Tullio Kezich

critico cinematografico, commediografo e sceneggiatore italiano (1928-2009)

Tullio Kezich (1928 – 2009), critico cinematografico, sceneggiatore e attore italiano.

Tullio Kezich nel film Il posto (1961)

Citazioni di Tullio Kezich

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  • offre due letture: la prima è quella riservata a un clan di amici e conoscitori, in grado di cogliere ai vari livelli i riferimenti multibiografici, di decifrare divertendosi le chiavi del racconto. [...] La seconda lettura di è quella che interessa il comune spettatore e bisogna dire che il film regge bene. L'ambiente e la sua fauna, evocati con rapidi tratti da grande umorista, hanno un'importanza secondaria di fronte al cuore del problema, cioè la domanda fondamentale: la ragione della nostra presenza nel mondo.[1]
  • [Su Appassionata] Appiccicati l'uno all'altro da un opaco tessuto narrativo, spiccano alcuni pezzi forti di erotismo commerciale [...] un sogno morboso che sfiora la situazione di bestialità, ringhiosi amori fra la bionda e un cane lupo; il babbo che strappa gli abiti alla figliola [...] scena ripetuta due volte in un clima sempre più accentuato di tentazione incestuosa.[2]
  • Ciò che affascina in "Entrapment" è la delicatezza con cui si descrive la senilità di un eroe, capace di accettare con la femmina un continuo scambio di ruoli restando fedele ai propri codici di comportamento: "L'esperienza prima della confidenza".[3]
  • [Su La messa è finita] Critico implacabile degli aspetti cannibaleschi e fessacchiotti del '68, Moretti ne è uno dei pochi eredi nella voglia nevrotica, candida e assoluta di cambiare il mondo. Un moralista neoromantico. Nel suo nuovo film Moretti ha ancora meno voglia di ridere che in Bianca: le situazioni che si sgranano sullo schermo, sempre brevi e talvolta fulminanti, solo raramente meno incisive del necessario, sono connotate da una blanda ironia.[4]
  • [Su Sette anime] Dopo l'anteprima, una voce amica molto autorevole mi aveva avvertito da Hollywood: «Mai visto un film più sbagliato...». Ma non tutti la pensano così. Certo siamo di fronte a un dramma che divide gli spettatori, come ha scritto Todd McCarthy su Variety: o ci stai, o no. Infatti le critiche sono nettamente spartite, con prevalenza di consenzienti; e i pareri del pubblico su Internet sono entusiastici. Da che parte schierarsi? [...] Will Smith è un attore formidabile e lo conferma anche qui finché non ti stanchi, dopo quasi due ore, di scrutare sul suo volto l'interno affanno. La regia di Muccino è scattante, brillante, attenta ai particolari; e il testo di Grant Nieporte parte in modo davvero originale. Ma è ben noto che i paradossi a pensarci su finiscono per convincere sempre meno. Qualcuno ha scritto che dopo La ricerca della felicità Smith & Muccino hanno voluto fare La ricerca dell'infelicità. Se è vero, come sosteneva Strehler, che bisogna essere maestri di se stessi, interprete e regista si sono rivelati cattivi maestri. Dal loro successo in comune non hanno imparato granché. L'ambizione si è intorbidata, la freschezza si è dissolta nell'intellettualismo, il messaggio si è fatto confuso.[5]
  • E poi, doveva succedere, il film ormai pronto diventò una cosa di tutti. Deflagrò come una bomba nel febbraio '60 e il giorno dopo qualcuno si accorse che l'Italia non era più la stessa. Certo non l'aveva cambiata La dolce vita, ma ne era stato l'annuncio vistoso: il segnale di un decennio di mutazioni che si sarebbero succedute a rotta di collo. Sbarcati dalla gran nave felliniana, a noi girava un po' la testa; e così, nel rimpianto di quelle notti luminose e illuminanti, ci preparammo ad annoiare i nipotini raccontando: io c'ero...[6]
