è indifesa, più il potere se ne approfitta. Non solo in materia di elezioni, ma anche nella vita di tutti i giorni. È un circolo vizioso. Ma pare che alla maggioranza il vizio non dispiaccia. La gente ha un fremito solo e soltanto quando è coinvolta in prima persona. (5 aprile 2004; p. 163)
  • [...] di notte a Mosca non si può fare niente. Le televisioni non trasmettono, i giornalisti delle agenzie di stampa sono tornati a casa. I tutori dell'ordine hanno spento i cellulari e dormono. È un periodo morto che può diventare mortifero. Ammazza e ruba quanto vuoi, tanto nessun generale si muoverà prima dell'alba. (21-22 giugno 2004; p. 182)
  • I nostri soldati muoiono per le ragioni più diverse: l'esercito è terreno fertile per la morte. Puoi desiderare ardentemente di fare il militare, puoi partire anche prima del tempo [...], ma non servirà a salvarti la pelle. Si troveranno comunque dei bastardi a cui non piaci tu, non piace quanto sei alto o non piacciono i tuoi piedi grandi o piccoli. E addio per sempre. (9 luglio 2004; pp. 188-189)
  • L'idea dell'oligarchia di Stato è un parto di Putin e di una ristretta cerchia di persone attorno a lui. Il concetto è il seguente: le entrate principali della Russia si devono all'esportazione di materie prime, dunque lo Stato deve averne il controllo totale. E nella mente di Putin e della sua amministrazione, lo Stato sono loro. Dunque loro devono controllare il grosso delle entrate, perché sono i più intelligenti e sanno meglio di chiunque altro di che cosa ha bisogno la gente e come gestire i flussi di capitale provenienti dal commercio delle materie prime. [...] Non c'è bisogno di dire che sul trono dei supermonopoli siedono ex čekisti (KGB) diventati oligarchi. Putin si fida esclusivamente di loro (sarà perché vengono dallo stesso mazzo?) e della loro capacità di capire che cosa serva ai russi. Per l'amministrazione del presidente ciò significa che soltanto loro sanno distribuire «equamente» il sovraprofitto delle materie prime. Tradotto: tutto deve passare per le loro mani. (27 luglio 2004; p. 198)
  • Migliaia di persone vengono umiliate e maltrattate, e nessuno fiata. Quello che si spaccia per un popolo eletto da Dio e che di Dio è latore, un popolo che si crede una superpotenza (ed è stuzzicando questi sentimenti che Putin ha portato avanti la sua politica), si è rivelato fatto di omuncoli, sottoproletari, filistei corrotti, spregevoli borghesucci dissoluti che non vedono oltre il proprio naso. Che si oppongono e dissentono solo di fronte a un piatto vuoto o perché lo Stato ha tolto LORO qualcosa. Perché se la togliesse al vicino, non starebbero certo a sindacare. (27 luglio 2004; p. 201)
  • Un atteggiamento tipicamente russo. Non guardare in faccia la realtà per non preoccuparsi, per non pensare al peggio, alla tempesta che incombe. Non analizzare la realtà, non entrarci nemmeno in contatto. Fino al primo colpo. Fino al primo orrore. (2 agosto 2004; p. 207)
  • È allarmante che alcuni attivisti ritengano che Putin sia mal consigliato, che non sappia le cose. Insomma, lo zar è buono, i cattivi sono i bojari. La solita vecchia solfa russa. (9 agosto 2004; pp. 208-209)
  • Queste sono le nostre regole. Se non sei cittadino russo addio pensione, anche se te la saresti guadagnata lavorando tutta la vita per l'URSS. (9 agosto 2004; p. 212)
  • Putin scimmiotta Bush in modo ridicolo: Cremlino e Casa Bianca fianco a fianco nella lotta al terrorismo internazionale... Ma finisce qui. I nostri capi copiano solo quel che può tornare utile, quel che può dar loro lustro. Il resto lo facciamo alla russa: mandiamo a morire i nostri ragazzi, li seppelliamo in pompa magna, li copriamo di onorificenze, poi li dimentichiamo. Non onoriamo mai i nostri debiti. È una nostra prerogativa. Putin non ha mai pensato – o per lo meno non l'ha mai detto apertamente – di dover rispondere di coloro che hanno pagato con la vita la sua decisione di iniziare la seconda guerra cecena. (9 agosto 2004; p. 213)
  • Quante altre tombe ci vorranno? Quanti altri storpi senza braccia e senza gambe? Perché per ogni morto o invalido che si aggiunge, la seconda guerra cecena scarica sullo Stato una responsabilità a cui esso non è più in grado di far fronte. Non avendo ancora finito di gestire le precedenti. E allora, come un qualunque bancarottiere, lo Stato comincia a non pagare i debiti, cancellandone ogni traccia con mille sotterfugi, come nel caso della maledetta «riforma federale dei sussidi sociali». Che toglie agli invalidi, ai «ceceni» o alle madri dei caduti, quel poco con cui li ripagava del proprio azzardo nel Caucaso. (9 agosto 2004; p. 215)
  • Tipico dei russi. Per firmare una protesta c'è sempre tempo. Per protestare in prima persona non ce n'è mai. (9 agosto 2004; p. 216)
  • [Su Ramzan Kadyrov] È privo della benché minima istruzione, Però ha i gradi di capitano di polizia, che non si sa come gli siano stati conferiti, non essendo Ramzan né poliziotto, né diplomatico (requisito necessario per i graduati). Inoltre, pur essendo capitano è autorizzato a comandare colonnelli e generali. E quelli gli obbediscono. Perché? Perché sanno che è il favorito di Putin. (29 agosto 2004; pp. 216-217)
  • Gli uomini di Kadyrov partecipano agli scontri a fuoco come se fossero soldati del ministero della Difesa. Arrestano e interrogano come se fossero uomini del ministero degli Interni. E torturano come banditi nelle cantine di Centoroj che hanno adibito a prigioni.
    Ma non c'è procuratore che intervenga. Nessuno fiata. Nessuno si immischia. A Centoraj la legge non vale. Così ha deciso Putin: le leggi degli altri non valgono per Ramzan, a cui tutto è permesso e che ha metodi suoi per combattere i terroristi. (29 agosto 2004; p. 217)
  • Di fatto Ramzan non combatte un bel niente: ruba e ricatta, e lo fa passare per «lotta al terrorismo». (29 agosto 2004; p. 218)
  • [Sulla strage di Beslan] La censura e l'autocensura dei mass media sono ai massimi storici, il che aumenta le possibilità che centinaia di adulti e bambini nella scuola occupata vengano uccisi. (1 settembre 2004; p. 227)
  • Ormai è una prassi consolidata: i favori di Putin traviano le persone e le rendono incivili. Kadyrov senior era crudele, ma il figlio [...] lo ha surclassato. A suo tempo il poliziotto ferroviario Alchanov era una brava persona, come ricorda che l'ha conosciuto. Adesso è un mostro. Pare che Abramov venga da una buona famiglia, che fosse una persona modesta e istruita. Ma quel che il Cremlino tocca diventa merda. (13 settembre 2004; pp. 233-234)
  • Una delle cause della profonda depressione sociale russa è il cinismo bieco della realtà che ci viene offerta. E i russi non sanno reagire al cinismo, si rinchiudono nel proprio guscio, abbassano ogni difesa, perdono la favela, si bloccano.
    Putin lo sa. E sfrutta il cinismo quale efficacissima leva antirivoluzionaria. (13 settembre 2004; p. 234)
  • Putin ha detto di aver abolito l'elezione diretta dei governatori per l'incombente minaccia terroristica. Usare l'incubo di Beslan per questioni di bassa politica è troppo persino per un cinico come lui...
    Ma la gente l'ha bevuta. (13 settembre 2004; pp. 234-235)
  • Il potere di Putin si regge sulla mancanza di alternative alla sua persona, in un entourage che lui stesso ha voluto scialbo e anonimo. Non ha nessuno accanto, è la «solitudine del leader», come la definiscono i suoi fan... Nella sua squadra nessuno potrebbe sostituirlo in caso di emergenza: né Sečin [...], né Medvedev [...], né il primo ministro Fradkov, né Gryzlov [...], né Mironov [...]. Sono pesci piccoli con il complesso di Napoleone. E nemmeno tutti quanti. (27 settembre 2004; pp. 237-238)
  • Alchanov ha mostrato a tutta la Cecenia che ha una gran paura di morire. Dunque come politico è finito. D'ora in avanti nessuno lo terrà più in considerazione. (5 ottobre 2004; p. 239)
  • L'esercito rimane un posto in cui qualunque persona normale ha paura di finire. Oggi come oggi è un luogo di morte per i giovani, altro che dovere verso la patria. In Russia la chiamata alla leva cade nel mese di ottobre. E la verità è che ogni anno in ottobre migliaia di famiglie si danno alla macchia. Per sopravvivere. Per mantenere una propria dignità. (7 ottobre 2004; p. 246)
  • Non solo Ramzan è privo del benché minimo barlume di attività cerebrale, ma è soprattutto uomo di guerra e di terrore. Senza i quali, e senza il caos che lo accompagna, non ha niente da fare. L'illegalità è il suo pane. (20 ottobre 2004; p. 247)
  • [Sulla crisi del teatro Dubrovka] Nei due anni successivi all'attacco con i gas il potere non ha avuto alcuna pietà per le vittime. L'indagine è degenerata in un'azione politica mirata a scagionare i colpevoli, e in ultima istanza è stata insabbiata. Le vittime della tragedia, si sostiene ufficiosamente, sono morte a causa degli innumerevoli disturbi legati alla disidratazione e allo stress, e solo in minima parte per effetto di una «sostanza chimica non identificata».
    In due anni non sono riusciti a identificarla. (26 ottobre 2004; p. 252)
  • Non voglio rivoluzioni, è ovvio, non le auguro né al mio paese né a me stessa. Le nostre rivoluzioni finiscono sempre male, non sono mai rivoluzioni di velluto o di rose. A noi toccano sempre le spine. Però non posso nemmeno tollerare altri decenni di inverno politico. Vorrei tanto poter vivere. E vorrei tanto che i nostri figli fossero liberi. E che libero nascessero i nostri nipoti. (26 ottobre 2004; p. 254)
  • Ma il paese capisce che ora, sotto il nostro naso, questo «1937 alla cecena» sta degenerando in un 1937 di tutta la Russia? Con o senza dimostrazioni attorno al nuovo monumento alle isole Solovki? Perché oggi come oggi ognuno di noi può uscire a comprare il pane e non tornare più. O può ricomparire una ventina d'anni dopo. Come in Cecenia, dove prima di andare al mercato ci si è abituati a dire addio alle persone più care. Non si può mai sapere, in zona di «operazioni antiterrorismo». (29 ottobre 2004; p. 258)
  • Il Consiglio Federale ha comprovato la revoca dell'elezione diretta dei governatori.
    La gente tace. Dunque se lo merita. (3 novembre 2004; p. 258)
  • Ci hanno sempre detto che in politica quel che conta è il cervello, che un bravo politico è un politico scaltro. S'è scoperto che non è vero. Cervello e scaltrezza non suscitano in noi alcuna reazione. Né lo fa un cuore duro. Siamo così, noi. Noi seguiamo la passione sostenuta da una mente lucida e onesta. Mai l'inverso. (6 novembre; p. 264)
  • La gente non si fida più di niente e di nessuno. E il potere non se la passa granché bene. Se Batdyev venisse deposto, potrebbe esserci una reazione a catena. Il successivo potrebbe essere Murat Zjazikov, presidente dell'Inguscezia, noto codardo nonché generale dell'FSB, che per quest'ultimo requisito gode dei favori di Putin. Se cercassero di occupargli l'ufficio, Zjazikov scapperebbe a gambe levate come una donnicciola. (11 novembre 2004; p. 266)
  • Gli uomini scelti e controllati dal Cremlino non sanno governare e non sanno assumersi le proprie responsabilità. Fuggono al primo segnale di pericolo. (11 novembre 2004; p. 266)
  • Dissidenti e democratici hanno ingannato la gente troppo a lungo, facendole credere che El'cin fosse democratico fino al midollo. E ci avevano creduto in molti. Poi, però, la verità era venuta a galla, e la favoletta di El'cin aveva screditare i democratici. Che sono diventati «merdocratici» non solo per i comunisti e gli stalinisti più accessi, ma anche per buona parte della popolazione. «Democratico» è diventato un insulto. Perché gli unici risultati che hanno ottenuto sono stati un'inflazione da record, i risparmi sovietici andati in fumo, la guerra in Cecenia, la crisi economica. (12 dicembre 2004; pp. 280-281)
  • Ripensiamo all'elezione di El'cin, nel 1996. Non è stato votato perché era intelligente o per il suo programma di sviluppo del paese, ma perché era il male minore. Per paura che tornassero i comunisti. E per eleggerlo sono stati stanziati fondi statali e mobilitate tutte le televisioni di Stato, trasformate nel suo staff elettorale. (12 dicembre 2004; p. 281)
  • [Sulla rivoluzione arancione] Quanto accaduto in Ucraina in coda al 2004 ha segnato la fine della Grande Depressione politica russa: è storia. L'opinione pubblica si è risvegliata dal torpore e ha invidiato con tutte le forze la piazza di Kiev, Majdan Nezaležnosti [piazza dell'Indipendenza]. «Perché non facciamo come loro, accidenti?» ci si ripeteva l'un l'altro. «Siamo così simili, eppure...». (Gennaio 2005; p. 285)
  • La riforma dei sussidi statali è la goccia che ha fatto traboccare il vaso della sfiducia e della diffidenza (verso il governo, il presidente e i deputati) di tutti coloro ai quali certi benefici erano dovuti da un potere che aveva spezzato la loro vita sul nascere. Digerire anche quest'ultima porcheria, dicono molti «ceceni», sarà davvero difficile. (Gennaio 2005; p. 292)
  • La selezione naturale pilotata dallo Stato riguarda i reduci, ma anche le famiglie dei militari caduti. La legge del più forte esclude anche loro. Che sono deboli, vulnerabili, sfortunati, e non possono sperare di sopravvivere con le loro sole forze. O i reduci della seconda guerra mondiale, vecchi e malati. Sono stati forti, a tempo debito, ma la loro forza è acqua passata. Ora possono soltanto sperare di ottenere l'attenzione dello Stato. E di gioire se non viene meno.
    Invece succede l'esatto contrario: con le nuove leggi i genitori dei «ceceni» caduti e i reduci della seconda guerra mondiale, come tutti gli altri vecchi, diventano sempre più poveri, mentre le casse dello Stato continuano a rimpinguarsi. (Gennaio 2005; pp. 295-296)
  • [Su Vladimir Žirinovskij] [...] furbo giullare della politica che ha saputo arricchirsi cavalcando la nostalgia dei più poveri per la cara, vecchia Unione Sovietica. (Gennaio 2005; p. 296)
  • Un paese che non si cura dei propri cittadini e li spedisce in guerra è destinato a morire per mano di chi voleva mandare a morte. E quanto più un paese è demoralizzato, tanto più si rivolge all'estremismo pseudopatriottico. (Gennaio 2005; p. 299)
  • [Su Aslan Maschadov] Non è un segreto che il suo nome induca molti a una semplice alzata di spalle. Maschadov chi? C'è ancora qualcuno che gli obbedisce? È tutto un bluff, lui, i suoi ordini... (14 gennaio 2005; p. 301)
  • Maschadov è alla macchia più macchia che ci sia, sono anni che non accetta di parlare con i giornalisti, temendo di finire come Achmed-shah Masud, il leone del Panshir, fatto saltare in aria da giornalisti assoldati all'occorrenza. (14 gennaio 2005; p. 301)
  • E ci spacciamo per superpotenza? Una superpotenza non approfitta di coloro che difendono i suoi interessi per poi dimenticarsene. Chi lo fa è letame, scarto di lavorazione e non legno massello. (15 gennaio 2005; p. 303)
  • Per i russi la speranza è sempre l'ultima a morire. Siamo stati educati a vivere di sogni e a rincorrerli. (28 gennaio 2005; p. 314)
  • L'islamofobia ha generato le repressioni contro l'Islam, l'Islam ha risposto dandosi alla macchia. È chiaro a tutti che urge un accordo con i musulmani, ma nessuno dei nostri è disposto a fare il primo passo. Si preferisce la via sovietica: se non puoi eliminare il Corano, almeno controllalo, fa' che non ci siano jamaat e se, con venti milioni di musulmani, i muftì e gli emiri sono inevitabili, che almeno siano «buoni». Quanto agli altri: via, rifiutàti. Sappiate come regolarvi. (2 febbraio 2005; p. 320)
  • Le persecuzioni ai leader ufficiosi [islamici] rinfocolano le passioni dei giovani credenti. E la passione più forte è il rifiuto dello Stato-persecutore. Oggi le comunità musulmane sono sistemi sempre più chiusi al mondo esterno e che il mondo esterno fa sempre più fatica a comprendere. Ci sbattono la porta in faccia. (2 febbraio 2005; p. 322)
  • I «nostri» sono quelli a favore della «nostra democrazia», della «democrazia per tradizione». Gli «altrui» sono i nemici, i fan delle democrazie all'europea e dei loro valori. (23 febbraio 2005; p. 328)
  • [Su Naši] Va detto che non ci vorrà molto perché la gente li ribattezzi «nascisti», amalgamandoli con i nazisti. Ed è vero, perché i «nascisti» si comportano da nazisti. Sono aggressivi, arrabbiati, attaccabrighe. L'amministrazione vi ha radunato gli ultrà degli stadi (i più cattivi, tra l'altro, quelli con la fedina penale sporca), i sostenitori dello Spartak e del CSKA. (23 febbraio 2005; p. 328)
  • La riconquista delle libertà democratiche perdute è solo affar nostro, dipende dalle qualità del nostro popolo e non può essere frutto di pressioni esterne. (24 febbraio 2005; p. 329)
  • È colpa della miseria se non siamo in grado di lottare per la democrazia. Finché non avremo tutti la pancia piena (e non l'abbiamo), la democrazia ce la possiamo scordare. D'altro canto, però, è difficile riempirsi la pancia in un sistema sociale non democratico. Ma nessuno lo capisce. (26 febbraio 2005; p. 330)
  • Maschadov era pressoché l'unico che riusciva a trattenere – a stento, con le ultime forze che gli restavano – gli estremisti più radicali, convinti che la Russia vada combattuta con ogni possibile mezzo, compresa Beslan. (8 marzo 2005; p. 332)
  • [Su Šamil' Salmanovič Basaev] Sarà lui il nuovo «Maschadov», ma sempre solo tra virgolette. Perché se Maschadov si batteva per avere un posto al tavolo dei negoziati, Basaev se lo conquisterà da solo, quel posto. E senza nemmeno negoziare. (8 marzo 2005; p. 332)
  • Siamo fatti così. Sappiamo per cosa si deve lottare, ma non abbiamo la tenacia per farlo. Siamo inerti e apatici, le braccia ci cadono ancor prima di averle alzate. Passiamo la vita ad aspettare che quel che vogliamo ci piova dall'alto. (25 marzo 2005; p. 341)
  • Le rivoluzioni scoppiano dove si ruba. (28 marzo 2005; p. 347)
  • Tenete conto che la minuscola Inguscezia è persino più piccola della limitrofa Cecenia. Ma in un anno e mezzo Zjazikov e i suoi hanno già sottratto milioni di rubli... Come ci sono riusciti? (28 marzo 2005; p. 348)
  • [Nikolaj Ivanovič Ryžkov] Per quanto intelligente, ha poco carisma. Purtroppo. (23-24 aprile 2005; p. 354)
 
