Raisa Maksimovna Gorbačëva

first lady sovietica, poi russa (1932-1999)

Raisa Maksimovna Gorbačëva (1932 – 1999), filosofa sovietica, poi russa.

Raisa nel 1985

Citazioni di Raisa Gorbačëva

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Dall'autobiografia Io spero; citato ne La Stampa, 30 agosto 1991, p. 5.

  • Ho avuto un'infanzia come quella di tanti bambini russi: la scuola, le assemblee di giovani pionieri. Tutti in quei tempi erano fieri delle costruzioni di Magnitka e Dnieproghes, tutti sognavano Paesi lontani e città nuove. Io sognavo di essere un capitano e di trovare un tesoro. Giocavamo alla guerra, ai partigiani, ad essere Ciapaev, alla guerra in Spagna. Poi venne la grande guerra, quella combattuta per salvare patria. Vedevamo milioni di caduti, mutilati, stazioni ferroviarie strapiene, città distrutte, villaggi rasi dal suolo e ci prendeva la paura di perdere la tessera annonaria per il pane. Infine, la gioia dell vittoria.
  • La scuola della mia infanzia non è come quella di oggi: mancavano i libri di testo, la carta, l'inchiostro, i vestiti. Il mio primo cappotto l'ho avuto in regalo quando già studiavo all'Università, con il collo caracul e di tessuto "bostoncome", come mi ricordava sempre mia madre. L'ho portato per tanto tempo.
  • Viviamo insieme da 37 anni. Tutto cambia nella vita. Ma nel mio cuore rimana sempre la speranza che mio marito non cambi mai, rimanga sempre quello che è sempre stato: coraggioso, forte, buono.
  • Michail ha sempre saputo ascoltare la gente. Però agisce spesso in base alle sue convinzioni.
  • L'Italia. La terra di Dante e di Petrarca. Sovrabondanza dei monumenti della grande cultura. Piazze del Duomo a Milano; un'onda di sentimenti di persone che non scordo mai. I milanesi salutano Michail Sergheevich e la nostra delegazione. "Gorby, Gorby, Gorby!", grida la piazza. Io e Eduard Amvrosievich Shevardnadze stiamo insieme. Seguiamo Mikhail Segheevich a distanza faccendoci largo tra la folla. Mi accorgo che ci sono le lacrime nei suoi occhi, così come nei miei. Anche per questo - mi disse allora -, valeva la pena di iniziare la perestrojka.

Da un'intervista a Trud sul putsch di agosto; citato ne La Stampa, 4 settembre 1991, p. 5.

  • Le prove per noi sono cominciate non dall'ultimatum, ma prima, il 18 agosto, verso le 5 di sera, quando nella mia stanza è entrato Mikhail Sergheevich, agitato. Ha detto: «È successo qualcosa di grave. Medvedev ha riferito che è arrivato un gruppo di persone da Mosca. Ma io non ho invitato nessuno. Ho alzato una cornetta, un'altra, un'altra ancora... tutti i telefoni sono staccati. Anche quello rosso... [...] Sono staccati anche i collegmenti interni - ha proseguito Mikhail Sergheevich -. Ci isolano, forse ci arrestano. Vuol dire che c'è un complotto...». Infatti, era stato staccato tutto, comprese televisione e radio. Abbiamo capito subito la situazione. Dopo un minuto di silenzio Mikhail Sergheevich mi ha detto: «Non accetto nessuna avventura, nessuna proposta d'affare. Non cedo al ricatto. Ma ci può costare caro, a tutti noi, a tutta la famiglia. Dobbiamo essere pronti a tutto...»
  • Abbiamo deciso insieme, tutti abbiamo appoggiato Mikhail Sergheevich: «Restiamo con te». Era una decisione seria. Conosciamo bene la storia del nostro Paese, le sue terribili pagine. Sapevamo che potevamo finire come i Romanov, gli ultimi zar. Sotto l'aspetto psicologico quei 20 o 30 minuti sono stati i più difficili. Ma quando abbiamo preso la decisione abbiamo sentito un certo sollievo.
  • Nella dacia non poteva entrare o uscire nessuno. Le auto erano sigillate. L'aereo portato via. In alto mare non vedevamo più le navi civili che di solito passano in questa zona. Erano apparse le navi da guerra.
  • Ogni tanto uscivamo per passeggiare vicino a casa, sulla spiagga, per farci vedere dal maggior numero possibile di persone, perché vedessero che il Presidente era vivo e stava bene... Ci osservavano continuamente dalle rocce, dal mare, dai battelli. Più persone ci vedevano, più difficile sarebbe stato nascondere la verità... Cercavamo di comportarci come al solito, di restare calmi per appoggiare moralmente tutte le persone che erano rimaste bloccate assieme a noi, praticamente internate.

Intervista di Aldo Cazzullo, La Stampa, 11 marzo 1995, p. 7

  • La nostra prigionia durò 72 ore. Io non ne dormii neppure una. Ero troppo tesa, e non potevo prendere sonniferi. Temevo per la vita di Mikhail e delle nostre nipotine. Avevo un presentimento tremendo: mi ricordavo che proprio il 19 agosto, 51 anni prima, era stato fucilato mio nonno, senza processo.
  • Credo che nessun russo viva felice, neanche chi ha fatto i soldi. Perché la felicità non è solo un fatto personale. E oggi la nostra società è malata. Attorno a me vedo criminalità. Inflazione. Inquietudine.
  • Sono molto legata all'Italia. [...] Sa perché? Il primo viaggio fuori dall'Urss, io e Mikhail lo abbiamo fatto qui da voi. Era il '71, e noi due turisti qualunque. Roma, Napoli, la Sicilia. Quel viaggio ci aprì gli occhi. Facevamo centinaia di domande a tutti quelli che incontravamo. Assaporavamo per la prima volta il gusto della libertà. Allora Mikhail e io capimmo che qualcosa da noi non funzionava, che si doveva pensare una grande riforma. I germi della perestrojka sono nati in Italia.

Citazioni su Raisa Gorbačëva

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  • Apparire elegante in ogni situazione era per Raisa una sorta di imperativo interiore. In tutti gli anni trascorsi insieme non l'ho mai vista comparire al mattino con un aspetto sciatto o trascurato. È questa una caratteristica che hanno ereditato anche mia figlia Irina e le mie nipoti. La nonna rimarrà per sempre, per loro, un modello di eleganza.
  • È trascorso ormai un anno da quando Raisa è venuta a mancare. Oggi, insieme ai miei familiari e agli amici più cari, sono andato al cimitero per l'inaugurazione del suo monumento funebre, opera dello scultore Fridrich Sogojan. È fatto di grosse lastre di marmo variegato e ricorda un prato. L'iscrizione recita: «Raisa Maksimovna Gorbačëva. 5 gennaio 1932-20 settembre 1999». Sul monumento è scolpita la figura di una giovane donna molto somigliante a Raisa, china a raccogliere dei fiori di campo sulla pietra tombale.
  • Io e Raisa abbiamo convissuto quasi cinquant'anni, senza mai separarci e senza sentirci mai di peso l'uno per l'altra, insieme siamo stati sempre felici. Ci amavamo, ma anche in privato non ce lo confessavamo spesso. L'essenziale era preservare quel sentimento che era nato tra noi fin dagli anni della giovinezza. Ci comprendevamo e cercavamo di proteggere il nostro rapporto.

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