Oriana Fallaci

giornalista, scrittrice e attivista italiana (1929-2006)
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Oriana Fallaci (1929 – 2006), giornalista, scrittrice e opinionista italiana.

Oriana Fallaci

Citazioni di Oriana Fallaci

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  • [Riguardo Dario Fo e Franca Rame] A parte il disprezzo, intende dire? Una specie di pena. Perché v'era un che di penoso in quei due vecchi che per piacere ai giovani radunati in piazza si sgolavano e si sbracciavano sul palcoscenico montato dinanzi a Santa Croce, quindi dinanzi al porticato che un tempo immetteva al Sacrario dei Caduti Fascisti. In loro non vedevo dignità, ecco. A un certo punto l'amico che con me li guardava alla tv ha sussurrato: Ma lo sai che lui militava nella Repubblica di Salò?. Non lo sapevo, no. Come essere umano non mi ha mai interessato. Come giullare, non m'è mai piaciuto. Come autore l'ho sempre bocciato, e la sua biografia non mi ha mai incuriosito. Così sono rimasta sorpresa, io che parlo sempre di fascisti rossi e di fascisti neri. Io che non mi sorprendo mai di nulla e non batto ciglio se vengo a sapere che prima d'essere un fascista rosso uno è stato un fascista nero, prima d'essere un fascista nero uno è stato un fascista rosso. E mentre lo fissavo sorpresa ho rivisto mio padre che nel 1944 venne torturato proprio da quelli della Repubblica di Salò. M'è calata una nebbia sugli occhi e mi sono chiesta come avrebbe reagito mio padre a vedere sua figlia oltraggiata e calunniata in pubblico da uno che era appartenuto alla Repubblica di Salò. Da un camerata di quelli che lo avevano fracassato di botte, bruciacchiato con le scariche elettriche e le sigarette, reso quasi completamente sdentato. Irriconoscibile. Talmente irriconoscibile che, quando ci fu permesso di vederlo e andammo a visitarlo nel carcere di via Ghibellina, credetti che si trattasse d'uno sconosciuto. Confusa rimasi lì a pensare – chi è quest'uomo, chi è quest'uomo – e lui mormorò tutto avvilito: Oriana, non mi saluti nemmeno?. L'ho rivisto in quelle condizioni, sì e mi son detta: Povero babbo. Meno male che non li ascolti, non soffri. Meno male che sei morto.[1]
  • [Su Sheikh Mujibur Rahman] Accesi il registratore e improvvisamente cominciò a comportarsi male. Era così arrogante, così stupido – uno degli uomini più stupidi che ho mai incontrato in vita mia, forse il più stupido. Così io dissi: "Ascolta, Mujib, sappi non andrò avanti così. Se non sei educato, non farò questa intervista." Argh, argh, argh... cominciò a gridare. Gridammo tutti e due, ci fu un grande litigio, e lui disse: "Esci dal mio paese, non tornare più, lascia il mio popolo, lasciaci in pace, lasciaci in pace!" Ed io gli risposi: "Ci puoi scommettere vi lascerò in pace!" E andò avanti così. I Mukti Bahini – i guerriglieri – per poco non mi linciarono per questo, e fui salvata solo da due ufficiali indiani.
I started the tape recorder, and all at once he started behaving so badly. He was so arrogant and so stupid – one of the most stupid men I've ever met in my life, maybe the most stupid. So I said: "Listen, Mujib, I'm not going to go on like this, you know. If you're not polite, I'm not going to do this interview." Argh, argh, argh . . . he started yelling. We both yelled, there was a big fight, and he said: "Get out of my country, don't come back again, leave my people, leave us alone, leave us alone!" And I yelled back: "Be sure I'll leave you alone!" It went on and on and on like that. The Mukti Bahini – the guerrillas – almost lynched me because of that, and I was only saved by two Indian officers.[2]
  • Amo appassionatamente la Toscana. Mi inorgoglisce troppo quello che ha dato al mondo nel campo dell'arte, della scienza, della letteratura, della politica insomma della cultura. E a ogni pretesto parlo e scrivo della Toscana [...]. Però si tratta di un amore poco ricambiato. [...] La Toscana non è né è mai stata una mamma tenera e affettuosa. Quando ha un figlio o una figlia che la ama e la onora anziché amarlo e onorarlo a sua volta mostrando un po' di gratitudine lei lo bistratta, lo perseguita, lo respinge. [...] Esattamente il contrario che oggi si fa con lo straniero che io chiamo l'invasore, cioè col musulmano.[3]
  • Caro Totti, capisco le necessità professionali, ma io non avrei chiesto scusa a nessuno. Erano tre ore che quel danese la prendeva a gomitate, pedate, stincate. Pur non essendo una tifosa di calcio, guardavo ed ho visto tutto. Con sdegno. Unico dissenso: io avrei tirato un cazzotto nei denti e una ginocchiata non le dico dove. Stia bene, dunque, non si rimproveri ed abbia le più vive congratulazioni di Oriana Fallaci.[4][5]
  • [Su ] Certo che m'è piaciuto. Che film triste, però. Tutti quei vecchi, tutti quei preti, quell'aria di disfacimento e di morte... Sono morti anche i vivi, in quel film.[6]
  • Devo chiederle ancora molte cose. Di questo "chador" a esempio, che mi hanno messo addosso per venire da lei e che lei impone alle donne, mi dica: perché le costringe a nascondersi come fagotti sotto un indumento scomodo e assurdo con cui non si può lavorare né muoversi? [...] E comunque non mi riferisco soltanto a un indumento ma a ciò che esso rappresenta: cioè la segregazione in cui le donne sono state rigettate dopo la Rivoluzione. Il fatto stesso che non possano studiare all'università con gli uomini, ad esempio, né lavorare con gli uomini, né fare il bagno in mare o in piscina con gli uomini. Devono tuffarsi a parte con il "chador". A proposito, come si fa a nuotare con il "chador"? [«Tutto questo non la riguarda. I nostri costumi non vi riguardano. Se la veste islamica non le piace, non è obbligata a portarla. Perché la veste islamica è per le donne giovani e perbene.»] Molto gentile. E, visto che mi dice così, mi tolgo subito questo stupido cencio da medioevo.[7]
  • Ferdinandi […] ha per il tailleur lo stesso culto che un coreografo russo può avere per la danza e un cuoco romano per la pastasciutta alla matriciana[8].
  • Parigi è persa: qui l'odio per gli infedeli, è sovrano e gli imam vogliono sovvertire le leggi laiche in favore della sharia.[9]
  • Ho raggiunto ciò che i dottori chiamano la Fine della Strada, e non durerò a lungo. Ma sapere che voi fate quello che fate, pensare che voi sarete qui quando io non ci sarò più, mi aiuta parecchio a esercitare quel dovere contro il nemico. A non dargli pace finché avrò un filo di fiato.[10]
  • Ho sempre avuto l'ossessione della dignità e pensato che la cosa più importante fosse vivere con dignità, ora so che c'è una cosa ancora più difficile, ancora più importante che aver vissuto con dignità: è morire con dignità. E questa è, questa sarà, la vera prova del fuoco.[11]
  • Il fatto è che loro fanno sempre così. È quasi un secolo che fanno così. Che seguono il modello o, se preferisce, il metodo bolscevico anzi stalinista. Perché sa su che cosa si basa il metodo bolscevico anzi stalinista? Nel perseguitare l'avversario attraverso la calunnia e l'oltraggio e la menzogna. Nel diffamarlo, offenderlo, ridicolizzarlo, demonizzarlo. Nell'attribuirgli cose che non ha fatto, cose che non ha detto. Cose che non ha scritto. Infine, nel mandarlo in un gulag o buttarlo dinanzi a un plotone d'esecuzione...[1]
  • [Su Ruhollah Khomeyni] Il suo nome è sulla bocca di tutti, ossessivamente, sia che venga pronunciato con amore sia che venga sibilato con odio: è ormai ciò che in Vietnam era il nome di Ho Ci-min, in Cina il nome di Mao Tse-tung, e nei comizi scatena un tale fanatismo che ieri il primo ministro Bazargan ha perso le staffe. «Se dico Maometto applaudite una volta, se dico Khomeini applaudite tre volte. Al posto del profeta io me ne offenderei.» Non dimentichiamo che a decine di migliaia son morti per ubbidirgli, viene il vomito a guardare il cimitero in cui li hanno sepolti, magari in fosse comuni, e in sostanza non è cambiato nulla dai giorni in cui con quel nome sulle labbra si gettavano inermi contro i carri armati per esser falciati dalle mitragliatrici. Se lui lo esigesse, rifarebbero altrettanto.[7]
  • In America, oggi, il rischio della dittatura non viene dal potere esecutivo: viene dal potere giudiziario. E nel resto dell'Occidente, lo stesso. Pensi all'Italia, dove, come ha capito la Sinistra che se ne serve senza pudore, lo strapotere dei magistrati ha raggiunto vette inaccettabili. Impuniti ed impunibili, sono i magistrati che oggi comandano. Manipolando la Legge con interpretazioni di parte cioè dettate dalla loro militanza politica e dalle loro antipatie personali, approfittandosi della loro immeritata autorità e quindi comportandosi da padroni.[12]
  • Io credo che fin dal momento in cui lo spermatozoo feconda l'ovulo e la cellula primaria diventa due cellule poi quattro poi otto poi sedici insomma prende a moltiplicarsi, noi siamo ciò che saremo. Cioè esseri umani.[13]
  • Io i veli in testa non li porto. Neanche morta. Neanche per coprire i capelli lasciati dalla chemioterapia. (da una lettera a Salvatore Fisichella, 16 agosto 2005[14])
  • Io non mi sono mai sentita tanto viva come dopo una battaglia dalla quale sono uscita viva e indenne. [...] È dopo aver vinto quella sfida che ti senti così vivo. Vivo quanto non ti senti nemmeno nei momenti più ubriacanti di gioia o nei momenti più travolgenti d'amore.[15]
  • Io trovo vergognoso che tanti italiani e tanti europei abbiano scelto come vessillo il signor (si fa così per dire) Arafat. Questa nullità che grazie ai soldi della Famiglia Reale Saudita fa il Mussolini ad perpetuum e che nella sua megalomania credi di passare alla Storia come il George Washington della Palestina. Questo sgrammaticato che quando lo intervisti non riesce nemmeno a compilare una frase completa, un discorso articolato. Sicché per ricomporre il tutto, scriverlo, pubblicarlo, duri una fatica tremenda e concludi che paragonato a lui perfino Gheddafi diventa Leonardo da Vinci. Questo falso guerriero che va sempre in uniforme come Pinochet, mai che indossi un abito civile, e che tuttavia non ha mai partecipato ad una battaglia. La guerra la fa fare, l'ha sempre fatta fare, agli altri. Cioè ai poveracci che credono in lui. Questo pomposo incapace che recitando la parte del Capo di Stato ha fatto fallire i negoziati di Camp David, la mediazione di Clinton. No-no-Gerusalemme-la-voglio-tutta-per-me, Questo eterno bugiardo che ha uno sprazzo di sincerità soltanto quando (en privè) nega a Israele il diritto di esistere, e che come dico nel mio libro si smentisce ogni cinque secondi. Fa sempre il doppio gioco, mente perfino se gli chiedi che ora è, sicché di lui non puoi fidarti mai. Mai! Da lui finisci sistematicamente tradito. Questo eterno terrorista che sa fare solo il terrorista (stando al sicuro) e che negli Anni Settanta cioè quando lo intervistai addestrava pure i terroristi della Baader-Meinhof. Con loro, i bambini di dieci anni. Poveri bambini. (Ora li addestra per farne kamikaze. Cento baby-kamikaze sono in cantiere: cento!). Questa banderuola che la moglie la tiene a Parigi, servita e riverita come una regina, e che il suo popolo lo tiene nella merda. Dalla merda lo toglie soltanto per mandarlo a morire, a uccidere e a morire, come le diciottenni che per meritarsi l'uguaglianza con gli uomini devono imbottirsi d'esplosivo e disintegrarsi con le loro vittime. Eppure tanti italiani lo amano, sì. Proprio come amavano Mussolini. Tanti altri europei, lo stesso.[16]
  • [Su ] L'avvocato padre di famiglia potrà anche riconoscersi in Guido, però resta il fatto che Guido è Fellini. Ma via: sembra un atto testamentario, quel film, un tirare le somme.[6]
  • [Su Virna Lisi] La prima cosa che mi colpì fu il suo volto duro, deciso, stranamente diverso da quello che rendono le fotografie, un volto senza tenerezze o indulgenze, con due occhi freddi, attenti, maschili, gli occhi di una che sa quel che esige e non si perde in metafisiche angosce. La seconda cosa che mi colpì fu la voce: metallica, chiara, sferzante, da solitaria che non si cura di conquistare la simpatia della gente.[17]
  • Ma non esiste solo la violenza fisica. La violenza che nutrendosi di cinismo va in cerca del morto da santificare, che per trovarlo scaglia pietre o estintori contro il carabiniere terrorizzato. La violenza che nutrendosi di cretineria imbratta le facciate degli antichi palazzi, frantuma le vetrine, saccheggia i Mac Donald, brucia le automobili. Che occupa le case e le banche e le fabbriche, che distrugge i giornali e le sedi degli avversari. Che (non avendo studiato la storia loro non lo sanno) ripete gli sconci cari ai fascisti di Mussolini e ai nazisti di Hitler. Esiste anche la violenza morale, perdio. Ed è la violenza che si manifesta con le demagogie e i ricatti, che si esprime con le minacce e le intimidazioni. La violenza che sfruttando la legge umilia la Legge, la ridicolizza. La violenza che servendosi della democrazia oltraggia la Democrazia, la dileggia. La violenza che approfittandosi della libertà uccide la Libertà. La assassina. E questa violenza Firenze la subisce in misura sfacciata. Scandalosa.[18]
  • Monsignore [Salvatore Fisichella], Lei mi ha commosso. Naturalmente sapevo bene chi fosse il Rettore della Lateranense, il vescovo che ragiona al di là degli schemi e senza curarsi dei Politically Correct. Ma a leggere la Sua intervista al Corriere ho rischiato davvero la lacrimina. Io che non piango mai. E mi sono sentita meno sola come quando leggo uno scrittore che si chiama Joseph Ratzinger... [...] Infatti quando venne eletto Papa feci sì capriole di gioia ma nel medesimo tempo pensai: «Oddio. Ora non potrò più vederlo». E con un sospirone avvilito mi rassegnai... (da una lettera a Salvatore Fisichella, giugno 2005[14])
  • Lo scorso agosto venni ricevuta in udienza privata da Ratzinger, insomma da Papa Benedetto XVI. Un Papa che ama il mio lavoro da quando lesse "Lettera a un bambino mai nato" e che io rispetto profondamente da quando leggo i suoi intelligentissimi libri. Un Papa, inoltre, col quale mi trovo d'accordo in parecchi casi. Per esempio, quando scrive che l'Occidente ha maturato una sorta di odio contro sé stesso. Che non ama più sé stesso, che ha perso la sua spiritualità e rischia di perdere anche la sua identità. (Esattamente ciò che scrivo io quando scrivo che l'Occidente è malato di un cancro morale e intellettuale. Non a caso ripeto spesso: «Se un Papa e un'atea dicono la stessa cosa, in quella cosa dev'esserci qualcosa di tremendamente vero»). Nuova parentesi. Sono un'atea, sì. Un'atea-cristiana, come sempre chiarisco, ma un'atea. E Papa Ratzinger lo sa molto bene. Ne "La Forza della Ragione" uso un intero capitolo per spiegare l'apparente paradosso di tale autodefinizione. Ma sapete che cosa dice lui agli atei come me? Dice: «Ok. (L'ok è mio, ovvio). Allora Veluti si Deus daretur. Comportatevi come se Dio esistesse». Parole da cui si deduce che nella comunità religiosa vi sono persone più aperte e più intelligenti che in quella laica alla quale appartengo. [...] E così ci incontrammo, io e questo gentiluomo intelligente. Senza cerimonie, senza formalità, tutti soli nel suo studio di Castel Gandolfo conversammo e l'incontro non-professionale doveva restare segreto. Nella mia ossessione per la privacy, avevo chiesto che così fosse. Ma la voce si diffuse ugualmente. Come una bomba nucleare piombò sulla stampa italiana.[10]
  • [L'intervistatore domanda: "I responsabili degli attacchi terroristici a Londra erano mussulmani nati in Gran Bretagna o cittadini inglesi. Quindi potrebbero essere considerati europei. Crede che per difendere il nostro continente e la civiltà occidentale dovremmo esiliare tutti i mussulmani dell’Europa?"] [L'esilio] Mi fa pensare ai trecentomila ebrei che nel 1492 vennero cacciati dalla Spagna, ai pogrom di cui gli ebrei sono stati vittime nell'intero corso della loro storia. Naturalmente, se volessero andarsene di loro spontanea volontà, non piangerei. Anzi, accenderei un cero alla Madonna. Nel saggio pubblicato giorni fa dal Corriere della Sera, Il nemico che trattiamo da amico, addirittura glielo suggerisco. «Se siamo così brutti, così cattivi, così spregevoli e peccaminosi» gli dico, «se ci odiate e ci disprezzate tanto, perché non ve ne tornate a casa vostra?». Il fatto è che se ne guardano bene. Non ci pensano nemmeno. Ed anche se ci pensassero, come attuerebbero una cosa simile? Attraverso un esodo uguale a quello con cui Mosè portò via gli ebrei dall’Egitto e attraversò il Mar Rosso? Sono troppi, ormai. Calcolando solo quelli che stanno nell’Unione Europea, sostengono i dati più recenti, circa venticinque milioni. Calcolando anche quelli che stanno nei Paesi fuori dell’Unione Europea e nell'ex Unione Sovietica, circa sessanta milioni.[19]
  • Negli Stati Uniti la libertà di protestare è così diffusa che, come un boomerang, essa si rivolge contro la libertà stessa. In altre parole, tutti hanno talmente diritto di offendersi in nome della libertà che la stessa libertà di critica ne risulta compromessa.[20]
  • [...] non la penso come coloro i quali affermano che un feto e a maggior ragione un embrione non è ancora un essere umano. Secondo me, noi siamo ciò che saremo fin dall'istante in cui si accende quella goccia di vita. E l'idea di abortire non mi ha mai sfiorato il cervello. Anzi, mi ha sempre inorridito [...] L'idea che in America si conservino trecentomila embrioni umani congelati e che almeno centomila se ne conservino in Europa, almeno trentamila in Italia, Dio sa quanti in Cina e negli altri paesi senza controllo, mi inorridisce quanto l'idea di aborto. Mi strazia quanto l'esecuzione di Terri [Schiavo] e concludo: non me ne importa nulla che manipolare cioè assassinare quegli embrioni serva a guarire malattie come la sclerosi amiotrofica di Stephen Hawking. Non me ne importerebbe nemmeno se servisse a curare il mio cancro, a regalarmi il tempo di cui ho bisogno per finire il lavoro che rischio di lasciare incompiuto. E l'eutanasia? Idem. La parola eutanasia è per me una parolaccia. Una bestemmia nonché una bestialità [...] il Testamento biologico è una buffonata.[12]
  • [Sulla Moschea di Colle Val d'Elsa] "Non voglio vedere questa moschea, è molto vicina alla mia casa in Toscana. Non voglio vedere un minareto di 24 metri nel paesaggio di Giotto, quando io nei loro paesi non posso neppure indossare una croce o portare una Bibbia. E allora la faccio saltare per aria".
I do not want to see this mosque—it’s very near my house in Tuscany. I do not want to see a twenty-four-metre minaret in the landscape of Giotto. When I cannot even wear a cross or carry a Bible in their country! So I blow it up! [21]
  • Ogni persona libera, ogni giornalista libero, deve essere pronto a riconoscere la verità ovunque essa sia. E se non lo fa è, (nell'ordine): un imbecille, un disonesto, un fanatico. Il fanatismo è il primo nemico della libertà di pensiero. E a questo credo io mi piegherò sempre, per questo credo io pagherò sempre: ignorando orgogliosamente chi non capisce o chi per i suoi interessi e le sue ideologie finge di non capire.[22]
  • Perché loro [i fondamentalisti islamici] hanno qualche cosa che noi non abbiamo ed è la passione. Hanno la fede e la passione. Nel male, in negativo, ma l'hanno. Noi non l'abbiamo più, l'abbiamo persa, la nostra forma di società ha inaridito l'animo, ha inaridito il cuore della gente. Perfino nei rapporti amorosi c'è meno passione. In quanto alla fede, nel nostro mondo è una parola quasi sconosciuta. Loro sono più stupidi di noi ma sono profondamente appassionati, dunque più vitali. Perfino la guerra, che è un atto di passione – passione in negativo, la ferocia, il sangue –, è diventata sterile, pulita. Questa mancanza di passione si riflette nella nostra vita quotidiana perché, al posto della passione, abbiamo il benessere, la comodità, il raziocinio. Tutto quello che siamo è frutto di raziocinio, non di passione.[15]
  • Sai, mi dispiace molto morire. Infatti me ne vado con molti dispiaceri, ma il dispiacere più grosso è averti trovato così tardi e aver passato così poco, troppo poco tempo con te. Non so nemmeno chi eri, com'eri. Di te so soltanto chi sei oggi, una persona nella quale mi riconosco completamente, sebbene io sia completamente diversa da te. (da una lettera a Salvatore Fisichella, maggio 2006[14])
  • [Riferito a Benedetto XVI] Si trova nella situazione più difficile che possa intrappolare un leader del nostro tempo. Difficile da un punto di vista teologico e filosofico. Difficile da un punto di vista politico e umano. [...] Eppure io ho fiducia in lui. Sa, nel mio caso non si tratta di mischiare il diavolo con l'acqua santa: si tratta di esercitare la razionalità.[23]
  • Secondo me, anche quelli con la cittadinanza sono ospiti e basta. O meglio: invasori privilegiati. Poi una cosa è espellere gli allievi terroristi o gli aspiranti terroristi, i clandestini, i vagabondi che vivono rubando o spacciando droga o, meglio ancora, gli imam che predicando la Guerra Santa incitano i loro fedeli a massacrarci. E una cosa è cacciare indiscriminatamente una intera comunità religiosa. L’esilio è una pena che già nell’Ottocento l’Europa applicava con le molle, e solo per qualche individuo. Ai nostri tempi si applica soltanto per i re e le famiglie reali che hanno perso la partita. In parole diverse, non si addice più alla nostra civiltà. Alla nostra etica, alla nostra cultura. E l’idea di trasformarci paradossalmente da vittime in tiranni, da perseguitati in persecutori, è per me inconcepibile.[19]
  • Sono nata a Firenze, il 29-6-1929, da genitori fiorentini: Tosca ed Edoardo Fallaci. Da parte di mia madre, tuttavia, esiste un «filone» spagnolo: la sua bisnonna era di Barcellona. Da parte di mio padre, un «filone» romagnolo: sua madre era di Cesena. Connubio pessimo, com'è ovvio, nei risultati temperamentali. Mi ritengo comunque una fiorentina pura. Fiorentino parlo, fiorentino penso, fiorentino sento. Fiorentina è la mia cultura e la mia educazione. All'estero, quando mi chiedono a quale Paese appartengo, rispondo: Firenze. Non: Italia. Perché non è la stessa cosa.[24]
  • Soprattutto non credo alla frode dell'Islam Moderato. Come protesto nel libro Oriana Fallaci intervista sé stessa e ne L'Apocalisse, quale Islam Moderato?!? Quello dei mendaci imam che ogni tanto condannano per eccidio ma subito dopo aggiungono una litania di «ma», «però», «nondimeno»? È sufficiente cianciare sulla pace e sulla misericordia per essere considerati Mussulmani Moderati? È sufficiente portare giacche e pantaloni invece del djabalah, blue jeans invece del burka o del chador, per venir definiti Mussulmani Moderati? È un Mussulmano Moderato uno che bastona la propria moglie o le proprie mogli e uccide la figlia se questa si innamora di un cristiano? Cari miei, l'Islam moderato è un'altra invenzione. Un'altra illusione fabbricata dall'ipocrisia, dalla furberia, dalla quislingheria o dalla Realpolitik di chi mente sapendo di mentire. L'Islam Moderato non esiste. E non esiste perché non esiste qualcosa che si chiama Islam Buono e Islam Cattivo.
    Esiste l'Islam e basta. E l'Islam è il Corano. Nient'altro che il Corano. E il Corano è il Mein Kampf di una religione che ha sempre mirato ad eliminare gli altri. Una religione che ha sempre mirato a eliminare gli altri. Una religione che si identifica con la politica, col governare. Che non concede una scheggia d'unghia al libero pensiero, alla libera scelta. Che vuole sostituire la democrazia con la madre di tutti i totalitarismi: la teocrazia.[25]
  • [Su ] Tanto lo sappiamo tutti, ormai, che il suo film è autobiografico: sfacciatamente, indiscutibilmente autobiografico. Perfino il cappello di Guido Anselmi è identico al suo. Perfino il modo di buttarsi il cappotto sulle spalle, di camminare, di sorridere. [...] perfino nella stessa capacità di dire bugie. "Menti come respiri", gli dice sua moglie. Oddio: non che a somigliargli lei faccia una gran bella figura. Il ritrattino è spietato: "Pulcinella ipocrita e vigliacco." "Debole, abulico e mistificatore." "Presuntuoso, incerto e imbroglione." "Un tipo che non vuol bene a nessuno." E, per finire, quella ammissione terribile: "Non ho proprio nulla da dire ma lo dico lo stesso".[6]
  • Una religione che si identifica con la politica, col governare. Che non concede una scheggia d'unghia al libero pensiero, alla libera scelta. Che vuole sostituire la democrazia con la madre di tutti i totalitarismo: la teocrazia. Come ho scritto nel saggio "Il nemico che trattiamo da amico", è il Corano non mia zia Carolina che ci chiama «cani infedeli» cioè esseri inferiori poi dice che i cani infedeli puzzano come le scimmie e i cammelli e i maiali. È il Corano non mia zia Carolina che umilia le donne e predica la Guerra Santa, la Jihad. Leggetelo bene, quel "Mein Kampf", E qualunque sia la versione ne ricaverete le stesse conclusioni: tutto il male che i figli di Allah compiono contro di noi e contro sé stessi viene da quel libro. È scritto in quel libro. E se dire questo significa vilipendere l'Islam, Signor Giudice del mio Prossimo Processo, si accomodi pure. Mi condanni pure ad anni di prigione. In prigione continuerò a dire ciò che dico ora. E continuerò a ripetere: «Sveglia, Occidente, sveglia! Ci hanno dichiarato la guerra, siamo in guerra! E alla guerra bisogna combattere».[10]

