Vasilij Semënovič Grossman

giornalista e scrittore sovietico (1905-1964)
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Vasilij Semënovič Grossman (1905 – 1964), scrittore e giornalista russo.

Targa commemorativa, dedicata a Vasilij Grossman

Vita e destino

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La nebbia copriva la terra. Il bagliore dei fanali delle automobili rimbalzava sui fili dell'alta tensione che correvano lungo la strada.
Non aveva piovuto, ma all'alba il terreno era umido e, quando si accendeva il semaforo, sull'asfalto bagnato si spandeva un alone rossastro. Il respiro del lager si percepiva a chilometri di distanza – lì convergevano i fili della luce, sempre più fitti, la strada e la ferrovia.

Citazioni

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  • Con una quindicina di parole in tutto il grande popolo tedesco aveva invaso città e campagne del grande popolo russo, dove milioni di donne, vecchi e bambini russi e milioni di soldati tedeschi conversavano a suon di «matka, pan, ruki verch, kurka, jajka, kaputt». Conversazioni da cui non veniva mai niente di buono. Al grande popolo tedesco, però, quelle poche parole bastavano e avanzavano per spadroneggiare in terra di Russia.
  • Dai tempi dello zar per me l'antisemitismo è legato al patriottismo di bassa lega dell'Unione di San Michele Arcangelo. Qui, invece, quelli che chiedono di liberare la Russia dagli ebrei si umiliano di fronte ai tedeschi e sono pronti a vendere la Russia per trenta denari nazisti. E intanto dalla periferia vengono a rubare in città, occupano le case, portano via coperte e vestiti. Farabutti. Un po' come quelli che davano la colpa ai medici e li ammazzavano, durante l'epidemia di colera del secolo scorso. Poi ci sono i pigri d'animo, quelli che acconsentono a qualunque bassezza pur di non contraddire i potenti.
  • Le unioni degli uomini, le loro ragioni, sono determinate da un solo grande scopo: conquistare il diritto degli uomini a essere diversi.[1]
  • Lo spazio misurato con perni e righelli di metallo e il tempo calcolato dagli orologi più moderni si deformarono di colpo, dilatandosi e appiattendosi. La loro immutabilità non era più un fondamento, per la scienza, ma piuttosto una prigione. E venne il giorno del Giudizio, il giorno in cui verità millenarie furono proclamate errori. La verità aveva dormito per secoli – come in un bozzolo – in antichi pregiudizi, errori e imprecisioni.
    Il mondo divenne non-euclideo, la sua natura geometrica si scoprì formata di masse e velocità.
    La scienza si muoveva precipitosamente verso un mondo che Einstein aveva liberato dai ceppi del tempo e dello spazio assoluti.
  • Pensava continuamente a sua madre. Pensava a cose a cui non aveva mai pensato e alle quali l'aveva costretto a pensare il nazismo: al suo essere ebreo, al fatto che sua madre fosse ebrea.
  • Si dice che i bambini siano il nostro futuro, ma che cosa si può dire di questi? Non diventeranno mai musicisti, calzolai, sarti. La scorsa notte ho visto chiaramente che questo mondo rumoroso di papà barbuti e indaffarati, di nonne brontolone che sfornano biscotti al miele e colli d'oca farciti, il mondo dei matrimoni e dei loro rituali, dei modi di dire, dei sabati di festa, finirà per sempre sottoterra, e dopo la guerra la vita tornerà a gorgogliare, ma noi non ci saremo, estinti come gli aztechi.

Tutto scorre...

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Il treno proveniente da Chabarovsk arrivava a Mosca verso le nove del mattino. Un giovanotto in pigiama si diede una grattatina alla testa arruffata, gettò uno sguardo oltre il finestrino, alla semioscurità del mattino autunnale. Poi sbadigliando si rivolse alla gente che sostava nel corridoio, con l'asciugamano e il portasapone.

