Dario Argento

regista, sceneggiatore e produttore cinematografico italiano (1940-)

Dario Argento (1940 – vivente), sceneggiatore, regista, attore e produttore cinematografico italiano.

Dario Argento, 2014

Citazioni di Dario Argento

modifica

  Citazioni in ordine temporale.

  • [Su 4 mosche di velluto grigio] Questo è il mio penultimo film. Ne girerò ancora un altro, non del genere thrilling e poi, via. [...] Prenderò moglie e bambina, ci ritireremo in un'isoletta del Pacifico che sto per comprarmi, avremo altri novantanove figli e non vedremo né giornali né film.[1]

Intervista di Sandro Casazza, La Stampa, 21 luglio 1971

  • Io racconto delle storie di persecuzione, di terrore, di fastidio che rispecchiano in chiave onirica le alienazioni e le ossessioni della nostra epoca, ma non ho mai calcato la mano sul macabro o sull'orrido.
  • [«Quanto costano i suoi film?»] Poco. Meno di quattrocento milioni ciascuno. Perché io costo poco. Di solito mi curo anche del soggetto e della sceneggiatura. [...] E poi non prendo mai "stelle" che chiedono compensi altissimi, ma scelgo bravi attori [...] anche se non popolarissimi.
  • [Su 4 mosche di velluto grigio] La conclusione non la conoscono nemmeno gli interpreti. Ho addirittura tolto le pagine dell'ultima scena dai copioni.

La Stampa, 26 gennaio 1980.

  • Immagino i miei film come una struttura dove si incollano i colori, la tecnica, il ritmo cronometrato di ogni istante, quell'attimo magico che fa tremare di paura prima me poi il pubblico.
  • Un fatto oggi si è capito con chiarezza: il pubblico segue un suo istinto selvaggio, prevedibile ma non tanto. Non ha più paura come qualche anno fa (come negli orribili, per il cinema, Anni Sessanta) di non apparire abbastanza colto o abbastanza intelligente, non ha paura di dire che quella cosa proprio proprio non gli piace, non gliene frega niente. Riflette più su se stesso. In barba al moralistico discorso del cosiddetto «riflusso» in cultura, parola inventata dai giornali che per me non esiste.
  • Negli Anni 80, qualcosa sta cambiando, un forte vento spira sul cinema. Le foglie che si sono dissecate in dibattiti sterili, in contorcimenti intellettualistici, le foglie che la sapevano tanto lunga e avevano sempre ragione loro, le foglie di tutti i colori, le foglie cattive e arroganti che «se questo ti piace allora sei stupido, se questo piace a me invece non ti piace sei ugualmente stupido», beh queste foglie il vento degli Anni 80 le sta portando via.

Su Alfred Hitchcock, La Stampa, 1 maggio 1980.

  • Mi telefonano: è morto Hitchcock. Ma come? È impossibile. Era vecchio, mi dicono, aveva ottantun anni. Lo so, ma poteva ancora vivere moltissimo, perché non centocinquanta, duecento anni? Io ancora non lo accetto. Perché lui non era un maestro del cinema, era il maestro.
  • Hitchcock ha innovato il cinema facendogli fare un passo così gigantesco che un suo vecchio film del muto ci appare girato tecnicamente oggi. I suoi bisogni espressivi fecero infatti progredire la tecnica, non il contrario.
  • Rivendico ad Hitchcock il grande artigianato fatto progredire e volare fino a diventare genio del cinema. Inventore dei tempi. Dei movimenti di macchina che raccontano da soli una storia interna alla storia del film e ancora più interna nei sogni del regista che l'ha realizzata. Inventore, insomma, del cinema moderno.
  • Io gli volevo tanto bene. Ogni volta che facevo un film pensavo: chissà se Hitchcock lo vedrà. Chissà se gli piacerà.

La Stampa, 8 febbraio 1981.

  • Forse faccio questi film perché io sono il primo ad aver paura, io sono il Grande pauroso, io tremo (ma mi trattengo per pudore) quando scricchiolano le porte, sbattono le imposte, quando tuona. E come in una liberazione piena di felicità, in una sgangherata seduta psicanalitica, in un sogno assurdo ad occhi aperti, realizzo i miei film, li scrivo, li imposto, li propongo al pubblico.
  • Paura e rischio. Inscindibili fattori della stessa operazione. Per questa ragione, io, immeritatamente, mi considero talvolta non un regista, ma un medico ricercatore che sperimenta prima sul suo organismo le emozioni che poi darà al pubblico.
  • Io sono il primo spettatore dei miei film, il primo che si inietta il virus pauroso nelle vene. Perciò penso che tutti i miei film siano autobiografici e dentro ci sia buona parte della mia vita privata, dei miei sogni, dei miei terrori, delle mie speranze. E anche dei miei ideali e della mia coscienza.

Intervista di Michele Anselmi, L'Unità, 6 ottobre 1982.

  • Io sono un famoso fifone, lo sanno tutti, per questo conosco così bene la paura. La paura è come un virus, mi piace sperimentarla su di me prima di farci un film. In questo caso, ad esempio, c'è di mezzo una disavventura americana. Ero a Los Angeles, in albergo, e un tizio cominciò a telefonarmi due, tre, quattro volte al giorno. All'inizio era gentile, cordiale, poi, lentamente, le sue parole cominciarono a farsi gelide, cattive, minacciose. Chi era? Che cosa voleva da me? Perché mi minacciava di morte? Ecco, pur avendo un terrore fottuto, ero affascinato da quella situazione. Volevo capire chi fosse, cercavo di leggere le sue paranoie per telefono. Poi il gioco si fece troppo pericoloso... e io cambiai, nel giro di una settimana, albergo, città e paese.
  • Certi critici, i professori di cinema, perfino parte del pubblico disprezza il piacere della paura perché lo ritiene sotto-cultura. Ma è un'equazione sbagliata. Io faccio del cinema perché amo, perché voglio amare e perché voglio essere amato. E dico benvenuti ai sanguinosi fantasmi della mia coscienza.
  • Diciamo che un buon film dell'orrore ha bisogno, contemporaneamente, di una buona sceneggiatura, di ambienti adatti e di un uso intelligente della tecnica. Perché quello che fa sobbalzare non è un oggetto che esiste già. Altrimenti, basterebbe ricapitolare e incollare l'una all'altra tutte le situazioni paurose già viste in altri film. Il segreto sta nel modo personale con il quale queste scene vengono rappresentate: è una questione di tempi, di secondi, di inquadrature, di piani-sequenza. A volte un semplice carrello che avanza dentro una stanza inanimata, senza che nulla accada, è terrificante.
  • [Su La cosa] Sublime. Il vertice del disgustoso.

Su Tenebre, La Stampa, 6 ottobre 1982.

  • È accaduto che su Tenebre, per vie a me ignote, sono uscite anticipazioni che non corrispondono alla verità. Ad esempio, ho letto che sarebbe la continuazione di Suspiria e Inferno, completando così la trilogia delle tre «madri». E invece Tenebre non è affatto la continuazione di quei due film.
  • Tenebre è un giallo. Un giallo classico. Secondo le vecchie regole, anche se nel suo profondo più argentiano, e quindi il più personale, dei miei film.
  • Tenebre l'ho concepito come una specie di viaggio velocissimo e turbolento attraverso fatti terrificanti e sbalorditivi. Una sorta di montagne russe della paura. Un incubo ad occhi aperti nel reale, nel moderno, nell'oggi.
  • [Su Dèmoni] Di Lamberto mi fidavo ciecamente; il progetto di produrre un suo film era nell' aria da molto tempo. Volevo che venisse fuori la sua furia, la sua rabbia. E credo che tutto questo sia avvenuto. E poi i registi sono anche i migliori produttori; sono gente di cinema che capisce le esigenze e i problemi di chi lavora per loro. In America poi il fenomeno del regista produttore è molto diffuso: basti guardare Carpenter, Spielberg, Lucas.[2]

Su Phenomena, La Stampa, 10 gennaio 1985.

  • Ho speso più di sei miliardi. La colpa è degli insetti: ho dovuto importare ragni, scorpioni, e vedove nere dall'Africa mentre mosche, cavallette e vespe le abbiamo allevate in più parti di Roma.
  • È stato difficile far recitare gli insetti, ma anche la scimmia mi ha fatto impazzire, poiché volevo che la sua interpretazione non fosse buffonesca. Gli insetti sono comunque degli animali simpaticissimi, che ho rappresentato affettuosamente e loro mi hanno ripagato evitandomi pizzichi e punture.
  • Perché utilizzare le mani di qualche altro, quando le mie sono così esperte che riescono a fare tutto da sole?

Su Phenomena, La Stampa, 31 gennaio 1985.

  • Mi ero fissato in una sfida paranoica: volevo realizzare in un film la più alta tecnica che il cinema italiano in questo momento potesse esprimere. Una specie di super-sfida con il cinema americano dei grandi effetti, rispondendo colpo su colpo: i migliori mezzi, la tecnologia più sofisticata, i collaboratori più bravi.
  • Pensavo che ci volessero spalle grandi come quelle di Schwarzenegger per reggere tutto il peso del film. E non sospettavo che Jennifer avesse spalle così robuste. E una volontà così forte.
  • Mi dimenticai tutto. Paure. Amori. Amicizie. La mia vita privata. Mi sentivo come un samurai. Completamente catturato dalla disciplina di fare questo film, di vincere questa sfida, la sfida di fare un film compatto e sicuro, potente, impressionante, dei momenti favola e dei momenti pazzia.
  • Che ho voluto raccontare? Ancora non lo so. Lo so sempre quattro, cinque mesi dopo l'uscita. Così, a sensazione, a pelle, in Phenomena ci trovo tante cose mie. Tanto mio cinema. Ma anche tante storie private. Tanti personaggi che ho conosciuto, che ho amato, che mi hanno amato, cui ho fatto del bene, che mi hanno fatto del male, che ho aiutato, che mi hanno tradito, che conosco, che non conoscerò mai. [...] E mi viene in mente un'idea che certo non era cosciente, ma che dà una strana chiave di lettura per il film. Paul Cordino, il personaggio che si nomina tanto nel film ma che non si vede mai, e se fossi io? Quest'idea mi turba, la stessa storia del film ora mi sembra diversa.

La Repubblica, 22 giugno 1985.

  • Gli ho dato l'hashish e gli ho chiesto: è una cosa grave? E gli agenti hanno risposto: crediamo proprio che lei dovrà essere arrestato... Mi hanno portato in caserma, ed erano tutti molto gentili. L'hashish l'ho dovuto lasciare lì. Andandomene ho detto: mo' nun famo che appena giro le spalle qualcuno se fuma la robba mia...
  • Mi hanno messo in una cella minuscola, in isolamento con altre tre persone. Enrico Nicoletti, l'imprenditore coinvolto nello scandalo di Tor Vergata, e altri due che non ho capito chi fossero. In carcere sono stati tutti gentilissimi, sarà forse perchè il mio è un cinema molto trasgressivo e allora dietro le sbarre va forte... Insomma, ho avuto una grande accoglienza. I travestiti, in fondo al corridoio, mi cantavano le serenate sulle note di "Yellow Submarine", ripetendo: "Quanto sei carino".
  • La notte in prigione è mostruosa. Di giorno sembra di potere sopravvivere, ma la notte è atroce, straziante, con quelle grida terribili dei tossicomani che vanno a rota.
  • Guardi: io non sono mai stato in Perù, non ho mai messo piede in Sud America. E se anche mi fossi voluto spedire della cocaina non l'avrei certo mandata al mio vecchio indirizzo, dove non vivo più da quasi due anni.