Dall'intervista a Leopoldo Galtieri

da Revista El porteño, Buenos Aires, agosto de 1982; riportato in Entrevista de la periodista italiana Oriana Fallaci al general Leopoldo Fortunato Galtieri durante el transcurso de la guerra de Malvinas de 1982, Educ.ar, n.d.

  • Perché parla di colonizzazione? I 1.800 abitanti delle Falkland, scusi le Malvine, non erano e sono cittadini britannici? Chi allora colonizzarono gli inglesi? I pinguini?
¿Por qué habla de colonización? Los 1.800 habitantes de las Falklands, perdón las Malvinas, ¿no eran y son ciudadanos británicos? ¿A quién colonizaron entonces los ingleses, a los pingüinos?
  • Non potrebbe essere che quegli isolotti desolati rappresentano ai suoi occhi uno strumento utile per unire un paese diviso e infelice, per fargli dimenticare un'inflazione che è così incontrollabile come grottesco e mostruoso debito estero, che oggi ammonta a 36.000 milioni di dollari, ovvero il fallimento Regime militare politico ed economico che rappresenti?
¿No podría ocurrir que aquellos islotes desolados representen a sus ojos una herramienta útil para unir a un país dividido e infeliz, para hacerlo olvidar una inflación que es tan irrefrenable como grotesca y una deuda externa monstruosa, que hoy asciende a 36.000 millones de dólares, o sea, en otras palabras, del fracaso político y económico del régimen militar que usted representa?
  • Gli argentini sono stati sempre così orgogliosi di considerarsi occidentali, europei, bianchi. Hanno sempre avuto un complesso di superiorità rispetto ad altri paesi Sudamericani.
Los argentinos han sido siempre tan orgullosos en considerarse occidentales, europeos, blancos, han tenido siempre un complejo de superioridad frente a los demás países sudamericanos.
  • Come stabilire una democrazia dopo che migliaia e migliaia di oppositori sono stati massacrati, cioè dopo che il paese è stato privato di così tante giovani vite, così tante menti nuove? E se le piace davvero la democrazia, perché continua a dire che le urne elettorali sono ben custodite?
¿Cómo establecer una democracia después de que miles y miles de opositores han sido masacrados, es decir, después de que el país ha sido privado de tantas vidas jóvenes, de tantas mentes frescas? Y si de verdad le gusta la democracia, ¿por qué sigue diciendo que las urnas electorales están bien guardadas?
  • Il futuro mi sembra piuttosto cupo, signor Presidente. Ci sono molti che dicono che a causa di questa guerra non continuerà a essere presidente a lungo, che i suoi giorni sono contati.
El futuro me parece bastante oscuro para usted, señor presidente. Son muchos los que dicen que a causa de esta guerra usted no continuará siendo presidente mucho tiempo, que sus días están contados.
  • Il problema è che nelle guerre non combattono mai quelli che le dichiarano. Non le vedono nemmeno.
El problema es que en las guerras no pelean nunca aquellos que las declaran. Ni las ven siquiera.
  • La sua è una dittatura, signor Presidente, non dimentichiamolo.
La suya es una dictadura, señor presidente, no lo olvidemos.

Corriere della Sera, 29 settembre 2001

  • E quest'Italia, un'Italia che c'è anche se viene zittita o irrisa o insultata, guai a chi me la tocca. Guai a chi me la ruba, guai a chi me la invade. Perché, che a invaderla siano i francesi di Napoleone o gli austriaci di Francesco Giuseppe o i tedeschi di Hitler o i compari di Usama Bin Laden, per me è lo stesso. Che per invaderla usino i cannoni o i gommoni, idem.
  • Quello che avevo da dire l'ho detto. La rabbia e l'orgoglio me l'hanno ordinato. La coscienza pulita e l'età me l'hanno consentito. Ma ora devo rimettermi a lavorare, non voglio essere disturbata. Punto e basta.
  • Sono molto molto, molto arrabbiata. Arrabbiata d'una rabbia fredda, lucida, razionale. Una rabbia che elimina ogni distacco, ogni indulgenza.

Corriere della Sera, 11 settembre 2002

  • Ero a casa, la mia casa è nel centro di Manhattan, e verso le 9 ho avuto la sensazione d'un pericolo che forse non mi avrebbe toccato ma che certo mi riguardava. Sai, la sensazione che si prova alla guerra, anzi in combattimento, quando con ogni poro della pelle senti la pallottola o il razzo che arriva, e tendi le orecchie e gridi a chi ti sta accanto: «Down! Get down! Giù! Buttati giù». L'ho respinta. Non ero mica in Vietnam, mi son detta. Non ero mica in una delle tante e fottutissime guerre che sin dalla Seconda Guerra Mondiale hanno seviziato la mia vita! Ero a New York, perbacco, in un meraviglioso mattino di settembre. L'11 settembre 2001.
  • Dalle guerre mi ritenevo vaccinata, e in sostanza lo sono. Niente mi sorprende più. Neanche quando mi arrabbio, neanche quando mi sdegno. Però alle guerre io ho sempre visto la gente che muore ammazzata. Non l'ho mai vista la gente che muore ammazzandosi, buttandosi senza paracadute dalle finestre d'un ottantesimo o novantesimo o centesimo piano. Hanno continuato a buttarsi finché, una verso le dieci, una verso le dieci e mezzo, le Torri sono crollate e... Sai, con la gente che muore ammazzata, alle guerre io ho sempre visto roba che scoppia. Che crolla perché scoppia, perché esplode a ventaglio. Le due Torri, invece, non sono crollate per questo. La prima è crollata perché è implosa, ha inghiottito sé stessa. La seconda perché s'è fusa, s'è sciolta proprio come se fosse stata un panetto di burro. E tutto è avvenuto, o m'è parso, in un silenzio di tomba. Possibile?
  • Una domanda, Santità [Papa Giovanni Paolo II]: è vero che tempo fa Lei chiese ai figli di Allah di perdonare le Crociate fatte dai Suoi predecessori per riprendersi il Santo Sepolcro? Ah, sì? Ma loro Le hanno mai chiesto scusa per il fatto d'esserselo preso? Le hanno mai chiesto scusa per il fatto d'aver soggiogato per oltre sette secoli la cattolicissima penisola iberica, tutto il Portogallo e tre quarti della Spagna, sicché se nel 1490 Isabella di Castiglia e Ferdinando d'Aragona non si fossero dati una mossa oggi parleremmo tutti arabo? [...] Santissimo Padre. In tutto rispetto lei mi ricorda i banchieri ebrei-tedeschi che, sperando di salvarsi, negli Anni Trenta prestavano il denaro a Hitler. E che pochi anni dopo si ritrovarono nei forni crematori.
  • [Sulla Repubblica Islamica dell'Afghanistan] Sbaglia chi si consola con le immagini delle poche donne che a Kabul non portano più il burkah e a volto scoperto escono di casa, vanno di nuovo dal dottore, vanno di nuovo a scuola, vanno di nuovo dal parrucchiere. Sbaglia chi si accontenta di vedere i loro mariti che dopo la disfatta dei Talebani si levano la barba come, dopo la caduta di Mussolini, gli italiani si levano il distintivo fascista. Sbaglia perché la barba ricresce e il burkah si rimette. Negli ultimi vent'anni l'Afghanistan è stato un alternarsi di barbe rasate e ricresciute, di burkah tolti e rimessi.
  • Secondo me l'America riscatta la plebe. E con la Plebe Riscattata ti rompi sempre le corna. Il fatto è che l'America è un paese speciale, caro mio. Un paese da invidiare, di cui esser gelosi, per cose che non hanno nulla a che fare con la ricchezza, la potenza, la supremazia militare, eccetera. E sai perché? Perché è nata da un bisogno dell'anima, il bisogno d'avere una patria, e dall'idea più sublime che l'Uomo abbia mai concepito: l'idea della Libertà anzi della libertà sposata all'idea di uguaglianza.
  • Sono tutti plebei, in America. Bianchi, neri, gialli, marroni, viola. Stupidi, intelligenti, poveri, ricchi. Anzi i più plebei sono proprio i ricchi. Nella maggioranza dei casi, certi piercoli! Rozzi, maleducati. Lo vedi subito che non hanno mai letto Monsignor della Casa, che non hanno mai avuto nulla a che fare con la raffinatezza e il buon gusto e la sophistication. Nonostante i soldi che sprecano nel vestirsi sono così ineleganti che, in paragone, la regina d'Inghilterra sembra chic.
  • È la vita. A volte credi che due occhi ti guardino e invece non ti vedono neanche. A volte credi d'aver trovato qualcuno che cercavi e invece non hai trovato nessuno. Succede. E se non succede, è un miracolo. Ma i miracoli non durano mai.

archivio.repubblica.it, 11 gennaio 2009

  • Mentirei se affermassi che l'incontro con Porfirio Rubirosa mi lasciava del tutto indifferente. Sebbene il signor Rubirosa mi abbia sempre turbato pochissimo, anzi per niente, un poco eccitata lo ero: ammettiamolo. È bruttacchiolo, e va bene. Ha un profilo da negroide, e va bene, gli occhi piccoli come fragoline di bosco, e va bene. Se non sapessi che è Rubirosa non mi girerei neanche a guardarlo, e va bene. Ma qualcosa, pensavo, deve pur avere questo Porfirio se gli basta l'alzata di un sopracciglio per portarsi a letto tutte le donne che vuole e sposarsi tutte le miliardarie che crede. Qualcosa che prescinde, è evidente, dal suo aspetto fisico e magari dalle sue capacità di amatore: dopotutto esistono uomini che al primo sguardo non ti dicono nulla e dopo dieci minuti ti fanno perder la testa.
  • Cercai di spiegargli che non gli avrei fatto del male: da un punto di vista patologico, anzi, la conversazione sarebbe stata del tutto indolore. Rispose che il magnetofono lo innervosiva, se non lo chiudevo non avrebbe incominciato a parlare. Chiusi il magnetofono, presi penna e taccuino. Non ottenni nulla di più. Riaprii il magnetofono, incoraggiai e supplicai. Rispose che non aveva niente da dire. Gli chiesi perché allora mi avesse dato l'appuntamento. Tacque e ritacque. Poi smise di tacere per dirmi che non capivo il riguardo che mi aveva usato: detesta i giornalisti, i giornalisti sono stupidi, i giornalisti sono bugiardi, i giornalisti sono infami, mai nella sua vita aveva accettato di parlare con un giornalista, tale eccezione era un sacrificio per me... e poi tacque. Tacque e ritacque. Impiegammo quasi due ore per incidere un nastro di trenta minuti. 
  • Finito il tormento andammo in giardino dove c'era la quinta moglie di Rubi, Odile Rodin, e un'ospite di Rubi, Elsa Martinelli. Colpita dal mio scoramento la Martinelli spiegò che Rubi è assai timido e la timidezza è una virtù molto chic. Poi mi chiese quali altre virtù avessi colto in lui. Risposi non so, non saprei, e perché diavolo piace tanto alle donne? La Martinelli osservò che è un tale brav'uomo. Aggiunse che, siccome era un tale brav'uomo, avrebbe accettato di rivedermi. Grazie a Dio, non accettò.

1968. Dal Vietnam al Messico

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  • [Su Nguyễn Cao Kỳ] È l'uomo più famoso del Vietnam del Sud, e anche il più odiato. Lo odiano i reazionari perché è il più acerrimo nemico dei reazionari, lo odiano i liberali perché è il più acerrimo nemico dei liberali, lo odiano gli americani perché è il più acerrimo nemico degli americani. E sono in molti a pensare che non morirà vecchio, che qualcuno tenterà di eliminarlo assai presto. (p. 163)
  • [Su Nguyễn Cao Kỳ] Per lui il rischio è normalità, la minaccia di morte è routine. Lo sostiene la cieca certezza di potervi passare attraverso come un dio invulnerabile. Forse è un visionario, forse è un tipo assai pratico: altri, ignoranti come lui, vi riuscirono, forse finirà come un Lumumba, forse trionferà come un piccolo Napoleone, oggi il cronista si limita, incerto e perplesso, a riportare ciò che gli disse, e a lasciarne il commento a chi legge. (p. 166)
  • Io credo che Ho Chi Minh l'ascolterebbe con molto interesse e con molta simpatia, generale Ky. È proprio sicuro di non trovarsi dalla parte sbagliata? (p. 170)

I sette peccati di Hollywood

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Chi dice Hollywood pensa subito a Marilyn Monroe. Ma è inutile che cerchiate in questo libretto un ritrattino o una intervista con Marilyn Monroe. Non c'è. Sono stata a Hollywood più di una volta, vi sono rimasta una lunga insopportabile estate, sono entrata nelle case dei divi, ho mangiato con loro, ho fatto il bagno nelle loro piscine. Ho subìto le loro lacrime, le loro bugie, la loro boria, ma non ho mai, dico mai, parlato a quattr'occhi con la signorina Jean Mortenson, in arte Marilyn Monroe. E, tutto sommato, non mi dispiace: sebbene siano molti gli ingenui che mi compiangono per questo. Infatti la mia avventura con la Monroe, che dura ormai tre anni, come una specie di scommessa o maledizione, è la più assurda che possa capitare a una giornalista.

