Rudy Salvagnini

fumettista e scrittore italiano

Rudy Salvagnini, pseudonimo di Rodolfo Salvagnini (1955 – vivente), fumettista, scrittore e critico cinematografico italiano.

Citazioni di Rudy Salvagnini

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  Citazioni in ordine temporale.

  • [Su Sinister] Il film parte come un thriller e scivola nell'horror con la naturalezza dell'ineluttabilità attraverso svolte narrative che una sceneggiatura astuta riesce a centellinare e padroneggiare con buon mestiere e inventiva. Derrickson asseconda la cupezza della storia (di cui è co-autore) con una regia attenta e a suo modo austera. L'introduzione [...] accresce la carica simbolica e misteriosa del film. Purtroppo, la parabola narrativa è sin troppo matematicamente articolata e il finale, per quanto non deludente, non riesce a sorprendere.[1]
  • [Su Liberaci dal male] L'abbinamento tra thriller urbano e horror soprannaturale non è nuovo, ma riserva spesso risultati positivi proprio per il contrasto tra il crudo realismo del thriller e il cuore antico dell'horror. In questo caso, Scott Derrickson, proseguendo il suo ormai già lungo percorso nel genere (l'ultimo esempio è stato l'interessante Sinister), ottiene discreti risultati nel tratteggio di una realtà urbana degradata e pregna di misfatti. L'atmosfera cupa e notturna che ne deriva è una cornice adeguata per una discesa negli inferi del male supremo, partendo già dagli abissi di quello provocato dagli esseri umani. La differenza tra male secondario (opera dell'uomo) e male primario (proveniente da qualcosa di ultraterreno) che padre Mendoza spiega all'incredulo Sarchie dovrebbe infatti rappresentare le due diverse anime del film. [...] Ma il viaggio attraverso il male è anche il viaggio del protagonista alla ricerca della redenzione per una colpa inconfessabile ed è qui che l'horror incontra anche il noir, oltre che il thriller.[2]
  • [Su Dracula Untold] La storia lavora su elementi molto semplici e basilari - i temi del sacrificio, della responsabilità e anche dell'ingratitudine - scontando con la prevedibilità la sua sostanziale mancanza non tanto di originalità quanto di inventiva. A livello spettacolare però il film regge e gli epici scontri hanno un discreto valore catartico, grazie anche alle possibilità scenografiche concesse da un budget consistente. Efficace, in questo senso, l'uso dei pipistrelli come armi d'offesa, dal buon impatto figurativo. L'esordiente Gary Shore proviene dal mondo dei commercials e lo si nota per l'uso di svariati espedienti ottici, ma saggiamente opta per per una gestione tradizionale e solida del racconto. Lo aiuta una recitazione complessivamente ricca di convinzione, in particolare da parte dell'energico Luke Evans e della fragile Sarah Gadon. Nel fondamentale, ancorché ridotto, ruolo del vampiro originario, spicca Charles Dance, attore dal buon carisma e dal curriculum importante.[3]
  • [Su Il terrore viene dalla pioggia] È un film che vi consiglio assolutamente di vedere, se vi capita. E se non vi capita, cercatelo. Il regista è Freddie Francis: non sarà come Terence Fisher, ma quando azzeccava il film era un grande. E in Il terrore viene dalla pioggia non ha sbagliato quasi niente.[4]
  • [Su The Witch] Cupo e ossessivo, il film rappresenta con tagliente efficacia il difficile rapporto tra una famiglia espulsa dalla collettività, una natura misteriosa e opprimente dai mille segreti e il soprannaturale che aleggia sfuggente quale possibile spiegazione a ciò che viene ritenuto inspiegabile.[5]
  • [Su The Witch] Immerso nelle tenebre notturne rischiarate solo dalla pallida luce delle candele o nel debole chiarore di giornate nelle quali i raggi del sole sembrano non mai farsi strada tra le livide nuvole, il film impressiona figurativamente, con una eleganza quasi pittorica che riflette l'oscurità piombata sulle anime dei suoi protagonisti (la fotografia di Jarin Blaschke è uno dei punti di forza del film).
    Notevole esordio nel lungometraggio per Robert Eggers che dimostra una mano sicura e uno stile austero e raffinato, capace di gestire alla perfezione l'equilibrio costante tra la realtà e la sua trasfigurazione, in bilico tra la concretezza della natura e la magia che da essa scaturisce.[5]
  • [Su Autopsy] Horror claustrofobico, tutto girato all'interno di una sala per autopsie e negli uffici adiacenti con, in sostanza, due soli personaggi a reggere la storia (più l'imperscrutabile cadavere di Jane Doe), il film è un riuscito esercizio di costruzione della suspense, che gioca anche molto sui dettagli (ad esempio il campanellino legato ai cadaveri come ai vecchi tempi, per vedere se sono davvero morti) e sul modo in cui essi, metonimicamente, si ripercuotono sugli avvenimenti.[6]
  • [Su Slender Man] Creato qualche anno fa da Victor Surge (nome d'arte di Erik Knudsen) e diventato in breve un fenomeno internettiano, Slender Man arriva ora al cinema in una versione che fa poco per renderlo significativo e originale.
    La figura di Slender Man come risulta dal film infatti non è altro che quella, super classica, dell'Uomo Nero, attualizzata ai tempi del web e appena arricchita di qualche sporadico particolare suggestivo che ne dovrebbe accrescere la capacità di fungere da personaggio mitico, da leggenda vivente (e urbana). L'effetto finale è però un po' generico, non troppo diverso da altri Babau del cinema horror di ieri e di oggi, con più di qualche ascendenza, anche a livello di "propagazione", con le figure spettrali del nuovo corso (nuovo quando uscì, naturalmente) fantasmatico giapponese rappresentate in primo luogo da Ring di Hideo Nakata. Come icona horror, Slender Man funziona discretamente, comunque, grazie a una raffigurazione visiva di buona efficacia, ma nel film rimane sotto utilizzato.[7]
  • [Su L'esorcismo di Hannah Grace] La storia è molto esile, più che altro è una situazione all'interno della quale si sviluppa principalmente un confronto tra la protagonista e l'indemoniata, ma l'atmosfera macabra che si crea in un luogo così asettico e spersonalizzato contribuisce a generare un'apprezzabile tensione: in questo senso, c'è qualche analogia con Autopsy, che però era più compatto e inquietante.[8]
  • [Su Unfriended: Dark Web] La partenza del film è piuttosto confusa e dispersiva, a causa del particolare format che richiede lo svolgimento in tempo reale e introduce via via i personaggi e le loro caratterizzazioni in modo caotico, tra un profluvio di messaggi scritti e vocali, tra Skype e Facebook. A poco a poco la situazione si delinea e la trama si coagula confluendo in una seconda parte nella quale il film si concentra sugli avvenimenti e prende a svilupparsi in modo più lineare acquisendo una certa tensione.
    La progressione si fa sempre più concitata e il clima che si crea è abbastanza angoscioso, anche per l'apparente onnipotenza delle forze oscure che governano le profondità del web. Lo svolgimento però pencola tra l'ineluttabile e il prevedibile senza che ci siano particolari svolte narrative a ravvivarlo e i personaggi sono poco delineati o comunque sviluppano poca empatia.[9]
  • [Su Unfriended: Dark Web] È apprezzabile il tentativo di riflettere sulla filosofia della rete e sui pericoli che si nascondono nei suoi recessi più reconditi che dovrebbero riguardare gli abomini cui si può spingere la natura umana, ma tutto resta piuttosto in superficie senza che vengano approfonditi motivazioni e retroterra psicologici. I riferimenti a Caronte, il traghettatore di anime degli inferi, rimangono così fini a loro stessi e le suggestioni a una sorta di multinazionale del male dalle diramazioni capillari sono sin troppo facili, sostitutive del soprannaturale quali scorciatoie narrative per giustificare ciò che di poco credibile accade.[9]
  • [Su Il sacro male] L'argomento, stimolante e interessante, viene affrontato dal punto di vista di un giornalista dalla deontologia professionale assai dubbia, cercando in questo modo di presentare anche uno stimolante sguardo sull'operato dei media e sul tema della manipolazione delle notizie, che è argomento di notevole centralità di questi tempi. Viene quindi preso in esame un aspetto come l'impatto dei media sulla popolazione e viene presentato l'atteggiamento prudente della gerarchia ecclesiastica, cercando di investigare sul rapporto tra religione, fede e miracoli, sull'apparentemente sottile distanza tra Bene e Male, sulla credulità o meglio sul bisogno di credere.
    Il tutto però confluisce, nella seconda parte del film, in una facile deriva da classico horror satanico in cui avviene il prevedibile disvelarsi del Male, venuto a confondere le idee attraverso l'inganno.[10]
  • [Su Black Phone] Il clima plumbeo e opprimente nel quale è ambientata la storia fornisce uno sfondo significativo e adeguato a un tipico racconto di formazione nel quale i giovani protagonisti devono superare una prova terribile o cercare di farlo, per poter crescere. Se i personaggi di contorno sono piuttosto di maniera, i due fratelli protagonisti sono caratteri ben delineati e descritti con sapienza e sensibilità. L'empatia che in questo modo i personaggi creano con lo spettatore, portato a tenere per le loro sorti, aiuta il film a mantenere alto il tasso di pathos.[11]
  • [Su The Piper] Musica e horror, letterario e cinematografico, hanno spesso intrecciato i loro percorsi dai tempi del Fantasma dell'Opera e dell'Erich Zann lovecraftiano e l'idea di una "musica del diavolo" (da non intendersi in questo caso come il blues) non è certo nuova.
    L'islandese Erlingur Thoroddsen ne trae spunto per un intreccio estremamente semplice, ma a tratti interessante, con i richiami alla famosa fiaba del Pifferaio di Hamelin a fornire alla vicenda un sottofondo motivazionale e, per così dire, storico. Lo sviluppo narrativo è piuttosto prevedibile, ma a supportarlo c'è una solida atmosfera gotica che, con la punteggiatura di calibrati momenti di suspense, arricchisce il film di una cupezza suggestiva e adeguatamente inquietante.[12]
  • [Su Immaculate - La prescelta] Il colpo di scena che giunge prima del redde rationem finale è ingegnoso e anche interessante, pur se non proprio credibile: serve comunque a dare un movente quasi scientifico (per modo di dire) a quanto avviene. Nell'ultimo terzo, il film abbandona la ricerca di atmosfere sinistre e deflagra in un concitato scontro che ricerca l'enfasi e l'iperbole perdendo sempre più in credibilità, pur se guadagnando qualcosa in termini puramente spettacolari.[13]
  • [Su Immaculate - La prescelta] Sydney Sweeney, già molto brava in ambito horror in Notturno (ma non va dimenticato anche il suo significativo ruolo nel tarantiniano C'era una volta... a Hollywood), aderisce con convinzione e notevole efficacia al suo ruolo dando di Cecilia un ritratto sensibile e credibile: è soprattutto il suo personaggio a dare al film quel che di buono può vantare. Meno centrati gli altri personaggi, che sono tutti più o meno schematici e talvolta anche caricaturali. Michael Mohan dirige con buona padronanza la parte del film in cui deve cercare di creare inquietudine, pur forse abusando di un immaginario da horror ecclesiastico ormai consunto, per poi andare sin troppo sopra le righe nella parte conclusiva che chiude la vicenda in modo parossistico e sensazionalistico, anche se tutto sommato conseguente.[13]

