Michele Anselmi
critico cinematografico italiano
Michele Anselmi (??? – vivente), critico cinematografico italiano.
Citazioni di Michele Anselmi
modificaCitazioni in ordine temporale.
- [Su Christopher Lee] Guai a parlargli di Dracula. Diventa subito nervoso. È come – scusate l'ovvietà – chiedere a un vampiro se gradisce l'aglio, la luce del giorno, i paletti di legno e il plasma in bottiglia. No, Christopher Lee, forse il più celebre «principe delle tenebre» dello schermo, insieme a Bela Lugosi e a Max Schreck, non è un tipo simpatico: difetta di autoironia e, a differenza del suo amico e collega Vincent Price, deve sentirsi poco in pace col proprio passato vampiresco, altrimenti riconoscerebbe serenamente che la grande fama, nel cinema, gliel'ha ragalata soltanto il conte della Transilvania.[1]
- Messa da parte ogni connotazione socio-politica, Bava & Argento riciclano malamente gli stereotipi della cultura punk: Demoni è un bombardamento continuo di rock duro e di luci espressioniste, il «fantasma del palcoscenico» occhieggia da dietro lo schermo, si trova perfino il modo di ironizzare sulla cocaina (alcuni balordi la sniffano direttamente da un barattolo di Coca Cola). Tutte cose già viste e digerite. Ma il pubblico accorre in massa e sembra divertirsi un mondo.[2]
- Guardandolo bene da vicino, qualcosa gli è rimasto dell'aristocratico vampiro scaturito dalla penna di Bram Stoker: forse sono gli occhi, quegli occhi terribili che il regista Terence Fisher voleva iniettati di sangue; o forse quella voce bassa e impostata che sembra evocare misteriose saghe; o forse ancora quella bocca larga e sensuale dalla quale aspetti invano che spuntino i classici canini.[1]
- [Su Frankenstein di Mary Shelley] Sulla falsariga del Dracula di Bram Stoker, l'inglese Branagh ha portato il suo carisma di attore e regista di scuola shakespeariana in questa impresa da 35 milioni di dollari rivelatasi una mezzo fallimento al botteghino. Troppo ambizioso? No, magari solo irrisolto, non possedendo il cineasta britannico né il talento visionario di un Coppola né la fantasia cupa di un Neil Jordan.[3]
- Frankenstein di Mary Shelley non regge assolutamente il confronto con il Dracula di Bram Stoker, nel reinventare lo spirito del racconto, umanizzando il mostro, Branagh pecca di narcisismo e di megalomania, senza riuscire a imporre una sua cifra personale. È come se urlasse al suo film «Parla!», e quello restasse muto.[3]
- [Once Were Warriors - Una volta erano guerrieri] Con qualche semplificazione melodrammatica che non disturba, Tamahori imbastisce una tragedia familiare dai risvolti antropologici che corre veloce verso lo showdown sanguinario.[4]
- Anatomia di una famiglia marginale, ma anche di un pezzo di società in bilico tra ritualità tribali e omologazioni consumistiche, Once Were Warriors si propone come un pugno nello stomaco dello spettatore.[4]
- [Su Sidney] Spira un'aria crepuscolare, vagamente alla Saint Jack di Bogdanovich, in questo film fragile ma non brutto che ha per tema il il senso di colpa. Pur piazzando nel cast il nero Samuel L. Jackson, l'attore-feticcio di Pulp Fiction (qui fa il ricattatore parolacciaro), il ventottenne regista non "tarantineggia" e si allontana anzi dalla rappresentazione della violenza oggi alla moda. Sydney è infatti un film pieno di tempi morti, primi piani, camminate tra le slot-machines, frammenti di dialogo (che il modello sia California Poker?). Ma non manca di suggestione, laddove gioca a spiazzare lo spettatore, lasciandolo nel dubbio, con un sovrappiù di ambiguità, sulle intenzioni di Sydney.[5]
- [Su Swingers] Scritto e interpretato da Jon Favreau, all'insegna di un tenero autobiografismo, il film può essere apprezzato anche da chi non conosce i locali prediletti della cosiddetta "cocktail generation" losangelina. Le canzoni di Sinatra e Dean Martin fanno da amabile contrappunto rétro alle disavventure sentimentali di Mike, un comico newyorkese sbarcato a Hollywood per dimenticare la ragazza che lo mollò su due piedi. Partendo da un'osservazione acuta della realtà che li circonda, Liman e Favreau colgono tic, mode e fissazioni di quella società scalcinata che gravita attorno al mondo dello spettacolo. [...] Girato a basso costo, utilizzando una cinepresa superleggera, Swingers rovista nell'ambiente degli attori squattrinati con l'aria di "rubare" dalla vita battute e sketch. Ma dietro la naturalezza esibita dagli interpreti c'è un copione rifinito fino all'ultima virgola.[6]