Citazioni

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  • Come tutti i luoghi nati dalla speculazione, alimentati dal troppo denaro e abitati da gente che ieri non aveva nulla e oggi ha tutto, Hollywood è dunque la più strana tra le combinazioni di contrasti.
    Stupida e geniale, corrotta e puritana, divertente e noiosa, è il luogo dove Jack Lemmon manda un telegramma all'ex-moglie Cinthia, che sposa Clift Robertson, complimentandosi per il suo «buon gusto» e dove, tuttavia, una ragazza non può recarsi sola da Ciro's senza provocare indignazione grandissima. (p. 51)
  • La comunità hollywoodiana è la meno democratica che esista in America, divisa in categorie insormontabili a seconda della notorietà, dei guadagni e del prestigio professionale. (p. 55)
  • I divi di Hollywood hanno paura del pubblico, paura dei produttori, paura soprattutto dei giornalisti: che a volte sono i più preziosi alleati, ma a volte i più spietati nemici. (p. 61)
  • [a proposito di Judy Garland] Le vedevo le rughe precoci, e ormai benissimo anche la cicatrice sotto la gola ed ero affascinata da quegli occhi neri, e disperati, in fondo ai quali tremava una disperazione ostinata. (p. 102)
  • A Hollywood non c'è posto per la gente pigra o sfortunata. Soprattutto sfortunata. (p. 116)
  • [a proposito di Frank Sinatra] Da cosa nasca il successo di quest'uomo capriccioso nemmeno gli psicanalisti riescono a dirlo. È gracile, già mezzo calvo, sembra gobbo: una cicatrice profonda gli deturpa la mascella sinistra restando visibile nonostante il cerone. Nessuno negherebbe a cuor leggero che è brutto. (p. 143)
  • Dean era la Sagan tradotta in americano, l'adolescente pazzo per noia romantica, più vicino all'europeissimo Truman Capote e a Oscar Wilde che ai personaggi contadineschi di Peyton Place o ai giovani pazzi ma paesani che si riscontrano nei romanzi americani. (p. 166)
  • [A proposito di Cecil B. DeMille] Era tanto felice che il suo film [I dieci comandamenti] mi fosse piaciuto che, a un tratto, gli perdonai tutto quello che mi aveva fatto soffrire. Sentivo per lui una sorta di tenerezza e di agghiacciante rispetto. Improvvisamente capivo perché lo chiamassero il re, e che non c'era ironia in questo titolo, assai meritato. (p. 180)

Ma i veri morti sono soltanto la piccola cameriera, fallita star, l'attendente del gas station, fallito divo, il tassista petulante, fallito caratterista, che non diventeranno mai «qualcuno» e che se ne andranno a invecchiare come tutti gli uomini normali in qualche altro luogo dove morranno. A Hollywood, dove tutto ricorda un cimitero e si sente puzzo di fiori appassiti, non si muore mai.

Insciallah

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La notte i cani randagi invadevano la città. Centinaia e centinaia di cani che approfittando dell'altrui paura si rovesciavano nelle strade deserte, nelle piazze vuote, nei vicoli disabitati, e da dove venissero non si capiva perché di giorno non si mostravano mai. Forse di giorno si nascondevano tra le macerie, dentro le cantine delle case distrutte, nelle fogne coi topi, forse non esistevano perché non erano cani bensi fantasmi di cani che si materializzavano col buio per imitare gli uomini da cui erano stati uccisi. Come gli uomini si dividevano in bande arse dall'odio, come gli uomini volevano esclusivamente sbranarsi, e il monotono rito si svolgeva sempre con lo stesso pretesto: la conquista d'un marciapiede reso prezioso dai rifiuti di cibo e dal marciume. Avanzavano lenti, in pattuglie guidate da un capopattuglia che era il cane più feroce e più grosso, e all'inizio non li notavi perché procedevano zitti. La strategia dei soldati che strisciano in guardingo silenzio per piombare sul nemico e scannarlo. Ma d'un tratto il capopattuglia lanciava un latrato, quasi lo squillo di una fanfara che annuncia l'attacco, al latrato seguiva un altro latrato, un altro ancora, poi l'abbaiare collettivo del gruppo che si disponeva in cerchio per chiudere il gruppo avversario, stringerlo in un assedio che impedisse la fuga, e scoppiava l'inferno. Rotolando nel marciume aggressori e aggrediti si azzannavano alla gola e alla schiena, si mordevano gli occhi e gli orecchi, si strappavano il ventre, e gli urli di furore assordavano più delle bombe. Non importa quale combattimento lacerasse la notte, quale scontro tra gli uomini, il frastuono dei cani che si ammazzavano per il possesso di un marciapiede superava gli schianti dei razzi, i tonfi dei mortai, i boati dell'artiglieria. E mai un istante di riposo, di tregua. Soltanto quando il cielo sbiadiva nel chiarore violetto dell'alba e le bande si dileguavan lasciando laghetti di sangue, carogne di compagni sconfitti, tornavi a udire i suoni della guerra fatta coi razzi e i mortai e l'artiglieria.

Citazioni

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  • Quanto gli mancava la matematica, quanto la rimpiangeva! Massaggia le meningi come un allenatore massaggia i muscoli di un atleta, la matematica. Le irrora di pensiero puro, le lava dai sentimenti che corrompono l'intelligenza, le porta in serre dove crescono fiori stupendi. I fiori di un'astrazione composta di concretezza, d'una fantasia composta di realtà... [...] No, non è vero che sia una scienza rigida, la matematica, una dottrina severa. È un'arte seducente, estrosa, una maga che può compiere mille incantesimi e mille prodigi. Può mettere ordine nel disordine, dare un senso alle cose prive di senso, rispondere ad ogni interrogativo. Può addirittuta fornire ciò che in sostanza cerchi: la formula della Vita. (I, I, I; p. 13)
  • Chi l'avrebbe mai immaginato che la morte potesse essere una tale carneficina? In Italia la morte era la bisnonna che si spenge di vecchiaia e viene composta sul letto dove sembra dormire tra i fiori e le candele e i parenti che recitano il Requiem Aeternam. Era il motociclista che si sfracella contro un pullman sulla Firenze-Bologna sicché quelli della stradale lo coprono con un panno e passando non vedi che la sagoma incerta di un cadavere e una motocicletta scassata. Era il siciliano che è emigrato a Milano anzi nel tuo quartiere e ha sfidato un altro siciliano e s'è preso la coltellata in pancia sicché la polizia non ti lascia avvicinare e da lontano scorgi solo un lenzuolo sporco di sangue sul quale una donna strilla: «Turiddu, Turiddu!» Era un brivido che si dimentica presto, un funerale e una tomba cui pensi di rado e con malinconia. (I, I, IV; p. 35)
  • Perché bando alle chiacchiere, signori miei: l'infelicità non ha solo il volto della fame e del freddo. Ha anche quello della solitudine che gela quando appartieni a un mondo scomparso o incompreso, quando sei costretto a vivere in un ambiente nel quale non ti riconosci e vieni schernito ridicolizzato perseguitato dalla volgarità. (I, II, IV; p. 71)
  • È una cosa di cattivo gusto, comandare, e spiacevolissima. Perché pone a contatto coi beceri e con gli ottusi, costringe a esercitare la volgarità del potere, limita la libertà sia di chi comanda che di chi è comandato, infine inebria i presuntuosi. (I, III, III; p. 90)
  • È una macchina diabolica, l'esercito, e il militarismo un ingranaggio mortale. Lo sai qual è la ricetta per fotter le reclute fin dal momento in cui arrivano alla caserma, Bernard? Prima si schierano sul piazzale coi loro abiti borghesi affinché ricordino d'appartenere a una società priva di uguaglianza, vale a dire un consorzio nel quale c'è chi veste bene e chi veste male. Poi gli si infila l'uniforme affinché si illudano d'accedere a un sodalizio di uguali, vale a dire un consorzio nel quale tutti vestono i medesimi panni. Subito dopo si rimbecilliscono con le esercitazioni e le marce che stroncano. E-marciando-cantate-così-tenete il passo. (Però il passo non c'entra, Bernard. C'entra che a cantare non pensano, e a non pensare non s'accorgono di venir fottuti.) Infine si cancella la loro personalità, la loro individualità. Perché il soldato non deve essere un individuo, una persona: deve esser parte d un nucleo perfetto che agisce all'unisono. E lo sai qual è l'ingrediente per ottenere un nucleo perfetto o quasi perfetto? L'odio. L'odio collettivo cioè diretto verso lo stesso bersaglio, e non il bersaglio rappresentato dal nemico che la guerra ti procura o ti procurerà: il bersaglio rappresentato da un paria coi gradi di sergente. Il sergente becero, ignorante, di cui subisci la tirannia che gli è stata delegata dal tenente al quale è stata delegata dal capitano al quale è stata delegata dal maggiore al quale è stata delegata dal colonnello al quale è stata delegata dal generale al quale è stata delegata dalla Macchina, a cui hanno insegnato a berciare come a un cantante si insegna a gorgheggiare do-re-mi-fa-sol-la. Sì, gli hanno insegnato a usare la voce per comandarti e sfotterti e umiliarti, Bernard. E lui la usa nel modo prescritto. «Sei laureato, tu? Bene, allora va' a pulire i cessi.» Al contadino e all'operaio, invece: «Razza di piercolo, da che fogna vieni? Non sai nemmeno contare, somaro?» Poi dispetti, addestramenti forzati, canagliate, fino a quando laureati e contadini e operai lo odiano in uguale misura, e il nucleo quasi perfetto è ottenuto. "Quasi" perché manca il tocco finale, l'ingrediente decisivo, e indovina qual è il tocco finale. L'ingrediente decisivo. È l'amore. L'amore concentrato sullo stesso bersaglio che stavolta è il tenente o meglio ancora il capitano. Insomma l'ufficiale buono, comprensivo, paterno, che ascolta e consola e magari si rivolge a te con il Lei. «È laureato, lei? Bravo, me ne rallegro. È contadino, lei? Bravo, me ne compiaccio. È operaio, lei? Bravo, me ne complimento.» Oppure: «Sì, la rampogna del sergente è stata eccessiva: lo rimprovererò a mia volta. Voglio essere un amico, per voi, in caso di bisogno rivolgetevi a me.» Bisogno? Che bisogno? Ormai l'unico bisogno di cui hanno bisogno è ricevere amore, darlo, e dall'odio per il sergente passano all'amore per il tenente o il capitano. Il-mio-capitano. Per il loro capitano accettano qualsiasi sacrificio, qualsiasi martirio, sono pronti a crepare. Con lui salteranno fuori dalla trincea, con lui si lanceranno contro la mitragliatrice che falcia, con lui uccideranno il nemico cioè il disgraziato che dall'altra parte della barricata ha subìto l'identico trattamento, con lui creperanno come bovi al macello. E questo, inutile dirlo, senza che sospettino d'esser le vittime d'un lurido imbroglio, le ruote di un ingranaggio ben oliato e ben collaudato. Perenne. (I, IV, I; pp. 110–112)
  • Il vero soldato mente a sé stesso quando dice di odiare la guerra. Egli ama in modo profondo la guerra. E non perché sia un uomo particolarmente malvagio, assetato di sangue, ma perché ama la vitalità che (per quanto paradossale possa sembrare) la guerra porta dentro di sé. Con la vitalità, la sfida e la scommessa e il mistero di cui essa si nutre. Sul palcoscenico della gran commedia che ha nome "pace" il mistero non esiste. Sai già che lo spettacolo si compone di alcuni atti e che dopo il primo atto vedrai il secondo, dopo il secondo vedrai il terzo: le incognite riguardano solo lo sviluppo della storia narrata e il suo epilogo. Sul palcoscenico della gran tragedia che ha nome "guerra", invece, non sai mai che cosa accadrà. Che tu ne sia spettatore o interprete, ti chiedi sempre se vedrai la fine del primo atto. E il secondo è una possibilità. Il terzo, una speranza. Il futuro, un'ipotesi. Puoi morire in qualsiasi momento, alla guerra, e in qualsiasi momento puoi restar ferito cioè venire tolto dal cast o dal recinto del pubblico. Tutto è un'incognita lì, un interrogativo che tiene col fiato sospeso, ma proprio per questo ci vibri d'una vitalità esasperata. I tuoi occhi sono più attenti, alla guerra, i tuoi sensi più svegli, i tuoi pensieri più lucidi. Scorgi ogni particolare, percepisci ogni odore, ogni rumore, ogni sapore. E, se hai cervello, puoi studiarvi l'esistenza come nessun filosofo potrà mai studiarla: puoi analizzarvi gli uomini come nessun psicologo potrà mai analizzarli, capirli come non potrai mai capirli in un tempo e in un luogo di pace. Se poi sei un cacciatore, un giocatore d'azzardo, ti ci diverti come non ti sei mai divertito e non ti divertirai mai nel bosco o nella tundra o al tavolo della roulette. Perché l'atroce gioco della guerra è la caccia delle cacce, la sfida delle sfide, la scommessa delle scommesse. La caccia all'Uomo, la sfida alla Morte, la scommessa con la Vita. Eccessi di cui il vero soldato ha bisogno. (I, V, I; pp. 145–146)
  • Il linguaggio parlato è per sua natura sciatto e impreciso. Non dà tempo di riflettere, di usar le parole con eleganza e raziocinio, induce a giudizi avventati e non fa compagnia perché richiede la presenza degli altri. Il linguaggio scritto, al contrario, dà tempo di riflettere e di scegliere le parole. Facilita l'esercizio della logica, costringe a giudizi ponderati, e fa compagnia perché lo si esercita in solitudine. Specialmente quando si scrive, la solitudine è una gran compagnia. (I, VI, IV; p. 200)
  • Conosco la tua tesi: «Sei un intellettuale, e un intellettuale non può permettersi le partigianerie della fede o della passione o della morale. Un intellettuale deve identificarsi con tutti, capire tutto e tutti.» D'accordo. Ma chi capisce tutto e tutti finisce con l'assolvere tutto e tutti. Chi assolve tutto e tutti finisce col perdonare tutto e tutti. Chi perdona tutto e tutti non crede a nulla. E chi non crede a nulla, mia cara, è un cinico. Tout court. (il Professore: I, VI, IV; p. 202)
  • Aspettava e la sua piccola mente impazzita d'amore andava alla deriva come una barca senza remi. Fantasie insensate e verità sconcertanti i flutti che la sbatacchiavano nella nebbia della sprovvedutezza e contro gli scogli della disperazione. (II, I, III; p. 233)
  • Non era un uomo libero di andare dove volesse. Era un uccello in gabbia [...] e prigioniero d'una città che per la pace aveva un'antipatia organica. Una città che alla fine lo avrebbe fottuto. In che modo lo avrebbe fottuto non lo sapeva. Però sapeva che lo avrebbe fottuto [...]. (II, II, I; p. 259)
  • Incredibile come il dolore dell'anima non venga capito. Se ti becchi una pallottola o una scheggia si mettono subito a strillare presto-barellieri-il-plasma, se ti rompi una gamba te la ingessano, se hai la gola infiammata ti danno le medicine. Se hai il cuore a pezzi e sei così disperato che non ti riesce aprir bocca, invece, non se ne accorgon neanche. Eppure il dolore dell'anima è una malattia molto più grave della gamba rotta e della gola infiammata, le sue ferite sono assai più profonde e pericolose di quelle procurate da una pallottola o da una scheggia. Sono ferite che non guariscono, quelle, ferite che ad ogni pretesto ricominciano a sanguinare. (II, II, IV; p. 281)
  • Non si dovrebbe mai prenderli sul serio gli scrittori, mai. Chiacchierano per chiacchierare, per mettere insieme belle parole, si approfittano della carta stampata sapendo che sulla carta stampata ogni fanfaluca sembra verità sacrosanta. (II, VI, II; pp. 391–392)
  • Perché malgrado i film sul Vietnam e i giornali e i mesi di addestramento in caserma, non riusciva a cogliere il significato della parola guerra. Non riusciva a capire che roba fosse. Stanotte sì, invece. Poteva dirlo che roba è. È una malattia che sciupa dentro, un cancro che si mangia il cuore, una lebbra che imputridisce l'anima e induce la gente a far cose che in pace non farebbe mai. (II, VI, II; p. 399)
  • La Vita non è uno spettacolo muto o in bianco e nero. È un arcobaleno inesauribile di colori, un concerto interminabile di rumori, un caos fantasmagorico di voci e di volti, di creature le cui azioni si intrecciano o si sovrappongono per tessere la catena di eventi che determinano il nostro personale destino. (il Professore: II, VI, IV; p. 415)
  • Apparteniamo a un'epoca in cui cinema e Tv si sostituiscono alla parola scritta, al racconto scritto, e nel dialogo con il mondo i registi anzi gli attori si sostituiscono agli scrittori. Nessuno infatti, neanch'io, resiste al narcotico richiamo dello schermo, al perpetuo svago offertoci da un sistema di comunicazione che trasforma in pubblico trastullo anche la sacra intimità del sesso e la inviolabile solennità della morte. Soggiogati, ipnotizzati dalla moderna Medusa, passiamo ore a guardar le sue immagini e ascoltare i suoi suoni. Di conseguenza leggiamo assai meno, e molti non leggono più. Ritengono che si possa vivere senza leggere cioè senza la parola scritta, il racconto scritto, gli scrittori. Invece no. No, e non tanto perché lo stesso cinema e la stessa Tv non prescindono dalla parola scritta, dal racconto scritto, dagli scrittori, quanto perché lo schermo non permette e non permetterà mai di pensare come si pensa leggendo: le sue immagini e i suoi rumori distraggono troppo, impediscono di concentrarsi. Oppure suggeriscono riflessioni troppo superficiali e passeggere. Inoltre si preoccupa troppo di stupire e divertire, lo schermo, diverte e stupisce con mezzi troppo rudimentali e giocattoleschi: se ne frega delle tue meningi. È superfluo ricordare che per leggere ci vuole un minimo di meningi cioè di intelligenza e cultura, superfluo sottolineare che qualsiasi idiota o qualsiasi analfabeta con due occhi e due orecchi può guardare le immagini e ascoltare i suoni della moderna Medusa. Ma per vivere, per sopravvivere, è necessario pensare! Per pensare è necessario produrre idee, fornirle! E chi più dello scrittore produce idee? Chi più di lui le fornisce? Lo scrittore è una spugna che assorbe la vita per risputarla sotto forma di idee, è una mucca eternamente incinta che partorisce vitelli sotto forma di idee, è un rabdomante che trova l'acqua in qualunque deserto e la fa zampillare sotto forma di idee: è un mago Merlino, un veggente, un profeta. Perché vede cose che gli altri non vedono, sente cose che gli altri non sentono, immagina e anticipa cose che gli altri non possono né immaginare né anticipare... E non solo le vede, le sente, le immagina, le anticipa: le trasmette. Da vivo e da morto. Cara, nessuna società s'è mai evoluta al di fuori degli scrittori. Nessuna rivoluzione (buona o cattiva che fosse) è mai avvenuta al di fuori degli scrittori. Nel bene e nel male, sono sempre stati gli scrittori a muovere il mondo: cambiarlo. Sicché scrivere è il mestiere più utile che ci sia. Il più esaltante, il più appagante del creato. (il Professore: II, VI, IV; pp. 416–418)
  • Calma, signor mio, calma. Non dimenticare quel che nell'illuminato Settecento diceva il matematico e philosophe Jean-Baptiste d'Alembert. In un'isola selvaggia e disabitata diceva, un poeta (leggi scrittore) non sarebbe molto utile. Un geometra sì. Il fuoco non fu certo acceso da uno scrittore, la ruota non fu certo inventata da un romanziere. Quanto al mestiere più esaltante e più appagante del creato, aggiungerai, domandalo agli scrittori che scrivono ogni ora e ogni giorno per anni, che a un libro immolano la loro esistenza. Ti risponderanno colonnello, crede seriamente che per dare un tale giudizio basti scrivere qualche ora dopocena a Beirut? Crede seriamente che per scrivere un libro basti avere idee o costruire a grandi linee una storia? Crede seriamente che scrivere sia una gioia?!? Glielo spieghiamo noi che cos'è, colonnello. È la solitudine atroce d'una stanza che a poco a poco si trasforma in una prigione, una cella di tortura. È la paura del foglio bianco che ti scruta vuoto, beffardo. È il supplizio del vocabolo che non trovi e se lo trovi fa rima col vocabolo accanto, è il martirio della frase che zoppica, della metrica che non tiene, della struttura che non regge, della pagina che non funziona, del capitolo che devi smantellare e rifare rifare rifare finché le parole ti sembrano cibo che sfugge alla bocca affamata di Tantalo. È la rinuncia al sole, all'azzurro, al piacere di camminare, viaggiare, di usare tutto il tuo corpo: non solo la testa e le mani. È una disciplina da monaci, un sacrificio da eroi, e Colette sosteneva che è un masochismo: un crimine contro sé stessi, un delitto che dovrebb'esser punito per legge e alla pari degli altri delitti. Colonnello, c'è gente che è finita o finisce nelle cliniche psichiatriche o al cimitero per via dello scrivere. Alcoolizzata, drogata, impazzita, suicida. Scrivere ammala, signor mio, rovina. Uccide più delle bombe. (l'immaginaria moglie del Professore: II, VI, IV; p. 418)
  • La paura e i soldi, si sa, mettono a tacere il cuore. (II, II, I; p. 471)
  • Nell'epilogo de La vie en fleur, Anatole France osserva che di rado gli uomini Si mostrano per quel che sono: nella maggior parte dei casi nascondono le azioni che li farebbero odiare o disprezzare ed esibiscono quelle che li fanno stimare e ammirare. Io no: nascondo le azioni che mi farebbero stimare e ammirare, esibisco quelle che mi fanno odiare o disprezzare. Ciò non significa che sia migliore o peggiore degli altri: significa che non sono ipocrita. (Gassàn: III, II, I; pp. 474–475)
  • La storia dell'Uomo è anzitutto e soprattutto una storia di coraggio: la prova che senza il coraggio non fai nulla, che se non hai coraggio nemmeno l'intelligenza ti serve. E il coraggio ha molti volti: il volto della generosità, della vanità, della curiosità, della necessità, dell'orgoglio, dell'innocenza, dell'incoscienza, dell'odio, dell'allegria, della disperazione, della rabbia, e perfino della paura cui rimane spesso legato da un vincolo quasi filiale. (III, III, III; p. 537)
  • [...] il coraggio cieco e sordo e illimitato e suicida, che nasce dall'amore. Non ha confini il coraggio che nasce dall'amore e per amore si realizza. Non tiene conto di alcun pericolo, non ascolta nessuna forma di raziocinio. Pretende di muovere le montagne e spesso le muove. (III, III, III; p. 537)
  • La morte di un amore è come la morte d'una persona amata. Lascia lo stesso strazio, lo stesso vuoto, lo stesso rifiuto di rassegnarti a quel vuoto. Perfino se l'hai attesa, causata, voluta per autodifesa o buonsenso o bisogno di libertà, quando arriva ti senti invalido. Mutilato. (III, IV, III; p. 568)
  • Sai l'odore che i drogati chiamano profumo e che invece è puzzo. Un antipaticissimo puzzo di merda bruciata e di rosmarino, di muschio marcio e di resina, soave e insieme pungente, morbido e insieme piccante, stomachevole, fetido quanto l'ingordigia dei vampiri che per restare ricchi producono e commerciano droga. Un penosissimo puzzo che è il puzzo della debolezza, della fiacchezza, della viltà. Infatti piace a chi non ha il coraggio di affrontare la vita, a chi non ha i coglioni per tenere in vita la vita, a chi non ha la fantasia che ci vuole per apprezzarla nonostante le sue durezze e le sue porcherie e i suoi orrori, a chi non ha l'intelligenza di amarla. (III, VI, VII; p. 743)
  • Si muore talmente meglio quando si crede a qualcosa. Si muore talmente di meno. (III, VI, VII; p. 748)
  • È come chiedermi se esiste la formula della Vita... Le risponderò dunque con una frase straordinaria che mi capitò di udire mentre guardavo con occhi distratti il brano d'un film. Straordinaria, sì. Così straordinaria che mi piacerebbe sapere se si trattava d'un famoso aforisma uscito dalla mente d'un grande filosofo oppure d'una semplice battuta uscita dalla penna d'uno sceneggiatore geniale. Eccola: "La vita non è un problema da risolvere. È un mistero da vivere".[26] Lo è, caro amico, lo è. Credo che nessuno possa sostenere il contrario. Quindi la formula esiste. Sta in una parola. Una semplice parola che qui si pronuncia ad ogni pretesto, che non promette nulla, che spiega tutto, e che in ogni caso aiuta: Insciallah. Come Dio vuole, come a Dio piace, Insciallah. (Ninette: III, VI, VIII; p. 760)
  • Rifiuto di rinunciare a me stesso e rassegnarmi. Un uomo rassegnato è un uomo morto prima di morire, ed io non voglio essere morto prima di morire. Non voglio morire da morto! Voglio morire da vivo! (il Professore: III, VI, IX; p. 764)
  • Sì, sto dicendo che è troppo facile dar la colpa alla guerra, rifugiarsi dietro l'entità astratta che chiamiamo guerra e a cui ci riferiamo come a una specie di peccato originale, di maledizione divina. Il discorso da affrontare non è sulla guerra. È sugli uomini che fanno la guerra, sui soldati, sul mestiere più antico più inalterabile più intramontabile che esista dacché esiste la vita. (il Professore: III, VI, IX; p. 766)
  • Potrei risponderti che l'euforia dei giorni in cui suonavo la grancassa delle voluttà letterarie e degli eroismi creativi s'è spenta perché mi son reso conto che oltre ad essere un sacrificio mostruoso, una solitudine atroce, un supplizio di Tantalo, il supplizio del rifare e rifare e rifare, il masochismo di cui parlava Colette, scrivere è qualcosa di peggio: un perpetuo scontento di sé stessi e quindi un perpetuo processo a sé stessi, una perpetua condanna di sé stessi. (il Professore: III, VI, IX; p. 770)

