Strage di Beslan

Massacro compiuto a Beslan, nel 2004

Citazioni sulla strage di Beslan.

Fotografie delle vittime sul muro della palestra della scuola di Beslan

Citazioni

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  • Ancora una volta, l'unica spiegazione credibile per l'assedio di Beslan è che lo Stato segreto russo abbia orchestrato un attacco terroristico e poi abbia usato la massima forza per distruggere le prove della propria complicità. Quindi non una sola operazione segreta da parte della macchina della paura, ma tre: gli attentati agli appartamenti di Mosca del 1999, l'assedio del teatro di Mosca del 2002, il massacro di Beslan del 2004. L'obiettivo era creare uno stato di terrore. Le vittime erano centinaia di persone comuni in tutta la Russia. L'unico vero beneficiario era il signore del Cremlino. (John Sweeney)
  • Beslan non sarebbe esistito senza Putin. (Adriano Sofri)
  • Cos'è il terrorismo? Prendere mille bambini e i loro genitori in ostaggio in una scuola, un sequestro che è costato la vita a centinaia di persone, è senza dubbio terrorismo. Ma quando le truppe russe mandate da Putin in Cecenia si macchiano di genocidio, uccidendo e ferendo centinaia di bambini, bene, quello non è terrorismo? Terrore chiama terrore. (Boris Abramovič Berezovskij)
  • Due settimane dopo Beslan, Putin riunì tutti e ventinove i governatori della Russia insieme al suo esecutivo e parlò con loro per molte ore. Dopo qualche commento introduttivo su Beslan, Putin disse che la risposta a quell'accaduto doveeva essere una maggiore efficienza e unità a livello di governo e nel paese intero. Quelle parole hanno un significato ben preciso per chiunque studi i regimi dittatoriali, e questa volta non faceva eccezione. A parte le misure più prevedibili, come l'inasprimento delle leggi antiterrorismo e maggiori poteri alle forze dell'ordine, quelle riforme erano finalizzate a indebolire ulteriormente le istituzioni democratiche russe. Putin d'ora in poi avrebbe nominato direttamente i governatori: niente più elezioni. Le elezioni della Duma non sarebbero state più dirette ma si sarebbe votato per i partiti, assicurando così il seggio perpetuo ad alcuni personaggi già al potere. Altre leggi attaccavano le fondamenta stesse del sistema democratico in quanto rendevano più complessa la procedura di registrazione per i partiti. Naturalmente tutti questi provvedimenti non avevano nulla a che fare con Beslan, con la lotta al terrorismo o con null'altro che non fosse la volontà di Putin di centralizzare ulteriormente il potere al Cremlino. (Garri Kasparov)
  • I miei mujaheddin non hanno sparato sui bambini. (Šamil' Salmanovič Basaev)
  • Le spaventose notizie da Beslan, con i terroristi che riuniscono innocenti scolaretti in una palestra e tendono una corda ai due cesti da pallacanestro per poi appendervi degli esplosivi, percorsero il mondo intero facendolo rabbrividire. In seguito l'attacco e la carneficina sollevarono nuove questioni sui metodi di applicazione della legge da parte dei russi, ma lo sdegno fu generale per i crimini morali degli uomini che avevano occupato la scuola. Tuttavia, il presidente Putin, appena rieletto, dovette considerare estremamente fastidiosa la grande massa dei commenti provenienti dall'Occidente, perché si metteva in evidenza il fallimento della sua politica cecena. Sembrava che alcuni occidentali lo ritenessero responsabile dell'attacco alla scuola. Ogni espressione di sdegno veniva accompagnata dal suggerimento che sarebbe stato meglio se avesse imparato la lezione e avesse cominciato a trattare con Maschadov. (Aleksandr Goldfarb)
  • Non ci sono parole per descrivere la mia compassione per chi ha perduto i figli nella tragedia di Beslan. Penso che ogni persona adulta in Russia si senta in parte responsabile per ciò che è accaduto. Non si è riusciti a proteggere i bambini, a salvarli. È una disgrazia che ci coinvolge tutti. La vicenda di Beslan ha rappresentato una svolta. Siamo cambiati, tutti noi. È cambiata la nazione. Il potere deve rispondere con durezza e prontezza alla sfida sanguinosa di questo nuovo nemico, il terrorismo. (Boris Nikolaevič El'cin)