- Magari non lo sanno in molti: fino agli anni Cinquanta, prima che Anna Banti le dedicasse un famoso libro, Artemisia Gentileschi era appena citata dall'Enciclopedia Treccani. Poche righe distratte, sotto la voce riservata al padre Orazio, insieme agli altri fratelli. Ma neanche i suoi contemporanei l'avevano amata. Quando la pittrice di Giuditta e Oloferne morì, attorno alla meta del Seicento, un anonimo vergò un grottesco epitaffio che recitava: «Sono fatta Gentil'esca de' vermi».[7]
- [Su Tutti pazzi per Mary] Avrete capito che ce n'è per tutti: per gli omosessuali, i disabili, gli animalisti. Magari qualcuno si offenderà e spedirà qualche querela. Ma farebbe male. Se è vero che anche a Paperissima – complice l'ex ministro Antonio Guidi – si può fare una gag su un handicappato senza per questo offendere la sfortunata categoria.[8]
- Hai voglia a sbizzarrirti sul tema della suocere. Basta fare un giretto su Wikiquote, le citazioni caustiche abbondano: da «Non ho parlato con mia suocera per diciotto mesi: non volevo interromperla» (Ken Dodd) a «Sono appena tornato da un viaggio di piacere. Ho accompagnato mia suocera all'aeroporto» (Milton Berle). Evidentemente il genere tira.[9]
- [Su L'uomo che verrà] Volendo risalire a dei modelli estetici si potrebbe citare il cinema di Ermanno Olmi o Mario Brenta. Ma in realtà Diritti persegue una sua propria poetica nel restituire, utilizzando attori professionisti e gente presa sul posto, la dura vita di quelle contrade rurali, le arcaiche dinamiche familiari, la fatica del lavorare la terra. I mezzadria, il passaggio delle stagioni. [...] Colpisce, vedendo il film severo e toccante, al quale però non giova l'eccesso di musica, una certa pietas cristiana, che probabilmente deriva dal libro Le querce di Monte Sole scritto da monsignor Luciano Gherardi e scelto come spunto. L'uomo che verrà evocato dal titolo è certo il fratellino di Martina, ma anche, si direbbe, un novello Gesù bambino da sottrarre ai nuovi Erode. Un segno di speranza sui destini dell'umanità.[10]
- [Su Dracula 3D] Vi prego, collegatevi su YouTube battendo così sulla tastiera: Dracula 3D – Clip Ita – Lucy prende fuoco – Sceglilfilm.it. Non ci si può credere. Naturalmente sui giornali si grida al grande evento di culto e straculto dopo la civettuola anteprima a Cannes, si apprezza il (probabile) gioco citazionista, da vecchio b-movie della Hammer riveduto e corretto con una punta di Mario Bava; si rende omaggio al “maestro dell’horror” per antonomasia, cioè Dario Argento, classe 1940, diciannove titoli alle spalle. Tuttavia quella scena di Dracula è davvero oltre… il ridicolo. A un passo dalla parodia involontaria, dentro il malinconico tramonto di un regista che pare vivere di ricordi, slegato dal mondo, aristocraticamente lontano da ciò che passa, più o meno dignitosamente, il cine-convento.[11]
- [Su Dracula 3D] Sembra una roba da filodrammatica, diciamo pure una scena di Ed Wood, solo che lì Tim Burton ricostruiva col tenero trasporto ironico un certo cinema di serie Z fatto di niente. Invece Argento vuol fare sul serio, spaventare il pubblico, marcare una differenza rispetto alla saga di Twilight. Non si prende per nulla in giro. Azzarda che «col mio Dracula in 3D Avatar vi sembrerà un film superato»; Dracula lo affascina «perché incarna alla perfezione il concetto di Eros e Thanatos», e via con surrealismo ed espressionismo. Andate a vedere il film, magari raffrontandolo col cartone animato Hotel Transylvania, e riparliamone.[11]
Su Phenomena, L'Unità, 5 febbraio 1985.
- Sette miliardi di budget, 40 milioni di insetti, tre gigantesche ventole a turbina per ricreare il vento, 450 diversi effetti speciali, una super-gru capace di portare la macchina da presa a 30 metri d'altezza, luci a fibre ottiche, costumi firmati Armani, eccetera eccetera: non c'è che dire, stavolta Dario Argento – novello Signore delle mosche – ha fatto le cose in grande. Forse troppo.
- Da Phenomena si può uscire vagamente disgustati ma non inquieti, l'orrore che abbiamo appena gustato non si ritaglia un posticino nell'inconscio ma scivola via veloce, lasciando nello spettatore un senso di estraneità.
- Phenomena è un film alquanto schizofrenico che gioca tutte le sue carte nello sfrenato finale a ripetizione: trenta minuti di orrore martellante che purtroppo gira a vuoto, probabilmente perché il disvelamento del doppio assassino giunge troppo improvviso e gratuito. Meglio la prima parte, più sfumata e figurativamente elegante, piena di fruscii premonitori (il famoso phön che gonfia le foreste) e di tenere disquisizioni sulle qualità segrete degli insetti. Era quella la strada da seguire. Più magia e meno frattaglie.
Su Opera, L'Unità, 22 dicembre 1987.
