Enrico Franceschini

giornalista italiano

Enrico Franceschini (1956 – vivente), giornalista e scrittore italiano.

Enrico Franceschini nel 2021

Citazioni di Enrico Franceschini modifica

  Citazioni in ordine temporale.

  • [L'Ucraina] non era tra le sei, piccole repubbliche secessioniste, da tempo in lotta per separarsi dall'Urss, bensì è la seconda più popolosa repubblica dell'Urss, una regione ricca, fertile, in cui un quarto dei 55 milioni di abitanti sono russi di lingua, estrazione e cultura. Una regione che, pur rivendicando la propria "diversità", è anche la culla della Russia, il luogo di nascita della Rus' di Kiev, il primo impero, quello del principe Vladimir. Senza l'Ucraina, dicono in molti a Mosca, non ci può essere una Russia. E gli uomini di Eltsin aggiungono che dietro la dichiarazione d'indipendenza dell'Ucraina non c'è solo un desiderio nazionalista: è un tentativo del presidente ucraino Kravchuk di cancellare il suo passato comunista, zittire i sospetti sul suo iniziale silenzio davanti al golpe, cavalcando l'ala più estrema del movimento indipendentista.[1]
  • La Russia degli zar ci mise secoli ad assoggettare la Cecenia, e ci volle la spietatezza di Stalin per spegnerne del tutto la resistenza. Che tuttavia è ricominciata dopo il crollo dell'Urss. La minuscola provincia cecena ha dichiarato l'indipendenza dalla Russia, e ha vissuto come uno stato separato e sovrano. Per due anni, Eltsin ha preferito ignorare il problema piuttosto che affrontarlo. Ha le sue ragioni. I ceceni sono poco numerosi, ma combattono come grandi guerrieri. E la mafia cecena è la più potente di Mosca: c'era il rischio che i secessionisti, se sfidati dal Cremlino, commissionassero alla "loro" mafia un attentato contro il presidente.[2]
  • La guerra tra Russia e Cecenia è stata paragonata a un "piccolo Afghanistan", o alla sfida di qualche mese fa tra Stati Uniti e Haiti. Ma a Mosca si comincia a dire che il parallelo da tracciare è un altro: con la "Baia dei Porci", il mal riuscito tentativo americano di rovesciare Fidel Castro; o con lo scandalo "Iran-contras" dell'era Reagan.[3]
  • Certamente, Dudaev era controverso, anche tra i suoi seguaci. Era un irrazionale, il potere gli aveva dato alla testa. Si faceva intervistare di notte, in palestra, mentre faceva sollevamento pesi. Due anni fa, confidò serissimo a un giornalista canadese: "Prima o poi voglio ritirarmi dalla politica. Farò lo scienziato. Se riesco ad abbassare di due gradi la temperatura della terra, farò rinascere i dinosauri". [...] Può darsi che la scomparsa del leader confonda e indebolisca i ribelli. Ma può anche darsi che gli innumerevoli "volontari della morte" ceceni lancino immediatamente una rappresaglia. Magari cercando di rispondere "occhio per occhio": un presidente ucciso per un presidente ucciso.[4]
  • [Su Aleksandr Ivanovič Lebed'] Avevamo preso l'abitudine, giornalisti, politici, opinione pubblica, di chiamarlo "Rambo". Un Rambo russo. Colpa della sua biografia: paracadutista, decorato in Afghanistan, militare di carriera, generale. Colpa del suo aspetto fisico: testa grossa, spalle larghe, un metro e ottantacinque di muscoli. Colpa della voce: paragonata, sempre dai giornali, al ringhio di un cane, al rombo del tuono. E siccome una volta si lasciò scappare che non gli dispiaceva Pinochet, gli è stata affibbiata l'etichetta di duce nazionalista.[5]