  • [Su Regalo di Natale] È un film ben fatto, benissimo recitato (straordinario il recupero di Abatantuono) e godibile: ma a ripensarci lascia la sensazione di una macchina da spettacolo in cui non tutti i pezzi sono al loro posto. A cominciare dal disegno del misterioso antagonista (un incisivo Carlo Delle Piane, premiato a Venezia come miglior attore) che nel corso della partita si è rivelato troppo emotivo per essere un "gambler" di professione: se sta tirando un colpo al vero "pollo" della serata, in combutta con un Giuda del poker, perché gli offre a un certo punto il "regalo di Natale" di andarsene senza regolare il debito? Quando Hollywood comprerà i diritti di questo film per rifarlo con cinque stars da mercato planetario (ne varrebbe la pena), al nuovo sceneggiatore toccherà l'incarico di rimettere a fuoco parecchie cosette con quella tecnica da orologiai della drammaturgia che da noi anche i più bravi cineasti non padroneggiano fino in fondo.[7]
  • "Entrapment" fa di Bond un vecchio eroe alla Svevo. Ma che "hommage à Sean Connery", ho sentito mugugnare sulla "Croisette": questa presentazione in pompa magna di "Entrapment" fuori concorso è piuttosto un omaggio del Festival al cinema commerciale.[3]
  • Fabbricare un intero film su 240 prediche e 500 lettere di un grande pensatore gesuita seicentesco, Antonio Viaria, sembra un'impresa folle. Però in Parole e Utopia, optando per una messinscena poverista vicino a Rossellini, De Oliveira riesce a far parlare il passato con la voce del presente. [...] Lo stile di De Oliveira sulle prime può sorprendere o spazientire, ma sulla lunghezza incanta: e per tanto cinema sciatto e invertebrato suona come un "richiamo all'ordine".[8]
  • [Su Il raggio verde] Il regista contrappone il rigore delle immagini, nitide e scandite, alla libertà di un "cinema della chiacchiera": dove il ritratto principale, insieme con i ritrattini prevalentemente femminili che lo circondano, emerge da un flusso di parole articolare in frasi spezzate, ripetizioni e puntini di sospensione. Come nella vita. Altre volte Rohmer ha fatto dei film più scritti, vere e proprie commedie strutturate con abilità settecentesca: qui ha scelto, viceversa, il racconto in presa diretta, il rischio della parziale riproduzione della realtà. Il risultato è che scatta, soprattutto nel pubblico giovane, la molla dell'identificazione [...]. In tal modo un maturo artista verso i settanta, qual è Rohmer, trova il modo di confermare che nella vita non c'è salvezza fuori dalla "scommessa" di Pascal menzionata in altri suoi film: bisogna scommettere che il miracolo, figlio del caso, può sempre accadere.[9]
  • La mondina in calzoncini, interpretata da Silvana Mangano, divenne un'icona del cinema italiano e anticipò il fenomeno delle maggiorate degli anni Cinquanta.[10]
  • [Su Operazione Valchiria] Fu così che Stauffenberg si trasformò in un aspirante chirurgo della storia: come Bruto, Bresci e gli altri che nei secoli hanno tentato di modificare a mano armata i destini della patria. Sotto tale profilo, fallita la vasta congiura che riuscendo avrebbe risparmiato al mondo ulteriori milioni di vittime, Claus fu atrocemente denigrato. Perfino il New York Times, nel dare la notizia, lo chiamò «the assassin»: bella gratitudine da parte americana, non c'è che dire.[11]
  • [Su Scoprendo Forrester] La vicenda procede su tempi stiracchiati: si capisce subito che lo scrittore imboscato è l'ennesima reincarnazione del burbero benefico e ci sarebbe perfino da sospettare una sottintesa implicazione omosessuale se il divo britannico non fosse l'epitome della virilità. In ogni modo, anche in un film convincente sino a metà, Connery è sempre Connery. Ovvero un attore che ogni volta riesce a illuderti di avere incontrato un essere umano.[12]
  • Nel film [Café Express] convergono, con risultati quasi sempre efficaci, la vena neorealistica di un regista memore di De Sica-Zavattini (il modo di vedere i ricchi è ancora quello di Miracolo a Milano, il finale su padre e figlio ricorda Ladri di biciclette) e la grande tradizione del teatro dialettale napoletano. Abbiamo fatto il nome di Eduardo perché in questo film Nino Manfredi si conferma come l'attore italiano che ne ha meglio assimilato la lezione: qui, per esempio, assomiglia all'Eduardo di trent'anni fa più dello stesso Eduardo ascetico ed essenziale di oggi. Del suo modello Manfredi riproduce genialmente le coloriture, i tempi, le ironie, gli scandagli emotivi da racconto russo; e alla vena pirandelliana di Eduardo rimanda anche il discorso su verità e finzione che nasce intorno al braccio di legno. Staccandosi dalla matrice di un film inventato sulla realtà, Manfredi scivola in leggerezze verso un gran teatro: infatti recita come se avesse lo spettatore davanti e potesse sfruttarne le reazioni, adattandosi al suo respiro e strapparne l'immediato consenso...[13]
