Michail Gorbačëv

politico sovietico, dal 1991 russo (1931-2022)

Michail Sergeevič Gorbačëv (1931 – 2022), politico russo.

Gorbačëv nel 1986
Medaglia del Premio Nobel
Medaglia del Premio Nobel
Per la pace (1990)

Citazioni di Michail Gorbačëv

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  • La posizione dell'Urss è nota a tutti e io posso solo ribadire che non vogliamo una superiorità unilaterale sugli Stati Uniti e i Paesi della Nato, ma l'interruzione della corsa agli armamenti. Per questo proponiamo di congelare gli arsenali nucleari e di cessare l'ulteriore installazione dei missili. Noi chiediamo una reale e decisa riduzione degli armamenti già accumulati, non la creazione di nuovi sistemi di armi, siano essi nel cosmo o sulla Terra.[1]
  • Una mezza verità è peggio di una menzogna.[2]

Intervista di Gerardo Chiaromonte, Renzo Foa e Giuliette Chiesa, L'Unità, 20 maggio 1987

  • Vi dico subito che mi piace molto il popolo italiano: sprizza vita ed energia.
  • Ho sempre ritenuto una mia «debolezza» il fatto di interessarmi di molte cose in campi diversi. Non saprei neppure dire quali materie mi interessavano particolarmente a scuola, quali discipline mi piacevano di più e quali di meno. Ad esempio, mi iscrissi alla facoltà di giurisprudenza ma, inizialmente, volevo iscrivermi a quella di fisica. Mi piaceva molto la matematica ma anche la storia e la letteratura. Ricordo ancora a memoria le poesie imparate a scuola. Si può, forse, essere d'accordo sul fatto che nella vita realizzano molto coloro che si concentrano in qualche campo specifico. Però mi sono più simpatiche le persone che hanno un vasto spettro di interessi.
  • Qui le citazioni non servono. Se non ci impadroniamo del metodo creativo di Lenin non potremo fare una analisi dell'attualità ed elaborare decisioni giuste.
  • Il fatto è che il socialismo non può assicurare condizioni di vita e consumi uguali per tutti. Ciò avverrà nel comunismo.
  • Si sente dire ogni tanto che l'Unione Sovietica accetterà soltanto quel regolamento politico del problema afghano che manterrà l'Afghanistan nella propria «sfera d'influenza». È un giudizio profondamente errato, l'Unione Sovietica non ha, in generale, sfere di influenza e non tende a crearle. Per quanto riguarda l'Afghanistan, noi appoggiamo in pieno le posizioni del movimento dei non allineati affinché questo paese rimanga indipendente, sovrano, non allineato. Qualora l'Afghanistan decidesse di diventare anche uno Stato neutrale, sarebbe pur sempre una decisione che spetta al popolo afghano.
  • Non abbiamo ragioni per assumere nei confronti di Israele un atteggiamento diverso da quello verso qualsiasi altro paese, tranne che per un punto la politica aggressiva di Israele nei riguardi degli arabi.
  • Senza democrazia non c'è iniziativa, senza democrazia non c'è partecipazione diretta alla gestione della produzione, senza democrazia non c'è giustizia sociale, senza democrazia non c'è compartecipazione di ognuno ai problemi dell intera società.
  • La stessa Rivoluzione d'Ottobre ha aperto uno spazio nuovo all'affermazione dei diritti e della libertà della persona dell uguaglianza e della giustizia.
  • Non dissimuliamo il nostro atteggiamento di fronte alla concezione religiosa che è non materialista, non scientifica, ma non per questo autorizza a mancare di rispetto verso il mondo spirituale dei credenti e ancor meno a far ricorso a qualunque pressione amministrativa a sostegno delle idee materialiste. (dal discorso alla XIX Conferenza del Pcus, 28 giugno 1988)[3]
  • Tutti i credenti, indipendentemente dalla religione che professano, sono cittadini dell'Urss a pieno titolo. La grande maggioranza di essi partecipa attivamente alla nostra vita produttiva e sociale, al raggiungimento delle mete della perestrojka. (dal discorso alla XIX Conferenza del Pcus, 28 giugno 1988)[3]

Discussione del presidio del Soviet supremo dell'Urss sul conflitto del Nagorno Karabakh, 18 luglio 1988, riportato ne La Stampa, 23 luglio 1988

  • È noto che in Armenia vivono non meno azerbaigiani di quanti armeni viano nel Nagorny-Karabakh. Vogliamo fare anche per questi una regione autonoma?
  • Per secoli armeni e azerbaigiani sono vissuti su questa terra. Per loro il Karabakh è la culla, per così dire, uno dei capisaldi della nazione armena. Ma dal Karabakh sono venuti non pochi compositori e artisti dell'Azerbaidjan. Non si può passare attraverso l'anima degli uomini, le famiglie, i secoli, in modo semplicistico, come con un aratro.
  • Ci sono 400 mila armeni nell'Azerbaidjan, di questi 270 mila sono a Baku. In Georgia ne vivono 500 mila. Che cosa dobbiamo farne? Dobbiamo cedere anche questi all'Armenia?

Da L'inizio di un'era di pace

Discorso pronunciato a New York il 7 dicembre 1988 all'Assemblea generale dell'Onu, riportato in Pensare il mondo nuovo, L'Unità, 2 giugno 1989

 
Gorbačëv all'Assemblea generale dell'Onu
  • Il mondo in cui viviamo oggi è radicalmente diverso da quello dell'inizio o addirittura della metà del nostro secolo. Ed esso continua a mutare in tutte le sue componenti. La comparsa delle armi nucleari non ha fatto che sottolineare tragicamente il carattere fondamentale di tali mutamenti. In quanto simbolo materiale e veicolo di una forza bellica assoluta, esse hanno contemporaneamente messo a nudo i limiti assoluti di tale forza. Si è posto in tutta la sua grandezza il problema della sopravvivenza e dell'autoconservazione dell'umanità. Sono in atto profondissimi mutamenti sociali.
  • Le comunicazioni internazionali si sono incomparabilmente semplificate. Oggi ben difficilmente è possibile tenere chiusa una qualsiasi società. Ciò richiede una decisa revisione dei punti di vista su tutto l'insieme dei problemi della cooperazione internazionale, in quanto elemento di primaria importanza per la sicurezza universale.
  • La libertà di scelta è un principio universale e non deve conoscere eccezioni.
  • Noi non rinunciamo alle nostre convinzioni, alla nostra filosofia e alle nostre tradizioni, né invitiamo nessuno a rinunciare alle proprie. Ma non intendiamo neppure rinchiuderci nell'ambito dei nostri valori. Ciò ci condurrebbe a un inaridimento spirituale, poiché significherebbe rinunciare a una possente fonte di sviluppo, quale è lo scambio di tutto ciò che di originale viene creato da ogni nazione autonomamente.
  • L'Organizzazione delle Nazioni Unite riassume in sé gli interessi di diversi Stati. Essa è l'unica in grado di riunire in un flusso unico i loro sforzi, siano essi bilaterali, regionali e globali.
  • Non dimentichiamo che il mondo in via di sviluppo ha anticipato la prosperità di una parte non piccola della comunità mondiale al prezzo di perdite e sacrifici incalcolabili nell'era del colonialismo. È giunto il momento di compensare le privazioni che hanno accompagnato questo suo contributo storico e tragico al progresso materiale del mondo.
  • Vediamo un attimo di riflettere: non sarebbe il caso di costituire presso le Nazioni Unite un centro di pronto soccorso ecologico? Le funzioni di questo centro potrebbero essere quelle di inviare gruppi internazionali di specialisti in quelle regioni dove si registri un brusco peggioramento dello stato ecologico.
  • Lo sviluppo e le relazioni internazionali sono stati deformati dalla corsa agli armamenti.
  • Gli appelli all'autarchia economica e all'isolamento culturale sono profondamente estranei agli interessi di ogni popolo dell'Urss e dell'intera società.[4]
  • Le condizioni di lavoro in Unione Sovietica sono rimaste ai tempi di Pietro il Grande.[5]
  • In Urss [...] ci sono cristiani, musulmani, ebrei, buddisti e altri gruppi religiosi, e tutti hanno il diritto di soddisfare le loro esigenze spirituali.[6]

Colloquio con Giovanni Spadolini, La Stampa, 6 dicembre 1989

  • L'idea della casa comune europea non è nata a tavolino, è il risultato della storia dell'Europa ed è stata generata dalle realtà della fine del XX secolo.
  • Non si può sopprimere l'identità dei popoli, c'è invece chi vuole amalgamare tutto, mescolare tutto, per togliere il carattere individuale di un popolo.
    Guardiamo all'Urss, guardiamo ai problemi che si pongono all'Unione Sovietica in quanto casa comune sovietica. In questa casa si sta discutendo in che modo impostare la vita, popoli vi vivono da centinaia di anni con radici concrete, proprie tradizioni, propri problemi, proprie realizzazioni. Un patrimonio che è entrato nelle coscienze, nel codice genetico. Un patrimonio che abbiamo ignorato in passato portando così all'accumulazione di problemi nei rapporti fra le etnie.
  • Sa in quante lingue è tradotto Dante all'interno dell'Urss? In settanta.
  • Gli attuali dirigenti della Lituania, con una scalata di decisioni illegittime e irresponsabili, stanno contrapponendo la Repubblica all'insieme dell'Unione Sovietica e questo mette in pericolo i legami storici tra i nostri popoli.[7]
  • Siamo a un bivio tra il presente e il futuro. Marx, Engels e Lenin si riferivano ad una realtà diversa dalla nostra e prendere in esame le circostanze del momento è uno degli insegnamenti principali del marxismo: per questo la nostra politica va basata sulla situazione attuale del Paese. Altrimenti si resta prigionieri del dogmatismo. (dal discorso al 28º Congresso del Pcus)[8]
  • A chi lo definisce un collasso del socialismo, vorrei rispondere: quale socialismo? Un tipo di stalinismo autoritario e burocratico che noi stessi abbiamo abbandonato. Se poi i popoli di quei Paesi stanno facendo una scelta non socialista, questo è un altro problema ed è un loro problema. (dal discorso al 28º Congresso del Pcus)[8]
  • Speriamo che il compagno Eltsin non abbia perso del tutto la ragione. L'idea di creare un esercito russo è una provocazione. È come aggiungere dinamite in una situazione già esplosiva.[9]
  • Boris Eltsin non sfida soltanto i massimi organi del potere dell'Urss, ma aggiunge ulteriori elementi di contrasto, specula sulla tensione che esiste nel Paese. Io condanno questo modo di agire come un atto deliberato che incita allo scontro. Questo deve essere respinto e condannato.[9]
  • [Sulla guerra del Golfo] Gli avvenimenti nel Golfo tendono chiaramente ad estendersi e questo e molto pericoloso. Dobbiamo fare di tutto per impedirlo.[10]
  • [Sulla guerra del Golfo] Non possiamo permettere che la situazione precipiti nel massacro di soldati americani, iracheni e, soprattutto, di civili. E proprio questo sta per accadere.[10]
  • [Sul putsch di agosto] C'è stato un vero e proprio tentativo di golpe militare, organizzato da forze reazionarie, dal nucleo dell'autorità statale, persone che io avevo nominato, in cui avevo fiducia, non solo hanno partecipato, ma hanno organizzato il colpo di Stato.[11]
  • Ritengo di dover mantenere la mia fedeltà all'idea socialista.[12]
  • Il Paese che ha bloccato la strada ai golpisti ha chiaramente dimostrato così il proprio impegno a continuare le riforme democratiche com'era stato chiesto.[12]
  • Il nostro obiettivo deve essere un mondo senza armi nucleari.[13]
  • [Su Robert Maxwell] Ha dato un contributo notevole alla cooperazione fra i popoli e i Paesi in una sfera così importante come l'editoria e l'informazione in generale.[14]
  • Non tornerò indietro. Non parteciperò alla dissoluzione dell'Unione... questa disintegrazione costerà cara ai nostri popoli, ai popoli del mio Paese, ai popoli di tutta l'Europa, e ciò che avviene in Jugoslavia sembrerà uno scherzo al confronto.[15]

Prima conferenza stampa dopo il putsch di agosto, La Stampa, 23 agosto 1991

  • Mi trovavo nel mio studio, stavo lavorando. Ho preso il telefono per parlare con Mosca e mi sono reso conto che era isolato. Allora ho capito. Sono andato in un'altra stanza, ho cercato di telefonare con la linea interna agli adulti della mia famiglia, a mia moglie, a mia figlia e a mio genero, e ho detto loro che cosa stava accadendo. Acoltavano con molta serietà. Mi ero reso conto che si poteva trattare di tutto, di qualsiasi cosa, insomma. Ho detto a mia moglie e a mia figlia che se fosse stata una questione politica avrei continuato a mantenere la mia posizione, non avrei ceduto a nessun ricatto. Ho pensato che fosse utile dire questo ai miei cari, era necessario che lo sapessero. Mia moglie e mia figlia hanno risposto che questa decisione spettava solo a me e che loro l'avrebbero rispettata. Così è finito il consiglio di famiglia.
  • Mi hanno proposto un ultimatum: avrei dovuto passare i poteri al vicepresidente. Prima di rispondere ho chiesto: ma chi ti ha mandato? Risposta: «Il comitato». Quale comitato? «Il comitato speciale». Chi ha creato questo comitato? Io non l'ho creato, il Soviet supremo neanche. Dunque? Queste persone non possono riunirsi e decidere senza un decreto del presidente. "Allora o voi fate questo decreto e rimanete qui oppure dovete cedere i poteri al vicepresidente". [...] Ho risposto che conosco meglio di tutti loro la situazione nel Paese. Ho aggiunto: voi e chi vi ha mandato, siete degli avventurieri, volete distruggervi, andate pure al diavolo, questi sono affari vostri.
  • Volevano distruggere me e la mia famiglia e anche chi era con me. Invece il risultato è stato che mi sono reso conto di tutta la loro vigliaccheria. È stata veramente una vigliaccheria ed una perfidia.
  • [Su Gennadij Ivanovič Janaev] Avevo scelto quella persona come vicepresidente, è stato un errore da parte mia e non è stato il mio unico errore, adesso me ne rendo conto. Lo dico sinceramente, sì, ho sbagliato.
  • Se mi domando che cosa ha motivato queste persone posso dire che si tratta di uomini che probabilmente sul piano psicologico sono deboli, esposti alle tentazioni o non vogliono i cambiamenti o hanno paura dei cambiamenti.
  • Brandt merita l'appellativo di democratico con la D maiuscola.[16]
  • [Sulla Sinfonia n. 5] Ebbi la percezione che la musica di Mahler in qualche modo rifletteva la nostra situazione: la perestrojka con tutte le sue passioni e le sue battaglie. Ero andato al concerto con l'idea di rilassarmi, ma non mi fu possibile. Quello che provai fu una totale immersione nella musica. Fu una specie di rivelazione.[17]
  • [Sull'Italia] Da voi non esiste un problema nazionale quanto, piuttosto, un problema di rapporti tra sud e nord. Si tratta, ovviamente, di una questione che spetta agli italiani affrontare e risolvere. Io posso offrire la mia esperienza come riflessione. Quando, ricordate, ad un certo punto dissero che bisognava liberarsi di tutte le repubbliche e saremmo diventati tutti ricchi. Ecco, sento che nel vostro Nord si dice di volersi liberare della Sicilia e di qualche altra regione meridionale per poi vivere meglio.[18]
  • [Su Aleksandr Isaevič Solženicyn] È un grande scrittore, non v'è dubbio. Ma mi sembra che non sappia bene come stiano le cose adesso. Ha vissuto troppo tempo fuori dal paese. Veniamo dalla stessa regione, io da una famiglia di contadini poveri, lui da benestanti che parecchie decine di anni fa avevano già la Rolls Royce. Capisco perché va dicendo certe cose.[18]
  • Noi ci siamo brutalmente staccati dalla nostra storia recente, privando di significato la vita di milioni e milioni di persone, dei nostri nonni, dei nostri genitori, che hanno lavorato con onestà, credendo sinceramente in un felice futuro. Abbiamo bollato come barbara una grande rivoluzione qual è stata senza dubbio quella di Ottobre. È vero che dopo il 1917, in una situazione di regime totalitario, ci fu non poca barbarie. Ma, pur giudicandolo, non è ammissibile respingere con ignoranza e senza appello un fatto storico.[19]
  • All'inizio anche Hitler era sottovalutato e ridicolizzato come Zhirinovskij.[20]

Intervista di Walter Veltroni e Sergio Sergi, L'Unità, 24 gennaio 1993

  • Io non rinuncio alla scelta compiuta nel 1985, in questa Russia che ha attraversato tante fasi di sviluppo, ha dimostrato un grande amore per la libertà ma dove è mancata anche una tradizione di funzionamento delle istituzioni democratiche. E ciò prima e dopo la rivoluzione.
  • Se fosse proseguito il processo democratico avviato dalla rivoluzione borghese del febbraio 1917, si sarebbe aperta un'altra strada. Invece, questo processo di sviluppo democratico è stato interrotto.
  • Il mio compito era quello di salvaguardare quel processo, contenere i cowboy di sinistra e i fondamentalisti di destra e portare oltre Scilla e Cariddi il processo della trasformazione rivoluzionaria.
  • Ci sono quindici Stati nuovi ma c'è un Paese malato, un Paese lacerato che resiste e continua ad essere vivo. E non è solo un'immagine. Se la rottura fosse stata totale, saremmo in pieno collasso.
  • Il guaio dei politici odierni è che attaccano da posizioni estreme. Io, per esempio, i democratici ormai li definisco tra virgolette perché non posso considerare democratico un potere che in un anno ha condotto l'ottanta per cento della popolazione sulla soglia della povertà.
  • Il ruolo dell'opposizione è insostituibile perché non lascia dormire tranquilli quelli che governano.
  • I privilegi del Pcus sfumano al cospetto delle ruberie di adesso.
  • Quando Eltsin ha cominciato a firmare il decreto sullo scioglimento del Pcus, io gli dissi: «Lei non può vietare il partito, lei può solo colpire le strutture del partito che hanno collaborato. Non si può lanciare un'accusa contro diciotto milioni di comunisti con un decreto».
  • Son certo che Clinton non compirà l'errore di immaginare una direzione americana sul mondo intero. Non servirebbe né agli americani, né al mondo.
  • Mi piace in particolare che il presidente Clinton sia uscito da una vera scuola di vita, è un «self-made man»; non è semplicemente il discendente di una famiglia benestante che si è visto servire le uova ben fritte al tegamino.
  • Ricordo i discorsi di Berlinguer, molto pacati, pronunciati con una voce piana, come se fosse una conferenza oppure un seminario. Non c'erano esclamazioni ad effetto ma si avvertiva una grande carica intellettuale.

Sulla crisi costituzionale russa del 1993, La Stampa, 5 ottobre 1993

  • I tremendi e tragici sviluppi della situazione a Mosca sono la conseguenza logica e inesorabile della follia che ha guidato i comportamenti di entrambi i contendenti.
  • Il Presidente ha creato le premesse per la crisi con le sue pretese di gestione personale del potere. I suoi avversari hanno condotto il confronto fino all'irresponsabile decisione di assaltare il Comune di Mosca e la televisione centrale Ostankino, in questo modo ponendosi fuori della legalità di cui loro stessi si erano dichiarati difensori, e che anzi avevano innalzato come bandiera e come suprema giustificazione della loro resistenza. Gli oppositori del Cremlino hanno reso in tal modo il peggiore dei servigi al popolo russo, tradendo proprio la legalità. E hanno fornito un pretesto al Presidente per regolare definitivamente la partita con loro.
  • Il pericolo è ora quello dell'euforia della vittoria. Che faccia dimenticare le ragioni di fondo, i problemi reali (e non quelli fittizi della contrapposizione tra Parlamento e Presidente) delle condizioni di decine di milioni di russi, dentro e fuori i confini della Russia attuale.

Intervista de La Stampa, 13 dicembre 1994

  • [Sulla prima guerra cecena] La guerriglia non si combatterà nella capitale ma sulle montagne. E non solo sulle montagne della Cecenia ma in tutto il Caucaso del Nord. E non c'è esercito di occupazione che possa vincere una guerra del genere, perché mai un esercito regolare è riuscito a vincere contro un popolo.
  • Solo ignorando la storia del popolo ceceno e dei popoli del Caucaso in generale si poteva inviare l'esercito.
  • Tutto ciò che succede è un gran male per la Cecenia, ma è anche un gran male per la Russia intera. Le ripercussioni di questo intervento giungeranno presto fino a Mosca, destabilizzandone gli equilibri già precari.
  • Penso che la reazione degli altri Paesi dell'ex Unione Sovietica è molto diversa e esplicitamente negativa. Non perché appoggino la rivendicazione d'indipendenza di Dudaev, ma perché sono spaventati e resi inquieti da una Russia che agisce in modo così platealmente imperiale.

Intervista di Aldo Cazzullo, La Stampa, 12 marzo 1995

  • Sei deluso da una società che si chiamava socialista, ma era una dittatura.
  • La nostra letteratura e la nostra musica hanno attraversato tutti i dispotismi, sono sopravvissute agli zar e ai bolscevichi. Il materialismo non fa per noi. Nel nostro carattere ci sono gli spazi immensi della Russia.
  • L'Italia è una grande democrazia. Nel vostro Parlamento risse non se ne sono mai viste...
  • L'Occidente ha raggiunto l'apice della sua civiltà politica. L'Italia no, sta ancora sperimentando.
  • [Sulla mafia russa] La mafia nasce dal modo sbagliato con cui avvengono le privatizzazioni. È penetrata nel sistema.
  • Avrei dovuto introdurre prima l'economia di mercato. Legarmi di più ai democratici. Ma ricordate cos'era la Russia prima di me? Si beveva un mare di vodka negli anniversari dell'Ottobre, ci si ripeteva: tutto va bene. E il Paese languiva e taceva. A chi è lungimirante capita di essere considerato un eretico. Per fortuna non c'è più il rogo. E eccomi qui.

Intervista di Enzo Biagi, Giulietto Chiesa, Demetrio Volcic e Alain Elkann, La Stampa, 13 marzo 1995

  • Ero prigioniero nella dacia in Crimea, durante il golpe d'agosto. Mi minacciarono di farmi sparire se non firmavo i loro decreti. Ma io capivo che in quelle 72 ore si giocava il destino del mio Paese, e preferivo una bella morte alla vergogna di un cedimento.
  • L'altro brutto momento è stato all'inizio della mia presidenza: quando limitai la vendita della vodka. Allora a Mosca circolava una barzelletta. C'è una fila di tre chilometri fuori da un negozio di vodka. Pazzo di rabbia, un uomo urla: vado al Cremlino, prendo Gorby e lo ammazzo. Dopo mezz'ora ritorna. La gente chiede: "Ce l'hai fatta?". E lui: "Macché. La coda per ammazzarlo è ancora più lunga di questa.
  • Io non sono di quelli che portano i ceri nelle processioni. Ma sono un democratico nell'animo. Lo ero prima ancora di sapere cosa volesse dire la parola democrazia. E credo che la politica debba volere bene alla gente. Per questo la mia prima riforma è stata il ripristino della libertà religiosa, perché ognuno potesse realizzare la sua fede, diventare se stesso.
  • La Russia ha conosciuto una forma perversa del comunismo. Ma il comunismo ha in sé grandi idee, condivise anche dalla dottrina cristiana: la solidarietà, la giustizia sociale, l'uguaglianza. Voi italiani siete forse contrari alla giustizia sociale? Non siete solidali fra di voi?
  • [Sulla crisi costituzionale russa del 1993] In Russia sono tornati i bolscevichi. Non fucilano più gli oppositori, ma si comportano come cow-boy: l'attacco al Parlamento lo ha dimostrato. Per colpa loro sono crollate la moneta, la produzione industriale, la sicurezza; soprattutto, si sono lacerati i rapporti umani.