Da Creare incubi: parla Dario Argento

Frammenti di interviste di Fabio Giovannini tra l'agosto 1985 e il febbraio 1986, riportato in Dario Argento. Il brivido, il sangue, il thrilling, Edizioni Dedalo, 1986, pp. 133-164, ISBN 88-220-4516-5.

  • Una delle cose che avevo scritto capitò in mano a Sergio Leone, e quello è stato l'incontro «fatale» della mia vita. Leone mi permise di frequentarlo. Parlavamo, lui mi spiegava cos'è un carrello, come si fa il cinema in concreto. Un giorno, quando appena aveva finito di girare Il Buono, il Brutto e il Cattivo, mi disse che non sapeva quale film mettersi a fare. Mi ha chiesto: tu lo scriveresti? E io: con piacere! Leone conosceva bene un altro giovane, Bernardo Bertolucci, che aveva già fatto dei film come regista ma che in quel momento era disoccupato, e allora ha proposto a noi due di scrivere il suo prossimo film. Io e Bertolucci ci siamo messi insieme a pensare questo nuovo film di Leone, e così è nato C'era una volta il West. In questo modo ho scritto il mio primo film veramente professionale.
  • In Italia spesso sono i critici più «antiquati» a dirigere i centri in cui si studia il cinema: una scuola di cinema che ti imposta male è meglio non frequentarla perché ne esci sbandato e dissociato, ti insegna solo a fare un cinema che non esiste, il cnema di vent'anni fa. I critici, del resto, sono tutti passatisti, sono rimasti interessati solo a quello che è accaduto quando erano giovani. Il Centro Sperimentale di Cinematografia, ad esempio, è un disastro perché i ragazzi studiano nozioni sbagliate e in modo selettivo, studiano solo quel tipo di cinema che viene selezionato dal presidente del Centro. Poi i ragazzi vanno al cinema e si accorgono che si fanno altri film, mentre loro studiano per preparare film che non si fanno più da vent'anni e che nessuno vuole più. Sono fermi al cinema neorealista italiano e francese.
  • Fortunatamente io ho avuto successo subito, fin dal primo film, e questo mi ha tolto tante frustrazioni, tanti drammi e anche tante schiavitù: se hai successo subito, dopo puoi fare come ti pare, altrimenti devi subire i consigli e le imposizioni di chi ti dice come devi fare e cosa devi fare.
  • Anche un ambiente che sembra squallido può diventare bellissimo dando luce e utilizzando certe inquadrature. La realtà è bella per come la riprendi. Non è bella solo la Reggia di Caserta, Fointanebleu, Versailles: tutto può essere bello e interessante, al cinema.
  • Ho usato Torino tre volte, per Il gatto a nove code, Quattro mosche di velluto grigio e Profondo rosso. Anche se Torino è una città emarginata dal cinema ho voluto lo stesso spostare là la troupe perché mi piaceva. Ho avuto una grande impressione da ragazzino, quando sono stato a Torino d'inverno, un'impressione morbosa. Per questo ho girato lì tanti esterni dei miei film.
  • Per Suspiria sono andato molto tempo in Germania e nel nord della Svizzera, perché volevo fare un film gotico. Avevo un soggetto, e per ispirarmi ho fatto un giro di tre mesi nel Nord Europa a scoprire il gotico, i suoi colori, gli ambienti, le punte, gli aculei.
  • Sei più solo in città che in campagna. In campagna ti possono sempre trovare, ma in città ti sperdi.
  • Non ho mai scritto a casa, né soggetti né sceneggiature. In casa riesco solo a scrivere articoli, ma per i film devo andare in una stanza d'albergo.
  • Non prendo mai appunti, è un'altra mia particolarità. Io penso, anche per mesi. Ho scoperto questo procedimento durante i primi film. Ai miei collaboratori sembra folle, ma io non appunto nulla, neanche una parola. Vado avanti con la storia, e inevitabilmente dimentico molte cose, ma sono sempre le più banali. Le cose più importanti non le dimentico mai.
  • Gli americani non si fidano delle sceneggiature scritte dai registi. Io sono un autore-scrittore, che non si fa dare uno script preconfezionato, ma scrive da sé i propri film. I produttori americani non si fidano, sono convinti che il regista ignori i gusti del pubblico. Quindi dovrei affidarmi a uno sceneggiatore americano, o addirittura prendere una sceneggiatura già scritta o un libro che ha avuto successo in America. Non riuscirei mai a lavorare su una sceneggiatura scritta da altri. Ogni anno gli americani mi chiamano e ogni volta ripeto loro che la sceneggiatura devo scriverla io. Non sarei capace, ad esempio, di mettere in scena un libro di Ken Follett: e non mi interessa.
  • L'attore per me è un momento del film, è una parte, come la scenografia. L'attore vorrei scolpirlo io, perché assomigli alla faccia, all'espressione e al modo di fare che ho in mente. Come penso alla storia, alla sceneggiatura, alla fotografia, così penso all'attore. Non mi piace lo spazio che a volte si prendono gli attori. Il film va fatto come voglio io, come l'ho pensato io. Non c'è nessun attore al mondo con cui desidererei ad ogni costo fare un film. Più è un attore di cui si dice che ha una grossa personalità, più non lo voglio.
  • I critici hanno i complessi nei confronti del cinema moderno, non sanno mai catalogarlo, e allora lo paragonano alle cose peggiori che riescono a pensare. Appena vedevano un film ben fatto e molto elegante dicevano subito che aveva uno stile pubblicitario. Adesso vedono un film girato con dinamismo e velocità e dincono che è come una video-clip.
  • [Su Le cinque giornate] Prima che uscisse il film Nanni Balestrini mi disse: quando vedranno Le cinque giornate ti daranno dell'anarcosindacalista, anarchico di destra, qualunquista, perché quando il critico di sinistra trova un'opera che lo scavalca a sinistra, non lo ammette e allora la definisce fascista. Era il periodo in cui si diceva che non esiste guerriglia di sinistra e che i terroristi erano tutti fascisti, e poi si è dimostrato che non era così. È un film nato negli anni Settanta, quando tutti avevano quei pensieri.
  • Trovo che tanti registi si comportano come se facessero un altro mestiere. Più che gente che si occupa di cinema sembrano dei commercianti, parlano di tutto tranne che del cinema. Questo mi colpiva molto quando ero giornalista cinematrografico, e mi dicevo: possibile che i registi siano così ignobili, a metà tra l'operaio e il venditore di pellami?
  • Io penso che l'atteggiamento del pubblico sia cambiato negli ultimi venti o trenta anni. Se parlo con degli amici scopro che quando vedevano un film da ragazzini avevano terrore dell'assassino e del mostro, lo odiavano. Invece negli ultimi dieci anni il pubblico «tifa» molto per l'assassino.
  • Non voglio perdere tempo a spiegare alle controfigure cosa devono fare. Io non appaio, appare solamente la mano, ma io so come la mano deve colpire, come deve essere minacciosa. Penso che continuerò. In L'uccello dalle piume di cristallo avevano scelto una persona per queste scene, doveva infilarsi i guanti, colpire con il pugnale, eccetera. Appena ha cominciato mi sono accorto che andava male, non interpretava quelle mani come pensavo io. Allora l'ho fatto io, e da quel momento ho deciso di farlo sempre io.
  • Io so di più sull'America attraverso un film americano degli anni Sessanta che leggendo i libri. Il film riflette realmente quello che accade, senza sociologia né politica. Il film ti comunica subito le emozioni e le mode di un periodo.
  • Il western è legato troppo a una fase storica precisa, mentre l'horror può essere ambientato nell'Ottocento, ai giorni nostri, nel futuro.
  • Io faccio questi film perché mi piace farli, e se qualcuno ne rimane turbato sono problemi suoi. Io fatico a fare questi film, ci metto anche molta sofferenza e se qualcuno rimane turbato vuol dire che ho saputo trasmettere bene questa sofferenza.
  • La polemica sulla nocività dei film dell'orrore è stata già stroncata da tempo in America. Hanno scoperto che solo gli adulti restano molto turbati dai film di orrore e di violenza, mentre i ragazzini sono i maggiori fans di questo cinema, si divertono, vanno a vederli in gruppo e si fanno grandi risate. Solo persone adulte e malate possono restare turbate da un film, e quindi sarebbero state turbate in ogni caso dalla famiglia, dalla moglie, dal figlio, da un rimprovero, dall'assistere a un incidente d'auto.
  • Una volta De Laurentiis mi ha chiesto di adattare Lovecraft per lo schermo, e sono stato con lui vari mesi in Inghilterra per lavorare a questo progetto. Però sentivo un distacco e una disaffezione, ho capito che era inutile continuare. E infatti mi misi a scrivere Tenebre.
  • In Dèmoni 2 il legame con il film precedente sta nella cognizione che dei fatti tremendi sono avvenuti molto tempo prima, ma ormai tutti se ne sono dimenticati.
  • Quando ho pensato Phenomena mi immaginavo che dal 1940 al 1945 ci fosse stato un avvenimento molto grave, la guerra, e i nazisti avessero vinto. Passati trenta-quarant'anni la gente ha cancellato dalla memoria questo avvenimento così drammatico, non ne parla più. Però in realtà i nazisti hanno vinto la guerra, e la vita ha quindi tutto un altro senso, è la vita di un mondo dove ha vinto l'ordine nazista. Se il film viene guardato con attenzione, sotto questo aspetto, si scopre che chi lo ha fatto pensava a questo principio. Invece quando ho ideato Tenebre pensavo che il film fosse ambientato nel 1994, dopo una decina d'anni dalla realtà, che si situasse un leggerissimo passo in avanti rispetto ai nostri giorni. Non tanto, non venti o trenta anni, ma solo una decina, in un mondo un po' diverso, un po' idealizzato, quasi da fantascienza.
  • Io non mi sento l'erede di Hitchcock. Forse ho ereditato il suo pubblico, ma non certo le sue tematiche. [...] Hitchcock è puritano mentre io sono libertario fino ai limiti dello sberleffo, il mio cinema è trasgressivo.
  • Opera nasce come una sfida. Dovevo curare la regia di una vera opera lirica, Rigoletto, ma le mie idee non andavano giù ai dirigenti del Teatro. Dicevano che era una interpretazione troppo ardita dell'opera verdiana. Insomma, non se ne fece niente. Per vendicarmi ho deciso di farci sopra un film, e di guadagnarci pure.[3]
  • [Su Opera] Più di otto mesi abbiamo lavorato per preparare le simulazioni dei voli dei corvi telecomandati. A Parma, dove sono state girate le scene più spettacolari, avevamo affittato un casale per ospitare i corvi veri e la gente lo ribattezzò scherzosamente l'albergo dei corvi: al mattino li prelevavamo per portarli al Regio, e alla sera li riportavamo in "albergo".[4]
  • [Su Opera] Peccato, probabilmente il film sarà vietato ai minori di 14 anni, ma il mondo sta cambiando, oggi c'è Gorbaciov, la censura è destinata a sparire.[5]

Intervista di Maria Pia Fusco su Opera, La Repubblica, 2 agosto 1987.

