Dissoluzione dell'Unione Sovietica
dissoluzione dell'URSS (1990-1991)
Citazioni sulla dissoluzione dell'Unione Sovietica.
Citazioni
modifica- Cadeva nell'oblio uno Stato che aveva provocato tremori politici all'estero sin dalla sua creazione negli anni venti. Uno Stato i cui confini erano approssimativamente gli stessi di quelli dell'Impero russo e la cui popolazione abbracciava uno spropositato numero di nazionalità, religioni e concezioni del mondo. Uno Stato che aveva costruito una potente struttura industriale negli anni trenta e che aveva sconfitto la Germania nella seconda guerra mondiale. Uno Stato che diventò una superpotenza in grado di eguagliare gli Stati Uniti quanto a capacità militare alla fine degli anni settanta. Uno Stato il cui ordine politico ed economico aveva incarnato una categoria cruciale nel lessico del pensiero del XX secolo. Dagli inizi del 1992, questo Stato non esisteva più. (Robert Service)
- Dopo la caduta del comunismo nell'Europa orientale, in Occidente è stato lanciato un massiccio attacco ai diritti sociali dei cittadini. Oggi i socialisti che sono al potere nella maggior parte dei paesi europei stanno perseguendo politiche di smantellamento del sistema di sicurezza sociale, distruggendo tutto ciò che vi era di socialista nei paesi capitalisti. Non esiste più una forza politica in Occidente in grado di proteggere i cittadini comuni. L'esistenza dei partiti politici è una mera formalità. Differiranno sempre meno col passare del tempo. La guerra nei Balcani è stata tutt'altro che democratica. Tuttavia, la guerra è stata perpetrata dai socialisti che storicamente sono stati contro questo tipo di iniziative. Gli ambientalisti, che sono al potere in alcuni paesi, hanno accolto con favore la catastrofe ambientale causata dai bombardamenti della NATO. Hanno persino osato affermare che le bombe contenenti uranio impoverito non sono pericolose per l'ambiente, anche se i soldati che le caricano indossano tute protettive speciali. Pertanto, la democrazia sta gradualmente scomparendo dalla struttura sociale dell'Occidente. Il totalitarismo si sta diffondendo ovunque perché la struttura sovranazionale impone le sue leggi ai singoli stati. Questa sovrastruttura antidemocratica dà ordini, impone sanzioni, organizza embarghi, lancia bombe, provoca fame. Perfino Clinton obbedisce. Il totalitarismo finanziario ha soggiogato il potere politico. Emozioni e compassione sono estranee al freddo totalitarismo finanziario. Rispetto alla dittatura finanziaria, la dittatura politica è umana. La resistenza è stata possibile nelle dittature più brutali. La ribellione contro le banche è impossibile. (Aleksandr Zinov'ev)
- È demenziale affermare, come fa Putin, che la caduta dell’Unione Sovietica sia stata la massima catastrofe del Novecento, invece di rallegrarsi del fatto che quel crollo non abbia causato spargimenti di sangue e abbia messo fine al sequestro di molte nazioni. (Semën Byčkov)
- Il maggior errore l'Occidente lo ha fatto nel 1991, quando considerò il collasso dell'Unione Sovietica semplicemente una vittoria e diede per scontato che i Paesi ex-sovietici avrebbero costruito la democrazia da soli. Sarebbe stato necessario aiutarli con un nuovo Piano Marshall. Invece si lasciò il campo a caos e povertà. (Boris Bondarev)
- Il crollo del 1991 è stato in realtà l'ultima fase del processo di decolonizzazione che ha posto fine a tutti gli imperi europei nella seconda metà del XX secolo. (Gwynne Dyer)
- Improvvisamente la componente ideologica era svanita, come se non fosse mai esistita, e le masse si trovarono non solo senza leader capaci di indicare una strada e garantire i più basilari diritti sociali, ma anche, e d'improvviso, senza l'intero sistema che per tutti aveva rappresentato l'unico modello di vita possibile. La corsa al modello occidentale, interpretato, copiato e applicato con frenesia senza comprenderne la complessità, come se si trattasse semplicemente di cambiare il colore alle pareti di casa, creò i presupposti per una crisi tale da far pesare le sue conseguenze negative ancora oggi, a distanza di trent'anni. Il senso d'idiozia che scosse il paese socialista si racchiude benissimo nella metafora che circolava tra le masse, una sorta di perfetto slogan del suicidio collettivo in atto: «L'acqua della fontanella sovietica è gratuita e di tutti, però la Coca-Cola ha lo zucchero e le bollicine». (Nicolai Lilin)