  • [Su Aleksandr Ivanovič Lebed'] Per capirlo, serve rammentare che nell'agosto '91 la sua divisione corazzata fu la prima a venire in soccorso di Eltsin, contro i golpisti che avevano destituito Gorbaciov; e che come comandante della 14esima Armata in Moldavia ha usato, sì, la forza, ma per riportare la pace in una regione minacciata da una guerra etnica tra russi e rumeni. In campagna elettorale si è presentato come il paladino della lotta a corruzione e criminalità, l'uomo delle "mani pulite": una sorta di "Di Pietro russo". Altro che Rambo. E dalle risposte che dà ai cronisti emerge un leader ambizioso, che crede nell'ordine ma anche nella democrazia, e dotato di un suo particolare umorismo: chissà che non sia il tipo giusto per completare il viaggio della Russia verso stabilità e benessere.[5]
  • Il paese non esiste quasi più. Non c' è una sola casa, un solo edificio di Grozny, che sia sfuggito ai 21 mesi di raid, di bombe, di cannoneggiamento. Le fabbriche sono ferme. Nessuno lavora. L' acqua viene distribuita con le autobotti, quando possibile. Il governo non ha un rublo. I telefoni non funzionano. Non c' è insomma più niente. La guerra è stata vinta, ma a un prezzo esorbitante: un terzo della popolazione è fuggita, un decimo è morta, e i sopravvissuti si aggirano ora tra gli scheletri dei palazzi rimasti in piedi come zombie in uno spettrale, immenso cimitero.[6]
  • Le immagini della tv non bastano a trasmettere l' entità della distruzione. Non bastano, tuttavia, neppure le parole. Rimani presto a corto di aggettivi. Puoi solo ripetere "terribile". E riandare con la memoria a quelle foto in bianco e nero della seconda guerra mondiale che tutti abbiamo visto: Berlino dopo la caduta del Reichstag. Dresda. Coventry. Delle case ancora in piedi è rimasto solo il teschio. Fai fatica a credere che quello che vedi sia vero: sembra una scenografia cinematografica.[6]
  • [Keir] Starmer, per quanto serio e intelligente, appare legnoso, tecnocratico, privo di carisma.[7]
  • Benjamin Netanyahu ha molti detrattori, in patria e all'estero. Eppure l'eredità che lascia a Israele, cedendo il comando con la palma di premier più longevo nella storia dello Stato ebraico, è duplice. Da un lato è stato l'artefice della modernizzazione economica e il garante della sicurezza nazionale, culminata negli accordi di Abramo che hanno allargato la pace con gli arabi agli Emirati, al Bahrein, al Marocco. Dall'altro in quindici anni di governo non ha risolto la questione palestinese, fonte di ricorrenti conflitti, come testimonia il recente scambio di razzi e missili con Gaza, e dilemma che divora entrambi i popoli da sette decenni. [8]
  • [Su Bernardo Valli] Un maestro che ti dà lezione senza l'impressione di darla, esponendo i suoi dubbi, come se non fosse mai sicuro di cosa scrivere, per sentire il tuo parere. Maestro di stile, oltre che di sostanza: scrive in un italiano lirico senza bisogno di barocchismi, poetico ma asciutto. I suoi articoli mi fanno tornare in mente le parole di [Rodolfo] Brancoli, quando tagliò il mio commento finale dal reportage su Detroit della Rai: "Non c'è sempre bisogno di una chiusa a effetto". Valli conclude i suoi pezzi mettendo semplicemente un punto in fondo all'ultimo ragionamento. Non serve aggiungere altro. Suona perfetto così.[9]