Aleksandr Dzasochov e Vladimir Putin
  • Il presidente Aleksandr Dzasochov – che nessuno più sopporta e su cui grava la responsabilità di Beslan e della morte di centinaia di adulti e bambini – è stato fatto senatore e membro del Consiglio Federale (mentre invece sarebbe dovuto finire sotto processo... Ma sono cose che Putin ha in serbo per gli uomini «altrui», non per i propri).
    Al suo posto Putin ha eletto Tejmuraz Mamsurov (altra nomina «antiterroristica»). Mamsurov era a capo del parlamento dell'Ossezia del Nord, due dei suoi figli erano nella scuola di Beslan, ma si sono salvati. Lui, però, ha sempre giustificato le scelte delle autorità.
    Accomodandosi sul trono, Mamsurov si è così pronunciato di fronte ai deputati del parlamento: «Cercherò di meritarmi la fiducia del presidente».
    Di quella del popolo non si preoccupa nessuno. (7 giugno 2005; p. 371)
  • Se il Cremlino riuscisse a vedere anche solo mezzo centimetro oltre il proprio naso, o se almeno leggesse qualche buon libro, saprebbe che non è il caso di ridurre i giovani come pentole a pressione tappate. È pericoloso, molto pericoloso. (30 giugno 2005; p. 384)
  • Cosa succede ai russi? Per gioire delle disgrazie altrui basta tanto così. Per la bontà, invece, non c'è mai tempo. Mentre il mondo intero ci ritiene un popolo buono e giusto. Io non lo credo affatto. (7 luglio 2005; p. 391)
  • Perché una superpotenza non può avere vedove di Eroi ridotte in miseria. (12 luglio 2005; p. 401)
  • Per legge le vedove degli Eroi non hanno alcuna integrazione pensionistica. È uno dei modi in cui uno Stato corrotto fino al midollo e con funzionari ricchi sfondati fa economia sui fondi di bilancio. Il sussidio statale alle vedove degli Eroi è tale che è meglio non farci conto, rifiutarlo e preferirgli la normale pensione di anzianità. (12 luglio 2005; p. 401)
  • Nemmeno gli Eroi che scioperano rimpiangono il proprio passato. I rimpianti sono per il presente, mentre per il futuro c'è soltanto paura. (12 luglio 2005; p. 405)
  • La nostra non è una società. È un'accolta di cellule di cemento non collegate tra loro. In una c'è un Eroe. In un'altra un sostenitore di Jabloko. In una terza Zjuganov, il leader dei comunisti. Eccetera eccetera. Insieme, a migliaia, potrebbero formare un popolo. Invece sono impermeabili ai sentimenti. Quando una sta male, si strugge perché nessuno le offre una spalla su cui piangere. E se proprio le altre cellule le rivolgono un pensiero, è solo superficiale. Ci pensano qualche attimo in più solo quando anche loro si ritrovano a stare malissimo.
    Il potere mira a rendere le cellule ancora più impermeabili, a separare le persone, ad aizzarle le une contro le altre: divide et impera... E la gente lascia fare. Questo è il problema. Ecco perché la rivoluzione russa è tremenda quando scoppia: le cellule si disgregano solo quando il livello delle emozioni negative diventa intollerabile. (12 luglio 2005; pp. 405-406)
  • C'è chi ci definisce una società con milioni di schiavi e una manciata di padroni, sostenendo che così sarà nei secoli dei secoli: nella «Russia libera» la schiavitù sarà sempre attuale. (13 luglio 2005; p. 410)
  • I russi si svegliano solamente quando li toccano sul vivo. E il vivo è il portafoglio, per esempio. Ma prima?
    No, pare proprio che la passione rivoluzionaria si accenda solo grazie ai soldi. (15 luglio 2005; p. 411)
  • Così funziona la dottrina giudiziaria in Russia. Sei un criminale comune? Prego, sei libero. Sei un politico? Per te ci sono catene, gabbie e galera. Il potere è amico dei criminali comuni. E distrugge qualunque cosa abbia un vago sentore politico. Punta sui criminali per mantenersi al potere. Le parole non contano. A parole Putin è bravissimo, cita continuamente la Costituzione. (28 luglio 2005; p. 439)
  • La distinzione criminali buoni-politici cattivi ha radici storiche profonde nella nostra giustizia e nella nostra politica. Non è facile sradicarla. Ma rassegnarsi alla sua esistenza è una viltà. (28 luglio 2005; p. 440)
  • È assai raro che qualcuno acconsenta e testimoniare contro la malavita organizzata; la vendetta può essere efferata e la protezione inesistente, perché la corruzione – che con Putin è ancora più brutale – protegge solo chi paga. E se non paghi, addio. (12 agosto 2005; p. 452)
  • Putin e i suoi combattono la corruzione solo per gettare una cortina di fumo, solo per i media. In realtà la corruzione è un vantaggio, ha una grossa funzione didattica. Finché resiste e fiorisce rigogliosa, nessuno oserà fiatare. Finché i tribunali sono manovrabili su entrambi i fronti – criminalità e politica – il potere non ha nulla da temere. (12 agosto 2005; pp. 455-456)
  • Nel carattere della maggior parte dei russi è insito il desiderio di passare inosservati, cosa quanto mai evidente negli ultimi tempi. Di non finire nel campo visivo degli organi di repressione. Di restare nell'ombra. Che cosa fare nell'ombra, poi, dipende dall'indole di ognuno. Molti ci restano sempre e comunque. Certo, desideriamo anche migliorarci, ma la voglia d'ombra è molto più forte. Soprattutto dopo quanto è successo anche solo nel XX secolo. (12 agosto 2005; p. 457)
  • I poveri della sinistra sono il potenziale rivoluzionario della Russia. Il ceto medio non la fa, la rivoluzione. Il ceto medio fatica a testa bassa per raggiungere uno stile di vita borghese che non può permettersi. (16 agosto 2005; p. 459)
  • La domanda resta aperta: da dove arriverà la morte per il regime? Come crollerà? L'opposizione è troppo debole per abbatterlo e non ha la passione necessaria per farlo. Ancor più impossibile è che lo rovesci una protesta dal basso. (18 agosto 2005; p. 460)
  • Un'eventualità è che, se Putin insiste a creare un sistema neosovietico, il collasso possa venire da un'economia inefficiente. Com'è noto, il marchio dell'amministrazione Putin è la nascita di un capitalismo di Stato, di un'oligarchia di burocrati fedeli (per buona parte ex uomini dell'amministrazione e vicepremier) chiamati a controllare direttamente i maggiori flussi di denaro. Per riportare nel grembo dello Stato (deprivatizzandoli o statalizzandoli) i bocconi più ghiotti e trasformarli in gruppi finanziario-industriali o holding. (18 agosto 2005; p. 460)
  • La realtà russa è questa: so tutto, capisco tutto, io per prima non credo che quel che faccio sia giusto, però lo faccio lo stesso... La nostra è una società in cui ognuno ha dentro di sé due morali che si escludono a vicenda. Su questo si basa il regime di Putin, che fiorisce rigoglioso senza che nessuno gli si opponga seriamente. (19 agosto 2005; p. 468)
  • Sono state rese note le statistiche ufficiali. Il 58% dei russi è convinto che «la Russia debba essere soltanto dei russi». Alla domanda: Cosa farebbe se disponesse di una somma ingente di denaro, sempre il 58% ha risposto che comprerebbe una casa all'estero e se ne andrebbe.
    È una sentenza di condanna per la Russia libera e per il partito omonimo. Credo io. E la risposta alla domanda sul perché non riusciamo a fare la rivoluzione.
    Perché non vogliamo. Preferiamo fuggire e aspettare che la faccia qualcun altro al posto nostro. (21 agosto 2005; p. 470)
  • «Per combattere il terrorismo» ora Putin nomina personalmente i governatori, ha abolito l'elezione diretta dei capi delle repubbliche. Nomina coloro di cui «si fida personalmente» (come ha annunciato in via ufficiale), non coloro di cui si fida la gente. Nell'anno seguìto alla tragedia di Beslan la legislazione elettorale – sempre e solo «per combattere il terrorismo» – è stata modificata così che alla Duma non si possono più eleggere deputati indipendenti ma solo affiliati ai partiti maggiori. Un remake sovietico. (24 agosto 2005; p. 475)
  • È evidente che Mamsurov non alzerà mai barricate contro Putin per strappargli la verità sull'attentato. Sarebbe un suicidio politico. (31 agosto 2005; p. 482)
  • Se fossimo la Spagna – dove c'è un Comitato delle madri che hanno perso i figli nell'attentato alla stazione madrilena di Atocha –, il 2 settembre avremmo formato una catena umana dalla statale per Kiev fino al Cremlino, lungo il percorso che dall'aeroporto conduce al palazzo di Putin. E saremmo rimasti lì, in silenzio, solo perché vedessero che eravamo con loro. E ci saremmo rimasti tutto il tempo necessario, fino a che quelle madri non fossero tornate a Vnukovo. Non ci sarebbe stato bisogno di parlare; sarebbe bastato che ci vedessero...
    Ma non c'è stata nessuna catena umana...
    Se fossimo l'America – dove c'è un Comitato delle madri che hanno perso i figli alle Torri Gemelle –, l'ordine dei giornalisti (unioni e sindacati della stampa) avrebbe dimostrato per tutto il 1° settembre pretendendo la diretta televisiva a reti unificate dell'incontro tra le madri e il presidente. Perché tutto il paese sapesse che cosa si erano detti. Perché tutto il paese deve sapere che cosa chiedono da una parte e che cosa promettono dall'altra.
    Ma noi non siamo l'America e non siamo la Spagna. Noi mandiamo giù l'edizione serale del TG e le notizie di NTV e poi ce ne andiamo tranquilli e sereni a dormire. Dimenticandoci delle donne in nero fino alla puntata seguente del serial «Madri di Beslan». (31 agosto 2005; p. 485)
  • Se mai faremo la rivoluzione, sarà una rivoluzione rossa. Perché i comunisti sono i più «democratici» del paese. E perché il rosso è il colore del sangue. (31 agosto 2005; p. 487)
  • Vedo tutto, io. È questo, il mio problema. Vedo le cose belle e vedo le brutte. Vedo che le persone vogliono cambiare la propria vita per il meglio ma che non sono in grado di farlo, e che per darsi un contegno continuano a mentire a se stesse per prime, concentrandosi sulle cose positive e facendo finta che le negative non esistano. (p. 489)

Se qualcuno ha la forza di godersi la previsione «ottimistica», faccia pure. È certamente la via più semplice. Ma è anche una condanna a morte per i nostri nipoti.

Per questo

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«Mattaccino», da «matto», è una vecchia parola per dire pagliaccio. Solo più precisa. Il mattaccino si presentava sulla pista del circo e doveva far ridere. Il suo compito era divertire, sempre e comunque. Perché se non riusciva a strappare qualche risata al pubblico dei suoi padroni e veniva fischiato, lo sbattevano fuori seduta stante.
Mattaccini sono quasi tutti i giornalisti russi dell'ultima generazione e i mass media odierni. Un bel circo di mattaccini e buffoni. Il loro compito è divertire il pubblico, e se proprio devono scrivere di cose serie, l'argomento è uno solo: com'è bella la «verticale del potere» in tutte le sue ipostasi.