- In quei momenti in Jugoslavia – e oso credere in tutto l'Est europeo – la fine dell'impero sovietico era l'argomento di discussione che assorbiva tutti gli altri e ricordo che con Slobodan e i nostri migliori amici trascorremmo mesi a parlarne, a cercare di capire cosa sarebbe mai potuto accadere. Se ritorno a quella fase – e chiedo perdono per la presunzione – trovo che le cose che pensavo e dicevo abbiano trovato nella realtà tragiche rispondenze. [...] Era evidente che quel mondo stesse finendo ma il vero problema riguardava ciò che stava nascendo: io pensavo e sostenevo che se il miraggio del benessere avesse dovuto trasformarsi in nuova forma di omologazione, in altro sistema di livellamento verso il basso allora a noi restava solo la possibilità di combattere per una terza soluzione che peraltro esisteva già ed era intorno a noi (Mirjana Marković)
- L'opinione pubblica dei Paesi occidentali si è ormai abituata a una situazione che all'inizio del 1991 qualcuno a malapena intuiva e che nell'82, alla morte di Leonid Breznev, appariva addirittura impensabile: una delle due «superpotenze» del mondo bipolare della guerra fredda, lo Stato più totalitario e centralizzato nella storia dell'umanità, rinunciando a una parte cospicua dei territori annessi dal 1939, si è disgregato in più Stati sovrani, uniti fra loro solo da un filo che rischia continuamente di rompersi. Al posto della bandiera rossa con la falce e il martello, sventola sul Cremlino il tricolore della Russia. (Ernst Nolte)
- L'Unione Sovietica è crollata sulla questione dell'Ucraina. I primi ad alzare la bandiera dell'indipendenza sono stati gli stati baltici, ma sono piccoli paesi e non sono slavi. Il referendum ucraino del dicembre 1991 non poneva la domanda su cosa si volesse fare con l'Unione Sovietica, il referendum riguardava solo l'Ucraina: "Vuoi che l'Ucraina sia indipendente?" Ma una volta che più del 90% degli ucraini ha risposto affermativamente, l'URSS se n'è andata entro una settimana. Le repubbliche dell’Asia centrale furono davvero espulse dall'Unione Sovietica perché la Russia non era interessata a un'unione con loro senza l'Ucraina. Questo è l'inizio della parte più recente della storia: l'Unione Sovietica è caduta sulla questione dell'Ucraina e ora, se vogliamo che ci siano efficaci sfere di influenza russe economiche, militari e di altro tipo, l'Ucraina è essenziale, come lo era nel 1991. (Serhij Plochij)
- L’Unione Sovietica ha fallito in parte a causa della disconnessione tra i bisogni fondamentali della gente comune e l’agenda del superpotere statale, che ha reso la popolazione più povera. Sostenendo di difendere la madrepatria, ignorando la propria gente, Putin rischia oggi di commettere un errore simile. (Nina Lvovna Chruščёva)
- L'Unione Sovietica non è crollata a causa del fallimento del comunismo, sebbene sia difficile chiamarlo comunismo: era solo la via per raggiungerlo. È crollato perché Gorbačëv e altri leader del paese hanno cercato di introdurre il capitalismo nel sistema comunista. (Jeff Monson)
- La caduta dell'Unione Sovietica non ha significato solo la disillusione di milioni di persone: ha significato anche una liberazione del pensiero rivoluzionario, la liberazione dall'identificazione tra rivoluzione e conquista del potere. (John Holloway)
- La domanda di cambiamento che aveva portato milioni di cittadini sovietici in piazza tra il 1989 e il 1991 partiva dalla convinzione che un'alternativa più allettante esisteva davvero: bastava guardare l'Occidente. D'altro canto i miei compatrioti erano altrettanto convinti che i paesi occidentali avessero il dovere di aiutare la Russia. Quell'aiuto, tuttavia, non produsse quel grande balzo nella modernità in cui avevano tanto confidato i russi. La colpa ovviamente fu innanzitutto dei leader russi: sia dei cosiddetti riformatori sia di coloro che manovravano apertamente per creare una nuova élite russa con lo stesso potere e gli stessi privilegi dei predecessori sovietici. (Garri Kasparov)