Robot. Rivista di fantascienza, anno II, maggio 1977

  • Nonostante la casualità del suo incontro con il cinema del fantastico, [...] Terence Fisher si accostò subito al tema con una sensibilità ed un gusto insospettati. Già da La maschera di Frankenstein (suo primo film dell'orrore), infatti, rifiutò la maniera espressionista che aveva caratterizzato gli horror americani (non dobbiamo dimenticare la preponderante influenza dei cineasti tedeschi nella Hollywood degli anni '20 e '30) e scelse una nuova ed originale strada, girando a colori i suoi film e affondando le sue radici culturali nella narrativa gotica inglese, che tra gli altri aveva appunto generato il mito di Frankenstein. La chiave di volta della sua opera sta proprio in questo suo romanticisimo gotico, al quale ha saputo unire una forte venatura razionalista ed illuminista soprattutto nella figura del barone Frankenstein, il suo personaggio più riuscito.
  • La costante tematica è la lotta tra il Bene e il Male, una dicotomia romantica piuttosto anacronistica ai nostri tempi, che Fisher ha aggiornato con una buona dose di ambiguità nella caratterizzazione dei personaggi evitando che una schematizzazione troppo accentuata togliesse spessore psicologico e credibilità. Conseguenti da questa direttrice sono poi alcune costanti molto interessanti. La sottolineatura, decisa ma raffinata, della sessualità è una di queste ed è possibile trovarla soprattutto nella serie di Dracula e in La mummia, dove la rappresentazione morbosa e sensuale delle eroine è indice dell'effetto provocato su di loro dagli agenti del soprannaturale. Nella serie di Frankenstein è invece comune un senso di «partecipazione» alle pene degli esseri creati o modificati dal barone, un patetismo che provoca sequenze di notevole suggestione. Da queste running images Fisher non si è quasi mai distaccato, pur evolvendole e modificandole film dopo film.
  • [Su La maledizione dei Frankenstein] La riflessione sul Male e sulla morte si fa più ambigua e complessa, risultando da una trama sorprendentemente originale.
  • [Su Dracula il vampiro] Acuratissimo nelle scenografie e nelle scelte cromatiche, stilisticamente perfetto ed abbastanza fedele al romanzo di Bram Stoker, è forse il miglior Dracula nella storia del cinema.

Robot. Rivista di fantascienza, anno II, giugno 1977

  • Sebbene appesantito da una prima parte eccessivamente verbosa, La mummia è un buon film, arricchito anche da diverse scene macabre ed evocative tra le quali resta nella memoria soprattutto quella del risveglio della mummia dal fondo della palude dov'era stata gettata per sbaglio.
  • [Su Il mostro di Londra] Punto di partenza è stato il dottor Jekyll di Stevenson, ma Fisher, invece di creare un Jekyll angelico ed aitante ed un Hyde orrido e scimmiesco, decise di ribaltare ambiguamente le carte dipingendo un Jekyll imbelle e gretto in contrasto con un Hyde bello, solamente con una strana luce negli occhi azzurri, a testimoniare la sua alterità/diversità (un procedimento simile seguì Jerry Lewis nel '63 per il suo divertente Le folli notti del dottor Jerryl). Il male non viene più rappresentato dall'animalesco e dal brutto, ma dal bello e dall'aristocratico, e il bene, in fondo, in questo film non esiste.
  • Purtoppo definire Il mostro di Londra un vero capolavoro non è possibile perché questa geniale intuizione viene in qualche modo sprecata da una trama che appare troppo poco puntata sull'aspetto filosofico della vicenda e troppo su quello effettistico.
  • Definito da alcuni come il capolavoro di Fisher, L'implacabile condanna si distingue ancora una volta per la sua carica di umanità e patetismo ed offre una buona interpretazione di Oliver Reed (più tardi assurto a una più larga fama con I diavoli di Ken Russel) nel ruolo principale.
  • [Su Lo sguardo che uccide] È un piccolo gioiello realizzato con evidente ristrettezza di mezzi, ma vivificato da una accorta regia e da alcune scenografie gotiche molto riuscite. Pur se danneggiato da alcuni brani piuttosto scontati e da un finale macellato da alcuni effetti speciali di infima struttura, questo film, nei suoi precisi limiti di opera minore, riesce a creare delle atmosfere incredibilmente sostenute e ad operare uno studio psicologico sui personaggi che raramente si incontra negli horror.
  • [Su Lo sguardo che uccide] Seguendo i dettami della scuola lewtoniana, Fisher non fa vedere il mostro (probabilmente conscio della scarsa resa cinematografica della Gorgone che, infatti, con la sua presenza in piena luce fa affossare il finale) e si affida alla «sensazione» della sua presenza che viene comunicato allo spettatore tramite le scenografie ombrose e cadenti della foresta e del castello abbandonato. Sono esercitazioni in suspense pura che nulla concedono al sanguinolento e rendono quindi pieno merito al gusto di questo regista, spesso bistrattato a torto per il sadismo e i particolari espliciti dei suoi film.

Mymovies.it, 29 giugno 2010

  • [Su Nosferatu il vampiro] Ispirandosi al romanzo di Stoker senza averne i diritti (con conseguenti strascichi legali), Murnau dà del vampiro un'interpretazione quasi astratta, la personificazione del male, che solo l'amore può vincere. Come altri capolavori dell'espressionismo (Il gabinetto del dottor Caligari in testa), il "mostro" sembra un presagio dei totalitarismi in ascesa.
  • Il Dracula diretto dall'esperto Tod Browning lancia Bela Lugosi come il vampiro definitivo, almeno per molti anni. Aristocratico, mitteleuropeo, affettato nei modi e sinistro negli scopi, il Dracula di Lugosi rappresenta un'immagine di riferimento per molti anni e ancora oggi è immediatamente riconoscibile. Che il film in sé non sia un capolavoro non importa. Sfonda al box office e lancia la golden age dell'horror. Diversamente da Nosferatu, Dracula è un vampiro che conserva tratti di umanità: l'immediato impatto visivo forse diminuisce, ma aumenta lo spessore del personaggio, la sua ambiguità. Seguiti e imitazioni non si contano.
  • Dopo quasi tre decenni [...] la figura del vampiro, fiaccata da commedie e iterazioni senza fantasia, sembra aver esaurito la sua carica soprattutto con riguardo al suo scopo precipuo, quello di spaventare o almeno inquietare. La scossa arriva nel 1958 quando Terence Fisher dirige per la Hammer Dracula il vampiro, lanciando definitivamente Christopher Lee nel ruolo del titolo, mentre Peter Cushing, con una perfezione mai più raggiunta da alcuno, tratteggia la figura della sua nemesi, il cacciatore di vampiri Van Helsing. Fisher e Lee aggiungono al personaggio di Dracula una dimensione romantico-sensuale che appartiene alla tradizione letteraria, ma non era stata molto usata al cinema. Dracula diventa quindi un antieroe romantico che attrae e respinge le donne con il fascino del male. Non più semplicemente un essere malvagio, ma anche il motore del desiderio e della passione.
  • [Su Il buio si avvicina] Ci propone dei vampiri giovani e post-punk come, con esiti meno epocali, Ragazzi perduti. I vampiri perdono la patina aristocratica e diventano come noi. Perfettamente inseriti in un mondo che non crede in loro, diventano una società indipendente all'interno della società umana. In questo modo si creano le premesse per una convivenza più o meno pacifica come in La stirpe o in Perfect Creature.
  • La saga di Twilight prende elementi preesistenti - società dei vampiri, romanticismo - per creare un universo composito e articolato dove i sentimenti sono il motore dell'azione. Nel farlo utilizza anche i licantropi come avveniva nei vecchi patchwork come La casa degli orrori o più recentemente in Underworld e relativi seguiti. L'insieme piace più alle spettatrici in cerca di emozioni romantiche che agli appassionati di horror, ma l'importante è che abbia un suo pubblico di riferimento e rappresenti comunque una curiosa evoluzione di una figura, quella del vampiro, che ha sempre saputo mutare nel corso degli anni per mantenersi al passo con i tempi.