  • [Su Scent of a Woman - Profumo di donna] Nel rifacimento americano Al Pacino è accompagnato da un giovane studente, Chris O'Donnell, che sembra uscito da "L'attimo fuggente", e le peripezie della coppia sono molto più spettacolari e incredibili, inclusa una scorribanda in una Ferrari pilotata dal cieco.[14]
  • [Su Le monache di Sant'Arcangelo] Più che alla sceneggiatura di libretto d'opera o alla recitazione tipo cappa e spada, il film si raccomanda per l'insolita dignità della confezione...[15]
  • «Salvatore Giuliano» è il capolavoro di un grande regista [Francesco Rosi] che anziché limitarsi a rappresentarla è riuscito a trasferire sullo schermo una verità non solo cronachistica o giudiziaria. Il momento alto fu la ricostruzione della strage di Portella, nei luoghi veri e con gli autentici abitanti dei paesi coinvolti come in uno psicodramma. Solo il cinema permette di fare esperienze di questo genere.[10]
  • [Su Il prezzo di Hollywood] Qui ahimè siamo molto lontani da un risultato di eccellenza: il film è disadorno, piatto e claustrofobico. E quanto agli interpreti l'emergente Spacey (l'inquietante assassino seriale di Seven) ringhia dall'inizio alla fine, per fortuna con il timbro incantatore di Giancarlo Giannini; e vien da pensare che se il nostro finissimo attore avesse potuto dargli anche il volto, il rozzo personaggio ne avrebbe guadagnato in trasparenze. Degli altri protagonisti, il giovanotto Whaley è una specie di Tim Robbins dei poveri e la ragazza Forbes non riesce a sollevare le sorti del "cast". I personaggi di contorno sono inesistenti e, fuori dalle due o tre stanze dove si svolge l'azione, Hollywood chi l'ha vista?[16]
  • [In riferimento a Grazie zia, il film del suo debutto] Samperi rivela un estro notevole, una sensualità non volgare e una partecipazione che ci sembra non provvisoria.[17]
  • Se è vero che la lavorazione di ogni film felliniano è caratterizzata da un'atmosfera particolare, da un umore predominante del regista che lo accompagna dall'inizio alla fine, è insieme il film del dubbio e dell'ostinazione, della tentazione di piantare tutto e del perfezionismo esasperato. Nebuloso nella progettazione, accuratissimo nell'esecuzione.[18]
  • [Su Fargo] Straordinaria tragicommedia dove le più svariate e raffinate componenti intellettuali si innestano su una trama di genere, Fargo gioca a opporre la normalità del bene alla normalità del male: l'una e l'altra sono rappresentate con ineffabile ironia in situazioni e dialoghi essenziali. I personaggi appaiono immersi nel torpore della vita provinciale, sia quelli che hanno trascurato di mettere l'orologio all'ora attuale, sia quelli che si illudono di incrementare il proprio destino con spunti di cinismo o atti di violenza. Tutti guardano la Tv: ladri, guardie e gente comune. E Marge, in particolare, è una donna comune di tipo non comune: la prova vivente che nella confusione odierna l'attaccamento tranquillo ai propri compiti (il marito, la famiglia che cresce, il dovere del servizio) rappresenta l'unica alternativa. [...] Vorrei concludere, profetizzando: è un film che resterà.[19]
  • [Su Le mele di Adamo] Va apprezzato come una metafora dura e limpida, che in un precario recupero di ottimismo approda a un messaggio tutt'altro che ovvio. Quando ci si imbatte in una realtà inaccettabile [...] si intuisce (e Le mele di Adamo lo conferma) che per ricondurre certi forsennati alla ragione poco servirebbero le lezioni di storia, i ragionamenti politici o le norme comportamentali; ed è inutile illudersi di risolvere qualcosa attraverso trattamenti di gruppo. La cura può solo essere individuale e ogni volta il terapeuta dovrà mostrarsi disposto, come padre Ivan, a giocare tutto se stesso e a confidare nell'imponderabile che i credenti chiamano miracolo.[20]