- La leggenda narra che in seguito al crollo dell'Unione Sovietica la Russia fosse stata umiliata dall'Occidente e che questo avesse scatenato risentimento e diffidenza. Si dice che i vincitori della Guerra Fredda "persero la Russia" innanzitutto perché non fornirono sufficiente assistenza e poi perché allargarono con troppa aggressività i confini della Nato. Entrambe le accuse sono false e lo si può facilmente dimostrare. [...] semmai, l'Occidente fu fin troppo smanioso di perdonare e dimenticare i crimini e ignorare il pericoloso potenziale del suo antico nemico. [...] Non si può certo definirla un'umiliazione, a meno che non si voglia tenere da conto l'imbarazzo di ricevere miliardi in contanti e in altre forme di aiuti da un ex rivale; un rivale che la propaganda sovietica per generazioni aveva dipinto come spietato e feroce. L'Unione Sovietica perse la Guerra Fredda, e la sconfitta fa male. Questo sentirsi dei perdenti scaturiva dall'incapacità di emanciparci da una nazione che andava ormai sgretolandosi. L'Unione sovietica perse la Guerra fredda, ma non fu soltanto una vittoria per gli Stati Uniti e per l'Occidente bensì anche per i russi, i cittadini sovietici e tutti coloro che si trovavano dietro la Cortina di ferro. La vera sconfitta fu non sradicare il sistema Kgb e lasciarci alle spalle i giorni gloriosi, di cui peraltro avevamo un ricordo distorto, come invece avevano fatto quasi tutti i paesi europei del blocco sovietico. Fu in questa crepa che in Russia e in altri Stati dell'ex Urss poté insinuarsi il mito dell'umiliazione, oltre che un uomo come Putin, il quale non aspettava altro che usarlo a suo vantaggio. (Garri Kasparov)
- Mi perdo a pensare quant'è umanamente particolare questo momento storico dell'Unione Sovietica. Il sistema comunista, che per decenni ha determinato la vita di tutti, e spessissimo anche la loro morte, sta crollando. Ma d'un tratto è come se quel sistema fosse stato imposto da qualcuno venuto dallo spazio, come se nessuno quaggiù avesse contribuito a tenerlo in piedi. La corsa all'«io non c'ero e, se c'ero, ero una vittima» è pateticamente incominciata. (Tiziano Terzani)
- Non si può demolire in ventiquattr'ore e passare in un altro Stato. Ci voleva una fase di transizione: due, tre anni. Sarebbe stato normale, adesso è difficile. Certo, il processo non si poteva arrestare e per noi tutti non è facile abituarsi alla «fine dell'Urss». Io avevo un vantaggio: provenendo da una minoranza etnica capivo l'inevitabilità di questo sbocco. (Eduard Shevardnadze)
- Perché l'Unione Sovietica si è disintegrata? Perché il Partito Comunista dell'Unione Sovietica è caduto dal potere? Un motivo importante era che la lotta nel campo dell'ideologia era estremamente intensa, negando completamente la storia dell'Unione Sovietica, negando la storia del Partito Comunista dell'Unione Sovietica, negando Lenin, negando Stalin, creando nichilismo storico e pensiero confuso. Gli organi del Partito a tutti i livelli avevano perso le loro funzioni, l'esercito non era più sotto la guida del Partito. Alla fine, il Partito Comunista dell'Unione Sovietica, un grande Partito, si è disperso, l'Unione Sovietica, un grande Paese socialista, si è disintegrata. Questo è un avvertimento! (Xi Jinping)
- Poco prima del crollo sovietico lavorai a un'indagine sull'atteggiamento dei russi nei riguardi della democrazia e della libera impresa. Emerse l'immagine di un popolo stremato dal comunismo e poco consapevole dei vantaggi della democrazia. La tendenza ad affidarsi allo Stato per il lavoro, la casa e altri servizi era profondamente radicata. La gente, abituata al sistema sovietico, sapeva poco o niente di competitività e trovava anomalo, persino fastidioso, che l'aumento salariale dovesse essere subordinato a un aumento della produttività. Quanto alla libertà di stampa, era una bella espressione ma quasi del tutto priva di significato. (Madeleine Albright)
- Un tempo grande potenza, l'Unione Sovietica è stata annientata, e i paesi socialisti dell'Europa orientale che la seguivano alla cieca sono naufragati.