Su Jimmy Sangster, Rudysalvagnini.blogspot.com, 11 agosto 2011

  • Il sarcasmo, il brillante umorismo, la capacità di trovare chiavi di lettura innovative in materiale consunto sono solo alcune delle qualità che rendono così valido il lavoro come sceneggiatore di Sangster nei primo horror della Hammer. La maschera di Frankenstein è tipica in questo senso e il ritratto complesso e articolato che Sangster fa del Barone, aiutato in questo dall'eccellente interpretazione di Peter Cushing, parla da solo. La vendetta di Frankenstein avrebbe portato alla perfezione questo insieme di umorismo nero e orrore, aggiungendovi un pathos melodrammatico tale da arricchire la tenuta e la presa della storia. Ma Sangster era anche capace di produrre copioni stringati che andavano dritti al cuore della storia, senza dilungarsi in divagazioni e scevri da quell’umorismo che pure gli era evidentemente tanto caro: Dracula il vampiro, insuperata versione del romanzo di Bram Stoker, pur con tutte le libertà che Sangster si era dovuto prendere rispetto alla fonte, è un esempio più che probante. Tutto ciò tenendo presente che Sangster non provava un particolare interesse per l’orrore gotico, essendo più orientato verso lo psycho-thriller e i meccanismi del giallo, un genere che avrebbe molto praticato anche come romanziere.
  • Per quanto il distacco e la modestia lo portassero a sottovalutare con ironia il proprio apporto al genere, l'horror gli deve molto per la sua capacità di svecchiare le convenzioni e di formularne di nuove: in quei pochi anni a cavallo tra la fine degli anni '50 e l'inizio dei '60, Sangster è stato capace di osare l'inosabile e di farlo con una levità e una brillantezza che lasciano capire come il suo talento fosse del tutto naturale, sbocciato dopo una dura gavetta che l'aveva visto partire sedicenne dai gradini più bassi della scala gerarchica dell'industria cinematografica. Uno degli ultimi testimoni di un'epoca se n'è andato, ma, naturalmente, restano le sue opere.
  • Il tentativo di Gli orrori di Frankenstein è chiaro: realizzare una commedia nerissima. Il risultato ha alcuni momenti decisamente divertenti, ma l’insieme manca di una focalizzazione precisa degli intenti.

Su Christopher Lee, Rudysalvagnini.blogspot.com, 12 giugno 2015

  • Sulla breccia da moltissimi anni, capace di sorprendere con interpretazioni autorevoli e intense anche in questi ultimi anni, sembrava semplicemente immortale.
  • Attore sapiente e multiforme più di quanto lo spettatore normale possa immaginare, Christopher Lee si è costruito con grande determinazione una carriera eccezionale, sapendo operare nel tempo delle scelte anche radicali che al momento potevano sembrare controproducenti, ma che invece dimostravano come fosse sempre perfetamente al timone della sua barca.
  • Mi piace ricordarlo nei film che l'hanno reso grande, come i capolavori della Hammer diretti da Terence Fisher (Dracula il vampiro su tutti) e come quell'affascinante affresco orrorifico filosofico che è The Wicker Man, film da lui prediletto. Un film che chiunque pensi che Christopher Lee sia un attore dal registro espressivo limitato dovrebbe vedere per capire quanto sia sbagliato questo preconcetto.

Intervista di Davide Girardi, Filmaboutit.com, 29 gennaio 2019

  • La notte dei morti viventi ha aperto un'inedita stagione di horror politico, contimthumb grande uso della metafora, che alla fine degli anni '60 e negli anni '70 ha popolato gli schermi di film strani, feroci e anticonvenzionali.
  • Romero ha rivoluzionato il genere horror. Esiste un horror prima e dopo La notte dei morti viventi. Già solo questo è un grande merito che nessuno può togliergli, anche se purtroppo, per tanti motivi, non ne ha potuto cogliere appieno i frutti.
  • Romero è stato un autore di grande integrità, di notevole inventiva e di grandi capacità narrative, naturalmente anticonvenzionale. Era anche un autore fortemente versatile, costretto dalle circostanze a focalizzarsi su un argomento che sicuramente gli piaceva, ma altrettanto sicuramente non era l'unico che avrebbe voluto trattare.
  • Il genere zombesco, con la sua moltitudine di titoli, è spesso ripetitivo e questo è un grave limite.
  • Uno degli horror che ho sempre trovato tra i più affascinanti, sin da quando l'ho scoperto in una visione notturna in una tv locale nei primi anni '80, è Il messia del diavolo, che rielabora in modo originale e estremamente inquietante il concetto dei morti viventi. Un altro film affascinante e originale è Lemora la metamorfosi di Satana, che rielabora in chiave horror e allegorica l'immaginario fiabesco. Entrambi i film non hanno avuto successo (il regista del secondo non ha più diretto alcunché): avrebbero meritato maggior fortuna.
  • La commedia zombie di solito è una iattura, ma ci sono delle eccezioni. L'alba dei morti dementi, per esempio, è un ottimo esempio di commedia con gli zombie, capace di essere al tempo stesso horror (e rispettosa del genere) e divertente. Per questo piaceva molto a Romero, che invece detestava Il ritorno dei morti viventi.
  • Train to Busan mi è piaciuto molto. L'ho trovato un film potente e coinvolgente, realizzato benissimo: non dice cose molto nuove, ma le dice benissimo.

Recensione di Border - Creature di confine, Mymovies.it, 25 marzo 2019

  • Cosa succederebbe se le creature delle leggende vivessero realmente tra noi? E, in questo caso, fino a che punto si spingerebbe la cattiveria del genere umano? Border, scritto e diretto dal promettente Ali Abbasi, cerca di rispondere a queste domande e la risposta è amara. Il film ci fa riflettere in modo profondo sul significato stesso di razzismo e sull'atteggiamento ottuso e cupo degli esseri umani nei confronti del diverso. L'approccio filosofico non è dissimile da quello del classico L'uomo che cadde sulla Terra dove l'alieno interpretato da David Bowie finiva preda dell'accoglienza pelosa dei terrestri o dell'ancor più classico Il terrore sul mondo (terzo della trilogia dedicata al mostro della laguna nera) dove il mostro acquatico finiva vittima di studi frankensteiniani degli scienziati "umani".
  • La visione di creature ritenute leggendarie come minoranze etniche maltrattate e perseguitate per la loro diversità traccia un parallelo con la realtà di questi giorni e, per la verità, di qualunque giorno precedente a questi.
  • Lento e senza troppi avvenimenti, il film è stranamente affascinante nel suo mescolare disadorno realismo e sense of wonder. E proprio questa scelta di una chiave realistica per rappresentare una vicenda metaforica e per certi versi fantasy è vincente e assolutamente convincente.

Intervista di Giusy Capone, Giusycapone.home.blog, 15 novembre 2020

  • L'orrore fa parte della natura umana, l'abisso che ci guarda e che noi guardiamo, la morte che incombe, piacevolezze insomma su cui l'horror ci fa meditare e che a volte invece esorcizza trivializzandole. Alla fine, questo desiderio di spaventare e spaventarsi è sì come un viaggio nel tunnel dell'orrore di un luna park, ma è anche un viaggio dentro noi stessi. E questo mi ha sempre interessato.
  • La forza dell'horror è quella di interpretare sentimenti e paure comuni a tutta l'umanità, sotto ogni latitudine: sa parlare un linguaggio universale compreso dovunque. In ogni parte del mondo c'è una tradizione horror: messicana, spagnola, persino brasiliana. Ci si è accorti solo negli ultimi vent'anni che esiste quella asiatica, ma esiste da un pezzo.
  • Non esiste un altro genere che si sa coniugare così perfettamente con il comune sentire di ciascun popolo, proprio perché fa riferimento a un folclore radicato e persistente. L'horror non è mai particolarmente di moda perché sostanzialmente lo è sempre.

Intervista di Stefano Priarone, Lastampa.it, 4 gennaio 2021

  • Mi portavano al cinema ogni settimana. Vedevo di tutto, ma quando c'era qualche mostro o quando c'era tensione, i film mi piacevano molto di più. «Fluido mortale», noto anche come «Blob» (1958) è stato il film che mi ha agganciato, quando avevo otto anni. Da allora è stato un crescendo.
  • L'elemento soprannaturale è spesso presente nell'horror, ma molte volte manca. Viceversa, molti film che vedono la presenza del soprannaturale non sono horror. «Ghost» (1990), per esempio, è un film sentimentale con un fantasma. Allo stesso modo, «La vita è meravigliosa» (1946) presenta forti connotazioni soprannaturali, ma è una commedia drammatica, mentre i protagonisti di molti slasher sono dei normali serial killer. Direi che è il tono del racconto, le sue modalità, l'insistenza sul rappresentare in modo grafico il lato oscuro della natura umana a rendere tale un horror.
  • Il cinema horror è, assieme a quello di fantascienza, forse il più visionario, per usare un termine molto abusato. Perciò è spesso cibo per gli occhi, capace di sorprendere con immagini e con sequenze dal grande potere spiazzante e disturbante.