Su Opera, La Repubblica, 22 dicembre 1987.

  • Il gran tema di Opera è la visionarietà, la trasformazione dell'universo reale in una successione di incubi concatenati. Se una logica c'è, è quella dei brutti sogni; e i personaggi sono a una dimensione, vere e proprie larve intercambiabili e fluttuanti in un magma angoscioso.
  • A ogni nuovo film questo Argento mi entusiasma e mi irrita. Gira come un americano bravo, ma con la malizia europea che laggiù non possiedono.
  • Ma perchè non si fa scrivere, una volta tanto, un bel copione? Anche Verdi, che era un genio, aveva bisogno del librettista.
  • Il film riproduce con spasmodica vivacità l' ambiente del retroscena, scopre la complessa tecnologia che sta dietro le attuali regìe liriche, stringe in un efficace nodo narrativo un insieme di tensioni assortite.

La Repubblica, 29 marzo 2008.

  • [Su Renato Salvatori] Luchino Visconti, che lo amava moltissimo, protesse la sua unione con Annie Girardot come un vecchio zio. Lo trattava in maniera burbera, provocandolo, sgridandolo, bruscamente lodandolo quand' era il caso. E Salvatori visse qualche anno di intensa vita artistica, con titoli che formerebbero (e senza dubbio alla prima occasione formeranno) una "personale" di tutto rispetto. Da I soliti ignoti di Monicelli a Un giorno da leoni di Loy, da La banda Casaroli di Vancini ai misconosciuti Omicron di Gregoretti e Una bella grinta di Montaldo, da I compagni di Monicelli ad altri che sarebbe troppo lungo elencare.
  • Perché il cinema chiuse le porte a Renato, o perché Renato voltò le spalle al cinema? Negli ultimi anni, si era dedicato ad altre attività, parlava del passato con rabbia e nostalgia. Era invecchiato, ma le rughe lo rendevano più interessante. Lo consideravano troppo legato a un momento irripetibile della nostra storia, troppo legato a un costume per non imporre stucchevoli confronti con il passato? Fatto sta che si ritrovò addosso, da un momento all'altro, quell'etichetta di "has been" (è stato) fatale a tanti campioni dello spettacolo. Non aveva un retroterra professionale di dizione e voce impostata, persa l'occasione al momento giusto non poteva fare teatro. Si contentò di vivere ai margini dell' ambiente che amava e non era più il suo. Mi par di capire che si distrasse in vari modi: con le carte, con il bicchiere.
  • Renato era attratto dalla gente di penna e di pensiero. Gli piaceva fare le ore piccole, in via Veneto, da Rosati o da Doney, ascoltando discorsi che non capiva fino in fondo, ma che (dato importantissimo, fu il segreto della sua simpatia) non fingeva mai di capire. In quegli anni la sua naturalezza conquistò tutti; e la sua carriera cinematografica prese senza sforzo le vie del film impegnato fino al trionfo di Rocco e i suoi fratelli.