Gli avvenimenti innescati nei paesi che hanno scelto la via del capitalismo rinunciando al socialismo provano che non bisogna a nessun costo abbandonare l'ideale e i princìpi rivoluzionari del socialismo. (Kim Jong-il)
- L'occidente preferì trarre vantaggi immediati dalla situazione che si era creata con la fine dell'Unione Sovietica. Forse soltanto adesso in Europa e perfino negli Stati Uniti si comincia a capire che sarebbe stato utile agire in modo più lungimirante.
- Mi rammarico che un grande Paese con grandi potenzialità e risorse sia scomparso. La mia intenzione è sempre stata quella di riformarlo, non distruggerlo.
- Noi ci siamo brutalmente staccati dalla nostra storia recente, privando di significato la vita di milioni e milioni di persone, dei nostri nonni, dei nostri genitori, che hanno lavorato con onestà, credendo sinceramente in un felice futuro.
- Sotto al tavolo, gli americani si stavano già sfregando le mani soddisfatti. Pensavano di essere i vincitori della Guerra fredda invece di riconoscere il nostro ruolo nel portarla a termine. Pensavano di essere a capo del mondo; non erano sinceramente interessati ad aiutare la Russia a diventare una democrazia stabile e forte. Pensavano a spartirsela. E hanno demolito la fiducia che avevamo costruito.
- Il medesimo processo di espansione del terzo mondo, che aveva causato il crollo degli imperi coloniali inglese, francese e portoghese, si faceva sentire anche all'interno dell'ultimo impero coloniale del mondo, l'Urss. Alla fine degli anni ottanta la popolazione non russa di questo Impero ammontava a circa metà della sua popolazione, mentre l'élite al potere era composta al novantacinque per cento da russi o da rappresentanti russificati delle minoranze etniche. Ormai era solo questione di tempo: si trattava di aspettare che la consapevolezza di questo fatto si trasformasse, per le minoranze in questione, in un segnale di via libera all'emancipazione.
- La televisione ha contribuito considerevolmente alla caduta dell'Impero, non fosse che per aver mostrato i capi come semplici mortali, permettendo a tutti di vederli da vicino, di osservarli nell'atto di litigare, di innervosirsi, di sbagliare, di sudare e di vincere, ma anche di perdere: è bastato questo sollevarsi del sipario, questo ammettere il popolo nelle sale supreme e più esclusive, per dare il via a un salutare e liberatorio processo di dissacrazione del potere.
- Nella storia contemporanea è la Russia ad aprire il XX secolo con la rivoluzione del 1905, ed è sempre la Russia a chiuderlo con la rivoluzione sfociata nella caduta dell'Urss del 1991.