Intervista in 30 Giorni, n. 10 - 1998

  • [Su Papa Giovanni Paolo II] Lui è stato, e rimane, una persona che è uscita anche al di fuori della sua propria missione spirituale. Non è stato fermato né dagli attentati contro di lui né dalle minacce. È stato sempre un fermo e convinto difensore delle idee dell’umanesimo. È stato un grande umanista.
  • Certo, lui usciva dalla sfera spirituale, a volte parlava come un politico. Ma più che del politico, direi, spesso ricopriva il ruolo del profeta.
  • Non c'era tra noi un rapporto come tra maestro ed alunno. C'era invece una grande comprensione e coincidenza di opinioni, una stessa visione del mondo e gli stessi pronostici.
  • C'era qualcosa tra noi, non lo voglio tenere nascosto, qualcosa come un filo invisibile, un "filo slavo", impercettibile, ma era presente. E questo certamente rende i nostri rapporti più umani.
  • La malizia è una delle caratteristiche dell'intelligenza.
  • Non so quale altro popolo sarebbe capace di sopportare ciò che sopporta il popolo russo. I russi vogliono vivere in un Paese libero, non vogliono tornare al dominio del comunismo, così come non vogliono Eltsin e ne richiedono le dimissioni.

Intervista in La Stampa, 22 gennaio 1998

  • [Su Papa Giovanni Paolo II] Io vedo in lui un umanista, che ha compreso a fondo, molto a fondo, le tragedie del comunismo, le ragioni della sua degenerazione. Ma anche un uomo che ha capito molto bene la realtà di un certo capitalismo, la sua brutalità, la sua vuotezza, il cui materialismo pratico non è affatto migliore del materialismo filosofico di una certa interpretazione del marxismo.
  • Si misura tutto in termini di chi ci guadagna e quanto ci guadagna, di chi vuole giocare chi, di chi deve vincere e chi deve perdere. Io invece penso che, non appena si guardino le cose con occhi sgombri dalle ragnatele del passato, si possa vedere un grande avvenimento...
  • [Sulla Cuba] La loro è stata una rivoluzione vera, vissuta dalla gente, appoggiata, compresa. Un atto di liberazione collettiva nei confronti di un regime corrotto e brutale, non un colpo di Stato. Io ho visto grandi conquiste sociali realizzate dalla direzione politica di Fidel Castro. Ignorarle o tacerle sarebbe offendere la verità.

La Stampa, 15 ottobre 1998

  • Sì, all'epoca Giovanni Paolo II aveva criticato spesso - e critica ancora oggi - il cosiddetto sistema comunista (anche se preferirei chiamarlo pseudocomunista, in quanto si è solo appropriato il nome) e il modello sociale antiumano che incarnava. Il Papa lo conosceva non per sentito dire: ci aveva vissuto. Ma questa presa di posizione non gli ha impedito di ricordare, ormai nei giorni nostri, che anche questo modello aveva aspetti positivi, inanzitutto sociali.
  • Era privo di legami a queste o quelle ideologie o partiti. Predicava il rispetto verso l'Uomo, servendo la giustizia.
  • Sua Santità si schiera sempre per una soluzione politica, umana. Crede profondamente nella possibilità di una tale soluzione e io condivido pienamente questa fede.
  • Non è compito di Eltsin decidere il suo successore. Questo è ridicolo. In democrazia questa è prerogrativa del popolo.[21]

Intervista di Giulietto Chiesa, La Stampa, 3 gennaio 2000

  • La tv li aveva mostrati tutti in piedi, acclamanti Putin, in un'atmosfera di unanimità forzata che mi ricordava i tempi sovietici. Tutto ciò mi confermava che stavano maturando in fretta novità.
  • Il regime non cambia, non ci sarà lotta alla corruzione, gli interessi e i privilegi dell'oligarchia saranno tutelati in pieno. Se continua così Vladimir Putin vedrà presto logorarsi i suoi margini di popolarità, perché la gente capirà che è stato un trucco. E il gioco diverrà scoperto.
  • Dopo quello che abbiamo visto in questa campagna elettorale e in questa conta dei voti, pensare a elezioni libere e oneste in Russia è semplicemente ridicolo.
  • [«Quanto durerà la guerra di Cecenia?»] Putin è il primo a sapere che in caso di sconfitta, o anche semplicemente di non vittoria, la sua posizione potrebbe rapidamente peggiorare. Dunque farà di tutto per vincere, a tutti i costi, non importa con quanti morti.

Intervista di Giovanni Cubeddu, 30giorni.it, aprile 2000

  • Se io non avessi iniziato la perestrojka probabilmente avreste davanti a voi ancora oggi il segretario del Pcus!
  • Alla Russia probabilmente, oltre alla necessità di conservare l’attaccamento a libertà, democrazia, mercato e apertura, servirà anche l’introduzione di qualche elemento autoritario. Perché ci sono dei problemi molto complessi...
  • Se Putin avesse le riforme in tasca, darebbe maggiore ascolto alle richieste della Chiesa cattolica. Ma se non riuscisse a liberarsi dall’abbraccio ingombrante di coloro che lo hanno eletto, allora dovrà tenersi stretto all’Ortodossia russa, non potrà permettersi aperture.

Intervista di Fiammetta Cucurnia, la Repubblica, 1 aprile 2000

  • Vladimir Putin è un uomo freddo e concreto, un uomo capace di capire, analizzare e gestire le situazioni. Anche le più difficili.
  • Putin arriva al potere in un momento di acuto e profondo distacco tra il vertice e la società. Una vera e propria crisi di fiducia. In questo senso si può dire che perfino l'affluenza alle urne, che è stata relativamente alta, rappresenta un evento stupefacente. Perché questo sia accaduto bisogna ancora capirlo. Ma io oggi penso che Putin sia in grado di fare le mosse giuste.
  • Solo gente irresponsabile può affermare oggi che dalla Russia viene un pericolo o una minaccia per la sicurezza degli altri paesi, vicini o lontani. Il fatto che un leader russo si proponga di riorganizzare la difesa del paese non solo non è scandaloso, ma è doveroso. Inoltre io mi domando perché gli Stati Uniti debbano orgogliosamente mantenere il monopolio della vendita delle armi in tutto il mondo, mentre ogni volta che la Russia tenta di affacciarsi sul mercato che loro controllano si grida allo scandalo.
  • [Sulla prima guerra cecena] Furono Eltsin e i suoi uomini a consegnare le armi a Dudaev, violando tutte le leggi e creando un buco nero nel corpo della Russia da cui fuoriusciva ogni tipo di bruttura, dalle macchinazioni finanziarie alla droga e al banditismo. Mosca e il Cremlino usarono la Cecenia ai propri fini, per il potere, e quando questa uscì dal loro controllo scatenarono la guerra. E la perdettero.

Intervista di Fiammetta Cucurnia, la Repubblica, 16 maggio 2000

  • Forse Putin non ha una grande esperienza, ma è un uomo che impara in fretta. Il suo tempo non è ancora scaduto. Per ora va con la corrente e, al di là delle apparenze, non ha ancora fatto la sua scelta. Dobbiamo aiutarlo, perchè presto sarà costretto a farla.
  • Io super-consigliere di Putin? Ma per carità. Nessuno me lo ha proposto e del resto come potrei accettare un incarico del genere? Io sono stato il Presidente dell'Urss. Il che non significa che se mi si chiedesse un consiglio non sarei ben lieto di darlo, nell'interesse del mio paese.
  • Io gli ho detto, ancora una volta, che lo sostengo e lo sosterrò, finchè sarò d'accordo con lui. Qualora la sua politica dovesse andare contro gli interessi del paese, allora lo dirò, perché non posso mentire.
  • Le cose in Russia vanno così, da sempre: lo zar dà il segnale e i sudditi si allineano.
  • Quando si erigono i monumenti, in un certo senso si passa una mano di bianco su tutto ciò che è veramente stato, inclusi gli errori e le mostruosità. E alla fine questo può portare a pesanti conseguenze politiche.
  • Il gruppo Most è stato accusato di aver infranto la legge. Ammettiamolo pure. Ma allora si sarebbe dovuto ricorrere ai giudici, e non certo lanciare un assalto simile, come quelli di Ivan il Terribile. È chiaro che siamo di fronte a una provocazione bella e buona per spaventare, mostrare chi comanda e dare un esempio agli altri mezzi d'informazione, perché chiudano il becco. Probabilmente non è stato Putin in persona a dare quest'ordine, ma certamente l'amministrazione presidenziale ne è responsabile.
  • Sta di fatto che al momento attorno al Presidente ci sono ancora gli stessi personaggi che hanno fatto la minestra e cucinato il pranzo avvelenato negli ultimi anni, come Voloshin, ad esempio. Ma finchè non avrà una squadra di cui fidarsi e a cui far riferimento, le cose saranno molto difficili per lui.
  • [Su Michail Michajlovič Kas'janov] Su di lui la stampa ha pubblicato molti articoli in passato dove veniva accusato di aver preso parte ad affari alquanto dubbi, con tanto di fotocopie, documenti e firme. Mai nulla è stato smentito da alcuno e così a Mosca tutti lo chiamano "Misha 2%", (Michelino 2%), come la sua percentuale. Non mi pare un buon inizio, anzi credo che sia un grave errore ricorrere a persone implicate in vicende che scottano e nella corruzione.
  • Ancora oggi non partecipo mai alle feste di Indipendenza delle varie repubbliche ex sovietiche, dove vengo regolarmente invitato. Non ci vado, perché non capisco cosa ci sia da festeggiare.[22]
  • Il paese è stato scientemente ingannato, ha pagato e continua a pagare per questo. Io voglio cercare di essere il più possibile obiettivo. E perciò dirò che nell' enorme baratro di miseria e distruzioni che abbiamo davanti c' è anche qualche aspetto positivo: ci resta un grande potenziale intellettuale; abbiamo ancora enormi risorse nonostante gli sperperi e le ruberie; abbiamo assaporato il gusto della libertà e della democrazia e della libera impresa, che sono la premessa per tirarsi su. Ma il prezzo pagato è stato davvero troppo alto, incommensurabile.[22]
  • Mi sembra chiaro che l'avvicinamento della Russia alla Nato riduce, in primo luogo, l'impatto negativo che produrrà l'allagamento della Nato ormai in corso e che, a novembre di quest'anno, vedrà probabilmente l'ingresso nell'Alleanza di un nutrito gruppo di stati dell'est e centro-europei, cui si aggiungeranno le tre repubbliche baltiche. Se questo allargamento avvenisse a prescindere dalla Russia, o contro la Russia, esso sarebbe un fatto negativo che traccerebbe una nuova linea divisoria in Europa, spostata più a Nord e a Est, ma sempre divisoria.[23]

Sulla crisi del teatro Dubrovka, La Stampa, 30 ottobre 2002

  • Molto resta ancora da chiarire, ma l'accaduto è una tragedia anche per l'Europa e per il mondo intero. Una tragedia che può essere paragonata a quella che colpì il mondo l'11 settembre 2001.
  • Ho già detto che i problemi del mondo contemporaneo sono grandi e irrisolti. Ma non si può accettare che essi vengano affrontati con violenza, tantomeno con il terrorismo, quando a soffrirne sono innocenti. In questo modo i problemi non solo non ottengono una soluzione, ma si radicano ancora più profondamente.
  • Prima di tutto dobbiamo guardare alle aree, troppo vaste, di miseria, fame, sete e malattie. Se si perde di vista tutto ciò, l'idea di sconfiggere il terrorismo con puri mezzi militari si rivelerà insufficiente e inefficace.
  • Nelle condizioni estreme in cui si è svolta la tragedia, il presidente Putin ha agito con sangue freddo e responsabilità. So personalmente che gli è costato molto. Ma non poteva accettare una richiesta di capitolazione che era comunque impossibile da soddisfare.
  • Gli ostaggi non ricevevano cibo né acqua, non potevano muoversi, nemmeno usare il bagno. Non potevano comunicare, sempre sotto tiro dei kalashnikov in un locale farcito di esplosivo che avrebbe potuto sterminare tutti, ostaggi e terroristi. Che per giunta rinnovavano le loro minacce di fucilare i prigionieri se non fossero state soddisfatte le loro richieste.
  • Mi sono già chiesto se a qualcuno all'estero non facesse comodo che la Russia non uscisse mai dal pantano ceceno.
  • [Su Putin durante la seconda guerra cecena] Ciò che lui sta tentando di fare è, più o meno, quello che occorre. Ma non funziona.[24]
  • [Sull'Iraq] L'ho già detto: si deve costruire in quel Paese una "pace araba" inviando, cioè, forze di pace che appartengano a nazioni islamiche.[24]

La Stampa, 4 settembre 2003

  • È noto che la Russia, insieme alla Francia e alla Germania, si era opposta con decisione ad un intervento militare straniero sul territorio iracheno senza una legittimazione internazionale adeguata. Questa legittimazione poteva venire soltanto dal Consiglio di Sicurezza e, com'è noto, non vi fu. Non vi fu perché gli Stati Uniti preferirono agire da soli, in compagnia della Gran Bretagna, ignorando gli appelli alla prudenza e al rispetto della legalità internazionale. Ora è del tutto evidente che l'intervento in Iraq, sotto l'etichetta dell'esportazione della democrazia, non ha condotto ad alcun risultato - salvo il rovesciamento di Saddam Hussein - e minaccia di trasformarsi in una catastrofe politica, militare, umanitaria.
  • La cacciata di Saddam non ha chiuso la partita con gli iracheni e la situazione nel paese si è ormai trasformata in un miscuglio esplosivo di guerriglia e di terrorismo.
  • C'è chi pensa [...] che gli Stati Uniti hanno fatto la frittata e tocca a loro, adesso, fronteggiarne le conseguenze. Ma una tale posizione non può essere considerata accettabile. Chi pagherebbe sarebbe il popolo iracheno, incolpevole, come già è accaduto negli undici hanno di embargo che hanno preceduto la guerra.

Intervista di Giulietto Chiesa, La Stampa, 12 ottobre 2003

 
Gorbačëv con Giovanni Paolo II
  • Nella storia della Chiesa ci sono stati pochi Papi così longevi come Giovanni Paolo II, e così importanti: per avere attraversato un'intera epoca di eccezionali cambiamenti non da spettatori ma da protagonisti.
  • La sua critica dell'assenza di libertà individuali nel sistema politico sovietico fu giusta. Io stesso, che pure vi ero nato e cresciuto, ero giunto a conclusioni analoghe e, proprio per questo, mi ero impegnato a riformarlo. Ma c'è sempre, nelle parole di questo Papa, una sincerità e una coerenza che non si trovano in altri critici di quel comunismo: cioè Giovanni Paolo II denuncia la mancanza di libertà dovunque si manifesta, nel comunismo, ma anche nel capitalismo. Per questo è stato osteggiato e criticato dalle potentissime congreghe dei vincitori della guerra fredda.
  • Credo che questo Papa, che pure ha tratti di totale intransigenza, sia al fondo un politico realista. Richiamare l'attenzione del mondo sui suoi problemi più urgenti, improcrastinabili, è realismo e lungimiranza. Cosa ben diversa dal realismo di piccolo respiro dedicato a chiudere le falle e a risolvere meschini interessi di breve momento. La sua attenzione al Terzo Mondo, al debito che lo schiaccia in misura crescente, ne è la prova.
  • Dopo il 1989 ci siamo incontrati più volte e, ogni volta, ho avuto la conferma che l'uomo che avevo di fronte aveva una chiara consapevolezza della drammaticità delle sfide del mondo contemporaneo. Fin dal primo contatto provai fiducia, istintivamente. E credo che sia stata una comprensione reciproca. Certo siamo diversi, con percorsi di vita che più diversi non potrebbero essere, eppure - e questo non cessa di stupirmi - siamo giunti agli stessi approdi nel giudizio sull'uomo. Forse, chissà, in questa convergenza gioca il fatto che entrambi siamo uomini dell'Est.
  • Certo, la striscia di sangue sembra infinita, sia in Cecenia che a Mosca. Ma una soluzione militare non è praticabile. La forza ha dimostrato di non potere imporsi in alcun modo.[25]
  • [Sulla guerra in Iraq] Washington deve capire alcune cose, assolutamente. In primo luogo di avere fatto un grande errore, di avere cominciato una guerra senza senso e senza prospettive. Le armi di distruzione di massa non c'erano. È vero che Saddam Hussein è stato abbattutto. Ma non è meno vero che la situazione è peggiorata. Il terrorismo non solo non è stato debellato ma è cresciuto e si è moltiplicato. E, del resto, molti misero in guardia -inascoltati - che non si combatte comunque il terrorismo con guerre contro paesi sovrani. Il terrorismo non ha territorio. È stupido bombardare un territorio perché il terrorismo è in casa nostra. Finirà che ci dovremo bombardare da soli.[26]

La Stampa, 2 aprile 2004

  • Con lo scorrere del tempo diventa sempre più evidente che i problemi centrali del pianeta non si possono più affrontare con i vecchi metodi, con la vecchia politica che ha caratterizzato i tempi della guerra fredda e che, per nostra comune sventura, non è quasi mutata con la fine dell'esperienza sovietica, la caduta del muro di Berlino.
  • Sebbene gli Stati Uniti e i loro alleati abbiano intrapreso azioni per combattere il terrorismo, esso non si è affatto ridotto, si è anzi esteso in tutte le direzioni. Segno che l'azione repressiva, anche quando è fatta nei modi giusti, non conducendo cioè guerre contro Stati (come è avvenuto nel caso afghano e in quello iracheno), non è sufficiente.
  • Io condivido la tesi di Giovanni Paolo II che un nuovo ordine mondiale dev'essere più giusto e umano di quello attuale, altrimenti non sarà un nuovo ordine mondiale.
  • L'esportazione della democrazia dell'Occidente sta producendo in giro per il mondo un crescere della sfiducia verso la democrazia. Cresce il numero di coloro che pensano che, per risolvere qualche cosa, occorrano soluzioni autoritarie. Predichiamo la libertà, ma siamo intolleranti. Combattiamo i fondamentalismi, ma stiamo diventando sempre più fondamentalisti noi stessi, nella pretesa che i nostri valori debbano essere obbligatoriamente condivisi da tutti.
  • [Sulla guerra in Iraq] Quella guerra è stata un errore con conseguenze disastrose. Purtroppo assistiamo a tentativi di prolungare l'errore, invece che a ripararlo.

La Stampa, 7 giugno 2004

 
Gorbačëv con Reagan nel 1985
  • [Su Ronald Reagan] Sapevo perfettamente che mi sarei trovato di fronte un uomo di idee profondamente conservatrici, perfino reazionarie. Eppure mi resi conto assai presto che era un uomo lineare, senza fronzoli e senza trucchi.
  • Reagan era consapevole che il mondo intero stava correndo gravissimi pericoli e che una guerra nucleare era possibile. Per questo non si tirò indietro di fronte al problema di mettere fine alla guerra fredda.
  • Fu un Presidente di grande statura, dotato di coraggio e inventiva. Non so come altri leader avrebbero reagito di fronte a una situazione così difficile come quella che egli dovette affrontare.

La Stampa, 3 luglio 2004

  • In primo luogo io credo che l'Europa possa vantare una grande, unica esperienza politica. Esperienza tanto gloriosa quanto dolorosa. Ci sarà bisogno di entrambe le cose nel mondo a venire. In secondo luogo c'è la ricchezza delle sue diversità, che ne fa un laboratorio mondiale per la creazione di un vaccino potente contro il virus dello «scontro di civiltà». In terzo luogo essa può offrire l'esempio prezioso del proprio processo di unificazione. E la sua forza, che è stata capace di soverchiare la cortina di ferro e il muro di Berlino.
  • L'Europa non ha armate, ma non sono le armate quelle che servono per affrontare i problemi del mondo contemporaneo. I missili non possono produrre acqua e aria pulita. E, per quanto concerne il terrorismo, l'Europa l'ha conosciuta da sempre.
  • Per l'America, specie dopo l'11 settembre, il terrorismo è un'aggressione dall'esterno, un incubo simile a una nuova Pear Harbor, che dev'essere spezzato con i bombardamenti, con la guerra preventiva. Per gli europei - che non solo vivono da sempre fianco a fianco con il mondo musulmano, ma che anzi l'hanno già all'interno dei loro confini - il terrorismo costituisce una malattia sociale, che minaccia la stabilità politica e acute crisi interne. Essi sanno che non lo si può curare solo con la forza, poiché in questo modo si va direttamente allo scontro di civiltà sognato dagli estremisti.
  • Come le radici del terrorismo non si possono tagliare con le armi e la tecnologia militare, così la democrazia non può essere impiantata mediante corpi di spedizione. Non è una merce di esportazione, con la quale aprire di forza mercati in altri continenti. La democrazia non è nemmeno il vestito della festa, che s'indossa a casa propria ma che si può togliere, sostituendolo con la divisa militare quando si va all'estero, magari quando si va all'estero, magari per installare zone al di fuori delle leggi.
  • L'esperienza europea dice che la pace sociale, in ogni società, non è meno importante della sicurezza nazionale.

Intervista di Fiammetta Cucurnia sulla strage di Beslan, la Repubblica, 7 settembre 2004

  • Siamo stati colpiti al cuore. La tragedia ci ha travolti, lasciandoci annichiliti. Molte domande restano ora sospese, in cerca di una risposta. E nuove inquietudini si aggiungono alle vecchie. Dietro la strage dei bambini di Beslan, intuisco interessi che vanno al di là dei suoi esecutori materiali e di chi li ha finanziati, ma in qualche modo toccano anche l' Occidente.
  • Le radici di tutto questo odio sono ancora ben visibili e solo una scelta definitiva a favore del negoziato che abbandoni la via della guerra potrà portarci a una soluzione. Non faccio fatica a dire che gran parte della responsabilità di quel che sta accadendo oggi ricade sulle spalle di Boris Eltsin. [...] Fu lui, col suo entourage, a sostituire l'intero gruppo dirigente, portando alla guida della repubblica il generale Dudaev. Una personalità di tutto rispetto, un uomo che fu a capo delle divisioni dei bombardieri strategici sovietici. Ma nel caos che seguì il golpe di agosto del 1991, accaddero due cose fatali: da un lato Eltsin offrì indipendenza e autonomia alle repubbliche; dall'altro all'interno della Cecenia si misero in moto dei meccanismi ingovernabili che la trasformarono in un buco nero, una terra di nessuno battuta da criminali e contrabbando. Il che spaventò il Cremlino. In quel momento c'era ancora spazio per la politica, la trattativa era possibile. «Eltsin e Dudaev si conoscevano bene, si scrivevano lettere. Quando la Russia lanciò l'ultimatum, io parlai al telefono con Dudaev. Mi disse: "L'aspetto a braccia aperte, la Cecenia resterà sempre in Russia". Mi offrii per gestire il negoziato. Ma Eltsin non avrebbe mai permesso che il suo rivale Gorbaciov potesse avere successo dove lui aveva fallito. Scelse la guerra.
  • Io non dico che Vladimir Putin sia perfetto. Ad esempio trovo inaccettabile il controllo stretto a cui vengono sottoposti i giornali. Anche in questi giorni di tragedia, le notizie mancavano. E non perché i nostri giornalisti non sappiano fare il loro lavoro e non siano in grado di raccoglierle. Penso che non potessero scriverle. Penso anche però che Putin abbia un grande merito: lentamente, faticosamente, sta risollevando il paese dalle macerie, lo sta tirando fuori dal caos per restituirlo a una vita normale. Per questo credo che in certa misura l'assalto di Beslan fosse diretto proprio contro di lui. Intuisco che non solo i ceceni, non solo gli esecutori materiali di questo attentato e chi li finanzia, ma anche qualcuno in Occidente ha interesse a destabilizzare il Cremlino. A qualcuno la Russia fa ancora paura e ritiene che debba continuare a marcire in questa palude.
  • Non riesco a capire come sia possibile che una scuola venga infarcita di esplosivi senza che nessuno se ne accorga. Dov' erano i servizi? E che cosa stavano facendo? Le conclusioni andranno tratte.

