Boris Abramovič Berezovskij
imprenditore, politico e matematico russo
Boris Abramovič Berezovskij (1946 – 2013), imprenditore, politico e matematico russo.
Citazioni di Boris Berezovskij
modifica- Dobbiamo usare la forza per cambiare questo regime. Questo significa che io invoco l'uso della forza per ricreare un regime costituzionale. [...] Sono a favore di un'azione contro Putin ma non incito alla violenza.[1]
- Non c' è nulla di casuale nella guerra di spie che si è scatenata a Londra. E soltanto degli sciocchi possono credere che questa possa avere degli sbocchi diplomatici. Mi dicono che Medvedev abbia fatto spallucce quando Brown si è lamentato a Tokyo del numero di spie russe a Londra. Perché la verità è che Mosca conosce un solo linguaggio, quello della supremazia, e sta giocando una partita decisiva per affermare la sua egemonia. Questa partita ha due priorità strategiche: il controllo delle fonti di approvvigionamento energetico, gas e petrolio, e la protezione degli immensi capitali russi che ogni giorno muove la finanza londinese. È una lotta tra democrazia e totalitarismo. Tra Capitale di mercato e Capitale criminale.[2]
- Ho cambiato molte delle opinioni che mi ero formato. Anche su me stesso. E su che cosa siano la Russia e l'Occidente. Mi ero fatto un'immagine idealizzata della possibilità di costruire una Russia democratica. E avevo una concezione idealistica della democrazia al centro dell'Europa. Ho sottovalutato l'inerzia della Russia e ho sopravvalutato l'Occidente. È successo in modo graduale. Ho cambiato l'idea che mi ero fatto del cammino della Russia... Non dovevo andarmene.[3]
Intervista di Carlo Bonini sulle bombe nei palazzi in Russia, La Repubblica, 29 gennaio 2002
- Dietro le bombe di Mosca dell'estate del 1999, c'è la mano dell'Fsb, il servizio segreto del Cremlino. Furono loro a seminare morte e terrore tra poveri innocenti. Dei russi hanno fatto strage della propria gente per calcolo politico. Serviva un cumulo di cadaveri con cui accendere l'odio per i ceceni e scatenare una guerra che trasformasse Vladimir Putin, un signor nessuno, in un leader riconosciuto e rispettato. Per molto, troppo tempo, ho scacciato questo pensiero come un incubo.
- C'è un vecchio proverbio russo che dice: se devi sputare in faccia al nemico, non puoi riempirti la bocca di merda.
- So cosa significa fare un lavoro da professionisti, ma gli assassini dell'Fsb hanno lavorato male. Molto male. Perché il 23 settembre, sorpresi dall'intervento della Milizia a Riazan, dalla scoperta del numero di targa dell'auto a bordo della quale viaggiavano i sacchi esplosivi, devono ammettere che quella bomba è roba loro. Patrushev, il direttore dell'Fsb, spiega che si trattava di un'esercitazione per verificare la prontezza della risposta. Ma si può dire una cosa del genere? Se Alexei non avesse visto? Se la Milizia non fosse arrivata? È evidente che Patrushev temeva che qualcuno collegasse Riazan a Mosca. Noi ci siamo riusciti. Litvinenko ci è riuscito.
- Non sono un giudice ma ora ho le prove che Patrushev ha ordinato le stragi, l'Fsb le ha eseguite. Presto scoprirò chi ha dato l'ordine a Patrushev, perché nessuno mi convincerà che un debole come lui abbia deciso di sua spontanea iniziativa. Putin? Forse. Comunque andrò avanti. E non mi importa il prezzo. Possono anche ammazzarmi. Far saltare in aria questo ufficio per chi ha fatto saltare in aria un quartiere di Mosca è uno scherzo. Uccidermi però non servirà più.
Intervista di Enrico Franceschini, Feltrinellieditore.it, 4 novembre 2003
- Il presidente russo è un imbroglione, un bandito. Ma io non ho perso del tutto la speranza. Ho sempre pensato che sarebbe durato poco, a questo punto è durato anche troppo.