- Ho già menzionato il decennio che passò alla storia come «i maledetti anni Novanta», un'espressione che vorrei spiegare, perché rappresenta una delle principali ragioni per le quali Putin continua a essere popolare in una fetta della società e perché il suo nome è associato alla «restaurazione dell'ordine» anche se, con lui al potere, l'amministrazione dello Stato è in totale degrado. [...] Ciò che rendeva «maledetti» gli anni Novanta era il fatto che in ogni centro abitato tutti sapessero esattamente chi fosse a capo della criminalità e quali gang fossero operative. In qualche modo, il crimine organizzato compariva dal giorno alla notte e assumeva all'istante un ruolo cruciale nella vita pubblica. [...] Nell'esatto istante in cui l'Unione Sovietica era crollata, lasciando il paese senza un unico centro di potere noto e accettato da tutti, le persone avevano scoperto all'improvviso che a comandare adesso erano le gang che stazionavano ogni sera al chiosco degli spiedini in fondo alla strada. [...] All'improvviso venne fuori che aver trascorso un periodo in carcere era qualcosa di positivo. In precedenza si sarebbe detto: «È stato sette anni in prigione. È una causa persa. Stagli lontano». Adesso, per qualche imperscrutabile ragione, la frase era diventata: «È stato sette anni in prigione, quindi ha contatti giusti e risolverà i nostri problemi».
- Non ho avuto rimpianti. Dopotutto, che cosa avevo perso? La Russia, il mio paese, era ancora lì. Avevo ancora la mia lingua, Tolstoj e Dostoevskij, Mosca e Kazan' e Rostov. L'esercito era ancora lì e lo Stato pure. Persino i burocrati erano ancora al loro posto. Kiev, Tallinn e Riga non erano svanite nell'aria. Tutto era come prima e potevi visitare quelle città, se volevi. La differenza stava nel fatto che adesso avevi una scelta, avevi la libertà. Ciò che resta di quella libertà nell'odierna Russia di Putin che finge di essere l'URSS è in realtà molto più di quanto c'era allora. Adesso puoi scegliere che lavoro fare, dove vivere e quale stile di vita adottare. Non sei più obbligato a gareggiare con gli altri per stabilire chi sia il più ipocrita e quindi si possa guadagnare il permesso di andare all'estero. Adesso puoi semplicemente comprare un biglietto e partire.
A questo punto c'è sempre qualcuno che dice: «Solo che adesso devi avere abbastanza soldi», e poi si mette a ricordare le garanzie sociali e l'uguaglianza dell'URSS. In realtà non esisteva niente di simile. Il divario sociale che c'era all'epoca tra un contadino di un colletivo agricolo e un membro di un comitato di un collettivo agricolo e un membro di un comitato regionale del Partito comunista è pari a quello che oggi separa un oligarca e un operaio. Ai tempi dell'URSS, case e automobili erano di gran lunga meno accessibili rispetto a ora. Certo, la gente riceveva un alloggio gratuito, ma dopo una lista d'attesa di vent'anni. Senza dubbio il tetto del lusso e della ricchezza è molto cambiato: con l'URSS era al primo piano di una dacia nel «villaggio degli scrittori» nelle campagne attorno a Mosca, mentre oggi non c'è proprio, è schizzato lontanissimo, superando quelli degli chalet francesi e dei grattacieli ai bordi di Central Park a New York. - Sono stato fortunato a essere tra coloro che non hanno subito onde d'urto dal crollo dell'URSS. Se mio padre fosse stato un ufficiale dell'esercito non nella regione di Mosca, ma a Baku, nel Nagorno Karabakh, in Abcasia o negli Stati baltici, le cose sarebbero andate molto diversamente. Tutti i rancori accumulati negli anni divamparono infatti in conflitti e persino guerre. Scoprimmo da un momento all'altro che armeni e azerbaigiani si odiavano al punto che già stavano combattendo. Georgiani e abcasiani non erano certo vicini amichevoli che pranzavano insieme, anzi, si sarebbero reciprocamente scacciati dalle rispettive case. Le ragioni sottese a ciò che stava accadendo venivano spiegate in maniera dettagliata, e ogni paese aveva le proprie. Visto da Mosca tutto questo sembrava una pura e semplice follia. Perché si facevano guerra tra loro? Per anni avevano convissuto «nella famiglia unita e multietnica dei popoli sovietici», e adesso si massacravano per questioni territoriali e interetniche?