Citazioni

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  • Ramzan Kadyrov [è] il favorito ceceno del presidente Putin, da lui nominato premier chiudendo entrambi gli occhi sul fatto che è un idiota senza cervello, senza istruzione e senza dote alcuna, al di fuori di una spiccata predisposizione al crimine e al ladrocinio. (26 ottobre 2006; p. 18)
  • Ho scritto ciò di cui sono stata testimone. E basta. Sorvolo espressamente sulle altre «gioie» della strada che mi sono scelta. Il veleno nel tè. Gli arresti. Le lettere minatorie. Le minacce via internet e le telefonate in cui mi avvertono che mi faranno fuori. Quisquilie. L'importante è avere l'opportunità di fare qualcosa di necessario. Descrivere la vita, parlare con chi ogni giorno viene a cercarmi in redazione e che non saprebbe a chi altro rivolgersi. Dalle autorità ricevono solo porte in faccia: per l'ideologia al potere le loro disgrazie non esistono, di conseguenza neanche la storia delle loro sventure può trovare spazio sulle pagine dei giornali. (26 ottobre 2006; pp. 19-20)
  • Odio i quadri che raffigurano grandi scene di guerra. Nella vita ciò che conta sono i dettagli. Sono loro la cartina di tornasole della nostra umanità. La tragedia di un singolo uomo e quella di un intero popolo dovrebbero scatenare la stessa reazione. Non è il numero a fare la differenza. (31 gennaio 2000; p. 36)
  • In Cecenia si usa così: il dolore non si nasconde, si insegna a essere coraggiosi anche quando a doverlo imparare per il resto della vita è una bambina. (31 gennaio 2000; p. 38)
  • «Perché ti preoccupi per certa gente?» mi chiedono sempre i militari quando cerco di capire chi risponderà con protesi e cure ai misfatti compiuti contro la popolazione civile. «Non sono esseri umani, sono bestie. E le bestie figliano altre bestie...» (31 gennaio 2000; p. 41)
  • Quando quest'incubo è cominciato, in settembre, nei recessi della coscienza ci restava un filo di speranza: forse avrebbero davvero catturato i terroristi evitando di usare le armi contro i civili... Non è stato così. Non è stato affatto così. È evidente, ormai: il loro unico obiettivo era il genocidio. E il genocidio di un popolo porta al genocidio di un altro popolo: è un assioma confermato dai secoli e da generazioni di occupanti e occupati. Per un impero totalitario come quello che si va costruendo sotto i nostri occhi le spedizioni punitive sono la norma, l'essenza. Oggi sulla ghigliottina ci finisce Tizio, domani Caio, dopodomani tocca alla piccola Liana. Poi verrà il nostro turno. Poco ma sicuro. (31 gennaio 2000; p. 42)
  • Se ci si trova a parlare del perché si combatte in Cecenia, la maggioranza dirà che è per il petrolio. Lo confermano anche i sondaggi. Sua maestà imperiale l'Oleodotto ceceno e le Loro Altezze imperiali i Pozzi petroliferi manovrano a proprio piacimento la vita di centinaia di migliaia di persone da una decina d'anni, ormai. Se hai un pezzo, in Cecenia hai sempre ragione. Chi ha combattuto con Dudaev ha ricevuto in dono i pozzi di Dudaev. Chi ha giurato fedeltà a Maschadov s'è visto offrire i pozzi di Maschadov. E chi combatte adesso? (31 luglio 2000; p. 44)
  • Qual è la differenza fra le torture inflitte ai soldati e ai ceceni? I soldati vengono torturati perché imparino a fare i soldati, i ceceni vengono uccisi perché un bravo ceceno è un ceceno morto. Una battuta che chiunque abbia avuto a che fare con i militari in Caucaso ha sentito ripetere. (12 marzo 2001; p. 54)
  • Il riscatto è il fondamento della guerra in corso; ormai potrebbe entrare a pieno diritto nei regolamenti militari. In una Cecenia che pretendevamo di liberare da schiavitù e sequestri, ora «pagano» tutti. Chi sta sotto a chi sta sopra. I soldati semplici agli ufficiali. I ceceni ai soldati e agli ufficiali. Questa guerra ha un ostinato retrogusto di compravendita, a qualunque livello. Se all'inizio del conflitto erano i ceceni ricchi a pagare i russi (perché «sbagliassero bersaglio» e non colpissero le loro case, per passare i posti di blocco, per raggiungere gli ospedali dopo il coprifuoco e via dicendo), col tempo il sistema ha preso piede anche negli scambi fra militari. Poteva essere altrimenti? La ruggine fa danno perché non resta in superficie, ma corrode in profondità. Oggi i soldati pagano per una maggiore indulgenza o per evitare i turni di guardia. Ma al peggio non c'è mai fine... (12 marzo 2001; p. 55)
  • Quando procura e tribunali non servono la legge e non mirano a punire i colpevoli, ma lavorano su mandato politico e per una contabilità antiterroristica che aggrada dal Cremlino, i processi spuntano come funghi. (12 ottobre 2006; p. 93)
  • Dopo ogni viaggio in Cecenia ho nuovi indirizzi a cui spedire telegrammi che dicono più o meno: «XY, sua zia (zio, sorella, madre...) è viva e si trova a Groznyj. Vive in condizioni tremende. La prego di contattare con urgenza la redazione...». La conseguenza è che ora ho una «mia» mappa della Russia, una mappa di cuori vuoti. Perché so dove abitano coloro che hanno abbandonato i propri cari alla disperazione. È una mappa scritta col sangue, con le vite di altri esseri umani, e nessuno può negarlo: molti dei vecchi che a un anno dall'attacco erano ancora vivi, poi si sono spenti senza una risposta... (3 settembre 2001; pp. 123-124)
  • Tra le montagne del Dagestan la casa è un feticcio, non averne una è la sventura più grande, e un uomo che non ha dove far vivere moglie e figli non è un uomo. (6 settembre 1999; p. 130)
  • La tragedia del Dagestan ci ha mostrato per l'ennesima volta che la gente comune è trenta volte più onesta e migliore di chi ha in mano le redini del potere... (6 settembre 1999; p. 135)
  • Nessuna organizzazione in difesa dei diritti umani della capitale (né quelle, potentissime, di assistenza ai profughi) si è data il disturbo di aiutare questi disgraziati come aveva fatto durante la guerra in Cecenia. Oggi come oggi in Dagestan si aiutano soltanto fra di loro, e le conseguenze possono essere nefaste. (6 settembre 1999; p. 135)
  • Nei sette mesi e mezzo di questa guerra la Russia è diventata un paese che se ne frega altamente delle sofferenze del prossimo, se il prossimo suddetto non appartiene all'etnia che gli sta più a cuore. Per questo la posizione dei rifiugiati – per buona parte ceceni – non solo non è migliorata, ma è persino peggiorata negli ultimi tempi. Nelle tendopoli, in fattorie tirate su per metà, in pollai e garage distrutti, nelle guardiole dei cimiteri o nelle cabine dei trasformatori, nei reparti di quelle che erano delle fabbriche o nelle cantine dell'Inguscezia e della Cecenia, ovunque ci si possa infilare per trovare scampo alle bombe, con l'arrivo della primavera non ci sono persone sane. E non ci sono nemmeno denaro, cibo e speranze. (10 aprile 2000; p. 137)
  • Come si fa a vivere se un potere bugiardo – con la convivenza di cittadini indifferenti o pusillanimi – ha deciso che devi morire? Le strade sono due. La prima è incrociare le braccia e lasciarsi andare. L'hanno scelta in molti, e per tutto l'inverno e tutta la primavera la gente è morta, nei campi profughi. La seconda è tirare avanti nonostante tutto e tutti, nei modi più impensabili. (10 aprile 2000; p. 141)
  • Ogni epoca ha i suoi cosiddetti nei. Quello di Brežnev era il cinismo. Con El'tsin sono stati lo scaricabarile e un piglia piglia diffuso. Quella di Putin è un'epoca di vigliacchi. (13 settembre 2004; p. 156)
  • In questi due anni di governo Zjazikov i servizi segreti si sono scatenati, infischiandosene della Costituzione; l'FSB e gli squadroni della morte continuano a sequestrare le persone, spingono i giovani sulle montagne e fanno sì che il numero degli attentati terroristici cresca vertiginosamente. E cosa fa Zjiazikov? Questo fantoccio a capo della commissione antiterrorismo inguscia? Continua a sedere sulla sua poltrona, da bravo – imperturbabile – uomo del KGB. (13 settembre 2004; pp. 156-157)
  • La notte in cui decine di suoi connazionali sono morti, Zjazikov è rimasto rintanato in una cantina in attesa dell'epilogo, salvando così la propria altopapaveresca vita. Non si discute: un presidente è persona importante e preziosa. Ma non più di chiunque altro... (13 settembre 2004; p. 157)
  • Belve feroci rivestono di mine dei bambini e pretendono che la guerra in Cecenia abbia fine. Zjazikov, Alchanov e Kadyrov – i responsabili dell'attività antiterroristica sul territorio, coloro che avevano garantito a Putin: «no pasaran» – avrebbero dovuto essere dentro la scuola dal 1° settembre (così come Maschadov, nel cui nome quelle belve agivano) a fare di tutto per convincere le belve che avevano allevato a rilasciare i bambini (senza sconti alla propria incolumità), per poi – solo poi – capire chi aveva ragione e chi torto.
    E invece? Nessuno di loro – Zjazikov, Alchanov, Kadyrov, Maschadov – si è fatto vedere. Hanno avuto paura, hanno stimato che la loro vita valesse più di quella di centinaia di bambini. Nella mia mente banditi e vigliacchi si equivalgono. Per ciò a cui hanno portato le azioni degli uni e degli altri. (13 settembre 2004; pp. 157-158)
  • Nonostante buona parte dei ceceni non lo rispetti, è necessario trattare con Maschadov. È imprescendibile. Perché? Per dargli modo di scusarsi con il suo popolo e di scegliere se andarsene o rispondere di fronte alla legge dell'accaduto. Ed è importante non tanto per Maschadov, ma per coloro che – a suo tempo – lo hanno eletto. Per molti sarà una specie di punto di partenza di un reale processo politico verso la normalizzazione. (13 settembre 2004; p. 161)
  • Oggi come oggi Aslan Maschadov è un uomo virtuale. C'è e non c'è. La società non lo vede e non lo sente da un pezzo. Perciò quando il presidente dell'Ičkerija indipendente si mostra e dice qualcosa, la maggioranza non gradisce. [...] Oggi è un vecchio ufficiale stanco, stremato e costretto alle corde, che molto capisce ma poco può fare. È tagliato fuori da una piena informazione sui fatti e le sue deduzioni sono approssimative. Cerca di mantenere un ruolo nella storia del suo popolo ma – tragicamente – non sa come fare. È in fuga. Da se stesso. (28 maggio 2001; p. 164)
  • Dato che nessuno sa dove sia la tomba di Dudaev e nessuno l'ha mai visto cadavere, a tutt'oggi in Cecenia trovi chi ti dice che Džochar Dudaev è vivo e tornerà «al momento opportuno», o che è vivo ma ha tolto il disturbo d'accordo con le forze speciali, oppure che è morto, ma non per colpa del famoso razzo... (13 luglio 2006; p. 195)
  • Una delle componenti essenziali della politica russa nel Caucaso è la vendetta di sangue. Un uso che è ben lungi dall'essere dimenticato nella società cecena e che a tutt'oggi ha un ruolo stabilizzante. Non tutti i criminali sono anche assassini, ma chi è colpevole di una morte che non gli è stata perdonata ha i giorni contati. L'unica via di scampo è la fuga. Nei periodi in cui lo Stato era più debole, costoro si riunivano in bande e premevano sui propri persecutori da una posizione di forza. (28 settembre 2006; p. 198)
  • Viene da pensare che la vera sostanza della cecenizzazione sia questa, che sin dall'inizio si volessero mettere i ceceni gli uni contro gli altri per evitare che le faide interne si sopissero, per esasperarle al limite della guerra civile. E se la via politica è questa, la scelta migliore è affidarsi a coloro che, una volta commesso un crimine, sono in grado di reiterarlo senza problemi. Nulla viene fatto per fermare le faide, che possono durare anni, decenni, e che legano questa gente al potere centrale più di qualunque ideologia condivisa. (28 settembre 2006; p. 200)
  • La cecenizzazione non è un passaggio di poteri alla popolazione locale, ma la promozione, la legittimazione di chi è disposto a partecipare a spedizioni punitive contro i propri compatrioti. La cecenizzazione mira a prolungare ed estendere la guerra. Il risultato di questo tipo di politica è che l'originario genocidio della popolazione indigena per mano russa è rimpiazzato, oggi dal regime di terrore instaurato dalle bande criminali (o paracriminali) che godono dell'appoggio di Mosca e obbediscono alle sue direttive. (28 settembre 2006; p. 201)
  • [Su Achmat Kadyrov] Non esce mai. Né serve a nulla fargli domande di carattere economico. Non sa rispondere nemmeno alle più elementari, tipo quante imprese ci sono in Cecenia e quante di esse sono ancora funzionanti. La politica di Kadyrov è fatta di grida, di odio per Maschadov, di voglia di dimostrargli che è più bravo di lui e chi gli ha portato via i migliori comandanti. E della fatale assenza di idee su quello che più conta: come riportare a una vita pacifica la sua repubblica. (24 luglio 2000; p. 215)
  • [Sui Kadyrovcy] Da principio le cose sembravano partite bene, dato che gli uomini incaricati di salvaguardare l'incolumità di Kadyrov erano stati scelti soprattutto fra i suoi parenti. Ma poi tutto è cambiato, degenerando in una miscela esplosiva fra la guardia zarista e l'NKVD-KGB sovietico... Dio solo sa che cosa ne è uscito. (16 settembre 2002; p. 218)
  • Com'è noto, una delle tragedie peggiori di quei luoghi è che la gente sparisce. In massa. A oggi gli scomparsi sono quasi tremila; nessuno è in grado di stabilirne il numero preciso... Sono i parenti a cercare i propri cari sopra e sotto terra, a chiedere notizie agli «amici» (i ceceni) e ai «nemici» (russi)... Quando la guerra finirà – e lo dico senza esitazioni – se vorrete dei bravi detective cercateli fra i parenti dei rapiti. (16 settembre 2002; p. 218)
  • Mi è capitato più volte di parlare della banda di Kadyrov con i funzionari della procura cecena. Erano perfettamente al corrente dei fatti e, com'è ovvio, avevano provato a contrastare un tale arbitrio. Quegli stessi funzionari, tuttavia, mi hanno confermato che la guardia del presidente può agire come fa solo perché in sostanza, dati i suoi intrallazzi con le autorità russe, Kadyrov è al di là della legge. (16 settembre 2002; p. 221)
  • L'ex muftì smania per essere eletto «a suffragio universale»: costi quel che costi, vuole essere come Maschadov, pretende la sua stessa legittimità d'azione. Perché al momento Kadyrov è, sì, a capo della Cecenia, ma esclusivamente per nomina putiniana. Ha poco potere, Kadyrov, mentre lo vorrebbe tutto, e tutto per sé. Una follia sfrenata che non lascia spazio al buonsenso. (23 settembre 2002; pp. 222-223)
  • Agli uomini di Kadyrov tutto è permesso, anche di violare consuetudini e tradizioni. Vivono come se ogni giorno fosse l'ultimo. Disprezzando le leggi, scritte e non scritte. Se Ramzan vuole un pezzo di terra a Gudermes per piazzarci, mettiamo, una pompa di benzina, se la prende e basta... Senza nemmeno farlo presente – per continuare l'esempio – al ministero dell'Istruzione, legittimo proprietario dell'istituto magistrale che c'è sopra... E al momento Gudermes non ha più un istituto magistrale, ma ha il distributore di benzina di Ramzan: «Leader», si chiama... In questo caso c'entrano gli affari, i soldi... Ma col sangue, coi fiumi di sangue che colano dalle mani degli uomini di Kadyrov, funziona allo stesso modo. (16 giugno 2003; p. 233)
  • In Cecenia lo sanno tutti: se ti vuoi vendicare, fatti assumere da Ramzan. Ti arruolano, ti mettono in mano un'arma e benedicono la tua vendetta: è questo il loro mestiere. Perché lo fanno? Per rafforzare il proprio potere: quando non hai autorità, l'unico cemento in grado di tenere insieme il piedistallo del trono sono sangue e paura... (16 giugno 2003; p. 234)
  • Perché la criminalità – feccia priva di confini nazionali – si sente tanto a proprio agio in Cecenia e fuori? Non sarà perché fa affidamento sulle nostre – radicatissime – baruffe interetniche, su fortissimi umori anticaucasici a Mosca e (per converso) antirussi nel Caucaso che logorano il cuore di milioni di persone? Perché è la furia razzista a far chiudere gli occhi a buona parte di noi, è l'odio a tapparci le orecchie... (25 ottobre 1999; p. 265)
  • Il ventesimo secolo sovietico irrompe a passo deciso nel ventunesimo secolo russo. Addio signore e signori – è durata poco. Bentornati compagni. (5 febbraio 2001; p. 274)
  • Nel nostro paese i casi di cosiddetto «terrorismo internazionale» si sfornano come ciambelle: più sono, meglio è, è questo il principio, e chi se ne importa se alla fine dei conti non si capisce chi ha ragione a chi ha torto... (8 settembre 2005; p. 275)
  • Due anni e mezzo fa l'espressione «palestinizzazione del conflitto ceceno» – coniata dal nostro giornale – aveva suscitato violente reazioni di protesta anche fra chi, in Russia, era ancora in grado di pensare con la propria testa.
    Oggi la palestinizzazione è compiuta. Ci manca ancora un Arafat. E Basaev non aspira a diventarlo. Ma forse siamo noi a non sapere che già esiste: siamo abituati a rifiutare ciò che, molto più semplicemente, non vogliamo sapere... (20 ottobre 2005; p. 341)
  • Le possibilità sono due. Due sole.
    La prima. Renderci finalmente conto che la violenza esasperata, il sangue, le vittime, i rapiti e gli umiliati non fanno che aumentare il numero di coloro che vorranno vendetta a ogni costo. E che per vendicarsi saranno disposti a morire.
    E poiché sarà una guerra che non si combatterà sul campo di battaglia, ma accanto a noi, e di cui noi – io e voi – saremo parte integrante nonostante non ci abbiamo nulla a che spartire, dobbiamo essere pronti a un nuovo Nord-Ost, dobbiamo abituarci a non sentirci al sicuro da nessuna parte, per strada come a casa nostra. Perché chi viene messo alle corde troverà metodi sempre più astuti per vendicarsi.
    La seconda. Difficile, complessa, ma con qualche speranza di miglioramento: è tempo di parlare con chi è appeso all'ultimo filo del suo potere, ossia con Maschadov. Altrimenti le uniche trattative a cui siamo condannati sono quelle à la «Nord-Ost», dettate dalla disperazione. In cui la posta in gioco è la vita di persone innocenti. (28 ottobre 2002; pp. 373-374)
  • Nel paese (il nostro) del capitalismo trionfante tutto si paga. Secondo le norme vigenti, un militare in cura in un ospedale non militare deve pagare ogni giorno di ricovero a prezzo pieno. Un soldato non ha diritti, dunque. Non è un cittadino come gli altri. (30 gennaio 2006; p. 432)
  • Oggi come oggi il problema principale delle organizzazioni che in Russia difendono i diritti umani non è di ricevere sovvenzioni da elementi sgraditi al Cremlino, e non è nemmeno la legge sulle onlus che pretende una contabilità precisissima e mira al controllo della società civile. Il problema vero è che solo un cinque-dieci per cento della popolazione è in grado di battersi per i propri diritti.
    Me ne accorgo continuamente. C'è gente che si presenta in redazione (o scrive) e ci spiega di avere pensato che esagerassimo, con le nostre storie. Per questo non avevano mai manifestato. Leggevano e basta. Poi, però, era capitato a loro, avevano finalmente capito e adeso avevano BISOGNO D'AIUTO.
    Il nostro è il regno dell'eccezione: di una società eccezionalmente meschina. Del vuoto assoluto, purché non ci tocchino il portafogli. Per questo i vertici possono agire indisturbati. Non ce l'abbiamo, noi, un re che si cuce una stella di David sul petto per solidarietà con i suoi sudditi. E non abbiamo nemmeno le migliaia di sudditi che si ribellano grazie al suo gesto. (4 maggio 2006; p. 457)
  • Una politica che umilia e distrugge prospera solo se alimentata dal menefreghismo. (4 maggio 2006; p. 458)
  • Alziamo la voce solo quando siamo noi a stare male, per questo la macchina dello Stato ci chiede sempre e solo rassegnazione e ubbidienza. E nella stragrande maggioranza dei casi le ottiene. (27 febbraio 2006; p. 480)
  • Le madri di figli gravemente malati sono una categoria a parte dei nostri compatrioti. Di norma non lavorano, non possono. E hanno già venduto tutto ciò che possedevano. La loro vita dipende solo da Sua Maestà l'«elenco»: l'elenco dei medicinali gratuiti che spettano agli invalidi. Che cambia periodicamente: ogni tanto ne depennano uno. E loro, le madri, sono sempre sul ci va là, in attesa di una tragedia incombente. Perché in caso di cancellazione dalla lista dovranno trovare i soldi per comprare i medicinali a mezzo prezzo... (31 luglio 2006; p. 483)
  • Da noi funziona così. Da una parte ci sono progetti nazionali strabilianti, dall'altra la realtà della nostra sanità pubblica, dove puoi sperare di sopravvivere solo se hai dei parenti o – soprattutto – una madre. Altrimenti sei spacciato. Eppure non siamo cattiva gente, siamo anche capaci di cedere la nostra camicia al prossima. Ma non sempre.
    Perciò se ti capita un qualche guaio serio, è meglio crepare. (31 luglio 2006; p. 485)
  • L'Europa non desidera battersi contro la guerra in Cecenia e ha un suo doppio metro nell'intendere i diritti umani. Uno – distillato, bello, decoroso, civile e comprensibile – è per se stessa. L'altro – non troppo pulito e non troppo distillato – per la Russia, dove la democrazia ha solo un decennio di vita. Per la Cecenia, poi, l'enclave in rivolta, c'è il vuoto, il metro scompare del tutto. Di fatto l'Europa si è rassegnata all'esistenza di un territorio in cui si può fare ciò che si vuole impunemente. E la guerra che vi si combatte non sembra toccare gli europei. Niente proteste, niente boicottaggi nei confronti dei leader russi e – inconcepibile riguardo al resto d'Europa – tolleranza per omicidi, linciaggi, persecuzioni e, soprattutto, per la sanzione della responsabilità collettiva di un gruppo etnico rispetto a quanto compiuto da alcuni suoi membri... (16 agosto 2001; pp. 493-494)
  • Un singolo individuo con qualche problema mentale aveva deciso che il suo popolo era forte e altri un po' meno, per non parlare di altri ancora che, invece, meritavano di essere sterminati... Non è la stessa cosa, direte voi. Perché ogni tanto il Cremlino concede onorificenze e medaglie anche ai ceceni e ne ammette qualcuno in posti di spicco...
    Lo faceva anche Hitler. Era una cortina di fumo per l'Europa. Anche Hitler aveva «ebrei buoni» e «zingari onesti», e persino qualche «slavo civilizzato»... Per non dare troppi pensieri all'Europa, per non spaventarla troppo, e l'Europa l'ha bevuta... E chi ha rimesso molte vite di uomini, donne e bambini caduti per mano dei «grandi di questo mondo»... (16 agosto 2001; p. 494)
  • L'alma mater politica di Jospin è il trockismo estremo. Per quasi vent'anni della sua età matura (dai trenta ai cinquanta) ha fatto parte di una setta politica trockista clandestina che aveva per capisaldi: rivoluzione permanente, uguaglianza per tutti, togliere ai ricchi per dare ai poveri. Oggi, in piena campagna elettorale, Jospin cerca in ogni modo di prendere le distanze da quegli anni, e quando gli chiedono del suo passato mente, dice che è una falsità, che il nome sulla lista è di suo fratello... (15 aprile 2002; p. 502)
  • Se esistesse un Guinness dei primati per esperti di demagogia, il record assoluto spetterebbe sicuramente a Jospin. (15 aprile 2002; p. 504)
 