Rachid bloccò il timone. Innescò il detonatore, e tutto si svolse come Angelo aveva dimostrato col suo problema di trigonometria. Radice quadrata di 13,66² + 5² – 2 x 5 x 13,66 x cos60². E incrostati di sangue, sciancati, tignosi, alcuni con un occhio solo, un orecchio solo, tre zampe e basta, eppure bellissimi, morti milioni di volte, miliardi di volte, eppure vivi, vivi quindi immortali, quella notte i cani randagi tornarono a invadere la città.

Intervista con il Potere

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Era morto l'uomo che amavo e m'ero messa a scrivere un romanzo che desse senso alla tragedia. Per scriverlo m'ero esiliata in una stanza al primo piano della mia casa in Toscana ed era stato come infilarsi in un tunnel di cui non si intravede la fine, uno spiraglio di luce. La stanza era in realtà un corridoio brevissimo, arredato con alcuni scaffali di libri, un tavolino, una sedia, e male illuminato da una mezza finestra che s'apriva su un campo di ulivi. Al bordo del campo e proprio sotto la mezza finestra, un pero su cui mi cadeva lo sguardo quando alzavo gli occhi in cerca di sole.

Citazioni

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Fallaci intervistando Ruhollah Khomeyni
  • Quanto all'Occidente, osservava in imbarazzato silenzio e chi aveva salutato con entusiasmo l'avvento dell'ayatollah confessava quasi a denti stretti il proprio errore o pentimento. La cosiddetta sinistra, quella sinistra per cui una rivoluzione va sempre assolta e chi non è d'accorso su questo è un fascista, tentava addirittura di giustificare lo scempio. «Devi capire che la rivoluzione non è un invito a nozze.» «Pensa a Robespierre e alle migliaia di ghigliottinati durante il Terrore, pensa a Lenin e alle centinaia di migliaia liquidati con le Grandi Purghe.» «Non dimenticare che certi eccessi sono inevitabili e necessari. Non è la prima volta che la rivoluzione divora i propri figli.» Non avevano detto le stesse cose, del resto, quando la libertà era stata assassinata in Polonia e in Cecoslovacchia e in Ungheria e nella Germania dell'Est, quando i sogni erano stati traditi a Cuba e in Vietnam? Non s'erano forse macchiati della stessa malafede, gli ipocriti, non s'erano forse rifugiati dietro la stessa disonestà, lo stesso timore d'apparir reazionari? Lo sapevo ben io che fino al giorno in cui avevo raccontato le infamie viste a Saigon, le colpe degli americani e dei sudvietnamiti e dei Loan, me l'ero cavata benissimo: conquistando orde di ammiratori e di amici. «Gran giornalista, grande scrittrice, gran donna.» Però appena avevo raccontato le infamie viste ad Hanoi, le colpe dei nordvietnamiti e dei vietcong e dei Giap, ero stata linciata sui loro giornali. E gli ammiratori s'erano trasformati in dispregiatori, gli amici in nemici: «Mascalzona, calunniatrice, serva del Pentagono. Ha offeso la rivoluzione!».
    La rivoluzione. È dalla presa della Bastiglia che l'Occidente vive nella bugia chiamata rivoluzione. È da allora che questa parola equivoca ci ricatta come una parola santa, in quanto tale ci viene imposta come sinonimo di libertà-uguaglianza-fraternità, simbolo del riscatto e del progresso, speranza per gli oppressi. È da allora che le stragi compiute in suo nome vengono assolte, giustificate, accettate, che i suoi figli vengono macellati dopo aver macellato: convinti che essa sia la cura di ogni cancro, la panacea di ogni male. Ma rispettosamente la pronunciamo, rispettosamente la studiamo a scuola, rispettosamente la analizziamo nei trattati di politologia e nei saggi di filosofia. Rispettosamente non osiamo contestarla, rifiutarla, sbugiardarla sputando in faccia agli imbecilli e ai violenti che se ne servono per carriera. (pp. 36–37)
  • Ma com'era successo che Muammar Gheddafi avesse poi fagocitato il comando della cosiddetta rivoluzione, ne fosse diventato il profeta e il messia? Ecco la domanda che mi tormentava mentre mi recavo da lui. Ed era la stessa domanda che m'aveva tormentato ogni volta in cui m'ero trovata dinanzi a un presuntuoso impostore, a un babbeo vestito da dittatore, da profeta, da messia: ma come ha fatto a riuscirsi questo cretino? Non sa neanche parlare, neanche incuter paura: è un poveraccio qualsiasi, senza cervello e senza carisma. In più è buffo. Come ha fatto, mioddio, come? (pp. 144–144)
  • L'Africa Nera restava per il colonnello un impero da conquistare agitando i nobili intenti, una colonia da convertire in un'altra crociata all'inverso. Voleva recuperarla all'Islam, indurre all'abitura anche le nazioni che di Maometto non volevan saperne, e a tal scopo aizzava le minoranze mussulmane, provocava colpi di stato o rivolte nel Niger, nel Mali, nel Senegal, nel Gambia, nel Camerun, nel Ghana, nell'Alto Volta, in Nigeria. Quasi ciò non bastasse, teneva a Tripoli i capi di quelle minoranze e col pretesto di dargli ospitalità li trattava come ostaggi da ricattare. (p. 158)
  • Come avrei scoperto nei giorni seguenti, era assolutamente vero che i libici non si avvilivano a fare i facchini, gli spazzini, le domestiche, i camerieri, i manovali, i proletari in genere. Loro eran tutti burocrati o militari o commercianti o stradenti o fannulloni. Il lavoro che umilia e affatica, da essi ritenuto volgare e disdicevole, era sempre fatto da egiziani o pakistani o tunisini o algerini o turchi o sudanesi o altri africani, e anche da europei dell'Est e dell'Ovest. Mai da un libico. Perfino nelle imprese edilizie, nei porti, nei pozzi di petrolio, la quasi totalità degli operai era straniera. Circa settecentomila per una popolazione di due milioni e mezzo. Ben pagati, sì, ma esiliati ai margini della società e condannati a un'esistenza che escludeva ogni conforto, ogni diritto, ogni divertimento, ogni piacere incluso il piacere di bere un bicchiere di vino o una birra e andare a letto con una donna. (p. 167)
  • Gheddafi conosceva le lingue occidentali e in particolare l'inglese, lui conosceva tutto, ma il pattriottismo gli impediva di usare una lingua diversa dall'arabo. (p. 175)
  • Forse avrei dovuto mostrare un po' più di generosità, e andarmene in punta di piedi. Ma ormai lo odiavo talmente che avrei dato la vita pur di colpirlo con un'ultima coltellata.
    «Colonnello, posso farle un'ultima domanda?»
    «Sì, ma breve» rispose. «La delegazione iraniana mi aspetta. Devo far liberare quegli ostaggi.»
    «Lei crede in Dio?»
    «Ovvio che credo in Dio! Perché mi chiede una cosa simile?»
    «Perché credevo che Dio fosse lei, colonnello.»
    Mi guardò senza capire. (p. 206)

Generale Sharon, lei crede in Dio?
Bè, non sono religioso. Non lo sono mai stato sebbene segua certe regole della religione ebraica come non mangiare il maiale. Non mangio il maiale. Però credo in Dio. Sì, penso di poter dire che credo in Dio.
Allora lo preghi, anche per quelli che non ci credono. Perché ho una gran paura che lei stia per cacciarci tutti in un guaio apocalittico.

Intervista con la storia

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Quest'uomo troppo famoso, troppo importante, troppo fortunato, che chiamavano Superman, Supersyar, Superkraut, e imbastiva alleanze paradossali, raggiungeva accordi impossibili, teneva il mondo col fiato sospeso come se il mondo fosse la sua scolaresca di Harvard. Questo personaggio incredibile, inspiegabile, in fondo assurdo, che s'incontrava con Mao Tse-tung quando voleva, entrava nel Cremlino quando ne aveva voglia, svegliava il presidente degli Stati Uniti e poi entrava in camera quando lo riteneva opportuno. Questo cinquantenne con gli occhiali a stanghetta, dinanzi al quale James Bond diventava un'invenzione priva di pepe. Lui non sparava, non faceva a pugni, non saltava da automobili in corsa come James Bond, però consigliava le guerre, finiva le guerre, pretendeva di cambiare il nostro destino e magari lo cambiava. Ma insomma chi era questo Henry Kissinger?