Si trattava senza dubbio della visione egocentrica e certamente ignorante di qualcuno che, per un colpo di fortuna, si era trovato in un posto dove non erano in corso guerre o conflitti nazionali, ma soltanto una caccia molto metropolitana al denaro. Non riuscivo a immaginarmi nei panni degli armeni o degli azerbaigiani, e in ogni caso non avevo il minimo desiderio di farlo. Per motivi altrettanto egocentrici, il solo problema interetnico che mi interessasse era la difficile situazione dei russi: d'un tratto, la nostra era diventata la diaspora più grande in Europa. Per me era abbastanza semplice fare un esperimento mentale. Immaginavo che mio padre fosse stato mandato a servire nella XIV Armata, di stanza in Moldavia, e io fossi diventato improvvisamente parte della «minoranza di lingua russa». Sarei stato quantomeno molto insoddisfatto di quell'istantaneo cambiamento e del mio status di «minoranza».
- Ad essere onesti devo dire che mi dispiaceva che l'Urss stesse perdendo le sue posizioni in Europa. [...] Però capivo che una posizione costruita sulle divisioni e sui muri non poteva durare.
- Era ormai chiaro che il sistema non era efficiente e che si trovava in un vicolo cieco. L'economia non cresceva, il sistema politico ristagnava, era congelato e incapace di svilupparsi. Il monopolio di una sola forza incapace di svilupparsi. Il monopolio di una sola forza politico, di un solo partito, è nocivo per un paese.
- Il crollo dell'Unione Sovietica è stata la più grande catastrofe geopolitica del ventesimo secolo e un autentico dramma per il popolo russo.
- Il problema è che il sistema mancava di efficienza alla radice, e come si può cambiare radicalmente un sistema senza cambiare il paese? All'epoca nessuno lo capiva, incluso Gorbaciov, e così hanno spinto il paese verso il collasso.
- Spesso mi vengono rivolte delle critiche. Dicono che rimpiango il collasso dell'Unione Sovietica. Tanto per cominciare, la cosa più significativa è che dopo la disintegrazione dell'Unione Sovietica, venticinque milioni di russi si trovarono in un batter d'occhio a vivere all'estero, in un altro paese. È stata una delle più grandi catastrofi del XX secolo. La gente viveva qui, aveva parenti, lavoro, appartamenti e gli stessi diritti. Poi, un attimo dopo era all'estero, in casa propria. Ci furono dei segnali e poi delle vere e proprie guerre civili.
- Gli altri imperi della storia erano infatti caduti o lentamente attraverso decenni se non addirittura secoli di progressivo deperimento, oppure in seguito a una disfatta militare. Ma a parte questo (la quasi fulminea rapidità del crollo, l'assenza d'una sconfitta sul campo), la vera anomalia del caso sovietico è poi un'altra. È il fatto che l'esperienza storica del comunismo non si sia lasciata dietro, al momento della sua dissoluzione, alcunché di positivo, d'utilizzabile: non un'idea, un codice, un'istituzione. Non una cultura o un insieme di valori. Nulla, lo zero assoluto.
- La Babele politica, il collasso degli approvvigionamenti, il trauma psicologico che paralizza il grande paese, scaturiscono tutti dalla stessa causa: l'assenza di un'istituzione, una burocrazia, un sentimento di solidarietà nazionale che consentano quanto meno in attesa del cambio di società il disbrigo di quelli che chiamiamo gli affari correnti. Questa è la differenza con le altre cadute degli imperi. Lì restava sempre in piedi qualcosa (una cultura, un apparato amministrativo, un complesso di leggi) che permetteva di sopportare il peso della sconfitta, storico-politica o militare che fosse, e di rallentare la spinta centrifuga delle varie membra dell' impero. Mentre in Urss la decomposizione è totale.