  • Sì, Opera è il mio film più costoso, 9 miliardi, quasi il doppio di Phenomena.
  • Ai ragazzi piacciono le emozioni forti, le cercano attraverso la musica, il linguaggio, i comportamenti. Per loro, lo dico da sempre, lo spavento al cinema serve da catarsi e, più degli adulti, lo vivono con la consapevolezza della finzione. E nel mio cinema la finzione è autentica. Nessuno viene mai ferito o ucciso veramente, mentre in un film d'amore gli attori si baciano sul serio, c'è più ambiguità.
  • Forse sono crudele perchè mio padre è siciliano e mia madre sudamericana e in entrambe le culture la crudeltà è riconosciuta. Forse voglio esorcizzare la mia paura del buio.

Intervista di Lamberto Antonelli su Opera, La Stampa, 21 dicembre 1987.

  • [Sulla scelta di Ronnie Taylor come direttore della fotografia] L'ho scelto perché soltanto lui poteva creare quell'atmosfera con un colore senza particolari dominanti, facendo una fotografia tagliente nella luce, dura, cattiva, allucinante. In fondo «Opera» è un thriller più tecnologico che psicologico.
  • Ho cominciato a pensarci proprio dopo quell'esperienza mancata per il «Rigoletto». Ho cominciato a costruirlo isolandomi in un'asettica stanza d'albergo, radunando le confidenze che mi aveva fatto Cecilia Gasdia parlando di uno dei film che io ho più amato, «Il fantasma dell'Opera» e tuffandomi nei ricordi di un altro grande gilm, «Gli uccelli» di Hitchcock, non dimenticando l'insegnamento di «Psycho».
  • Certo l'aspetto più difficile è rappresentato dalle sequenze con i corvi, uccelli che non si riesce ad ammaestrare. Ne abbiamo presi una conquantina e portati in un casale nei pressi di Parma per cercare di addestrarli alla meno peggio. Poi nelle riprese in teatro siamo dovuti ricorrere al rinforzo di corvi finti, telecomandati, ma che non sfigurano affatto nei riguardi di quelli veri. Sembrano più veri dei veri, proprio come quella battuta sui fiori finti... Quasi tutta la scena è come ripresa dai loro occhi, mentre svolazzano minacciosi sulla platea terrorizzando gli spettatori presenti. Sì, questa è stata una delle sequenze più difficili e più costose.
  • Avrò avuto quindici, sedici anni, quando la mia famiglia mi portò ad Atene a visitare l'Acropoli. Già vedere il teatro arrampicato sulla collina nel quale, mi diceva mio padre, erano andate in scena le tragedie di Echilio, Sofocle ed Euripide m'aveva dato un mancamento. Ma poi alla scoperta del Partenone ho perso la testa. Sono rimasto solo molte ore a vagare tra le rovine in preda alla sindrome di Stendhal mentre mio padre e mia madre, che mi sapevano fantasioso, s'immaginanvano stessi passeggiando per la città.[6]
  • [Sulla sindrome di Stendhal] Si sta proprio male. Malissimo. E non è neanche un fatto raro. All'ospedale psichiatrico di Firenze ci sono sempre tre letti pronti per ricevervi i turisti colpiti da questi sintomi.[6]

Presentazione su La sindrome di Stendhal, La Stampa, 24 gennaio 1996.

  • [Su Seven] Un film interessante e ben fatto che segue però le mode: basta guardare gli attori. Non c'è inventiva umana nei film americani. Quelli europei, più o meno discutibili, sono comunque frutto della fantasia degli autori.
  • Ho sempre creduto nei messaggi emotivi e conturbanti che sprigionano dai capolavori dell'arte e quando ho letto il libro della Magherini sono rimasto affascinato dai turbamenti che si possono vivere davanti alle opere dei grandi pittori.
  • È stata necessaria tutta l'esperienza di Giuseppe Rotunno per avere "la meglio" sui vetri protettivi dei capolavori, che per il loro spessore davano una colorazione verde alle opere, soprattutto a quelle del Botticelli.

Intervista di Roberto Rombi su La sindrome di Stendhal, La Repubblica, 24 gennaio 1996.

  • Il titolo può apparire bizzarro, in America credevano che Stendhal fosse una marca di profumi.
  • È successo anche a me di soffrirne, quando ero ragazzo, durante una visita in Grecia. Salendo verso il Partenone mi sono sentito male e i miei genitori pensarono che il cibo greco, decisamente un po' pesante, ne fosse la causa. Ma poi ho capito che si trattava di qualcosa di diverso, di più profondo.
  • Leggendo la recensione del libro della psichiatra Graziella Magherini ho cominciato a pensare agli effetti che l'arte può avere sulle persone. È stato questo lo spunto per una storia che racconta il reciproco darsi la caccia tra una donna poliziotto e un killer sanguinario.
  • In America è difficile rimanere fedeli alle proprie idee, avrei dovuto accettare troppi compromessi per allinearmi alle leggi del mercato. Lì i film sono fatti tutti al computer come Seven, prodotto di moda, con attori alla moda con pettinature di moda. Ma il cinema americano sta suscitando una caduta di interesse. Troppi lavori finti, fatti di plastica. Si sta avviando insomma verso una salutare piccola crisi di cui speriamo sappia approfittare il cinema europeo.

Presentazione al Festival du Film Fantastique, de Science Fiction & Thriller su La sindrome di Stendhal, La Repubblica, 20 marzo 1996.

  • Prima di cominciare la lavorazione andavo tutte le mattine al Louvre per preparare il film e al quinto giorno quattro poliziotti mi hanno afferrato, picchiato e portato via in maniera brusca sospettando in me un ladro o un terrorista!
  • Nel film Opera, la musica era per me un incubo. Il film aveva arie d' opera e scene senza musica. Mi sono messo alla ricerca di una musica compatibile e ho scoperto che La Traviata si poteva accostare alla musica degli Heavy Metals, New Age o dei Gobelines!
  • Mi causa molto dolore pensare che alla fine del lavoro qualcuno taglierà le scene del mio film. Ho avuto problemi dappertutto. In Scandinavia i miei film sono stati proibiti per 15 anni, poi sono cambiati i governi e le leggi. A un convegno ad Atlanta, dove Opera era stato distribuito dalla Orion e censurato di venti minuti, ho portato cassette complete che ho distribuito ai partecipanti. Ricordate che se fate un sogno o create qualcosa, c'è sempre qualcuno che vuol tagliare, e se dici che hai talento, non ti fanno lavorare.

Da Dario Argento su Profondo rosso

Intervista di Federico Patrizi, maggio 2002; riportato in Luigi Cozzi, Federico Patrizi e Antonio Tentori, Profondo rosso. Tutto sul film capolavoro di Dario Argento, Mondo Ignoto S. R. L., 2003, pp. 209-222, ISBN 88-89084-13-8

  • Dopo il Natale del 1974 ebbi un piccolo spunto da una sensitiva. La donna, compiendo una seduta spiritica a casa sua, improvvisamente sentì che qualcuno era malvagio, malato mentalmente. Da questo piccolo episodio sono nate altre idee.
  • [Su Daria Nicolodi e il ruolo di Gianna Brezzi] Dopo aver fatto i provini rimasi col dubbio se scegliere Manuela Kusterman o lei, ma poi il suo essere spontanea, al contrario del corpo classicheggiante della Kusterman, mi convinse a scritturarla come attrice protagonista.
  • [Su Villa Scott] Rimasi sorpreso quando venni a sapere che la villa era un centro di accoglienza per ragazzi tossicodipendenti gestito da suore. Per girare in tutta tranquillità mandai suore e pazienti in vacanza in un albergo di Rimini per un mese o due, il tutto finanziato dalla produzione. Le riprese furono effettuate all'esterno e all'interno della villa.
  • Mio padre, mio fratello, lo scenografo Peppino Bassan e perfino il direttore di produzione, bocciarono la scena dell'assassinio di Giordani e dell'entrata in campo del pupazzo, perché troppo irrazionale: sino all'ultimo cercarono in tutti i modi di non farmela girare. Ancora oggi la gente mi chiede se sia Carlo o sua madre ad uccidere Giordani, ed io continuo a rispondere che non c'è una spiegazione razionale, ognuno ci vede quello che sente.
  • Per me l'infanzia è l'elemento fondante la personalità dell'individuo, quindi se si vuole analizzare, capire il carattere o il lato recondito di una persona bisogna risalire ad essa. Il presente di un uomo è subordinato al suo passato.
  • Giuliana nel prepararsi a girare la scena inspirò poca aria. Come tutti sanno, le mani guantate dell'assassino anche in quell'occasione furono le mie, e tirando fuori la sua testa dalla vasca, dopo averla immersa nel liquido, lei urlò, non per simulare il soffocamento e l'ustione, ma perché non respirava davvero. Inizialmente pensai che si stesse dibattendo in modo realistico e straordinario, ma una volta terminata la ripresa si incazzò a morte con me per averla trattenuta a lungo nell'acqua. Però quella scena fu così verosimile che decisi di inserirla nella versione definitiva del film. Bastò un solo ciak.
  • È il mondo del cinema che mi interessa. Nel mezzo di una scena inventata da me c'è una citazione, un parallelo con una scena che ho già visto, può provenire indifferentemente dall'espressionismo tedesco o dal cinema sperimentale.[7]
  • Di fare un Profondo rosso 2 non se ne parla, ma per un motivo semplice: chi ama o chi cerca il mio film ha bisogno di trovare la fisicità, i volti e le emozioni stesse che solo la versione originale è in grado di restituire completamente. Escludo perciò di mettermi a lavorare su una continuazione o sul rifacimento integrale della pellicola.[8]

Intervistemadyur.blogspot.com, 16 settembre 2011.

  • L'opera di Stroker è un classico della letteratura, che pone molte domande: che cos'è l'amore, che cos'è la solitudine, chi è il vero mostro. Io cerco di dare delle risposte a questi interrogativi.
  • [Sul Conte Dracula] È un essere camaleontico. Secondo il mito, si trasforma solo in lupo o pipistrello. Io ho pensato che poteva assumere le sembianze di altri animali e insetti giganteschi: un topo, una cavalletta, uno scarafaggio…Inoltre, ha rapporti carnali con uomini e donne, ma questa non è una novità: nelle leggende, che li riguardano, i vampiri sono per natura bisessuali, non hanno pregiudizi
  • Dracula ha una ferocia inaudita, tuttavia nasconde un lato molto romantico. Il suo amore per Mina è folle e puro. Animalesco, direi. E lo porterà alla rovina. Oltre che all'aglio, lui è vulnerabile al fascino delle famiglie.
  • [I vampiri] non sono i soliti serial killer, ma figure piene di sentimenti e di conflitti interiori.
  • I vampiri sono una metafora. M'interesso molto all'esoterismo, ma lo considero un fatto culturale, non una realtà soprannaturale. Streghe e magia svelano qualcosa di noi: l'aspirazione dell'uomo a voler cambiare il proprio destino, il desiderio di raggiungere una felicità facile e impossibile.