La Stampa, 9 settembre 2004

  • La guerra insensata cominciata nel 1994 da Boris Eltsin e dai suoi consiglieri ha portato conseguenze tragiche non solo ai ceceni e al Caucaso, ma a tutta la Russia.
  • Una trattativa con la cessazione del fuoco e del terrorismo non sarà agevole da raggiungere. Sappiamo che non tutti vogliono il dialogo, che esso ha nemici irriducibili, coloro per i quali la guerra è diventata un modello di vita e che sono indifferenti al destino del popolo ceceno come a quello della Russia.
  • [Sulla Strage di Beslan] Per quanto concerne gli eventi tragici di Beslan, molte cose non sono ancora chiare, la dinamica degli eventi non è stata rivelata. Ma è già evidente che non si è trattato di singoli errori, ma di un pesante fallimento dei servizi segreti russi. La catena del comando non ha funzionato, la situazione è sfuggita al controllo. Le conseguenze sono state catastrofiche. Fronteggiare il terrorismo a questo livello è inammissibile.
  • Il dolore ferisce sempre. Ma rende anche uniti. La gente è sconvolta, ma non si fa prendere dal panico. È pronta ad agire e a sostenere il presidente Putin e le misure che si renderanno necessarie. Ma è impossibile risolvere il problema combattendolo in un singolo Paese. Il terrorismo è un male globale. Per vincerlo bisogna essere uniti. Non a parole, nei fatti.

La Stampa, 22 ottobre 2004

  • Noi dobbiamo piegare la globalizzazione verso una rotta etica. Per fare questo dobbiamo creare nuove strutture e nuovi sistemi, che prevedano una governance umana e non solo tecnologicamente ineccepibile. È un'esigenza etica, e al tempo stesso profondamente realistica, se noi vogliamo evitare disastri sociali e ambientali di proporzioni mai viste prima d'ora. Poiché la povertà è solo in parte un'eredità della storia e, nei tempi in cui viviamo, non è più (o non dovrebbe essere) una fatalità.
  • Non è soltanto, infatti, il rapporto diseguale tra ricchi e poveri a mettere in forse la nostra stessa esistenza, ma anche quello, ormai precario, tra l'Umanità e la Natura che la circonda. È questo paradosso dei più tragici, poiché, in tal modo, con uno sviluppo insensato e senza limiti, noi stiamo infliggendo un danno a noi stessi e alle future generazioni.
  • Lo sviluppo di un popolo non deriva in primo luogo dal denaro, dagli aiuti materiali, dalle migliorie tecnologiche. Esso deriva innanzitutto dai valori. È l'uomo che deve stare al centro dello sviluppo, non il denaro o la tecnologia.

La Stampa, 8 novembre 2004

  • [Su George W. Bush] È apparso più in sintonia con la gente semplice, è stato più comprensibile, più immediato.
  • Non c'è dubbio che la linea seguita da Bush ha accentuato in tutto il mondo sentimenti antiamericani. Mi parrebbe sorprendente se il Presidente e i suoi più stretti collaboratori non l'avessero compreso.
  • La guerra in Iraq è stato il disastro politico e morale più grande, lasciando gli Stati Uniti praticamente soli, con un pugno di alleati assai ridotto.
  • Gli Stati Uniti - e l'Europa con loro - devono smettere d'avere paura che la Russia costruisca un altro impero. E la Russia, per parte sua, deve liberarsi dei timori nei confronti di chi le sta attorno. Chiediamoci: "cui prodest", a chi giova, la situazione attuale? Risposta semplice: a chi usa questo muro contro muro come mezzo per fare business o per rafforzare la propria posizione politica.[27]

La Stampa, 24 febbraio 2005

  • Se dovessi riassumere in poche parole il senso della perestrojka, direi che coloro che la promossero si proponevano di umanizzare e rinnovare il Paese: gradualmente, attraverso la democrazia, nell'ambito di una scelta socialista.
  • Credo si debba dire prima di tutto che la perestrojka fu una rivoluzione pacifica in senso anti-totalitario, realizzata in come degli ideali democratici e socialisti.
  • Il nostro punto di partenza fu che si potesse, e si dovesse, tornare alle origini del socialismo e liberare la società sovietica da quell'eredità. Cioè che ci si dovesse muovere verso un modello di «socialismo - come poi fu detto - dal volto umano».
  • Cento volte mi sono sentito porre questa domanda: ma era riformabile il sistema sovietico? Vi erano, anche tra gl'iniziatori della perestrojka, opinioni disparate al riguardo. E la domanda in un certo senso è aperta tutt'oggi. Ma io, dopo avere molto vissuto, molto riflettuto, sono giunto alla conclusione che non esistono in natura sistemi sociali non riformabili. Altrimenti non vi sarebbe progresso e sviluppo nella storia.
  • Riandando agli anni difficili della perestrojka io vedo che essi aprirono la strada sulla quale cominciarono a modificarsi le idee di milioni di persone, in cui si sprigionò una nuova energia, in cui si dimostrò che i popoli della Russia - per quanto fossero diversi gli uni dagli altri - potevano muoversi rapidamente verso una nuova prospettiva. Fu dato un potente impulso alla democrazia e alla libertà di pensiero.
  • I dogmatici temevano che noi volessimo passare al capitalismo. Noi cercavamo di spiegare che le trasformazioni in atto sarebbero avvenute all'interno della scelta socialista. Loro non capivano che l'allontanamento delle masse dalle idee del socialismo era avvenuto proprio perché il socialismo si era presentato ai loro occhi nella forma dello stalinismo.
  • In quei brevi sei anni furono raggiunti risultati senza precedenti in tutte le direzioni del disarmo nucleare strategico tattico. Il mondo intero trasse un sospiro di sollievo. Anche questo dimostra che gli spazi di trasformazione furono utilizzati ed ebbero successo. Stava cominciando a emergere, seppure tra mille difficoltà, una nuova idea del futuro comune, una nuova visione della convivenza, un altro livello, qualitativamente diverso del potere, dei rapporti tra i popoli, ma anche di quelli tra i popoli e i loro governanti. Un'idea più alta di democrazia, alla fine dei conti, strettamente connessa con un mondo liberato dalle armi di distruzione di massa e capace di progettare la pace.
    Sfortunatamente questa prospettiva è rimasta un progetto non realizzato. L'occidente preferì trarre vantaggi immediati dalla situazione che si era creata con la fine dell'Unione Sovietica. Forse soltanto adesso in Europa e perfino negli Stati Uniti si comincia a capire che sarebbe stato utile agire in modo più lungimirante.
  • Io sono convinto che l'esperienza della perestrojka e del nuovo modo di pensare è attuale anche oggi, nel momento in cui l'umanità si trova di fronte alle sfide della sicurezza, della povertà, della crisi del suo rapporto con la natura. La comunità mondiale può vincere queste sfide solo con un'azione comune e solidale.

Intervista di Giulietto Chiesa, La Stampa, 10 maggio 2005

  • Stalin ha dato un contributo rilevante alla vittoria contro il nazismo. Nello stesso tempo ha commesso errori gravi, ha reagito con ritardo e si fece prendere dal panico perché non si aspettava l'attacco. In precedenza aveva fatto uccidere decine di ufficiali e comandanti, indebolendo gravemente le nostre capacità difensive. È tragicamente vero che solo il coraggio di soldati e ufficiali riuscì a contenere l'offensiva tedesca, a prezzo di centinaia di migliaia di vittime. Ma è anche vero che poi Stalin guidò alla vittoria l'Armata Rossa, seppe riprendere in mano la situazione, trasferì le fabbriche in Siberia, impresa logistica di dimensioni epiche. Così fu percepito dal popolo russo e dai popoli della Russia, come il vincitore.
  • Le stesse promesse che Putin ha ripetutamente fatto non sono state realizzate e, io temo, non sono realizzabili perché la burocrazia fa affogare il Paese in un pantano d'incompetenza, corruzione e disordine.
  • Non credo che Putin sia interessato a un regime autoritario. [...] Putin crede nella democrazia e nello Stato di diritto. Ma egli eredita una situazione desolante. Eltsin e il suo gruppo hanno costruito un sistema oligarchico che si rivela tenace e ostile a ogni forma di rinnovamento e di sviluppo. Non c'è spazio per i piccoli imprenditori, per il ceto medio. C'è una concentrazione di ricchezze in poche mani, ricchezze improduttive per il Paese, che infatti emigrano all'estero. Portare ordine è necessario. Ma non credo che Putin voglia eliminare la democrazia per portare ordine.
  • [Su George W. Bush] Cerca di semplificare tutto, ma provoca solo disastri. Come l'Iraq dimostra.

Intervista di Fiammetta Cucurnia, la Repubblica, 9 ottobre 2006

  • Che sia maledetto chi ha ucciso Anna Politkovskaja. Questo è un vero omicidio politico. Una vendetta. Ed è un duro colpo per la libera stampa e per chi si batte per la democrazia nel nostro paese.
  • Anna Politkovskaja era una giornalista speciale, direi meravigliosa. Una che non conosceva le mezze misure, che denunciava gli orrori di cui era testimone. E non si fermava di fronte a niente. Era la giornalista scomoda per eccellenza. Quella che mette insieme il cuore, la lealtà e anche grandi capacità professionali. Non c'era intimidazione che potesse fermarla, lei andava avanti per la sua strada, denuncia su denuncia: le torture, i soprusi, i bambini e via dicendo. È chiaro che volevano chiuderle la bocca. E lo hanno fatto.
  • Anna Politkovskaja era una giornalista scomoda e non aveva un solo nemico. La sua attività l'aveva portata a concentrare gli sforzi sulla Cecenia e, via via, sulla corruzione nell'esercito e nel paese. Bisogna indagare in questi due ambiti. Ho sentito che molti puntano il dito su Kadyrov, l'attuale leader ceceno. Nulla si può escludere, e poi Kadyrov non è certo un tipo delicato, anzi, è uno che, per così dire, ha fatto l'università nei boschi e nelle gole del Caucaso. Ma in questo momento, proprio mentre la situazione cecena fa meno parlare, non mi sembra nel suo interesse sollevare un tale polverone. D'altra parte, il momento è stato scelto con cura. Il sicario ha agito nello scenario migliore, nel giorno del compleanno di Putin, mentre Grozny era in festa e a Mosca c'è un clima teso, anche a causa della disputa con la Georgia.

Intervista di Fiammetta Cucurnia, la Repubblica, 31 ottobre 2006

  • No, Putin non vuol dar vita a un nuovo regime autoritario, e non si trasformerà in un dittatore. Ha ereditato un Paese in preda al caos e ha cercato di restituirgli un ordine e una vita normale. Anche se per riuscirci non ha potuto mettersi a studiare sui manuali della democrazia.
  • Io non dico che Putin sia un modello di democrazia, ma sul piatto della bilancia il bene pesa molto più del male. Le vostre accuse, spesso, sono pretestuose.
  • Ai tempi di Eltsin le ricchezze del nostro Paese venivano saccheggiate, il Paese distrutto, l'esercito semismantellato, la costituzione calpestata. Due terzi dei russi vivevano in miseria, umiliati, e l'Occidente applaudiva. Così si è insinuato il dubbio. La gente si domandava: ma che amici sono quelli che parlano di Casa comune europea, dicono di sostenerci e poi vogliono trasformarci in un semplice fornitore di materie prime. Putin, con i mezzi che aveva, ha restituito al Paese una speranza. Credetemi, io nei suoi panni ci sono stato e so quanto sia difficile.
  • L'assassinio di Anna Politkovskaja è stato una cosa terribile, sporca. Io la conoscevo bene, le volevo bene. Quello sì che è stato un colpo alla democrazia. Ma anche per Putin è stato un colpo duro. Era il giorno del suo compleanno e io penso che qualcuno glielo volesse far ricordare. C'è chi ha interesse a spingere Putin con le spalle al muro e non perde occasione. Certo, lui non ha saputo reagire, è stato troppo a lungo in silenzio dopo l'omicidio, e quando ha parlato non l'ha fatto nel modo migliore.
  • Saakashvili non fa che provocare Mosca. È così coraggioso perché sa di essere coperto dagli Stati Uniti e dall'Europa.
  • Ma perché la Russia non dovrebbe avere voce in capitolo per quel che accade nello spazio post-sovietico, ovvero nel suo giardino di casa? Quanto agli oligarchi, eravamo arrivati al punto che, attraverso la proprietà, essi ormai stavano usurpando il potere. Le immense ricchezze della Russia si erano concentrate nelle mani di poche persone, una decina, che volevano usarle per i propri interessi, contro il Paese. Putin non lo ha permesso. E a proposito dei governatori, solo i più astuti con le moine o con i soldi riuscivano a farsi eleggere. Eravamo passati a una specie di feudalesimo regionale. La soluzione di Putin non è forse la migliore, ma ha dato i suoi frutti. Il bicchiere che per voi è mezzo vuoto, per noi si sta riempiendo. Se riuscirete a capire questo, Russia e Europa potranno andare avanti insieme, con grande vantaggio per tutti.
  • [In occasione della morte di Sri Chinmoy] Una perdita per tutto il mondo. Nei nostri cuori, egli rimarrà per sempre un uomo che ha dedicato tutta la sua vita per la pace.
A loss for the whole world. In our hearts, he will forever remain a man who dedicated his whole life to peace.[28]

Sulla morte di Boris Nikolaevič El'cin, la Repubblica, 24 aprile 2007

  • Scompare un uomo dal tragico destino sulle cui spalle grava il peso di grandi meriti per il bene del paese, ma anche di gravissimi errori.
  • Il destino ha voluto che le nostre strade si incrociassero. Siamo stati costretti a fare scelte dure, abbiamo dovuto prendere decisioni difficili. Ma non tutto è andato bene, non c'è stato accordo. E questo ha comportato gravi conseguenze, divisioni nella politica, nelle nostre relazioni personali, ha comportato gravi danni alla vita stessa del nostro paese.
  • L'ambizione, la lotta per il potere avevano preso il sopravvento, avevano dato un'impronta diversa a tutte le cose. In quella lotta, noi prendemmo strade diverse che non si unirono mai più. [...] Ma oggi è il giorno del dolore, in cui siamo chiamati a salutare Boris Eltsin con rispetto e cordoglio sincero. Per tutto il resto, ci sarà tempo.
  • Nei giorni scorsi alcuni media hanno sparso fantasie – non riesco a trovare nessun'altra parola – sul mio cattolicesimo segreto, citando la mia visita al Sacro Convento, dove giacciono i resti di san Francesco. Per concludere, e per evitare ogni equivoco, lasciatemi dire che sono stato e rimango un ateo.[29]

La repubblica, 13 agosto 2008

  • Il presidente georgiano Saakashvili si aspettava di aver il sostegno incondizionato dell'Occidente perché l'Occidente gli aveva dato buone ragioni per crederlo. Ora sia Tbilisi sia i suoi sostenitori dovrebbero rivedere le loro posizioni.
  • [Sulla Seconda guerra in Ossezia del Sud] Quello che è successo la notte del 7 agosto è al di là di ogni comprensione. I militari georgiani hanno attaccato la capitale dell' Ossezia del sud Tshkhivali con lanci di razzi multipli con enorme portata di devastazione. La Russia doveva rispondere. Accusarla di aggressione verso "un piccolo paese indifeso" non è solo ipocrita, mostra una mancanza di umanità. Montare un attacco militare contro una popolazione innocente è stata una decisione avventuristica le cui tragiche conseguenze sono ora davanti agli occhi di tutti. La leadership georgiana ha potuto farlo solo perché riteneva di essere sostenuta da una forza molto più potente.
  • È vero che la pace nel Caucaso è nell'interesse di tutti, ma è semplice buon senso riconoscere che la Russia ha qui radici che provengono dalla geografia e da secoli di storia.

Intervista di Fiammetta Cucurnia, La repubblica, 12 ottobre 2008

  • Certo, Putin ha commesso degli errori sul piano dello sviluppo democratico, ma non possiamo dimenticare l' eredità che ha ricevuto da Eltsin: un paese che stava andando a pezzi. Bisogna dargli atto che ha evitato il collasso della Russia.
  • La Russia sta facendo il suo percorso verso la democrazia e si trova a metà strada. Le lezioni occidentali non servono a molto. Anzi, possono essere controproducenti. Basti pensare alla guerra scatenata dalla Georgia contro l'Ossezia che in Occidente ha mostrato un sistema informativo spesso poco rispettoso della verità. Quindi non avete titolo per dare lezioni.
  • Il neoliberismo ha clamorosamente fallito. E purtroppo la crisi non è solo finanziaria. Diventerà presto anche crisi economica reale e ad essa dobbiamo aggiungere la crisi climatica, quella energetica, quella dell'acqua. Procedendo con un modello basato esclusivamente sulla ricerca del massimo profitto e di una crescita parossistica dei consumi saremo costretti a scontrarci inesorabilmente con i limiti dello sviluppo. Bisogna istituire nuove regole e reintrodurre nelle scelte dei governi i criteri della giustizia sociale e della solidarietà verso i più poveri e i più deboli all' interno dei paesi e nei rapporti tra paesi. Dopo il crollo dell' Urss gli Stati Uniti si sono sentiti dei vincitori ed hanno imposto al mondo le loro regole. Ora dovrebbe essere chiaro a tutti che quelle regole non hanno funzionato.
  • Un altro errore che ho fatto [...] è quello di non aver mandato per sempre El'cin da qualche parte a cogliere banane o cose del genere.
Была и ошибка ещё одна [...], что я не отправил Ельцина навсегда куда-нибудь в страну заготавливать банановые продукты, бананы и прочее.
Byla i ošibka eščë odna [...], čto ja ne otpravil El'cina navsegda kuda-nibud' v stranu zagotavlivat' bananovye produkty, banany i pročee.[30]

Intervista di Fiammetta Cucurnia, Repubblica.it, 31 maggio 2009

  • Sapete quanto erano lunghe le frontiere tra Urss e Cina? Mezzo mondo. Piccole scaramucce qua e là potevano sempre essere ricomposte.
  • [Sulla protesta di piazza Tienanmen] Centinaia di migliaia di persone, non solo studenti, chiedevano un incontro. Speravano che Gorbaciov, arrivato da Mosca con la sua perestrojka, potesse influire sulle decisioni del governo. Ma io non potevo.
  • È vero che incontrai i ragazzi. Un giorno, mentre ci muovevamo in macchina scortati dalla polizia, ho visto un gruppo di studenti e operai. Erano riusciti ad avvicinarsi tanto che l'auto fu costretta a fermarsi. Io aprii subito la portiera e uscii fuori. Erano molto affettuosi. Sorridenti. Avevano i visi stanchi, gli occhi rossi. Capii che volevano spiegarmi il perché della loro protesta, che erano lì per la democrazia, la libertà. "Perestrojka", dicevano. Ma io ho cercato di non approfondire.
  • Non potrò mai dimenticare Zhao Ziyang. La sofferenza si leggeva sul suo viso. Il giorno in cui ci accolse in qualità di segretario del Partito comunista cinese non riusciva a nascondere il peso insostenibile che aveva nel cuore. Sembrava che potesse avere un infarto da un momento all'altro.
  • [Su Nelson Mandela] Era un uomo straordinario. Un terzo della sua vita si è svolto in condizioni molto difficili. Ha fatto molto per l'umanità, e sarà ricordato non solo dalla gente del suo paese, ma da persone di tutto il mondo. [...] Era uno statista incredibile, intelligente e di talento. Mi ha detto molte volte che la perestroika in Urss ha fatto molto per aiutare il suo paese a sbarazzarsi dell'apartheid.[31]
  • [Su Eduard Shevardnadze] Era un uomo molto capace, talentuoso, molto aperto per lavorare con la gente, con tutti gli strati della società. Con lui si poteva parlare direttamente, si lavorava bene.[32]

Intervista di Danil Golovkin sul trattato sullo stato finale della Germania, Repubblica.it, 30 ottobre 2014

  • Né io, né Helmut Kohl, nell'estate del 1989 ci aspettavamo che tutto sarebbe avvenuto così presto. Ed entrambi in seguito lo ammettemmo. Non pretendo di essere considerato un profeta. Accade talvolta che la storia acceleri il proprio corso, che punisca i ritardatari. Ma la storia punisce ancor più severamente quanti cercano di ostacolare il suo cammino. Sarebbe stato un grosso errore restare aggrappati alla "cortina di ferro".
  • Il ruolo più importante nella riunificazione della Germania lo ebbero sicuramente i tedeschi. Non parlo solo delle manifestazioni di massa in favore dell'unità, ma anche del fatto che nei decenni successivi alla guerra, i tedeschi - nell'Est come nell'Ovest - dimostrarono di aver tratto insegnamento dal passato e di meritare la nostra fiducia.
  • Ormai non è più un segreto che François Mitterrand e Margaret Thatcher nutrivano forti dubbi sui tempi della riunificazione. La guerra, dopo tutto, aveva lasciato tracce profonde. Ma quando tutti gli aspetti della questione furono regolati, i due leader politici firmarono i documenti che ponevano fine una volta per tutte alla Guerra fredda.
  • [«Perché non insistette sulla formalizzazione giuridica delle [...] promesse del Segretario di stato americano James Baker sul non allargamento verso est della Nato?»] La questione non era oggetto di discussione ai tempi. Lo dico con piena responsabilità. Nessun paese dell'Europa Orientale aveva sollevato la questione, neppure dopo l'abolizione del Patto di Varsavia nel 1991, né l'avevano sollevata i governanti occidentali. Si discuteva di altro, di evitare che - dopo la riunificazione della Germania - vi fosse un avanzamento delle strutture militari della Nato e un ulteriore dispiegamento di forze armate dell'Alleanza nel territorio di quella che allora era la Ddr. In questo contesto Baker fece la dichiarazione che lei ha ricordato nella sua domanda. Ne parlavano anche Kohl e Genscher. Tutto ciò che si poteva e si doveva fare per fissare questo impegno politico venne fatto, e mantenuto. Nell'accordo con la Germania sulla definitiva pacificazione fu scritto che nella parte orientale del paese non sarebbero state create nuove strutture militari, non vi sarebbero stati ulteriori dispiegamenti di truppe, e non sarebbero state dislocate armi di distruzione di massa. Queste condizioni sono state rispettate per tutti questi anni.
  • [Sul conflitto russo-ucraino] Bisogna ammettere che i rapporti tra la Russia e l'Ucraina hanno subito un danno enorme. Non dobbiamo permettere a tutto ciò di trasformarsi in un reciproco allontanamento tra i nostri popoli. In questo senso un'enorme responsabilità poggia sulle spalle dei leader, i Presidenti Putin e Poroshenko: sono loro che devono dare l'esempio. Bisogna calmare le passioni. Più avanti cercheremo di chiarire chi ha ragione e chi ha torto.

Intervista di Sophiko Shevardnadze, Bulgaria-italia.com, 10 gennaio 2015

  • I giornalisti distorcono troppo, esagerano. Non si può fare così. Questa non è affatto una richiesta per limitare la trasparenza, la libertà di parola. Al contrario. Bisogna parlare di tutto, ma solo attraverso la verità, onestamente e ragionevolmente.
  • Gli americani sono già ovunque. O schierano le difese missilistiche in tutte le città, vicino a tutti i confini, o aprono basi militari.
  • La guerra fredda è terminata e questa è una vittoria comune a tutti i popoli. Gli americani dicono: "Abbiamo vinto, siamo noi i vincitori della guerra fredda! Noi". Al diavolo, se volete godere di ciò, fatelo pure.
  • Penso che non abbiano bisogno di proteggersi da nessuno, è un'invenzione. Hanno bisogno di un nemico per tornare alla vecchia politica di comando, di pressione. Non possono in alcun modo vivere senza. Pertanto, l'America deve essere fermata. Fermata amichevolmente, fermata come partner.
  • I semplici americani non vogliono la guerra. Ma sono in una situazione difficile nella loro società. Hanno bisogno di una perestrojka, lo posso confermare anche adesso. Lo possono chiamare però come vogliono, alla maniera americana.
  • Se guardiamo la storia, vediamo che nonostante tutti gli sforzi nessuno è mai riuscito a mettere in ginocchio la Russia. Ricordiamo Napoleone, ricordiamo Hitler. Nessuno è riuscito a farlo.
  • Ma a che serviva restituire la Crimea se esisteva l'Unione Sovietica? Nell'URSS tale confinazione era come quella tra gli orti di due abitanti di un villaggio. Se le oche di un contadino entravano nell'orto dell'altro, potevano litigare, ma non era una divisione statale, non era un confine protetto.