Mikheil Saak'ashvili
  • Saakašvili è un bravo ragazzo. Per di più è anche bello ed è il pupillo dei giornalisti di mezzo mondo. E Putin ha fatto sparire da un pezzo tutti i belli, bravi e simpatici-ai-giornalisti. (p. 510)
  • La Georgia di Saakašvili è l'anti-Bisanzio. L'anti-burocrazia. L'anti-gerarchia. L'anti-colonia che nega l'esistenza della metropoli. Mentre il Cremlino è l'esatto contrario. Una Bisanzio neosovietica. Ultragerarchizzata. Con nostalgie imperialiste che veleggiano molto concretamente verso la sottomissione e l'annessione delle colonie (l'ultimo esempio: un regalo da ottocento milioni di dollari in tasse a Ucraina e Bielorussia per ringraziarle della «collaborazione»). Una politica fatta di provocazioni. (p. 511)
  • [Su Mikheil Saak'ashvili] Mi è parso innamorato del suo popolo. Mi ha parlato della recente morte dei sedici militari georgiani come di una catastrofe. [...] Sono uscita sbalordita... Sbalordita dal contrasto: da noi possono morire sedicimila senza che nulla induca il presidente a mettere in salvo gli altri... E non è una questione di proporzioni: la colpa non è dei milioni di russi, ma dei milligrammi di coscienza di chi ci governa. E l'amore di Saakašvili per la sua gente è anche il problema principale di Putin, che si è messo in testa di ricostruire l'impero e non si cura di quante vite potrà costargli. Perché se mira all'impero, le colonie devono abbassare la cresta. E chi non è con noi è contro di noi... È questo il motivo – irrazionale – del pugno di ferro che il Cremlino usa con Tbilisi. (20 settembre 2004; p. 513)
  • [Sull'Ossezia del Sud e l'Abcasia] Che se ne fa, il Cremlino, di questi «buchi neri»? Gli servono per uso interno, prima di tutto. Per scaricare senza grossi problemi il denaro sporco, per i piani più loschi. Perché in Russia ci si batte solo a parole affinché la legge trionfi. La realtà è fatta di una politica di sostegno a territori che possono essere utilizzati in qualunque momento come luogo dove riversare – o pompare – ingenti somme di denaro sporco. Zone per operazioni e incarichi segreti dove non c'è bisogno di rendere conto a nessuno o di fermare chissà quali scartoffie. (20 settembre 2004; p. 514)
  • La politica russa è, come sempre, una politica di fondi neri. Senza i quali nulla si crea e nulla si distrugge. Il denaro sporco è il principio secondo il quale si formano tutti i rami del nostro sistema di potere. Che per sopravvivere non ha bisogno di ordine e di norme ben delineate, ma di un caos fomentato artificialmente. (20 settembre 2004; p. 514)
  • Il gioco dei nostri leader russi esige che il presidente filo-occidentale Saakašvili, che guarda agli Stati Uniti e risponde a furia di «fuck you» alle velleità imperialiste della Russia, venga severamente punito a suon di bombe. La conseguenza è che noi russi perdiamo un buon vicino, la Georgia. Giorno dopo giorno, ora dopo ora. Mentre ci interesserebbe mantenere rapporti cordiali. (20 settembre 2004; p. 515)

Un ultimo appunto. Sull'amore. Nel ventunesimo secolo le persone intelligenti non costringono i propri concittadini a un bagno di sangue. È quando non si vuole bene alla propria gente che cominciano le disgrazie.
Peccato che, come sempre, il potere sia in mano ai mediocri, mediocri cronici.

20 settembre 2004

Proibito parlare

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5 febbraio 2004


Esattamente quattro anni fa, il 5 febbraio del 2000, alla vigilia del primo mandato del presidente Putin, nel villaggio ceceno di Novye Aldy è avvenuta un'esecuzione di massa: in poche ore, i soldati federali appartenenti al ministero della Difesa e a quello degli Affari interni hanno barbaramente ucciso cinquantacinque persone. Civili pacifici, per lo più anziani. Questa carneficina è stata la pagina più tragica della seconda guerra cecena. Eppure, nessuno ha pagato per quel che è successo. L'inchiesta, alla cui apertura si è giunti a stento, è stata messa a tacere. Gli assassini sono ancora in libertà. I testimoni rimasti vivi per miracolo e le famiglie delle vittime sono oggetto di intimidazioni e soprusi. La società civile tace.