Intervista di Paolo Calcagno su Dracula 3D, L'Unità, 8 dicembre 2011.

  • C'è molto eros in questo film, l'ho messo in parallelo col Thanatos che segna i destini dei vari personaggi della storia. Il film viaggia proprio sul doppio binario di amore-morte e per farlo correre senza che "deragliasse" questa volta ho voluto curare molto la recitazione che, di solito, nei miei film affido liberamente agli interpreti per non sovraccaricare di progettualità il racconto.
  • Il mio "conte Dracula" non è tetro e spaventoso come quello di Christopher Lee e nemmeno il personaggio raccontato svogliatamente da Coppola. Anzi, ho incominciato a pensare a Dracula proprio dopo aver visto il film di Coppola che mi aveva molto deluso. Il mio è un Dracula storico, affascinante per la sua bellezza e il suo messaggio di morte: è molto europeo ed è persino romantico nel suo inseguimento, per ben 400 anni, della perduta anima gemella.
  • Il 3D oltre che a sorprendere il pubblico, mi è stato utile per rappresentare visivamente il senso di profondità, l’interno e l’esterno dietro di noi.

Intervista di Valentina Torlaschi, Bestmovie.it, 8 dicembre 2011.

  • Col 3D siamo ormai entrati nell’epoca della profondità al cinema e questo ci fa scoprire nuove bellezze. Dopo il colore, il 3D è la nuova rivoluzione del cinema.
  • Del romanzo di Bram Stoker mi ha affascinato molto la storia di amore e morte che aleggia sul personaggio. Poi mi interessavano molto le sue trasformazioni, quando prende le sembianze di animali e altre creature. Un aspetto che in pochi hanno esplorato.
  • Thomas Kretschmann, è un Dracula che ha una grande bellezza e fascino, non è certo il tetro Christopher Lee, lui è romantico in un certo senso e mi piaceva questo contrasto con la vera identità del personaggio. Per quel che riguarda Rutger Hauer, nel romanzo di Bram Stoker Van Helsing è olandese e Rutger Hauer è olandese, quindi è stata una scelta giusta anche per l’accento, la sua potenza fisica, la sua forza: è il Van Helsing più giusto di quelli che sono stati fatti.
  • In Transilvania abbiamo trovato solo castelli diroccati oppure trasformati in musei o bed and breakfast: erano talmente finti che a volte sembrava di essere a Disneyland! Delle pagliacciate...
  • Degli animali nessuno mi fa paura. In generale, non ho paura di nulla. C’è chi dice di aver terrore dei fantasmi... Magari! A me piacciano i fantasmi. E anche i vampiri, gli zombi. La cosa che più mi inquieta di tutte sono i fantasmi della mia coscienza, qualcosa di profondo, di inconoscibile che parte dal mio subconscio.

Intervista di Pierpaolo Festa, Film.it, 22 maggio 2012.

  • Volevo rinfrescare il suo look. Il mio Dracula è diverso, selvaggio e romantico. Intelligente e forte. Spesso, nelle altre versioni, si tratta solo di azione. Io ho cercato di puntare alla psicologia. E poi lui è un mito. Mi interessava anche esplorare la sua sessualità, dato che lui ama sia le donne che gli uomini.
  • [Sul suo Dracula preferito] Dai, Bela Lugosi decisamente no. Lui era troppo grasso! Mi piacevano i film della Hammer con Christopher Lee. Lui sì che era selvaggio e spaventoso. Ricordo che ero molto giovane e che il suo Dracula mi spaventò parecchio. Io volevo cambiare la visione di Dracula e non mi interessava fare come Coppola. Forse volevo un Dracula più espressionista.
  • [Sul remake di Suspiria] È un'idea che non mi piace e di cui non conosco nulla. Nessuno me ne ha parlato. Non conosco il regista. Non ne so davvero nulla.
  • [Sui morti viventi] Sono figure estremamente interessanti. Pensateci, guardate là fuori e vi accorgerete che è pieno di morti viventi! Nelle strade come nei film. Sono ovunque!

Intervista di Daniela Catelli, Comingsoon.it, 21 novembre 2012.

  • [Su Dracula il vampiro] La prima volta che lo vidi [il Conte Dracula] era nel film Hammer di Terence Fisher e mi sconvolse. Quando l'ho rifatto, però, non mi sono ispirato affatto a quella pellicola, ma a film che ho visto in seguito, agli espressionisti tedeschi come Nosferatu di Murnau e Vampyr di Dreyer.[9]
  • Ho lavorato di nuovo con Tovoli perché volevo riprendere i colori potenti e saturi, che sono quelli di Suspiria e per me sono quelli della favola: dei colori forti, potenti, molto netti. Avere lui come direttore della fotografia è stata quindi una scelta obbligata. Per quanto riguarda Simonetti, credo che per questo film abbia fatto la musica più bella degli ultimi 10 anni. Trovo che sia la sua musica più affascinante, anche se è stata molto elaborata e abbiamo avuto molte discussioni in merito: ma alla fine è venuta la musica più bella di tutte.
  • C'è quell'immagine, è vero, quando appare Christopher Lee [in Dracula il vampiro] con tutta la bocca sporca di sangue. Quella in effetti sì, devo dire di averla presa dalla Hammer.

Intervista di Alessandro Aniballi, Giampiero Raganelli e Raffaele Meale, Quinlan.it, 1 dicembre 2014.

  • Non mi ha mai interessato il realismo nel raccontare un luogo, una città; ciò che mi interessa è solo raccontare una storia. In Profondo rosso c'è una città che io ho immaginato, tutto qui.
  • Nighthawks di Edward Hopper è un quadro iperrealista, e mi piaceva che questo tipo di pittura indicasse una strada anche per l'interpretazione estetica del film, che volevo a mia volta che rientrasse nei canoni dell’iperrealismo. Il quadro di Hopper mi permetteva di donare una possibile chiave di lettura allo spettatore senza risultare pedissequo o senza affidarmi a una spiegazione troppo retorica.
  • In precedenza [...] avevo lavorato con Ennio Morricone, che ha composto per L’uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code e Quattro mosche di velluto grigio delle musiche splendide; ma per Profondo rosso mi interessava esplorare universi diversi, approfondendo dei temi legati al rock progressive, che dessero al film le tonalità musicali che mi sembravano più consone al tipo di racconto. Ho avuto la fortuna di imbattermi in un gruppo di giovani, praticamente debuttanti, e per istinto ho capito che sarebbero stati perfetti per il film.
  • Volevo raccontare come la memoria potesse a volte metterti anche su delle false piste, suggerendoti soluzioni sbagliate.
  • Ho seguito il mio istinto anche per il titolo che, per molto tempo, prima delle riprese e a sceneggiatura già finita con attori pronti a girare, non c'era. Prima ho sviato la stampa dicendo che si sarebbe dovuto intitolare La tigre con i denti a sciabola, poi mentre ero in macchina mi è venuto in mente Profondo rosso. Ai produttori della CineRiz non piacque, dissero che era sbagliato, suggerivano al massimo Rosso Profondo. Per fortuna che m'impuntai.[10]

Intervista di Stefano Corradino, Stefanocorradino.com, 28 luglio 2015.

  • [Su Carlo Rambaldi] Era un genio. Quando scrivevo le sceneggiature andavo da lui e parlavamo di alcuni effetti possibili da inserire. Solo lui riusciva a metterli in pratica. E allora gli effetti non erano elettronici, tutto era fatto "a mano"...
  • [Su Profondo rosso] È nato dai miei pensieri più profondi. Come in un sogno. Può darsi che sia per questo che varie generazioni ci si ritrovano, perché non è legato a un periodo storico particolare, e per questo non invecchia. È un film senza tempo.
  • Li cercai [i Pink Floyd] ed erano interessati. Purtroppo però in quel momento stavano lavorando al disco "The Wall" e all'omonimo film. Fu un peccato ma quando poi entrai in contatto con i Goblin un gruppo romano allora sconosciuto fui molto intrigato dalla loro musica. Il risultato lo conoscete...
  • [Su Profondo rosso] Mentre giravo quel film sapevo esattamente ciò che volevo. Ero molto rilassato, non sentivo lo stress. E poi la storia è bellissima. L'ho scritta in pochi giorni tutta d'un fiato. Fu miracoloso. Basta guardare un film per capire come sta il regista nel momento in cui l'ha girato.[10]
  • Nella vita ho sempre scritto, prima recensioni sui giornali, sceneggiature per altri, e poi i miei film, e ora questi racconti [Horror. Storie di sangue, spiriti e segreti] che sono incursioni nel mistero, dilatazioni sensoriali e psichiche, incubi e risvegli.[11]

Da Profondo Nero - Dario Argento racconta il suo Dylan Dog

articolo di Gianmaria Tammaro, da Best Movie, rubrica Dentro le nuvole, n. 8, anno XVII, agosto 2018, pp. 112 e 113.

  • Non sono un grande lettore di fumetti, ma Dylan Dog è un po' un'eccezione. L'ho scoperto da adulto, e mi ha molto affascinato fin da subito, per le passioni in comune che avevo con il suo autore e per quei suoi continui rimandi a un mondo che era il mio: quello del cinema horror. E poi c'erano gli omaggi che Sclavi faceva ai miei film. Mi hanno sempre divertito e reso molto orgoglioso.
  • Negli uffici della Sergio Bonelli Editore mi aveva detto che voleva conoscermi[Tiziano Sclavi] e io sono andato. Abbiamo parlato a lungo: è stato un incontro molto interessante. Ho scoperto una persona con una grande umanità e una dolcezza che uno non si aspetta leggendo le sue cose.
  • Un film è una macchina estremamente complessa e faticosa. Il fumetto, invece, è libero. Sereno. Si è solo in due, lo sceneggiatore e il disegnatore. E se vuoi mostrare qualcosa di spettacolare, che al cinema sarebbe costosissimo, in un albo a fumetti non devi nemmeno preoccuparti del budget.
  • Me lo hanno chiesto molte volte, e non so mai cosa rispondere. Sono molte le cose che mi fanno paura e che mi creano angoscia. Se così non fosse, del resto, non avrei scelto di diventare un regista di film horror.

Intervista di Valentina D'Amico, Movieplayer.it, 8 maggio 2019.

  • Certi aspetti del mio cinema non li capisco neanche io. Sono istintivo, aspetto che l'ispirazione mi arrivi chissà da dove. Sto alla finestra e aspetto che i pensieri della gente arrivino a me per metterli nei film. Il pensiero è una cosa solida, rimane e continua a vagare nella città.
  • Il cinema di paura racconta storie che nascono dall'inconscio, paure intime. Oggi a interpretare al meglio il genere è l'Estremo Oriente. Sono stato più volte in Corea del Sud, molti registi hanno ammesso di essere stati influenzati dal mio cinema. Anche il cinema giapponese e quello messicano sono molto interessanti.
  • [Su Tony Musante] I litigi con lui erano continui, sul set non ci parlavamo più, ma Tony non è stato l'unico con cui ho avuto problemi. Anche con la protagonista di Opera, Cristina Marsillach, ho avuto un rapporto spaventoso. Siamo arrivati al punto che ci parlavamo solo tramite biglietti, oppure usavamo il mio aiuto regista come tramite anche quando ci trovavamo nella stessa stanza. Cristina era una persona molto capricciosa, bizzarra, era impossibile starle vicino.
  • Amo le innovazioni e apprezzo internet. È utile, interessante. Ma non ho un rapporto buono con i social. Non li uso, non mi va di raccontare il privato. Le mie esperienze e i miei pensieri li tengo dentro di me, in attesa che mi suggeriscano nuove storie.