Su Profondo rosso, Mymovies.it, 22 giugno 2023

  • Ci sono così molte anime che si muovono e si alternano all'interno del film: quella dell'interazione tra Marc e Gianna che appartiene alla commedia giallo-rosa con schermaglie spesso persino comiche, quella dell'indagine che si muove in modo rituale tra indizi e scoperte e quella più puramente horror, rappresentata dalla brutalità degli omicidi e dai dettagli quasi (o forse del tutto) soprannaturali che si inseriscono con forza nel tessuto realistico. La fusione tra questi elementi potenzialmente dissonanti è garantita dallo stile sicuro e inventivo di un Dario Argento ai vertici della sua arte registica, pienamente padrone della scena e del racconto e capace di innovazioni e invenzioni, visuali, ma non solo.
  • Di notevole fascino è anche l'uso di esterni in grado di caratterizzare in modo decisivo la visualizzazione della storia, da un bar che sembra dipinto da Edward Hopper a una villa tenebrosa e ricca di memorie alla piazza in cui Argento mette in scena in modo particolare i dialoghi tra il protagonista e il suo derelitto amico pianista: tutto congiura a generare un insieme significativo e incisivo, grazie anche alla mobilità pervasiva e creativa della macchina da presa.
  • Il volto attonito che si riflette nel profondo rosso di una spessa pozza di sangue è una chiusa significativa ed emblematica di un film epocale che rappresenta la summa del thriller argentiano e insieme il suo superamento da parte dell'autore.

Dizionario dei film horror

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Margia Dean e Richard Wordsworth ne L'astronave atomica del dottor Quatermass
  • Francis punta tutto sulle atmosfere e sulle qualità visuali, riuscendo nell'intento di realizzare un film elegante e perfettamente "tipico" nell'utilizzo degli schemi, anche narrativi, dei film precedenti. Tra i particolari interessanti: il fatto che la casta sacerdotale sia riccamente rapresentata – anche in modo piuttosto vario dal punto di vista psicologico – ma che a impalare Dracula sia un ateo che riesce nell'intento solo dopo essersi convertito. C'è infatti un abbozzo di discussione teologica condotta con gusto e intelligenza, ma decisamente sbilanciata e minata nella credibilità da un contesto in cui la presenza di Dracula è la prova della personificazione di un male soprannaturale con tutto ciò che ne consegue. Buona comunque la rappresentazione del prete succube, una variazione talare di Renfield. Francis ha ripreso pedissequamente i temi fisheriani, soprattutto in materia di attrazione sessuale. Sono molto belle, in questo senso, le scene con Veronica Carlson che aspetta il vampiro. Dracula è enfatizzato nella sua maestosità, ma è ridotto sempre più a un'icona resa interessante solo dalla confidente interpretazione di Christopher Lee. (Le amanti di Dracula, p. 41)
  • È il film che ha cambiato la storia della Hammer e di conseguenza quella del cinema dell'orrore. [...] Teso, conciso e abile nel drammatizzare la figura tragica dell'astronauta (interpretato con sofferta partecipazione da Richard Wordsworth) che sta mutando e capisce qual è il suo destino, il film, pur non aderendo appieno alla sottile scrittura di Kneale, è qualcosa di più dei film di mostri alieni cui il pubblico era abituato. Nigel Kneale non apprezzò mai l'interpretazione di Brian Donlevy, ma Donlevy dà a Quatermass una brusca antipatia che rende credibile la sua figura di decisionista a tutti i costi. (L'astronave atomica del dottor Quatermass, p. 70)
  • Tratto – come tutti i Quatermass – da un originale televisivo dove il professore veniva interpretato da André Morell, è il primo a colori ed è anche il migliore della serie, il più articolato e complesso. Il concetto che l'ottimo Nigel Kneale veicola è assai audace e intelligente: siamo creature degli alieni, prodotto della loro ricerca genetica. E gli alieni sono creature malvagie, il male assoluto. Teso, ben condotto da Roy Ward Baker, ricco di spunti e con una sceneggiatura che affronta con acume le pesanti sfide della storia, è un ottimo film che parte in modo claustrofobico per poi allargarsi in un quadro apocalittico che conclude alla grande un incubo fantahorror nel quale l'umanità deve trovarsi di fronte alla perdita della propria identità. (L'astronave degli esseri perduti, p. 71)
  • Pochi film hanno suscitato controversie come questo, il cannibal movie per eccellenza, un film del quale non si sa se sia preferibile prima parlare male delle inutili sofferenze inflitte realmente agli animali o se sia meglio lodare la grande capacità registica qui dimostrata da Deodato, ai vertici della sua abilità di narratore astuto e anticonvenzionale. Cinico, infame e violento – tanto per restare in tema cinematografico – e nello stesso tempo portatore di una tesi non banale sullo sfruttamento capitalista del Terzo Mondo, è un film che fa del paradosso la sua natura principale. (Cannibal Holocaust, p. 160)
  • Nel complesso, il film si fa apprezzare per la professionalità della realizzazione e la compattezza narrativa dei suoi episodi migliori, ma manca quasi del tutto di una sufficiente carica inventiva nella regia (di Peter Duffell, regista prevalentemente televisivo, elegante ma senza guizzi) e di originalità nella scrittura (Robert Bloch, altre volte più ispirato) che possano dare sostanza a una serie di frammenti abbastanza prevedibili. (La casa che grondava sangue, p. 168)
  • Il film non è brutto come, all'epoca, la maggioranza dei critici, anche quelli di genere (probabilmente allettati da tali cast e regia), sentenziò. Il film, in effetti, è riuscito in relazione al suo concept originario: riunire i maestri dell'horror in quel momento ancora vivi e divertirsi con il genere. (La casa delle ombre lunghe, p. 173)
  • In alcune interviste di poco posteriori alla realizzazione di questo film, Christopher Lee, qui anche nelle vesti di produttore, faceva presente come molti film del terrore, difettosi di mezzi e di inventiva, si rifugiassero nel grand guignol e nell'orripilante, nel vano tentativo di ravvivare storie risapute e mediocri. Alla luce di queste idee, Lee aveva costituito una casa di produzione (la Charlemagne) assieme ad Anthony Nelson-Keys (ex produttore-hammeriano), producendo proprio questo film. Bisogna dire che Lee è stato di parola, coerente nel rinunciare totalmente a facili effetti per affidare tutte le chance alla storia vera e propria. In effetti, sembra che sia stato più attento a non farsi accusare di eccessi "sanguinari" che a ravvivare l'interesse degli spettatori, per i primi tre quarti di film messo a dura prova dal faticoso dispiegarsi di una vicenda appartenente più a un giallo stinto che a un horror vero e proprio. Il tutto per preparare un finale pirotecnico ed efficace pur in uno squilibrio narrativo che inficia la validità complessiva del film. (Il cervello dei morti viventi, p. 190)
  • In questo film l'insieme è superiore alla somma dei singoli elementi e anche se le storie non sono di prima qualità, il risultato rimane un piccolo classico grazie all'abilità di Freddie Francis nel dargli un'anima misteriosa e ricca di atmosfera. (Le cinque chiavi del terrore, p. 200)
  • Si diceva che sarebbe stato il primo davvero aderente al lavoro di Stoker e che, per la prima volta, Dracula sarebbe stato quello del romanzo. Christopher Lee ci aveva creduto – racconta nella sua autobiografia – ma si sarebbe ben presto ricreduto. Del Dracula di Stoker non resta moltissimo, anche se ci sono cose prima mai utilizzate. [...] Alcuni momenti di alcuni squarci di paesaggio boschivo è all'altezza del Nosferatu di Herzog. Ma lo zoom, la fretta e l'idiosincrasia alla narrazione impediscono che l'insieme arrivi a qualcosa di più della mediocrità, una mediocrità peraltro castigata e piatta: Franco rinuncia del tutto – stranamente, considerando il suo background – all'aspetto erotico, limitandosi, al massimo, ad una stanca riproposizione della sensualità fisheriana. (Il conte Dracula, p. 216)
  • Realizzato poco dopo la fine del ciclo della Hammer, ma quando quei film erano ancora ben presenti nella memoria collettiva (lo sono ancora, per la verità), questo adattamento televisivo per la BBC sceglie la strada del romanticismo gotico e della fedeltà alla fonte, il romanzo di Bram Stoker. La componente horror è attenuata nei toni, ma per nulla irrilevante. [...] Louis Jordan è un Dracula suave, adatto all'impronta romantica – ma non, si badi, melensa – di questa versione, forse un po' troppo "mondano", ma sa anche essere minaccioso, in un'interpretazione complessivamente adeguata e interessante, piuttosto diversa da quanto siamo abituati a vedere. [...] Il ritmo (lento) televisivo di quegli anni danneggia un po' l'aspetto drammatico della vicenda, ma consente discreti approfondimenti su caratteri e psicologie e in più di qualche sequenza Saville riesce a raggiungere un'apprezzabile efficacia anche sotto il profilo della tensione. L'uso di simbologie visive un po' insistente risulta un po' didascalico. (Count Dracula, p. 221)
  • Ultimo film di Terence Fisher e ultimo capitolo della saga hammeriana di Frankenstein. Come se lo presentisse, Fisher immerge il film in un'atmosfera funerea di tragico destino incombente, in un clima claustrofobico dove gli ostinati tentativi di Frankenstein di battere l'invincibilità del conformismo diventano patetici. Peter Cushing, pur con una poco indovinata parrucca, è come sempre autorevole e connota di tristezza lo sprezzante decisionismo dello scienziato. (La creatura di Frankenstein, p. 225)
  • Il film cerca di restare fedele al romanzo quanto più possibile, ma introduce un paio di elementi che poi sarebbero stati riutilizzati più volte, in particolare da Coppola per il suo Dracula di Bram Stoker: esplicita infatti il collegamento con la storica figura di Vlad Tepes e, soprattutto, dà a Dracula un intento sentimentale facendo di Lucy, in sostanza, una sorta di reincarnazione della sua amata di secoli prima. (Il demone nero, p. 276)
  • Sorretto da un'idea di base originale ed efficace (il parallelo tra orrore sullo schermo e orrore nella realtà), il film va dritto allo scopo senza perdere tempo in inutili divagazioni, concentrato sulla rappresentazione del contagio e sulla lota tra i sopravvissuti (sempre meno) e i demoni (sempre di più). (Dèmoni, p. 276)
  • Seguendo un percorso storico quasi da passaggio di consegne (riguardo l'impatto sul pubblico), il secondo capitolo della serie è sostanzialmente un remake del precedente, cambianco il media portatore del male (e in questo senso la televisione è sicuramente un simbolo più appropriato e attuale) e i personaggi (ma non necessariamente gli attori, perché il bravo Bobby Rhodes è della partita anche stavolta). (Dèmoni 2... L'incubo ritorna), p. 277)
  • Tra i migliori ad aver affrontato il tema del satanismo "quotidiano", il film conserva anche qualcuno dei tocchi perversamente erotici che spesso caratterizzano l'opera di Dennis Wheatley, scrittore specializzato in horror satanici tra i quali il romanzo da cui è stato tratto questo film è uno dei più noti. Richard Matheson, ottimo scrittore in proprio e consumato sceneggiatore, sveltisce e semplifica la trama, togliendo i toni feuilletoneschi di Wheatley per asciugare la storia e renderla più veloce. Il grande Terence Fisher dirige con finezza ed efficacia, dimostrando ancora una volta le sue grandi doti di narratore di racconti morali dei quali riesce sempre a cogliere e trasmettere la vera essenza. Proposto dalla Hammer da Christopher Lee, è anche un magnifico "veicolo" delle sue doti, che danno carisma e autorevolezza a Richleu, restando per una volta dalla parte del Bene. Anche Charles Gray brilla per la sua interpretazione sinistra e insinuante, in un cast comunque buono anche nei ruoli di supporto, a partire dall'affascinante Niké Arrighi. Peccato che la carenza di effetti speciali danneggi in parte il climax, così come sarebbe successo, ben più gravemente, nell'altro film che la Hammer ha tratto da Wheatley. (The Devil Rides Out, p. 287)
  • Mentre ne La maledizione di Frankenstein il barone era un personaggio quasi positivo, in questo film è una figura completamente negativa, cinico, arrogante, esacerbato dal rifiuto della società e dai continui fallimenti. Non si tratta di una contraddizione, ma di due aspetti del medesimo carattere. [...] Ricco di pathos, di amarezza, di tensione, articolato e complesso, ma narrato con buon ritmo, è un film che testimonia ancora una volta l'importanza di Fisher. (Distruggete Frankenstein!, p. 297)
  • Piuttosto statico e verboso, realizzato agli albori del sonoro, tradisce l'origine teatrale, ma mantiene ancora un fascino che va al di là del mero valore storico, grazie ad alcune meraviglie scenografiche e d'atmosfera gotica e sinistra che avrebbe fatto scuola. (Dracula, p. 310)
  • Badham enfatizza il melodramma e i consistenti valori di produzione gli consentono una messa in scena sontuosa e ricca di fascino gotico, con colori cupi ed esangui. Il risultato è un po' tedioso per chi - come molti - conosce la storia, sostanzialmente sempre la stessa, ma non si può riconoscere che l'approccio è abbastanza originale. [...] Con tutto il rispetto per Olivier, bisogna dire che, in questo caso, il confronto è tutto a favore del buon vecchio Peter, che a tutt'oggi resta il Van Helsing definitivo. (Dracula, p. 311)
  • È il secondo film della bizzarra accoppiata (l'altro è Il mostro è in tavola... barone Frankenstein), realizzata in Italia da Paul Morrissey con il coinvolgimento di Antonio Margheriti. A mio avviso, è il migliore dei due, più divertente e, a suo modo, compatto. Udo Kier è grandissimo nella parte di un Dracula malato e perverso (che vomita, quando beve sangue di una non vergine). [...] Naturalmente, tutto si regge su una semplice gag – che il vampiro debba esclusivamente nutrirsi di sangue di vergini – senza riscontri nella vasta cinematografia in materia. Ma non importa, il film è brioso ed eccentrico. (Dracula cerca sangue di vergine... e morì di sete!!!, p. 311)
  • Lussureggiante versione coppoliana del più classico dei mostri cinematografici e pubblicizzata come aderente al romanzo di Bram Stoker, in realtà lo tradisce sin dall'inizio, con un melodrammatico prologo che recepisce l'origine del vampiro – sostenuta successivamnete al romanzo – da Vlad Tepes l'Impalatore, con il corollario, inutilmente romantico e poco credibile, della perduta compagna e del suo ritrovamento dopo secoli (ripreso da Il demone nero). Come se fosse necessario dare a Dracula una motivazione così banale. Lo spettacolo è sontuoso, quasi estenuante, ricco di suggestioni visive e di tocchi morbidamente erotici che ne rappresentano la parte migliore e nei quali rifulge Sadie Frost. Però manca clamorosamente di carisma nei ruoli centrali: il Dracula di Oldman è un vacuo tour de force attoriale che non raggiunge né la mostruosa essenzialità di Max Schreck e Klaus Kinski, né l'imperiosa sicurezza di Christopher Lee, né l'aliena minacciosità di Bela Lugosi, mentre il Van Helsing di Hopkins è quasi una caricatura che spinge a implorare: Peter (Cushing), dove sei? (Dracula di Bram Stoker, p. 312)
 