Da A Mosca, come a Santiago e Praga...

Sul putsch di agosto, la Repubblica, 20 agosto 1991

  • "Bentornato in Unione Sovietica, compagno giornalista", dice l'uomo in divisa che controlla i passaporti all'aeroporto. Il "benvenuto", ringhioso e beffardo come una minaccia, arriva dopo un esame interminabile dei documenti, piu lungo e burocratico del solito: il primo segnale, per chi torna, che l'Urss di ieri, 19 agosto 1991, è un paese profondamente diverso da quello di un giorno, di una settimana, di un mese prima.
  • Agli occhi del cronista che vi fa ritorno, Mosca si presenta così come la storia di due città, diverse e parallele, una golpista e ferita, l'altra pacifica e sonnolenta: e la sovrapposizione di violenza e apatia o indifferenza la rende ancora più inquietante.
  • In questa Mosca repressa e prigioniera, con le informazioni ridotte a zero, la censura reinstituita, anche ogni singola testimonianza torna ad essere preziosa, come ai tempi prima della glasnost, come ai tempi di Breznev. Tornare ad attraversare le vie di Mosca, dopo una breve assenza, fa perciò l'effetto di compiere un viaggio a ritroso nel tempo, in un fantascientifico, allucinante "ritorno al passato", denso di immagini che avevamo già visto alla televisione e sui giornali in altre città, la Santiago del Cile di Allende, Praga e Budapest invase dai carri armati sovietici.

Da E Mosca grida "Grazia Boris"

Sul putsch di agosto, la Repubblica, 22 agosto 1991

  • L'incubo di un violento ritorno all'Urss del passato svanisce. L'uomo della perestrojka torna a Mosca, al Cremlino, al potere. Ma è una Mosca assai diversa, quella in cui Gorbaciov fa ritorno. In tre giorni incredibili, terribili e persino grotteschi, la "Casa Bianca sulla Moscova", sede del Parlamento della Russia, la maggiore Repubblica sovietica, si è trasformata da una fortezza assediata nel nuovo centro di potere del paese. Boris Eltsin, che tanti dubbi aveva suscitato nei sei anni e mezzo della perestrojka, per il suo carattere irruento, per le sue feroci polemiche contro Gorbaciov, appare oggi il salvatore del paese, il leader con cui tutti, i comunisti, i capi di Stato stranieri, lo stesso Gorbaciov, debbono adesso fare i conti.
  • L'immensa folla radunata attorno al Parlamento russo lo acclama. "Eltsin, Eltsin", gridano i ragazzi che per tre giorni si sono accampati sulle rive della Moscova in difesa della democrazia. "Eltsin, Eltsin", grida la gente ai soldati sulle torrette dei carri armati che abbandonano la piazza davanti al Cremlino. E i soldati rispondono alzando le dita nel segno di vittoria, come a dire che quel grido va bene anche a loro. Per un giorno, in effetti, Eltsin è il loro comandante in capo.
  • Per Eltsin, il fallimento del golpe è la prova della debolezza, della disperazione, delle forze reazionarie che si oppongono alla democrazia. Un colpo di Stato organizzato male, precipitosamente, con la consapevolezza di avere sempre meno sostegno dalle Forze Armate. I tre giorni che hanno fatto tremare l'Urss sembrano così finiti bene per la democrazia. Come nei "dieci giorni" del '17, una nuova rivoluzione, questa volta democratica, ha vinto senza tremendi spargimenti di sangue, dopo anni di progressivo, inesorabile rifiuto del vecchio sistema totalitario.

Da Comunisti fuorilegge in Urss

la Repubblica, 30 agosto 1991

  • Il Partito comunista sovietico è morto ieri sera nell'aula di un parlamento, dentro alle mura del Cremlino, a poche decine di metri dal mausoleo in cui giace imbalsamato il suo fondatore, Vladimir Ilic Lenin.
  • Mentre muore il vecchio potere che aveva governato l'Urss per 73 anni e mezzo, ieri è infatti cominciato a nascere il nuovo potere di un paese andato in pezzi sotto la spinta della "seconda rivoluzione russa". È un "Gran Consiglio" a cui toccherà il compito di ricostruire il mosaico di repubbliche, razze, idiomi e culture di cui era composta l'Unione Sovietica: compito difficile, ma che inizia ad avere qualche possibilità di successo, quando tutti si rendono conto del disastro che comporterebbe un fallimento.
  • Eltsin ha deciso che non c'è bisogno di aspettare le indagini: ieri, con uno dei suoi decreti, ha dichiarato "proprietà della Russia" tutti i beni del Pcus situati sul territorio della repubblica. E le Izvestia rivelano che un altro "bene" del partito sta per diventare "proprietà del popolo": il suo colossale archivio, un milione e mezzo di documenti "top secret", sepolti al Comitato Centrale. Dentro, c'è tutto, dal testamento politico di Lenin, ai complotti del Komintern, dalle lotte fra Trotskij e Stalin, ai verbali di ogni riunione del Politbjuro. Le Izvestia affermano che presto, grazie ai segreti dell'archivio, sarà possibile riscrivere la storia del partito comunista. Forse, in quello stesso momento, la ex-Urss di Mikhail Gorbaciov potrà cominciare a scrivere il primo capitolo di una nuova storia.