Intervista di Arianna Finos su Rutger Hauer, Repubblica.it, 24 luglio 2019.

  • Era molto creativo, intelligente, inventava battute, scene, situazioni. Aveva chiarissima la visione generale del film. Avrebbe potuto fare lo sceneggiatore, il regista. Quando arrivava sul set tutti erano emozionati. Diceva: "Che pensi di questa idea? Ci ho lavorato stanotte, ti piace?" Aveva voluto un Van Helsing scienziato, più che avventuriero.
  • [Su Dracula 3D] Lo aspettavamo sul set, la sera. Non arrivava e chiamammo l’albergo: "È uscito stamattina". Ci allarmammo e dopo molte ore, mentre tutti lo cercavamo dappertutto, chiamammo i carabinieri. Finalmente accese il telefono "non so dove mi trovo". Lo localizzarono ed era in una specie di foresta dove aveva avuto un misterioso appuntamento con una signora e poi si era perso.
  • Amava mangiare e bere, in Piemonte mi portava sempre a mangiare in un ristorante giapponese. Soprattutto amava ridere ed era capace di battute folgoranti. I suoi racconti erano avvincenti, aveva avuto una vita avventurosissima, girato il mondo, lavorato con i registi più diversi, dai più intellettuali ai commerciali.

Intervista di Costanza Ciminelli, Mangialibri.com, novembre 2019.

  • Ho amato molto il cinema muto, in particolare La corazzata Potëmkin. [...] Considero il film di Ejzenštejn meraviglioso, sublime, un capolavoro ineguagliato della storia del cinema che, non a caso, ha ispirato tantissimi cineasti.
  • In Italia non ci sono più capitali per il cinema, si produrranno 60 film l’anno, di cui soltanto 6 o 7 decenti. I capitali si impiegano in fiction – che è una cosa incredibile e inverosimile, questa sì da far rizzare i capelli in testa – e non nel cinema. È, dunque, sempre più il modello televisivo a prendere piede e a condizionare il modo di concepire la regia, la sceneggiatura, i soggetti, la recitazione, per non parlare dei casting, oramai ci sono anche degli standard in fatto di fisiognomica filmica (facce tutte piuttosto simili, carucce, ma banali, senz’anima). Tutto all’insegna di un indegno livellamento, che si rivela la negazione della idea stessa di cinema. L’unica soluzione è girare in digitale, e solo in un secondo tempo pensare alla pellicola. Un’altra cosa importante è unirsi e dare vita a esperimenti di cooperativismo.
  • [Le critiche] a Suspiria sono state un massacro, qualcosa di talmente violento da indurre a cambiare lavoro: ricordo di aver ricevuto insulti personali molto pesanti ma anche di aver dovuto subire volgarità sulla mia famiglia. [...] Relativamente a Inferno le cose andarono ancora peggio: tanto che per qualche momento fui tentato di trasferirmi in un’altra nazione, cambiare professione o comunque cambiare genere. Non riuscivo a capacitarmi: era stato un lavoro molto pensato, ci avevo speso tempo, impegno, avevo studiato ogni cosa nei minimi particolari, documentandomi molto sull’alchimia su cui poggia il film.
  • Emblematica del mio rapporto con la censura, però, è stata l’uscita di Opera. In Italia ebbi una lite spaventosa con la Commissione censura. Tra liti e urla, il capo della commissione, un alto magistrato, non sapendo più come e cosa rispondere alle mie obiezioni, finì col chiamare i carabinieri. Venni allontanato dalle forze dell’ordine, come fossi un malfattore. Aver fatto Opera mi aveva tolto molta energia, ma il dopo mi ridusse a pezzi, caddi in depressione. La censura tagliò moltissimo il film, che, in Italia, venne ulteriormente accorciato di 20 minuti dalla compagnia di distribuzione che lo aveva acquistato (riuscii a carpire, con l’inganno, un’unica copia della versione originale al produttore Cecchi Gori dicendogli che l’avrei spedita per la distribuzione in Inghilterra, invece, me la sono tenuta). Per me la visione di ciò che restava risultò intollerabile, ero talmente abbattuto che partii da solo per un lunghissimo viaggio, pensando anche di non tornare più in Italia.

Intervista di Bruno Ployer, Tg24.sky.it, 7 settembre 2020.

  • Per me Freud è un maestro di vita: dopo Freud tutto è cambiato. Le sue scoperte sull’Io, sulla sessualità sono state rivoluzionarie.
  • [Su L'uccello dalle piume di cristallo] Ha dato il via a tanto cinema: molti registi americani, orientali, europei dicono che sono stati influenzati da quel film.
  • [Su Asia Argento] Lei è una attrice come gli altri, solamente che veniva sul set da quando era bambina, quindi conosceva molto bene il mio modo di fare il cinema, dunque per me era più facile parlare con lei. Era molto partecipativa e mi ha dato un grande aiuto nei momenti difficili, perché ci metteva la sua fantasia, la sua ribalderia. Asia è ribalda, ha un grande carattere. Era bello discutere dei film con lei.
  • Per me il Covid è una grande paura, perché è reale. Non è come le paure del profondo che racconto nei miei film. Quelle danno anche una certa gioia, ma il Covid no, non dà alcuna gioia: è terribile come le pestilenze che nel '400 e nel '500 distrussero mezza Europa. È una spaventosa pandemia che molta gente prende un po’ sottogamba. Vedi le feste con gente senza mascherina: si abbracciano, bevono insieme per strada, si toccano. È una pazzia perché questo Covid è molto grave e stiamo vedendo che i mesi trascorrono, ma il virus non passa. Spero in Dio.

Intervista di Francesco D'Errico, Panorama.it, 28 febbraio 2022.

  • [Su Occhiali neri] Nel 2001 ho scritto una sceneggiatura, l'ennesima storia di una donna, in questo caso una escort, che viene perseguitata da un serial killer. Però a differenza di altri miei film ho deciso di inserirvi un lato tenero, perché la protagonista incontrerà un bambino con cui stabilirà quasi un rapporto tra madre e figlio, che poi si capovolgerà. Credo di aver pensato al rapporto con mia figlia Asia, che è stata una delle esperienze più belle della mia vita.
  • La disabilità rende il protagonista più fragile, più esposto ai pericoli e alla malvagità, quindi deve combattere con ancora maggior vigore la propria battaglia per la sopravvivenza.
  • [«Qual è stato il suo rapporto con i critici?»] Pessimo fin dall'inizio della carriera, infatti qualche volta ho desiderato farli finire ammazzati come nei miei film. A parte gli scherzi, una volta mi arrabbiavo per le critiche negative, ora non mi importa più nulla.
  • Quando uscì Per un pugno di dollari facevo il critico cinematografico anch'io, per Paese Sera, e scrissi che era uno dei più bei film visti negli ultimi anni. Il direttore mi chiamò per dirmi che non potevo pubblicare quella recensione perché il giornale aveva un pubblico colto. Questo snobismo però adesso è finito.
  • A dire la verità a me Titane, che ha vinto la Palma d'oro a Cannes, non è neanche piaciuto, l'ho trovato banale e pieno di trovate gratuite. Molto meglio Parasite, quello sì un gran film, e La forma dell'acqua del mio amico Guillermo del Toro.
  • Sinceramente non sento di avere eredi, anche se molti si sono ispirati ai miei film.
  • [«Tra i suoi film, di quale va particolarmente orgiglioso?»] Suspiria, perché quando l'ho girato mi sono prefissato di non realizzare neanche due inquadrature uguali e, salvo piccole eccezioni, penso di esserci riuscito.

Intervista di Simon Abrams, Vulture.com, 23 giugno 2022.

  • [Su Vortex] Quando Gaspar mi fece visita a Roma per chiedermi se avrei voluto essere nel film, la mia risposta immediata fu "No". Non me la sentivo di fare l'attore. Ma ha trascorso tutta la giornata in casa mia. Non se n'è andato. E poi ha detto le parole magiche, che l'intero film sarebbe stato improvvisato. Quella parola in particolare, improvvisato, mi fece sobbalzare. Dopotutto, sono un figlio del neorealismo italiano, quindi sono in un certo senso abituato alla pratica dell'improvvisazione.
When Gaspar came to my house in Rome to ask me if I would be in the movie, my immediate answer was "No." I didn't feel like being an actor. But he spent the entire day at my house. He wouldn't leave. And then he said the magic words, that the entire film would be improvised. That word in particular, improvised, rang a bell. After all, I am a child of Italian neorealism, so I am sort of accustomed to the practice of improvisation.
  • Per quanto riguarda l'umorismo, m'ispiro ad Alfred Hitchcock, che ha molto umorismo nei suoi film. Mi piace quel tipo di umorismo britannico; è un genere di umorismo molto raffinato. Voglio che l'umorismo nei miei film sia così, un po' elegante. Non il genere di umorismo che si basa su una linea di dialogo buffa o una battuta qua e là.
In terms of humor, I'm inspired by Alfred Hitchcock, who has a lot of humor in his films. I like that kind of British humor; it's a very refined sort of humor. I want the humor in my movies to be like that, kind of classy. Not the kind of humor that is about a funny line or quip here and there.
  • Suspiria, a quanto pare, s'ispira a storie vere di streghe e altri libri e scritture. Inferno è molto più enigmatico; lascia tanto all'interpretazione.
Suspiria is inspired by supposedly true stories of witches, as well as other books and writing. Inferno is much more enigmatic; it leaves a lot up to interpretation.
  • Il terzo film, La terza madre, è un film molto violento perché le streghe in quel film sono più feroci e più numerose che nei film precedenti.
The third film, Mother of Tears, is a very violent film because the witches in that movie are more ferocious and more numerous than they were in the previous movies.
  • [Sulla scena finale di Phenomena] Fu l'ultima scena che girammo e, ripensandoci, fu piuttosto rischioso. Non so se lo sapete, ma gli scimpanzé sono incredibilmente forti. Ho perfino dovuto usare una controfigura per Jennifer in quella scena, perché lei e lo scimpanzé spesso non andavano d'accordo. Lo scimpanzé le afferrava il braccio e Jennifer urlava e si agitava. Anche lo scimpanzé si agitava un po', ma io ero ero fortunato. Parlavo con lo scimpanzé in italiano mentre stavo preparando la scena in cui lo scimpanzé doveva guardare attraverso le tende veneziane. Ho anche portato lo scimpanzé alla finestra con le tende veneziane e gli ho mostrato con le mani ciò che volevo facesse, e come doveva fare a pezzi le tende per poi semplicemente romperle. Lo scimpanzé mi guardò con aria molto seria. Quando abbiamo cominciato le riprese, lo posizionai e fece esattamente ciò che gli avevo mostrato. Compensò per il suo buon comportamento il giorno successivo. Stavamo girando una scena presso una foresta e lo scimpanzé fuggì. Era sparito nel nulla da tre giorni. Si dové chiamare la guardia forestale per rintracciarlo. Sapevano che alla fine lo scimpanzé avrebbe avuto fame e lo presero quando sbucò allo scoperto per mangiare.
That was the last scene we shot, which, in hindsight, was kind of risky. I don’t know if you know this, but chimpanzees are incredibly strong. I had to use a body double for that scene as well, for Jennifer, because she and the chimpanzee fought a lot. The chimp would grab her arm and Jennifer would scream and become very agitated. The chimp also became a little agitated, but I was lucky. I spoke to the chimpanzee in Italian when I was preparing for a scene where the chimp has to peer through Venetian blinds. I also brought the chimp to the window with the Venetian blinds and showed her, with my hands, what I wanted her to do, and how she was supposed to tear apart the Venetian blinds, and then just break them. The chimp looked at me very seriously. When we began the shoot, I put her in place and she did exactly what I had shown her. She made up for her good behavior the next day. We were shooting a scene near a forest and the chimp escaped. She was missing in action for three days. We had to call in the forest rangers to find her. They knew that the chimp would eventually get hungry, so they placed food around the forest and caught her when she came out to feed.