Citazioni

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  • [Parlando di Henry Kissinger] [...] ogniqualvolta gli rivolgevo una domanda precisa [su se stesso], si irrigidiva e sfuggiva come un'anguilla. Un'anguilla più ghiaccia del ghiaccio. Dio, che uomo di ghiaccio. Per tutta l'intervista non mutò mai quella espressione senza espressione, quello sguardo ironico o duro, e non alterò mai il tono di quella voce monotona, triste, sempre uguale.
  • [Parlando di Henry Kissinger] Pesava ogni frase fino al milligrammo, non gli scappava nulla che non intendesse dire, e ciò che diceva rientrava sempre nella meccanica di una utilità.
  • Poi, un anno dopo, Kissinger divenne segretario di Stato al posto di Rogers. A Stoccolma, gli dettero perfino il premio Nobel per la Pace. Povero Nobel. Povera Pace.
  • [Parlando di Nguyễn Văn Thiệu] La sera andava a letto assai tardi. Fino alle due del mattino non dormiva mai. Addormentandosi lasciava la radio accesa, così la radio restava accesa anche mentre dormiva. Era così abituato a dormire con la radio accesa, anzi a distinguer nel sonno la musica delle parole, che quando la musica cessava e il notiziario incominciava lui apriva subito gli occhi e ascoltava con lucida mente. Non credessi con ciò, tuttavia, che non sapesse apprezzare la vita. A volte giocava a tennis, andava a cavallo, e tre o quattro volte la settimana si faceva proiettare un film. Storie sentimentali, western, judo e karaté. L'unica cosa che non aveva tempo di fare era leggere.
  • [Parlando di Nguyễn Văn Thiệu] Niente in lui denunciava la diabolica astuzia grazie a cui è rimasto fino a oggi un tiranno protetto da un esercito di un milione di uomini e da un corpo di polizia che semina stragi.
  • [Parlando di Nguyễn Văn Thiệu] Sembrava così piccolo, così perduto, così solo. Sembrava il simbolo stesso di un paese schiaccato, sfruttato, umiliato dagli interessi di chi fa e disfa il destino altrui come un balocco.
  • [Parlando di Võ Nguyên Giáp] Era l'uomo il cui nome veniva pronunciato più spesso durante la guerra in Vietnam. E non perché fosse il ministro della Difesa ad Hanoi, il comandante in capo delle Forze Armate, il vice primo ministro, ma perché era colui che aveva sconfitto i francesi a Dien Bien Phu. Gli americani vivevan nell'incubo di una nuova Dien Bien Phu e, appena le cose andavano peggio, si diceva: «È Giap che prepara una nuova Dien Bien Phu». Oppure, semplicemente: «È Giap».
  • [Parlando di Võ Nguyên Giáp] I bambini li spaventi sussurrando «Ora chiamo l'orco». Gli americani li spaventavi sussurrando «Ora viene Giap».
  • [Parlando di Võ Nguyên Giáp] Maestro del sabotaggio, usava dire che la guerriglia avrebbe sempre avuto ragione delle armi moderne. E va da sé che a Dien Bien Phu aveva vinto coi cannoni. Cento cannoni trasportati dai vietminh pezzo per pezzo, sulle spalle, con le biciclette, in marce forzate e senza cibo. Se Dien Bien Phu era costata ai francesi dodicimila morti, a Giap era costata ben quarantacinquemila morti.
  • [Parlando di Võ Nguyên Giáp] Alla sua durezza non era estraneo il cinismo e infatti aveva ben poco in comune con gli austeri marxisti di Hanoi. Indossava sempre uniformi nuove e ben stirate, abitava in una bella palazzina coloniale, costruita dai francesi, possedeva un'automobile con le tendine, e s'era riposato con una bella ragazza di molti anni più giovane di lui. Insomma, non conduceva affatto l'esistenza di un monaco o di un Ho Chi Minh.
  • [Parlando di Võ Nguyên Giáp] Gli occhi eran gli occhi più intelligenti, forse, che avessi mai visto. Acuti, astuti, ridenti, crudeli: tutto. Brillavano quanto due gocce di luce, bucavano quanto due coltelli affilati, e trasmettevano una tal sicurezza. Una tale autorità.
  • [Parlando di Norodom Sihanouk] [...] puoi dire ciò che vuoi su Sihanouk: che è un atroce bugiardo, uno squinternato, un imbroglione, un avventuriero, una macchietta internazionale; ma anche se la pensi così, non puoi negare come, in un'epoca che politicamente sembra generare solo personaggi grigi ottusi noiosi e comunque privi di fantasia, egli sia una specie di miracolo. Lo riconoscono perfino gli americani cui si deve la famosa battuta: «Su un punto dobbiamo trovarci irrimediabilmente d'accordo: Non esiste nessuno, su questa Terra, come Sihanouk».
  • [Parlando di Norodom Sihanouk] L'intervista che mi concesse parla da sé: è tra gli autoritratti più genuini che mi sia capitato di registrare. Peccato che la parola scritta non renda la sua vocetta stridula, i suoi occhietti che roteano adirati, le sue piccole braccia che si agitano in un danzare di mani grassocce.
  • [Parlando di Golda Meir] A mio avviso, anche se non si è affatto d'accordo con lei, con la sua politica, la sua ideologia, non si può far a meno di rispettarla, ammirarla, anzi volerle bene.
  • [Parlando di Golda Meir] Certo la femminilità è un'opinione, però a me Golda sembrò una femmina in tutto e per tutto. Quel pudore dolce, ad esempio. Quell'ingenuità quasi incredibile e pensare che poteva essere così smaliziata e furba quando nuotava tra i vortici della politica.
  • [Parlando di Yasser Arafat] Se ci pensi bene, del resto, ti accorgi che la sua fama esplose più per la stampa che per le sue gesta: dall'ombra lo tirarono fuori i giornalisti occidentali e in particolare americani, sempre bravissimi nell'inventar personaggi o montarli. [...] Della resistenza palestinese è davvero un artefice, o uno degli artefici, e uno stratega. O uno degli strateghi. Il portavoce di Al Fatah lo fa per davvero a Mosca. A Rabat e al Cairo ci va per davvero. Ma ciò non significa, tantomento significava, che egli fosse il leader dei palestinesi in guerra. E, comunque, fra tutti i palestinesi che incontrai, Arafat resta quello che mi impressionò meno di tutti.
    O dovrei dire quello che mi piacque meno di tutti? Una cosa è certa: egli non è un uomo nato per piacere. È un uomo nato per irritare. Avvertire simpatia per lui è difficile. Anzitutto per il silenzioso rifiuto che oppone a chiunque tenti un approccio umano: la sua cordialità è superficiale, la sua gentilezza è formale, e un nulla basta a renderlo ostile, freddo, arrogante. Si scalda solo quando si arrabbia.
  • A mio parere, in un'intervista, non sono le domande che contano ma le risposte. Se una persona ha talento, puoi chiederle la cosa più banale del mondo: ti risponderà sempre in modo brillante e profondo. Se una persona è mediocre, puoi porle la domanda più acuta del mondo: ti risponderà sempre in modo mediocre.
  • [Parlando di Yasser Arafat] Egli reagì [all'intervista] quasi sempre con discorsi allusivi o evasivi, giri di frase che non contenevano nulla fuorché la sua intransigenza retorica, il suo costante timore di non persuadermi. E nessuna volontà di considerare, sia pure in un gioco dialettico, il punto di vista altrui. Né basta osservare come l'incontro tra un arabo che crede alla guerra e un'europea che non ci crede più sia un incontro immensamente difficile. Anche perché quest'ultima resta imbevuta del suo cristianesimo, del suo odio per l'odio, e l'altro invece resta infagottato dentro la sua legge dell'occhio-per-occhio-dente-per-dente: epitome di ogni orgoglio.
  • [Parlando di Indira Gandhi] Questa donna incredibile che governava su quasi mezzo miliardo di creature e che aveva addirittura vinto una guerra avversata dagli Stati Uniti e dalla Cina. Si diceva: nessuno riuscirà a cacciarla dal trono che, democraticamente, si è conquistata. Si diceva: continuerà vent'anni a essere il primo ministro dell'India e, poiché ha passato da qualche tempo la cinquantina, può restarvi tutta la vita. In fondo, era l'unica vera regina del nostro tempo.
  • [Parlando di Indira Gandhi] Capirla era impresa inquietante. La sua personalità sfuggiva a ogni tentativo di fissarla in un colore, una forma precisa. Era troppe cose insieme, e tutte in contrasto fra loro. A molti non piaceva. E la definivano arrogante, cinica, ambiziosa, spietata. La accusavano di pressappochismo ideologico, doppiogiochismo, demagogia. A molti piaceva, invece, fino all'innamoramento. E la definivano forte, coraggiosa, generosa, geniale. La esaltavano per il buonsenso, l'equilibrio, l'onestà. Tra quelli cui non piaceva trovavi spesso uomini. Tra quelli cui piaceva, trovavi spesso donne.
  • [Parlando di Indira Gandhi] Quando si è capo del popolo più religioso del mondo, ci vuol fegato a dire che non si crede negli dèi ma nell'Uomo.
  • [Parlando di Zulfiqar Ali Bhutto] L'uomo era imprevedibile, bizarro, portato ai colpi di testa, alle decisioni insolite. E molto intelligente, ammettiamolo. D'una intelligenza astuta, volpina, nata per incantare, imbrogliare, e allo stesso tempo nutrita di cultura, di memoria, fiuto. Nonché d'una grande signorilità.
  • [Parlando di Zulfiqar Ali Bhutto] Più lo studiavi e più restavi incerto, confuso. Come un prisma che gira su un perno, ti offriva sempre una faccia diversa e nell'attimo stesso in cui si concedeva al tuo esame se ne sottraeva. Così potevi definirlo in mille modi e ogni modo era vero: liberale e autoritario, fascista e comunista, sincero e bugiardo. Senza dubbio era uno dei leader più complessi del nostro tempo e l'unico interessante che il suo paese abbia dato finora.
  • [Parlando di Zulfiqar Ali Bhutto] Il potere è una passione più travolgente dell'amore. E chi ama il potere ha lo stomaco forte, il naso ancora più forte. I cattivi odori non gli danno fastidio. A Bhutto non davano fastidio. Egli amava il potere. Di che natura fosse questo potere era difficile indovinarlo. Lui stesso ne dava una risposta ambigua, ti metteva in guardia contro i politici che dicono la verità o esibiscono una morale da boy-scout sprovveduti. Ascoltandolo eri portato a credere che la sua ambizione fosse nobile, che intendesse davvero costruire un socialismo disinteressato e sincero. Ma poi visitavi la sua splendida biblioteca, a Karachi, e scoprivi che al posto d'onore v'erano lussuosi volumi su Mussolini e su Hitler: rilegati in argento.
  • [Parlando di Pietro Nenni] Sarebbe stato uno splendido presidente della Repubblica, e ci avrebbe fatto bene averlo al Quirinale. Ma non glielo permisero, non ce lo permisero. I suoi amici prima ancora dei suoi nemici.
  • [Parlando di Giulio Andreotti] Lui parlava con la sua voce lenta, educata, da confessore che ti impartisce la penitenza di cinque Pater, cinque Salve Regina, dieci Requiem Aeternam, e io avvertivo un disagio cui non riuscivo a dar nome. Poi, d'un tratto, compresi che non era disagio. Era paura. Quest'uomo mi faceva paura. Ma perché?
  • [Parlando di Giulio Andreotti] A chi fa paura un malatino, a chi fa paura una tartaruga? A chi fanno male? Solo più tardi, molto tardi, realizzai che la paura mi veniva proprio da queste cose: dalla forza che si nascondeva dietro queste cose. Il vero potere non ha bisogno di tracotanza, barba lunga, vocione che abbaia. Il vero potere ti strozza con nastri di seta, garbo, intelligenza.
  • [Parlando di Giulio Andreotti] L'intelligenza, perbacco se ne aveva. Al punto di potersi permettere il lusso di non esibirla. A ogni domanda sgusciava via come un pesce, si arrotolava in mille giravolte, spirali, quindi tornava per offrirti un discorso modesto e pieno di concretezza. Il suo humor era sottile, perfido come bucature di spillo. Lì per lì non le sentivi le bucature ma dopo zampillavano sangue e ti facevano male.
  • [Parlando di Haile Selassie] È ancora difficile, per un italiano, scrivere spassionatamente del defunto Ailé Selassié. Perché è arduo dimenticare che lo aggredimmo, lo insultammo, lo derubammo del suo paese con l'inutile guerra che Mussolini gli scatenò addosso quarantadue anni fa [...] Più che imbarazzo, senso di colpa. Anzi vergogna. E così a tale colpa, a tale vergogna, gli italiani che oggi si accostano al ricordo di Ailé Selassié reagiscono vedendone esclusivamente i lati migliori: i meriti del passato. I suoi ritratti grondano sempre ossequio eccessivo, ammirazione incondizionata, lusinghe. Raccontano sempre la sua compostezza ieratica, la sua dignità regale, la sua intelligenza acutissima, la sua generosità verso gli ex nemici. Non spiegano mai chi fosse in realtà il sovrano da noi reso vittima. Non osano dirci se era qualcosa di meno e qualcosa di più che una vittima. Ad esempio un vegliardo irrigidito in princìpi disfatti da secoli. Ad esempio il padrone assoluto di un paese che non ha mai udito le parole diritto, democrazia, e appena fuori città vive ai limiti della preistoria: oppresso dalla fame, dalle malattie, dall'ignoranza, dallo squallore di un regime feudale che non conoscemmo neppure nel Medioevo più buio.
  • Nel 1935 avemmo anche noi il nostro Vietnam. Si chiamava Etiopia.
  • [Parlando di Haile Selassie] Durò più di un ora il colloquio. Sua Maestà rispondeva a fatica, con interminabili pause, ansimando. Spesso, poi, non capiva ciò che gli chiedevo evitando allusioni dirette. Forse perché non sapeva il francese come affermava, forse perché la sua vecchia mente non seguiva i concetti. E mi toccava ripetere, sopportar la sua stizza che a tratti diventava offensiva: «Ètudiez! Ètudiez!». Cosa dovevo studiare? La buona creanza o l'ipocrisia o le mille cose che i re non sanno? All'ultima domanda, infine, si spaventò. Era una domanda sulla morte. E Sua Maestà non amava la parola morte. Aveva troppa paura di morire, lui che mandava gli altri a morire con tanta facilità.
  • Il pane, in Etiopia, è un cibo da ricchi. Il piatto nazionale, in Etiopia, è l'ingera: una trippa di pasta grigia, molle. La si mangia inzuppata di berberé, un sugo micidiale, composto di peperoncini e cipolle tritate. Il berberé toglie lo stimolo della fame, l'ingera gonfia lo stomaco. La carne si mangia soltanto due o tre volte all'anno, cruda. La ragione di ciò è che l'Etiopia è il paese col reddito pro capite più basso del mondo.
  • In Etiopia si ignorava perfino cosa fossero le elezioni, cosa fosse il voto. Se qualcuno avesse spiegato a un pastore del Gondar che aveva diritto d'esprimere la sua opinione e manifestarla con una cosa che si chiama voto, egli sarebbe ritenuto beffato e non ci avrebbe creduto. Naturalmente, non esistevano partiti politici. Neanche clandestini. La polizia segreta era organizzatissima, i telefoni erano controllati, e perfino gli stranieri avevano paura a esprimere un punto di vista che non coincidesse con quello dell'imperatore. Per un nulla si poteva essere accusati di lesa maestà, e finire in prigione o impiccati. Il fatto era che l'imperatore non credeva all'Etiopia inserita in un clima di libertà e di democrazia, e non stimava molto il suo popolo. Con le persone di cui si fidava ripeteva sempre, con sprezzo: «Vous savez, ces gens...». E citava l'esempio del Congo: «Ecco cosa succede a dare la libertà a certa gente».
  • Agli inizi del suo regno Ailé Selassié introdusse in Etiopia la radio. Più tardi, i giornali e la televisione. Malgrado ciò, anche ad Addis Abeba non si sapeva nulla di ciò che accadeva nel resto del mondo. Sia la radio che i giornali e la televisione servivano solo come strumenti di propaganda reale.
  • Vi erano due argomenti proibiti con Ailé Selassié: L'Eritrea e il ruolo che il principe ereditario Asfa Wossen ebbe nel colpo di Stato del 1960. Il colpo di Stato fu condotto mentre l'imperatore era in Brasile e i suoi protagonisti furono i fratelli Menghistu e Girmané Neway. Né l'uno né l'altro erano ambiziosi o cattivi. Erano solo due tipi stanchi del regime feudale, sinceramente convinti alla causa della giustizia sociale e della libertà. Neanche comunisti, si potevano definire due socialdemocratici con un programma di riforme e non di rivoluzione.
  • [Parlando di Haile Selassie] I suoi veri amici erano gli americani cui consentiva il controllo politico ed economico del paese e ai cui consiglieri militari aveva consegnato l'esercito, l'aviazione, i servizi segreti. I suoi veri nemici erano i sovietici che aizzavano Gibuti all'indipendenza e aiutavano il Sudan che a sua volta aiutava l'Eritrea. Però andò anche a Mosca e l'Etiopia era piena di bulgari, di rumeni, di polacchi, di jugoslavi, insomma di ambasciate comuniste. Ailé Selassié andava d'accordo coi paesi arabi però chiamò gli israeliani a istruire la polizia segreta, la polizia criminale e la Guardia Imperiale. Con loro aveva in comune tutto l'interesse a non perdere i porti di Asmara e di Assab. I suoi rapporti erano ottimi anche coi francesi, nel timore che rinunciassero a Gibuti. Restavano freddini solo con gli inglesi: non gli aveva mai perdonato il distacco con cui lo avevano accolto durante l'esilio. E, sebbene gli inglesi lo avessero rimesso sul trono, nessuno lo aveva mai udito pronunciare una parola nella loro lingua. Che conosceva benissimo.
  • Ailé Selassié era molto superstizioso e disperatamente attaccato alla vita. Ogni anno si recava a Ginevra dove si sottoponeva a cure di ringiovanimento e sembra che spesso rinnovasse il suo sangue con sangue giovane e fresco. Lo affliggeva un principio di arteriosclerosi. Ma la sua morte era più temuta dagli altri che da lui stesso. Il suo talento politico, infatti, non era stato abbastanza vasto da preparare il giorno in cui egli non ci sarebbe stato più. La sua genialità non era stata abbastanza completa da piantare un solido seme quando il suo sarebbe seccato. Le sue vecchie mani non avevano mai mollato o delegato il potere. Il suo vecchio cuore non aveva mai superato il principio dell'après-moi-le-déluge. Forse la morte gli faceva tanta paura perché sapeva che Ailé Selassié rischiava d'essere l'ultimo imperatore d'Etiopia, Leone di Giuda, Eletto di Dio, Potenza della Trinità, Re dei Re.
  • [Parlando di Mohammad Reza Pahlavi] [...] malgrado tre ore di domande e risposte l'uomo restava un mistero. Era idiota, ad esempio, o intelligente? Probabilmente è come Bhutto, un personaggio dove i contrasti più paradossali si fondono per regalare alla tua ricerca un enigma. Crede ai sogni premonitori, ad esempio, alle visioni, a un infantile misticismo, e poi discute sul petrolio come un esperto. (Lo è). Governa come un re assolutista, ad esempio, e poi si rivolge al popolo col tono di chi crede al popolo e lo ama: dirigendo una Rivoluzione Bianca che a quanto pare qualche sforzino lo fa per combattere l'analfabetismo e il sistema feudale. Ritiene che le donne vadano giudicate alla stregua di accessori graziosi, incapaci di pensare come un uomo e poi, in una società dove le donne portano ancora il velo, ordina addirittura alle ragazze di fare il servizio militare. Ma insomma che è questo Mohammad Reza Pahlavi che da trentadue anni siede solidamente sul trono più scottante del mondo? Appartiene all'epoca dei tappeti volanti o a quella dei computer? È un residuo del profeta Maometto o un accessorio dei pozzi di Abadan? Io non l'ho capito.
  • Ciò che ogni creatura degna d'esser nata dovrebbe cercare non esiste. È un sogno che si chiama Libertà, che si chiama Giustizia. E piangendo bestemmiando soffrendo noi possiamo solo rincorrerlo dicendo a noi stessi che quando una cosa non esiste la si inventa. Non abbiamo fatto lo stesso con Dio? Non è forse il destino degli uomini quello di inventare ciò che non esiste e battersi per un sogno?
  • La natura umana è così inesplicabile, ciò che divide il bene dal male è un filo talmente sottile, talmente invisibile. Non dissi nulla e pensai che, a volte, quel filo si spezza tra le tue mani mischiando il bene e il male in un mistero che ti smarrisce. In quel mistero, non osi più giudicare un uomo.
  • [Parlando di Giorgio Amendola] V'era in quell'omaccione burbero, sanguigno, sassosso, una delicatezza quasi femminile. (BUR 1977, p. 314)

Alekos, cosa significa essere un uomo?
Significa avere coraggio, avere dignità. Significa credere nell'umanità. Significa amare senza permettere a un amore di diventare un'àncora. Significa lottare. E vincere. Guarda, più o meno quel che dice Kypling in quella poesia intitolata Se. E per te cos'è un uomo?
Direi che un uomo è ciò che sei tu, Alekos.[27]

La forza della ragione

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Uomo piccante e mordace, esperto in difficili Scienze e dai giovani colti assai amato, dall'istesso Papa Giovanni ammirato e stimato ma dai nemici invidiosi assai odiato, nel 1327 Messer Francesco da Ascoli meglio noto come Mastro Cecco scrisse un polemico saggio che chiamò «Sfera Armillare». Saggio ove parlando de' tempi suoi sostenea cose tanto malgradite all'Inquisizione quanto care al popolo savio e ai savi allievi della Scuola Filosofica da lui aperta in Firenze.