Intervista di Fiammetta Cucurnia, Repubblica.it, 11 marzo 2016

  • Eltsin continuava a dire "l'Unione ci sarà". Ma aveva ben altre intenzioni.
  • Rimprovero a Putin la lentezza del processo democratico. Perché è vero che molte delle libertà civili introdotte con la perestrojka resistono e che la stragrande maggioranza dei russi ha votato per Vladimir Putin. Ma nessuno sa quale sarebbe la loro scelta se l'intero processo elettorale, dalla selezione dei candidati in poi, fosse davvero libero e democratico
  • Innanzitutto in Crimea c'è stato un referendum che ha stabilito la volontà dei cittadini. Inoltre la Crimea è Russia, e sfido chiunque a dimostrare il contrario. In Siria, poi, contro il terrorismo, la Russia ha fatto il suo dovere.

Ilsecoloxix.it, 26 aprile 2016

  • Quest'anno ricorre il 30esimo anniversario della catastrofe di Chernobyl: il peggior disastro con cui il genere umano si sia mai dovuto confrontare, legato all'incapacità di scienziati e ingegneri di prevedere come problemi apparentemente piccoli possano tramutarsi in disastri di scala quasi inimmaginabile.
  • A mio parere Chernobyl rimane uno dei più tragici incidenti del nostro tempo. Dal momento in cui venni informato telefonicamente, alle 5 del mattino di quel fatidico 26 aprile 1986 - che un incendio era divampato nel Reattore 4 della centrale nucleare di Chernobyl, la mia vita non è stata più la stessa.
  • Nel caso di Chernobyl, se il mondo ha potuto apprendere la verità sul disastro e trarne gli insegnamenti, il merito è da attribuire al processo della "perestroika" e della politica di "glasnost" che stava affermandosi in Unione Sovietica. In caso contrario, i fatti e gli effetti sarebbero stati nascosti o distorti.

Intervista di Mark Franketti, Panorama.it, 13 giugno 2016

  • Sono un sostenitore della libertà di scelta, di religione, di parola. Sempre e comunque libertà. Piuttosto sparatemi, ma alla libertà non volto le spalle.
  • Sono molto prudente quando si tratta di criticare gli altri. Ho sempre dichiarato espressamente che il futuro per la Russia non può che essere la democrazia, con libertà di stampa ed elezioni libere e regolari.
  • Sotto al tavolo, gli americani si stavano già sfregando le mani soddisfatti. Pensavano di essere i vincitori della Guerra fredda invece di riconoscere il nostro ruolo nel portarla a termine. Pensavano di essere a capo del mondo; non erano sinceramente interessati ad aiutare la Russia a diventare una democrazia stabile e forte. Pensavano a spartirsela. E hanno demolito la fiducia che avevamo costruito.
  • Mi rammarico che un grande Paese con grandi potenzialità e risorse sia scomparso. La mia intenzione è sempre stata quella di riformarlo, non distruggerlo.
  • Le armi nucleari possono essere attivate da problemi tecnici, fattori umani o errori informatici. L'ultima cosa mi infastidisce di più. Le tecnologie informatiche sono usate ovunque ora. E quante volte i computer e l'elettronica hanno fallito nell'aviazione, nell'industria, in vari sistemi di controllo?[33]
  • Tutte le nazioni dovrebbero dichiarare... che le armi nucleari andrebbero distrutte. Questo è per salvare noi stessi e il nostro pianeta.[34]

Intervista di Yurii Colombo, Ilmanifesto.it, 8 novembre 2019

  • Sono sempre stato e rimango un avversario dello spargimento di sangue. Sono sempre stato e resto un avversario dell’uso della forza contro il popolo.
  • Sono sicuro che se l'Urss fosse stata preservata, la Nato non si sarebbe espansa ed entrambe le parti avrebbero adottato un approccio diverso alla creazione di un sistema di sicurezza europeo.
  • Non sminuisco il ruolo dei politici, è stato importante. Ma il ruolo principale è stato svolto dal popolo, da 2 popoli. I tedeschi, che risolutamente e, soprattutto, pacificamente espressero la loro volontà di riunirsi. E, naturalmente, i russi, che mostrarono comprensione per le aspirazioni dei tedeschi. Russi e tedeschi hanno il diritto di essere orgogliosi di essere riusciti a incontrarsi dopo lo spargimento di sangue della Seconda guerra mondiale. Senza ciò, il governo sovietico non sarebbe stato in grado di agire come agì in quel momento.

Intervista di Pavel Palazhchenko e Metta Spencer, 5 aprile 2020, traduzione di Matteo Locatelli per PeaceLink, 11 aprile 2020

  • [Sulla pandemia di COVID-19] Bisognerà analizzare nei minimi dettagli ciò che è successo ma la priorità ora è di riprendere il controllo della situazione e sconfiggere questo nuovo e malvagio nemico.
  • [Sulla pandemia di COVID-19] In questo momento sono tutti d’accordo con la necessità di misure di confinamento. È qualcosa che sia le autorità che la gente devono accettare. Molto dipende anche dal comportamento delle persone. La massima responsabilità e disciplina sono essenziali. Solo in seguito si potrà sperare che il peggio sia passato.
  • Questa pandemia, una tragedia comune, ci ricorda quanto sia inutile tentare di nascondersi ignorando le minacce di fronte a noi.
  • [Sull'assalto al Campidoglio degli Stati Uniti del 2021] L'importante è che abbiano messo in dubbio il futuro destino degli Stati Uniti d'America come stato. (da un intervista di Interfax, 7 gennaio 2021)[35]
  • Il fallimento avrebbe dovuto essere riconosciuto prima. [...] Quello che conta ora è imparare la lezione e, almeno, non ripetere errori come questo. (da un'intervista all'agenzia RIA Novosti dopo la caduta di Kabul)[36]
  • [Sulla guerra in Afghanistan] Era fin dall'inizio un'impresa fallita, anche se nella prima fase la Russia l'ha sostenuta. [...] Come molti progetti simili, si basava su un'esagerazione della minaccia e su concetti geopolitici poco chiari. A ciò si sono aggiunti tentativi irrealistici di democratizzare una società multi-tribale. (da un'intervista all'agenzia RIA Novosti dopo la caduta di Kabul)[36]

Attribuite

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  • L'obiettivo della mia vita è stato annientare il comunismo. [...] Per raggiungere tale finalità ho approfittato della mia posizione nel Partito e nel Paese. [...] Quando El'cin ha distrutto l'URSS, ho lasciato il Cremlino, e qualche giornalista ha immaginato che piangessi per questo. Ma non ho affatto pianto, perché sono stato io a farla finita con il comunismo in Europa.[37]
[Citazione errata] La citazione non datata è apparentemente apparsa per la prima volta nella rivista slovacca Uzvit n° 24 e presa da un discorso tenuto nell'"università statunitense in Turchia", di cui non ci sono segnalazioni.[38]
  • Quel mondo andava abbattuto perché l'identificazione con quei regimi era un peso insostenibile per la sinistra.[39]

Perestrojka

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Incipit

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Ho scritto questo libro con il desiderio di rivolgermi direttamente ai popoli dell'URSS, degli Stati Uniti e di ogni paese del mondo.
Ho incontrato capi di stato e di governo e altri leaders di molti stati e rappresentanti dell'opinione pubblica: tuttavia lo scopo di questo libro è quello di parlare senza intermediari ai cittadini di tutto il mondo a proposito delle cose che riguardano tutti noi, senza eccezioni.
Ho scritto questo libro perché ho fiducia nel loro buon senso. Sono convinto che loro, come me, si preoccupano del futuro del nostro pianeta. E questa è la cosa più importante.
Dobbiamo incontrarci e discutere. Dobbiamo affrontare i problemi con uno spirito di cooperazione, non di animosità. Mi rendo conto che non tutti saranno d'accordo con me. E, per me la verità, neppure io sono d'accordo con tutto ciò che altri hanno da dire sui vari problemi. E ciò rende ancora più importante il dialogo. Questo libro rappresenta il mio contributo.