  • Per tutti arriva il momento della resa dei conti [...]. Per me fu Beslan. Fu allora che capii che era il modus operandi canonico. C'era l'effettiva possibilità di salvare vite umane, e lui [Putin] scelse invece di uccidere gente innocente. L'uccisione degli ostaggi. Voglio dire, stavo lavorando e potevo vedere e sentire, e vidi tutto da vicino. Mi resi conto che se avessero continuato il confronto per almeno alcune ore si sarebbero salvate delle vite, tutte o quasi tutte. Non ci sarebbe stato l'assalto e i bambini, i genitori e i maestri sarebbero stati salvi. Così stavano le cose e c'era una sola ragione per attaccare la scuola in quel momento. Tutto mi fu chiaro quel giorno, il 3 settembre 2004. [...] Fare il consigliere è fare il consigliere: è una cosa importante, ma non è la stessa cosa che rappresentare personalmente qualcuno. Dissi al mio datore di lavoro che date le circostanze non potevo più svolgere il ruolo di suo rappresentante personale. (Andrej Illarionov)
  • La carneficina di parecchie centinaia di scolari innocenti a Beslan è ingiustificabile e per i terroristi non c'è perdono. Ma non c'è perdono neppure per noi se trenta e più terroristi hanno varcato il confine e raggiunto indisturbati la scuola dove hanno alacremente staccato le assi del pavimento sotto le quali fin dall'estate erano lì in attesa gli ordigni premurosamente lasciati dagli operai addetti alla ristrutturazione che poi sono stati appesi nella palestra sopra le teste dei bambini.
  • Non ho nessuna ricetta su quale soluzione si debba adottare in una situazione che pare essere senza vie d'uscita. Ma non ci sono guerre senza soluzione. Ritengo che l'unica via d'uscita tra tutte quelle in apparenza insolubili e inestricabili dai nodi della politica non stia affatto in un approccio di tipo politico, bensì semplicemente in uno umano.
  • Un po' di storia: per capire ciò che è avvenuto a Beslan non si può dimenticare l'annessione del Caucaso all'impero zarista e se il presidente Eltsin avesse letto Chadzi Murat di Tolstoj è assai improbabile che si sarebbe imbarcato in un conflitto coi ceceni.
  • C'erano tutti i segnali da parte dei terroristi di voler trattare; nella maggior parte dei paesi questo avrebbe implicato una situazione di stallo che si sarebbe trascinata per giorni e giorni fino a quando fosse rimasta la speranza di salvare anche un solo ostaggio. Ma, proprio come all'assedio del teatro, Mosca non volle aspettare la fine delle trattative; sembra infatti che l'inizio delle operazioni militari sia stato organizzato proprio per impedire un'altra riunione tra Maschadov e i terroristi, un incontro che avrebbe potuto portare a una soluzione pacifica.
  • Durante la crisi i funzionari avevano sostenuto che ci fossero 354 ostaggi nella scuola. Invece ce ne erano più di mille. Ex ostaggi avevano testimoniato che i rapitori, che stavano guardando la TV nella sala dei professori, quando sentirono pronunciare la cifra di 354, avevano capito che il governo, sottostimando il numero delle possibili vittime, stava ponendo le basi per l'attacco. Da quel momento i rapitori smisero di distribuire l'acqua. La versione ufficiale, secondo la quale c'era una totale mancanza di richieste da parte dei rapitori, era contestata da testimoni che sostenevano l'esistenza di una lettera e di un videotape con richieste che avrebbero potuto portare a trattative.
  • Il pomeriggio del 1º settembre, appena sono entrata in ufficio ho detto ai miei colleghi, tutti più giovani e senza alcuna esperienza giornalistica in questo campo: «Assaliranno l'edificio. Fanno sempre così». Ma quando è successo, mi sono seduta alla mia scrivania e nascondendo la faccia nelle mani sono scoppiata a piangere. Quando ho tolto le mani dal mio volto, ho trovato una lattina di Coca-Cola che uno dei miei giovani colleghi mi aveva portato tentando di consolarmi.