Citazioni

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  • E chi crede nel mito della «pacifica convivenza» che secondo i collaborazionisti caratterizzava i rapporti tra conquistati e conquistatori farebbe bene a rileggersi le storie dei conventi e dei monasteri bruciati, delle chiese profanate, delle monache stuprate, delle donne cristiane o ebree rapite per essere rinchiuse negli harem. Farebbe bene a riflettere sulle crociffisioni di Cordova, sulle impiccagioni di Granada, sulle decapitazioni di Toledo e di Barcellone, di Siviglia e di Zamora. (I; p. 39)
  • Ma, soprattutto, basta ricordare ciò che Boumedienne (dal quale Ben Bella era stato destituito con un colpo di Stato tre anni dopo l'indipendenza dell'Algeria) disse nel 1974 dinanzi all'Assemblea delle Nazioni Unite: «Un giorno milioni di uomini abbandoneranno l'emisfero sud per irrompere nell'emisfero nord. E non certo da amici. Perché vi irromperanno per conquistarlo. E lo conquisteranno popolandolo con i loro figli. Sarà il ventre delle nostre donne a darci la vittoria»". (I; p.53)
  • Un giorno chiesi a un funzionario della Questura per quale motivo al maghrebino fosse consentito di infrangere l'art. 556. E la risposta fu: «Per motivi di ordine pubblico». Circonlocuzione che tradotta in parole semplici significa: « Per non farcelo nemico, per non irritare i suoi connazionali e i loro favoreggiatori». E che, tradotta in parole oneste, vuol dire: «Per paura». (I; p. 56)
  • Fu proprio dinanzi alla basilica di Santa Croce, ed esattamente sul sagrato dove Fra' Accursio aveva letto la condanna a morte di Mastro Cecco, che fui esposta al pubblico oltraggio. Istigato, questo, da un vecchio giullare [Dario Fo] della repubblica di Salò. Cioè da un fascista rosso che prima d'essere fascista rosso era stato fascista nero quindi alleato dei nazisti che nel 1934, a Berlino, bruciavano libri degli avversari.
  • Anzi m'indigno e indignata chiedo a che cosa serva essere cittadini, avere i diritti dei cittadini. Chiedo dove cessino i diritti dei cittadini e dove incomincino i diritti degli stranieri. Chiedo se gli stranierii abbiano il diritto di avanzare diritti che negano i diritti dei cittadini, che ridicolizzano le leggi dei cittadini, che offendono le conquiste civili dei cittadini. Chiedo, insomma, se gli stranieri contino più dei cittadini. Se siano una sorta di supercittadini, davvero i nostri feudatari. I nostri padroni.
  • Gliela rivendiamo attraverso una Chiesa Cattolica che non sa più dove va e che sul pietismo, il buonismo, il vittimismo ha costruito un'industria. (Sono le associazioni cattoliche che amministrano il sussidio statale agli immigrati. Sono le associazioni cattoliche che si oppongono alle espulsioni anche se chi deve essere espulso è stato colto con l'esplosivo o con la droga in mano. Sono le associazioni cattoliche che procurano l'asilo politico, nuova formula dell'invasione. Domanda: ma l'asilo politico non si dava ai perseguitati politici?!?).
  • I mediocri del Politically Correct negano sempre il merito. Sostituiscono sempre la qualità con la quantità. Ma è la qualità che muove il mondo, cari miei, non la quantità. Il mondo va avanti grazie ai pochi che hanno qualità, che valgono, che rendono, non grazie a voi che siete tanti e scemi.
  • Basta ricordare ciò che Boumedienne (dal quale Ben Bella era stato destituito con un colpo di Stato tre anni dopo l'indipendenza dell'Algeria) disse nel 1974 dinanzi all'Assemblea delle Nazioni Unite: «Un giorno milioni di uomini abbandoneranno l'emisfero sud per irrompere nell'emisfero nord. E non certo da amici. Perché vi irromperanno per conquistarlo. E lo conquisteranno popolandolo coi loro figli. Sarà il ventre delle nostre donne a darci la vittoria»
  • «Signor Presidente della Commissione Europea, so che in Italia La chiamano Mortadella. E di ciò mi dolgo per la mortadella che è uno squisito e nobile insaccato di cui andar fieri, non certo per Lei che in me suscita disistima fin dal 1978. Ossia dall'anno in cui partecipò a quella seduta spiritica per chiedere alle anime del Purgatorio dove i brigatisti nascondessero il rapito Aldo Moro e attraverso il gioco del piattino un'anima ben informata rispose che lo nascondevano in un posto chiamato Gradolí. Non mi parve serio, Monsieur. Meglio: non mi parve rispettoso, pietoso, umano, nei riguardi di Moro che stava per essere ucciso. Quando poi si scoprì che lo avevan nascosto nel covo d'una strada chiamata per l'appunto via Gradolí fui colta da uno strano disagio. E supplicai il Padreterno di tenerLa lontana dalla politica. [...]
  • Perbacco, su questo pianeta nessuno difende la propria identità e rifiuta d'integrarsi come i musulmani. Nessuno. Perché Maometto la proibisce, l'integrazione. La punisce. Se non lo sa, dia uno sguardo al Corano. Si trascriva le sure che la proibiscono, che la puniscono. Intanto gliene riporto un paio. Questa, ad esempio: "Allah non permette ai suoi fedeli di fare amicizia con gli infedeli. L'amicizia produce affetto, attrazione spirituale. Inclina verso la morale e il modo di vivere degli infedeli, e le idee degli infedeli sono contrarie alla Sharia. Conducono alla perdita dell'indipendenza, dell'egemonia, mirano a sormontarci. E l'Islam sormonta. Non si fa sormontare". Oppure questa: "Non siate deboli con il nemico. Non invitatelo alla pace. Specialmente mentre avete il sopravvento. Uccidete gli infedeli ovunque si trovino. Assediateli, combatteteli con qualsiasi sorta di tranelli".
    In parole diverse, secondo il Corano dovremmo essere noi ad integrarci. Noi ad accettare le loro leggi, le loro usanze, la loro dannata Sharia.
  • Signor Vicepresidente del Consiglio [Gianfranco Fini], Lei mi ricorda Palmiro Togliatti. Il comunista più odioso che abbia mai conosciuto, l'uomo che alla Costituente fece votare l'articolo 7 ossia quello che ribadiva il Concordato con la Chiesa Cattolica.
    E che pur di consegnare l'Italia all'Unione Sovietica era pronto a farci tenere i Savoia, insomma la monarchia. Non a caso quelli della Sinistra La trattano con tanto rispetto anzi con tanta deferenza, su di Lei non rovesciano mai il velenoso livore che rovesciano sul Cavaliere, contro di Lei non pronunciano mai una parola sgarbata, a Lei non rivolgono mai la benché minima accusa.
    Come Togliatti è capace di tutto. Come Togliatti è un gelido calcolatore e non fa mai nulla, non dice mai nulla, che non abbia ben soppesato ponderato vagliato per Sua convenienza. (E meno male se, nonostante tanto riflettere, non ne imbrocca mai una). Come Togliatti sembra un uomo tutto d'un pezzo, un tipo coerente, ligio alle sue idee, e invece è un furbone. Un maestro nel tenere il piede in due staffe. Dirige un partito che si definisce di Destra e gioca a tennis con la Sinistra. Fa il vice di Berlusconi e non sogna altro che detronizzarlo, mandarlo in pensione. [...]
    Signor Fini, ma perché come capolista dell'Ulivo non si presenta Lei?
  • Ascoltami bene perché, l'ho già detto, io non scrivo per divertimento o per soldi. Scrivo per dovere. Un dovere che ormai mi costa la vita. E per dovere questa tragedia l'ho guardata bene, l'ho studiata bene. Negli ultimi due anni non mi sono occupata d'altro, per non occuparmi d'altro ho ignorato perfino me stessa. E mi piacerebbe morire pensando che tanto sacrificio è servito a qualcosa.
  • Il declino dell'intelligenza è declino della Ragione. E tutto ciò che oggi accade in Europa, in Eurabia, ma soprattutto in Italia è declino della Ragione. Prima d'essere eticamente sbagliato è intellettualmente sbagliato. Contro Ragione. Illudersi che esista un Islam buono e un Islam cattivo ossia non capire che esiste un Islam e basta, che tutto l'Islam è uno stagno e che di questo passo finiamo con l'affogar dentro lo stagno, è contro Ragione. Non difendere il proprio territorio, la propria casa, i propri figli, la propria dignità, la propria essenza, è contro Ragione. Accettare passivamente le sciocche o ciniche menzogne che ci vengono somministrate come l'arsenico nella minestra è contro Ragione. Assuefarsi, rassegnarsi, arrendersi per viltà o per pigrizia è contro Ragione. Morire di sete e di solitudine in un deserto sul quale il Sole di Allah brilla al posto del Sol dell'Avvenir è contro Ragione. E contro Ragione anche sperare che l'incendio si spenga da sé grazie a un temporale o a un miracolo della Madonna.
  • Signor Cavaliere, noi due non ci amiamo. Si sa. Ma il comportamento che quella gente tiene verso di Lei è così incivile, così insopportabile, così ributtante, quindi offensivo per la libertà e la democrazia, che a portarvi un benché minimo e involontario contributo mi vergognerei.

Nel mio "Wake up, Occidente, sveglia Occidente" dicevo che abbiamo perso la passione, che bisogna ritrovare la forza della passione. E Dio sa se è vero. Per non assuefarsi, non rassegnarsi, non arrendersi, ci vuole passione. Per vivere ci vuole passione. Ma qui non si tratta di vivere e basta. Qui si tratta di sopravvivere. E per sopravvivere ci vuole la Ragione. Il raziocinio, il buonsenso, la Ragione. Così stavolta non mi appello alla rabbia, all'orgoglio, alla passione. Mi appello alla Ragione. E insieme a Mastro Cecco che di nuovo sale sul rogo acceso dell'irragionevolezza ti dico : bisogna ritrovare la Forza della Ragione.

Citazioni su La forza della ragione

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  • Fra cinquant'anni libri come "La forza della ragione" verranno guardati con lo stesso orrore con cui oggi si guarda il "Mein Kampf" e ci si chiederà come sia stato possibile. (Massimo Fini)

La rabbia e l'orgoglio

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Mi chiedi di parlare, stavolta. Mi chiedi di rompere almeno stavolta il silenzio che ho scelto, che da anni mi impongo per non mischiarmi alle cicale. E lo faccio. Perché ho saputo che anche in Italia alcuni gioiscono come l'altra sera alla Tv gioivano i palestinesi di Gaza. "Vittoria! Vittoria!" Uomini, donne, bambini. Ammesso che chi fa una cosa simile possa essere definito uomo, donna, bambino. Ho saputo che alcune cicale di lusso, politici o cosiddetti politici, intellettuali o cosiddetti intellettuali, nonché altri individui che non meritano la qualifica di cittadini, si comportano sostanzialmente nello stesso modo. Dicono: "Bene. Agli americani gli sta bene." E sono molto molto, molto arrabbiata. Arrabbiata d'una rabbia fredda, lucida, razionale. Una rabbia che elimina ogni distacco, ogni indulgenza. Che mi ordina di rispondergli e anzitutto di sputargli addosso. Io gli sputo addosso.

Citazioni

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  • A me dà fastidio perfino parlare di due culture: metterle sullo stesso piano come se fossero due realtà parallele, di uguale peso e di uguale misura. Perché dietro la nostra civiltà c'è Omero, c'è Socrate, c'è Platone, c'è Aristotele, c'è Fidia. C'è l'antica Grecia col suo Partenone e la sua scoperta della Democrazia. C'è l'antica Roma con la sua grandezza, le sue leggi, il suo concetto della legge. Le sue sculture, la sua letteratura, la sua architettura. I suoi palazzi e i suoi anfiteatri, i suoi acquedotti, i suoi ponti, le sue strade. C'è un rivoluzionario, quel Cristo morto in croce, che ci ha insegnato (e pazienza se non lo abbiamo imparato) il concetto dell'amore e della giustizia. C'è anche una Chiesa che mi ha dato l'Inquisizione, d'accordo. Che mi ha torturato e bruciato mille volte sul rogo, d'accordo. Che mi ha oppresso per secoli, che per secoli mi ha costretto a scolpire e dipingere solo Cristi e Madonne, che mi ha quasi ammazzato Galileo Galilei. Me lo ha umiliato, me lo ha zittito. Però ha dato anche un gran contributo alla Storia del Pensiero: sì o no? E poi dietro la nostra civiltà c'è il Rinascimento. C'è Leonardo da Vinci, c'è Michelangelo, c'è Raffaello, c'è la musica di Bach e di Mozart e di Beethoven. Su su fino a Rossini e Donizetti e Verdi and Company. Quella musica senza la quale noi non sappiamo vivere e che nella loro cultura o supposta cultura è proibita [...]. Ed ora ecco la fatale domanda: dietro all'altra cultura che c'è? Boh! Cerca cerca, io non ci trovo che Maometto col suo Corano e Averroè coi suoi meriti di studioso.
  • Io non vado a rizzare tende alla Mecca. Io non vado a cantar Paternostri e Avemarie dinanzi alla tomba di Maometto. Io non vado a fare pipì sui marmi delle loro moschee, non vado a fare la cacca ai piedi dei loro minareti. Quando mi trovo nei loro paesi (cosa dalla quale non traggo mai diletto) non dimentico mai d'essere un'ospite e una straniera. Sto attenta a non offenderli con abiti o gesti o comportamenti che per noi sono normali e per loro inammissibili. Li tratto con doveroso rispetto, doverosa cortesia, mi scuso se per sbadatezza o ignoranza infrango qualche loro regola o superstizione. E questo urlo di dolore e di sdegno io te l'ho scritto avendo dinanzi agli occhi immagini che non sempre mi davano le apocalittiche scene con le quali ho incominciato il discorso. A volte invece di quelle vedevo l'immagine per me simbolica (quindi infuriante) della gran tenda con cui un'estate fa i mussulmani somali sfregiarono e smerdarono e oltraggiarono per tre mesi piazza del Duomo a Firenze. La mia città.
  • La gente come me ha un bel dire: io-con-la-chiesa-cattolica-non-c'entro. C'entro, ahimè c'entro.
  • Intimiditi come siete dalla paura d'andar contro corrente cioè d'apparire razzisti (parola oltretutto impropria perché il discorso non è su una razza, è su una religione), non capite o non volete capire che qui è in atto una Crociata alla rovescia. Abituati come siete al doppio gioco, accecati come siete dalla miopia, non capite o non volete capire che qui è in atto una guerra di religione. Una guerra che essi chiamano Jihad. Guerra Santa. Una guerra che non mira alla conquista del nostro territorio, forse, ma che certamente mira alla conquista delle nostre anime. Alla scomparsa della nostra libertà e della nostra civiltà. All'annientamento del nostro modo di vivere e di morire, del nostro modo di pregare o non pregare, del nostro modo di mangiare e bere e vestirci e divertirci e informarci. Non capite o non volete capire che se non ci si oppone, se non ci si difende, se non si combatte, la Jihad vincerà. E distruggerà il mondo che bene o male siamo riusciti a costruire, a cambiare, a migliorare, a rendere un po' più intelligente cioè meno bigotto o addirittura non bigotto. E con quello distruggerà la nostra cultura, la nostra arte, la nostra scienza, la nostra morale, i nostri valori, i nostri piaceri [...].
  • Cristo! Non vi rendete conto che gli Usama Bin Laden si ritengono autorizzati a uccidere voi e i vostri bambini perché bevete il vino o la birra, perché non portate la barba lunga o il chador, perché andate al teatro e al cinema, perché ascoltate la musica e cantate le canzonette, perché ballate nelle discoteche o a casa vostra, perché guardate la televisione, perché portate la minigonna o i calzoncini corti, perché al mare o in piscina state ignudi o quasi ignudi, perché scopate quando vi pare e dove vi pare e con chi vi pare? Non v'importa neanche di questo, scemi? Io sono atea, graziaddio. E non ho alcuna intenzione di lasciarmi ammazzare perché lo sono.
  • Tengo alla metrica, al ritmo della frase, alla cadenza della pagina, al suono delle parole. E guai alle assonanze, alle rime, alle ripetizioni non volute. La forma mi preme quanto la sostanza. Penso che la forma sia un recipiente dentro il quale la sostanza si adagia come un vino dentro un bicchiere, e gestire questa simbiosi a volte mi blocca.
  • Ma vi sono momenti, nella Vita, in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo. Un dovere civile, una sfida morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre.
  • Dio, quanto mi fanno schifo i voltagabbana! Quanto li odio, quanto li disprezzo! I voltagabbana in Italia sono sempre esistiti in abbondanza: d'accordo. Io mi diletto di Storia, e so bene che gli italiani sono sempre stati dei voltagabbana. Per rendersene conto basta ricordare come si comportarono i sindaci toscani ai tempi degli Asburgo-Lorena. Come saltavano dal Granduca a Napoleone e da Napoleone al Granduca. Però mai quella sconcezza ha raggiunto le vette disgustose di oggi. E la cosa più tremenda sai qual è? È che, essendovi abituati, gli italiani non se ne scandalizzano affatto. Anzi si meravigliano se uno resta fedele alle sue idee.
  • Il fatto è che l'America è un paese speciale, caro mio. [...] Perché trasforma i sudditi in cittadini. Perché trasforma la plebe in Popolo. Perché la invita anzi le ordina di governarsi, d'esprimere le proprie individualità, di cercare la propria felicità. Tutto il contrario di ciò che il comunismo faceva proibendo alla gente di ribellarsi, governarsi, esprimersi, arricchirsi, e mettendo Sua Maestà lo Stato al posto dei soliti re. "Il comunismo è un regime monarchico, una monarchia di vecchio stampo. In quanto tale taglia le palle agli uomini. E quando a un uomo gli tagli le palle non è più un uomo" diceva mio padre. Diceva anche che invece di riscattare la plebe il comunismo trasformava tutti in plebe. Rendeva tutti morti di fame.
  • Le cose scritte possono fare un gran bene ma anche un gran male, guarire oppure uccidere.

Stop. Quello che avevo da dire l'ho detto. La rabbia e l'orgoglio me l'hanno ordinato. La coscienza pulita e l'età me l'hanno consentito. Ora basta. Punto e Basta.

Citazioni su La rabbia e l'orgoglio

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  • Un testo italiano recente, esempio concreto di neorazzismo, ma che è stato apprezzato e diffuso per il suo presunto coraggio nel dire le cose come stanno (secondo la vile retorica corrente) [...], che Annamaria Rivera cita per la metafora zoologica applicata dalla giornalista fiorentina alle persone di fede musulmana che la ossessionavano: "Orinano nei battisteri [...] si moltiplicano come topi". (Lorenzo Guadagnucci)

Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam

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  • L'Islam è immenso, e il Pakistan è una minuscola parte dell'Islam: certo tra le più progredite. (p. 23)
  • Non esiste pappagallismo nei paesi dell'Islam: il rispetto formale verso una donna è assoluto. Eppure, né in una moschea, né in un tranvai, né in un cinematografo, né a un ricevimento, le donne possono mischiarsi alla folla degli uomini. (p. 24)
  • C'è molto sole sui paesi dell'Islam: un sole bianco, violento che acceca. Ma le donne mussulmane non lo vedono mai: i loro occhi sono abituati all'ombra come gli occhi delle talpe. Dal buio del ventre materno, esse passano al buio della casa paterna, da questa al buio della casa coniugale, da questa al buio della tomba. (pp. 24–25)
  • La repubblica turca fu dall'inizio una repubblica laica: così piacevolmente laica che i ministri di qualsiasi religione ebbero fin dall'inizio il divieto, ancora in vigore, d'indossare l'abito sacerdotale. Eppure la rivoluzione sessuale e sociale delle mussulmane in Turchia resta la più duratura e violenta che abbia scosso il mondo dell'Islam, ed è anche una presente minaccia per tutti i paesi dell'Islam. (p. 34)
  • Quando un uomo ha un passato clamoroso lo senti anche se lo nasconde: perché il passato resta scritto sul volto, negli occhi. Sul volto di Arafat, invece, non trovi che quella maschera impostagli da madre natura: non da esperienze pagate. V'è qualcosa di verde in lui, di non ancora fatto. Se ci pensi bene, del resto, ti accorgi che la sua fama esplose più per la stampa che per le sue gesta: dall'ombra lo tirarono fuori i giornalisti occidentali e in particolare americani, sempre bravissimi nell'inventar personaggi o montarli. (p. 87)
  • Saddam se ne frega dei suoi soldati. (p. 337)
  • [Su Saddam Hussein] Un codardo che si nasconde nei bunker mentre il suo popolo muore. (p. 338)

Lettera a un bambino mai nato

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A chi non teme il dubbio a chi si chiede i perché‚ senza stancarsi e a costo di soffrire di morire A chi si pone. il dilemma di dare la vita o negarla questo libro é dedicato da una donna per tutte le donne. Stanotte ho saputo che c'eri: una goccia di vita scappata dal nulla. Me ne stavo con gli occhi spalancati nel buio e d'un tratto, in quel buio, s'è acceso un lampo di certezza: sì, c'eri. È stato come sentirsi colpire in petto da una fucilata. Mi si è fermato il cuore. E quando ha ripreso a battere con tonfi sordi, cannonate di sbalordimento, mi sono accorta di precipitare in un pozzo dove tutto era incerto e terrorizzante. Ora eccomi qui chiusa a chiave dentro una paura che mi bagna il volto, i capelli, i pensieri. E in essa mi perdo. Cerca di capire: non è paura degli altri. Io non mi curo degli altri. Non è paura di Dio. Io non credo in Dio. Non è paura del dolore. Io non temo il dolore. È paura di te, del caso che ti ha strappato al nulla, per aggangiarti al mio ventre. Non sono mai stata pronta ad accoglierti, anche se ti ho molto aspettato.