Citazioni

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  • Tutti i paesi sono oggi interdipendenti come non era mai accaduto, e l'arsenale delle armi, soprattutto dei missili nucleari, rende più probabile il rischio di una guerra mondiale, sia pure involontaria e dovuta al caso in seguito ad un guasto tecnico o alla fallibilità umana. E allora ne soffrirebbero tutti gli esseri viventi sulla Terra.
    Tutti sembrano concordare sul fatto che in una guerra del genere non vi sarebbero né vincitori né vinti. Non vi sarebbero superstiti. È una minaccia mortale per tutti. (p. 7)
  • Siamo passeggeri a bordo della stessa nave, la Terra, e non dobbiamo permettere che faccia naufragio. Non ci sarà una seconda Arca di Noè. (p. 8)
  • Noi affermiamo apertamente che ripudiamo le aspirazioni egemoniche e le rivendicazioni globali degli Stati Uniti. Non ci piacciono certi aspetti della politica e del modo di vivere degli americani. Tuttavia rispettiamo il diritto del popolo degli Stati Uniti, come di ogni altro popolo, di vivere secondo le sue leggi, le sue tradizioni e i suoi gusti. Conosciamo e non dimentichiamo il ruolo fondamentale degli Stati Uniti nel mondo moderno, apprezziamo il contributo che hanno dato e che danno alla civiltà mondiale, teniamo conto dei loro interessi legittimi e comprendiamo che senza la loro cooperazione è impossibile eliminare il pericolo di una catastrofe nucleare e garantire una pace durevole. (p. 8)
  • La Russia, dove settant'anni fa avvenne una grande rivoluzione, è un paese antico con una sua storia unica, caratterizzata da ricerche, trionfi e avvenimenti tragici. Ha dato al mondo molte scoperte e molti personaggi famosi.
    L'Unione Sovietica, tuttavia, è uno stato giovane che non ha analogie nella storia o nel mondo moderno. Negli ultimi sette decenni, un tempo molto breve nella storia della civiltà umana, il nostro paese ha compiuto progressi pari a molti secoli. Una delle massime potenze mondiali ha preso il posto dell'Impero russo, arretrato, semicoloniale e semifeudale. Enormi forze produttive, un grandioso potenziale intellettuale, una cultura avanzata, una comunità di più di cento nazioni e nazionalità, e una solida protezione sociale per 280 milioni di persone in un territorio che corrisponde a un sesto della Terra... questi sono i nostri grandi e incontestabili successi e il popolo sovietico ne è giustamente orgoglioso. (p. 14)
  • Durante una certa fase (e questo apparve particolarmente chiaro nella seconda metà degli anni Settanta) accadde qualcosa a prima vista inesplicabile. Il paese incominciò a perdere il suo slancio. Gli insuccessi economici divennero più frequenti. Le difficoltà cominciarono ad accumularsi e a deteriorarsi, i problemi insoluti a moltiplicarsi. Nella vita sociale incominciarono ad affiorare elementi di quella che possiamo chiamare stagnazione e altri fenomeni estranei al socialismo. Si formò una specie di «meccanismo frenante» che influiva sullo sviluppo sociale ed economico. E tutto ciò avvenne in un periodo in cui la rivoluzione scientifica e tecnologica schiudeva nuove prospettive di progresso sociale ed economico. (p. 15)
  • È naturale che il produttore miri ad «accontentare» il consumatore, se posso esprimermi così. Ma da noi il consumatore si trovava completamente alla mercé del produttore, e doveva accettare ciò che quest'ultimo decideva di dargli. (p. 16)
  • L'Unione Sovietica, la più grande produttrice di acciaio, materie prime, combustibili ed energia nel mondo, presenta scarsità dovute agli sprechi e all'inefficienza. È uno dei maggiori produttori di cereali, ma è costretta ad acquistarne ogni anno milioni di tonnellate per nutrire la popolazione. Abbiamo il maggior numero di medici e di letti d'ospedale in rapporto al numero di abitanti, e tuttavia abbiamo stridenti carenze nei servizi sanitari. I nostri razzi possono raggiungere con straordinaria precisione la cometa di Halley e volare fino a Venere, ma accanto a questi trionfi scientifici e tecnologici coesiste una chiara mancanza di efficienza nell'uso dei risultati scientifici per i fini economici, e molti degli elettrodomestici sovietici sono di qualità mediocre. (p. 19)
  • La nostra gente ha sempre posseduto la capacità intrinseca di distinguere la differenza tra le parole e i fatti. Non è strano che i racconti popolari russi si facciono beffe di coloro che amano lo sfarzo e l'esteriorità; e la letteratura, che ha sempre avuto un ruolo molto importante nella vita spirituale del nostro paese, è spietata nei confronti di ogni manifestazione d'ingiustizia e di abuso del potere. (p. 24)
  • Le opere di Lenin e i suoi ideali socialisti rimanevano per noi una fonte inesauribile di pensiero dialettico creativo, di ricchezza teorica e di acume politico. La sua stessa immagine è un esempio imperituro di grande forza morale, di compiuta cultura spirituale e di altruistica dedizione alla causa del popolo e del socialismo. Lenin vive nelle menti e nei cuori di milioni di persone. Nonostante tutte le barriere erette dagli scolastici e dai dogmatici, l'interesse per l'eredità di Lenin e il desiderio di conoscerlo meglio nell'originale crescevano via via che si aggravavano i fenomeni negativi della società. (p. 25)
  • Virtualmente la disoccupazione non esiste. Lo stato si è assunto l'onere di assicurare il posto di lavoro. Persino una persona licenziata per pigrizia o per infrazione alla disciplina del lavoro deve avere un altro impiego. Anche il livellamento delle retribuzioni è diventato una caratteristica abituale della nostra vita quotidiana; persino un pessimo lavoratore riceve quanto basta per vivere decentemente. I figli di un parassita non vengono abbandonati al loro destino. Noi abbiamo concentrato somme enormi nei fondi provvedono ai finanziamenti degli asili nido, degli orfanotrofi, delle case dei Giovani Pionieri e di altre istituzioni che si occupano della creatività e dell'attività sportiva dei giovanissimi. L'assistenza sanitaria è gratuita, e così pure l'educazione. La gente è protetta dalle vicissitudini della vita e noi ne siamo molto fieri. (pp. 31-32)
  • In Occidente Lenin è spesso presentato come un sostenitore dei metodi amministrativi autoritari. Ciò dimostra la più totale ignoranza delle idee di Lenin e, non di rado, la loro distorsione voluta. Infatti secondo Lenin il socialismo e la democrazia sono indivisibili. Le masse lavoratrici pervengono al potere acquisendo le libertà democratiche. E soltanto in condizioni di democrazia in espansione possono consolidare e realizzare tale potere. È un'altra idea straordinariamente vera di Lenin: più vasta è la portata del lavoro e più profonda la riforma, e più aumenta il bisogno di accrescere l'interesse e di convincere milioni e milioni di persone della sua necessità. Ciò significa che se siamo decisi a una ristrutturazione radicale e completa, dobbiamo anche realizzare l'intero potenziale della democrazia. (pp. 34-35)
  • Perestrojka significa vincere il processo di stagnazione, spezzare il meccanismo frenante, creare al suo posto un meccanismo affidabile ed efficiente per accelerare il progresso sociale ed economico e per conferirgli un maggiore dinamismo. (p. 37)
  • Perestrojka significa l'eliminazione dalla società delle distorsioni dell'etica socialista, l'applicazione coerente dei principii della giustizia sociale. Significa l'unità tra parola e azioni, diritti e doveri. È l'elevazione del lavoratore onesto e qualificato, il superamento delle tendenze livellatrici nelle retribuzioni e del consumo. (p. 38)
  • L'essenza della perestrojka sta nel fatto che unisce il socialismo con la democrazia e fa rivivere il concetto leninista della costruzione del socialismo, sia in teoria sia in pratica. (p. 39)
  • Noi procederemo verso un socialismo migliore, anziché allontanarcene. Lo diciamo sinceramente, senza cercare di ingannare il nostro popolo o il mondo. Le speranze che noi incominceremo a costruire una società diversa, non socialista, e passeremo nell'altro campo sono irrealistiche e infondate. Coloro che in Occidente si aspettano che rinunciamo al socialismo resteranno delusi. È tempo che lo comprendano e, cosa ancora più importante, si basino su tale comprensione nelle relazioni pratiche con l'Unione Sovietica. (p. 41)
  • Noi vogliamo più socialismo e, quindi, più democrazia. Così come la vediamo noi, le difficoltà e i problemi degli anni Settanta e Ottanta non hanno significato una specie di crisi del socialismo quale sistema politico e sociale, ma sono stati piuttosto il risultato di un'insufficiente coerenza nell'applicazione dei principii del socialismo, di deviazioni e distorsioni, e della continua adesione ai metodi e alle forme di gestione sociale affermatisi in condizioni storiche specifiche nelle fasi iniziali dell'evoluzione socialista. (p. 42)
  • Un osservatore obiettivo deve ammettere che la storia sovietica è in generale una storia di progresso incontestabile, nonostante gli insuccessi e i fallimenti. Siamo progrediti nonostante la mancanza di strade, letteralmente e figurativamente; a volte ci siamo smarriti e abbiamo commesso errori, e lungo il nostro cammino è stato sparso anche troppo sangue e troppo sudore. Ma abbiamo continuato con tenacia la nostra marcia senza mai pensare di ritirarci, di cedere il terreno guadagnato o di mettere in discussione la nostra scelta socialista. (p. 43)
  • Il nostro popolo sconfisse il fascismo con la potenza che aveva creato negli anni Venti e Trenta. Se non vi fosse stata l'industrializzazione, noi saremmo stati inermi di fronte al fascismo. (p. 44)
  • L'intera Europa non era riuscita a fermare Hitler, ma noi lo schiacciammo. Sconfiggemmo il fascismo non solo grazie all'eroismo e allo spirito di sacrificio dei nostri soldati, ma anche alla superiorità del nostro acciaio, dei nostri carri armati e dei nostri aerei. E tutto questo era stato realizzato dal nostro periodo sovietico. (p. 45)
  • Dal punto di vista delle ricchezze delle calorie nella dieta, l'Unione Sovietica si classifica senza dubbio tra i paesi sviluppati. E ciò che conta è il fatto che grazie alla collettivizzazione e alla sua storia di oltre un cinquantennio, noi abbiamo acquisito la capacità potenziale di innalzare, nel corso della ristrutturazione, l'intero settore agricolo a un livello qualitativamente nuovo. (p. 46)
  • In Occidente c'era chi diceva che la Russia non sarebbe stata in grado di risorgere neppure in un secolo e che sarebbe rimasta tagliata fuori dalla politica internazionale perché avrebbe dovuto pensare a guarire le proprie ferite. Eppure oggi dicono, alcuni con ammirazione e altri con aperta ostilità, che siamo una superpotenza! Facemmo rinascere da soli il nostro paese, grazie ai nostri sforzi, sfruttando le immense potenzialità del sistema socialista. (p. 47)
  • Non abbiamo motivo di parlare a bassa voce della Rivoluzione d'Ottobre e del socialismo, come se ce ne vergognassimo. I nostri successi sono immensi e indiscutibili. Tuttavia noi vediamo il passato nella sua complessa totalità. I nostri trionfi più grandi non ci impediscono di vedere le contraddizioni nello sviluppo della nostra società, i nostri errori e le nostre omissioni. E la nostra ideologia è per sua natura critica e rivoluzionaria. (p. 49)
  • Lenin aveva il raro dono di intuire al momento giusto la necessità dei cambiamenti radicali, di un riesame dei valori, di una revisione delle direttive teoriche e degli slogan politici. (p. 56)
  • Perestrojka è una parola dai molti significati. Ma se dobbiamo scegliere tra i suoi molti sinonimi quello che esprime nel modo più esatto la sua essenza, possiamo dire che la perestrojka è una rivoluzione. Un'accelerazione decisiva dello sviluppo socio-economico e culturale della società sovietica, che comporta cambiamenti radicali lungo la strada verso uno stato qualitativamente nuovo, è senza dubbio un compito rivoluzionario. (p. 58)
  • La rivoluzione richiede la demolizione di tutto ciò che è obsoleto e stagnante e ostacola un rapido progresso. (p. 61)
  • Ognuno dovrà probabilmente fare sacrifici nella fase iniziale della perestrojka; ma alcuni dovranno rinunciare per sempre ai privilegi e alle prerogative che non meritano e che hanno acquisito illegittimamente, e ai diritti che hanno ostacolato il nostro progresso. (p. 62)
  • È un carattere distintivo e un punto di forza della perestrojka il fatto che sia simultaneamente una rivoluzione «dall'alto» e «dal basso». Questa è una delle più sicure garanzie del suo successo e della sua irreversibilità. (p. 68)
  • La politica è l'arte del possibile. Al di là dei limiti del possibile incomincia l'avventurismo. (p. 79)
  • Non esistono accenni, raccomandazioni e avvertimenti più utili di quelli che si possono ricevere direttamente dal popolo. (p. 90)
  • L'atmosfera nuova si manifesta forse più chiaramente nella glasnost. Noi vogliamo una maggiore trasparenza negli affari pubblici in ogni sfera della vita. La gente deve sapere che cosa è bene e che cosa è male, per accrescere il primo e combattere il secondo. Così deve essere in un regime socialista. (p. 92)
  • Oggi la glasnost è un esempio vivo di una normale e favorevole atmosfera spirituale e sociale nella società, che permette alla gente di comprendere meglio quanto ci è accaduto nel passato, quanto avviene ora, quanto stiamo cercando di realizzare, quali sono i nostri piani, e sulla base di tale comprensione permette di partecipare coscientemente all'impegno della ristrutturazione. (p. 93)
  • Noi consideriamo la glasnost un sistema per raccogliere i diversi punti di vista e le diverse idee che rispecchiano gli interessi di tutti gli strati, di tutti i mestieri e le professioni della società sovietica. Non potremo progredire se non scopriremo in quale modo la nostra politica reagisce alle critiche, soprattutto alle critiche dal basso, se non combatteremo gli sviluppi negativi e non risponderemo alle informazioni provenienti dal basso. Non posso immaginare la democrazia senza tutto questo. (p. 97)
  • La critica è una medicina amara; ma i mali che assillano la nostra società la rendono necessaria. Si può fare una smorfia, ma bisogna inghiottirla. E sbagliano quanti pensano che le critiche debbano essere avanzate soltanto a intervalli. Ma ha egualmente torto la gente portata a credere che la stagnazione sia stata vinta completamente e che sia venuto il momento di prendersela con calma. Un allentamento delle critiche danneggerebbe inevitabilmente la perestrojka. (p. 100)
  • Qualcuno ha obiettato che sarebbe difficile lavorare in un ambiente dove ogni individuo ha una sua filosofia, una propria autorità e ritiene di essere l'unico depositario della verità. Ho replicato che è molto peggio avere a che fare con un'intellighenzia passiva e con l'indifferenza e il cinismo. (p. 102)
  • È vero che la stampa aveva pubblicato ancora proposte che esorbitavano dal nostro sistema. Per esempio, era stata espressa l'opinione che avremmo dovuto rinunciare all'economia pianificata e accettare la disoccupazione. Questo tuttavia non possiamo permetterlo, poiché intendiamo rafforzare il socialismo e non sostituirlo con un sistema diverso. Quanto ci viene proposto dall'Occidente, da un'economia diversa, è per noi inaccettabile. Siamo certi che se mettiamo effettivamente in moto il potenziale del socialismo, se aderiamo ai suoi principii basilari, se teniamo pienamente conto degli interessi umani e approfittano dei vantaggi di un'economia pianificata, il socialismo possa realizzare molto più del capitalismo. (p. 108)
  • D'accordo, supponiamo che faremo errori. E con ciò? È molto meglio correggere gli errori che restare nell'inerzia. (p. 112)
  • Secondo me, avevamo accettato con troppe speranze la politica della distensione: con troppa fiducia, direi. Molti credevano che sarebbe stata irreversibile e che avrebbe schiuso possibilità sconfinate, soprattutto per l'espansione del commercio e delle relazioni economiche con l'Occidente. Arrivammo addirittura a sospendere certe nostre ricerche e certi sviluppi tecnologici, sperando nella divisione internazionale di tale lavoro e pensando che sarebbe stato più vantaggioso acquistare certe macchine anziché fabbricarle in patria. Ma che cosa accadde? Fummo duramente puniti per la nostra ingenuità. (p. 118)
  • Noi non abbiamo bisogno di un socialismo «puro», dottrinario, inventato, bensì di un socialismo reale, leninista. Lenin fu molto chiaro su questo punto: dato che abbiamo un'industria enormemente sviluppata, non c'è nulla da temere. Attingendo a questa forza, possiamo operare in maniera pianificata le trasformazioni socialiste. Questo è un autentico lavoro socialista. Era vero allora ed è ancora più vero al giorno d'oggi, perché la nostra società è forte economicamente e politicamente. Lenin non perdeva mai di vista la realtà concreta ed era guidato dagli interessi del popolo lavoratore. (p. 122)
  • Non vi è lo sfruttamento dell'uomo ad opera dell'uomo, non vi è divisione tra ricchi e poveri, tra milionari e mendicanti; tutte le nazioni sono eguali tra eguali; tutti hanno un posto di lavoro garantito; abbiamo l'istruzione secondaria e superiore gratuita e servizi sanitari gratuiti; i cittadini hanno una vecchiaia assicurata. Questa è la concretizzazione della giustizia sociale sotto il socialismo. (p. 128)
  • Il sistema più sicuro per liberarci di una piaga sociale come l'alcolismo consiste nello sviluppare la sfera della ricreazione, dell'efficienza fisica, dello sport e delle attività culturali di massa e nel democratizzare ulteriormente la vita della società nel suo complesso. (p. 131)
  • Se non vi fossero stati i Soviet non avremmo vinto la guerra civile. Se non vi fossero stati i Soviet, non saremmo riusciti a mobilitare milioni di persone, soprattutto operai e contadini, in un territorio tanto vasto. Se non vi fossero stati i Soviet, la Nuova Politica Economica non avrebbe dato alcun esito. Il loro vero potere stava nel fatto che, creati dalle masse, esprimevano e salvaguardavano gli interessi dei lavoratori. La caratteristica fondamentale, il segreto della loro diffusione rapida e a volte spontanea in tutto il paese fu il fatto che prendevano decisioni e le applicavano in proprio, mentre erano al centro dell'attenzione della gente e sotto l'aperto controllo di tutti i diretti interessati. Era un sistema unico ed efficiente che combinava la democrazia diretta con la democrazia rappresentativa. (p. 142)
  • L'ampiezza dell'emancipazione femminile viene spesso considerata come un metro per giudicare il livello sociale e politico di una società. Lo stato sovietico pose fine alla discriminazione contro le donne, tipica della Russia zarista, e vi pose fine con decisione e senza compromessi. Le donne acquisirono una posizione sociale di eguaglianza con gli uomini, garantita dalla legge. Siamo orgogliosi di tutto ciò che il governo sovietico ha datto alle donne: il diritto di lavorare esattamente come gli uomini, retribuzione eguale per eguale lavoro, previdenza sociale. Le donne hanno avuto ogni opportunità di ricevere un'istruzione, di avere una carriera e di partecipare alle attività sociali e politiche. Senza il contributo delle donne non avremmo costruito una società nuova e non avremmo vinto la guerra contro il fascismo. (pp. 150-151)
  • Noi viviamo in un paese multinazionale, e questo è un fattore di forza anziché di debolezza e di disintegrazione. La Russia zarista veniva chiamata «una prigione di nazioni». La Rivoluzione e il socialismo hanno cancellato l'oppressione e la diseguaglianza nazionali e hanno assicurato il progresso economico, intellettuale e culturale per tutte le nazioni e nazionalità. Le nazioni un tempo arretrate hanno acquisito un'industria avanzata e una struttura sociale moderna. Sono salite al livello della cultura moderna anche se alcune, in precedenza, non avevano neppure un alfabeto. Ogni persona libera da pregiudizi riconoscerà il fatto che il nostro Partito ha svolto un lavoro immane e ha trasformato la situazione. I risultati hanno arricchito la società sovietica e la civiltà mondiale. (pp. 152-153)
  • Ogni cultura nazionale è un tesoro che non deve andare perduto. Ma un sano interesse per ciò che vi è di prezioso in ogni cultura nazionale non deve degenerare in tentativi di isolarsi dai processi oggettivi d'interazione e di rapprochement. (p. 154)
  • Io ho passato molti anni nel Caucaso settentrionale, una regione popolata da molte nazionalità diverse. Non solo ogni città e ogni villaggio di montagna è abitato da persone di nazionalità differenti: lo è anche l'intera regione. La storia del Caucaso settentrionale comprende diverse pagine dolorose; ma negli anni del governo sovietico la situazione è mutata radicalmente. Non intendo affatto idealizzarla, tuttavia i rapporti tra le nazionalità presenti in questa regione multi-etnica sono caratterizzati da un atteggiamento rispettoso, cooperazione, rapprochement e coesione. So per esperienza che i montanari sono molto sensibili all'amicizia ma anche ad ogni manifestazione di arroganza nei loro confronti. (p. 155)
  • Non si può negare il diritto alla madrelingua neppure alla più piccola etnia. Dopotutto, la cultura umana consiste nella sua diversità odierna, con le sue lingue, i suoi costumi, le sue manifestazioni e i suoi rituali diversi. È il nostro patrimonio comune. (p. 156)
  • Gli ambienti di destra non cercano di nascondere il loro atteggiamento ostile verso la perestrojka, perché essa dimostrerebbe l'infondatezza della loro opinione, secondo la quale il socialismo non ha nulla di attraente da presentare al mondo libero. Per costoro, l'abbandono del vecchio dogma dell'immobilismo sociale sovietico equivale a una catastrofe ideologica, perché dovrebbero rivedere l'intera dottrina dell'antisovietismo e le direttive politiche che ne derivano. Svanirebbe così la mitica minaccia sovietica, derivante secondo queste tesi dal fatto che l'Unione Sovietica, incapace di risolvere le proprie difficoltà interne, intraprenderebbe iniziative espansionistiche. (p. 165)
  • Per quanto gli Stati Uniti siano ricchissimi, non possono permettersi di gettar via ogni anno in armamenti un terzo di trillione di dollari. Un aumento delle spese per le armi causa anche un aumento del deficit del bilancio. Oggi gli Stati Uniti prendono a prestito due terzi della somma che spendono per le armi. Il debito federale è, in effetti, il debito del Pentagono, e dovrà essere ripagato da molte generazioni di americani. Tutto questo deve finire prima o poi. Comunque, è una faccenda americana, non nostra. (p. 169)
  • L'Unione Sovietica è un paese immenso, ricco di minerali e di manodopera e di grandi risorse scientifiche. Quasi tutti i lavoratori hanno un'istruzione secondaria completa. Perciò è meglio non affrettarsi a gettarci nell'«immondezzaio della storia»: è un'idea che fa sorridere il popolo sovietico. (p. 170)
  • Poiché è entrata nell'era nucleare, in cui l'energia dell'atomo viene usata per scopi militari, l'umanità ha perduto la sua immortalità. In passato vi furono guerre, guerre terribili che costarono milioni e milioni di vite umane, trasformarono in rovine e ceneri città e villaggi e distrussero intere nazioni e intere culture. Ma la continuazione della specie umana non era minacciata. Oggi, al contrario, se scoppiasse una guerra nucleare ogni essere vivente verrebbe cancellato dalla faccia della Terra. (p. 181)
  • È vero che gli sforzi dell'ONU non sempre hanno avuto successo. Ma secondo il mio punto di vista questa organizzazione è la tribuna più appropriata per cercare un equilibrio negli interessi degli stati, che è indispendabile per la stabilità del mondo. (p. 184)
  • La funzione politica della guerra è sempre stata una giustificazione della guerra stessa, una spiegazione «razionale». La guerra nucleare è insensata, è irrazionale. Non vi sarebbero né vincitori né vinti in un conflitto nucleare globale: la civiltà mondiale perirebbe inevitabilmente. Sarebbe un suicidio anziché una guerra nel senso convenzionale del termine. (p. 185)
  • I tentativi di conseguire una supremazia militare sono assurdi. Oggi tali tentativi vengono compiuti nello spazio. È un anacronismo sorprendente, che persiste a causa del ruolo eccessivo dei militaristi in campo politico. Dal punto di vista della sicurezza la corsa agli armamenti è diventata un'assurdità perché la stessa logica porta alla destabilizzazione delle relazioni delle relazioni internazionali e in ultima analisi a un conflitto nucleare. (p. 186)
  • Le divergenze ideologiche non devono essere trasposte nella sfera delle relazioni tra gli stati, e la politica estera non deve venire subordinata a esse, perché le ideologie possono essere contrapposte mentre gli interessi della sopravvivenza e della prevenzione della guerra sono universali e supremi. (p. 188)
  • La logica stessa della distensione era suggerita dalla crescente constatazione che non si può vincere una guerra nucleare. Partendo da questo principio, cinque anni fa proclamammo al mondo interno che non useremo mai per primi le armi nucleari. (p. 190)
  • Noi umani siamo tutti nella stessa barca, e affonderemo o nuoteremo tutti insieme. Ecco perché i discorsi sul disarmo non sono un gioco che può essere vinto da una delle parti in causa. Devono vincere tutti, altrimenti tutti rischieranno di perdere. (p. 192)
  • Durante la seconda guerra mondiale, paesi di sistemi diversi combatterono in una coalizione contro il fascismo e alla fine lo schiacciarono. L'interesse comune di tutti i popoli e di tutti gli stati di fronte alla minaccia fascista controbilanciava le differenze sociopolitiche e forniva la base per un'alleanza antifascista al di sopra dei sistemi. Ciò significa che anche oggi, di fronte a un pericolo ancora più grave, gli stati appartenenti a sistemi sociali diversi possono e devono collaborare in nome della pace. (pp. 193-194)
  • Noi vediamo quanto siano forti le posizioni della parte aggressiva e militarista della classe dirigente nei più importanti paesi capitalistici. Il loro sostegno principale proviene dall'apparato militare-industriale, i cui interessi hanno le radici nella natura stessa del sistema capitalistico e che traggono profitti enormi dalla produzione delle armi a spese dei contribuenti. E per convincere la gente che non è denaro speso invano, devono convincerla dell'esistenza di un «nemico esterno» che minaccia il suo benessere e gli interessi interessi nazionali in generale. Ecco la causa di un'avventata, irresponsabile politica del potere. Com'è possibile, nella nostra era nucleare, questa fede assoluta nella forza, quando le scorte di armi già esistenti sono così enormi che già una minima parte potrebbe annientare tutta l'umanità? (p. 196)
  • Kruscev era un emotivo, e se la prendeva perché i suoi sforzi sinceri e le sue proposte specifiche per il miglioramento della situazione internazionale urtavano contro un muro d'incomprensione e di resistenza. (p. 198)
  • Secondo la teoria marxista, il futuro appartiene a una società in cui non esistono lo sfruttamento dell'uomo ai danni dell'uomo, né oppressioni nazionali e razziali. Il futuro appartiene a una società governata da principii di giustizia sociale, libertà e sviluppo armonioso dell'individuo. Ma ogni nazione ha il diritto di decidere se tali principii le sembrano validi e se vuole adottarli per ristrutturare la propria vita. Se è così, non deve far altro che decidere con quanta rapidità e in quale forma intende procedere. (p. 199)
  • Non importa cosa pensino gli oppositori, il comunismo ha avuto origine ed esiste nell'interesse dell'uomo e della sua libertà, per difendere i suoi diritti reali, e la giustizia nel mondo. (pp. 204-205)
  • [Su Gabriel García Márquez] La gamma del suo pensiero è globale, e basta leggere uno dei suoi libri per rendersene conto. (p. 206)
  • Le donne, la cui predestinazione naturale consiste nel preservare e tramandare la specie umana, sono le sostenitrici più altruiste e numerose dell'idea della pace. (p. 207)
  • Il COMECON non viola in alcun modo l'indipendenza degli stati membri e il loro diritto sovrano di disporre delle proprie risorse e di fare il necessario per il bene dei loro popoli. Il COMECON non è un'organizzazione sovrannazionale. Nel prendere le decisioni si affida al principio del consenso anziché alla maggioranza dei voti. L'unica cosa importante è che la mancanza di desiderio o d'interesse verso la partecipazione a un dato progetto da parte di un paese non deve costituire una remora per gli altri. Chiunque vuole partecipare è il benvenuto; altrimenti può attendere di vedere come se la cavano gli altri. Ogni paese è libero di decidere se è pronto per tale cooperazione e fino a che punto intende parteciparvi. (p. 223)
  • Se si vuole sradicare il terrorismo, è imperativo eliminare le ragioni che lo generano. (p. 230)
  • In Medio Oriente è in corso da molti anni un conflitto tra Israele e i suoi vicini. Mosca viene indicata come la responsabile, poiché si oppone invariabilmente all'espansione di Israele e si schiera in difesa dei diritti sovrani dei popoli arabi, inclusi gli arabi della Palestina. All'Unione Sovietica vengono attribuiti inesistenti pregiudizi antisraeliani, sebbene il nostro paese sia stato tra i primi a favorire la creazione dello stato d'Israele. (p. 231)
  • [Sulla rivoluzione sandinista] Qual è la causa del conflitto? Il regime antipopolare di Somoza è stato rovesciato in Nicaragua e la rivoluzione popolare ne è uscita vittoriosa. Anche in questo caso la rivoluzione sandinista è stata proclamata opera di Mosca e di Cuba. Questo è il criterio ideologico usato per scatenare una guerra non dichiarata contro un piccolo paese la cui unica colpa è la volontà di vivere a modo suo, senza interferenze dall'esterno. Tra l'altro, ciò che è accaduto in Nicaragua lascia presagire ciò che accadrà in altri paesi. Troviamo assurdo sentir affermare che il Nicaragua minaccia la sicurezza degli Stati Uniti e che stanno per esservi costruite basi sovietiche di cui gli americani sembrano sapere tutto ma di cui io non ho mai sentito parlare. (p. 233)
  • Probabilmente non tutti sanno che l'Afghanistan fu il primo paese con il quale l'Unione Sovietica stabilì relazioni diplomatiche. Siamo sempre stati in rapporti molto amichevoli con quel paese, con i suoi re e i suoi capi tribali. Certamente l'Afghanistan ha molti problemi a causa della sua estrema arretratezza, derivata in gran parte dalla dominazione britannica. Perciò è del tutto naturale che molti afghani aspirassero ad aiutare il loro popolo a superare i modelli di vita medievali, ad ammodernare lo stato e le istituzioni pubbliche e ad accelerare il progresso. Ma non appena furono progettati cambiamenti progressisti, gli imperialisti incominciarono a esercitare dall'esterno pressioni sull'Afghanistan. Perciò ai sensi del trattato sovietico-afghano i dirigenti del paese chiesero l'aiuto dell'URSS. Si appellarono a noi ben undici volte prima che acconsentissimo a introdurre nel paese un limitato contingente militare. (p. 235)
  • È l'interferenza americana a ritardare il ritiro delle nostre truppe e a ostacolare la realizzazione della politica di riconciliazione nazionale e quindi la soluzione dell'intero problema afghano. E la consegna degli Stinger ai gruppi di controrivoluzionari, che usano tali missili per abbattere gli aerei civili, è semplicemente immorale e del tutto ingiustificabile. (p. 236)
  • Molti paesi in via di sviluppo aderiscono allo schieramento dei paesi non allineati. Il movimento dei paesi non allineati sorse allo scopo di unire più di cento paesi che comprendono la maggior parte della popolazione mondiale. Il movimento è divenuto una grande forza, un fattore importante negli affari mondiali. Contribuisce a formare un nuovo tipo di relazioni internazionali, indipendentemente dalle caratteristiche particolari e dalle sfumature del movimento stesso, che rappresenta il desiderio delle nazioni libere da poco di cooperare con altre su una base di eguaglianza e di abolire o diktat e i tentativi egemonici nelle relazioni internazionali. L'Unione Sovietica comprende le finalità del movimento ed è solidale con esso. (p. 238)
  • Com'è possibile che l'India e l'Unione Sovietica, due stati dai sistemi sociali e politici diversi, siano riusciti a sviluppare relazioni di qualità tanto elevata? Perché entrambi basano le loro politiche, non a parole ma con i fatti, sui principii di sovranità, di eguaglianza, di non interferenza negli affari interni degli altri paesi e di cooperazione. Entrambi riconoscono a ogni nazione il diritto di scegliere il proprio sistema politico e il proprio modello di sviluppo sociale. (p. 248)
  • Ho detto al presidente Reagan: «Per decenni avete considerato l'America Latina come lo scalino di casa vostra e vi siete comportati di conseguenza. Le nazioni ne hanno avuto abbastanza. Che poi realizzino le loro aspirazioni con mezzi pacifici o con la forza delle armi, è affar loro. Siete stati voi a innescare una "bomba" nell'America Latina con i prestiti che hanno creato un gigantesco debito. Dovreste pensarci bene». (p. 251)
  • I legami commerciali, culturali e politici della Russia con altri stati e nazioni europei hanno radici profonde nella storia. Noi siamo europei. La vecchia Russia era unita all'Europa dal cristianesimo, della cui venuta sulla terra dei nostri avi l'anno prossimo si celebrerà il millenario. La storia della Russia è parte integrante della grande storia europea. I russi, gli ucraini, i bielorussi, i moldavi, i lituani, i lettoni, gli estoni, i careli e altri popoli hanno dato tutti un grande contributo allo sviluppo della civiltà europea. Perciò si considerano a buon diritto suoi eredi legittimi. (p. 255)
  • In Europa circola una versione dei fatti secondo la quale l'Europa fu divisa dai comunisti. E il discorso di Churchill a Fulton? E la Dottrina Truman? La divisione politica dell'Europa fu iniziata da coloro che vollero la disintegrazione della coalizione antihitleriana, vararono la guerra fredda contro i paesi comunisti e crearono il blocco della NATO come strumento di scontro politico-militare in Europa. È opportuno ripetere che il Patto di Varsavia fu firmato dopo l'istituzione della NATO. (p. 258)
  • Densamente popolata e altamente urbanizzata, l'Europa brulica di armi, nucleari e convenzionali. Oggi non sarebbe sufficiente definirla un «barile di polvere». Vi si fronteggiano i gruppi militari più potenti, equipaggiati dei mezzi più moderni e continuamente migliorati. Vi si concentrano migliaia di testate nucleari, mentre ne basterebbero alcune dozzine per trasformare il territorio europeo in un inferno. (p. 261)
  • Le nazioni europee hanno l'esperienza più amara e dolorosa delle due guerre mondiali. La coscienza dell'inammissibilità di una nuova guerra ha lasciato una profondissima impronta nella loro memoria storica. Non è una coincidenza che l'Europa abbia il più vasto e autorevole movimento contro la guerra, che abbraccia tutti gli strati sociali. (p. 263)
  • È tempo di porre fine alle menzogne sull'aggressività dell'Unione Sovietica. Mai, in nessuna circostanza, il nostro paese darà inizio alle operazioni militari contro l'Europa occidentale a meno che noi e i nostri alleati veniamo attaccati dalla NATO! Mai, lo ripeto, mai! (p. 271)
  • L'Europa occidentale non progredirà certo tecnologicamente grazie al programma militarista delle Guerre Stellari. Questa è pura e semplice demagogia colorata di imperialismo tecnologico. (p. 274)
  • L'antico mito greco del rapimento di Europa ha assunto oggi una particolare attualità. È superfluo precisare che l'Europa, come espressione geografica, resterà al suo posto. Tuttavia si ha a volte l'impressione che la politica indipendente delle nazioni dell'Europa occidentale sia stata loro sottratta e venga trasportata al di là dell'oceano, e che gli interessi nazionali vengano cancellati con il pretesto di diffendere la sicurezza. (p. 278)
  • Non accetterò mai l'affermazione, qualunque cosa mi venga detta, che il popolo americano ha intenzioni aggressive verso l'Unione Sovietica. Non posso crederlo. Vi sono forse certi individui che si compiacciono delle tensioni, degli sontri e dell'intensa rivalità tra i nostri paesi. Forse c'è qualcuno che guadagna qualcosa da tale situazione. Ma ciò non corrisponde agli interessi dei nostri popoli. (p. 282)
  • Gli Stati Uniti hanno un potenziale di produzione enorme e un'enorme ricchezza materiale, ma nel contempo hanno milioni di bisognosi. Questo va tenuto presente. Una passione quasi missionaria per predicare i diritti umani e la libertà, e l'inadempienza ad assicurare gli stessi diritti elementari in casa loro. Anche questo induce a riflettere. Interminabili chiacchiere sulla libertà dell'uomo, tentativi di imporre il proprio modo di vivere ad altri, propaganda su vasta scala del culto della forza e della violenza. Come dobbiamo interpretare tutto questo? Arroganza del potere, soprattutto del potere militare, continuo aumento delle spese per gli armamenti e deficit nel bilancio, un debito interno e ora anche un debito con l'estero. A quale scopo? Quali sono le motivazioni degli Stati Uniti? Noi ci poniamo tutti questi interrogativi e molti altri nel tentativo di cogliere la realtà americana e di scoprire le molle principali della sua politica. (p. 288)
  • Non rivelo un segreto se dico che l'Unione Sovietica fa quanto è in suo potere per mantenere le proprie difese moderne e affidabili. È un dovere verso il nostro popolo e i nostri alleati. Nel contempo desidero ricordare che ciò non avviene per nostra scelta. Ci è stato imposto. (p. 293)
  • Senza dubbio l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti sono due stati potenti, dagli immensi interessi. Ognuno ha i suoi alleati e i suoi amici. Abbiamo le nostre priorità in politica estera, ma ciò non significa che siamo inevitabilmente condannati allo scontro. Sarebbe più logica, anzi, una conclusione diversa: l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti sono responsabili per il futuro del mondo. (p. 302)
  • Sì, siamo contrari alla SDI perché siamo per l'eliminazione completa delle armi nucleari e perché la SDI rende il mondo ancora più instabile. Ma per noi è una questione di responsabilità anziché di paura, perché le conseguenze sarebbero imprevidibili. Anziché promuovere la sicurezza, la SDI distrugge quanto ancora resta di ciò che potrebbe servirle. (p. 314)
  • Chernobyl ci ha ricordato spietatamente ciò che subiremmo tutti se venisse scatenato un uragano nucleare. (p. 317)

Explicit

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Noi vogliamo che la libertà regni suprema nel mondo durante il prossimo secolo. Vogliamo che la competizione pacifica fra i diversi sistemi sociali si sviluppi senza impedimenti, vogliamo incoraggiare la cooperazione anziché lo scontro e la corsa agli armamenti. Vogliamo che i popoli di ogni paese godano di prosperità, benessere e felicità. La via per realizzare tutto questo passa attraverso un mondo non violento e senza armi nucleari. Noi ci siamo avviati su questa strada e invitiamo gli altri paesi e le altre nazioni a seguirci.