Intervista di Gianmarco Aimi, Rollingstone.it, 15 luglio 2022.

  • Veramente sta per finire il governo Draghi? [...] Ma come è possibile? È una delle poche persone di valore che abbiamo in Italia. Ha delle idee, è un grande economista, proprio quello che serviva per il nostro Paese. E pensa un po’, ora lo mandano via? E chi si prendono? Chi c’è come lui? Lo sostituiranno delle mezze cartucce...
  • L’arte ha sempre fatto il suo dovere. Se nelle grandi scelte non partecipa, è perché il gruppo dirigente che c’è in Italia oggi è molto più scarso del passato. Molti sono ignoranti, non conoscono l’arte, non sanno niente di niente. Conoscono solo quello che interessa alla loro combriccola.
  • È cambiata la critica, non sono cambiato io. C’è una nuova generazione al potere. Prima non si sarebbero mai immaginati di far vincere un festival a un film porno come La forma dell'acqua di Guillermo del Toro. O a Parasite del regista sudcoreano Bong Joon-ho. Certi film che un tempo venivano considerati di serie B ora sono sulla cresta dell’onda.
  • Se dieci persone vedono la stessa cosa, non è detto che tutte e dieci la ricordino nello stesso modo. Ognuno potrebbe dare la propria interpretazione. La memoria si confonde con quello che noi immaginiamo. Proprio come dice Carlo, interpretato da Gabriele Lavia, in Profondo rosso.

Intervista di Francesco Locane, Francescolocane.com, 22 settembre 2022.

  • Credo che, in maniera inconscia, un film che mi influenzò sotto questo aspetto fu La scala a chiocciola di Siodmak. Posso dire che mi influenzò perché era una delle prime volte che vedevo quel modo di guardare e di inseguire, in modo anche morboso, le persone. Mi influenzò un altro film, che era Il bacio della pantera. Anche lì c’erano inquadrature di tipo soggettivo che mi hanno colpito.
  • Pasolini divideva il cinema in cinema di prosa e di poesia. Il cinema di prosa è un cinema dove la macchina da presa non si vede mai, non si nota. Viene soltanto raccontata la vicenda, i personaggi… Nel cinema di poesia, invece, la macchina da presa interviene molto, lo stile è molto appariscente e visibile. Pasolini diceva di se stesso che faceva un cinema di prosa. Rimasi molto colpito da questo discorso, e quando cominciai a fare cinema capii che io, invece, stavo facendo un cinema di poesia.
  • Una delle soggettive che credo mi sia riuscita meglio si trova in Suspiria, quando a un certo punto c’è una soggettiva che attraversa tutta quanta la scuola, e corre per i corridoi, per le scale, entra nello spogliatoio delle ragazze... È un’inquadratura molto lunga, una lunghissima soggettiva. È lo spirito malvagio della casa che va, vede la pioggia... In questo senso apparentemente la soggettiva è dell’autore, ma in realtà è dello spirito malvagio che sta nel film.
  • Opera è il film iconoclasta della mia vita. È stato così disperato farlo che, finito, me ne sono andato in India, da solo, sentivo di dovermi purificare. Il film mi aveva molto prostrato, per molte ragioni: perché è un film nichilista, terribile, senza amore, senza nessun barlume di speranza, senza futuro, dove gli amici diventano nemici, un film veramente tremendo, dove nessuno riesce ad amare, nessuno. Durante la lavorazione del film, poi, morì mio papà, e questo portò ancora più cupezza nella mia visione. Finito il film mi prese una tristezza molto forte, non saprei se chiamarla depressione, e partii per Los Angeles, dove c’era la presentazione del film. Appena arrivato incontrai un mio amico americano che mi disse di avere visto Opera in cassetta. Io tremavo, avevo paura mi dicesse che faceva schifo, ero disperato per questo film, non riuscivo più a capirlo, mi aveva fatto talmente soffrire, era come se non fosse mio. Lui mi disse che gli era piaciuto moltissimo. Io mi sono messo a piangere, per la prima volta nella mia vita; a me non capita che uno mi faccia dei complimenti per un mio film e mi metta a piangere. Invece ero profondamente colpito dal film. Capii che avrei dovuto allontanarmi un po’ da questo mondo. Era l’epoca dell’AIDS, non c’era più amore, non c’erano più rapporti sessuali, tutti erano terrorizzati da questa cosa, le donne si erano mascolinizzate, tutti si erano induriti e incattiviti. Quindi da Los Angeles sono andato in India, ci sono stato un mese, e mi ha fatto molto bene.
  • In effetti Tenebre è la mia tesi sul giallo, sul cinema giallo, sulla letteratura gialla. È una specie di studio, di saggio, sulle possibilità del giallo, ma anche sui suoi trucchi e trabocchetti. In alcuni momenti, però, se ne frega del giallo, come peraltro hanno fatto alcuni grandi autori di romanzi gialli, che se ne sono fregati delle regole. In quel film io enuncio le regole e poi le contraddico, come del resto ha fatto Agatha Christie, per esempio. È un film dove mi sono fermato per fare una riflessione importante sul cinema giallo, sul cinema horror...
  • [Sulla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia] Il rapporto con la Mostra? Non è eccezionale. Mai invitato con nessun film. Lo hanno fatto a Cannes e in tutto il mondo, non nel festival del mio Paese. È una cosa che mi ha molto offeso, ancora oggi lo sono. Non glielo perdono.[12]

Intervista di Candida Morvillo, Corriere.it, 23 maggio 2023.

  • Ho fatto un lungo pensiero sul cinema horror in generale, dagli inizi a oggi. Sono partito dai primi film di Val Lewton, che era il responsabile del “reparto B” della Rko Pictures che produceva film da proiettare dopo quelli che oggi chiameremmo blockbuster. Quella “B” indicava film piccoli, semplici, ma non di seconda scelta. Lewton era geniale e fece una serie di horror bellissimi. Io li scoprii a Parigi. Mio padre mi ci aveva mandato sperando che studiassi, ma io passavo i pomeriggi alla Cinémathèque française. E quando diventai regista, dopo tre film più polizieschi, pensai che volevo tornare a quei momenti bellissimi passati a Parigi vedendo i film di Lewton.
  • Mamma era una fotografa famosa, specializzata in ritratti femminili. Il pomeriggio andavo a fare i compiti nel suo studio, potevo sbirciare donne meravigliose come Sophia Loren o Claudia Cardinale. Dopo, quando ho fatto cinema, è stato naturale ricordare il modo di mia madre di muovere e illuminare quei volti celestiali. E mi sembrò giusto raccontare di donne, ragazze, bambine, come la tredicenne di Phenomena o le ballerine di Suspiria.
  • Ho girato l’Europa in macchina cercando le streghe. Ho trovato qualche donna che si professava tale, parlava, parlava, ma non ho mai assistito a fenomeni inspiegabili.
  • Arrivati a Monaco per Suspiria, trovammo strade e chiese imbandierate di nero: era morto un cardinale, l’impressione fu forte. Poi, impazzirono gli orologi di molti di noi. Una notte, eravamo io, il direttore di produzione, il direttore della fotografia, tornavamo in albergo. Uno dei due nota una vetrina di Mercedes e dice: accompagnatemi a guardarla. Attraversiamo e sentiamo un boato: era una bomba, un attentato terroristico della Raf. Se fossimo rimasti dall’altro lato della strada, saremmo morti.
  • Una cosa che mi fa paura è l’idea di non vedere più le mie figlie.

Mostri & C.