  • Io non dico che Vladimir Putin sia perfetto. Ad esempio trovo inaccettabile il controllo stretto a cui vengono sottoposti i giornali. Anche in questi giorni di tragedia, le notizie mancavano. E non perché i nostri giornalisti non sappiano fare il loro lavoro e non siano in grado di raccoglierle. Penso che non potessero scriverle. Penso anche però che Putin abbia un grande merito: lentamente, faticosamente, sta risollevando il paese dalle macerie, lo sta tirando fuori dal caos per restituirlo a una vita normale. Per questo credo che in certa misura l'assalto di Beslan fosse diretto proprio contro di lui. Intuisco che non solo i ceceni, non solo gli esecutori materiali di questo attentato e chi li finanzia, ma anche qualcuno in Occidente ha interesse a destabilizzare il Cremlino. A qualcuno la Russia fa ancora paura e ritiene che debba continuare a marcire in questa palude.
  • Non riesco a capire come sia possibile che una scuola venga infarcita di esplosivi senza che nessuno se ne accorga. Dov'erano i servizi? E che cosa stavano facendo? Le conclusioni andranno tratte.
  • Per quanto concerne gli eventi tragici di Beslan, molte cose non sono ancora chiare, la dinamica degli eventi non è stata rivelata. Ma è già evidente che non si è trattato di singoli errori, ma di un pesante fallimento dei servizi segreti russi. La catena del comando non ha funzionato, la situazione è sfuggita al controllo. Le conseguenze sono state catastrofiche. Fronteggiare il terrorismo a questo livello è inammissibile.
  • Siamo stati colpiti al cuore. La tragedia ci ha travolti, lasciandoci annichiliti. Molte domande restano ora sospese, in cerca di una risposta. E nuove inquietudini si aggiungono alle vecchie. Dietro la strage dei bambini di Beslan, intuisco interessi che vanno al di là dei suoi esecutori materiali e di chi li ha finanziati, ma in qualche modo toccano anche l'Occidente.
  • Beslan è un buco nero. Uno squarcio nella trama del mondo.
    L'indicibile è accaduto e non se ne vuole andare.
    Quel primo settembre alla scuola Numero Uno di Beslan c'erano 1128 persone.
    Trecentotrentaquattro sono state ammazzate in modo feroce. Centottantasei erano bambini.
    I feriti sono stati settecentottantatre.
    Nessuno senza conseguenze.
    Sono passati dodici anni. Quello squarcio c'è ancora.
    E lo spiffero è forte.
    Si infila nelle vite dei sopravvissuti.
    Che provano a tapparlo in tanti modi.
    Non chiudendo gli occhi. Con qualche lacrima una volta all'anno. Sfilando accanto al ricordo con cautela, perché il rischio è sempre alto.
    Lo Stato ha più possibilità. Chiude Beslan dentro uno scrigno dorato, la ricopre di denaro, avvia programmi di sostegno, organizza eventi ufficiali.
    Alla gente di Beslan restano le fotografie e i sogni.
    I sogni sono diventati la seconda realtà di Beslan. Spuntano in ogni discorso. E cambiano a ogni nuovo racconto, facendosi sempre più eloquenti. Ci sono stati casi in cui nelle scuole di Beslan sono state sospese le lezioni proprio per i sogni che i bambini avevano fatto alla vigilia dell'ennesimo primo settembre.
    Tutti mi hanno raccontato i loro sogni spontaneamente, senza che fossi io a chiedere.
  • I media statali ripetevano che anche tra le forze speciali dell'Fsb che avevano preso d'assalto la scuola c'erano state delle vittime, il che faceva di loro degli eroi. Ragion per cui la strada su cui si trovava la scuola di Beslan venne ribattezzata «Via degli Eroi dell'Fsb». Così la nuova verità finì dritta dritta sulle mappe. In più, divenne consuetudine parlare di Beslan come di una tragedia senza colpevoli, eccezion fatta per i terroristi morti. A un certo punto, poi, si è proprio smesso del tutto di parlarne. E la gente si è dimenticata di Beslan.
  • Non sono più stata a Beslan. Ma continuo a pensare a quelle donne, penso a loro ogni singolo giorno che passa. Emilia Bzarova, Žanna Cririchova, Zemfira Cirichova, Svetlana Margieva, Ella Kesaeva, Emma Tagaeva. Il mio Paese ha ucciso i loro figli e le ha chiamate criminali perché si rifiutavano di dimenticare.
    Ricordo anche i giornalisti che hanno puntato altrove le telecamere. Non vorrei ricordarli, ma non posso dimenticare le loro facce. Erano concentrate, quelle facce. Erano le facce di chi sta solo facendo il suo lavoro.