La casa comune europea

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  • Dopo Hiroshima e Nagasaki la guerra mondiale ha cessato di essere la continuazione della politica con altri mezzi.[40] Nella guerra nucleare si disintegreranno anche gli autori di tale politica. (p. 77)
  • Noi siamo testimoni viventi di come vada crescendo un vasto movimento di opinione pubblica, che comprende in ogni parte del mondo scienziati, intellettuali di varie tendenze, esponenti religiosi, donne, giovani, bambini, un numero sempre più grande di bambini (!), persino ex militari, generali, che sanno bene che cosa siano le armi moderne. E tutto questo perché gli uomini sono sempre più consapevoli del punto in cui il mondo si è venuto a trovare, su quale abisso si trovi e quanto sia reale la minaccia che incombe su di esso. (p. 81)
  • L'autoaffermazione di un mondo sfaccettato rende inconsistenti i tentativi di guardare dall'alto chi ci circonda e di voler insegnare agli altri la «propria» democrazia. Senza parlare del fatto che i valori democratici in «versione esportazione» in genere si deprezzano molto rapidamente.
    Cosicché il discorso verte su una unità nella diversità. Se constatiamo tale realtà a livello politico, se confermiamo che ci atteniamo alla libertà di scelta, verranno a cadere anche le concezioni secondo cui qualcuno è sulla terra per «volontà divina» e qualcun altro invece per puro caso. (pp. 116-117)
  • La politica è l'arte del possibile.[41] (p. 168)
  • Lo spirito democratico di Lenin e il suo continuo contatto con la gente, l'atteggiamento esigente di Lenin verso se stesso e verso gli altri, la sua intransigenza verso il burocratismo, sono un esempio insuperabile. Le deviazioni da questo stile si sono sempre trasformate in costi politici e morali, hanno frenato lo sviluppo. (pp. 247-248)

La perestrojka illustrata agli italiani

intervista di Gerardo Chiaromonte, 18 maggio 1987, in La casa comune europea

  • L'Unione Sovietica avversa fieramente, sul piano dei princìpi, il progetto delle «guerre stellari». E non perché si tratta di un programma americano. [...] ogni «scudo cosmico» può essere agevolmente trasformato in una «spada cosmica». E chi la impugna potrebbe non resistere alla tentazione di usarla. (pp. 252-253)
  • Debbo dire che mi piace molto lo stile con cui voi italiani ponete le domande. Prima occupate mezza pagina per ricordarmi quello che io stesso ho detto, e solo a quel punto fate la domanda. Uno stile simpatico! (pp. 260-261)
  • Lenin disse a suo tempo (non sto citando, rendo l'idea) che è importante non soltanto conoscere la posizione dei propri compagni di partito, o di movimento, ma anche quello che dice di noi l'avversario di classe. Poiché questo in primo luogo esprime apertamente le proprie vedute e, in secondo luogo, vede più chiaramente i punti deboli delle nostre posizioni. (p. 264)
  • Il socialismo non può assicurare condizioni di vita e consumi uguali per tutti. Ciò avverrà nel comunismo. Nel socialismo il criterio di distribuzione dei beni sociali è diverso: da ciascuno secondo le capacità, a ciascuno secondo il lavoro.[42] (p. 268)
  • Il realismo è il tratto obbligatorio di ogni politico. (p. 273)
  • La stampa borghese tratta in modo distorto il processo della democratizzazione in corso nel nostro paese. Probabilmente c'è chi desidera convincere i propri lettori e ascoltatori che nell'Unione Sovietica finalmente si sarebbero decisi ad avvicinarsi alla democrazia che c'è in Occidente. Le cose, direi, stanno completamente al contrario. Stiamo sviluppando la sostanza originaria dei princìpi leninisti della democrazia socialista sovietica, partendo dal potenziale politico e culturale della società e del popolo sovietico che abbiamo accumulato. La democrazia socialista è insieme il nostro obiettivo, la condizione, lo strumento potente della perestrojka. (p. 291)
  • È chiaro che l'efficacia dell'opinione pubblica dipende molto da quanto essa è competente, dal fatto cioè se possiede o no informazioni attendibili. (p. 295)
  • Il risanamento della società e l'immagine pulita, onesta di ogni iscritto al partito sono indivisibili. (p. 297)

Ogni cosa a suo tempo

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Gorbačëv con sua moglie Raisa nel 1988

Incipit

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È trascorso ormai un anno da quando Raisa è venuta a mancare. Oggi, insieme ai miei familiari e agli amici più cari, sono andato al cimitero per l'inaugurazione del suo monumento funebre, opera dello scultore Fridrich Sogojan. È fatto di grosse lastre di marmo variegato e ricorda un prato. L'iscrizione recita: «Raisa Maksimovna Gorbačëva. 5 gennaio 1932-20 settembre 1999». Sul monumento è scolpita la figura di una giovane donna molto somigliante a Raisa, china a raccogliere dei fiori di campo sulla pietra tombale.

Citazioni

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  • Io e Raisa abbiamo convissuto quasi cinquant'anni, senza mai separarci e senza sentirci mai di peso l'uno per l'altra, insieme siamo stati sempre felici. Ci amavamo, ma anche in privato non ce lo confessavamo spesso. L'essenziale era preservare quel sentimento che era nato tra noi fin dagli anni della giovinezza. Ci comprendevamo e cercavamo di proteggere il nostro rapporto. (p. 9)
  • Il Precaucaso è un crocevia di civiltà, culture e religioni diverse. La sua ricca e variegata storia ha sempre suscitato in me un vivo interesse. (p. 17)
  • Nel Caucaso avevo sentito un proverbio che sosteneva che per un «montanaro» vivere senza avere ospiti è come vivere senza l'aria, ma quando l'ospite si trattiene un po' troppo, al «montanaro» viene a mancare l'aria, e lo raccontai ai miei conoscenti. Ma loro non erano d'accordo. (p. 21)
  • Qui, in questa mia «piccola» patria, ho avuto le mie prime lezioni di internazionalismo. Non si tratta solo di una teoria, era il presupposto fondamentale della vita comune nel Caucaso settentrionale. Persone di differente nazionalità che vivevano fianco a fianco nel loro aul, villaggio o stanitza, serbando la propria cultura e le proprie tradizioni e, al tempo stesso, si aiutavano reciprocamente, si scambiavano ospitalità e lavoravano insieme, trovando una lingua comune. (p. 22)
  • Quante volte mi è capitato di sentire che nelle fasi di trasformazione sociale la violenza non soltanto è legittima, ma necessaria! È un fatto che durante le rivoluzioni sia quasi impossibile evitare spargimenti di sangue, ma ritenere la violenza un metodo universale di soluzione dei problemi, farvi ricorso in nome del conseguimento di «nobili» scopi, praticando una volta di più lo sterminio di un popolo, è disumano. (p. 24)
  • Del 1933 - l'anno della carestia - serbo nella memoria solo pochi momenti, frammenti di ricordi. Rivedo nonno Andrej che cuoce in un pentolone delle rane per sfamare la famiglia. (p. 28)
  • La gente si stava appena riprendendo da tutti gli sconvolgimenti provocati dalla prima guerra mondiale e dalla guerra civile, dalla collettivizzazione, dalle repressioni, la vita misera e grama di un tempo stava finendo, nei negozi si potevano acquistare scarpe, calicò, sale, articoli per la casa, aringhe, alici (a volte avariate), fiammiferi, cherosene, sapone... Ed ecco che la Russia si trovava ad affrontare di nuovo la più dura delle prove: continuare a esistere o sparire. (pp. 30-31)
  • La guerra fu una terribile tragedia per l'intero paese. Molto di ciò che era stato costruito con dura fatica andò distrutto. Andò annullata la speranza di una vita felice nell'immediato. Andarono annientate anche le famiglie: i figli persero i popri padri, le mogli i mariti, le ragazze i fidanzati. (p. 40)
  • In quegli anni ho sofferto anch'io come tutti, ma, ogni volta che si accenna alla guerra, subito mi torna alla memoria una scena da incubo. Era la fine di febbraio 1943 e, con altri bambini della mia età, vagando in cerca di trofei, mi aggiravo nella striscia di bosco che separava Privol'noe da un villaggio vicino della provincia di Kuban, Belaja Glina. Ci imbattemmo nei resti dei soldati dell'Armata Rossa che nell'estate 1942 avevano combattuto lì la loro ultima battaglia. Era una scena indescrivibile: i corpi putrefatti con i teschi negli elmetti arrugginiti, le bianche falangi delle mani che spuntavano dalle giubbe e stringevano mitragliatrici, granate e caricatori. Giacevano lì insepolti, nel lerciume e nella fanghiglia delle trincee e dei crateri, osservandoci con le nere orbite vuote degli occhi... (p. 41)
  • Ciò che abbiamo sofferto in quegli anni può spiegare perché proprio noi, figli della guerra, decidemmo poi di cambiare il nostro modo di vivere arretrato. Noi bambini, che portavamo sulle spalle il peso della responsabilità della sopravvivenza delle nostre famiglie e del nostro nutrimento, diventammo adulti in un attimo. Gli sconvolgimenti di cui siamo stati testimoni e protagonisti nella nostra vita e nel mondo ci hanno trasportato di colpo dall'infanzia all'età adulta. Abbiamo continuato a rallegrarci della vita come fanno i bambini, a giocare come fanno gli adolescenti, ma sempre guardando a questi giochi con un certo distacco, da adulti. (p. 42)
  • Negli anni della guerra la gente era consapevole di dover alvare la propria terra, la propria patria e pensava che una volta finito tutto, dopo la vittoria, si sarebbe ricominciato a vivere. Ma dopo la guerra, soprattutto nei primi anni, ben poco sembrava essere cambiato. Il lavoro era massacrante come sempre e si continuava a sognare: ecco, ricostruiremo tutto, faremo risorgere il paese e allora sì che potremo vivere davvero, da cristiani. Questa convinzione alimentava la speranza anche di chi era oppresso dai lavori più umilianti, logoranti, che così acquisivano un senso, e li aiutava a superare la dura fatica. (p. 49)
  • Mentirei se dicessi che la manipolazione ideologica a cui venivano sottoposti gli studenti universitari non lasciava segni nelle nostre coscienze. Eravamo figli del nostro tempo. Se una certa parte del corpo accademico, per come mi appare oggi, era costretta a seguire le regole del gioco, dal canto nostro noi studenti assimilavamo in modo fiducioso e ingenuo come se fossero delle verità molti aspetti delle discipline studiate. (p. 61)
  • Lenin era un marxista veemente, alla russa, e quindi ancora più veemente. (p. 62)
  • Il regime staliniano trattava i contadini come servi della gleba. Non è un caso che fosse soprattutto chi emigrava dalle campagne a nutrire dubbi sull'equità del sistema vigente, piuttosto di chi era nato e cresciuto in città. Certi principi, come quelli della collettivizzazione forzata e della politica di collettivizzazione agraria, per me, a differenza che per i miei compagni di corso, che vivevano in città, non erano soltanto teorie, ma realtà. Sapevo per esperienza quanto fossero ingiusti molti aspetti di quei principi. (p. 63)
  • Apparire elegante in ogni situazione era per Raisa una sorta di imperativo interiore. In tutti gli anni trascorsi insieme non l'ho mai vista comparire al mattino con un aspetto sciatto o trascurato. È questa una caratteristica che hanno ereditato anche mia figlia Irina e le mie nipoti. La nonna rimarrà per sempre, per loro, un modello di eleganza. (p. 80)
  • [Su Jawaharlal Nehru] Quell'uomo straordinario, con il suo nobile portamento, gli occhi intelligenti e penetranti e un sorriso buono, disarmante mi turbò profondamente. Riccordo le affettuose parole che rivolse alla nostra Alma Mater e il augurio che l'università potesse laureare ragazzi e ragazze «dall'intelletto e del cuore grandi», che diventassero «portatori di buona volontà e di pace nel mondo».
    L'ospite indiano sosteneva che il problema della pace era legato a quello del progresso della civiltà umana e dell'utilizzo delle più innovative conoscenze in campo tecnico e scientifico per il bene di tutta l'umanità e si augurava l'abbattimento di ogni limite e barriera che impedisce l'evoluzione della nostra coscienza e del nostro spirito. (p. 84)
  • [Su Nikita Sergeevič Chruščёv] Ora si levano spesso critiche contro Chruščёv, si scrivono articoli e libri sui suoi errori. Indubbiamente ne commise, ma penso che i suoi meriti siano talmente rilevanti da superare gli errori. Fu l'iniziatore della lotta contro lo stalinismo, promosse con energia una politica di pace, consentì la riabilitazione di milioni di persone innocenti che erano state perseguitate, annullò le disposizioni di Stalin sulla deportazione in Siberia di interi popoli tra cui balkari, karačai, ingusci, ceceni, calmucchi e tatari di Crimea. (p. 99)
  • Mi fece l'impressione di un uomo aperto, schietto. Mi colpì il suo atteggiamento democratico, la sua disponibilità verso tutti. [...] Lo stile di Chruščёv era una sorta di marchio personale e molti dirigenti di rango inferiore si sforzavano di imitarlo.
    Il guaio era che, essendo un'imitazione, e per di più fatta da politici di cultura limitata, un simile stile di leadership assumeva spesso forme volgari. La sua genuinità e il suo tratto popolare, per non parlare poi del turpiloquio e dell'ubriachezza, si trasformavano a volte in autentica cafoneria. (p. 106)
  • Malgrado tutte le contraddizioni del suo carattere, Chruščёv rimane per me un leader del tutto coerente con le linee principali del suo operato politico. Certo, non voleva appropriarsi della leadership del partito, intendeva semplicemente modernizzarlo, indebolendo il suo monopolio su ogni cosa. E qui si scontrò con una potente resistenza che alla fine determinò la sua sconfitta. (p. 111)
  • Aliyev era senza dubbio un politico notevole: astuto, determinato e calcolatore. Guardando alla sua attività in Azerbaigian, rimasi subito impressionato dalla forte lotta da lui ingaggiata contro la corruzione e l'economia parallela. Era stato molto attivo nel suo paese e aveva attuato riforme nel settore dell'agricoltura. Però, scavando più a fondo, arrivai gradualmente a capire che, dietro ai cambiamenti che stavano avvenendo laggiù, c'erano motivi alquanto ambigui. È opinione diffusa, in politica, che le ragioni nascoste siano irrilevanti nella valutazione dei risultati oggettivi. Non è vero. So per esperienza che certe ragioni, in particolare quelle non legittime, incidono invariabilmente sui risultati. Il clan originario che si era esteso a macchia d'olio in Azerbaigian, invadendo tutte le strutture direttive della repubblica, cacciato da Aliyev per corruzione e inefficienza, era stato soppiantato da un altro clan, il cosiddetto «gruppo di Nachičevan». Come in passato, il nepotismo era dilagante. Avendo così creato un potente bacino di appoggio basato sulla logica del clan, Aliyev regnava sovrano. La profusione di sedute, assemblee, manifestazioni, conferenze stampa, incontri con il popolo e altre iniziative democratiche era una mera facciata, la leadership alla guida del paese non era cambiata. (p. 239)
  • [Su Pentimento] Fu girato sotto la protezione di Eduard Ševardnadze e mostrato durante una proiezione privata alla casa del Cinema a un gruppo ristretto di spettatori e, quindi, in altre sale riservate. Il film era una vera bomba: aveva un profondo significato non solo artistico, ma anche politico. (p. 313)

La posta in gioco

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Incipit

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Questo libro, dal titolo La posta in gioco, tratta niente di meno che del futuro del mondo globale. Un po' presuntuoso, forse. Ma dopo tutto, chi può dire dove andrà a finire l'umanità?
Le previsioni fatte cento o anche solo venti anni fa oggi non susciterebbero altro che sorrisini di perplessità. In questo libro, però, non voglio fare nessun pronostico. Al contrario, voglio riflettere sul nostro comportamento, su ciò per cui stiamo lottando e che dovremmo evitare, se speriamo di salvaguardare il nostro mondo per le generazioni future.

Citazioni

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  • La generazione di politici a cui appartengo si costituì nel dopoguerra. Alcuni di noi avevano combattuto nella seconda guerra mondiale, altri avevano sperimentato questo terribile flagello quando ancora erano bambini o adolescenti. Questo conflitto mondiale aveva lasciato nelle nostre anime delle cicatrici così profonde da insegnarci a fare tesoro della pace. (p. 23)
  • Cosa rimane dello spirito della Carta di Parigi? Sembra essere svanito nell'oscurità durante gli anni Novanta. Per anni politici, ministri e capi di Stato non hanno fatto menzione di questo documento. Cosa ne è stato dell'impegno chiave che esso sanciva, quello cioè di «sviluppare meccanismi per la prevenzione e la soluzione di conflitti fra gli Stati partecipanti»? In seguito, non è stato fatto nessun passo sostanziale in questa direzione. (p. 25)
  • Trent'anni fa nessuno mise in dubbio che si dovesse considerare la fine della guerra fredda come una vittoria comune. Tutto nacque tramite il dialogo e i negoziati sui problemi più complicati in materia di sicurezza e disarmo, e attraverso il perfezionamento delle relazioni bilaterali. In assenza di tutto questo la guerra fredda e la corsa agli armamenti avrebbero potuto trascinarsi per diversi decenni ancora. E chi può dire a cosa avrebbero portato?
    Anziché riconoscere tutto questo, l'occidente si dichiarò vincitore. Fu il crollo dell'Unione Sovietica, che i leader americani attribuirono a una politica dal pugno di ferro, a segnare la fine della guerra fredda.
    Questi ultimi conclusero che fosse ora necessario rafforzare ulteriormente il loro potere militare, imporre la propria volontà e creare un mondo unipolare, un impero americano. Le conseguenze sono evidenti in Medio Oriente e in Nord Africa, così come in Jugoslavia e Ucraina. In Europa, insomma, proprio nel continente che ha vissuto due guerre mondiali! È imperdonabile. (p. 26)
  • Le armi nucleari sono come un fucile appeso sullo sfondo di uno spettacolo teatrale: non abbiamo scritto noi l'opera, non la stiamo mettendo in scena, e non siamo quindi a conoscenza delle intenzioni dell'autore, dunque chiunque, e in qualsiasi momento, potrebbe prendere e portare via il fucile dalla scenografia per utilizzarlo. (p. 28)
  • Mi preoccupa profondamente il fatto che le Nazioni Unite possano perdere il loro ruolo come strumento principale per risolvere problemi di sicurezza internazionale, sebbene siano state create proprio per questo motivo. (p. 43)
  • Quando il presidente americano decise di usare la forza contro l'Iraq – con il pretesto che il Paese possedesse armi di distruzione di massa –, non solo ignorò i fatti, ma si contrappose anche all'opinione della maggior parte dei Paesi del mondo, tra cui alcuni loro alleati. Ma soprattutto, agì senza l'approvazione delle Nazioni Unite: una chiara violazione del diritto internazionale. (p. 46)
  • I principali Paesi industrializzati e le loro multinazionali si sono serviti dei processi della globalizzazione per portare avanti i propri interessi. I grandi Paesi in via di sviluppo, come la Cina e l'India, sono stati in grado di adattarsi con successo a tali processi, ma in molte altre nazioni in via di sviluppo è di gran lunga maggiore il numero di chi è rimasto svantaggiato, rispetto a quello di chi invece ne ha tratto beneficio. Per questo motivo, molti considerano la globalizzazione una nuova forma di colonialismo. (pp. 51-52)
  • A partire dalla crisi finanziaria del 2007-2008, il numero di miliardari è raddoppiato a livello globale, e oggi sono oltre duemila. Solo nel 2018, il loro reddito è aumentato di novecento miliardi di dollari: un aumento di due miliardi e mezzo al giorno! La ricchezza complessiva delle ventisei persone più ricche al mondo – 1,4 trilioni di dollari – corrisponde al reddito di 3,8 miliardi degli abianti più poveri del mondo. 738 milioni di persone vivono in condizioni di estrema povertà con un reddito inferiore a cinque dollari e mezzo al giorno. (pp. 53-54)
  • Dal 1979, il reddito reale dei cittadini americani generalmente considerati appartenenti alla classe media è cresciuto solo del ventotto per cento, mentre il reddito reale dei cittadini più ricchi è cresciuto del novantacinque per cento nell'arco dello stesso periodo!
    Come può tutto questo avvenire in un'epoca di eccezionali progressi progressi in campo scientifico, tecnologico ed economico? Il motivo principale sembra risiedere in un sistema fiscale fatto su misura per gli interessi dei ricchi, e in particolare dei più ricchi. (p. 54)
  • In sostanza, è necessario rivedere il modello economico dominante a livello globale di un'economia di mercato così sfrenata, il cui obiettivo è ottenere il massimo profitto e il massimo consumo. Questo sistema produce crisi, diseguaglianza sociale, nonché il rischio che avvenga una catastrofe ambientale. (pp. 55-56)
  • Può essere legittimo muovere delle critiche alla burocrazia, ma ciò non deve degenerare in una negazione globale del governo statale. Noi russi ricordiamo bene il prezzo che dovemmo pagare per questo negli anni Novanta. Il collasso dello Stato privò milioni di cittadini del loro lavoro, dei loro risparmi e della loro prospettiva di vita, favorendo invece il crimine organizzato, la corruzione e la conquista del potere reale da parte di oligarchi. (p. 57)
  • Le grandi sfide e i problemi del mondo moderno sono fra loro strettamente intrecciati. Per come la vedio io, ci sono due principali minacce che potrebbero annullare tutti i tentativi fatti finora per assicurare una vita dignitosa alle generazioni attuali e future. Innanzitutto, c'è il serio pericolo che possa socppiare una nuova e devastante guerra che coinvolga l'utilizzo di armi di distruzione di massa. In secondo luogo, c'è il rischio di essere colpiti da catastrofi ambientali causate da un riscaldamento globale accelerato, in larga parte imputabile all'opera dell'uomo. (p. 61)
  • Le minacce ambientali sono il rovescio della medaglia, l'inevitabile conseguenza del modello economico esistente e delle soluzioni industriali e tecnico-economiche a esse associate. Tali minacce non si possono eliminare esclusivamente a livello nazionale, e spesso nemmeno mediante forme già esistenti di cooperazione internazionale. I rischi globali sono soprattutto espressione di una nuova forma di interdipendenza globale, e richiedono dunque nuove forme di intervento. (p. 62)
  • Il rapporto delle Nazioni Unite ci segnala che il tasso di estinzione di varie specie animali e vegetali non ha precedenti nella storia del pianeta; è decine o centinaia di volte maggiore rispetto al tasso medio degli ultimi dieci milioni di anni. Un milione di specie comparse sulla Terra sono ora in via di estinzione. Gli scienziati parlano di «distruzione della natura»: gli esseri umani stanno mettendo a repentaglio la capacità della Terra di generare acqua potabile, aria pulita e suolo fertile.
    Come risultato delle nostre attività economiche, circa metà delle foreste pluviali – i polmoni del nostro ecosistema – è già scomparsa. Al tasso attuale di sfruttamento, nel 2030 solo il dieci per cento sarà rimasto intatto. Stiamo avvelenando mari e fiumi a un ritmo inimmaginabile. Ogni giorno, due milioni di tonnellate di liquami, così come di rifiuti industriali e agricoli, finiscono nei nostri bacini idrici. L'ottanta per cento dei fiumi in tutto il mondo è attualmente in pericolo. (pp. 63-64)
  • Chi vota i populisti? La stragrande maggioranza di elettori comprende normali cittadini preoccupati per il futuro del proprio Paese, della propria famiglia e dei propri figli. Sono coloro che hanno tratto svantaggio dalla globalizzazione, che prima appartenevano alla classe media ma il cui tenore di vita continua ora a peggiorare. (p. 80)
  • Non posso [...] mettere alla gogna chi vota questi demagoghi politici. È sempre stata una caratteristica della natura umana quella di sperare e di cercare eroi politici. E oltretutto, le persone sembrano non vedere altro modo di segnalare al sistema politico e ai suoi rappresentanti che qualcosa deve cambiare.
    È questo ciò che penso quando in televisione vedo i volti di coloro che hanno dato il loro voto ai populisti e ai demagoghi. Nono posso biasimarli. Il fatto che i rappresentanti da loro eletti trovino o meno delle soluzioni ai problemi e alle sfide attuali, è un altro discorso. Sospetto che ne saranno amaramente delusi. (p. 81)
  • Agli amici e agli individui affini si dovrebbe parlare apertamente, e devo dire che in questi ultimi decenni i socialdemocratici si sono permessi di nuotare tra le onde del monetarismo, del liberalismo economico e della globalizzazione senza fondamentalmente metterli in discussione. Al massimo hanno cercato di mitigarne gli effetti peggiori. Le forze di sinistra davano la priorità alla discussione di problemi come la posizione delle donne, le minoranze, i migranti e altri temi ampiamente socio-culturali; questioni certamente di grande importanza, ma che hanno sviato l'attenzione da problemi riguardanti in particolare i lavoratori, la classe media, i comuni cittadini che stavano perdendo il lavoro, se non addirittura i mezzi di sostentamento. (p. 85)
  • C'è qualcosa di sbagliato nella cultura e nella mentalità della classe politica. Cinismo, lotta per conquistare i voti degli elettori a tutti i costi per mezzo dell'inganno e facendo uso di promesse per lo più impossibili da mantenere, sono praticamente diventati la norma. Il passo verso la corruzione e un comportamento criminale è breve. (p. 87)
  • Gli Stati Uniti potrebbero assumere un ruolo di primaria importanza nella cessazione dei conflitti, nella lotta per la salvaguardia dell'ambiente e nella soluzione di altri problemi, se solo cercassero di creare partenariati invece di insistere sulla ricerca di una posizione di dominio. Ma gli eventi degli ultimi decenni mostrano che i politici americani non hanno ancora afferrato questo concetto. L'uso della forza rimane la loro argomentazione preferita. (p. 99)
  • Sentiamo spesso parlare di due tendenze contraddittorie nella politica estera degli Stati Uniti, una realistica e l'altra idealistica. I "realisti" tendono a difendere gli interessi nazionali, in particolare gli interessi in ambito commerciale e militare, mentre gli "idealisti" spingono per intraprendere la strada verso la democrazia e i diritti umani. Ovviamente questa è una semplificazione grossolana. Non è possibile, infatti, identificare due "fazioni" separate all'interno della politica americana. Ciononostante, direi che ogni loro amministrazione tende a interpretare gli interessi del Paese in modo espansivo e globale e ad affermarli di conseguenza, ignorando quelli di altre nazioni e, di recente, spesso con dispiacere dei loro alleati. (p. 100)
  • Dopo la dissoluzione dell'Urss, gli Stati Uniti perseguirono una strategia di dominanza, sfruttando il "momento unipolare" esclusivamente nel loro interesse. Per di più scoprirono di avere tali interessi in diverse località del pianeta: Iraq, Balcani, Afghanistan, Libia, Siria e, da ultimo, il Venezuela. Ogni singolo presidente americano ha combattuto una guerra tutta sua.
    Il mondo è migliore per questo? I comuni cittadini americani hanno forse tratto beneficio da queste campagne militari? Ve n'è stata almeno una che abbia contribuito a rendere il mondo più sicuro? Quanto ci vorrà per rimuovere le macerie prodotte da queste rischiose imprese e dal budget militare sempre più gonfio? (p. 101)
  • Il 2020 ha inflitto una nuova calamità all'umanità, dando inizio a un'ulteriore sfida globale. Nell'arco di soli due o tre mesi, l'epidemia di coronavirus ha travolto il mondo intero. Ma se all'inizio sembrava esserci la speranza di poter gestire questa situazione senza troppe difficoltà, ben presto gli scienziati hanno cominciato a lanciare degli avvertimenti in merito al contrario, che sfortunatamente non sono stati ascoltati da numerosi leader e rappresentanti politici. (p. 169)
  • [Sulla pandemia di COVID-19] È già diventato banale sostenere che il mondo non sarà più come prima, una volta che avremo debellato questo nemico invisibile e ci saremo lasciati alle spalle questa calamità. Ma come esso sarà esattamente, dipenderà solo dalle lezioni che impareremo mentre questi eventi si svolgono sotto i nostri occhi. (p. 169)