- Quella data, 1991, è a ben vedere una convenzione. La verità è che già da dieci anni l'Urss appariva un corpo inerte, senza più vita, mentre il comunismo era ridotto a un misto di farsa e tragedia: all'esterno una crosta di rituali, linguaggi e immagini grotteschi, e sotto la crosta le angustie della miseria. Ormai, la distanza col mondo non comunista risultava incommensurabile. E infatti quando si giungeva a Mosca, la prima sensazione (il tempo di salire all'aeroporto su un taxi puzzolente di cattiva benzina, cattivo tabacco, cipolla e altro ancora) era di ritrovarsi nell'Europa dell'immediato dopoguerra, trenta o trentacinque anni addietro. Giravi lo sguardo, e tutto appariva lacero, rappezzato, arrugginito, inequivocabilmente povero. Quanto a Mosca, la capitale del «paradiso dei lavoratori» era nel 1981 una città di mendichi. Un'immensa «Beggar's Opera» recitata in russo. Dirlo è triste, ma questo era, tra molti altri e tutti rovinosi, il risultato di sei decenni e più di comunismo.
- La distruzione dell'URSS ebbe conseguenze drammatiche anche nel mondo capitalista. La disuguaglianza e la povertà sono in aumento nelle società occidentali. Il famoso “stato sociale” si erode. Le garanzie sociali sono ormai considerate dal capitale superflue. In passato, questa fu una concessione imposta ai lavoratori dalla grande borghesia di fronte la crescente popolarità delle idee comuniste. Oggi è possibile abbandonare tali concessioni, per “riprendere terreno”. Il grugno del capitalismo emerge sempre di più.
- La distruzione dell'URSS e la crisi del movimento comunista internazionale liberarono le mani del capitale mondiale. In precedenza, era obbligato ad agire pensando al potere sovietico. Non osava oltrepassare certi limiti, pena un contraccolpo per il suo banditismo. Ora torna volentieri all'essenza originale: gangster, ladro e colonizzatore. Le prove sono abbondanti.
- Il crollo dell'URSS ebbe un impatto veramente globale. Ebbe l'effetto più negativo sul movimento comunista e operaio mondiale. La Russia è il Paese in cui vinse la prima rivoluzione socialista del mondo. E improvvisamente, questo Paese intraprese la strada del capitalismo! E successe nella versione più distruttiva, neoliberista. Ciò portò alla trasformazione effettiva di una superpotenza in un'appendice del sistema borghese mondiale. La deindustrializzazione, l'impoverimento della popolazione, l'emergere di una classe parassitaria di oligarchi e una mostruosa stratificazione sociale continuano a segnare fortemente la Russia. Anche nei Paesi dell'Europa orientale si verificarono controrivoluzioni portandone all'annessione al sistema capitalista. Avendo aderito a NATO ed Unione Europea, la maggior parte di tali Paesi ora serve interessi ed aspirazioni aggressive dell'élite finanziaria e politica di Washington e Bruxelles. Le basi militari sono schierate sui loro territori. Sono complici dell'invasione di Stati indipendenti. I loro governi sono colpevoli della distruzione della Jugoslavia e dell'indebolimento dello Stato in Afghanistan, Iraq e Libia. L'occidente si è schierato dalla parte dei gruppi terroristici reazionari che si nascondono dietro la bandiera dell’Islam per i propri interessi.
- Persone estranee agli ideali comunisti iniziarono a entrare negli organi di governo del partito. Per un po' mascherarono le loro vere opinioni e intenzioni con la retorica “corretta”. Tuttavia, dal 1985, mostrarono i loro veri volti. L'ascesa al potere di Gorbačëv segnò l'inizio della distruzione dell'Unione Sovietica. Col pretesto di slogan su accelerazione, perestrojka e glasnost, i nuovi governanti iniziarono a distruggere metodicamente tutti i pilastri chiave del sistema socialista: dall'economia all'ideologia. Tale processo culminò nella tragedia del 1991.
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