  • Ricordo i giorni dell'assedio. Nessuno poteva nemmeno vagamente immaginare che i militari avrebbero attaccato: pensavamo tutti che avrebbero trattato per salvare la vita ai bambini. Niente trattative, invece. La Russia non negozia con i terroristi, disse Putin, la Russia li elimina. Ricordo il video dell'attacco: le tv occidentali lo trasmisero in diretta. Ricordo i bambini che scappavano nel mezzo del fuoco incrociato. Che correvano e inciampavano. Me lo ricordo e non lo dimenticherò mai. Quell'attacco ha rivelato la quintessenza della Russia di Putin. Il prezzo per eliminare un nemico può essere anche la vita di un bambino, e non sarà comunque troppo alto. Una verità che avevamo davanti agli occhi, che riempiva ogni spazio.
  • Dopo "Nord-Ost" e le esplosioni delle abitazioni, a chiunque abbia ancora anche solo un briciolo di buon senso, sarebbe stato evidente che i bambini, una volta fatti prigionieri, dovevano innanzitutto essere difesi da Putin e dai suoi cechisti. Prendendo il coraggio a due mani, non permettendo che fossero trasformati in un muro umano da usarsi come misura estrema, sarebbe stato ancora possibile separare coloro che si preparavano alla battaglia dagli innocenti e salvare da una morte certa i bambini. Ma per fare questo sarebbe stato necessario avere il coraggio di trattare, e questo lo sanno fare solo gli uomini liberi. Una nazione che spara con i carri armati ai propri bambini è destinata all'estinzione, non ha speranza di sopravvivere, non ha futuro.
  • I bambini sono morti e non torneranno mai più, sono morti perché non c'era nessuno che li difendesse. Sono stati abbandonati da tutti tranne da quelli che hanno avuto la fortuna di perire con loro e di non vivere più in questo schifoso Paese di schiavi e di signori. Mentre i bambini bruciavano e morivano sotto l'inferno di schegge e frammenti, mentre l'esercito sparava dai carri armati e con ogni tipo di arma, riprendendo tutto con le videocamere e le macchine fotografiche, gli adulti discutevano su che cosa fosse più importante: le vite dei bambini oppure l'annientamento dei nemici.
  • La carneficina organizzata dalle autorità russe nella scuola numero uno di Beslan questa volta ha stupito e ha fatto rabbrividire il mondo intero. Proprio in seguito a Beslan, nella coscienza sociale sta cominciando ad attecchire, con sempre maggiore convinzione, l'idea che i rappresentanti dei servizi segreti russi uccidano il loro stesso popolo. Cosa che, alla fine, porterà i cittadini a smettere di credere alle autorità da cui vengono ingannati. Allora l'intera attività terroristica dei servizi segreti ai danni del proprio popolo, comincerà a produrre un effetto boomerang: il potere ed il denaro dei cechisti, dopo il compimento dell'ennesimo atto terroristico, non aumenteranno, bensì diminuiranno. Diverrà così un business svantaggioso, e loro un'altra maniera di ottenere potere e denaro non la conoscono. Allora per mantenere il potere nel Paese, ai rappresentanti dei vertici russi non resterà che una scelta: passare a forme di terrorismo aperte e di massa contro i propri cittadini, cosa che già comincia ad avvenire in Russia.
  • Ai tempi di Beslan il rating di Putin era diventato instabile. Abbiamo assistito ad alcune fluttuazioni dopo le forti azioni di Putin. È salito di nuovo. Abbiamo visto che le persone diventavano dipendenti. Erano patologicamente dipendenti da Putin. In caso di crisi, la gente lo ammirava. [...] Basaev aveva torto. I suoi colpi contro Putin hanno aumentato il sostegno al presidente.
  • Basaev ha organizzato uno spettacolo lì. Ogni giorno morivano bambini. Non gli hanno dato da mangiare. Non hanno dato loro acqua. E il piano era che Putin capitolasse oppure perdesse la sua immagine, la sua reputazione.
  • In Ucraina Putin era estremamente popolare. Era più popolare in Ucraina che in Russia. Se si fosse candidato alla presidenza dell'Ucraina, sarebbe stato eletto immediatamente a stragrande maggioranza. Gli ucraini non volevano entrare in guerra. Per loro la Cecenia è stata un trauma. Quando hanno visto Beslan, hanno smesso di avere un'alta stima di Putin.