Citazioni

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  • I federali di solito non consegnano i corpi; i kadyrovcy, invece, conoscendo le rigide regole cecene secondo le quali la colpa degli assassini si moltiplica se non si riconsegna almeno il corpo, cercano di lasciare i cadaveri "in luoghi visibili". Così le famiglie si convincono che se hanno gettato il loro caro da qualche parte, si tratta di kadyrovcy. È questo il nuovo tipo di sequestro "alla cecena". (16 febbraio 2004; p. 19)
  • Uno degli stereotipi più tenaci della seconda guerra cecena è che i profughi siano dei nemici. Non persone costrette ad abitare nelle tende invece che al caldo nelle proprie case bombardate. Non individui privati dei propri diritti. Non colpevoli senza colpa.
    Semplicemente nemici, che devono essere annientati. Come parte degli uomini di Maschadov e gli altri complici del "terrorismo internazionale", contro il quale Putin ha lottato, lotta e continuerà a lottare per i prossimi quattro anni. A sentire i militari e i funzionari, i profughi si ostinerebbero a non voler tornare in Cecenia soltanto per poter continuare a manifestare lo scontento nei confronti della politica di Putin davanti ai giornalisti e alle organizzazioni straniere per i diritti umani, che hanno meno difficoltà a entrare in Inguscezia che nella zona proibita cecena.
    Così è nata l'ideologia sul problema profughi, che ora ha raggiunto la sua apoteosi: sconfiggerli a ogni costo. Nessuna trattativa o comprensione. Basta tagliare acqua e gas, e rimandarli là dove ci sono guerra e rastrellamenti. Non vi siete sottomessi, prendetevela con voi stessi. Non si fanno complimenti con il nemico. (16 febbraio 2004; p. 31)
  • Il carro della repressione avanza veloce sulla nostra terra. Da un lato spazza via tutto ciò che incontra sul proprio cammino, dall'altro crea opposizione. Come per dispetto. Ma contro chi? Solamente contro i profughi? Contro tutti noi. Nella storia i bambini delle riserve non hanno mai perdonato la loro infanzia umiliante ai bambini vissuti nel tepore di una casa. (16 febbraio 2004; pp. 31-32)
  • Una volta restituito ai parenti il corpo di Timur, è venuto fuori che i segni di un'acuta insufficienza cardiaca in realtà erano: ossa di gambe e braccia rotte, ferite di coltello su tutto il corpo, numerose bruciature di sigaretta sulla pelle, segni di numerosi morsi di cani, dita di mani e piedi schiacciate e tumefatte, unghie strappate, orecchie forate in più punti, un buco nel fegato, ossa temporali frantumate, zona inguinale violacea, la parte bassa della schiena nera per le percosse... [...] Aminat ha richiesto una perizia medica. Gliel'hanno negata, rifilandole in cambio i risultati della perizia ufficiale del medico legale, secondo la quale la morte era avvenuta per arresto cardiaco e sul corpo non c'era "nemmeno un graffio". (5 luglio 2004; pp. 56-57)
  • Una linea politica umiliante e spietata, dura a morire, trova terreno fertile solo fra le fila ben nutrite dei menefreghisti. (4 maggio 2006; p. 108)
  • Non si può negare che Kadyrov figlio abbia talento: ha imparato subito dai suoi compagni di Mosca, presidente della Federazione Russa compreso. Quel che conta non è fare qualcosa, ma dire che l'hai fatto: ecco la lezione più importante che gli hanno insegnato. (5 giugno 2006; p. 110)
  • Non c'è nulla di peggio del destino di un mezzosangue in tempo di guerra, soprattutto se il tuo sangue appartiene a entrambe le fazioni che si contrappongono. Per sopravvivere devi dimostrare qualcosa in più. (17 agosto 2006; pp. 125-126)
  • Il mondo teme una reazione nucleare incontrollata, io temo l'odio. Si accumula sempre di più ed è fuori controllo. Il mondo, per lo meno, ha escogitato su quali leve giocare per avere la meglio sui capi dell'Irak e della Corea del Nord, ma nessuno potrà mai scoprire i percorsi della vendetta personale. Davanti a questo il mondo è del tutto indifeso. (11 settembre 2006; p. 131)
  • Ogni violenza porta a conseguenze pesantissime. Chi è veramente colpevole ha sempre la possibilità di riscattarsi denunciando di essere stato sottoposto a un giudizio parziale e non ci sarà modo di farlo stare al suo posto... Chi è condannato ingiustamente, invece, impazzisce. (11 settembre 2006; p. 135)
  • [Sulla crisi del teatro Dubrovka] Gli ultimi giorni sono passati nel delirio più completo. Mosca seppellisce gli ostaggi. Oggi, ieri, domani. È insopportabile... I defunti hanno volti tranquilli, per nulla deformati dalla morte, come se fossero addormentati; in effetti li hanno addormentati: la nostra nazione ha soltanto calcolato male la dose... (4 novembre 2002; p. 141)
  • [Sulla crisi del teatro Dubrovka] Non mi è assolutamente piaciuto il comportamento tenuto dalla maggior parte dei ceceni importanti in quelle cinquantasette ore, quando tutto era appeso a un filo, l'intero Dubrovka poteva saltare per aria da un momeno all'altro, e una loro parola agli uomini guidati da Baraev il giovane poteva avere un peso maggiore che quella di chiunque altro. Io, almeno, ne ero convinta. Ma quelle parole non sono arrivate. Non è successo nulla. Hanno deluso le aspettative. E ora questo appartiene alla storia. (4 novembre 2002; p. 145)
  • [Sulla crisi del teatro Dubrovka] I terroristi avevano invitato Kadyrov – tra tutti i possibili negoziatori proprio lui, il capo della Cecenia, il prescelto di Putin – e in cambio avrebbero ridato la libertà a cinquanta ostaggi. Ma Kadyrov non ci è andato, spiegando in seguito che non lo «avevano avvertito»... (4 novembre 2002; p. 146)
  • Ormai sono rimasti in pochi a dubitare che il paese sia cambiato dopo l'attentato terroristico del 23 ottobre scorso a Mosca. Sono diversi l'ideologia, lo spirito e i nostri umori. Molti ex putiniani convinti hanno cominciato a chiedersi: ma avrà senso la politica di terra bruciata che il presidente porta avanti nel Caucaso? Una parte dell'opinione pubblica, invece, ha radicalizzato le proprie posizioni antimusulmane. (13 febbraio 2003; p. 162)
  • Dall'inizio della guerra molti uomini in Cecenia si sono sentiti delle nullità. Erano oggetto di umiliazioni, offese, vessazioni e, cosa ancor più importante, si riconoscevano incapaci di cambiare il corso delle cose. Erano le donne ad andare ai posti di blocco, al mercato, ai cancelli delle postazioni militari; loro a recarsi a riprendere gli uomini arrestati illegalmente, a nasconderli con il proprio corpo sugli autobus... La maggior parte degli uomini, invece, rimaneva a casa perché bastava aprissero bocca e li portavano via. Di conseguenza restavano loro solo due soluzioni: impugnare le armi in montagna, e così realizzarsi, anche se per l'ultima volta, o seppellirsi tra quattro mura, tra la cucina e una baracca, maledicendo la propria debolezza e aspettando il prossimo "rastrellamento", senza mai spogliarsi, neanche di notte. (13 febbraio 2003; p. 168)
  • La Russia è un paese di gente particolare: siamo temprati come nessuno nella lotta contro un potere che ci calpesta di continuo. Ma ogni tanto, quando le forze per lottare si esauriscono, il potere ne approfitta e ti divora. (11 agosto 2003; p. 173)
  • In molti certificati di morte non sono indicati né il luogo né l'ora del decesso, e neppure se abbiano ricevuto soccorso medico. Inoltre, spesso le cause del decesso riportate ufficialmente sono al limite dell'inverosimile. Come si può credere che alcuni ostaggi siano morti per l'aggravarsi di malattie croniche preesistenti, quando le famiglie sostengono che non ne fossero per niente affetti?
    Il gas, quel maledetto gas segreto: è questa la causa per cui l'inchiesta (di competenza della procura della città di Mosca) continua a farfugliare risposte senza senso e a non fornire nulla di preciso. L'indagine per tutti questi tre anni si è "seduta" sul segreto del gas e come su un baule con le valchirie e con devozione ha protetto questo strumento militare da chiunque.
    Naturalmente, in tre anni d'indagini il gas non è mai stato identificato ufficialmente. L'attività investigativa aveva tutt'altro obiettivo: giustificare tutte le azioni delle forze speciali e della struttura governativa. (24 ottobre 2005; p. 193)
  • Una macchina statale che crea per i propri cittadini scenari così terribili non è degna di alcun rispetto: prima il Nord-Ost, poi Beslan. Dunque, cosa ci avete preparato per oggi? Un momento, non è giusto scaricare ogni responsabilità sullo Stato! Non hanno forse permesso le riesumazioni? Lasciate che riparino almeno nei confronti di quelli a cui sta andando peggio. Siamo bravi a mettere le famiglie di quelli già seppelliti contro quelle dei non seppelliti, ma a chiedere spiegazioni davanti a Putin e a Dzasochov non ci va nessuno. Quanto tempo lasceremo ancora passare prima di pretendere la verità? E fino ad allora? (23 settembre 2004; pp. 233-234)
  • Quando le madri dei bambini uccisi si rivoltano contro gli insegnanti sopravvissuti, è impossibile prendere le parti di qualcuno, perché nessuno può essere riconosciuto innocente o colpevole. L'unica cosa che si può constatare è che a Beslan l'istruzione è caduta in un profondissimo abisso. Una gola di Karmadon senza valanga. I genitori delle vittime se la prendono con gli insegnanti per non aver vigilato al loro posto, ma in realtà confondono l'odio con il proprio senso di colpa per non aver saputo proteggere i figli. Gli insegnanti accusano i genitori rimasti fuori dalla palestra di non aver fatto tutto quello che potevano per salvare chi era dentro.
    E i terroristi?
    Molto strano, ma di loro si parla pochissimo. Ovviamente li si maledice, ma sempre meno di quanto non si faccia con gli insegnanti sopravvissuti. Anche la polizia viene lasciata in pace, benché l'attacco terroristico sia stato una provocazione nei suoi confronti: la scuola n. 1 è vicinissima al distretto di polizia, a piedi distano un minuto. E Dzasochov? Anche di lui si parla poco. E Putin? Non se ne parla proprio. (9 dicembre 2004; pp. 239-240)
  • Ovvio, da noi il potere è meschino. Cosa dovevamo aspettarci, quando si ha come forza motrice la guerra e il terrorismo, e non la pace e la tranquillità? Questo è quanto accaduto sullo sfondo di Beslan, e lo squallore è stato visto anche da coloro che prima erano ciechi. Pur di autopreservarsi, il potere si è spinto oltre: si è impegnato a sostituire le tesi, a rimescolare le carte. E così lo squallore si è trasformato in vigliaccheria: colpiscono chi ha sofferto usando quanti hanno provato lo stesso tormento. E, aizzando gli uni contro gli altri, fanno uscire dal gioco le domande sulla vera identità dei colpevoli. (9 dicembre 2004; pp. 242-243)
  • Dal punto di vista giuridico il problema degli anziani russi profughi dalla Cecenia sta in questi termini: per legge sono "sfollati interni", uno status che da noi vale soltanto per cinque anni, ma che consente di girare liberamente per Mosca e farsi curare gratuitamente. Una parte delle vecchiette lo ha ottenuto per qualche tempo lottando contro il Servizio migrazioni, che in questi dieci anni si è riorganizzato alcune volte. Ma un'altra parte non ne ha mai beneficiato: i funzionari di quell'ufficio si ostinano a non concederlo nonostante si parli di colpevoli senza colpa.
    Ed ecco che, passati i cinque anni, le persone con lo status di "sfollati interni" si ritrovano allo stesso livello di quelle che vivevano nell'assoluta illegalità, il tutto con il benestare del Servizio migrazioni. Il problema è che cinque anni sono, per legge, il periodo entro il quale lo Stato dovrebbe adempiere ai propri obblighi nei confronti dei cittadini rimasti privi di tutto proprio per sua responsabilità. In questi cinque anni lo Stato, dunque, ha il dovere di riorganizzare i suoi "sfollati interni" fornendo loro una casa, un sussidio, un assicurazione. Deve far sì che i cittadini danneggiati ottengano, in cambio di ciò che hanno irrimediabilmente perduto, una base dalla quale ricominciare a vivere.
    Il nostro Stato, invece, ha ingannato i suoi "sfollati interni" arrivati dalla Cecenia. Il Servizio migrazioni, infatti, ha lasciato passare cinque anni senza dar loro niente, e ora declina ogni responsabilità: ai profughi, in fondo, è stato concesso tutto il tempo necessario perché trovassero da soli il modo di rifarsi una vita...
    Chi lo mette in discussione? La regola dei cinque anni è accettabile per i giovani e per le persone di mezza età che possono lavorare e farcela da soli. Ma come si fa a settanta o ottant'anni? Come fanno gli invalidi? Loro come possono organizzarsi autonomamente?... (11 ottobre 2004; p. 262)
  • Urlare alle manifestazioni è diventato, in pratica, un inutile passatempo, un incontro fra amici: ti ascolta soltanto chi la pensa come te, e ne sa già abbastanza. A che scopo, dunque, insistere sull'argomento?... Partecipare ai picchetti non ha senso, serve solo a scaricarsi la coscienza: "Io vigilavo mentre gli altri si deprimevano in cucina". E scrivere libri perché si è finiti in carcere ingiustamente non apre nessuna prospettiva: tanto non verranno mai pubblicati in patria, e a leggerli saranno soltanto li stranieri, cui servirebbero ulteriori spiegazioni.
    Così, nel 2005, in Russia, lo sciopero della fame è diventato un buon espediente per dichiarare ad alta voce cosa una pensa su un certo argomento, le ragioni della sua protesta. Inoltre, è un metodo universale praticabile da chiunque mangi. E oltretutto, molto comodo: non serve autorizzazione da parte degli organi di potere; la legge sulle manifestazioni e sui presidi non lo richiede.
    Ed è la cosa più giusta da fare, anche per un altro motivo: in quest'atmosfera di esibizionismo generalizzato, da noi tutti si sospettano l'un l'altro. Ma non c'è esibizionismo in uno sciopera della fame: a spingere è la disperazione. Farlo per mettersi in mostra sarebbe stupido quasi come organizzare un attentato per togliersi la vita. (25 agosto 2005; p. 274)

Gli immigranti ucraini vengono in Russia per trovare lavoro, mentre a valorizzare l'Ucraina ci pensano i dissidenti politici russi.

Attribuite

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  • Io non lotto per nessuna causa, sono solo una giornalista. E il compito del giornalista è semplicemente di informare su quello che succede.[fonte 3]
  • L'unico dovere di un giornalista è scrivere quello che vede.[fonte 4]