Explicit

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Non mi stancherò mai di ripetere che dobbiamo smilitarizzare la politica mondiale, le relazioni internazionali e il pensiero politico. Questo problema richiede una discussione al più alto livello internazionale.
Per questo motivo, all'inizio di aprile ho invitato i leader mondiali a convocare una sessione speciale di emergenza delle Nazioni Unite, da tenersi non appena la situazione si stabilizzerà, e che dovrà essere niente di meno che una revisione generale dell'intera agenda globale. In particolare, il mio invito, che rivolgo a tutti gli Stati, è quello di impegnarsi a ridurre le spese militari almeno del dieci o quindici per cento.

Citazioni su Michail Gorbačëv

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  • Anch'io guardo a Gorbaciov come una figura positiva, non per ciò che voleva fare, perché lui voleva solo aggiustare il comunismo, bensì per ciò che effettivamente ha fatto: aprire uno spazio di libertà che ha pian piano risucchiato via il comunismo. (Adam Michnik)
  • C'è forse un solo uomo, oggi, che può fare qualcosa subito: Gorbaciov. È a lui che faccio appello, perché intervenga, fermi la mano al mostro di Bucarest. Gli tagli i viveri. Rompa i legami economici. È la prima cosa da fare. Gorbaciov è il solo che potrebbe interrompere i rifornimenti alla Romania e far saltare da un giorno all'altro la dittatura di Ceausescu. (Eugène Ionesco)
  • Dopo una vita nel Partito Comunista, ha posto fine con coraggio e determinazione all'esperienza dell'Unione Sovietica e cercato di costruire una nuova stagione di trasparenza, diritti, libertà. Il suo desiderio di pace, la sua opposizione a una visione imperialista della Russia gli sono valsi il Premio Nobel. Sono messaggi quanto mai attuali davanti alla tragedia dell'invasione dell'Ucraina. (Mario Draghi)
  • È il treno che passa una sola volta nella vita e perderlo sarebbe criminale. In lui noi aiutiamo non il socialismo, ma la sua disfatta. (Joe Biden)
  • È riuscito a distruggere il socialismo meglio di qualunque suo dichiarato nemico, da Churchill a Hitler. (Kurt Gossweiler)
  • È stato un sovietico dalla testa ai piedi, si credeva sicuro di poter costruire un comunismo dal volto umano: un'assurdità. Lui e Shevardnadze non sapevano guardare le cose nel profondo, volevano arrivare alla democrazia senza dare l'indipendenza alle repubbliche, il che era impossibile. (Levan Berdzenišvili)
  • È un uomo formidabile, l'uomo che porterà l'Urss in Europa. (Robert Maxwell)
  • Era un uomo che ha cercato di offrire una vita migliore per la sua gente. La sua vita è stata significativa perché, senza lui e il suo coraggio, non sarebbe stato possibile porre fine pacificamente alla Guerra fredda. (Condoleezza Rice)
  • Gorbačëv deve sentirsi sempre più solo. Continua a essere immensamente popolare in Occidente. L'Occidente desidera andare d'accordo con i padroni del Cremlino, ma a condizione che si tratti di persone simpatiche, sorridenti, ben vestite, rilassate, serene, spiritose e gentili. Ed ecco che, dopo seicento anni di inutile attesa, spunta un uomo come Gorbačëv! Londra, Parigi, Washington e Bonn spalancano le braccia tutte contente. Che scoperta! Che sollievo! (Ryszard Kapuściński)
  • Gorbačëv è tremendo tanto quanto i suoi predecessori, solo che lui sorride di più ed è accompagnato dalla sua bella moglie, Raisa. Entrambi stanno cercando di mostrare al mondo e all'America che non sono poi così cattivi. (Norodom Sihanouk)
  • Gorbačëv era un tipico «sovietico», che pensava che i cittadini assennati dovessero assimilare i valori dell'Unione Sovietica indipendentemente dal loro retroterra nazionale, e presumeva sconsideratamente che la cultura russa dovesse essere il nucleo dell'identità sovietica. (Robert Service)
  • Gorbaciov è un interlocutore attento, spiritoso e con la battuta pronta. [...] Ci ha detto che si sarebbe voluto laureare in fisica, che legge molti testi filosofici e, infine, che conserva un bellissimo ricordo del primo dei suoi due viaggi in Italia, quando visitò in lungo e in largo la penisola; mentre il secondo fu triste, per i funerali di Berlinguer. (Gerardo Chiaromonte)
  • Gorbaciov era e restava espressione di un sistema totalitario e di un partito comunista che egli cercava di mantenere al centro del sistema. Non poteva non essere travolto dalla caduta di un regime rimasto in vita troppo a lungo e accompagnato dalla sconfitta economica. (Giorgio La Malfa)
  • Ha sbagliato a non seguire il consiglio che gli avevo rivolto: dissolvere l'Unione Sovietica per poi riformarla, ricompattarla. Io, al posto suo, avrei rischiato. (Lech Wałęsa)
  • Ho avuto simpatia per lui, come tutti i romeni, come tutto l'Occidente. È stato Mikhail Sergeevic a spezzare il ghiaccio del breznevismo, a innescare il crollo dell'Impero. Ma per il cittadino russo il declino è legato alla figura di Gorbaciov. Per questo il suo ruolo e il suo personaggio non vengono discussi, ma rifiutati in blocco. (Ion Iliescu)
  • Ho sempre ammirato il coraggio e l'integrità con cui egli portò la guerra fredda a una conclusione pacifica. In un tempo segnato dall'aggressione di Putin all'Ucraina, il suo impegno senza risparmio per aprire la società sovietica resta un esempio per tutti noi. (Boris Johnson)
  • I nemici di Gorbačëv lo accusano di essersi messo a capo di un'Urss prospera e di averla portata alla rovina. È vero il contrario: l'Urss era crollata da un pezzo e Gorbačëv ne ha allungato il più possibile la vita. (Ryszard Kapuściński)
  • Impossibile dialogare con lui. Ha detto: non vi permetterò di andarvene dall'Unione. Ha chiesto di ritirare le nostre milizie e ha detto che violavamo la Costituzione. Gli ho risposto che noi abbiamo la nostra e che quella sovietica non la riconosciamo. Si è messo a urlare. Con lui non parlo più. (Zviad Gamsakhurdia)
  • La morte biologica di Michail Gorbačëv è la sua seconda morte: simbolicamente, era già morto con la dissoluzione dell'Unione Sovietica. Il suo ruolo è stato puramente negativo, quello di un mediatore evanescente: ha "buttato giù il muro", ha avviato la scomparsa del sistema comunista ed è ricordato ed elogiato per aver fatto sì che questa scomparsa avvenisse in maniera pacifica. Gorbačëv ha svolto il suo ruolo onestamente. (Slavoj Žižek)
  • Lo considero un riformatore straordinario. Ha avviato una causa importante e io sono convinto che ha ancora un futuro, che è l'unico in grado di guidare la Russia di oggi. (Džochar Dudaev)
  • Noi naturalmente abbiamo il dovere di ringraziare Gorbačëv per quello che ha fatto, però se lei mi chiede se lo ha fatto bene o lo ha fatto male io debbo rispondere che lo ha fatto malissimo. Io non so se lui... che lui volesse salvare la Patria sovietica questo non lo metto in dubbio. Che lui volesse salvare il comunismo... io debbo risponderle di no, perché quello che lui ha fatto per affossare il comunismo lo ha fatto. (Indro Montanelli)
  • Non faccio pronostici, ma per me il suo ritorno curerebbe molti mali, mali cronici in Russia. (Džochar Dudaev)
  • Non si può confondere il giudizio su Gorbaciov con la valutazione storica dell'intera esperienza sovietica. La morte dell'Urss avviene in modo drammatico e convulso ma nello stesso tempo suggerisce ulteriori e più ripensamenti su 70 anni di movimenti comunisti. Gorbaciov però resta lo straordinario iniziatore di una nuova fase nella vita europea e di svolta verso il disarmo. (Giorgio Napolitano)
  • Non so se i popoli che vivono al di là del Prut considerino Gorbačëv uno zar buono o cattivo, ma per i milioni di esseri umani che in Polonia, Ungheria, Bulgaria, Cecoslovacchia, Germania orientale e Romania hanno taciuto nell'umiliazione per decenni, il leader sovietico incarna la buona novella, è il messia del socialismo dal volto umano. (Mircea Dinescu)
  • Per lui ci vorrebbe la ghigliottina. [...] Voi occidentali continuate a considerarlo un eroe. Ma qui in Russia non lo sopporta nessuno. Vi siete mai chiesti il perché? [...] Perché ha smantellato il Patto di Varsavia, ci ha fatto perdere tutto quello che controllavamo. Ha fatto riunire la Germania devastando ogni equilibrio in Europa. [...] La Germania Unita ha per esempio fomentato la guerra in Jugoslavia. Le migliaia di vite perdute nella guerra dei Balcani sono tutte a carico del signor Gorbaciov. (Ėduard Limonov)
  • Per me è una figura quasi mistica, come Rasputin, ma positiva. Oggi siamo amici. Mi dice spesso "Se avessi lasciato tutto com'era, potevo restare al potere per quindici anni, forse di più, ma sentivo che così non si poteva andare avanti". Io dico che se nel 1985 alla morte di Cernenko, fosse andato al potere Eltsin, il Politburo lo avrebbe spazzato via. Se ci fosse andato uno meno riformatore di Gorbaciov non ci sarebbe stata la perestrojka. Dio scelse lui è bastò la sua volontà di cambiare a mettere in moto tutto il resto. (Viktor Vladimirovič Erofeev)
  • Persone estranee agli ideali comunisti iniziarono a entrare negli organi di governo del partito. Per un po' mascherarono le loro vere opinioni e intenzioni con la retorica “corretta”. Tuttavia, dal 1985, mostrarono i loro veri volti. L'ascesa al potere di Gorbačëv segnò l'inizio della distruzione dell'Unione Sovietica. Col pretesto di slogan su accelerazione, perestrojka e glasnost, i nuovi governanti iniziarono a distruggere metodicamente tutti i pilastri chiave del sistema socialista: dall'economia all'ideologia. Tale processo culminò nella tragedia del 1991. (Gennadij Zjuganov)
  • Quando in Occidente rievocano con aria nostalgica la perestrojka o la glasnost di Gorby, non fanno che rinverdire un mito creato ad arte da gente felicissima di avere un nuovo leader comunista dall'aria rispettabile, capace di comportarsi come si deve sulle tribune internazionali, e in grado fisicamente di sostenere una conversazione senza agitare a ogni secondo la minaccia dei missili nucleari. In Russia, invece, la gente rideva apertamente della comica formula del "socialismo dal volto umano", perché l'uomo di solito non ha nessun bisogno di mascherarsi e di indossare un "volto umano", dato che ce l'ha già. Normalmente la maschera serve solo ai vampiri dei film dell'orrore. (Elena Tregubova)
  • [Sulla riunificazione tedesca] Senza Gorbaciov non avremmo potuto raggungere la riunificazione. (Lothar de Maizière)
  • Statista insigne, sin dal momento della sua elezione alla guida dell'U.R.S.S. Gorbaciov ha suscitato in patria e all'estero importantissime aspettative di cambiamento. Ha perseguito con tenacia l'obiettivo di migliorare le condizioni di vita dei suoi concittadini e di dischiudere alla comunità internazionale prospettive di pace e di collaborazione che sarebbero state inimmaginabili senza il suo fondamentale contributo, come poi riconosciuto con l'assegnazione del Premio Nobel per la pace. In lui convivevano sincero attaccamento alle proprie radici e capacità di ascoltare e comprendere le ragioni degli altri, con il coraggio della consapevolezza che la preservazione della pace rappresentasse il valore più alto e la chiave di volta per la costruzione di un mondo migliore per tutti. Il debito nei suoi confronti è grande, soprattutto da parte degli europei. (Sergio Mattarella)
  • C'è un esercito estremamente forte e moderno e un partito dirigente debole e superato. Gorbaciov è serio e sincero a proposito della sua iniziativa di pace.
  • Credo che Gorbaciov sia un governante moderno e civile. Egli ha voluto dimostrare di non voler trattenere le persone contro la loro volontà.
  • Ha voluto la democrazia e poi si è indignato quando gli altri hanno cominciato ad avere idee diverse dalle sue.
  • Gorbaciov voleva riformare il Pcus per conservarlo. Eltsin, come la maggior parte dei russi, voleva abbattere il partito per poter costruire qualcosa di nuovo. È riuscito nella prima parte del suo progetto, ma adesso non è in grado di andare avanti. Deve mettersi da parte.

  Citazioni in ordine temporale.