  • Questa è stata una crisi davvero grave. È stata risolta malissima. Allora non la pensavo così, ma ora credo che fosse una tempesta. Hanno preso d'assalto la scuola usando le forze russe. Le forze russe hanno sparato per primo. Questo è stato un duro colpo contro Putin, dopo il quale è diventato molto più autoritario. È diventato più concentrato sulla sua personalità. Ha annullato le elezioni dei governatori dopo Beslan e ha fatto altre cose simili.
  • Dopo Beslan lo slogan di Putin è stato à la guerre comme à la guerre, la verticale del potere va rafforzata. E lui l'ha resa completamente dipendente da un solo e unico uomo (se stesso), che sa meglio di chiunque altro come garantirci dagli attentati.
  • Dopo la strage di Beslan Mosca ha dato il via a una campagna di repressione nel Caucaso che sta spingendo sempre più giovani nella rete clandestina. Questa diventa sempre più attiva e capillare e, evidentemente, crea una riserva di giovani braccia per le squadre di Basaev.
  • Il nocciolo della questione è il seguente: in quei giorni, a Beslan, i rappresentanti del governo si preoccupano più di intuire che cosa voglia Putin che di contrastare quanto sta accadendo dentro la scuola. E quando Putin parla, nessuno osa contraddirlo.
  • Ovvio, da noi il potere è meschino. Cosa dovevamo aspettarci, quando si ha come forza motrice la guerra e il terrorismo, e non la pace e la tranquillità? Questo è quanto accaduto sullo sfondo di Beslan, e lo squallore è stato visto anche da coloro che prima erano ciechi. Pur di autopreservarsi, il potere si è spinto oltre: si è impegnato a sostituire le tesi, a rimescolare le carte. E così lo squallore si è trasformato in vigliaccheria: colpiscono chi ha sofferto usando quanti hanno provato lo stesso tormento. E, aizzando gli uni contro gli altri, fanno uscire dal gioco le domande sulla vera identità dei colpevoli.
  • Quando le madri dei bambini uccisi si rivoltano contro gli insegnanti sopravvissuti, è impossibile prendere le parti di qualcuno, perché nessuno può essere riconosciuto innocente o colpevole. L'unica cosa che si può constatare è che a Beslan l'istruzione è caduta in un profondissimo abisso. Una gola di Karmadon senza valanga. I genitori delle vittime se la prendono con gli insegnanti per non aver vigilato al loro posto, ma in realtà confondono l'odio con il proprio senso di colpa per non aver saputo proteggere i figli. Gli insegnanti accusano i genitori rimasti fuori dalla palestra di non aver fatto tutto quello che potevano per salvare chi era dentro.
    E i terroristi?
    Molto strano, ma di loro si parla pochissimo. Ovviamente li si maledice, ma sempre meno di quanto non si faccia con gli insegnanti sopravvissuti. Anche la polizia viene lasciata in pace, benché l'attacco terroristico sia stato una provocazione nei suoi confronti: la scuola n. 1 è vicinissima al distretto di polizia, a piedi distano un minuto. E Dzasochov? Anche di lui si parla poco. E Putin? Non se ne parla proprio.
  • Se fossimo la Spagna – dove c'è un Comitato delle madri che hanno perso i figli nell'attentato alla stazione madrilena di Atocha –, il 2 settembre avremmo formato una catena umana dalla statale per Kiev fino al Cremlino, lungo il percorso che dall'aeroporto conduce al palazzo di Putin. E saremmo rimasti lì, in silenzio, solo perché vedessero che eravamo con loro. E ci saremmo rimasti tutto il tempo necessario, fino a che quelle madri non fossero tornate a Vnukovo. Non ci sarebbe stato bisogno di parlare; sarebbe bastato che ci vedessero...
    Ma non c'è stata nessuna catena umana...
    Se fossimo l'America – dove c'è un Comitato delle madri che hanno perso i figli alle Torri Gemelle –, l'ordine dei giornalisti (unioni e sindacati della stampa) avrebbe dimostrato per tutto il 1° settembre pretendendo la diretta televisiva a reti unificate dell'incontro tra le madri e il presidente. Perché tutto il paese sapesse che cosa si erano detti. Perché tutto il paese deve sapere che cosa chiedono da una parte e che cosa promettono dall'altra.