Citazioni su Tullio Kezich

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  • È stato un grande intellettuale. Non sapevo che fosse stato decisivo per l' esordio di Lina Wertmüller, quello che ha fatto per Franco Giraldi e per i Taviani o l' esperienza sul set di Rosi per Salvatore Giuliano che si trasformò in un libro. (Carlo Lizzani)
  • [In omaggio a Tullio Kezich] Fu Tullio a chiedermi scherzando, quando fosse arrivato il momento, di organizzare qualcosa in sua memoria, in qualche modo l'omaggio l'ha fissato lui. (Felice Laudadio)
  • Lo stimavo moltissimo, da sempre. I suoi libri e le sue recensioni mi avevano aiutato ad amare il cinema e a saperne di più, pertanto provavo estremo dolore quando i miei film non lo convincevano. È accaduto diverse volte, sfortunatamente. Tuttavia il nostro rapporto di cordiale amicizia non si è mai incrinato, e la mia considerazione per la sua alta statura intellettuale non è mai venuta meno. Cresceva, semmai, il mio senso di inadeguatezza nei confronti delle sue aspettative. Del resto quale regista non ha tremato nel leggere la recensione di Kezich? Ma nessuno ha mai temuto che la sua analisi, per quanto spietata, potesse contemplare l'uso del disprezzo o dell'irrisione. La ragione, semplice, è che Tullio Kezich nutriva il più assoluto rispetto per il mestiere del cinema, e li conosceva bene i tormenti e i drammi che si consumano all'ombra della macchina da presa, essendo stato molte volte dall'altra parte della barricata, come produttore, sceneggiatore e ispiratore di talenti. Per questo motivo giudicava a fondo, con cognizione di causa, costringendoti alla riflessione, e anatomizzava i film insegnandoti. Una figura di critico cinematografico davvero singolare. (Giuseppe Tornatore)

Filmografia

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  1. Da Federico: Fellini, la vita e i film, Feltrinelli Editore, 2002, pp. 235-236. ISBN 88-07-49020-X
  2. Da Panorama, 25 aprile 1974; citato in Appassionata, cinematografo.it.
  3. a b Da "Entrapment" fa di Bond un vecchio eroe alla Svevo, Corriere della Sera, 15 maggio 1999, p. 37.
  4. Da la Repubblica, 16 novembre 1985; citato in La messa è finita, cinematografo.it.
  5. Dal Corriere della Sera, 9 gennaio 2009; citato in Sette anime, cinematografo.it.
  6. Da Un film destinato a non finire mai; in Noi che abbiamo fatto La dolce vita, Sellerio, Palermo, 2009, pp. 13-14. ISBN 88-389-2355-8
  7. Da Al tavolo da poker quattro amici e... Un pollo da spennare, la Repubblica, 5 ottobre 1986.
  8. Dal Corriere della Sera, 2 settembre 2000; citato in Parole e utopia, cinematografo.it.
  9. Da Raggio verde che illumini questa mostra, la Repubblica, 2 settembre 1986, p. 17.
  10. a b Citato in Corriere della Sera, 20 ottobre 2005.
  11. Dal Corriere della Sera, 30 gennaio 2009.
  12. Da Se James Bond diventa scrittore, Corriere della Sera, 24 marzo 2001, p. 36.
  13. Da una recensione del film Café Express su la Repubblica, 16 febbraio 1980.
  14. Da Bisogna dire grazie a Gassman, Corriere della Sera, 4 gennaio 1996, p. 24.
  15. Citato in Laura, Luisa e Morando Morandini, il Morandini: dizionario dei film 2001, Zanichelli, Bologna, 2000, p. 826. ISBN 88-08-03105-5
  16. Dal Corriere della Sera, 18 gennaio 1996; citato in Il prezzo di Hollywood, cinematografo.it.
  17. Da Panorama, 16 maggio 1968; citato in Bepi Vigna, Salvatore Samperi: da "Grazie zia" a "Malizia", teoremacinema.com, 13 novembre 2016.
  18. Da Federico: Fellini, la vita e i film, Feltrinelli Editore, 2002, p. 238. ISBN 88-07-49020-X
  19. Da L'America dei fratelli Coen fa centro a Cannes, Corriere della Sera, 15 maggio 1996, p. 31.
  20. Dal Corriere della Sera, 28 aprile 2006; citato in Le mele di Adamo, cinematografo.it.

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