Citazioni

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  • Sì, tutto scorre, tutto muta, impossibile salire sullo stesso, immutabile convoglio. (p. 107)
  • E improvvisamente, il cinque marzo, Stalin morì. [...] Stalin morì senza che ciò fosse pianificato, senza istruzione degli organi direttivi. Morì senza l'ordine personale dello stesso compagno Stalin. Quella libertà, quella autonomia della morte conteneva qualcosa di esplosivo che contraddiceva la più recondita essenza dello Stato. Lo sconcerto invase le menti e i cuori. (p. 33)
  • Sapete voi cosa c'è di più ripugnante nei confidenti e nei delatori? Quel che di cattivo c'è in loro, penserete voi. No! Il più terribile è ciò che v'è di buono in loro; la cosa più triste è che sono pieni di dignità, che sono gente virtuosa. [...] Questo appunto è il terribile: molto, molto di buono v'è in loro, nella loro stoffa umana. Chi sottoporre a processo, allora? La natura dell'uomo! È lei, lei a generare questi cumuli di menzogna, di abiezione, di vigliaccheria, di debolezza. Ma è pur sempre lei a generare anche le cose belle, buone e pure. (pp. 81-82)
  • Diciamo allora che nei suoi rapporti personali — pernottando in casa di amici, passeggiando con loro, prestando aiuto ai compagni — Lenin si dimostrava sempre delicato, mite, cortese. E contemporaneamente egli mostrava sempre durezza, asprezza, villania verso i suoi avversari politici. Mai egli ammise che, sia pure parzialmente, gli avversari potessero avere ragione, che, sia pure parzialmente, egli avesse torto. (p. 187)
  • Quante cose aveva visto la Russia nei mille anni della sua storia. Negli anni sovietici poi, aveva veduto formidabili vittorie militari, grandiosi cantieri, nuove città, dighe che sbarravano il corso del Dnepr e della Volga, un canale che univa i mari, e possenti trattori, e grattacieli... Una cosa sola la Russia non aveva visto in mille anni: la libertà. (p. 59)
  • La storia dell'umanità è la storia della sua libertà. La crescita della potenza dell'uomo si esprime innanzi tutto nella crescita della libertà. La libertà non è necessità diventata coscienza, come pensava Engels. La libertà è diametralmente opposta alla necessità, la libertà è la necessità superata. Il progresso è essenzialmente progresso della libertà umana. Giacché la vita stessa è libertà, l'evoluzione della vita è evoluzione della libertà. Lo sviluppo russo ha mostrato una sua strana essenza: si trasforma in sviluppo della non-libertà. (p. 197)

Stalingrado

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Citazioni

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  • Cosa spinse quella giovane donna a fare dietrofront e a tornare nell’ospedale in fiamme? Forse aveva nelle orecchie le grida straziate dei feriti che aspettavano d’essere operati? O forse si rimproverava come una bambina per essere stata vile, per essere scappata via, e come una bambina ora si incaponiva per vincerla, tanta viltà? Aveva ripensato al regolamento, alla vergogna di disertare? O era stato il gesto casuale di un momento? Oppure, al contrario, quel gesto riassumeva in sé tutto il bene che altri avevano istillato nel suo cuore? (pp. 532-3)

Ucraina senza ebrei

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Quando tra colpi di cannone e fragore di granate le nostre truppe entrano nei villaggi della Riva sinistra ucraina, le oche nelle aie si staccano da terra sbattendo le loro enormi ali bianche e volteggiano a lungo sulle case, sulla lenticchia d’acqua che copre gli stagni, su orti e frutteti.

Hanno qualcosa che turba, qualcosa di strano, quel volo greve e faticoso di uccelli da cortile e quel loro starnazzare brusco, spaurito e accorato: sembra che esortino i soldati dell’Armata Rossa a non perdersi le scene tristi e tremende della vita, e sembrano felici che siano finalmente lì, i nostri soldati, ma intanto piangono e gemono e gridano per le disgrazie tremende, per le sventure senza rimedio, per le perdite immani, per le lacrime e il sangue che hanno incanutito e impregnato di sale la terra d’Ucraina.