- Prima il presidente ha tappato la bocca al potere politico, poi ai mass media e ora sta completando l'opera con il grande business. L'obiettivo è abbattere ogni sembianza di democrazia in Russia e ricostituire un regime autoritario, saldamente tenuto in mano dai suoi ex-colleghi del Kgb.
- Putin è un truffatore, che ha cercato di imbrogliare l'Occidente e in buona parte ci è riuscito. Sia perché l'Occidente capisce poco della Russia odierna, forse con l'eccezione di voi italiani, che avendo una specie di regime in casa comprendete meglio come un sistema autoritario possa mascherarsi da democrazia. Sia perchè a molti paesi occidentali fa comodo una Russia in mano a un bandito.
- L'Occidente, in primo luogo l'America, ha chiuso gli occhi sui massacri commessi da Putin in Cecenia, sulle limitazioni alla libertà di stampa, sulle elezioni truccate, sulle persecuzioni del Kgb. Gli interessa solo avere l'appoggio della Russia sulla guerra in Iraq o sulla crisi del momento o su qualche buon affare. Del resto, l'America andava d'accordo anche con il Portogallo del dittatore Salazar, firmava trattati perfino con Breznev. Può farlo pure con Putin.
- Da Voloshin non mi aspetto niente. È lui che ha fatto a pezzi la libertà di stampa, che ha chiuso le tivù indipendenti. Prima esce dal Cremlino, meglio è.
- Per salvare la Russia serve un rivoluzionario, pronto a morire con una pallottola in petto, non di vecchiaia in una dacia tra le betulle, come quella in cui si è ritirato Boris Nikolaevich.
- Gorbaciov piaceva tanto agli occidentali, ma i russi non lo amavano nemmeno quando era al potere, figurarsi ora. E poi, se c'è uno che ha contribuito a creare un'immagine favorevole di Putin in Occidente, è lui.
- È risaputo che vuole cambiare la costituzione e rimanere presidente per più di due mandati: magari per sempre. I dittatori non cedono facilmente il comando, una volta raggiunto. A meno che qualcuno non glielo tolga.
- Il problema è che Putin non è Eltsin: sa benissimo che non può uscire dal Cremlino e andare in pensione in una dacia. Se molla il potere, ha due alternative: o la prigione o l'esilio. E mi domando quale paese sarebbe pronto ad ospitarlo. Ah, dimenticavo: l'Italia, dove Berlusconi si sbraccia per accoglierlo nelle sue ville.
- [«Senta, ma voi oligarchi non avete mai commesso errori?»] Ne abbiamo commessi parecchi. Uno soprattutto: non capire che il vero grande nemico, dopo il crollo dell'Urss, non era il Pcus, il partito comunista, ma il Kgb. Che ora, sostenuto da Putin, ha rialzato la testa, deciso a riprendersi ciò che i democratici gli tolsero dieci anni fa.
Intervista di Nathan Gardels sulla seconda guerra cecena, La Stampa, 14 settembre 2004
- [Sulla strage di Beslan] Cos'è il terrorismo? Prendere mille bambini e i loro genitori in ostaggio in una scuola, un sequestro che è costato la vita a centinaia di persone, è senza dubbio terrorismo. Ma quando le truppe russe mandate da Putin in Cecenia si macchiano di genocidio, uccidendo e ferendo centinaia di bambini, bene, quello non è terrorismo? Terrore chiama terrore.
- [Su Aslan Maschadov] Mosca è contradditoria nei suoi confronti. Da un lato sostiene che non controlla i gruppi armati ceceni e quindi è inutile trattare con lui. Dall'altra, secondo Putin, c'è lui dietro a tutti gli attacchi terroristici contro la Russia. Come possono essere vere entrambe le cose? Non è logico.
- Maskhadov odiava Eltsin ma accettò di negoziare direttamente con lui perché comprese che si batteva per l'unità della Russia. Putin invece combatte solo i ceceni. È un criminale, responsabile di genocidio. Perciò Maskhadov accetterà di negoziare solo con una mediazione internazionale.
- Durante il governo Eltsin abbiamo superato il periodo più nero della frammentazione ed eravamo sulla buona strada per costruire un sistema statale autonomo, innovativo e aperto. Putin ha cambiato strada: sta cercando di reintrodurre in Russia lo stesso sistema pesantemente centralizzato e opprimente dell'Urss e in questo schema rientra la campagna militare contro la Cecenia.