Christopher Lee nel ruolo del Conte Dracula in Dracula il vampiro
  • È il trionfo dell'Hammer horror prima maniera: elegante, selvaggio, struggente. Jimmy Sangster, lo sceneggiatore, riesce nel non facile compito di condensare in meno di un'ora e mezza il Dracula di Stoker, perdendo importanti personaggi minori (Renfield su tutti), ma restituendo il senso e il tono del romanzo con maggiore efficacia rispetto alla commedia di Balderston e Deane, su cui si era basato il Dracula di Lugosi (e non solo). È un film che, per modernità (di allora), aggiorna e codifica il mito del vampiro. Ci sono caratteristiche che tuttora valgono come parametri di riferimento: dal romanticismo dell'attrazione/repulsione, all'utilizzo del sangue come elemento visivo fondamentale. [...] Ma soprattutto è un film ancora godibile, che distanza di parecchio, per carismo e umile efficacia, il colossale Dracula coppoliano. (Dracula il vampiro, p. 313)
  • Tarda parodia di Mel Brooks, del quale rappresenta al momento l'ultima regia, è un film così fuori tempo da suscitare tenerezza. [...] Le gag sono raramente divertenti e tutto sembra irrimediabilmente vecchio, a partire dall'oggetto della parodia. (Dracula: morto e contento, p. 313)
  • Il problema di questo e dei film seguenti sarà proprio la mancanza di una figura forte da contrapporre a Dracula, che, non avendo un valido antagonista, verrà sempre più marginalizzato. Questo è anche l'ultimo Dracula diretto da Fisher e resta un buon film proprio per la sua accorta regia. Fisher punta molto sulla figura iconica di Christopher Lee che, avendo trovato banali i dialoghi previsti nel copione, non recita battute, limitandosi alla presenza e a significativi sguardi. Il personaggio più interessante è quello interpretato da un'intensa Barbara Shelley, una vera eroina fisheriana, dannata e felice di esserlo, passata dal perbenismo ipocrita, cui era costretta, alla sensualità sfrenata post-vampirizzazione. (Dracula, principe delle tenebre, p. 314)
  • I grandi Dracula del passato – da Lugosi a Lee – avevano una presenza che li rendeva credibili nel ruolo e che Kretschmann non ha. Anche per questo, ma non solo per questo, il film è un po' inerte, non riesce a sviluppare tensione e ad avere una progressione drammatica adeguata. Anche la figura del classico antagonista di Dracula, vale a dire Van Helsing, compare troppo tardi e, nell'interpretazione sofferta di Rutger Hauer, è un antagonista stanco e provato, quasi distratto, poco efficace. [...] Nell'insieme, il film risulta un tentativo ambizioso e talvolta godibile, ma non riuscito. (Dracula 3D, pp. 314-315)
  • La storia, pur presentando interessanti variazioni (la longevità di Van Helsing come nemesi perpetua di Dracula e così via), rielabora vecchi concetti e segue un percorso prevedibile. Ci sono però dei punti a favore: Christopher Plummer è un ottimo Van Helsing, dotato di armi moderne ma ricco di antico carisma, e Justine Waddell è una presenza molto incisiva. Il punto debole è Dracula, raffigurato in modo banale e interpretato senza fascino da Gerard Butler. (Dracula's Legacy - Il fascino del male, p. 314)
  • David Grieco ha tratto questo film da un suo romanzo sulla terribile vicenda del mostro di Rostov – Chikatilo, che uccise oltre cento persone – inserendola con precisione nel contesto del tramonto del comunismo, con la fine delle certezze e il disorientamento che ne è conseguito. Il parallelo è interessante, ma Grieco lo presegue forse con troppa determinazione, come evita di sfruttare morbosamente una vicenda così efferata a fini spettacolari: il risultato è un film piuttosto freddo che, retto sull'interpretazione intensa di Malcolm McDowell, sembra la dimostranza di un teorema. (Evilenko, p. 337)
 