Citazioni su Anna Politkovskaja

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  • A prima vista ho capito subito la sua determinazione, agiva come se non volesse perdere tempo. Da anni era la testimone più onesta e credibile sul fronte della guerra cecena. Non schierata politicamente, denunciava allo stesso modo i soprusi dei soldati russi e le violenze dei guerriglieri ceceni che continuano a fornire alibi alla repressione, attenta soprattutto a difendere la dignità dell’uomo e il rispetto per la vita. (Giorgio Fornoni)
  • Abbiamo dei sospetti, questo sì, largamente condivisi in tutto l'Occidente: sospetti di trame delle polizie segrete in un paese dove la maggioranza dei settanta-ottanta uomini più potenti della Russia d'oggi si sono formati nelle scuole del Kgb. E i quali, a differenza del personale politico nelle democrazie, hanno studiato lungamente come ordinare – e insieme mantenerla nel mistero – l'eliminazione fisica d'un avversario. Ma, vale la pena ripeterlo, certezze non ne abbiamo. (Sandro Viola)
  • Anna era una militante e partigiana almeno quanto era una giornalista, su questo non v'è dubbio, e non ne ha mai fatto mistero. La sua passione ha reso il suo lavoro ancor più prezioso e indimenticabile. (Garri Kasparov)
  • Anna ha lavorato durante la seconda guerra cecena e dopo, facendo 150 trasferte in pochi anni. Riceveva informazioni e le verificava; aveva intrapreso questo cammino pericoloso assieme a Natalia Estemirova, fonte di informazione per lei, guida e amica. Erano molto intime e dal punto di vista umano erano due personalità molto serie e inflessibili. Purtroppo in entrambi i casi abbiamo agito troppo tardi. (Dmitrij Muratov)
  • Anna ricorda l'omicidio Matteotti. [...] Ma almeno il duce non sequestrò i documenti privati di Matteotti. (Beppe Grillo)
  • Ci sono voluti quasi tutti questi dieci anni per arrivare a condannare l’esecutore, un ceceno, i suoi due fratelli, i complici, l’organizzatore. Niente invece sui veri mandanti dell’omicidio. Addirittura in un primo momento si cercò di accreditare l’idea che a volere Anna morta fosse stato Boris Berezovskij, l’ex magnate che aveva rotto con il presidente Vladimir Putin e che era scappato in Gran Bretagna. Per mettere in imbarazzo Vladimir Vladimirovich, si disse: l’uccisione avvenne proprio nel giorno del compleanno del presidente. Ma quello di Anna, in realtà, fu l’assassinio politico che aprì una stagione drammatica per la Russia, con oppositori, giornalisti, difensori dei diritti umani e semplici cittadini onesti ammazzati a decine. (Fabrizio Dragosei)
  • Con i capelli grigi e gli occhiali, madre di due ragazzi già grandi, non aveva proprio l'aspetto della giornalista d'assalto e dell'inviato di guerra, una cosa che probabilmente la salvò in molte occasioni. (Maša Gessen)
  • Da anni Anna Politkovskaja era la testimone più onesta e credibile sul fronte della guerra cecena: doveva gridare al mondo con la sua voce la tragedia dell'uomo che soffre, dei civili che, vittime senza colpa, hanno un unico torto se non quello di essere in Cecenia e di trovarsi a casa loro. (Giorgio Fornoni)
  • Due anni e mezzo dopo l'assassinio, un colpo di rivoltella alla nuca mentre la giornalista usciva dall'ascensore della sua abitazione, la giustizia russa ha quindi sentenziato che il caso Politkovskaja è chiuso. Chi fossero i mandanti, dove si trovi l'assassino (forse il terzo dei fratelli Makmudov), perché la giornalista sia stata uccisa: a queste domande il tribunale di Mosca non ha neppure tentato di dare risposta. Gli imputati sono già tutti a casa per non aver commesso il fatto, il mistero Politkvoskaja resta quello che era: il più fitto, il più torbido, il più indecente tra i molti misteri della Russia di Vladimir Putin. (Sandro Viola)
  • È stata la prima persona che ho incontrato nella redazione di Novaja Gazeta. Era bellissima, i capelli bianchi, la schiena dritta. Camminava per un corridoio a passo veloce. Quasi volava. Veniva in redazione soltanto per lavorare. Non per mangiare a mensa o chiacchierare con gli altri colleghi. Non faceva altro che scrivere o accogliere gente. Capivi che era nel suo ufficio perché in corridoio si formava una fila di persone disparate. [...] Ho capito che non avrei mai avuto la possibilità di dirle quanto fosse stata importante per me e di ringraziarla. Che anche la gente per bene può essere uccisa. Ma è inutile ammazzarci o sbatterci in galera: se uno di noi viene ucciso un altro collega gli subentra e continua il suo lavoro. In Russia c'è una sorta di solidarietà giornalistica. (Elena Kostjučenko)
  • Ho conosciuto Anna Politkovskaja il giorno del suo assassinio. Ricordo di avere sentito la notizia in radio e di essere rimasta molto colpita e ciò mi ha spinta a cercare informazioni su di lei. Mi toglie il fiato. Credo che sia stata prima di tutto una giornalista che intendeva il suo lavoro non tanto come una missione ma come un qualcosa per dire quello che vedeva. Ascoltava la persone, le incontrava, non penso volesse diventare un'eroina. Pretendeva onestà. Questo per me non ha eguali. (Valentina Lodovini)
  • Le inchieste della Politkovskaja sulle atrocità in Cecenia di solito consistevano in conversazioni con le famiglie distrutte dalla guerra. La giornalista era anche una specie di confessore per i soldati russi, persino per alcuni ufficiali, che si vergognavano per quanto veniva fatto in Cecenia nel nome della Russia. Furono queste attività a fare di lei il nemico numero uno per parecchie persone e diversi gruppi di potere che avevano già dato prova svariate volte della loro spietatezza. (Garri Kasparov)
  • Lei era esperta del Caucaso del Nord. Lo scontro principale tra lei e la dittatura del clan di Kadyrov ha portato con ogni evidenza alla sua morte: deve essere avvenuto in quel punto in cui si è rivelata la non coincidenza dei valori del mondo dal quale lei proveniva con quello che si è vendicato su di lei per questo. Mettiamola così. (Oleg Kašin)
  • Ma perché la presenza a Beslan della Politkovskaja spaventava tanto i vertici russi da indurli a metterla fuori gioco, con l'aiuto dei servizi segreti, in modo così clamoroso? Se fossero stati davvero preoccupati della sorte degli ostaggi, avrebbero dovuto provare tutti i mezzi. La spiegazione non è tanto complicata. Come poi si è saputo, la Politkovskaja portava con sé a Beslan delle concrete proposte di pace da parte di Maschadov, uno dei capi della guerriglia cecena, dotato di effettiva autorità su quel difficile territorio, anche se non riconosciuto dal Cremlino come interlocutore rappresentativo. [...] Evidentemente Putin, venuto a conoscenza dell'iniziativa di pace di Maschadov, si è spaventato all'idea che la soluzione del sequestro e la salvezza degli ostaggi potessero avvenire grazie al capo ceceno, il che avrebbe avuto una grande risonanza in Occidente e di conseguenza avrebbe costretto il presidente russo a mettere da parte il suo orgoglio e a sedersi al tavolo della trattativa con i leader reali della guerriglia. (Elena Tregubova)
  • Mi addolora che oggi la mia lontana nipote Anna Politkovskaja, nipote di Kira, che era nipote di mio padre sia stata uccisa per il suo desiderio di scrivere liberamente. La Russia non è cambiata. (Svetlana Allilueva)
  • Nel 2001 Anna venne a Londra e Amnesty International mi chiese di intervistarla. Il mio documentario radiofonico per la BBC, "Victims of the Torture Train", aveva vinto un premio di Amnesty e pensavano che avremmo lavorato bene insieme. A dire il vero, non andò così. Anna in pubblico era austera, impassibile, per niente divertita dalle mie chiacchiere frivole. In situazioni un po' difficili di questo tipo divento una specie di Frankie Howerd, tutto balbettii, e faccio una battuta infelice dopo l'altra. Non riuscimmo a trovare un'intesa. Soltanto qualche anno più tardi, dopo avere visto uno splendido documentario su Anna, "A Bitter Taste of Freedom", capii che aveva un magnifico senso dell'assurdo, che sapeva anche ridere a crepapelle, piegata in due dalle risate davanti all'umorismo nero della vita. (John Sweeney)
  • Non eravamo amiche ma la conoscevo bene come collega: con lei ho seguito dei processi. Per me è l'esempio di come deve essere una vera giornalista che ha pagata con la vita per aver fatto bene il suo lavoro. E nel suo libro sul regime di Putin aveva previsto molte cose. Diceva: i soldati che hanno fatto la guerra in Cecenia rientrano in Russia e vivranno con la sindrome cecena, saranno molto feroci. (Zoja Svetova)
  • Ogni numero aveva un suo articolo, spesso più d'uno. Non si tirava mai indietro, anzi: era una giornalista vera. Lei portò in salvo da una Groznyj ridotta in macerie gli ospiti di una casa di riposo dimenticata da tutti: novantuno vecchietti, donne e uomini. Lei raccolse gli effetti personali dei soldati uccisi in Cecenia e li restituì alle famiglie. Lei negoziò con i sequestratori del teatro Dubrovka di Mosca, lei portò l'acqua agli ostaggi. E sempre lei volò a Beslan per partecipare ai negoziati con i terroristi. La avvelenarono sull'aereo. Sapevamo quando era in redazione: davanti al suo ufficio c'era sempre una lunga fila di persone. Una fila molto silenziosa. (Elena Kostjučenko)
  • Perché avrei dovuto ucciderla? Scriveva cose negative su mio padre, e se avessi voluto avrei potuto farle qualcosa quella volta. Perché adesso? [...] Avrebbe fatto meglio a stare a casa e fare la casalinga. (Ramzan Kadyrov)
  • Politkovskaja poteva essere molto dura: il suo carattere appassionato ed estroverso aveva anche un altro lato, reagiva con cattiveria alla minima provocazione. Questa era una caratteristica pericolosa per una giornalista le cui fonti comprendevano spesso uomini bene armati, abituati alla violenza e per nulla disposti ad avere donne che li contraddicevano. (Maša Gessen)
  • Prima che Anna Politkovskaja venisse ammazzata sulle scale del palazzo in cui abitava, il 7 ottobre 2006, soltanto chi si interessava da vicino alle guerre cecene conosceva il nome di questa giornalista coraggiosa, dichiarata avversaria della politica di Vladimir Putin. Da un giorno all'altro, il suo volto dall'aria triste e decisa è diventato in Occidente un'icona della libertà d'espressione. (Emmanuel Carrère)
  • Putin ha detto che Anna era una donna la cui influenza era «decisamente irrilevante». La verità è che era decisamente rilevante, molto pericolosa per il mantenimento del suo potere. Nessun altro faceva le domande che faceva lei.
    E poi la sua voce è stata messa a tacere. (John Sweeney)
  • Se il Time propone Putin [come "Person of the Year"], questo blog premia come "Woman of the Year" Anna Politkovskaja, la giornalista uccisa a Mosca nell'ottobre del 2006. (Beppe Grillo)
  • È tempo di farla finita con la storia che la "dittatura della legge" di Putin avrebbe attenuato l'illegalità imperante della Russia postcomunista. L'omicidio di Anna Politkovskaja, una delle più coraggiose e brave giornaliste di Russia, una donna che ha osato portare allo scoperto i brutali omicidi commessi dai soldati russi in Cecenia, è la prova definitiva che quella che ha creato il presidente Putin è semplicemente una dittatura come le altre, con il consueto disprezzo per il diritto.
  • L'uccisione della Politkovskaja ha scatenato una lugubre sensazione di déjà vu: proprio come ai tempi d'oro del Kgb, la gente in Russia semplicemente scompare.
  • Non sto accusando il governo di Putin di aver commissionato l'omicidio della Politkovskaja. Dopo tutto, con il suo lavoro di giornalista investigativa aveva pestato i piedi a molte persone oltre a Putin, non ultimo l'attuale primo ministro ceceno, Ramzan Kadyrov, da lei accusato di condurre una politica di rapimenti a scopo di riscatto. Ma anche se i soci di Vladimir Putin non avessero niente a che vedere con chi ha ammazzato la Politkosvkaja in un ascensore del palazzo di appartamenti in cui viveva, nel centro di Mosca, è stato il suo disprezzo per la legge a creare il clima in cui questo omicidio è stato consumato. Come l'omicidio dell'arcivescovo Thomas Beckett nella sua cattedrale di Canterbury molti secoli fa, questo crimine è stato commesso nella chiara convinzione di fare cosa gradita al sovrano.
  • Anna incarnava il coraggio e l'indipendenza giornalistica. Ora è diventata l'emblema universale della lotta per la libertà d'opinione. Un'immagine insopportabile ed insostenibile per il Cremlino.
  • Anna non concedeva sconti al Potere. Era una giornalista straordinaria, brava e impietosa nelle sue inchieste sulla corruzione dei politici, sulle connivenze del Cremlino con l'illegalità, sui comportamenti violenti e disumani dell'esercito in Cecenia, sul massacro della scuola di Beslan, dove un gruppo di 32 terroristi fondamentalisti islamici sequestrò 1200 persone.
  • Gli strali della giornalista puntano spesso in alto, al Cremlino, al regime putiniano. È una spina nel fianco. Soprattutto perché macchia l'immagine che il presidente russo proietta nel resto del mondo e ne mina la statura di leader internazionale.
  • Parlare di Anna oggi in Russia è come inoltrarsi in un campo minato.
  • Anna avevo "offeso" molti, sicuramente troppi. Ma non mi pare probabile che l'abbiano ammazzata per vendetta. Perché nessuno leggeva le cose che lei scriveva. Salvo, appunto, quei pochi che avevano accesso alla sua nicchia di fatica e di caparbietà.
  • Chi ha ucciso Anna Politkovskaja non lo sappiamo. Sospetto che non lo sapremo mai. Non ho mai creduto, però, alla tesi più semplice, più banale, più ovvia: che il mandante fosse colui che tutte le persone normali penserebbero il più irritato per le puntigliose, sarcastiche rivelazioni di Anna. Ho imparato a tenere conto dell'astuzia, spesso davvero raffinata, degli specialisti in queste faccende. Sono dei professionisti, di regola di primo livello. Sanno calcolare gli effetti che producono; sanno perfettamente che l'opinione pubblica non è in grado di fare due passaggi logici. [...] Vladimir Putin ha dimostrato in questi anni di avere i nervi saldi. Gli si farebbe torto ritenendolo così ingenuo da fargli commissionare un assassinio che l'uomo della strada, perfino quello di Katmandu, gli avrebbe immediatamente attribuito.
  • L'assassinio di Anna Politkovskaja dice crudamente che il tempo della legge non è ancora arrivato a Mosca. È ancora guerra per bande, sicuramente non del tutto nuove, che tornano a mandare i sicari negli androni dei palazzi moscoviti – se si tratta dei meno abbienti – o agl'incroci delle grandi vie d'uscita dalla città verso le dacie lussuose immerse nei boschi tutto attorno, vigilate da alte mura di cemento, da telecamere sempre accese, da guardie del corpo numerose e bene armate.
  • La ricordo come una collega giovane, non appariscente, quasi dimessa, con la testa china sul suo taccuino di appunti. A ripensarci dopo tanti anni e, poi, dopo la sua morte, che carica oggi ogni suo ricordo di una valenza e di una profondità che allora non sarebbero state immaginabili, emerge l'impressione di una testarda tenacia in quel capo leggermente piegato di lato, in quella voce sottile con cui, qualche volta, poneva domande a quelli che stavano dall'altra parte del tavolo. Non li stimava, e quindi non poteva ammirarli. E si vedeva. Anzi, non mi pare facesse nulla perché non si vedesse.
  • Lei non aveva partecipato alla divisione del malloppo statale. Lei aveva raccontato come «quelli», dopo essersi scannati tra di loro, avevano organizzato le guerre di Cecenia, per far credere ai russi che tutelavano i loro interessi, che volevano ripristinare la grandezza perduta del Paese. Ma dire la verità sulla Cecenia, andare laggiù – come lei fece tante volte – per raccontare come i diritti umani di un popolo venivano schiacciati, era pericoloso. [...] I palazzi dei poteri, pubblici e privati, non gradiscono i ficcanaso che rovistano nei loro affari.
  • Perché ha rischiato oltre il limite? Perché non ha pensato alla sua famiglia, ai figli? Cosa spinge a rischiare coloro che il destino colloca su una strada pericolosa? Mi viene in mente una persona come Giovanni Falcone. Anche lui sapeva di rischiare e ha giocato la sua vita sapendolo. Forse perché si pensa sempre che "non toccherà a noi". Oppure, più semplicemente, si fa quello che si ritiene giusto fare. E, avendo scoperto la verità, la si dice perché non se ne può fare a meno, perché altrimenti sarebbe troppo difficile guardare in faccia i propri figli dopo avere taciuto.
  • L'assassinio arriva in un momento della storia russa in cui quanti sono al potere, avendo fatto così tanto negli ultimi sette anni per limitare le critiche nei confronti dell'autorità, si stanno finalmente godendo un tangibile trionfo: Anna Politkovskaja, specializzata nell'indagare sui reati politici in Russia, era una specie in pericolo.
  • La sua morte è coincisa con il compleanno di Putin e l'ufficiale esplosione del sentimento anti-georgiano che non può non spaventare le minoranze etniche in Russia. Putin, le cui politiche erano apertamente criticate da Anna Politkovskaja, aveva ragione quando dopo la sua morte ha detto che il suo impatto sulla politica russa era minimo.
  • Se in Russia ci fossero centinaia di giornalisti come lei, il suo omicidio non avrebbe avuto senso.
  • Sono convinto che il suo assassino è stato, soprattutto, la limitatezza delle libertà in Russia. La mancanza di libertà ha uccisola libertà. È questa la triste logica del suo omicidio a prescindere da chi c'è dietro.
  • Stalin ogni qual volta faceva eliminare un suo compagno aveva il vezzo di riservargli funerali in gran pompa. A questo funerale non ha partecipato nessuno degli attuali leader. C'erano, è vero, ex leader dell'epoca di Eltsin: quel che resta della democrazia russa. Mi sembrava di essere tornato in Unione Sovietica. Le centinaia di persone giunte a tributare l'estremo saluto ad Anna sembrano non solo affrante, ma inermi. Alle persone che partecipavano al funerale veniva indicato il loro posto, come gente senza diritti che può sapere solo quello che le autorità vogliono che sappia. Hanno sparato ad Anna, hanno colpito la Russia. Hanno sparato a una donna coraggiosa, madre di due figli; hanno ucciso molte delle speranze per il futuro del Paese.
  • Era una donna assolutamente straordinaria. È andata cinquanta volte a Grozny e il viaggio di ritorno non era mai certo. È stata intimidita con una simulazione di esecuzione da parte dell'esercito, ha subito tentativi di stupro da parte di militari. Ma voleva sempre andarci, non voleva che altri colleghi andassero laggiù. Aveva accumulato una certa esperienza e temeva che gli altri non sapessero cavarsela. Si sentiva investita da una missione. Più volte, quando si trovava a Parigi, le ho detto di restare in Occidente per uno o due anni, anche solo per riposarsi. Le avevano proposto delle borse negli Stati Uniti, ma le ha sempre rifiutate.
  • Quando hanno assassinato Trotzkij, avevano spiegato che dietro l'omicidio c'era una storia amorosa. Per Anna inventeranno uno scenario qualsiasi. Possono dire quel che vogliono: Putin ha preso il potere e si comporta come si comporta. Ma lei era una donna leale, sincera, integra.
  • Sentiva come una missione il dovere di salvare l'onore della Russia. Non era nazionalista, ma amava la grande cultura russa, i suoi scrittori, i suoi poeti. Pensava che la guerra fosse un'esperienza pedagogica: ogni volta che la Cecenia è presa di mira è un esempio mostrato alla popolazione russa. Un po' come dire al semplice cittadino: se non obbedisci, se sei insolente e fiero come sono sempre stati i ceceni, ecco cosa ti succederà.
  • Anna Politkovskaja era una giornalista scomoda e non aveva un solo nemico. La sua attività l'aveva portata a concentrare gli sforzi sulla Cecenia e, via via, sulla corruzione nell'esercito e nel paese. Bisogna indagare in questi due ambiti. Ho sentito che molti puntano il dito su Kadyrov, l'attuale leader ceceno. Nulla si può escludere, e poi Kadyrov non è certo un tipo delicato, anzi, è uno che, per così dire, ha fatto l'università nei boschi e nelle gole del Caucaso. Ma in questo momento, proprio mentre la situazione cecena fa meno parlare, non mi sembra nel suo interesse sollevare un tale polverone. D'altra parte, il momento è stato scelto con cura. Il sicario ha agito nello scenario migliore, nel giorno del compleanno di Putin, mentre Grozny era in festa e a Mosca c'è un clima teso, anche a causa della disputa con la Georgia.
  • Anna Politkovskaja era una giornalista speciale, direi meravigliosa. Una che non conosceva le mezze misure, che denunciava gli orrori di cui era testimone. E non si fermava di fronte a niente. Era la giornalista scomoda per eccellenza. Quella che mette insieme il cuore, la lealtà e anche grandi capacità professionali. Non c'era intimidazione che potesse fermarla, lei andava avanti per la sua strada, denuncia su denuncia: le torture, i soprusi, i bambini e via dicendo. È chiaro che volevano chiuderle la bocca. E lo hanno fatto.
  • Che sia maledetto chi ha ucciso Anna Politkovskaja. Questo è un vero omicidio politico. Una vendetta. Ed è un duro colpo per la libera stampa e per chi si batte per la democrazia nel nostro paese.
  • L'assassinio di Anna Politkovskaja è stato una cosa terribile, sporca. Io la conoscevo bene, le volevo bene. Quello sì che è stato un colpo alla democrazia. Ma anche per Putin è stato un colpo duro. Era il giorno del suo compleanno e io penso che qualcuno glielo volesse far ricordare. C'è chi ha interesse a spingere Putin con le spalle al muro e non perde occasione. Certo, lui non ha saputo reagire, è stato troppo a lungo in silenzio dopo l'omicidio, e quando ha parlato non l'ha fatto nel modo migliore.
  • Anna Politkovskaja è stata assassinata non soltanto perché criticava fortemente Putin sul terreno delle libertà e dei diritti civili, ma perché lo accusava, avvalendosi anche delle informazioni di Litvinenko, di aver creato e alimentato la guerra cecena per rafforzare il proprio potere. Secondo la Politkovskaja e Litvinenko esistono due terrorismi ceceni: uno vero e uno falso creato dai servizi segreti e attuato dai commandos degli "Spetznaz" russi, che avrebbero pianificato catene di feroci attentati per garantire mano libera al Cremlino nel mantenere la democrazia russa in un limbo chiuso dal filo spinato.
  • Quattro colpi di pistola nell'ascensore della sua casa a Mosca hanno chiuso la bocca di Anna Politkovskaja. E gli uomini di Putin hanno subito fatto sapere che secondo il presidente russo ad ucciderla sono stati i suoi nemici allo scopo di far cadere su di lui la colpa del delitto: una linea di condotta identica a quella usata da Benito Mussolini di fronte all'omicidio di Giacomo Matteotti quando sostenne che il deputato socialista era stato assassinato per danneggiare lui e il fascismo.
  • Vladimir Putin ha promesso a denti stretti, e soltanto perché dall'altra parte del telefono c'era il presidente Bush, che avrebbe "fatto il possibile" per trovare chi ha ucciso Anna Politkovskaja, la giornalista che rappresentava la voce della democrazia negata nella lugubre Russia di oggi. Una Russia che ha perso per ora le speranze di evoluzione verso la democrazia e che viaggia a marce forzate verso una dittatura mascherata.