modifica
  • Tratto dal serial televisivo «The Quatermass Experiment», questo film costituisce uno dei classici della fantascienza di ogni tempo, in cui si incontrano-scontrano singolarmente le cadenze del fanta-thriller come dell'orrore, del film «di ricerca» con incursioni para-filosofiche (che non guastano) sulla condizione dell'uomo nei confronti del mistero dell'Universo. (L'astronave atomica del dottor Quatermass, p. 30)
  • Film di superbo rigore, con una sceneggiatura «tagliata» alla perfezione e con Baker, il regista, al meglio della forma. (L'astronave degli esseri perduti, p. 31)
  • La storia stenta un po' ad acquisire la dovuta compattezza (forse nuoce in questo senso il compromesso con la struttura a episodi), ma Christopher Lee possiede sempre il necessario carisma interpretativo. (La casa che grondava sangue, p. 50)
  • Pupi Avati ha costruito un horror «semi-naif», con le atmosfere grasse e sanguigne della campagna padana, inserendovi un «plot» zeppo di intricati contraccolpi narrativi. (La casa dalle finestre che ridono, p. 51)
  • Freddie Francis, specialista del genere, ci regala un «classico» dell'horror letto in chiave straniata e metafisica, ancora oggi «gemma» da non perdere per i veri appassionati. (Le cinque chiavi del terrore, p. 62)
  • Ulteriore versione del famoso romanzo di Bram Stocker. [...] Buona la ricostruzione ambientale, che segue a puntino i dettagli del romanzo originale. (Il conte Dracula, pp. 69-70)
  • Personalmente, posso dire di non aver mai assistito ad una pellicola di fantaorrore dove la cura e la dovizia poste nel trattamento e nella resa spettacolare degli effetti speciali stessi risalti in così grande e poderosa evidenza. (La cosa, p. 71)
  • Film prodotto in Inghilterra per la televisione USA, «Il Demone Nero» ripercorre i punti salienti del celebre romanzo «Dracula» di Bram Stocker: la leggenda del famoso vampiro viene qui riproposta fornendo al protagonista la maschera intensa di Palance (che si rifà recitativamente al grande predecessore Bela Lugosi), e ricorrendo alla regìa esperta di Curtis, specialista del genere orrorifico, cui ha legato le sue più rilevanti fortune. [...] In special modo nella prima parte, il film segue fedelmente le tracce del romanzo ispiratore. (Il demone nero, p. 78)
  • Un film che è servito da testo per tutta la produzione successiva, soprattutto in tema americano o anglosassone: la raffinatezza e la cultura europea che emergono al contrario da «Vampyr» o «Nosferatu» conducono il discorso su coordinate completamente diverse, e cioè verso lo spettacolo, l'effetto e l'horror sbalorditivo. (Dracula, p. 97)
  • Un Dracula «moderno» trattato senza i rigidi e ferrei presupposti moraleggianti d'una volta, col giustiziere che «fa cilecca» ed un finalino ironico. (Dracula, p. 97)
  • In un assommarsi di espedienti emozionali, Fisher tende a creare un «schema» che esalta, e dilata, il meccanismo ipnotico nei confronti dello spettatore, con una bravura ed una spettacolarità tutta volta a produrre effetti di suspense, orrido e morboso. (Dracula il vampiro, p. 99)
  • Un film nel quale è difficile trovare sbavature. (La furia dei Baskerville, p. 134)
  • «Godzilla» è tra i primi films di fantascienza giapponesi di una certa levatura internazionale, se non altro per la buona regia (Inoshiro Honda è il «maestro» nipponico di questo filone) e per gli effetti speciali, più che dignitosi per l'epoca. (Godzilla, p. 143)
  • Rispetto al celebre «modello», questo film non presenta neanche il pregio degli effetti speciali, che qui appaiono maggiormente approssimativi, oltre che sicuramente inferiori a quelli dei prodotti più riusciti del genere. Ci sono addirittura momenti in cui, invece di provocare il classico «terrore in platea», corre il rischio di scatenare nello spettatore una sorta di ilarità (ma attenzione: che non si tratti di voluta ironia e demistificazione?), soprattutto se si osservano attentamente le scene di lotta del buon lucertolone con gli extraterrestri, che ricordano più un film di «kung-fu» che un vero e proprio prodotto fantascientifico. (Godzilla contro i giganti, p. 144)
  • In definitiva, si può affermare che questo film è privo ormai dell'originalità dei primi periodi, tanto da far quasi rimpiangere il Godzilla «mostro crudele» degli inizi. (Godzilla contro i robot, p. 144)
  • Al di là del valore (molto relativo) della storia, risultano apprezzabili la fotografia e la regia del veterano Inoshiro Honda. (L'invasione degli astromostri, p. 161)
  • Baker ha realizzato una pellicola equilibrata e spettacolare, che non manca di avvincere lo spettatore. (La leggenda dei 7 vampiri d'oro, p. 178)
  • Si può dire che con questa pellicola, datata 1956, nasca la tradizione dell'horror britannico; già vi sono presenti tre personaggi che ritroveremo spesso in qualità di inevitabili punti di riferimento per la produzione a venire: il regista Terence Fisher ed i due interpreti Cushing e Lee. (La maschera di Frankenstein, p. 197)
  • Un tentativo di contrapporre le tematiche dell'horror classico all'atmosfera della Londra post-beat, con i suoi giovani a volte un po' sfasati. (1972: Dracula colpisce ancora!, p. 204)
  • Hooper tira dritto allo scopo prefissosi: serie continue di agghiaccianti effetti che aggrediscono allo stomaco lo spettatore, e ritmo molto sostenuto. (Non aprite quella porta, p. 232)
  • Il film [...] è un grandioso «arazzo» orrorifico realizzato con un talento visionario senza (o quasi) precedenti: prodigo di immagini inquietanti (la carrozza senza cocchiere che porta Hutter al castello, la nave deserta col suo carico mortale che giunge al porto, Nosferatu che esce di scatto dalla bara illuminando l'oscurità col suo profilo di rapace cadaverico, etc.), può degnamente considerarsi il «manifesto» ideale, vetta quasi insuperata, di tutto un genere cinematografico. (Nosferatu il vampiro, p. 236)
  • I quasi sessant'anni di differenza tra questo remake e l'originale non intaccano affatto la magia intramontabile del film di Murnau, ma rendono merito anche al prodotto di Herzog, stupefacente quanto a cromatismo d'insieme, effeti speciali, impatto scenico (l'orda nauseabonda dei topi resa policromicamente è un «gioiello» da incastonare nelle antologie del cinema). Superbo Klaus Kinski, con la sua maschera esangue e tagliente, nel ruolo di Nosferatu. (Nosferatu, il principe della notte, pp. 236-237)
  • Buona cura nella regìa; dovizia di mezzi, ma troppi debiti di ispirazione con modelli quali «Lo Sqaulo» (per non risalire addirittura a «Moby Dick»). (L'orca assassina, p. 247)
  • Zeppo di scene memorabili e mozzafiato, e di una soluzione finale sbalorditiva, si avvale della sceneggiatura di ferro di Robert Bloch e della consueta, incredibile maestrìa di Hitchcock nel dirigere gli attori. (Psyco, p. 266)
  • Il personaggio del dottor Quatermass è ben nota agli appassionati del cinema di fantascienza: oltre che in due pellicole qui presenti, «L'Astronave atomica del dottor Quatermass» e «L'Astronave degli esseri perduti», la figura di Quatermass conobbe vasta popolarità tramite i «serials» televisivi della BBC, dal 1953 in poi; naturalmente, più di un attore si è avvicendato, tra cinema e televisione, nel rulo principale in quasi un quarto di secolo. (p. 267)
  • Freddie Francis si distacca nettamente dalle raffinatezze intellettuali con cui Fisher aveva affrontato l'argomento in precedenza, tornando ad una «confezione» che punta grosso sullo spettacolare, e sulle citazioni dai films Universal. (La rivolta di Frankenstein, p. 278)
  • Come già in «Godzilla» (che però allora era solo, a battersi contro l'umanità), i difensori del nostro pianeta finiscono col prevalere dopo sanguinose battaglie e catastrofi in serie. Continuava, da parte della cinematografia giapponese, attraverso la creazione/distruzione di questi mostri sulla celluloide, l'espressione di un intero «inconscio collettivo», che era poi quello dell'intero popolo nipponico: la tremenda paura di una nuova, distruttrice esplosione nucleare. (Rodan, il mostro alato, p. 280)
  • Una delle migliori prove di Polanski, per un film che ha fatto già epoca, quale precursore di tutto il «filone» sul satanismo, la possessione diabolica, l'esorcismo, etc. Al di là, poi, dei meriti «storici», «Rosemary's Baby» si impone per il raggelante rigore espressivo e le atmosfere ricamate sul nulla, sospese come una spada di Damocle sull'ansiosa attesa dello spettatore. La maschera scavata e sofferta di Mia Farrow sembra plasmata apposta per il ruolo principale. (Rosemary's Baby - Nastro rosso a New York, p. 280)
  • Pregevole horror britannico con protaginisti (e regista) lungamente rodati nel genere. (Il terrore viene dalla pioggia, p. 314)
  • Un Vincent Price «formato-esportazione», non certo all'altezza delle sue entusiasmanti performances britanniche; ma si eleva pur sempre di una buona spanna su tutti. (L'ultimo uomo della Terra, p. 323)
  • Altro ottimo fantascientifico inglese tratto dalla serial televisivo «Quatermass». (I vampiri dello spazio, pp. 334-335)
  • Una delle prove più potenti e prestigiose di Terence Fisher. (La vendetta di Frankenstein, p. 340)

Dario Argento. Confessioni di un maestro dell'horror

modifica
  • [Su L'uccello dalle piume di cristallo] Prima di iniziare le riprese il film fu proposto anche al regista inglese Terence Young, il quale rifiutò. Quando lo incontrai anni dopo gli chiesi di questo episodio, ma lui non ricordava nulla... però aggiunse di essere un ammiratore dei miei film. (p. 50)
  • [Su L'uccello dalle piume di cristallo] Credo che Lombardo si aspettasse un film diverso. Truce, un po' volgarotto, che avesse un buon successo di pubblico e che si vendesse bene all'estero. Non credeva assolutamente che avrei fatto un film interessante, al punto tale da lasciare un segno nel cinema italiano — a detta di alcuni — di dare il via a una sorta di movimento cinematografico tout court in campo internazionale. (p. 51)
  • [Su 4 mosche di velluto grigio] Con questo film volevo raccontare la storia di una coppia. Un marito e una moglie che vivono sotto lo stesso tetto ma che non sanno nulla l'uno dell'altro... ognuno di loro può avere segreti inconfessabili, tremendi. (p. 68)
  • [Su 4 mosche di velluto grigio] In questo film c'è sicuramente qualcosa di autobiografico, ma l'ho talmente esasperato che si perde nella narrazione. Del resto in tutti i film che faccio metto sempre un po' di me stesso, ma questo qualcosa si perde. (p. 68)
  • Mi piace la festosità degli omosessuali. Purtroppo oggi, con tutte le malattie che ci sono, non ve n'è più una traccia. Una volta c'era più allegria, più orgoglio... oggi c'è solo paura. (p. 70)
  • [Su 4 mosche di velluto grigio] Mi ha divertito molto inserire il personaggio di un detective omosessuale. Ho voluto scardinare la mitologia "chandleriana" e cinematografica del private eye. Una figura che abbiamo sempre visto come un duro omaccione che mena pesante, che lancia l'auto a tutta velocità, che si ingozza di alcolici, che si scopa tutte le donne che gli capitano sulla strada. Io ho voluto creare l'esatto contrario. (p. 71)
  • [Su Profondo rosso] Inizialmente il protagonista doveva essere Lino Capolicchio, che avevo conosciuto sul set di Metti una sera a cena di Patroni Griffi. Purtroppo non si è fatto nulla perché si era ferito in seguito a un incidente d'auto. Hemmings era perfetto nella parte dello straniero a Roma. Rendeva veramente bene l'idea di musicista inglese simpatico, moderno, intelligente. (p. 91)
  • Torino è una città affascinante, piena di sette sataniche e riti esoterici. Si dice che sia una porta infernale, ma anche il punto del famoso "triangolo magico" — insieme a Praga e Lione — di cui parlava Fulcanelli. (p. 94)
  • [Su Clara Calamai in Profondo rosso] Il suo personaggio è quello di un'attrice ormai ritiratasi dal cinema. Una vecchia diva, come tante altre colleghe della sua generazione, alle quali gli uomini che avevano sposato impedivano di continuare una professione considerata frivola o fatua. Allora ho pensato di scegliere una vera ex attrice che davvero aveva smesso di fare quel mestiere... un po' per ragioni personali, un po' per vecchiaia e un po' perché superata dalle mode. Mi attirava il fatto che tutte queste dive anziane fossero amareggiate e che povassero risentimento verso quel mondo che prima le aveva rese belle e brave e poi le aveva dimenticate. Siccome ero dispiaciuto per tutto questo, ho voluto in qualche modo mostrare l'amarezza di queste brave professioniste. (p. 94)
  • [Su Clara Calamai in Profondo rosso] Prima della Calamai ho cercato altre attrici, note e meno note, fra cui Olga Villi... Poi, a un certo punto, mi sono chiesto che fine avesse fatto Clara Calamai. La Calamai, oltre essere la più affascinante, era anche la più vigorosa. Aveva una vitalità incredibile, un bellissimo fisico. Dopo il film abbiamo mantenuto un bel rapporto di amicizia. (pp. 94-95)
  • [Su Phenomena] Desideravo raccontare una storia dove ci fosse il rispetto per gli insetti. Tutti rispettano i mammiferi, ma di questi piccoli animali a nessuno gliene frega. Volevo dimostrare l'intelligenza e le straordinarie facoltà — superiori a quelle dell'uomo — di questi piccoli esserini che il cinema ha spesso raffigurato come mostri che mordono e assalgono le persone. Una volta sentii allo zoo un bambino che diceva alla madre: "Il leone è cattivo". La madre, giustamente, gli rispose: "Il leone non è cattivo, è feroce". Gli animali dimostrano l'aggressività quando sono molestati. È la loro natura... non sono cattivi. Gli uomini sono cattivi. (p. 156)
  • [Su Phenomena] Volevo che Jennifer Connelly interpretasse la figlia di Al Pacino... e per renderlo più evidente, avrei inserito anche fotografie e filmati di lui. Purtoppo, tramite il suo agente, Pacino mi fece sapere che non avrebbe accettato. Non voleva soldi, ma non gradiva che si raccontasse la storia di una figlia che non ha neppure. (pp. 156-157)
  • [Su Phenomena] Per la scena in cui Jennifer segue la mosca sarcofaga, mi sono ricordato di qualcuno che da bambino aveva ideato — per fare scherzi a scuola — un guinzaglietto di sottilissimo filo di nylon applicabile sul corpo di vespe e mosconi... senza assolutamente intaccare le ali degli insetti. (p. 158)
  • [Su Phenomena] Non volevo peccare di insensibilità e tanto meno sostenere concetti odiosi. Volevo raccontare la deformità dell'anima e non quella fisica. Mrs Bruckner era una donna cattiva perché aveva tenuto quella povera creatura di suo figlio non solo segregata in casa, ma anche incatenata al muro. La pazza è lei. Per questo ho deciso di lasciare a lei la fine peggiore, mentre il bambino si disperde semplicemente tra le acque del laghetto. (p. 160)
  • [Su Phenomena] Inga e Jennifer sono molto simili perché abbandonate a se stesse. Sono due anime solitarie che si sono battute per la vita. Nel momento in cui se ne rendono conto si abbracciano teneramente. (p. 160)