André Morell e Peter Cushing ne La furia dei Baskerville
  • Gli elementi satirici e sociologici si mescolano con sapienza a quelli horror, contribuendo a creare un incubo realistico che materializza cinicamente l'ideale del maschilismo. (La fabbrica delle mogli, p. 343)
  • A breve distanza dal Dracula di Coppola – i due classici mostri viaggiano spesso in coppia – un'analoga operazione di ritorno alle fonti, per una versione "definitiva", viene tentata anche con Frankenstein. Diversamente da Coppola, Branagh sembra realmente rispettoso dell'opera di Mary Shelley e cerca di coglierne l'essenza romantica, nel confronto disperato e terribile tra creatore e creatura. Ambientazione e costumi risentono della scelta meticolosa di Branagh e sono impeccabili. [...] Eppure, l'insieme non funziona. Verboso e tonitruante, il film si rivela lento, lungo e poco coinvolgente. Si capisce l'intento di superare le strettoie del genere creando qualcosa di culturalmente elevato, ma proprio questo atteggiamento di supponenza nei confronti di un genere, evidentemente ritenuto minore, è l'errore più grave, riflettendosi in una tronfia solennità, che vorrebbe far assurgere il framma ad altezze shakespeariane, ma fa solo rimpiangere la sarcastica asciuttezza di Terence Fisher e della Hammer. Non brutto, ma sostanzialmente superfluo. (Frankenstein di Mary Shelley, p. 373)
  • Fisher dirige con grande gusto per l'ambientazione, ricreando atmosfere molto adatte al racconto e sfruttando la presenza di uno dei migliori Holmes dello schermo, Peter Cushing, che avrebbe più volte ripreso il ruolo. Basil Rathbone (protagonista dell'indimenticabile ciclo in gran parte diretto da Roy William Neill) è forse più aderente alla classica iconografia di Sherlock Holmes, ma Cushing si appropria del ruolo con grande sapienza e fisicità. (La furia dei Baskerville, p. 380)
 
Haruo Nakajima nel ruolo del personaggio omonimo in Godzilla
  • Un film cupo e drammatico, permeato da un senso di ineluttabilità del destino che prefigura la tragedia imminente. Fortemente influenzato dalla catastrofe atomica che ha colpito il Giappone al termine della seconda guerra mondiale e girato in un suggestivo bianco e nero, il film trascende le imperfezioni degli effetti speciali, puntando sulla forza simbolica della storia e sulla caratterizzazione dei personaggi. (Godzilla, p. 403)
  • Difficile capire il motivo di un remake americano di un mostro simbolo del cinema fantastico giapponese. Difficile, perché il Godzilla di Emmerich potrebbe chiamarsi Ugo o con qualunque altro nome per quanto poco deve all'iconografia e alla storia del Godzilla giapponese. (Godzilla, p. 403)
  • Dopo il tentativo poco riuscito e poco fedele di Roland Emmerich del 1998, Hollywood ci riprova e stavolta lo fa puntando a una maggiore fedeltà al prototipo sia nell'aspetto sia nel tipo di storia che lo vede affrontare dei mostri giganteschi. Il risultato però non è dei migliori. Intanto, per essere un film di Godzilla, ci mette troppo tempo per mettere in scena il protagonista: Godzilla entra in azione solo nella seconda metà del film, dopo una fase introduttiva troppo lunga e poco entusiasmante, dedita alla creazione di un sottofondo drammatico banale, pieno di risaputezze sentimental-familiari. La scelta di un'ambientazione plumbea e notturna è figurativamente interessante, soprattutto se vista in relazione allo stile solitamente nitido e quasi solare dei film di Godzilla del passato, ma va di pari passo con una narrazione confusa e imprecisa. Se l'idea era quella di avvicinare il realismo di film come Cloverfield, puntando a improvvisi squarci di luce e di chiarezza in un contesto oscuro, il risultato non è raggiunto: il film risulta solo poco avvincente e disordinato. (Godzilla, p. 404)
  • Sarcastico e ferocemente distruttivo, è il film in cui Joe Dante è riuscito a riprendere lo spirito dei cartoon della Warner Bros da lui tanto amati (si veda il recente Looney Tunes Back in Action, dal disastroso esito commerciale), abbinandolo ad atmosfere horror diluite con tono da commedia fantasy, ottenendo una pellicola divertente, dinamica e piena di sana cattiveria. (Gremlins, p. 410)
  • È un film divertente e brioso, ma manca della novità che caratterizza il precedente. [...] Si conferma la passione di Dante per i cartoni animati della Warner, così come la feroce ribalderia, loro caratteristica principale. (Gremlins 2 - La nuova stirpe, p. 410)
  • Questo film non ha molto da offrire in più, rielaborando in modo più banale la stessa materia e puntando sull'estremizzazione degli effeti speciali. Il clima è sempre cupo e opprimente. Maggiore peso acquista la figura di Pinhead (Doug Bradley), il Cenobita puntaspilli, che diventa l'icona rappresentativa della serie. (Hellbound: Hellraiser II - Prigionieri dell'Inferno, p. 429)
  • Come già Lovecraft, Barker vede gli abitanti del mondo delle tenebre come qualcosa di diverso e di incomprensibile su cui non è possibile esprimere giudizi. Vivono in un mondo che non ha punti di contatto con la nostra realtà e non sembrano intenzionati ad entrarvi a meno che non siano evocati per mezzo del cubo. L'incomprensibilità è assunta a elemento significante per relativizzare l'ottimistica visione di un universo regolato da leggi sicure e immutabili. Gli squarci aperti sull'altra dimensione non sono rassicuranti, immersi nelle tenebre di un dolore senza fine, ma coloro che vi dimorano non sembrano infelici di farlo. Il film non è esente da difetti: dopo una mezz'ora inquietante e impeccabile, l'interesse cala e si fa più scontato, reiterando immagini di omicidi prevedibili e semplificando un po' troppo le promettenti premesse. Il tema del connubio indissolubile tra dolore e piacere è meramente enunciato, invece di scaturire naturalmente dalla storia e dalle situazioni. Resta però l'atmosfera sporca e malata che rende il film così diverso da altri horror degli anni '80, spesso puliti e asettici. (Hellraiser, p. 430)
  • Il terzo episodio della serie, diretto con buona mano da Anthony Hickox, ha il piccolo problema di non aver nulla di nuovo da aggiungere e perciò non trova di meglio che ripetere la struttura dei film precedenti, introducendo nuovi personaggi che a loro volta entrano in contatto con il mondo delle ombre e ne vengono travolti. (Hellraiser III - Inferno sulla città), p. 431)
  • Seguito di Hellraiser - La stirpe maledetta, riporta la serie nel contemporaneo dopo le incompiute stranezze dell'episodio precedente. Questa volta il timone è nelle mani di Scott Derrickson (The Exorcism of Emily Rose), che tenta con discreta efficacia la carta del noir, mettendo in scena un poliziotto alla Ellroy, duro e compromesso con il Male, con una vita privata a pezzi e una grande difficoltà a mantenerla in asse. L'intreccio – con un misterioso assassino seriale chiamato l'Ingegnere e un bambino scomparso – è interessante, ma il problema è che il film appartiene alla serie di Hellraiser e quindi il mistero è solo relativo: si intuisce subito dove si andrà a parare e il fatto che ci si incammini solo a film ioltrato non migliora le cose. La transizione da noir a horror infatti provoca uno scadimento, anche se la vicenda si mantiene interessante e il personaggio principale, ben interpretato da Craig Sheffer, funge da traghettatore da un'anima all'altra della storia. (Hellraiser 5: Inferno, p. 431)
  • Colti dallo scrupolo di non rappresentare la stessa storia per la quarta volta, gli autori tentano di dare respiro alla serie con un'ardita dislocazione temporale plurima, combinando la fantascienza con l'orrore gotico della Francia del XVIII secolo e con quello moderno, ambientato nel 1996. Il film raggiunge una certa vivacità visuale, ma frammenta in modo esagerato una storia inconsistente: il risultato è un notevole senso di vuoto e di inutilità, enfatizzato dalle banalità pseudofilosofiche di Pinhead. (Hellraiser 4: La stirpe maledetta, p. 432)
  • Curioso e particolare, con una rara capacità di sorprendere e un copione solido e ben strutturato, il film si avvale anche della presenza della classica coppia vincente dell'horror, Lee e Cushing, come sempre autorevoli ed efficaci. (Horror Express, p. 444)
  • Film pessimista e di buona spettacolarità, si avvale di una robusta interpretazione di Oliver Reed nel ruolo del licantropo. Gli effetti speciali sono buoni, anche se l'uomo lupo ha caratteristiche piuttosto ursine. (L'implacabile condanna, p. 461)
  • Tratto con parecchie libertà da uno dei classici della fantascienza inglese, dell'ottimo John Wyndham, è un film diseguale che però ben rappresenta, anche esteticamente, l'approccio britannico al fantahorror in rapporto a quello americano, più sbrigativo, dell'epoca. Più cura è data allo sviluppo dei personaggi e alle relazioni interpersonali, con il risultato che maggiore è la partecipazione dello spettatore alle loro vicende e migliore è conseguentemente l'impatto drammatico della storia. (L'invasione dei mostri verdi, p. 480)
  • All'epoca le reazioni furono molto negative, ma il film, pur non riuscendo a fondere bene le sue due anime, è avvincente, curioso e interessante. L'ambientazione cinese conferisce nuovo vigore alla saga di Dracula e le scene di arti marziali, dirette dal non accreditato Chang Cheh, sono belle e perfettamente inserite nel contesto. (La leggenda dei 7 vampiri d'oro, p. 528)
  • Splendida rilettura, fatta con spirito sottilmente cinefilo e partecipe, del vecchio cinema dell'orrore e del mito del licantropo, che concorre a rinnovare nello spirito e nelle tematiche. (Un lupo mannaro americano a Londra, p. 552)
  • Dopo il modesto La rivolta di Frankenstein, Terence Fisher riprende possesso della serie prodotta dalla Hammer e lo fa con un film del tutto particolare, strano, nel quale il protagonista diventa un po' filosofo, interessato agli aspetti metafisici dell'esistenza e con una caratterizzazione misurata e positiva anche sotto l'aspetto psicologico. [...] Lo spunto narrativo è originale e lo svolgimento è ricco di amarezza e di ineluttabilità. (La maledizione dei Frankenstein, p. 566)
  • Dopo il successo di Yorga il vampiro, ambientato nella contemporaneità, la Hammer pensa di attualizzare anche la sua serie draculiana, divenuta un po' esangue. Il risultato non piace quasi a nessuno, ma ha invece una sua vivacità e validità, purtroppo tra diverse banalità. Il gergo giovanile, l'abbigliamento e la musica rock sono vecchi già al momento dell'uscita del film. (1972: Dracula colpisce ancora!, p. 606)
  • È il film che ha definitivamente lanciato nel firmamento dell'horror la casa britannica Hammer e i suoi futuri divi, Peter Cushing e Christopher Lee. [...] Veloce, cinico, ricco di atmosfera è un film che rende di nuovo attraente un percorso già allora risaputo. (La maschera di Frankenstein, p. 585)
  • Il film riesce a dare nuova linfa al ciclo di Dracula post-fisheriano - cosa che non era riuscita a Freddie Francis con il pur pregevole e fortunato Le amanti di Dracula - esaltandone gli aspetti più sensuali e dipingendo il vampiro come un distruttore dell'ipocrita quiete familiare borghese. Ambientato puntualmente nell'epoca vittoriana, il film può essere considerato un allegorico attacco alla normalità e al perbenismo, simboleggiati dalla mediocrità morale dei laboriosi cittadini benestanti che - come i tre bravi padri di famiglia che vogliono assistere al rituale - desiderano in realtà quella perversione che il loro bigottismo fa apparire ancora più affascinante. Christopher Lee è come sempre padrone del ruolo. (Una messa per Dracula, p. 600)
  • Dopo il grande successo de La mummia, la Hammer attende parecchio per realizzarne il seguito e lo fa con un film modesto sotto tutti i profili. Diretto senza estro da Michael Carreras, è articolato su una storia assai banale che riprende i motivi del film precedente, ma non riesce a bissarne la riuscita anche a causa di un cast senza attrattive. (Il mistero della mummia, p. 616)
  • Il film è godibile, ma non molto incisivo, benché sia ben diretto da Peter Sasdy, elegante e a suo agio con il periodo storico, che riesce a rendere con una vivace convenzionalità, curando con ironica morbosità la creazione di uno strano ménage à trois. (La morte va a braccetto con le vergini, p. 630)
  • L'orrore e la gioia del cambiamento, le possibilità illimitate della genetica, la felicità e la corruzione dell'amore sono i cardini di un film di consunzione e di sfacelo umano, dove il protagonista tiene con scrupoloso puntiglio le proprie membra staccate dentro l'armadietto del bagno e osserva con divertita ironia l'orrore suscitato dal suo vomito che cola sul cibo per permettergli di digerirlo. Film di eccessi mai gratuiti, La mosca è quasi del tutto riuscito (solo l'irresolutezza di alcuni passaggi e lo schematismo di certe soluzioni macchiano la perfezione) e rappresenta un ottimo esempio di come un autore possa inserirsi comodamente in una produzione industriale senza snaturare le proprie idee. (La mosca, p. 633)
  • Primo di una trilogia molto acclamata, introduce nel pantheon dei "mostri sacri" dell'horror una nuova figura caratterizzata dall'abbinamento di eros e horror mutuato direttamente da King Kong, ma adattato con originalità. (Il mostro della laguna nera, p. 636)
 