    Ma noi non siamo l'America e non siamo la Spagna. Noi mandiamo giù l'edizione serale del TG e le notizie di NTV e poi ce ne andiamo tranquilli e sereni a dormire. Dimenticandoci delle donne in nero fino alla puntata seguente del serial «Madri di Beslan».
  • Abbiamo manifestato debolezza e i deboli vengono picchiati.
  • Non c'è alcun legame tra la politica russa in Cecenia e la vicenda di Beslan, noi sappiamo che cosa fare in Cecenia: continuare il dialogo con la società locale, proseguire nel processo politico che dopo il referendum sull'appartenenza alla Federazione Russa e l'elezione presidenziale continuerà con le elezioni parlamentari; rinforzare gli elementi ceceni nella polizia locale, cosa che non impedirà di lasciare nella regione militari russi per tutto il tempo che sarà necessario, così come ci sono soldati americani in Texas o in California.
  • Provate a farvi la domanda: che cosa pensereste di gente che in qualche parte del mondo ammazza dei bambini per arrivare al potere? Se vi risponderete, non avrete più dubbi sulla nostra politica in Cecenia.

  Citazioni in ordine temporale.

  • In settembre la tragedia di Beslan, con il sequestro, a opera di guerriglieri, di un'intera scuola e la morte di centinaia di bambini, dissipò definitivamente il mito principale della propaganda del Cremlino: l'equazione Putin = stabilità.
  • Il presidente della Russia mentì apertamente dichiarando ai giornalisti stranieri, subito dopo la tragedia di Beslan, che essa «non era in nessun modo collegabile alla guerra in Cecenia». Nessuno meglio di Putin sa che, in Cecenia, la Russia conduce da 5 anni una guerra sanguinosa che si è ormai trasformata in un genocidio del popolo ceceno. E nessuno meglio di lui sa che questa seconda campagna cecena è partita nel 1999 all'unico scopo di portare al potere lo sconosciuto funzionario, scelto dall'entourage di Eltsin come suo successore, creandogli un'attraente immagine di "grande condottiero", grazie a una "piccola guerra vittoriosa". Che tuttavia si rivelò in realtà né "piccola" né "vittoriosa", ma, al contrario, lunga e sanguinosa.
  • Probabilmente vi chiederete come faccio ad affermare che Putin mente quando dichiara che la tragedia di Beslan «non è in nessun modo collegabile alla guerra in Cecenia»? In realtà molto presto si seppe, dalle registrazioni delle trattative, che una delle richieste presentate dai guerriglieri era la cessazione della guerra. Il governo però considerò indecoroso prendere in considerazione simili richieste. Anche a costo della salvezza della vita di tanti bambini.
  • Ma perché la presenza a Beslan della Politkovskaja spaventava tanto i vertici russi da indurli a metterla fuori gioco, con l'aiuto dei servizi segreti, in modo così clamoroso? Se fossero stati davvero preoccupati della sorte degli ostaggi, avrebbero dovuto provare tutti i mezzi. La spiegazione non è tanto complicata. Come poi si è saputo, la Politkovskaja portava con sé a Beslan delle concrete proposte di pace da parte di Maschadov, uno dei capi della guerriglia cecena, dotato di effettiva autorità su quel difficile territorio, anche se non riconosciuto dal Cremlino come interlocutore rappresentativo. [...] Evidentemente Putin, venuto a conoscenza dell'iniziativa di pace di Maschadov, si è spaventato all'idea che la soluzione del sequestro e la salvezza degli ostaggi potessero avvenire grazie al capo ceceno, il che avrebbe avuto una grande risonanza in Occidente e di conseguenza avrebbe costretto il presidente russo a mettere da parte il suo orgoglio e a sedersi al tavolo della trattativa con i leader reali della guerriglia.
  • Dopo la tragedia di Beslan la procura russa è stata costretta ad ammettere che al sequestro della scuola hanno preso parte elementi già arrestati per terrorismo e poi rilasciati dagli "organi competenti" senza alcun motivo apparente. Come è possibile che una parte dei servizi segreti tenti di "combattere contro il terrorismo", mentre un'altra parte liberi dei terroristi perché possano compiere nuovi attentati?
  • Dopo l'attacco non è rimasto in vita NESSUN terrorista: tutti i testimoni sono stati accuratamente eliminati. Anche se è evidente che se il governo fosse stato interessato a indagare le vere circostanze dell'organizzazione dell'attentato e a individuarne i mandanti, avrebbe cercato di catturare vivo qualche terrorista che avrebbe potuto fornire informazioni utili.