Citazioni

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  • A voler mettere insieme tutti i racconti sentiti, tutte le scene viste nei tanti giorni e mesi trascorsi in Ucraina, ne verrebbe un libro tremendo su un’ingiustizia somma: lavoro coatto, balzelli inauditi, bambini presi e portati in Germania, case incendiate, granai saccheggiati, forche nelle piazze e per le strade, fosse in cui fucilare chi era sospettato di nutrire simpatie per i partigiani e di aiutarli, e ancora offese, derisioni, insulti, corruzione, sbronze e soprusi, e la depravazione bestiale dei criminali irresponsabili che per due anni hanno avuto in pugno il destino, la vita, l’onore e i beni di milioni di ucraini. In ogni città o villaggio ucraino non c’è casa in cui non si sentano parole piene di rabbia o amarezza contro i tedeschi, in cui in questi due anni non si siano versate lacrime su lacrime, in cui non si siano levate maledizioni contro il fascismo tedesco; e non c’è casa senza orfani o vedove. Sono lacrime e maledizioni, queste, che confluiscono come ruscelli nel fiume immenso del dolore e dell’ira di tutto un popolo; giorno e notte il loro boato minaccioso e funereo si staglia contro un cielo scurito dal fumo degli incendi.
  • Niente parole. Silenzio. Un popolo ucciso. Uccisi i vecchi artigiani, mastri d’eccezione: sarti, cappellai, ciabattini, stagnai, orafi, imbianchini, pellicciai, rilegatori; uccisi gli operai: scaricatori, meccanici, elettricisti, muratori, fumisti, fabbri; uccisi i balagula, i trattoristi, gli autisti, gli ebanisti; uccisi i portatori d’acqua, i mugnai, i fornai, i pasticcieri e i cuochi; uccisi i dottori: medici generici, dentisti, chirurghi, ginecologi; uccisi gli esperti di biochimica e di batteriologia, i direttori delle cliniche universitarie, gli insegnanti di storia, di algebra e di trigonometria; uccisi i docenti senza cattedra e gli assistenti di facoltà, i dottorandi e gli addottorati; uccisi gli ingegneri metallurgici, i costruttori di ponti e di locomotive, gli architetti; uccisi gli esperti di strade e di coltivazioni, gli agronomi e gli agrimensori; uccisi i ragionieri, i contabili, i commessi dei negozi, i fornitori, i protocollisti, i segretari, i vigilanti notturni; uccise le maestre e le sartine; uccise le nonne che facevano la calza, sfornavano torte deliziose e preparavano il brodo di pollo e lo strudel con le mele e le noci, e quelle che tutte queste cose non erano capaci di farle e sapevano solo amare figli e nipoti; uccise le donne fedeli ai mariti e quelle di più facili costumi; uccise le belle ragazze, le brave studentesse e le scolarette garrule; uccise le ragazze brutte e sciocche, e quelle con la gobba; uccise le cantanti; uccisi i ciechi; uccisi i sordi; uccisi i violinisti e i pianisti; uccisi i bambini di due anni e quelli di tre; uccisi gli ottantenni con gli occhi torbidi e la cataratta, con le dita diafane e fredde e le voci flebili come carta bianca che fruscia; uccisi i neonati che urlavano, bramosamente attaccati ai seni delle madri fino all’ultimo istante. Li hanno uccisi tutti, centinaia di migliaia, milioni di ebrei ucraini.
  • Dov’è il popolo ebraico? Chi la farà, la domanda funesta, al Caino del ventesimo secolo? Dove sono gli ebrei che vivevano in Ucraina? Dove sono le centinaia di migliaia di vecchie e bambini, dov’è il milione di ebrei che tre anni fa viveva e lavorava su questa terra in pace e armonia con gli ucraini?
  • L’antisemitismo è sempre stato il narcotico scelto in tutti i periodi bui della storia quando una minoranza ha cercato di ingannare la maggioranza del popolo, di sottrarre gli oppressori alla giusta rabbia degli oppressi.

Non si sentono lacrime né lamenti, né si vedono volti straziati dal dolore. Il silenzio degli ebrei è il silenzio tremendo del villaggio di Kozary, sulla strada storica per Kiev. Il vento porta la sabbia sulle enormi fosse comuni; l’erba è cresciuta alta su quei campi di morte, e alti sono i pioppi che frusciano come oscuri vessilli piantati nella terra, chini in segno di lutto.

Silenzio e quiete.

Ma se per un attimo quel popolo ucciso potesse tornare in vita, se la terra si aprisse nel burrone di Babij Jar a Kiev e intorno al memoriale di Ostraja Mogila a Vorošilovgrad, se un grido lancinante si staccasse da quelle centinaia di migliaia di labbra piene di terra, l’Universo intero tremerebbe.

  1. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X

Bibliografia

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  • Vasilij Grossman, Tutto scorre..., traduzione di Gigliola Venturi, Adelphi, 1987.
  • Vasilij Grossman, Vita e destino, traduzione di Claudia Zonghetti, Adelphi, 2013. ISBN 978-88-459-7339-0
  • Vasilij Grossman, Stalingrado, traduzione di Claudia Zonghetti, Adelphi, 2022.
  • Vasilij Grossman, Ucraina senza ebrei, traduzione di Claudia Zonghetti, Adelphi, 2023.

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