Udo Kier nel ruolo del Barone Frankenstein ne Il mostro è in tavola... barone Frankenstein
  • La combinazione tra tradizionale e trasgressione avrebbe dovuto innescare una bomba commerciale che il tridimensionale avrebbe potuto valorizzare. In realtà, le cose non vanno come sperato. L'approccio di Morissey è raffinato e raggelante, non induce suspense né a risate, ma suscita un intermittente interesse intellettuale per l'irreverente genialità di alcuni spunti e l'accuratezza della confezione. (Il mostro è in tavola... barone Frankenstein), p. 641)
  • Sebbene appesantito da una prima parte verbosa, è un buon film, arrichito da diverse scene macabre ed evocative, come quella, che resta nella memoria, del risveglio della mummia dal fondo della palude dov'era finita per un incidente. (La mummia, p. 646)
  • L'idea è geniale - la concretizzazione moderna dell'Uomo Nero delle fiabe - e la sua gestione da parte di un Craven ispirato è ricca di spunti interessanti anche da un punto di vista visuale. (Nightmare - Dal profondo della notte, p. 668)
  • Dopo il capolavoro di Craven, il compito di portare avanti la serie cade sulle spalle di Jack Sholder che non riesce a trovare la stessa ispirazione e, a causa anche di una sceneggiatura (di David Chaskin) senza spunti originali, banalizza il personaggio di Freddy Krueger, cominciando il percorso che da personaggio orrorifico a tutto tondo lo tramuterà, film dopo film, in una sorta di macabro pagliaccio dalla battuta facile. (Nightmare 2 - La rivincita, p. 668)
  • Brutale e senza pietà, il film crea le premesse per lo sviluppo del nuovo splatter pur non avendo con esso molto in comune se non la ferocia e la rappresentazione degli esseri umani come carne da macello. Purtroppo Hooper, pur vantando una successiva nutrita filmografia horror e pur avendo fatto ancora qualche buon film, non è più riuscito a trovare quella concentrazione e quella determinazione che fanno di questo film una pietra miliare dell'horror. (Non aprite quella porta, p. 678)
  • Film sconclusionato e torpido che procede a strappi e strattoni come se mancassero dei pezzi, mettendo in scena una vicenda consunta che cerca di aggiornare con qualche tocco insolito. (Nosferatu a Venezia, p. 685)
  • Film dell'orrore piuttosto atipico che evita ogni possibilità di generare suspense e tensione, ma mette in scena un vampiro che riprende con efficacia, grazie anche all'intensa interpretazione di Klaus Kinski, una delle icone più persistenti nell'immaginario, quella del vampiro calvo e orrido del film di Murnau. Un vampiro quindi molto lontano dall'archetipo aristocratico e più o meno romantico prevalso nella cinematografia mondiale. (Nosferatu, il principe della notte, p. 685)
  • Dopo Distruggete Frankenstein!, la Hammer pensa che sia necessario ricominciare da capo nella serie di Frankenstein e fa piazza pulita: via Fisher, via Cushing. La regia è affidata a Jimmy Sangster, sceneggiatore dei primi Frankenstein hammeriani, che realizza una specie di remake de La maschera di Frankenstein, accentuando i toni ironici e grotteschi e arrivando anche ad alcuni momenti apertamente comici, talvolta divertenti ma poco amalgamati con il resto del film che vorrebbe mantenersi nei binari dell'horror. Ralph Bates, allora in ascesa, fa un Frankenstein in linea con lo stile del film, ma non ha la pregnanza e la forza di convinzione di Cushing. Visivamente, il film è piuttosto povero ed è diretto senza molta immaginazione. Anche il mostro segna un ritorno a un concetto semplice e banale che i film di Fisher avevano invece caricato di significati complessi e interessanti. (Gli orrori di Frankenstein, pp. 722-723)
  • Ottimo e puro Argento, in grado di convertire difetti in pregi, facendo giocare a proprio vantaggio le potenziali incongruenze narrative, trasformate, grazie a una sbalorditiva capacità di girare sequenze suggestive, in una potente narrazione onirica che arricchisce una trama lineare, ma non banale, ricca di spunti interessanti e curiosi, come il rapporto tra Jennfer e gli insetti. (Phenomena, p. 747)
 
David Hemmings in Profondo rosso
  • Teso e ricco di inquietudini sinistre, Profondo rosso è un film epocale che da un lato ha portato ai vertici espressivi il "giallo all'italiana", costituito come genere da Argento con il successo dei suoi primi film, e dall'altro ne anticipa il superamento e l'abbandono verso lidi più soprannaturali. [...] Inutile dilungarsi: è un film che ha fatto storia ed è stato ampiamente imitato, ancor più dei precedenti gialli argentiani. (Profondo rosso, p. 781)
  • Seguito de La vendetta di Frankenstein, è un film spurio nella serie di Frankenstein della Hammer: Francis non è molto interessato alle dinamiche filosofiche e psicologiche che nei film di Fisher avevano (e avrebbero) dominato la complessa figura di Frankenstein e le sue creazioni. (La rivolta di Frankenstein, p. 840)
 