Da Il declino di Zhirinovskij. Dal Parlamento ai sexy bar

Su Vladimir Žirinovskij, la Repubblica, 8 aprile 1994

  • Naturalmente andare al night non è un delitto. Ma è strano incontrarci un leader politico che in pubblico lancia crociate contro prostituzione, erotismo, pornografia, e ogni genere di "libertà sessuale". Moralista e bacchettone in pubblico, "peccatore" in privato fra le luci basse dei night?
  • Le contraddizioni di Zhirinovskij tra pubblico e privato non si limitano al sesso. La più clamorosa è che ha costruito una parte del suo successo politico sull'antisemitismo, mentre da mesi circolano le prove che suo padre era ebreo: l'ultima l'ha trovata un giornalista americano all'anagrafe della sua città natale, dove risulta che fino all'età di 18 anni Vladimir Zhirinovskij si chiamava Eidelstein. Ha cambiato cognome, come consentito dalla legge, per entrare più facilmente all'università, che ai tempi dell'Urss privilegiava i russi rispetto alle minoranze, in particolare gli ebrei.
  • Manca solo di scoprire che anche il suo antiamericanismo è una facciata per le masse. Magari un giorno verremo a sapere che, quando nessuno lo vede, Zhirinovskij beve Coca-Cola, mangia cheeseburger inondati di ketchup, e balla a ritmo di rap.

Da Resa dei conti in Cecenia

Su assedio di Groznyj, la Repubblica, 18 dicembre 1994

  • Groznyj è piombata nel buio e nella paura. La voce che Eltsin, allo scadere della mezzanotte, ha deciso di lanciare l'attacco ha gettato nel panico tutta la Cecenia. La gente fugge, portando via le donne e i bambini nei villaggi di montagna. Non c'è casa sicura che non si sia aperta ai fuggiaschi, che non nasconda due o tre famiglie, decine di bambini spaventati che non capiscono cosa stia succedendo. Tutti i giornalisti delle più importanti testate e agenzie internazionali, persino la famosa Cnn, sono fuggiti verso il vicino Daghestan, lasciandosi alle spalle una città di ombre, che aspetta sola la fine del mondo. Le speranze sono tutte finite.
  • Senza mai perdere l'allegria e l'ironia, un senso atavico della fatalità e della vita, i ceceni si avviano verso l'apocalisse.
  • Lo potrebbe descrivere solo Dante in un canto dell'Inferno. Centinaia di famiglie hanno cominciato a raccogliere le loro cose per fuggire in montagna. Nei villaggi vicini, dopo aver messo al sicuro le famiglie, gli uomini hanno imbracciato i fucili e si sono lanciati a ritroso nelle strade buie e insicure, verso Grozny. In città sono rimaste solo le famiglie dei russi, che non hanno parenti nei villaggi, che non sanno dove andare. Sono rimasti i vecchi, che non se ne vogliono andare.
  • Lo sforzo della sopravvivenza qui è uno sforzo collettivo. Sarà forse la memoria della deportazione di massa voluta da Stalin nel '44 che portò via in una sola notte tutto il popolo ceceno e inguscio, accusati di collaborazionismo con i tedeschi; o sarà forse il fatto che il piccolo popolo matura una sensibilità collettiva più acuta degli altri. Sta di fatto che qui, nell'ora del pericolo, nessuno ha pensato solo a se stesso, i ceceni si sono uniti per affrontare insieme il destino. È difficile immaginare l'ospitalità, la gentilezza, l'ironia di questo popolo, che a Mosca viene descritto sempre e solo come una grande tribù primitiva, di fede musulmana, dedita alla mafia e corrotta fino al midollo. La gente di qui ha rischiato la vita, senza mai abbandonare il sorriso, ha attraversato le strade pattugliate da bande nemiche per portare in salvo i giornalisti nei villaggi vicini.