Citazioni

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  • E tu mi sei venuto accanto, mi hai detto: Ma io ti perdono, mamma. Non piangere. Nascerò un'altra volta. Splendide parole, bambino, ma parole e basta. Tutti gli spermi e tutti gli ovuli della terra uniti in tutte le possibili combinazioni non potrebbero mai creare di nuovo te, ciò che eri e che avresti potuto essere. Tu non rinascerai mai più. Non tornerai mai più. E continuo a parlarti per pura disperazione.
  • Molte donne si chiedono: metter al mondo un figlio, perché? Perché abbia fame, perché abbia freddo, perché venga tradito ed offeso, perché muoia ammazzato alla guerra o da una malattia? E negano la speranza che la sua fame sia saziata, che il suo freddo sia scaldato, che la fedeltà e il rispetto gli siano amici, che viva a lungo per tentar di cancellare le malattie e la guerra. (p. 8)
  • Essere donna è così affascinante. È un'avventura che richiede un tale coraggio, una sfida che non annoia mai.
  • Essere donne è una scuola di sangue: tutti i mesi offriamo a noi stesse il suo spettacolo odioso.
  • Essere mamma non è un mestiere. Non è nemmeno un dovere. È solo un diritto tra tanti diritti.
  • Ma il niente è da preferirsi al soffrire? Io perfino nelle pause in cui piango sui miei fallimenti, le mie delusioni, i miei strazi, concludo che soffrire sia da preferirsi al niente.
  • Neanche per un uomo la vita è facile, sai? Poiché avrai muscoli più saldi, ti chiederanno di portare fardelli più pesanti, ti imporranno arbitrarie responsabilità. Poiché avrai la barba, rideranno se tu piangi e perfino se hai bisogno di tenerezza. Eppure, o proprio per questo, essere un uomo sarà un'avventura meravigliosa: un'impresa che non ti deluderà mai. Essere un uomo significa essere una persona.
  • Ti chiederò solo di sfruttare bene il miracolo d'essere nato, di non cedere mai alla viltà. È una bestia che sta sempre in agguato, la viltà. Ci morde tutti, ogni giorno, e son pochi coloro che non si lasciano sbranare da lei. In nome della prudenza, in nome della convenienza, a volte della saggezza. Vili fino a quando un rischio li minaccia, gli umani diventan spavaldi dopo che il rischio è passato. Non dovrai evitare il rischio, mai: anche se la paura ti frena. Venire al mondo è già un rischio. Quello di pentirsi, poi, d'esserci venuti."
  • Tra un uomo e una donna ciò che chiamano amore è una stagione. E se al suo sbocciare questa stagione è una festa di verde, al suo appassire è solo un mucchio di foglie marce.
  • Una volta nato non ti dovrai scoraggiare, dicevi: neanche a soffrire, neanche a morire. Se uno muore vuol dire che è nato, che è uscito dal niente, e niente è peggiore del niente: il brutto è dover dire di non esserci stato.
  • Per incominciare, avrai da batterti per sostenere che se Dio esistesse potrebbe anche essere una vecchia coi capelli bianchi o una bella ragazza. Poi avrai da batterti per spiegare che il peccato non nacque il giorno in cui Eva colse una mela: quel giorno nacque una splendida virtù chiamata disubbidienza. Infine avrai da batterti per dimostrare che dentro il tuo corpo liscio e rotondo c'è un'intelligenza che urla d'essere ascoltata.
  • Quelle belle scarpine, ad esempio. Sono belle per me ma per te? Griderai ed urlerai quando te le infilerò. Ti daranno fastidio, son certa. Ma io te le infilerò lo stesso, magari sostenendo che hai freddo, e un po' alla volta ti ci abituerai. Ti piegherai, domato, fino a soffrire se ti mancheranno.

Spero che i miei consigli ti siano serviti. Spero che tu non abbia mai urlato l'atroce bestemmia "perché‚ sono nato?". Spero che tu abbia concluso che ne valeva la pena: a costo di soffrire, a costo di morire. Sono così orgogliosa d'averti tirato fuori dal nulla a costo di soffrire, a costo di morire. Fa davvero freddo e il soffitto bianco ora é proprio nero. Ma siamo arrivati, ecco la magnolia. Cogli un fiore. Io non ci sono mai riuscita, tu ci riuscirai. Alzati sulla punta dei piedi, allunga un braccio. Così.Dove sei? Eri qui, mi sorreggevi, eri grande, eri un uomo. E ora non ci sei più. C'è solo un bicchiere di alcool dentro il quale galleggia qualcosa che non volle diventare un uomo, una donna, che non aiutai a diventare un uomo, una donna. Perché avrei dovuto, mi chiedi, perché avresti dovuto? Ma perché la vita esiste, bambino! Mi passa il freddo a dire che la vita esiste, mi passa il sonno, mi sento io la vita. Guarda, s'accende una luce... Si odono voci... Qualcuno corre, grida, si dispera... Ma altrove nascono mille, centomila bambini e mamme di futuri bambini: la vita non ha bisogno né di te né di me. Tu sei morto. Forse muoio anch'io.[28] Ma non conta. Perché la vita non muore.

Niente e così sia

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Era entrata con piccoli passi esitanti, la prudenza dei bambini quando voglion qualcosa. Appoggiata ad una valigia, s'era messa a fissarmi dondolando un piede su e giù. Fuori era novembre, il vento invernale gelava i boschi della mia Toscana.
"È vero che parti?"
"Sì, Elisabetta."
"Allora resto a dormire con te."
Le avevo detto va bene, era corsa a prendere il pigiama e il suo libro dal titolo La vita delle piante, poi m'era venuta accanto nel letto: minuscola, indifesa, contenta. Fra qualche mese avrebbe compiuto i cinque anni. Tenendola stretta m'ero messa a leggerle il libro, d'un tratto m'aveva puntato gli occhi negli occhi e posto quella domanda.
"La vita, cos'è?"
Io coi bambini non sono brava. Non so adeguarmi al loro linguaggio, alla loro curiosità. Le avevo dato una risposta sciocca, lasciandola insoddisfatta.

Citazioni

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  • È difficile, sempre più difficile, accettare il fatto che i vietcong commettano tali vigliaccate. Insomma che neanche loro siano i cavalieri di giustizia e libertà che abbiamo finoggi dipinto. È doloroso, ammettere che valgono gli altri, sono bestie come gli altri. (10 maggio, p. 306)
  • [...] ma come facevo a non amare gli uomini, questi uomini sempre maltrattati, sempre insultati, sempre crocifissi, ma come facevo a dire che è tutto inutile e a cosa serve nascere a cosa serve morire? Serve ad essere uomini anziché alberi o pesci, serve a cercare il giusto, perché il giusto esiste, se non esiste bisogna farlo esistere, e allora l'importante non è morire, è morire dalla parte giusta, e io muoio dalla parte giusta [...]. (capitolo undicesimo, p. 404)
  • L'America è anche il paese di Ron Ridenhour, l'ex soldato che ha informato il mondo sulla strage di My Lai. L'America è anche il paese del Moratorium, delle marce contro la guerra in Vietnam, dei giornali che propagandono con dolore con sdegno un delitto che altri si guarderebbero perfin dall'ammettere. (dalla prefazione, p. VIII)
  • Non c'è bisogno d'esser nazisti per diventare assassini: in nome della democrazia, del cristianesimo, della libertà, si massacra tanto bene quanto in nome del "grande" Reich. (dalla prefazione, p. VIII-IX)
  • E se il processo di Norimberga fu un processo legale dovremo rifarlo: al banco degli accusati mettendo stavolta quei bravi ragazzi, quei bravi generali che davan l'ordine di ammazzare i civili, di non lasciar viva neanche una gallina. E tuttavia, tuttavia, tuttavia, il discorso da fare non è sugli americani: il discorso da fare è sugli uomini. Sulla guerra e sugli uomini. (dalla prefazione, p. IX)
  • È il discorso che fo in questo libro. Questo libro che spiega My Lai [29] nella guerra del Vietnam. Perché quasi niente quanto la guerra, e niente quanto una guerra ingiusta, frantuma la dignità dell'uomo. (dalla prefazione, p. IX)
  • Tu che non sai come la vita sia molto di più del tempo che passa fra il momento in cui si nasce e il momento in cui si muore, su questo pianeta dove gli uomini fanno miracoli per salvare un moribondo e le creature sane le ammazzano a cento, mille, un milione per volta. (Capitolo primo)
  • [...] e nessuno mi ha ancora spiegato perché uccidere per rapina è peccato, uccidere perché hai un'uniforme è glorioso.
  • Io sono qui per provare qualcosa in cui credo: che la guerra è inutile e sciocca, la più bestiale prova di idiozia della razza terrestre. Io sono qui per spiegare quanto è ipocrita il mondo che si esalta per un chirurgo che sostituisce un cuore con un altro cuore, e poi accetta che migliaia di creature giovani, col cuore a posto, vengano mandati a morire, come vacche al macello, per la bandiera.
  • Dev'esserci qualcosa di sbagliato nel cervello di quelli che trovano gloriosa o eccitante la guerra. Non è nulla di glorioso, nulla di eccitante, è solo una sporca tragedia sulla quale non puoi che piangere. Piangi a quello cui negasti una sigaretta e non è tornato con la pattuglia; piangi su quello che hai rimproverato e ti s'è disintegrato davanti; piangi su lui che ha ammazzato i tuoi amici. (Capitano Scher, impegnato nella Guerra del Vietnam)
  • Per quasi otto anni ho fatto il corrispondente di guerra in Vietnam. Niente e così sia è il diario del primo anno che trascorsi laggiù. Quello che vide la battaglia di Dak To, l'offensiva del Tet, l'assedio di Saigon, e che per me si concluse altrove. Cioè nella strage di Città del Messico dove rimasi gravemente ferita. So che è stato definito un libro brutale, disperato, spietato. E forse lo è. Ma io volevo soltanto raccontare la guerra a chi non la conosce.
  • Quanti altri delitti hanno commesso i vietcong senza che un fotografo li immortalasse? C'è sempre un fotografo per l'esecuzione di un vietcong, per la testa tagliata di un vietcong, ma non c'è mai un fotografo per l'esecuzione di un americano, per la testa tagliata di un sudvietnamita. (10 maggio, p. 306)
  • E in essi trovai ciò che nemmeno la guerra riesce a cancellare: il glorioso dolore d'essere uomo. (p. 142)
  • Ma ecco cosa ho imparato in questa guerra, in questo paese, in questa città: ad amare il miracolo di essere nata.
  • Se capisci chi parla perché non riesce a sopportare il dolore del corpo, devi capire anche chi parla perché non riesce a sopportare il dolore dell'anima.
  • Quante strade deve percorrere un uomo prima che tu possa chiamarlo un uomo.
  • [...] i vandalismi degli studenti borghesi che osano invocare Che Guevara e poi vivono in case con l'aria condizionata e col cuoco, a scuola ci vanno con la fuoriserie di papà e al night club esibiscono camicie di trina. (cap. 11)
  • Come diceva quella preghiera?
    «E meglio che non te la dica, François.»
    «Devi invece.»
    «Ecco, diceva così: "Padre Nostro che sei nei Cieli, dacci oggi il nostro massacro quotidiano, liberaci dalla pietà, dall'amore, dall'insegnamento che tuo Figlio ci ha dato. Tanto non è servito a niente, non serve a niente, e così sia".»
    «Che non sia servito a niente, è vero.»
    «Lo so.»
    «Che non serva a niente, è vero.»
    «Lo so.»
    «Ma è anche vero che potrebbe servire, che dovrebbe servire, che bisogna impedire il massacro.»
    «Questo lo capisco ora.»
    «E avevi bisogno di farti sparare per capirlo?»
    «Temo di sì, François.»
  • «La vita cos'è, Francois?»
    «Non lo so. Ma a volte mi domando se non sia un palcoscenico dove ti buttano di prepotenza, e quando ti ci hanno buttato devi attraversarlo, e per attraversarlo ci sono tanti modi, quello dell'indiano, quello dell'americano, quello del vietcong...»
    «E quando l'hai attraversato?»
    «Quando l'hai attraversato, basta. Hai vissuto. Esci di scena e muori.»
    «E se muori subito?»
    «È lo stesso: il palcoscenico puoi attraversarlo più o meno alla svelta. Non conta il tempo che ci metti, conta il modo in cui lo attraversi. L'importante, quindi, è attraversarlo bene.»
    «E cosa significa attraversarlo bene?»
    «Significa non cadere nel buco del suggeritore. Significa battersi. Come un vietcong. Non lasciarsi sgozzare, non addormentarsi al sole, non paralizzarsi nella puntura, non chiacchierare e basta come fanno gli ipocriti e, tutto sommato, anche noi. Significa credere in qualcosa e battersi. Come un vietcong.»
    «E se sbagli?»
    «Pazienza. L'errore è sempre meglio del nulla.»

«Cos'è la vita?»
«È una cosa da riempire bene, senza perdere tempo. Anche se a riempirla bene si rompe.»
«E quando è rotta?»
«Non serve a niente. Niente e così sia.»

Oriana Fallaci intervista sé stessa – L'Apocalisse

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Tutti i giorni l'elenco delle persone rapite poi decapitate o sgozzate o per loro fortuna freddate soltanto col colpo alla nuca si allunga, e dedicargli un libro diventa sempre più difficile. Perché, mentre il libro va in stampa, altre vengono rapite poi decapitate o sgozzate eccetera. E quando giunge in mano al lettore, l'elenco risulta incompleto.