Scena di Rodan, il mostro alato
  • Questo film mantiene ancora alto il livello di drammaticità, lasciando poco spazio al camp e al divertissement giovanile che caratterizzano le future uscite – decisamente più fantasy che horror – di Godzilla e soci. Dinamico e divertente, caratterizzato da colori accesi e spettacolari, il film non delude chi si aspetta una rutilante cavalcata tra mostri e distruzioni. (Rodan, il mostro alato, p. 842)
  • Per il suo secondo e ultimo (dopo 1972: Dracula colpisce ancora!) film di Dracula ambientato nella contemporaneità, la Hammer decide di inserire Dracula in un contesto capitalistico facendone un po' come aveva fatto più simbolicamente Farina in ...hanno cambiato faccia, una specie di industriale che usa le armi del capitalismo per mettere in atto un terribile piano, così assurdo e globale da sembrare suggerito da Fu Manchu. Solo che l'idea è realizzata senza un adeguato intervento sul personaggio di Dracula che entra in scena a film ampiamente inoltrato, estraneo alla vicenda, e poco credibile nel contesto. Il film è comunque gradevole per la collaudata interpretazione della coppia Cushing-Lee e per il clima livido e autunnale della prima parte, più riuscita, ma questa rivisitazione bondiana del mito del vampiro manca di mordente. (I satanici riti di Dracula, pp. 858-859)
  • È chiaramente un atto d'amore verso i vecchi film della Universal che cerca di ricreare, con i toni di una appassionata parodia, l'atmosfera da all together degli ultimi film del ciclo Universal. [...] I mostri sono ricreati con affetto e competenza e il ritmo è veloce. Purtroppo, però, la storia è banale, le situazioni non sono divertenti e il gruppetto di ragazzini è insopportabile. Buone le intenzioni, insomma, ma sostanzialmente un'occasione mancata. (Scuola di mostri, p. 871)
  • Modesto capitolo dell'epopea filmica di Sherlock Holmes, ha però il merito di immaginare lo scontro tra il più famoso degli assassini impuniti dell'epoca e la geniale mente deduttiva del personaggio creato da Sir Arthur Conan Doyle. L'ambientazione è suggestiva, ma il film ha un andamento piuttosto blando. (Sherlock Holmes: notti di terrore, p. 898)
  • Gilling non riesce a infondere brio e interesse a questo film che conferma la breve serie della Mummia come la meno interessante tra quelle prodotte dalla Hammer (a parte il capostipite di Fisher, ovviamente). (Il sudario della mummia, p. 951)
  • Uno dei film più interessanti e riusciti di Dario Argento. La storia è ben congegnata e i personaggi sono tratteggiati con cura e attenzione: la logica non è sempre ferrea, ma l'abilità e la concitazione nella narrazione mettono in secondo piano queste piccole lacune. (Tenebre, p. 965)
  • Raffinato, complesso, psicologicamente articolato, con una sceneggiatura piena di punti interessanti, il film è il capolavoro di Freddie Francis che, al servizio di una storia che gli permette di creare una cupa atmosfera gotica e macabra, dispiega al meglio le sue qualità visuali e di fine narratore. (Il terrore viene dalla pioggia, p. 974)
  • Found footage film con un'idea brillante alla base: la rivisitazione orrorifica e realistica di un mito delle fiabe nordiche. La lentezza del racconto, la camera traballante, le riprese mosse, le ripetizioni: i difetti tipici del format – o le sue caratteristiche tipiche, se preferite – ci sono tutti. [...] L'ambientazione norvegese, livida e piovosa, aiuta a creare un'atmosfera adatta al racconto. I troll sono realizzati abbastanza bene. Certo, se fosse stato più breve ne avrebbe guadagnato, ma è comunque un film curioso e di un certo intrattenimento. (Troll Hunter, p. 1004)
  • È il film che, assieme a Un lupo mannaro americano a Londra, ha fondato le basi per la rinascita su basi moderne del genere licantropesco, all'epoca piuttosto in ribasso. Vivace, dinamico, orrorifico e ironico al tempo stesso, è diretto con brio e capacità da un Joe Dante all'apice dell'inventiva. (L'ululato, p. 1017)
  • Film singolare nell'opera di Terence Fisher, risente dell'impianto teatrale originario ed è piuttosto statico e verboso, anche se i dialoghi, pur di maniera, non sono quasi mai banali e i caratteri appaiono ben costruiti, anche quelli delle figure di contorno, tra cui spicca il vecchio scienziato pronto alla morte pur di non tradire i suoi principi. Il tema dell'immortalità e dei conflitti morali che essa provoca ben si attiglia alle problematiche fisheriane su bene e male e il dottor Bonnet ha qualcosa, nella sua ostinazione egoistica e nel suo considerarsi al di sopra di una visione etica comune, del barone Frankenstein, del quale rappresenta una variante ancora più edonistica. (L'uomo che ingannò la morte, p. 1025)
  • Tra i Carpenter della decadenza è uno dei più godibili sotto l'aspetto spettacolare e dell'intrattenimento. Girato con cadenze e ambientazioni da western, rivisita il mito vampiresco puntando sull'azione e su un confronto a tutto campo tra vampiri e cacciatori di vampiri. Che questi ultimi appartengano a una sorta di organizzazione segreta al soldo del Vaticano (!) che mira a sconfiggere il Male senza che nessuno lo sappia è un aspetto ironico e divertente che aggiunge un po' di sale a un copione risaputo e senza sorprese. (Vampires, p. 1037)
  • Rispetto al precedente (L'astronave atomica del dottor Quatermass), il clima si fa ancora più cupo e sottilmente inquietante, in una storia che riprende elementi da L'invasione degli ultracorpi, ma li integra in qualcosa di unico giocando con abilità con suggestioni politiche e sociali. (I vampiri dello spazio, p. 1040)
  • La carica emotiva e patetica di questa storia è eccezionale e la regia di Fisher raggunge vertici di abilità e suggestione sia nella descrizione dell'immorale aristocrazia del tempo che dei bassifondi dove è costretto il mostro il quale, alla fine, irrompe in una festa dell'alta società per invocare l'aiuto di Frankenstein: irruzione del Male nel Bene o viceversa? Molti sapienti tocchi di umorismo nero e di cinismo condiscono un film nel quale la figura di Frankenstein, sempre interpretata con precisione e comunicativa da Peter Cushing, assume nuove sfaccettature psicologiche in un percorso che, proprio a partire da qui, si rende del tutto autonomo da quello dei vecchi film della Universal. (La vendetta di Frankenstein, pp. 1048-1049)
  • Un horror veramente sui generis, fortemente sostenuto da Christopher Lee, che lo ritiene il suo miglior film e nel quale certamente offre la sua migliore, più partecipe e sfaccettata, interpretazione. [...] Magico, terribile, pieno di spunti e di scene memorabili, [...] è un film assolutamente da vedere per avere un'altra prospettiva sull'horror. [...] Nonostante un apprezzato passaggio al Festival di Fantascienza di Trieste nel 1974, è stato colpevolmente ignorato all'epoca dai distributori italiani. (The Wicker Man, pp. 1080-1081)
  1. Da Un film che, con una sceneggiatura astuta e una regia attenta, scivola con naturalezza dal thriller all'horror, mymovies.it, febbraio 2013.
  2. Da Una storia che si affida troppo ai luoghi comuni del genere e non riesce a trovare il colpo d'ala per riscattarli con qualche svolta innovativa, mymovies.it, agosto 2014.
  3. Da Una gestione tradizionale e solida del racconto permette di ripresentare in maniera convincente il principe dei vampiri, uno dei personaggi più sfruttati della storia del cinema, mymovies.it, dicembre 2014.
  4. Da Flani (18) - Il terrore viene dalla pioggia, rudysalvagnini.blogspot.com, 28 dicembre 2014.
  5. a b Da Un film cupo e ossessivo che impressiona figurativamente, con una eleganza quasi pittorica che riflette l'oscurità piombata sulle anime dei suoi protagonisti, mymovies.it, agosto 2016.
  6. Da Horror claustrofobico, un riuscito esercizio di costruzione della suspense, mymovies.it, febbraio 2017.
  7. Da Slender Man arriva al cinema: l'icona horror funziona ma il film convince poco sul piano della narrazione, mymovies.it, 4 settembre 2018.
  8. Da Un film esorcistico-demoniaco diverso dal solito, carico di una sinistra atmosfera opprimente, mymovies.it, 30 gennaio 2019.
  9. a b Da Nel sequel di Unfriended l'orrore emerge dalle oscure profondità del web, sullo schermo di un computer, mymovies.it, 16 maggio 2019.
  10. Da Un horror godibile che disperde il potenziale dei temi affidandosi alle convenzioni più banali del genere, mymovies.it, 20 maggio 2021.
  11. Da Da un racconto di Joe Hill, il ritorno all'horror di Scott Derrickson è un film catartico e ricco di pathos, mymovies.it, 20 giugno 2022.
  12. Da Horror e musica si intrecciano in una solida atmosfera gotica, mymovies.it, 9 gennaio 2024.
  13. a b Da Un horror ecclesiastico non sempre convincente, ma con un'ottima Sydney Sweeney, mymovies.it, 22 marzo 2024.

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