  • Sul conto di Gorbaciov, gli occidentali stanno dicendo e scrivendo un mucchio di stupidaggini. Perchè mai la giovane età, degli abiti di buon taglio, maniere affabili ed educate, e una moglie carina dovrebbero essere i segni distintivi di un riformista? Krusciov era un rozzo campagnolo, Deng Xiaoping è un ottuagenario, ed entrambi hanno saputo, in modi diversi, essere dei riformatori. No, il nuovo capo del Cremlino deve ancora mostrare se ha la stoffa di un leader, e quali sono le sue intenzioni. E se davvero vorrà essere l'uomo della Grande Riforma, dovrà affrontare ostacoli immani.
  • Quel che mi sembra interessante in Gorbaciov non è certo la sua età: Stalin, Kruscev e Breznev andarono al potere prima dei sessanta, e quindi semmai le aberrazioni furono le segreterie dei già vecchi Andropov e Cernienko. No, quel che colpisce è che Gorbaciov è il primo leader sovietico che ha saputo farsi scegliere dai suoi predecessori. Egli ha saputo imporsi come l'uomo capace di ispirare fiducia ai vecchi del Cremlino, e di piacere all'Occidente. Qui sta la sua forza, ma anche la sua debolezza. [...] Perchè se prima Andropov e Suslov, poi gli altri vecchi del Cremlino si sono fidati del giovane Mikhail, ciò vuol dire che non hanno certo visto in lui l'uomo che avrebbe spezzato la continuità del sistema. Semmai, egli è stato scelto come il leader che avrebbe saputo ringiovanire il sistema garantendone la continuità, come Andropov aveva continuato a fare. Ringiovanire un sistema centralizzato e burocratico è una cosa, riformarlo è ben altra.
  • Se Gorbaciov vuole ottenere autentico progresso economico, deve concedere più democrazia, ma il prezzo che pagherebbe è l' instabilità politica in Urss, che è un sistema multinazionale pronto ad esplodere, come si è già visto in Armenia e nelle regioni baltiche. Viceversa, se Gorbaciov vuole mantenere la stabilità politica, dovrà rinunciare ad un vero progresso economico, perché solo con la liberalizzazione dei mercati e dei prezzi, solo attraverso individualismo e pluralismo, il suo tentativo di riforma può avere successo.
  • Io sostengo infatti che Gorbaciov è un revisionista, molto più vicino ad un Dubcek che ai suoi predecessori del Cremlino. Io sono favorevole a quel che Gorbaciov sta facendo, ma non penso che produrrà mai un genuino sistema pluralista. Prevedo piuttosto una fase di protratta turbolenza, in cui assisteremo da un lato a concessioni eclatanti che Gorbaciov potrebbe fare, come l'abbattimento del muro di Berlino o la restituzione al Giappone delle quattro isole di Kuril, in cambio di crediti e aiuti occidentali; e dall'altra a rivolte etniche, ribellioni di massa, anche armate.
  • Ha svolto una funzione importante, ma si è lasciato superare dagli eventi. Poteva ritirarsi prima. Doveva capire che nell'Urss la decentralizzazione era il presupposto del rinnovamento. Senza di essa, sarebbero impossibili le eventuali - sottolineo eventuali - democratizzazione del sistema e graduale ripresa dell' economia. La decentralizzazione è un evento positivo.
  • Come Putin, Gorbacev pensava che sarebbe stato meglio se l’Unione Sovietica fosse andata avanti. Ma, diversamente da Putin, egli concepiva una federazione riformata e democratizzata, anziché una unione di nazioni non disposte a sottomettersi al dominio del Cremlino.
  • Con l’invasione dell’Ucraina e la distruzione degli organi di stampa che erano divenuti possibili a causa della glasnost, oggi l’eredità di Gorbacev sembra morta. Ma lo stesso Gorbacev era più ottimista. Egli spesso osservava di essere stato lui stesso un prodotto del disgelo di Kruscev, e non averbbe avuto esitazione nell’incoraggiarci a credere che un giorno emergerà un nuovo leader in Russia, si avvierà una nuova perestroika, e risorgeranno i valori ai quali lui aveva dedicato la sua vita.
  • Il primo e l’ultimo presidente sovietico fu il leader più democratico che la Russia (il centro di fatto della URSS) abbia avuto nel corso dell’ultimo secolo, se non da sempre. E nei 31 anni a partire dal collasso sovietico, la sua fiducia nella pace, nella comprensione reciproca, nel dialogo e nella democrazia sono rimaste incrollabili.
  • Quello che rese Gorbacev diverso dagli altri leader russi era che egli accettò la responsabilità delle conseguenze del suo governo. Mentre anche Kruscev ed il successore di Gorbacev, Boris Eltsin lo fecero (tra parentesi, gli unici altri leader che furono allontanati dal potere o lo lasciarono volontariamente prima della loro morte), essi abbandonarono del tutto la vita pubblica, in privato rimproverandosi per quello che non erano riusciti a compiere. Gorbacev, all’opposto, si unì agli storici, ai politici, ai suoi stessi compagni e all’opinione pubblica nel riconsiderare il suo governo. Paradossalmente, contribuì a seppellire se stesso come figura storica mentre era ancora in vita.
  • Gorbaciov ha portato l'Urss verso una dittatura con il bel nome di "regime presidenziale".
  • La principale differenza tra me e Gorbaciov è che lui vuole mantenere il sistema, mentre io voglio distruggerlo.
  • Se Michail Gorbaciov bussasse alla mia porta e mi chiedesse di riconciliarci, gli risponderei: troppo tardi, il treno è già partito.
  • Disse che i primi anni di Vladimir Putin erano stati buoni, per riportare un po' di ordine senza imbrigliare del tutto la nascente democrazia russa e i buoni rapporti con l'Occidente, ma che poi Putin aveva sbagliato a spingere sull'autoritarismo e sulla forza. Quella forza che Gorbaciov non aveva usato, lasciando che l'Europa orientale si liberasse dalle catene, regalando agli stessi russi lo spiritello della libertà. Ma la libertà, come ripetevano le massaie di Mosca davanti ai negozi vuoti, non si mangia.
  • Gorbaciov era rimasto solo, abbandonato dai nostalgici del comunismo come dai radicali democratici. E sbeffeggiato dalla gente comune per la sua battaglia contro l'alcolismo, che gli valse il soprannome di "segretario minerale", come se fosse astemio, un'infamia per un russo paragonabile a quella di un italiano che disdegna la pizza o gli spaghetti. Non era vero che non beveva: qualche volta, nei giorni finali di solitudine al Cremlino, si era perfino sbronzato di cognac, come confessò il suo più stretto collaboratore Anatolij Cernjaev nel proprio diario. Non era un ubriacone come il suo successore Boris Eltsin, tuttavia. Non avrebbe mai detto, come il principe Vladimir, fondatore della prima Russia, "bere è la gioia dei russi, non possiamo vivere senza", rifiutando per questo l'Islam come fede di stato, perché vietava l'alcol, e abbracciando invece il cristianesimo.
  • L'uomo della perestroika, l'ultimo presidente sovietico, il leader che per liberare un impero lo ha distrutto, era fatto così: sapeva ridere di sé stesso. Perfino nel momento in cui aveva perso tutto.
  • Al potere dal 1985 fino alla fine dell’Urss nel 1991, Michail Gorbačëv non ne desiderava la scomparsa. Voleva solo umanizzarla e modernizzarla nel tentativo di salvarla.
  • Gorbačëv aveva scelto di consentire all’ex blocco sovietico di emanciparsi e aveva un progetto che avrebbe dovuto trascendere i blocchi, quello della "casa comune europea". Gli occidentali non lo hanno seguito, soddisfatti di aver ottenuto la fine della guerra fredda e poi anche la fine dell’Urss.
  • Gorbačëv è uscito di scena quando Putin ha trasformato la Russia in una potenza autoritaria agli antipodi della glasnost, in guerra semidichiarata con l’occidente laddove il principale merito dell’ultimo presidente dell’Urss era stato quello di aver seppellito la guerra fredda. L’invasione dell’Ucraina è il punto d’arrivo di questa demolizione di fatto del sogno di Gorbačëv.
  • Il disperato tentativo di Gorbaciov di salvare il socialismo e l'Unione Sovietica alla fine fallì miseramente, mentre lui diventava senza volerlo un eroe dell'Occidente. Io personalmente, al contrario di altri, non gli riconosco il minimo merito per non aver mandato i soliti carri armati a sedare le rivolte anticomuniste scoppiate in tutto il blocco sovietico, anche perché in realtà Gorbaciov inviò militari in Lettonia e in Lituania, dove secondo lui avrebbe potuto agire indisturbato. Gorbaciov non era propriamente un cuor di leone quando c'era in ballo la sua testa, e non voleva fare la fine del rumeno Nicolae Ceaușescu, la cui destituzione e il cui assassinio, nel dicembre del 1989, erano ancora ben impressi nella memoria collettiva.
  • Persino chi in Occidente critica Gorbaciov per non aver mai voluto seriamente la fine del comunismo e dell'Urss gli riconosce il merito di "non aver inviato le truppe" quando, con lo sgretolarsi della Cortina di ferro, le repubbliche sovietiche si allontanavano via via da Mosca. Io invece gli nego anche questo piccolo onore. In primo luogo perché in realtà Gorbaciov usò la forza militare in diversi luoghi, soprattutto nei paesi baltici. È vero, avrebbe potuto ordinare ai soldati di bloccare le elezioni, arrestare i leader dell'opposizione e sparare sui dissidenti. Il punto, però, è: gli avrebbero dato ascolto? Anche se qualcuno di quei soldati avesse obbedito agli ordini di Mosca e avessero massacrato migliaia di persone, questo avrebbe decretato la fine violenta dello stesso Gorbaciov, e lui era una che ci teneva a rimanere in piedi. [...] Gorbaciov non inviò i carri armati per tenere insieme l'Unione Sovietica semplicemente perché sapeva che era troppo tardi e che così facendo sarebbe stata la sua testa a cadere.
  • Ufficialmente, durante il colpo di Stato, Gorbaciov fu rinchiuso nella sua dacia in Crimea, ma è mia convinzione che il golpe fosse una sua idea, o quantomeno che egli ne fosse un autore consapevole. In questo modo Gorbaciov non avrebbe dovuto assistere impotente al declino della sua autorità, ma avrebbe potuto sperare di tornare in una posizione di forza dopo aver "negoziato" con i falchi, che nel frattempo avrebbero fatto il lavoro sporco sbaragliando gli oppositori politici come Eltsin.
  • Con la parziale libertà di culto concessa in alcune Repubbliche Sovietiche Lei ha dimostrato di non pensare più che la religione è l’oppio della società.
  • Egregio Signor Gorbaciov, è chiaro a tutti che d’ora in poi bisognerà cercare il comunismo nei musei della storia politica del mondo.
  • Le chiedo di compiere un serio e approfondito studio dell’Islam, e questo, non perché l’Islam e i musulmani abbiano bisogno di Lei, ma per i valori superiori e universali di questa religione.
  • Chiunque arrivi al vertice della gerarchia sovietica ad una età relativamente giovane deve avere una personalità formidabile. E deve possedere una eccezionale combinazione di ortodossia e di audacia.
  • Gorbaciov è sicuramente più colto e più giovane degli ultimi due capi sovietici, anche se dobbiamo ricordare che è più giovane di Breznev (quando questi salì al potere) di soli tre anni, e un po' più vecchio di Kruscev quando questi diventò segretario generale del PCUS. Dobbiamo perciò mantenere il senso della realtà.
  • I sovietici, con Gorbaciov, hanno aumentato i loro sforzi militari in Afghanistan; hanno accresciuto il loro impegno militare in Angola, il che fa quasi pensare che essi vogliano acquisire in prospettiva una posizione di interlocutori nella crisi sudafricana. È questa la premessa di un negoziato globale in cui si tratta per superare le reciproche diffidenze?
  • Le maggiori speranze di allentare la tensione nei rapporti Est-Ovest non stanno nell'imperscrutabile atteggiamento di Gorbaciov, ma nella crisi della struttura governativa ed economica dell'Urss.
  • Penso che Gorbaciov sia molto abile. Sa quel che deve fare per sopravvivere nel sistema, per rafforzare la sua posizione.
  • Uno degli atteggiamenti più irritanti è la fissazione dell'Occidente di basare le speranze di pace sulla personalità del leader sovietico, o su un rapporto personale creato dal vertice. Sono speranze che non hanno alcun riscontro nella realtà sovietica. Nessun segretario generale, neppure Stalin, è riuscito ad assumere un potere incontrastato in meno di quattro anni. Né un leader sovietico può basare una svolta politica su un principio così poco marxista quale il suo rapporto personale con un presidente americano, senza screditarsi di fronte ai suoi colleghi.
  • Altro che premio Nobel per la pace: armava i miei nemici e a parole mi blandiva. Smisi di telefonargli. Avevo capito che mentiva. Erano giorni molto difficili: noi non sapevamo più chi era l'amico e chi il nemico.
  • Mio caro amico, Gorbaciov ha tradito il mondo intero, e non solo Menghistu. Ha distrutto il proprio paese e tutto il movimento internazionale socialista, comunista e nazionalista. È salito al potere dicendo che voleva combattere la corruzione all'interno del vecchio Pcus, dandosi arie di efficientista: invece voleva smantellare il sistema, altro che migliorarlo.
  • Sembrava una persona perbene, onesto, devoto alla causa socialista. Mi dimostrava amicizia e calore. Poi, una volta salito al potere, nel 1985, iniziò a parlare di perestrojka e di glasnost. A un certo punto io lo chiamai da Addis Abeba per fissare un appuntamento. Avevo bisogno di capire cosa stava succedendo. Andai a Mosca per domandargli cosa significavano quei due slogan. Slogan che io non capivo e che, secondo me, neppure il popolo sovietico capiva. Gli dissi: "Compagno Gorbaciov, parliamoci chiaro. Se ci sono dei cambiamenti in linea, diccelo, così possiamo anche noi rettificare il cammino. La vostra forza è la nostra forza, la vostra debolezza è la nostra debolezza."
  • Siamo stati tutti traditi da Gorbaciov: quel controrivoluzionario ha distrutto l'Unione Sovietica consegnando il mondo agli americani e rovesciando tutti gli equilibri.
  • Gorbačëv credeva che per lui e per il vero socialismo ci fosse un futuro, che la politica onesta non temesse il confronto con gli avversari, che non ci fossero argomenti tabù. In questo senso era europeo, parlava la stessa lingua del resto del mondo.
  • La nostra generazione, quella cresciuta ai tempi di Gorbačëv, è stata fortunata. Abbiamo vissuto in un paese libero, in cui si poteva non indossare un'uniforme militare, non marciare in colonna, usare la propria testa. Questo non può esserci tolto né dalla violenza né dalle leggi. In questo senso siamo gli eredi di Gorbačëv e gli siamo debitori.
  • La Russia di Gorbačëv poteva discutere e fare politica. Lui stesso subiva critiche durissime, ma sapeva ascoltare ed era più forte di chi invece si circonda di adulatori.
  • Michail Gorbačëv guidò l'Unione Sovietica per sei anni. Un periodo breve, se pensiamo ai dittatori che sognano il potere eterno. Se ne andò insieme al paese di cui era presidente, per evitare che affogasse nel sangue. È una cosa che molti non possono perdonargli, perché in Russia non c'erano stati governanti come lui prima e non ce ne sono stati dopo. Gorbačëv è stato un estraneo in una società in cui l'ideale di uomo politico è rappresentato da Stalin. Una società malata di paura.
  • Se le idee del Pcus erano giuste, perché doveva aver paura di altri partiti? Gorbačëv la pensava così, demolendo il principio secondo cui il capo ha sempre ragione. Ai suoi tempi si poteva dubitare delle autorità senza rischiare di essere dichiarati agenti stranieri. Scomparve il concetto di nemico del popolo: se ognuno può dire la sua, provare a individuare il nemico non ha più senso, perché semplicemente siamo tutti diversi.
  • È stato proprio sotto Gorbačëv che vennero liberato gli ultimi prigionieri politici dell'URSS. Il fatto che oggi gente come me venga a sapere della sua morte da "radio-galera" è la perfetta illustrazione della capriola che il mio Paese ha compiuto e che questo grande uomo ha iniziato.
  • I miei sentimenti nei confronti di Gorbačëv sono passati da una feroce irritazione – stava ostacolando i «democratici radicali», che io idolatravo – a un amaro rispetto. Quando fu chiaro che i «democratici radicali» erano in gran parte un gruppo di ladri e ipocriti, Gorbačëv rimase uno dei pochi a non usare il potere, e le opportunità che offriva, per l'arricchimento personale. Ha lasciato il potere pacificamente, di sua spontanea volontà, rispettando la volontà degli elettori. Già solo questo era un enorme successo per gli standard dell'ex URSS.
  • Sono certo che la sua vita e la sua storia, che hanno avuto un significato cruciale per quanto è accaduto alla fine del XX secolo, saranno giudicate più favorevolmente dai posteri che dai suoi contemporanei.
  • È il primo leader sovietico, a quanto mi risulta, ad aver parlato spontaneamente di un taglio degli arsenali nucleari.
  • È l'unico che cerca di attuare l'insegnamento di Lenin, la Nep, la nuova politica economica. La glasnost e la perestrojka potrebbero cancellare lo stalinismo...
  • Segretario generale Gorbaciov, se lei cerca la pace, se cerca prosperità, se cerca liberalizzazione per l'Unione Sovietica e l'Europa dell'est: venga a questa porta. Signor Gorbaciov, apra questa porta. Signor Gorbaciov, abbatta questo muro!
  • Egli non ignora, ripeto, la gravità delle crisi ma sembra usarle per meglio realizzare lo scopo prioritario della sua strategia politica. Si vale del nazionalismo armeno per tenere a bada gli azeri e del nazionalismo russo per controllare i baltici. Usa gli argomenti della perestrojka contro i conservatori e gli argomenti della conservazione contro gli impazienti. Si vale della crisi economica per chiamare in causa le responsabilità degli oppositori in seno al partito e per meglio argomentare la necessità di un suo radicale rinnovamento. E continua nel frattempo a perseguire il suo obiettivo principale: sconfiggere gli avversari, eliminare i compagni infidi, estendere e consolidare il controllo del partito.
  • Le crisi, finché possono essere usate contro i suoi avversari, non sembrano preoccuparlo eccessivamente e non lo distraggono dal suo obiettivo prioritario. Considerato in questa prospettiva egli su muove coerentemente nell'ambito di una tradizione politica elaborata da Lenin e consolidata da Stalin. E come Stalin aveva notevolmente ridotto il potere del partito per meglio affermare il proprio, così Gorbaciov sembra pronto a sconvolgere il partito pur di farne lo strumento della sua politica.
  • Si va diffondendo da qualche tempo nell'opinione pubblica occidentale la sensazione che Gorbaciov sia divenuto col passare del tempo una sorta di Kerenskij e che egli galleggi sulle onde di un Paese in tempesta assai più di quanto non riesca a pilotare la nave del governo.
  • Dichiara che stiamo restaurando gli ideali dell'epoca di Lenin. In realtà, instauriamo qualcosa di fondamentalmente diverso, perché non ritorneremo all'epoca di Lenin. Impossibile.
  • Gorbaciov insiste tanto sull'importanza dei soviet elettivi, ma quando un soviet regionale ed uno di una Repubblica decidono liberamente in una terminata direzione e il loro volere non è rispettato, si tratta d'una contraddizione.
  • Personalmente, penso che verrà rovesciato presto, e, insieme con lui, tutta quella parte del Paese che ha creduto alla perestrojka. Non scommetterei dieci rubli su Gorbaciov.
  • Aveva le mie stesse radici contadine, la stessa consuetudine di lavoro in campagna, una buona conoscenza della vita del popolo. Un livello d'istruzione e una cultura indiscutibili. E infine la prossimità geografica e le cure comuni, che predeterminavano un'altra «prossimità», informale e di lavoro.
    Ma c'era ancora qualcosa che, ai miei occhi, lo distingueva nettamente da quella sorta di artificiosa rozzezza komsomoliana che tanto mi aveva sempre infastidito, e, soprattutto, gli si leggeva sul volto un modo di pensare inequivocabilmente fuori di ogni schema precostituito.
  • Come uomo, padre e marito, e infine come suo ex compagno di lotta, ho potuto condividere con lui l'incubo di quelle 72 ore di prigionia nel comodo carcere di Foros. Era prigioniero della giunta. Ma quando tornò e arrivò alla conferenza stampa vidi subito che restava un prigioniero: prigioniero del suo carattere, della sua immagine, del suo modo di pensare e di agire. Adesso posso affermarlo con assoluta certezza: lui solo, e nessun altro, ha allevato con molte cure quella giunta, con la sua negligenza, la sua indecisione e la sua inclinazione a barcamenarsi, con la sua scarsa conoscenza degli uomini, la sua indifferenza nei confronti dei suoi veri compagni di lotta, la sua sfiducia nelle forze democratiche e in quella fortezza che si chiama popolo. Quel popolo che si è trasformato grazie alla perestrojka inaugurata da lui.
    E qui c'è la grande tragedia personale di Michail Gorbačev, e purtroppo dobbiamo dire - anche se la nostra compassione per lui è ancora grande - che questa tragedia avrebbe potuto condurre alla catastrofe nazionale.
  • Esprimo la mia grande gratitudine a Mikhail Sergheevic Gorbaciov. Sono suo amico. La penso come lui. Ho sempre sostenuto e continuerò a farlo fino all' ultimo giorno le sue idee sulla perestrojka, sul rinnovamento, sulla democratizzazione. Abbiamo fatto un grande lavoro in campo internazionale. Ma penso che sia mio dovere come persona, come cittadino, come comunista. Non posso accettare quanto sta accadendo nel nostro paese, né i processi che sono in corso. E ritengo ancora che la dittatura non passerà. Il futuro appartiene alla democrazia e alla libertà.
  • Gorbaciov potrebbe abbandonare il posto di dirigente del partito sovietico. Farebbe bene, ma avrebbe dovuto farlo prima.
  • L'ho sempre rispettato. È un grande uomo, un protagonista di tutti questi cambiamenti. Abbiamo anche avuto momenti di dissenso, ma questo non riduce i suoi meriti.
  • Non mi posso spiegare le ragioni del conflitto tra Eltsin e Gorbaciov. Anche un bambino sa benissimo che quest'ultimo non rappresenta una minaccia, non potrà mai tornare a fare il presidente, ma allo stesso tempo possiede delle grandi capacità politiche che potrebbero essere utilmente valorizzate e impiegate in una Russia democratica.
  • Gorbaciov è uno di quei rari uomini capaci di cambiare il futuro.
  • Il leader più grande e coraggioso che l'Unione Sovietica abbia mai avuto.
  • Mi piace Mr. Gorbaciov. Possiamo fare affari insieme.
  • [Sul crollo del muro di Berlino] Tutto questo non sarebbe avvenuto se Gorbaciov non avesse cominciato ad ampliare le libertà nell'Unione Sovietica. Ha agito con audacia e le sue riforme hanno avviato in Polonia e in Ungheria metamorfosi irresistibili.
  • A differenza di altri dirigenti Gorbaciov non ha mai fatto parte della polizia segreta, ma ha assimilato il mondo psicologico del suo grande mentore Andropov, capo supremo dell'organizzazione, che passava anche lui le acque dalle parti di Gorbaciov. I due facevano assieme lunghe passeggiate, e il più giovane assimilava e faceva proprie le categorie mentali del maestro. Questi era convinto che un potere razionale e forte potesse cambiare il mondo. A differenza di molti altri nomeklaturščiki, scettici su ogni possibilità di cambiamento, Gorbaciov credeva nella riformabilità del sistema, trovando in Andropov una conferma illustre e autorevolissima.
  • Gorbaciov è uno di quegli scolari che amano le scorciatoie, il salto per cancellare lunghi incubi notturni dovuti ai compiti non eseguiti giorno per giorno. Poi tutto si complica di nuovo.
  • Gorbaciov pensava di attenuare le spinte centrifughe con il miglioramento delle condizioni di vita e concedendo il libero voto. Una visione che si è dissolta non solo perché il tenore di vita si è abbassato e perché il voto è stato un grido di indipendenza, ma perché storicamente non è possibile manipolare genti, Stati e confini.
  • Nessuno è in grado di stabilire come e perché Gorbaciov sia approdato al riformismo. Certo, aveva avuto frequentemente davanti agli occhi l'esempio negativo delle cariatidi della generazione più anziana che lui, da segretario del partito di Stavropol', accompagnava regolarmente dalla stazione ferroviaria, ove scendevano dai loro sfarzosi treni speciali, alle terme curative, facendosi apprezzare per la sua disponibilità e deferenza. Si trattava di gente che continuava cocciutamente a cullarsi nelle proprie illusioni, erano prigionieri della «surrealtà» comunista, amavano il mondo fittizio di successi altrettanto fittizi e soprattutto s'inebriavano dell'adulazione dei cortigiani e dell'adorazione delle masse. Gente che ignorava tutto o quasi della realtà effettuale dell'Urss. Gli ambasciatori nelle capitali straniere inviavano solo dispacci tali da gratificare questi vecchietti, conformandosi alla loro miopia psicologica: il capitalismo, ormai condannato ineluttabilmente, si sarebbe ben guardato dallo sferrare micidiali zampate contro il sistema comunista mondiale – come a suo tempo avevano previsto i testi sacri – perché l'Urss, grazie ai suoi immani sacrifici e alla sua genialità, s'era ormai dotata di una forza di dissuasione nucleare tale da far desistere qualunque aggressore.
  • Tra Gorbaciov ed Eltsin c'è sempre rimasto un certo rispetto; concedendo l'uno all'altro la qualifica del solo avversario-partner. Sono due caratteri estremi dell'universo russo: spontaneo e ribelle Eltsin; razionale, puntuale Gorbaciov, che forse invidia all'altro la statura fisica, la capacità di prendere le decisioni senza aver dubbi, più contadino. Al contrario, Gorbaciov cercava sempre le conferme dall'esterno.
  • Gorbaciov da la colpa di tutto allo stalinismo e alla corruzione di Breznev. Sono nauseato... Perché non parla dei propri errori?
  • Gorbaciov vuole rinnovare il socialismo contro il capitalismo. Ma che cosa significa? Forse una socialdemocrazia? Il suo non è vero socialismo. Ci stiamo muovendo nella nebbia...
  • Sotto il breznismo Gorbaciov fece tutto ciò che gli venne ordinato... Tra lui e Breznev non ci fu mai nessun contrasto... Come noi, Gorbaciov esaltò Breznev... Entrò nel politburo prima di me, come è possibile che abbia cambiato idee e noi no?
  1. Citato in «Non vogliamo superare la potenza nucleare Usa», La Stampa, 12 marzo 1985
  2. Citato in Gorbaciov ai romeni: non siete felici, La Stampa, 27 maggio 1987
  3. a b Citato in Giulio Andreotti, L'URSS vista da vicino, Rizzoli, Milano, 1988, pp. 330-331
  4. Citato in «In pericolo l'unità dell'Urss», La Stampa, 2 luglio 1989
  5. Citato in «Siamo rimasti agli zar», La Stampa, 15 luglio 1989
  6. Citato in Sarà varata una legge, La Stampa, 2 dicembre 1989
  7. Citato in Ultimatum di Gorbaciov. «Annullate subito l'indipendenza», La Stampa, 1 aprile 1990.
  8. a b Citato in Applausi col contagocce a Gorbaciov, La Stampa, 3 luglio 1990
  9. a b Citato in Gorbaciov: Eltsin sta impazzendo, La Stampa, 16 gennaio 1991
  10. a b Citato in Gorbaciov: questa guerra dilaga, La Stampa, 23 gennaio 1991
  11. Citato in «Non farò la caccia alle streghe», La Stampa, 23 agosto 1991.
  12. a b Citato in Gettano fango su di me, La Stampa, 21 settembre 1991
  13. Citato in Via le testate nucleari tattiche, La Stampa, 6 ottobre 1991
  14. Citato in Favorì la pace fra i popoli, La Stampa, 7 novembre 1991
  15. Citato in Gli slavi cancellano Gorbaciov, La Stampa, 9 dicembre 1991.
  16. Citato in «Democratico straordinario», La Stampa, 10 ottobre 1992
  17. Citato in Gorbaciov: il mio crepuscolo, La Stampa, 6 maggio 1992
  18. a b Citato in «Italiani attenti alle divisioni», L'Unità, 19 settembre 1993
  19. Citato in Gorbaciov difende l'Ottobre, La Stampa, 20 settembre 1993
  20. Citato in Zhirinovskij e i nazi. Patto in Germania, la Repubblica, 22 dicembre 1993.
  21. Citato in Gorbaciov: Boris è finito, deve capirlo, La Stampa, 10 agosto 1999
  22. a b Citato in Il crollo dell'Impero sovietico, intervista di Fiammetta Cucurnia, la Repubblica, 21 dicembre 2001
  23. Citato in Gorbaciov «I russi nella Nato. Si avvera il sogno mio e di Reagan», intervista di Giulietto Chiesa, La Stampa, 14 aprile 2002.
  24. a b Citato in Gorbaciov: Putin fa bene in Cecenia ma ha tanti nemici, La Stampa, 24 ottobre 2003
  25. Citato in Gorbaciov: no alle accuse generiche, La Stampa, 7 febbraio 2004
  26. Dall'intervista di Giulietto Chiesa, in Gorbaciov: una data esplicita per il ritiro, La Stampa, 3 giugno 2004
  27. Citato in Gorbaciov: l'Occidente non tema la Russia, La Stampa, 7 marzo 2005
  28. (EN) Citato in Sri Chinmoy, Athletic Spiritual Leader, Dies at 76, Nytimes.com, 13 ottobre 2007.
  29. Citato in Gorbaciov: ero e resto ateo, Lastampa.it, 28 marzo 2008.
  30. (RU) Citato in Intervista a Vladimir Vladimirovič Pozner, Agitclub.ru, 29 giugno 2009.
  31. Citato in Mandela: l'omaggio dei leader del mondo a Madiba, Ansa.it, 6 dicembre 2013
  32. Citato in Morto Shevardnadze, alfiere della perestrojka, Avvenire.it, 7 luglio 2014
  33. Citato in Gorbaciov esorta Russia e USA a stabilire un dialogo strategico, Sputniknews.com, 30 aprile 2019
  34. Citato in Mikhail Gorbachev tells the BBC: World in ‘colossal danger’, BBC World News, 4 novembre 2019. Citato in AA.VV., Il libro della legge, traduzione di Sonia Sferzi, Gribaudo, 2021, p. 247. ISBN 9788858029596
  35. Citato in Gorbaciov ha detto che il destino futuro degli Stati Uniti come stato è stato messo in discussione, It.topwar.ru, 7 gennaio 2021.
  36. a b Citato in Gorbaciov: Invasione Usa dell'Afghanistan "una cattiva idea fin dall'inizio", Lantidiplomatico.it, 17 agosto 2021.
  37. Citato in Gorbacev: obiettivo l'annientamento del comunismo, Comintern.it.
  38. (EN) Did Gorbachev say that his intention was to destroy Communism?, History.stackexchange.com, 2013
  39. Citato in "Rimpiango il Pci, non l'Urss". Intervista a Massimo D'Alema, huffingtonpost.it.
  40. Cfr. Carl von Clausewitz: «La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi».
  41. Cfr. Otto von Bismarck: «La politica è l'arte del possibile, la scienza del relativo».
  42. Cfr. Louis Blanc: «Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni».

Bibliografia

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  • Michail Gorbaciov, Perestrojka. Il nuovo pensiero per il nostro Paese e per il mondo, traduzione di Roberta Rambelli, Mondadori, Milano, 1987, ISBN 88-04-331008-1
  • Michail Gorbaciov, La casa comune europea, traduzione a cura della APN Publishing House, Mondadori, Milano, 1989, ISBN 88-04-33183-6
  • Michail Gorbačëv, Ogni cosa a suo tempo. Storia della mia vita, traduzione di Nadia Cigognini e Francesca Gori, Marsilio, 2013, ISBN 978-88-317-1518
  • Michail Gorbačëv, La posta in gioco. Manifesto per la pace e la libertà, traduzione di Monica Manzella, Baldini+Castoldi, 2020, ISBN 978-88-9388-304-7

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