  Citazioni in ordine temporale.

  • Politkovskaya, pace all'anima sua, era una brava giornalista, ma tendeva ad imputare troppe colpe alle persone che non meritano di portare tutto il peso della guerra sulle loro spalle. (20 settembre 2010)
  • Quando mi è giunta la notizia dell'aggressione che Oleg Kashin ha subìto sotto casa, della brutalità e cattiveria con cui è stato assalito, mi sono sentito un'altra volta indignato, offeso, umiliato [...] come quando è stata assassinata nell'ascensore di casa sua Anna Politkovskaja, per le sue indagini che riguardavano la corruzione nell'esercito russo e gli abusi sui civili nell'operazione antiterroristica in Cecenia. (9 novembre 2010)
  • Quando parliamo di disinformazione la Politkovskaja è un esempio perfetto: lei è diventata una sorta di martire della libertà che gli occidentali spingono di brutto. Spesso qui leggo una frase stupida: "Putin ha ucciso la Politkovskaja". Punto. Come si fa a essere credibili se si scrivono cose del genere? Putin non ha ucciso nessuno. E il KGB non ha ucciso nessuno. Anche perché non esiste più il KGB ma altre strutture, come l'FSB, che è solo un'ala dell'ex KGB, quella politica: considera che solo l'FSB conta tre milioni e cinquecentomila agenti effettivi. Sai cosa vuol dire una cifra del genere? Vuol dire che non c'è niente che possa fermarli, né la CIA né il Mossad. Come si fa a pensare che una struttura così possa mandare due agenti a sparare in pancia alla Politkovskaja mentre sale a casa sua con i sacchi della spesa? Neanche i criminali ormai fanno cose del genere in Russia: hanno più gusto e più pietà. (11 dicembre 2014)
  • [«[...] qual è la tua idea sull'omicidio della Politkovskaja?»] Non è un'idea, è un fatto documentato: ci sono due delinquenti wahabiti (perché in Caucaso tutto viene dal wahhabismo), terroristi pagati dagli americani, che lo hanno fatto perché lei indagava sul legame tra alcuni militari russi e alcune fazioni wahabite. Il problema principale della Politkovskaja è che lei è comparsa sulla scena mediatica grazie al signor Berezovsky, che l'ha fatta diventare la "sua" giornalista: in poche parole l'ha comprata. [...] è questo il problema della Politkovskaja: i suoi legami con Berezovsky. La sua visione era molto facile: la guerra cecena? La colpa è dei russi. Ma io l'ho fatta la guerra in Cecenia, e non è affatto così. (11 dicembre 2014)
  • A tutti coloro che sulla tomba di Anna hanno giurato di trovare i suoi assassini o di morire, vorrei dare un consiglio professionale: non tormentatevi con dubbi inutili e cominciate a cercare gli assassini partendo da coloro che hanno avvelenato Anna negli ultimi anni della sua vita dandole la caccia incessantemente, spiando le sue conversazioni telefoniche, provocandola di continuo.
  • Anna è morta perché era una persona onesta e per bene, e per una persona del genere non c'è posto nella Russia di Putin.
  • Dall'animo forte, è stata del tutto indifesa dinanzi alla villania ed alla viltà. Sarebbe del tutto scorretto dire che Anna non temeva affatto i suoi carnefici, ma nonostante questo ha continuato a dire e a scrivere la verità. Probabilmente temeva più per gli altri che per sé stessa. Fa persino paura immaginare che cosa abbia provato negli ultimi secondi della sua vita, quando nel piccolo vano dell'ascensore ha incontrato faccia a faccia il proprio assassino.
  • Disprezzava Putin per le repressioni ai danni di Trepaškin e Chodorkovskij, lo disprezzava per i vergognosi processi penali contro Zakaev e Berezovskij. Disprezzava Putin per Nord-Ost e per Beslan. Anna amava la gente e amava la vita. E proprio così resterà eternamente nei nostri cuori.
  • In alcuni campi tra noi sono sorte delle divergenze di opinioni, e allora discutevamo, argomentando le nostre ragioni. Ma in una cosa tra di noi vi era perfetta identità di vedute, entrambi ritenevamo che Putin sia un criminale militare, che sia colpevole del genocidio del popolo ceceno, e che per questo debba essere giudicato da un tribunale aperto e indipendente. Anna comprendeva che Putin avrebbe potuto ucciderla per le sue convinzioni, e per questo lei lo disprezzava.
  • Se ad uccidere Anna Politkovskaja è stato Putin, qual è il suo movente? Ed ecco che tutte le cose vanno al loro posto. Le autorità russe non hanno ucciso semplicemente una giornalista che si opponeva a loro, la cui influenza sulla vita politica nel Paese, secondo le parole stesse di Putin, era "del tutto trascurabile". I cechisti hanno ucciso una persona che aveva documentato in maniera molto dettagliata e provata le loro attività criminali nel territorio dell'Ičkerija. Anna Politkovskaja non era stata solamente testimone dei crimini di massa e del genocidio del popolo ceceno perpetrati dai vertici politici russi, Anna era un testimone vivo, un testimone a cui la gente credeva, e la cui voce veniva ascoltata da tutto il mondo! Con le sue pubblicazioni non danneggiava semplicemente la marionetta del Cremlino che nessuno conosce, Kadyrov, ma con le sue pubblicazioni Anna rivelava al mondo la vera identità del Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin e di tutta la sua struttura verticale del potere.
  • Sono del tutto concorde con Putin quando afferma che l'influenza delle pubblicazioni di Anna Politkovskaja sulla vita politica del Paese fosse del tutto trascurabile, per una ragione molto semplice, ossia che nella Russia di Putin è assente tanto una vera e propria società, quanto una sua vita politica. È più semplice dire che non c'è nessuno che influisca, ma che non c'è nemmeno nulla su cui influire. Ma praticamente in tutto il mondo, eccezion fatta per la Russia sempre più atterrita dai cechisti, la voce di Anna Politkovskaja risuonava, e risuonava sempre più forte. E in buona parte grazie a lei, i suoi "amici" Bush e Blair ormai non guardavano più negli occhi i rettili del Cremlino tentando di cogliervi "un'anima umana".
  • Anna Politkovskaja arrivava dove gli altri si fermavano, continuava a partire quando per gli altri non c'era più nulla da dire, sfidava gli ostacoli del potere per concedere ai lettori il lusso e la responsabilità della verità. Lo ha fatto per anni, parlando con la lealtà ai civili e dei civili, ascoltando le vittime innocenti, ascoltando i sopravvissuti che timidi e impauriti chiedevano giustizia, lo ha fatto per anni parlando con la medesima lealtà con i leader politici, i signori della guerra, i portaborse di Putin in Cecenia.
  • Anna Politkovskaja conosceva la paura come la conoscono gli esseri umani coraggiosi, affrontandola con la solitudine cui spesso sono destinati mentre gli altri assistono in silenzio alla loro morte annunciata.
  • Ci ha detto che le responsabilità dei conflitti sono dei leader politici, che esiste un modello Putin e dobbiamo essere in grado di vederlo per poterlo prevedere, ma ci ha fatto anche delle domande. La prima: chi sono gli altri colpevoli? Solo i governi o anche l'inazione, il cinismo dell'opinione pubblica che non riesce più a sentire, davvero il dolore di un altro?
  • È questa parola, responsabilità, che ha inchiodato il destino di Anna Politkovskaja alla realtà, all'osservazione più nobile e partecipata del mestiere di giornalista, a un ascolto in purezza, senza pregiudizi, senza sentenze emesse in anticipo.
  • Molti hanno paragonato l'invasione russa dell'Ucraina alla seconda guerra cecena e in effetti le guerre in Cecenia raccontate da Anna Politkovskaja possono essere lette come l'avvertimento di quello che sarebbe accaduto altrove, l'allarme inascoltato di una Cassandra che tanto più denunciava e descriveva gli orrori che si consumavano nella piccola repubblica, quanto più sentiva allontanata, messa ai margini da una società che rifiutava di vedere.
  • Le persone ricordano Anna per il suo valore umano, questo significa che in lei c'era qualcosa che andava anche oltre il giornalismo o che il giornalismo per lei era solo uno strumento.
  • Per lei i valori umani andavano prima di tutto, l'etica era sopra della politica. La personalità era sopra la collettività. Affermava la dignità umana e la difendeva, per questo anche ora è accettata al di là di ogni frontiera, come una figura universale. Possiamo dire che culturalmente appartiene ad altri mondi, non è solo russa.
  • Spesso la chiamavo per intervenire a difendere una persona, e se non bastava un articolo ne seguivano altri finché non era chiara la situazione. Il suo aiuto non è mai andato invano.
  • Anna Politkovskaja è la punta di un iceberg. Le donne sono vissute a lungo compresse, schiacciate nella loro possibilità di esprimersi. Ma secoli passati ad abbassare la testa hanno dato alle donne una forza sconosciuta agli uomini: quando si mettono in gioco, lo fanno senza paura.
  • Era una donna coraggiosa che non si considerava un'eroina. Voleva fare semplicemente il suo mestiere. [...] Una donna piccina, chiara, con due figli. Una che non se la tirava, che magari avrebbe detto: nelle mie condizioni anche voi avreste fatto la stessa cosa.
  • La sua etica era così forte che non aveva più paura. Diceva di essere stanca, di provare schifo per coloro che non le impedivano di fare il suo lavoro. Ma il suo era un impegno morale: "Io ho scritto", ripete nei suoi diari. Era la condizione che le avevano chiesto i testimoni dei massacri, poi uccisi. Lo sapevano loro di andare a morire, lo sapeva anche lei.

  Citazioni in ordine temporale.