Da Mikhail Gorbaciov, l'uomo visto nel momento della sconfitta

Repubblica.it, 31 agosto 2022

  • [Sul putsch di agosto] La fine dell'Urss era nell'aria perlomeno [...] quando i nostalgici del comunismo avevano tentato di rovesciarlo con un golpe: da vittima designata, Mikhail Sergeevic diventò agli occhi del suo stesso popolo un complice del complotto, perché quegli uomini li aveva scelti lui, nel continuo zig-zag tra riforme e passi indietro per tenere insieme il Paese più grande del mondo.
  • Gorbaciov era rimasto solo, abbandonato dai nostalgici del comunismo come dai radicali democratici. E sbeffeggiato dalla gente comune per la sua battaglia contro l'alcolismo, che gli valse il soprannome di "segretario minerale", come se fosse astemio, un'infamia per un russo paragonabile a quella di un italiano che disdegna la pizza o gli spaghetti. Non era vero che non beveva: qualche volta, nei giorni finali di solitudine al Cremlino, si era perfino sbronzato di cognac, come confessò il suo più stretto collaboratore Anatolij Cernjaev nel proprio diario. Non era un ubriacone come il suo successore Boris Eltsin, tuttavia. Non avrebbe mai detto, come il principe Vladimir, fondatore della prima Russia, "bere è la gioia dei russi, non possiamo vivere senza", rifiutando per questo l'Islam come fede di stato, perché vietava l'alcol, e abbracciando invece il cristianesimo.
  • Disse che i primi anni di Vladimir Putin erano stati buoni, per riportare un po' di ordine senza imbrigliare del tutto la nascente democrazia russa e i buoni rapporti con l'Occidente, ma che poi Putin aveva sbagliato a spingere sull'autoritarismo e sulla forza. Quella forza che Gorbaciov non aveva usato, lasciando che l'Europa orientale si liberasse dalle catene, regalando agli stessi russi lo spiritello della libertà. Ma la libertà, come ripetevano le massaie di Mosca davanti ai negozi vuoti, non si mangia.
  • L'uomo della perestroika, l'ultimo presidente sovietico, il leader che per liberare un impero lo ha distrutto, era fatto così: sapeva ridere di sé stesso. Perfino nel momento in cui aveva perso tutto.

Note modifica

  1. Citato in Gorbaciov frena Eltsin, la Repubblica, 29 agosto 1991.
  2. Da La strana alleanza Eltsin-Khasbulatov. La nuova Cecenia, la Repubblica, 15 settembre 1994.
  3. Da Accuse a Eltsin. "È solo un blitz riuscito male", la Repubblica, 20 dicembre 1994.
  4. Da Trappola mortale per Dudaev il ribelle, la Repubblica, 25 aprile 1996.
  5. a b Da "Sono pronto a ripulire questo paese, la Repubblica, 18 giugno 1996.
  6. a b Da La Cecenia alle urne tra macerie e povertà, la Repubblica, 27 gennaio 1997.
  7. Da La disfatta laburista specchio d'Europa: la sinistra senza identità, repubblica.it, 8 maggio 2021.
  8. Da Cosa resta di Netanyahu, repubblica.it, 13 giugno 2021.
  9. Da Come girare il mondo gratis. Un giornalista con la valigia, Milano, Baldini + Castoldi, 2023. ISBN 978-88-93889-97-1; citato in Charlie, nel loro piccolo, ilpost.it, 5 febbraio 2023.

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