  • Chiunque abbia visto ieri alla televisione le scene che si svolgevano attorno alla scuola della cittadina osseta, ha potuto constatare che l'operazione di salvataggio somigliava più alla sequenza d'un film western che all'intervento d'una «truppa speciale» - vale a dire perfettamente addestrata, tecnicamente sofisticata - nel quadro d'una presa di ostaggi.
  • Freddo, imperturbabile: è questa l'immagine di Vladimir Putin cui ci siamo abituati. Ma nei giorni successivi al massacro di Beslan, con i russi sgomenti e una parte della stampa capace finalmente di mettere sotto accusa l'operato del governo, Putin non sembrava più tanto imperturbabile. Il volto che ha mostrato alla televisione era infatti contratto, l'eloquio incerto. Le nuove misure antiterroristiche che si sforzava d'annunciare con tono fermo e rassicurante, suonavano in realtà vaghe, confuse. E intanto i ministri e i capi delle varie polizie continuavano a contraddirsi o a mentire: sul numero dei morti, sul numero e la nazionalità dei terroristi, sulle complicità - un giorno sostenute e l'indomani negate - che lo squadrone della morte ceceno avrebbe avuto in Ossezia del Nord. C'era insomma un forte turbamento, al Cremlino, e non soltanto per le centinaia di morti della scuola n° 1 o per l'ennesima prova d'inefficienza data dagli apparati di sicurezza russi.
  • La strage della scuola n°1 ha finito con l'avvantaggiare gli uomini che per la loro provenienza, e per gli incarichi che molti di essi ancora ricoprono nell'apparato della sicurezza, avrebbero dovuto evitarla. In altri paesi, Beslan sarebbe stato considerato il loro definitivo fallimento: nella Russia di Vladimir Putin è servita a rafforzarli.
  • Non intendevamo attaccare, siamo stati costretti a farlo. Questa è la tesi che sostengono le autorità russe: i terroristi hanno improvvisamente preso a sparare contro un gruppo d'ostaggi che cercava di fuggire dalla scuola, e a quel punto l'irruzione delle forze speciali è divenuta inevitabile. Ma è una tesi che va ancora verificata, perché in quasi tutti i maggiori episodi di terrorismo di questi anni le autorità russe non hanno detto la verità.
  • Subito, i giornali e i pochi oppositori che siedono alla Duma avevano chiesto una commissione parlamentare d'inchiesta. Putin l'aveva scartata come «un inutile show politico», allo stesso modo che due anni fa, dopo la tragedia del teatro Dubrovka, aveva fatto respingere dalla sua maggioranza parlamentare una richiesta simile avanzata dai liberali.
  • Un'immagine tra quelle viste ieri alla televisione, basta tuttavia a far capire quanto fosse sommaria, lacunosa, imprevidente, la preparazione dei servizi di sicurezza in un frangente di quella gravità. L'immagine delle automobili civili, piccole e malandate, su cui venivano caricati, ripiegati, accavallati i corpi dei feriti: e dunque il numero insufficiente di ambulanze, dopo due giorni in cui si sarebbero dovute far affluire a Beslan - nell'eventualità del peggio - tutte o quasi le ambulanze della Russia meridionale. Ma l'Fsb (ex Kgb), il ministero degli Interni, la polizia locale non avevano provveduto. Ancora una prova, dunque, dell'irrimediabile «diversità» del potere in Russia. Un potere che non deve rispondere all'opinione pubblica, e può perciò commettere errori gravissimi senza che sia possibile chiedergliene conto.
  • Abbiamo subito detto a chiare lettere che questa azione bestiale non ha nulla a che fare con noi. Non può essere giustificata in alcun modo, danneggia la causa cecena. È un atto mostruoso contro i ceceni.
  • Categoricamente rifiuto tutte le accuse da parte del governo russo che il presidente Maskhadov sia minimamente coinvolto con i fatti di Beslan. [...] Non ha ammesso alcuna giustificazione per il terrorismo e ha invitato il popolo ceceno a piangere le vittime della tragedia.
  • Dal mio punto di vista Putin sta sfruttando la tragedia nello stesso modo in cui Hitler sfruttò l'incendio al Reichstag.

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