- Personalmente sono contrario all'indipendenza cecena. Se la diamo a loro domani dovremo concederla al Tartarstan, poi all'Inguscezia, e così via. Per la Russia sarebbe il collasso.
- Quella cecena è una crisi locale, non terrorismo internazionale. Maskhadov è pronto a negoziare, Bin Laden no. Sì, alcuni ceceni sono terroristi ma non tutti, proprio come i palestinesi. E in entrambi i casi il problema è una volontà, frustrata, di autodeterminazione.
Dall'intervista di Luca Salvatori e Maxim Litvinenko
Londra, maggio 2007; Citato in Aleksandr Litvinenko, Perché mi hanno ucciso, AIEP Editore, 2008, pp. 13-14, ISBN 978-88-6086-011-8
- Il mio obiettivo consiste nel rimettere in atto la Costituzione della Federazione Russa e, conseguentemente, nell'abbattere forzatamente il regime di Putin.
- [«Esiste l'opinione secondo cui la morte di A. Litvinenko possa risultare comoda anche a Lei: cosa risponde?»] Saša Litvinenko era un mio amico, pertanto coloro che avanzano siffatte supposizioni sono del tutto all'oscuro di che cosa sia l'amicizia.
- La mia ipotesi su chi abbia commissionato, organizzato ed eseguito questo delitto praticamente non si discosta dall'opinione dello stesso Aleksandr Litvinenko. Alla vigilia della sua morte mi ha detto espressamente: il committente è Putin, l'organizzatore l'Fsb, gli esecutori sono ex collaboratori del Kgb-Fsb.
Dall'intervista di Maša Gessen
Londra, giugno 2008; Citato in Maša Gessen, L'uomo senza volto. L'improbabile ascesa di Vladimir Putin, traduzione di Lorenzo Matteoli, Sellerio, 2022, ISBN 88-389-4424-5
- [Su Vladimir Putin] Era stato il primo burocrate che non aveva accettato tangenti. [...] Ne rimasi molto impressionato.
- [Sulle bombe nei palazzi in Russia] Ti posso dire con assoluta sincerità che allora ero sicuro che fossero i ceceni. È stato quando sono venuto qui [a Londra] e ho cominciato a ripensare al passato che sono finalmente arrivato alla conclusione che le esplosioni erano state organizzate dall'FSB. Questa conclusione non era solo basata sulla logica, o meglio non tanto sulla logica quanto sui fatti. A quel tempo non vedevo questi fatti, e poi non mi fidavo di NTC, la televisione di Gusinskij, che era un sostenitore di Primakov. Per cui non ci feci proprio attenzione. E allora non mi ero nemmeno accorto che c'era un gioco parallelo al nostro: qualcun altro stava facendo quello che pensava giusto fare per fare eleggere Putin. Adesso sono convinto che questo era proprio quello che stava succedendo.