  • Con Anna ci siamo incontrati nel 1976 a una festa di studenti a casa sua. Io già frequentavo la facoltà di giornalismo, lei faceva ancora le superiori. Ero stato invitato da sua sorella, ma appena la vidi... Non potevamo essere più diversi, almeno per origine. Io di una famiglia modesta, un tipico prodotto della moskovskaja spanà, un ragazzo cresciuto sulla strada, un teppistello. Lei di una famiglia della nomenklatura sovietica: suo padre era un diplomatico e lei stessa era nata a New York, nella nursery dell'Onu. Quando ci sposammo, nel 1978, io arrivai alla cerimonia con un cappellaccio in testa e una bottiglia di vodka in mano, i suoi parenti erano eleganti, seri e compiti. Ma avevamo tanti interessi in comune, per esempio i libri. A quell'epoca leggevamo con furia la Achmatova e Pasternak, autori proibiti nell'Unione Sovietica. I libri ce li procurava dall'estero suo padre, che approfittava dello status di diplomatico, mettendo anche a rischio la carriera. Eravamo simili anche nel carattere: lei, così minuta e intellettuale, aveva un vulcano dentro e non aveva problemi a tenermi testa.
  • Fare solo la mamma non era da lei. Intendeva realizzarsi pure nel lavoro, ma per farlo voleva aspettare che Ilja e Vera crescessero. Anche perché io, invece, ero sempre in giro, proiettato sulla carriera. E certo, sentivo anche che lei un po' mi invidiava.
  • Negli anni della perestrojka tutte le sere c'erano a casa nostra intellettuali, politici, giornalisti, le persone che frequentavo per lavoro o per amicizia. E lei era a pieno titolo parte di quell'ambiente. Convinta e battagliera come sempre. Ricordo che quando mi arrivava il "consiglio" di non andare a certe manifestazioni per non compromettermi, e succedeva spesso, io rispondevo sempre: "Tanto, se non vado io ci va mia moglie..."
  • Fu nel 1994, quando si occupò della lotta tra gli oligarchi Vladimir Potanin e Vladimir Gusinskij per il controllo di Norilsk Nickel, il più grande produttore mondiale di nickel, che doveva essere privatizzato. Vinse Potanin, ma a un certo punto Gusinskij chiamò Anna e le mostrò un dossier diffamatorio che aveva raccolto sulla nostra famiglia. Anna era spaventata, andai a prenderla e parlammo a lungo, seduti in macchina. Lì lei decise che sarebbe andata avanti comunque, anche se temeva il discredito anche più della morte. Lì nacque l'Anna che poi tutti hanno conosciuto.
  • Lei scriveva i suoi articoli per cambiare le cose. Ogni pezzo doveva aiutare qualcuno o contrastare un'ingiustizia. Doveva produrre qualcosa, anche poco, ma qualcosa. Senza la sua credibilità questo sarebbe diventato impossibile. La stessa cosa le successe, anni dopo, con Ramzan Kadyrov, che minacciò di trascinarla in una sauna e farla fotografare in pose sconce con uomini nudi.
  • [«Voi, i familiari, vi aspettavate quanto poi è successo?»] Sì, certo. Ormai Anna aveva dato fastidio a troppi con il suo impegno. E poi era una specie di spirale senza fine. Lei non riusciva a passare accanto alla sofferenza altrui e girarsi dall'altra parte. Così, chi non aveva più speranza di trovare giustizia finiva da lei, che trovava altre storie, altre notizie.
  • Putin non c'entra e nemmeno Kadyrov: è un idiota e durerà poco, lo ammazzeranno presto come hanno fatto con il padre. Secondo me, le ipotesi più credibili sono due. Sono stati dei militari che lei aveva denunciato per le violenze in Cecenia: molti credevano di ottenere gloria e medaglie con quello che facevano, e si sono trovati in carcere o in congedo. Più facile per loro prendersela con Anna che con chi li aveva mandati allo sbaraglio in una guerra sbagliata. Oppure sono stati i nemici di Putin, che hanno voluto "avvertirlo". L'omicidio è avvenuto nel giorno del compleanno di Putin e tra poco più di un anno si vota per il nuovo presidente...
  • L'assassinio della signora Politkovskaja è un grave danno per la leadership russa e specialmente per quella cecena. Un danno molto più grave di qualsiasi articolo di giornale.
  • La giornalista Politkovskaja era una voce critica contro l'attuale equilibrio di potere. In generale questo è tipico dei media, ma lei aveva assunto posizioni radicali. Negli ultimi tempi si era dedicata alla critica del potere in Cecenia. Ma la sua influenza politica non era molto grande.
  • Le rivelazioni della signora non hanno né danneggiato la politica di Kadyrov né creato ostacoli alla sua carriera politica. Ramzan Kadyrov appartiene ai gruppi che un tempo hanno combattuto contro le truppe federali in Cecenia. Negli organi di sicurezza e nelle istituzioni cecene oggi possono lavorare tutti, a prescindere dalle loro opinioni o dal loro passato. I rapporti di forza politici in Cecenia sono complessi, ma questo non è un motivo per un omicidio. Forse c'è stato fastidio o collera per l'attività della giornalista, ma non posso immaginarmi che un esponente ufficiale possa pianificare un crimine così orribile.
  • A difenderla c'erano solo i suoi libri e i suoi articoli. I suoi libri sono immediati, veloci, hanno la potenza della scoperta, della novità, dell'informazione sconosciuta e resa nota. Ed è questo ciò che l'ha esposta.
  • L'assassinio a oggi non ha colpevoli né mandanti. Ma le sue parole continuano a essere spine ficcate sotto le unghie e nelle tempie stesse del potere russo.
  • Queste parole sono una preghiera, pronunciata con tutte le possibili fasi liturgiche, al lettore che ha deciso di spendere il suo tempo. Una preghiera perché non dimentichi il sacrificio di chi ha deciso di raccontare. Una preghiera affinché possa sentire sin dentro la carne ogni ora della vita di Anna Politkovskaja, una vita spesso passata sapendo di avere una scadenza, ma certa che quella scadenza avrebbe riguardato solo il proprio corpo e diffuso, come le costellazioni, le proprie storie depositandole in ogni lettore che le avesse incontrate.
  • Anna sta davvero all'altro capo del mondo in cui spadroneggia Putin, e, dopo essersi guadagnata l'onore di associare al proprio nome il nome di un popolo martoriato, sicché non si possa nominare la Cecenia senza pensare a lei, e lei senza pensare alla Cecenia, si è anche guadagnata, impresa assai più ardua e malvista, il titolo di rappresentante dell'altra Russia. Benché in una minoranza che si è fatta in certi momenti così esigua da metterne a repentaglio l'incolumità stessa, alcuni russi hanno continuato a capire che in Cecenia non si trattava solo di soccorrere un popolo schiacciato, ma di riscattare la buona anima della Russia.
  • Ci sarà, forse, un giorno, un tribunale anche per i crimini di guerra in Cecenia. Gli articoli di Anna ne formeranno gli atti, e anche la sua vita e la sua morte.
  • Conoscere Anna Politkovskaja voleva dire sapere che gli assassini la braccavano. Non importa da dove: dal Cremlino o dagli stati maggiori, dal despota fantoccio della Cecenia o dalla deriva di gruppi e agenti segreti a metà fra il servizio al capo e i lavori in proprio, o da quale altro covo di brava gente patriottica, razzista e gonfia di odio.
  • Non solo non sappiamo proteggerle, le persone sulla cui porta l'odio e la menzogna hanno tracciato un segnale per gli assassini, ma ridiamo di loro, o esitiamo a resistere a chi ne ridicolizza la voce. [...] quando Anna denunciò d'essere stata avvelenata, si scherzò sulla sua megalomania o sulla sua paranoia. Si dava delle arie. E poi, addirittura, il veleno, come nelle favole e nei romanzetti. Aveva bevuto un tè, aveva avuto un mal di pancia, magari aveva paura di andarci davvero, a Beslan, e si era inventata vittima di un torbido complotto. Oggi si ride a denti più stretti delle storie di avvelenamenti, dopo che il tallio e il cesio e ora, trionfo della chimica politica, il polonio, hanno dispiegato la loro compiaciuta efficienza con un capo di Stato come Yuschchenko o un ex membro della confraternita come Litvinenko. C'era stato in Cecenia, un vero temibile terrorista islamista arabo, Khattab, ucciso dai russi col mezzo fiabesco di una lettera avvelenata. L'antica Tredicesima Sezione del sovietico KGB, riconvertita nel russo FSB, ha sempre vantato un curriculum di efficienza e fantasia negli omicidi a distanza. Casomai, dopo il tè di Rostov, la piccola sporca sparatoria in ascensore aggiungeva una nota di impazienza e di disprezzo al disbrigo della pratica di Anna.
  • Nonostante un'emancipazione femminile così spinta nell'URSS, il maschilismo della leadership sovietica prima e russa poi è restato fortissimo. Se Eltsin si illustrò per episodi imbarazzanti di gallismo traballante, Putin ha portato nello stile presidenziale un madornale virilismo da caserma. È significativo che agli occhi del mondo l'intrepida opposizione al virilismo di Putin si sia incarnata in una donna minuta e inerme come Anna, e che a spegnerne la voce sia occorsa la viltà di un sicario.
  • Potete trovare in rete qualche sequenza del funerale. C'era un migliaio di persone. Nessun rappresentante del governo russo, nessuna pubblica autorità. Putin era andato a Dresda, e lì stava stringendo la mano alla signora Merkel, molto commosso, perché in quella città aveva avuto negli anni Ottanta il suo apprendistato estero di agente del KGB – Putin si commuove sempre al ricordo del KGB. Non un solo rappresentante dei governi europei, nemmeno a titolo personale, si è fatto vedere, tanto meno dell'Unione – tuttavia il Parlamento europeo in seduta plenaria ha tributato l'omaggio di un minuto di silenzio alla memoria di Anna Politkovskaja. Non c'erano picchetti d'onore, né musiche da requiem o cantate al nome di Giovanna d'Arco, non premi Nobel né scrittori internazionali né leader dei movimenti per la pace, né una qualunque segretaria del segretario dell'ONU. (C'era Marco Pannella, e vada detto a suo merito.) Le Madri di Beslan, le Madri cecene, le Madri di soldati russi – forse ce n'era qualcuna: col cuore dovevano esserci in tante. Uscendo dall'incontro con la Merkel, Putin ha poi avvertito che la giornalista assassinata «aveva un'influenza minima sulla vita politica russa», e che «il suo assassinio reca più danno alla Russia e alla Cecenia che qualunque dei suoi articoli». I telegiornali governativi russi non hanno parlato del funerale; il canale Rossija ha dedicato mezzo minuto a una notizia sullo stato delle indagini.
  • Questa è la cifra di Anna, testimone e partecipe dei disastri della guerra. [...] Conosce l'ignobiltà, la prepotenza, e comunque l'impotenza e l'infantilismo dei giochi dei guerrieri, li svela, li rivela, li mette a confronto e ne segnala il vicolo cieco, ma è con le persone, con le donne, coi bambini, coi vecchi dagli occhi arrossati, con le madri dell'una e dell'altra parte che sta. Trovate poche generalità nei suoi scritti, così ostinati e incalzanti: trovate invece le persone e le loro storie tenacemente, minuziosamente, prolissamente seguite in ogni dettaglio, con una pazienza deliberata sotto la quale ribolle lo sdegno e la compassione.
  • Spaventoso è il numero dei giornalisti ammazzati in Russia – tre, e dei più in vista, solo della «Novaja Gazeta», il giornale di Anna. Ma senza niente togliere al loro sacrificio, in Anna è stato colpito qualcosa di più della libertà di stampa. In un'occasione, Anna dichiarò di aver messo a frutto la professione di giornalista per stare dalla parte delle vittime, e, quando fosse possibile, per portare loro aiuto. Lo fece davvero, che si trattasse di tenere per mano i vecchi da evacuare dall'ospizio di Groznyj abbandonato sotto il bombardamento, o di rifocillare con qualche bevanda gli ostaggi del teatro di Mosca prima della mattanza.
  • È stata la critica più coerente e incorruttibile di Putin e del suo regime politico.
  • Penso che [Putin] abbia cercato di ritrarre l'omicidio della Politkovskaja come una coincidenza.
    Ma come può essere una coincidenza quando Putin ha sistematicamente distrutto la libertà di stampa e l'opposizione fin dal primo giorno della sua presidenza?
  • Se solo avessimo resistito prima a Mosca. Se così fosse, sono sicuro che un'altra giornalista dissidente, Anna Politkovskaja, sarebbe ancora viva oggi.
  • Anna Politkovskaja parlava di quel che vedeva e toccava con mano. Era difficile per lei immaginare le azioni di Vladimir Putin. Ma lo giudicava capace di qualunque cosa.
  • Anna raccontava i fatti, analizzava quello che vedeva. Tratteggiava i ritratti dei protagonisti, ne elencava delitti e viltà con la precisione e l'asciuttezza di cui pochi reporter sono dotati. Con un'audacia senza retorica. Virtù rara nei suoi colleghi.
  • Non poteva prevedere l'invasione dell'Ucraina. Ma giudicava il regime russo capace di azioni di grande viltà. Anche su larga scala. Basta leggere le righe che ha dedicato a Vladimir Putin.
  • Ai funerali di Anna Politkovskaja non c'erano né capi di Stato, né premi Nobel, né picchetti d'onore. Di madri di Beslan, cecene e dei soldati russi sì, probabilmente ce n'erano. Di sicuro col pensiero e col cuore erano in tante, strette alle duemila persone raccolte a rendere omaggio a una persona che avevano sempre sentito vicina, alla quale volevano bene.
  • Anna Politkovskaja è stata una donna coraggiosa e soprattutto, ed era questa la cosa a cui più teneva, una giornalista. Una vera giornalista, libera e autorevole.
  • Era un particolare tipo di giornalista. Quelli che sentiva essere i suoi doveri di cronista, li rispettava con una precisione delle informazioni e una cura dei resoconti davvero uniche. Ma andare a vedere e scrivere diventavano tutt'uno, per lei, con lo stare dalla parte delle vittime, dei più deboli, degli oppressi e degli sfruttati, e per quel che poteva, con il portar loro un concreto sostegno. Era una testimone straordinaria perché partecipe, non spettatrice.
  • Anche se racconta le teste mozzate, la Politkovskaja non dà mai l'impressione di una pornografia della violenza, e questa è la differenza rispetto a ciò che vediamo a volte in televisione.
  • Ha avuto un coraggio estremo, persino in guerre piuttosto pasticciate e indecifrabili come quella della Cecenia, dove è andata da sola in un periodo in cui c'erano fazioni di ogni tipo. Lei, russa, va a scoprire le magagne proprio lì, nel paese su cui tutti piangevamo... Si è battuta perché non ammazzassero i ceceni ma soprattutto per i giovani russi mandati a morire come carne da macello.
  • Mi chiedo come faceva questa donna che scriveva e pubblicava le sue inchieste su "Novaja Gazeta" a uscire di casa, andare a fare la spesa, andare a prendere i figli, proseguire diritta per la sua strada come se nulla fosse, senza temere. Io non ne avrei il coraggio, per me è un eroe ma i tempi che creano gli eroi sono tempi orrendi.
  • Alla domanda se il mandante dell'omicidio della Politkovskaja possa essere stato un militare, la risposta è: in linea di principio è possibile. Alla domanda se può essere stata uccisa dai ceceni collaborazionisti, la risposta è: in linea di principio è possibile. Alla domanda se i servizi segreti abbiano approvato questo e altri gesti simili, la risposta è: in linea di principio è possibile. Alla domanda se la morte della giornalista abbia qualche legame con l'assassinio di Litvinenko a Londra, la risposta è: in linea di principio è possibile. Alla domandase queste cose succedano alla vigilia delle elezioni per squalificare Putin, la risposta è: in linea di principio è possibile.
    Molta parte della storia recente russa ha come unica risposta credibile: v principe vožmožno, in linea di principio è possibile.
  • Il procuratore accusa i terroristi ceceni ma fa cenno anche a contatti con alcuni agenti dei servizi speciali dell'Fsb. Senonché, a un'attenta lettura si scopre un fatto curioso: gli agenti in questione sono tutti in via di pensionamento e la loro incriminazione coincide con la fine del loro impiego.
  • Le inchieste della Politkovskaja riguardano molti aspetti della società russa: dalla guerra in Cecenia alla vicenda degli oligarchi, dalle prepotenze dell'esercito alla corruzione dei politici. Per questo è immaginabile che i suoi nemici siano dappertutto.
  • Anna Politkovskaya ha svolto il suo lavoro negli anni più bui della Russia post-comunista, combattendo contro l'indifferenza, il razzismo che da fenomeno di sottocultura di periferia diventava quasi una retorica ufficiale, la violenza e il conflitto come strumento di politica, mentre una dopo l'altra le voci del dissenso venivano fatte tacere o si tacitavano.
  • I quattro spari nell'ascensore del numero 8 di via Lesnaya hanno avuto un'eco molto più forte in Europa e nel resto del mondo, mentre in Russia il sesto anniversario dell'omicidio è stato segnato più modestamente dall'autorizzazione, da parte del comune di Mosca, di installare sulla sede della redazione della Novaya Gazeta una lapide in memoria di Anna.
  • Il nome di Politkovskaya in patria rimane largamente sconosciuto. In Europa la sua sorte, e quella dei suoi colleghi, è una delle prime domande che vengono rivolte a chi parla di Russia. Sembrava quasi che avesse ragione Vladimir Putin che, nel commentare la sua morte senza nemmeno esprimere il minimo di cordoglio richiesto dall'educazione, diceva che era "una sconosciuta", in un mondo dove i lettori e gli spettatori sembravano accontentarsi della propaganda governativa.
  • Quando Anna Politkovskaya venne uccisa, 10 anni fa, nel giorno del compleanno del presidente russo, Putin disse che era «poco conosciuta in patria». Era vero, ed è vero oggi. Dieci anni dopo, il paesaggio mediatico in cui l’inviata in Cecenia della Novaya Gazeta pagò il suo lavoro con la vita, appare un paradiso della libertà di stampa. Oggi le voci critiche sono quasi tutte esiliate nella Rete, e l’inviato del Primo canale tv dopo una conferenza stampa viene beccato (da un cronista della Novaya, guarda caso) a urlare al telefono con i suoi superiori: «Ditemi che linea ideologica devo prendere, porca p...!».
  • Quella di Anna Politovaskaja non è una morte misteriosa, ma un omicidio. Hanno fatto 40 processi, si sa perfettamente chi l'ha uccisa. Non abbiamo la conferma in sede giudiziaria di chi sia il mandante, ma non si può chiamarla "morte misteriosa". A parte che è stata uccisa in modo estremamente pubblico, è stata una esecuzione. Certo, se si fa una lista "come si muore sotto Putin" viene fuori un po' di tutto. Oppositori di Putin, oligarchi, ammazzatine criminali, gente che è morta perché ha deciso di buttarsi giù dalla finestra...
  1. Epiteto spregiativo per i ceceni.
  2. Clan famigliari ceceni.
  3. Cfr. Human Rights Watch su Wikipedia.
  1. Da L'altra Abu Ghraib, Internazionale.it, n. 542, 2 giugno 2004.
  2. Citato in Omicidio Anna Politkovskaia, la Corte di Strasburgo condanna la Russia, pochestorie.corriere.it, 17 luglio 2018.
  3. Citato in Valerij Jakov, La verità, tutta la verità, Internazionale, n. 662-663, 13 ottobre 2006, p. 24.
  4. Citato in Francesca Pansa, Donne che odiano gli uomini, Mondadori, Milano, 2011, p. 151. ISBN 9788852019623

Bibliografia

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  • Anna Politkovskaja (2003), Cecenia. Il disonore russo, traduzione di Agnès Nobécourt e Alberto Bracci, Fandango tascabili, Roma, 2009. ISBN 978-88-6044-105-8.
  • Anna Politkovskaja, Un piccolo angolo d'inferno (2003), traduzione di Isabella Aguilar, Rizzoli, Milano, 2023. ISBN 978-88-17-18149-5.
  • Anna Politkovskaja, La Russia di Putin (2004), traduzione di Claudia Zonghetti, Adelphi Edizioni, Milano, 2005. ISBN 978-88-459-3692-0.
  • Anna Politkovskaja, Diario russo. 2003-2005 (2007), traduzione di Claudia Zonghetti, Adelphi Edizioni, Milano, 2022. ISBN 978-88-459-3711-8.
  • Anna Politkovskaja, Per questo. Alle radici di una morte annunciata. Articoli 1999-2006 (2007), traduzione di Claudia Zonghetti, Adelphi Edizioni, Milano, 2022. ISBN 978-88-459-3710-1.
  • Anna Politkovskaja, Proibito parlare. Cecenia, Beslan, teatro di Dubrovka: Le verità scomode della Russia di Putin (2007), a cura di Erika Casali, Martina Cocchini e Davide Girelli, Mondadori Libri S.p.A., Milano, 2022. ISBN 978-88-04-75671-2.

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