Citazioni su Dario Argento

modifica
  • A ogni nuovo film questo Argento mi entusiasma e mi irrita. Gira come un americano bravo, ma con la malizia europea che laggiù non possiedono. (Tullio Kezich)
  • Come giapponese magari potrà sembrare strano, ma ho visto tonnellate di film italiani, da Fellini a De Sica fino agli Spaghetti Western, così come ho letto molti libri italiani che mi hanno influenzato. Ma Dario Argento è quello che più mi ha segnato, sono un suo grande fan. I miei genitori non volevano che guardassi i suoi film perché troppo spaventosi ma a me non importava, li guardavo lo stesso. (Hideo Kojima)
  • Da ragazzina ero ossessionata dall'idea di non essere normale, ma quando ho visto le immagini dei film di Dario Argento ho sentito che mi veniva concessa la possibilità di stare al mondo. Sono numerosi i suoi sostenitori che, come me, dopo aver visto i suoi film hanno addirittura rinunciato all'idea di suicidarsi. (Banana Yoshimoto)
  • È assurdo che dopo tanti film di Mario Bava, Antonio Margariti, Lucio Fulci e Dario Argento solo quest'ultimo sia rimasto a fare questo tipo di cinema. Dove è andato il vostro cinema dell'orrore dopo quella generazione? (Joe Dante)
  • Io devo tutto a Dario. Nasco con lui proprio grazie a Phenomena, dove mi è stata data la prima opportunità davvero importante. Ero ancora un ragazzo che stava iniziando, ma per quanto mi riguarda credo d’aver raccolto la sfida mettendocela veramente tutta. Da allora, la fiducia che mi ha accordato Dario non si è mai più interrotta. (Sergio Stivaletti)
  • La prima volta che ci incontrammo Dario mi guardò e si mise a urlare. Si era convinto che io avessi gli occhi blu, ma in realtà li ho grigi e – considerata la sua attenzione maniacale per i dettagli – questo l'aveva mandato in crisi. Superato il primo momento, andò tutto a gonfie vele. (Michael Brandon)
  • Ma perchè non si fa scrivere, una volta tanto, un bel copione? Anche Verdi, che era un genio, aveva bisogno del librettista. (Tullio Kezich)
  • Mio padre è coraggioso proprio perché ingigantisce le sue paure per cancellarle. (Asia Argento)
  • Un autore molto particolare con una capacità unica di entrare nell’animo umano più profondo e tirare fuori sensazioni nascoste di paura, ansia, terrore. Utilizzando i mezzi a disposizione del regista: gli attori, le scenografie, il montaggio, la musica. (Stefania Casini)
  • Vedere i film di Dario Argento è bello come riascoltare (con qualche variante) una favola nera ben nota: sapendo già quando si avrà paura, quando illusoriamente si proverà il sollievo che l'incubo sia finito, quando si sussulterà perché tutto ricomincia, cosa significhino certi segni (la pioggia, la notte, l'agitarsi al vento dei rami degli alberi, l'apparizione di gechi o farfalle, il balenare dell'arma luccicante). Come nelle favole, la consapevolezza non riduce affatto l'emozione. È anzi un piacere che, mentre l'horror americano ha preso strade nuove (la macelleria insignificante, l'ironia o l'umorismo, il misticismo alto, lo pseudorealismo sociologico), Argento sèguiti a percorrere i familiari sentieri della psicoanalisi freudiana, delle parascienze esoteriche, dello spavento puro. (Lietta Tornabuoni)
  • Venerava l'altare di Hitchcock e insisteva che io interpretassi un sicario che viene ucciso immediatamente nel suo film. Mi è piaciuto molto Dario Argento, un tipo strano che amava usare le mani per dirigere. (Reggie Nalder)
  • La "scuola" di Argento è la scuola del cinema popolare italiano, in particolare del western. La bellezza dell'omicidio ha esordito al cinema nelle finte praterie calcate dai cowboy nostrani. Senza quel retroterra Dario Argento non avrebbe potuto costruire le perfette architetture dei delitti di Quattro mosche di velluto grigio o di Tenebre. La cinepresa di Leone diventava una colt che sparava proiettili micidiali sui toraci e sulle facce dei banditi del west, la cinepresa di Argento diventa un coltello, che sfreccia con crudeltà sui ventri, sulle braccia, sui corpi delle vittime. In Leone e in Argento c'è la stessa "concretezza" della morte.
  • Mentre i folli assassini dei suoi film fanno luccicare coltelli e rasoi prima di abbatterli sulle vittime più impaurite, Argento spia con la sua macchina da presa. Rende l'occhio dell'assassino il suo occhio (e quindi, nei cinematografi, l'occhio dello spettatore), immedesima se stesso e il pubblico nello squartatore, non più nella vittima come faceva il cinema americano dell'orrore. Più che "soggettive" dalla parte delle vittime, Argento predilige soggettive dalla parte del boia: il masochismo tipico del film dell'orrore (sentirsi martoriare e uccidere) si trasforma in sadismo (ammazzare, colpire in prima persona).
  • Purtroppo anch’io considero privi di innovazione gli ultimi lavori del regista. Rimane una pietra miliare del passato, ma non del presente. Ho una mia opinione, con tutto l’affetto che porto a Dario Argento, con me sempre cortese e amichevole: al contrario di altri registi anche italiani, Argento subisce le conseguenze di un eccessivo individualismo, non è stato in grado, o meglio non ha voluto creare una “factory” intorno a sé. Si è circondato sempre più di laudatores che gridavano al capolavoro di fronte a ogni sua regia, rendendogli difficile percepire la realtà. Si è rinchiuso nel suo personaggio creato nel corso degli anni e nei successi di un tempo, sempre meno permeabile alle novità esterne (al punto di circoscrivere in famiglia, con Asia, la scelta dei protagonisti principali delle sue pellicole). Eppure i suoi capolavori erano proprio caratterizzati dall’innovazione, dalla trasgressione.
  • Se c'è una peculiarità di Argento rispetto a tanti registi del terrore d'oltre oceano, questa risiede proprio nella passione estetica per l'assassinio. Quando si uccide, nei film di Argento, la macchina da presa si scatena, si muove selvaggiamente, segue tutte le fasi del delitto con compiacimento e quasi con gioia. Gli schizzi di sangue sono nettare per le raffinate cineprese che Argento utilizza per i suoi film.
  • A Dario riconosco il merito di avere rilanciato la mia carriera con Zombi. Dopo La notte dei morti viventi mi ero opposto in modo irremovibile all'idea di girare un altro film di Zombi.
  • Io dico sempre che anche i miei zombi sono un po' commedia. L'ho detto anche a Dario, ma lui finisce col togliere sempre l'elemento di humour!
  • Penso che sia uno dei giganti del cinema e che alcune delle cose che ha fatto siano dei capolavori: Suspiria, ma anche i film precedenti sono fantastici. Abbiamo perfino girato un film insieme ma purtroppo non ci siamo mai trovati sullo stesso set. Decisamente è uno dei grandi maestri.
  1. Citato in "Faccio ancora 1 miliardo e poi mi ritiro su un'isola deserta", intervista di Piero Perona, La Stampa, 21 luglio 1971.
  2. Citato in Tanti "Demoni" prodotti da Dario Argento, La Repubblica, 13 settembre 1985.
  3. Citato in Un'opera rosso sangue, intervista di Michele Anselmi su Opera, L'Unità, 8 dicembre 1987.
  4. Citato in Macbeth con corvi firmato Argento, La Stampa, 8 dicembre 1987.
  5. Citato in C'è anche l'orrore sotto l'albero. Esce a Natale "Opera" di Argento, La Repubblica, 10 dicembre 1987.
  6. a b Citato in Argento. "Lasciatemi svenire", La Stampa, 6 agosto 1995.
  7. Dall'intervista di Gabrielle Lucantonio, Dario Argento, la televisione si tinge di nero, Il Manifesto, 20 luglio 2005.
  8. Citato in Dario Argento: Vi farò paura con mia figlia Asia, Repubblica.it, 3 luglio 2009
  9. Citato in Dracula 3D: Incontro con Dario Argento, Asia Argento e Marta Gastini, Comingsoon.it, 21 novembre 2012.
  10. a b Citato in Profondo Rosso, Dario Argento: "Una storia bellissima scritta in pochi giorni tutta d'un fiato", Davide Turrini Ilfattoquotidiano.it, 7 marzo 2015.
  11. Citato in Marco Lodoli, Dario Argento: non abbiate paura della paura, il Venerdì di Repubblica, 2 marzo 2018.
  12. Intervista di Arianna Finos, Argento: “A Venezia mai un mio film. I coreani invece mi amano. Le mie figlie Asia e Fiore? Per loro sono stato padre e madre” , Repubblica.it, 23 agosto 2023.

Filmografia

modifica

Regista

modifica

Sceneggiatura

modifica

Soggetto

modifica

Produttore

modifica

Bibliografia

modifica
  • Dario Argento, Mostri & C. Enciclopedia illustrata del cinema Horror e di Fantascienza, Grandi Manuali Anthropos, 1982
  • Fabio Maiello, Dario Argento. Confessioni di un maestro dell'horror, Alarán Edizioni s.r.l., ISBN 978-88-89603-75-8

Voci correlate

modifica

Altri progetti

modifica