Citazioni su Boris Berezovskij
modifica- Berezovskij è un giocatore, non un combattente. E non combatte nemmeno chi sta al suo fianco. (Anna Stepanovna Politkovskaja)
- Devo ammettere che non avevo nessun particolare desiderio di entrare in rapporto con Berezovskij. Nei confronti di quell'uomo provavo in quel momento una decisa antipatia, per esprimermi nel modo più delicato possibile. Non solo perché lo ritenevo uno dei principali responsabili degli ultimi cataclismi che avevano scosso il nostro Stato, ma anche per motivi puramente estetici: non sopportavo il suo antiquato stile politico, tutto bizantinismi e manovre di corridoio, che adesso era diventato lo stile del Cremlino. (Elena Tregubova)
- Ha un'intelligenza estremamente viva. Gran parte delle sue idee riguardano il Caucaso e il conflitto ceceno. [...] Tra l'altro, detto per inciso, secondo me le sue proposte sulla Cecenia non sono realistiche né efficaci. (Vladimir Putin)
- La cosa che mi colpì di più di Berezovskij [...] furono le dita lunghe, sottili, musicali, incredibilmente sensibili e nervose [...]. Quelle dita aristocratiche sembravano contraddire tutta l'immagine pubblica dell'uomo. (Elena Tregubova)
- La stampa straniera presenta Putin e il suo principale nemico, l'oligarca Boris Berezovskij, come portatori di valori contrapposti in una battaglia tra il bene e il male. La storia sarebbe questa: Berezovskij raccomanda la promozione del giovane Putin al suo anziano amico presidente, Boris Eltsin. Quando quest'ultimo cede lo scettro a Putin, il successore ingrato caccia il benefattore, perché sospetta di essere stato spinto in alto solo come mezza figura di passaggio. Da qui congiure, sospetti, tentativi di farsi del male, squalifiche. Oggi il peso dei due, uno ai vertici del potere e l'altro profugo, non è comparabile. Berezovskij dall'esilio londinese coltiva pensieri di vendetta contro Putin. La vicenda è oscura, provoca vittime e anche una crisi nei rapporti diplomatici tra Mosca e Londra, nonché forse qualche piccolo danno all'immagine di Putin. Si ripropone lo stesso interrogativo che si presenta in tutti i casi di strategia della tensione. Però, lo scenario di un Putin regista del terrorismo, non persuade i suoi interlocutori internazionali. Infatti nessun vertice nel 2007 è stato sospeso. (Demetrio Volcic)
- Mio nonno andò in guerra, mio padre combatté, e anch'io combattei, e questo è stato tutto ciò che noi tre generazioni abbiamo mai ricevuto. Eppure qualcuno come Berezovskij ha acquisito Aeroflot, il principale canale televisivo russo Ort, e il gruppo finanziario-industriale LogoVaz. Cosa ha fatto per meritarsi questo, mentre gli altri non hanno nulla? (Aleksandr Ivanovič Lebed')
- Nel 2000, Berezovskij aveva voluto e favorito, via Istanbul, la rocambolesca "fuga" di Sasa a Londra. Berezovskij gli aveva regalato, con una nuova vita, un nuovo passaporto con un nuovo inglesissimo nome (Edwin Redwald Carter). Aveva sollecitato e finanziato (2003) il suo libro (Blowing up Russia) di denuncia del ruolo svolto dai servizi russi negli attentati di Mosca che avrebbero dovuto giustificare la reazione del Cremlino contro i ceceni. Berezovskij, insomma, aveva trasformato uno sconosciuto ufficiale del Fsb, in una fenomenale arma politica contro il Cremlino. (Carlo Bonini)
- Probabilmente Putin pensò che Berezovskij fosse troppo potente o sapesse troppe cose per rimanere in circolazione. L'oligarca conosceva troppi scheletri nell'armadio, e li conosceva perché ce li aveva messi lui stesso. Controllava inoltre diverse risorse strategiche, tra cui la compagnia petrolifera Sibneft e il canale televisivo Ort, più tardi ribattezzato Channel One. Putin sapeva che era molto più efficace controllare completamente i media invece di limitarsi a censurarli, così decise di eliminare gli intermediari. (Garri Kasparov)
- Volevano tappare la bocca a Berezovskij perché aveva chiesto perdono a Putin e si preparava a rivelare i complotti del Regno Unito contro di noi. (Vladimir Žirinovskij)
- La carriera repentina e strabiliante di Berezovskij era ed è, sotto ogni aspetto, personalissima e paradigmatica al tempo stesso. Un campione emblematico, per così dire, da sociologia postsovietica. Si riflette in esso non solo il talento di un giocatore d'azzardo fuori norma, non solo la tenebrosa fortuna di un nocchiero della neoimprenditoria corsara alla russa. Ma, quel che più conta, nella temerità inventiva dell'uomo e delle sue azioni si riverbera in presa quasi diretta la metamorfosi epocale dell'Urss dei piani quinquennali nella Russia dei mercati ebbri e scapestrati.