- Già, la tecnica in Opera ce n'è da vendere, e talvolta rasenta la genialità, grazie anche all'apporto ultraprofessionale dell'operatore britannico Ronald Charles Taylor [...], ma è il film ancora una volta a non reggere, come se il regista se ne infischiasse dell'intreccio, delle facce, della progressione, persino dell'epilogo. È un vecchio vizio, anzi forse non è più nemmeno un vizio: è l'idea di cinema che Argento sta perseguendo da qualche anno a questa parte, con esiti commerciali peraltro lietissimi.
- Opera è un film che infila l'una dopo l'altra le nefandezze canoniche senza sprezzo del ridicolo.
- I problemi nascono con la concertazione della suspense, insomma con la grammatica del brivido che è sempre più elementare, gratuita, quasi un canovaccio da riempire con insinuanti movimenti di macchina e virtuosismi cromatici.
Su La seconda guerra civile americana, L'Unità, 4 dicembre 1997.
- Dai versi di Emma Lazarus che campeggiano sulla Statua della Libertà: «Venite a me, povere stanche masse, giunte qui a respirare la libertà, e che siete state respinte dai vostri Paesi». Bello e nobile: peccato che nel film di Joe Dante il famoso monumento cada in frantumi, ignominiosamente, minato da un commando di «leghisti» delusi dall'American Dream.
- L'ipotesi, allarmante anzichenò, è la seguente: che cosa succede se il paese più potente del mondo si ritrova sull'orlo di una guerra civile per lo spappolarsi progressivo del cemento - il melting pot - che lo fece grande? Ma la lezione che viene dal film, prodotto dalla tv via cavo Hbo e ora distribuito dalla Mikado, vale anche per la nostra sgangherata Italia, presa d’assalto dai curdi e dagli albanesi in fuga, corrosa dalle spinte secessioniste provenienti dalla Padania.
- Fa molto ridere La seconda guerra civile americana, ma è un riso che sgomenta e fa riflettere, anche quando assume i tratti della farsa.
- Nel mettere in scena l'ingegnoso copione di Martyn Burke, il regista di Gremlins si diverte a beffeggiare i simboli-chiave della cultura americana, presidente incluso (scambia Teddy Roosevelt con Franklin Delano Roosevelt), affidando il proprio punto di vista alle parole sagge del vecchio giornalista nero interpretato da James Earl Jones. È un'America isterica, stolida, pronta a sparare per aver confuso la parola «secessione» con «successione», quella descritta da Dante; e soprattutto un'America governata dagli indici d'ascolto: al punto che l'ultimatum lanciato dalla Casa Bianca scadrà dopo 67 ore e mezzo (non 72) per non privare i cittadini dell’ultima puntata della soap-opera di successo Figli, figli miei.
Cinemonitor.it, 12 giugno 2015.
- Si può capire perché sir Christopher Lee, il cui nome completo suonava Christopher Frank Carandini Lee, non ne potesse più del conte Dracula, che pure gli aveva regalato fama internazionale dal 1958 in poi, grazie ai film della mitica casa britannica Hammer. Basta dare uno sguardo su YouTube al video intitolato "Christopher Lee as Dracula: Bite Montage", in sostanza uno spiritoso montaggio dei micidiali morsi vampireschi inferti dall’attore sui colli di tante pallide e poppute fanciulle nel corso di una dozzina di film. Sempre lo stesso rituale.
- L’uomo era spiritoso, curioso, di un’eleganza naturale, fumava solo sigari Montecristo n.1, da qualche anno s’era fatto crescere una bella barba da venerabile, parlava otto lingue, incluse svedese, russo e greco, e gli piaceva molto stare sul set: pare sia comparso in 230 film, ma c’è chi azzarda 280.
- Insieme a Vincent Price, Peter Cushing, Peter Lorre, John Carradine e Boris Karloff, s’era imposto come uno dei grandi interpreti del genere horror, quando l’orrore era di cartapesta e poco sanguinario, senza tanti effetti speciali. Lui che adorava la commedia sentimentale hollywoodiana e avrebbe voluto essere un po’ Cary Grant, se non proprio Laurence Olivier...
Note
modifica- ↑ a b Da Dracula in pensione, L'Unità, 27 novembre 1982.
- ↑ Da Allegria, arrivano i Demoni, L'Unità, 8 ottobre 1985.
- ↑ a b Da Filologia di Frankenstein (ma era meglio Karloff), L'Unità, 10 febbraio 1995.
- ↑ a b Da Madre guerriera contro il machismo, L'Unità, 17 gennaio 1995.
- ↑ Da l'Unità, 22 giugno 1997; citato in Sydney, cinematografo.it.
- ↑ Da l'Unità, 21 agosto 1997; citato in Swingers, cinematografo.it.
- ↑ Da Fu stupro o amore? Vita di un'artista «scandalosa», l'Unità, 7 maggio 1998.
- ↑ Da l'Unità, 16 ottobre 1998; citato in Tutti pazzi per Mary, cinematografo.it.
- ↑ Da Il regista di Moretti fa un film per Canale 5, ilgiornale.it, 20 giugno 2008.
- ↑ Da Il Riformista, 22 ottobre 2009; citato in L'uomo che verrà, cinematografo.it.
- ↑ a b Da Dracula 3D. Una sequenza già (s)cult, Cinemonitor.it, 26 novembre 2012.