- Pioniere e prototipo della nomenclatura oligarchica postsovietica, Berezovskij non si è mai limitato alla sola cura dei suoi feudi imprenditoriali. Li ha sempre collegati e avviluppati nell'intrigo politico. Combinando clientelismo e affarismo è stato per qualche anno l'oscuro deus ex machina della cerchia più intima di Eltsin, ha tenuto in pugno consiglieri e amministratori della «Famiglia» come Voloshnin e Borodin, ha letteralmente distrutto con le sue santabarbare televisive l'immagine e le aspirazioni presidenziali di candidati temibili come l'ex primo ministro Primakov e il sindaco di Mosca Luzhkov. Alla fine ha coronato le operazioni facendosi eleggere deputato alla Duma, il che potrà assicurargli una salvacondotto per la tessitura di altre trame e, soprattutto, una garanzia d'immunità per i tempi procellosi che probabilmente dovrà affrontare nell'era Putin.
- Più che una persona fisica, più che un nome odiato o temuto, Berezovskij è il simbolo e l'incarnazione di un caotico processo storico che ha visto la Russia passare in un baleno dalla non economia totalitaria all'ipertrofia di un capitalismo darwiniano con pochissime regole e pochi padroni.
- Boris Berezovskij, chi era costui? Era - diranno gli storici della Russia - il più agguerrito degli oligarchi dell'era Eltsin, il più spregiudicato, il più astuto. Forse non il più ricco ma, certo, colui che meglio ha saputo tradurre in politica la sua fortuna.
- Senza il suo acume, con ogni probabilità, Vladimir Putin non avrebbe oggi le redini della Russia.
- Un uomo senza dubbio poliedrico. Forse non esattamente un imprenditore, così come lo si intende dalle nostre parti, ma sicuramente uno che sa come usare il denaro.
- Da quando avevo incontrato Berezovskij, non riuscivo a liberarmi dal pensiero che non fosse adatto all'ecosistema dell'establishment del potere russo. Lui era il Grande Gatesby della Rublëvka, il suo temperamento instabile e le sue grandi visioni non erano compatibili con l'atmosfera letargica e letale che permeava i muri del Cremlino.
- Penso che Boris si sia davvero impiccato. È stato in depressione clinica per molto tempo dopo essere stato rovinato. Ha cercato di ricevere cure, il suo psichiatra lo ha confermato al processo, ma... Boris è stato estremamente depresso e molto solo per gli ultimi sei mesi della sua vita. [...] Boris era attivo e allegro finché vinceva, ma quando perse il processo contro Roman Abramovič, sfortunatamente crollò. Mi dispiace molto per Boris. Mi piaceva.
- Quando Boris venne a sapere del Kursk, era in Francia, nella sua residenza di Cap d'Antibes. Cominciò subito a telefonare a Putin, ma riuscì a raggiungerlo solo il 16 agosto, il quinto giorno dello sviluppo della tragedia.
«Volodja, perché sei a Soči? Dovresti interrompere le tue vacanze e andare alla base dei sommergibili o almeno a Mosca. Tu non capisci come vanno le cose e questo ti danneggerà.»
«E tu, perché sei in Francia? Te la sei meritata la vacanza o no?» Putin era sarcastico.
«Prima di tutto, non sono il padre della nazione e a nessuno importa niente di dove sia. Secondo, in mattinata volo a Mosca.»
«Bene, Boris, grazie per il consiglio.»
Quando il 17 Boris atterrò a Mosca, Putin era ancora in vacanza. - Vestito con jeans e maglione, Berezovskij sembrava ancor più fuori luogo, non essendo né un apparatčik né, all'apparenza, un capitalista. Assomigliava più a un matematico pazzo che stesse spiegando a tutta velocità un teorema di estrema eleganza, mentre i suoi ascoltatori si preoccupavano di meschinità e mondanità di dubbio gusto. Devo dire che in carne e ossa appariva molto più bello che in televisione: la testa calva luccicava al sole, ma non invecchiava il suo volto espressivo e giovanile. Gli occhi fieri e scuri e il suo costante gesticolare trasmettevano un'energia decisamente maggiore di quella che traspariva dallo schermo.
Note
modifica- ↑ Citato in Berezovskij contro Putin «Serve un colpo di stato», Corriere.it, 14 aprile 2007.
- ↑ Citato in La guerra sporca tra Londra e Mosca, La Repubblica, 11 luglio 2008.
- ↑ Citato in Ho perso il senso della vita mi, manca la mia Russia, la Repubblica, 25 marzo 2013.
Voci correlate
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