Citazioni

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  • [Su Maurizio Gasparri] Ce n'è un altro che sembra lo scemo del villaggio. Ha una faccia così poco intelligente, poverino, e un labbro così pendulo, che viene voglia di pagargli una plastica.
  • Avevo 14-15 anni quando in via Ponte alle Mosse, a Firenze, vidi mia madre picchiare una mascalzona, che maltrattava i prigionieri tedeschi. Prigionieri incatenati e ammassati su un camion aperto. Il camion s'era fermato accanto al marciapiede e la mascalzona, peraltro moglie d'un ex-federale fascista (cosa che la dice lunga sugli italiani voltagabbana) s'era messa a colpirli con schiaffi e con pugni. Bè non so immaginare una donna che a quel tempo odiasse i tedeschi più di mia madre. [...] Non so immaginare nemmeno una signora più garbata, quindi meno manesca, di mia madre. Eppure appena s'accorse che nessuno reagiva allo scempio si gettò su quella donna come un gatto infuriato. La agguantò per il collo e prese a picchiarla selvaggiamente. In faccia, sulla testa, sullo stomaco. E picchiandola ruggiva: -Miserabile, iena vigliacca! Non si tocca un uomo in catene! Un uomo in catene è sacro anche se è un sudicione come te!-. Non l'ho mai dimenticato.
  • Ho pianto quando hanno assassinato Fabrizio Quattrocchi morto dicendo "Ora ti faccio vedere come muore un italiano" Ho pianto anche quando le nostre pavide autorità gli hanno negato i funerali di Stato e perfino la camera ardente che in Campidoglio concedono ai defunti attori comici. E quando nemmeno i familiari dei tre ostaggi catturati con lui sono andati a rendergli omaggio nella cappella che le Clarisse di Genova avevan prestato per la veglia funebre. I politici della presunta Sinistra lo stesso, visto che non si trattava d'un uomo di Sinistra, sicché i funerali sono caduti nelle mani dei mammasantissima dell'altra sponda.
  • Parentesi: non le piaceva Alberto Sordi? No. Mi disturbavano i personaggi ai quali prestava il suo volto e il suo corpo. Se ci pensa bene, tutti personaggi che si riassumevano in un solo personaggio sempre uguale a sé stesso. Quello dell'italiano vile, ignorante, furbo anzi furbacchiolo. Nonché godereccio, maligno, egoista, uso a servire i potenti e a maltrattare i disgraziati. Ergo, non mi divertiva. E tantomeno mi commuoveva.
  • Per tenersi a galla, oggi bisogna stare a Sinistra. E non solo perché merita economicamente e politicamente, perché ti assicura l'impiego e ti garantisce il potere, ma perché è di moda. Sissignori, è una moda ormai stare a Sinistra. Una moda come portare le gonne lunghe o le gonne corte, andare a Cortina oppure no. È un conformismo, una convenzione. Soprattutto per i banchieri e i magnati e i presunti intellettuali che frequentano posti come il Tepidarium. Per i giornalisti e le giornaliste e i direttori di giornali che facendo i filoislamici e gli antiamericani intascano stipendi da capogiro. Per gli stilisti che vendendo cenci da cinquantamila euro al pezzo si comprano storici palazzi e piani interi da Bloomingdale's. Per la Confindustria che fa lingua in bocca con la Cgil, insomma per quella che in America si chiama "the Caviar Left". La Sinistra al Caviale. Mah! Io non ci capisco più nulla. Quando ero bambina, i comunisti volevano che i ricchi si vergognassero d'essere ricchi. Sostenevano che la proprietà è un furto. Ora, se non sei ricco, ti sputano addosso. E spesso sono più ricchi dei ricchi di allora. Adorano il lusso e dicono di volersi battere per il superfluo.
  • Lo guardai meglio. Il giovanotto che nel salone dell'albergo m'aveva lanciato quella intensa occhiata di antipatia anzi di ostilità aveva la barba nera e non lunga. Aveva le guance lisce, la freschezza della gioventù. Ma i lineamenti erano gli stessi. Uguale l'inconfondibile naso, uguale l'inconfondibile bocca. E, soprattutto, uguali gli occhi. Quegli occhi fermi, severi, e nel medesimo tempo malinconici. Forse dolci. Uguale la ieraticità, la sicurezza dei gesti, la pacatezza di sé. La voce, non so. Non aprì mai bocca, ricorda, e l'incontro muto non durò più di due minuti. Però sa che le dico? Era Bin Laden. Lo penso anch'io. E ora resta soltanto da chiederci per quale motivo fino ad oggi non abbiamo voluto dirlo neanche a noi stesse. Non abbiamo mai voluto crederci, non abbiamo mai voluto ammettere che sì: era lui. Perché? Perché avevamo visto il diavolo. Avevamo visto Satana, il mostro con sette teste e dieci corna di cui parla l'evangelista Giovanni nell'Apocalisse. E ci aveva fatto paura. Molta paura.
  • È colpa mia se dopo undici anni lui s'è risvegliato.[30] Colpa mia. Tutta mia. Con l'11 settembre smisi di curarmi. Di frequentare gli oncologi, di farmi gli esami. Infatti il direttore del Boston Hospital, allora l'ospedale che mi teneva d'occhio, mi mandò una letteraccia in cui diceva: "Ms Fallaci, you are putting in jeopardy the reputation of my equipe. Lei sta mettendo a rischio la reputazione della mia équipe". Ma non avevo il tempo di andare a Boston. Prima l'articolone, La Rabbia e l'Orgoglio[31], e il fracasso che ne seguì. Poi il libro omonimo e il fracasso che si raddoppiò. Poi le traduzioni... Dopo averlo pubblicato in Italia mi misi a tradurlo in inglese e in francese nonché a controllare, parola per parola, la versione spagnola. [...] Poi processi in Francia, le accuse di razzismo religioso, di istigazione all'odio, di xenofobia. Poi le stronzate dei no-global che volevano entrare nel Centro Storico di Firenze e sfregiare i monumenti, sicché venni in Italia per tentare d'impedirglielo. Poi la guerra in Iraq dove stavo per andare e non andai perché non si può salire sui carri armati e correre sotto le mitragliate con un corpo che non ti obbedisce. Per oltre due anni queste cose requisirono ogni istante della mia vita, e m'indussero a dimenticare l'Alieno che dormiva. Dio, che sciocchezza. Che suicidio.
  • Nessuno può negare che in Europa e soprattutto in Italia il Male venga presentato con due pesi e due misure. Nessuno può negare che pei nemici dell'Occidente i nostri media avanzino sempre qualche giustificazione. Nessuno può negare che le nequizie islamiche siano sempre accompagnate da qualche silenzio o da qualche ma, qualche però. E la risposta al mio interrogativo è proprio il cancro incurabile del nuovo nazifascismo, del nuovo bolscevismo, del nuovo collaborazionismo. Soprattutto il collaborazionismo di coloro che berciano o scrivono sui muri «Dieci-cento-mille-Nassiriya». Che sui siti Internet chiedono «Dieci Euro per la Resistenza Irachena». Che durante i loro cortei bruciano le automobili e spaccano le vetrine dei McDonald's. Che nei loro comizi definiscono Bush un criminale, un boia, un assassino da consegnare alla Corte dell'Aja. Il collaborazionismo, insomma, d'una Sinistra che le bandiere rosse le ha sostituite con le bandiere arcobaleno. E che le bandiere arcobaleno le sventola solo a favore dell'Islam. Il collaborazionismo, infine, di coloro che in buona fede gli si accodano. Oppure si tappano gli occhi, gli orecchi, la bocca, e tacciono per viltà.
  • Anche i partigiani cui consegnavo le munizioni non erano partigiani comunisti. Erano partigiani di Giustizia e Libertà. [...] perdio! Mi arrabbio, sì, mi arrabbio. Perché è da mezzo secolo che i comunisti tentano di procurarsi l'esclusiva della Resistenza, far credere che l'hanno fatta loro e basta. Quando la si celebra nelle piazze si permettono addirittura di cacciare chi non sventola la bandiera rossa.
  • Io quando parlano di adozione-gay mi sento derubata nel mio ventre di donna. Anche se non sono riuscita a far nascere i miei bambini mi sento usata, sfruttata, come una mucca che partorisce vitelli destinati al mattatoio. E nell'immagine di due uomini o di due donne che col neonato in mezzo recitano la commedia di Maria e Giuseppe vedo qualcosa di mostruosamente sbagliato. Qualcosa che mi offende anzi mi umilia come donna, come mamma mancata, mamma sfortunata, e come cittadina. Sicché offesa e umiliata dico: mi indigna il silenzio, l'ipocrisia, la vigliaccheria, che circonda questa faccenda. Mi infuria la gente che tace, che ha paura di parlarne, di dire la verità. E la verità è che le leggi dello Stato non possono ignorare le leggi della Natura. Non possono falsare con l'ambiguità delle parole "genitori" e "coniugi" le leggi della Vita. Lo Stato non può consegnare un bambino, cioè una creatura indifesa e ignara, a genitori coi quali egli vivrà credendo che si nasce da due babbi o due mamme non da un babbo e una mamma. E a chi ricatta con la storia dei bambini senza cibo e senza casa (storia che oltretutto non regge in quanto la nostra società abbonda di coppie normali e pronte ad adottarli) rispondo: un bambino non è un cane o un gatto da nutrire e basta, alloggiare e basta. È un essere umano, un cittadino, con diritti inalienabili. Ben più inalienabili dei diritti o presunti diritti di due omosessuali con smanie materne o paterne. E il primo di questi diritti è sapere come si nasce sul nostro pianeta, come funziona la Vita sul nostro pianeta. Cosa più che possibile con una madre senza marito, del tutto impossibile con due "genitori" del medesimo sesso. Punto e basta.
  • Ne ho abbastanza di veder giustificare con le Crociate gli abusi, le prepotenze, gli sgozzamenti, le decapitazioni. E poi chi le incominciò queste Crociate? Chi se lo prese per primo questo Sacro Sepolcro? Chi invase metà dell'Europa con la mezzaluna, chi conquistò mezzo mondo a colpi di scimitarra? Chi la fa ora da padrone in casa nostra? Anche la storia è opinabile?!? A quanto pare, sì.
  • Bè, secondo me Berlusconi ha studiato poco. Ha una laurea in legge, sì, ma la laurea non basta: ho conosciuto più ignoranti con la laurea che senza la laurea. L'ignoranza è una caratteristica molto diffusa tra i politici, si sa. Basti pensare a quelli che fanno gli sfondoni di sintassi: la mia ossessione. Ma non si può governare da soli ignorando le basi della politica. Per incominciare, la Storia e la Filosofia. E mi meraviglierei molto se Berlusconi fosse un esperto di Storia e di Filosofia. Inoltre mi sembra che del Potere abbia un concetto piuttosto frivolo. Superficiale. Che per lui il Potere significhi stare su un trono. E non un trono che si regge sull'autorità morale o intellettuale ma sull'autorità politica. Se eccita troppo quando si trova accanto a Bush o a Putin. E perfino quando incontra quelle due nullità che si chiamano Schröder e Chirac. Il suo eterno sorriso si allarga fino alle orecchie anzi fino alla nuca, gongola tutto, e per una volta dimentico della sua presunzione sembra dire: «Guarda con chi sto!». Sotto sotto ne sembra anche un po' intimidito. Proprio come un parvenu che badando al grado e all'apparenza, non alla sostanza, si sente finalmente accettato.
  • Senza Khomeini non ci sarebbe stato Bin Laden. Non ci sarebbe stato l'Undici Settembre ed oggi non ci sarebbe l'Eurabia. Ma l'eredità di Khomeini l'ha raccolta Bin Laden.
  • [Su Osama Bin Laden] È l'unica persona al mondo per cui tradirei la mia promessa di non aver più nulla a che fare col giornalismo.
  • [Su Osama Bin Laden] Incomincerei interrogandolo sulla sua infanzia e la sua adolescenza. Sul fatto che suo padre fosse così ricco e così legato a re Faysal, tuttavia escluso dai fasti della Corte saudita. Sono assolutamente convinta che la chiave del personaggio stia lì: dentro la sua infanzia e la sua adolescenza. Dev'esser successo qualcosa, nella prima fase della sua vita, che ha dato fuoco alle polveri del suo orgoglio e della sua megalomania. Perché non credo che a muoverlo sia stata la molla della religione, della fede in Allah. È un tipo troppo intelligente. Sospetto la vera molla sia il suo bisogno di emergere come individuo. Proprio il caso di Napoleone e di tutti i grossi leader che la Storia dell'Uomo ci ha dato, escluso Gesù Cristo.
  • [Su Saddam Hussein] Il prezzo per toglierlo di mezzo è stato troppo alto. Il terrorismo islamico s'è moltiplicato, i morti hanno partorito altri morti, continuano a partorire morti, partoriranno sempre più morti. E, come profetizzai [...], prima o poi ci ritroveremo con una Repubblica Islamica dell'Iraq. Ossia con un paese nel quale i mullah e gli imam impongono i burkah, lapidano le donne che vanno dal parrucchiere, impiccano la gente allo stadio. Quindi tanto valeva tenersi Saddam Hussein. Guardi, io non mi stancherò mai di ripeterlo: la democrazia non si può regalare come una stecca di cioccolata. La democrazia bisogna conquistarsela. Per conquistarsela bisogna volerla. Per volerla bisogna sapere cos'è. Gli iracheni non lo sanno. Ancor meno la capiscono. E di conseguenza non la vogliono. Non tanto perché sono diseducati da ventiquattr'anni di dittatura feroce quanto perché sono mussulmani: assimilati dalla teocrazia e incapaci di scegliere il proprio destino. La teocrazia non insegna a ragionare, a scegliere, a decidere il proprio destino. Insegna a subire ubbidire servire un Dio che è un padrone assoluto, un sovrano che controlla ogni momento e ogni aspetto della tua vita, un tiranno peggiore di Saddam Hussein.
  • Che cosa ha mai fatto, l'Onu, fuorché sprecare migliaia di miliardi e vivere di rendita sulle parole Pace ed Umanitarismo? Ha mai mosso un dito, l'Onu, per chiudere i gulag e difendere le vittime di Stalin? Ha mai aperto bocca per frenare la spietata dittatura di Mao Tse-tung, per condannare i maoisti che distruggevano i millenari templi di Lhasa e massacravano i monaci buddisti nonché i contadini del Tibet? Ha mai fermato il genocidio compiuto in Cambogia dagli Khmer Rouges di Pol Pot? Ha mai tirato le orecchie al cannibale Bokassa che quand'era presidente della Repubblica Centrafricana cucinava i suoi avversari, li mangiava cotti in salmi? Ha mai messo al bando il regime schiavista dell'ultra-islamico Sudan? Ha mai criticato i Talebani dell'Afghanistan? Trent'anni fa le sue truppe non riuscirono neanche a difendere i greci della piccola Cipro, a fermare gli stupri che i soldati turchi commettevano sulle donne e sulle vecchie e sui bambini di Cipro. Ed ora non vogliono nemmeno fermare il genocidio che i Janjaweed cioè i Diavoli a Cavallo, le milizie filoarabe e mussulmane dell'ultra-mussulmano Sudan, stanno commettendo sui cristiani neri del Darfur.
  • Non mi è simpatico Kofi Annan. Non mi piace Kofi Annan. Kofi Annan non è quello che sembra. Cioè un bonario monarca con la cravatta, un imparziale nobiluomo africano, un anti-Waldheim. All'inizio aveva sollevato in me qualche speranza, e di lui apprezzavo anche gli aspetti esteriori. La sua eleganza, la sua ricercatezza verbale, la sua signorilità. La sua voce fonda e suasiva, il suo mite strabismo di Venere. Ma poi lo osservai meglio, lo ascoltai meglio, e m'accorsi che nel suo mite strabismo di Venere c'era qualcosa di ambiguo. Qualcosa di insincero, di infido. E ora capisco perché Blair controllasse le sue telefonate. Da che parte guarda, Kofi Annan, mentre con l'occhio destro fissa un punto e con l'occhio sinistro ne fissa un altro? Non certo dalla parte dell'Occidente, sebbene, appartenga a una chiesa evangelica e abbia studiato nel Minnesota poi a Ginevra poi a Boston: le sue prese di posizioni sono sempre a favore dell'Islam. Come Kurt Waldheim trova sempre il modo di dar torto agli occidentali e ragione ai loro nemici. È anche lui un discepolo di Sigrid Hunke? Mah! Forse è soltanto un freddo calcolatore che obbedisce a un'Assemblea Generale dominata dai paesi del Terzo Mondo cioè dai mussulmani più biliosi e impreparati. O forse è semplicemente un antiamericano che merita il Premio Nobel ormai riservato agli antiamericani e basta.

Voglio essere tra quelli che muoiono senza avere mai avuto sulla fronte e sulla mano il marchio della servitù o della complicità. Lo conosce, no, il bel passaggio dove l'evangelista Giovanni racconta queste cose? "Allora vidi scendere dal cielo un angelo che teneva in pugno la chiave del mondo sotterraneo e una lunga catena. E l'Angelo afferrò il Mostro, lo gettò in quel mondo, con la chiave ne chiuse l'entrata. La sigillò sopra di lui affinché non potesse ingannare più nessuno. Poi, seduti sul trono, vidi coloro a cui Dio aveva chiesto di giudicare i servi del Mostro, i complici del Mostro. Erano le anime dei decapitati, quei giudici, le anime delle persone uccise dal Mostro perché s'erano messe dalla parte del Bene. Erano anche le anime di coloro che ai piedi del Mostro non s'erano mai inginocchiati, che al Mostro non avevano mai eretto statue, e che quindi non avevano mai avuto il marchio sulla fronte e sulla mano. E quei morti tornarono in vita, vissero per mille anni."

Penelope alla guerra

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Era stato un colloquio ridicolo.
"Qualcosa di moderno, Giò, e di commovente. Una storia d'amore, inutile dirlo, ma con qualcosa in più che l'amore. Il pubblico, altrimenti si annoia. E ricordi che la protagonista deve essere italiana, il protagonista americano: conosce i problemi della coproduzione. Due mesi le bastano, Giò?".
"Certo, commendatore,"
Il produttore parlava, parlava, e lei anziché seguirlo fissava l'orologio a pendolo sulla parete di fronte: anche nel corridoio dove l'avevano messo a dormire quando Richard s'era preso il suo letto c'era un orologio a pendolo, e ogni quarto d'ora suonava col verso della campana di Westminster.

Citazioni

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  • L'amore da una parte sola non basta, Giò, le tue sono fantasie da masochista. Non si regala l'anima a chi non è disposto a regalare la sua.
    Chi non fa regali, non apprezza regali. Tu cerchi Dio in Terra, e sei disposta a qualsiasi menzogna pur di inventarlo. Ma Dio non si inventa, e neppure l'amore. L'amore è un dialogo, non un monologo.
  • Cavolino mio, ce ne sono milioni meglio di lui!
    E con questo? Ce ne sono milioni anche meglio di me. Comunque io non conosco quelli meglio di lui e non posso consumar la mia vita ad aspettar di conoscerli. E poi se dovessimo cercare la perfezione in un uomo, si amerebbero i santi. I santi son morti e io non vo a letto col calendario!
  • Incredibile quanto la gente sia sorda al dolore non fisico. Se hai male allo stomaco o ad un piede, tutti cercano di rendersi utili e ti portan rispetto. Ma se hai male all'anima nessuno ti aiuta. Ti deridono, anzi: quasi che il dolore non fisico sia una cosa grottesca. Cammini, cammini e non sai a chi domandare soccorso. Non ti resta altro che rivolgerti a Dio: però ti sembra decente rivolgerti a Dio per un uomo che scappa?
  • Allucinazione! Realtà! Che differenza passa tra allucinazione e realtà se nell'allucinazione vedi e soffri le medesime cose che vedi e soffri nella realtà? Tutti gli ipocriti che hanno amato qualcuno ed ora non lo amano più si difendono dicendo che non si trattava di vero amore: quasi che rinnegare qualcosa di morto sia più dignitoso che ammettere la propria sconfitta.

Via, Giò, quante storie! Neanche il feto può dire la sua quando è nel grembo materno. Magari gli piaceranno le gambe lunghe e gli vengono corte, gli occhi azzurri e gli vengono neri. E il peggio è che non te lo chiedono nemmeno, questo permesso, per metterti al mondo. Ti ci mettono e basta: se addirittura non pretendono che tu ne sia grato perché "la vita è un dono di Dio". Oh, Dio! Dio! Dio! Perché non esisti?
Ecco: arrivava la lacrima. Ed aveva un sapore di sale.

Quel giorno sulla luna

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Un uomo, messo accanto a quel razzo, sembra meno di una formica. È un razzo così ciclopico che la sua altezza equivale a quella di un grattacielo con trentasei piani, la sua ampiezza è quella di una stanza di sette metri per sette. Pieno di carburante, pesa tremila tonnellate. Per alzarsi, ha bisogno di una spinta pari a quattromila tonnellate. Se ne raggiungi con un ascensore la cima, io l'ho fatto, ti coglie il terrore. E di ciò non ti rendi conto alla televisione o quando lo guardi dal recinto della stampa che è il più vicino alla pista di lancio: un chilometro e mezzo.

Citazioni

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  • [A proposito di Neil Armstrong] Io, quando lo conobbi cinque anni fa, me ne sentii respinta e molta gente m'ha detto d'aver provato la medesima cosa. Anche a causa della sua timidezza che è enorme e che egli combatte con l'arroganza. (p. 12)
  • Io, che l'ho visto più volte in questi anni, non sono mai riuscita a stabilire con lui un contatto che assomigliasse a un contatto umano, a farlo mai indulgere a un attimo di cordialità, di curiosità, di calore, ammenochè non pronunciassi le parole Mercury, Gemini, Apollo, LM. (p. 13)
  • [A seguito dell'affermazione di Armstrong: [...] cade il discorso sull'avventura. Il gusto di andare su tanto per andare su...] Io, signor Armstrong, conosco qualcuno che andrebbe su anche sapendo di non tornare giù, solo per il gusto di andare su. (p. 14)
  • A noi europei la guerra lasciò case distrutte, parenti uccisi, fame, smarrimento e spesso vergogna: a loro lasciò i vantaggi economici di una tecnologia sviluppata. [Riferendosi agli statunitensi] (p. 17)
  • [A proposito di Armstrong, Aldrin e Collins] Lo saranno grandi uomini, eroi? Lo sono? Ovvio che no. Come individui, lo abbiamo già visto, contano relativamente. Il caso non è stato generoso. Come navigatori ed esploratori, i loro meriti sono limitati e ogni paragone con Cristoforo Colombo è semplicemente grottesco. Colombo era solo. Il viaggio alla ricerca delle Indie l'aveva ideato da solo, se l'era organizzato da solo, se lo fece da solo contro il parere di tutti: e il parere di tutti era che la Terra fosse piatta, che a un certo punto finisse per farlo cadere nel nulla. Armstrong, Aldrin e Collins invece sanno benissimo cosa vanno a trovare: minuto per minuto, metro per metro. Di questo viaggio certo non ideato da loro e non organizzato da loro, essi non sono che uno strumento prescelto; un'appendice della macchina. (p. 40-41)
  • Gli uomini sono così: inventano la bomba atomica, uccidono con essa centinaia di migliaia di creature, e poi vanno sulla Luna. Né angeli né bestie ma angeli e bestie.[32] (p. 105)
  • La fantasia umana, la fantasia di Jules Verne, aveva già previsto tutto un secolo fa.[33] A me pare che l'Apollo 11 avrebbe dovuto chiamarsi Jules Verne. (p. 114)
  • Non era un gran bel discorso, ammettiamolo. Era una frase retorica, e suonava un pochino falsa, un pochino buffa, dentro il suo gergo tecnico da pilota. E, quasi ne fosse cosciente, Armstrong la pronunciò molto in fretta, in un sussurro carico di imbarazzo: «That's one small step for man, one giant leap for mankind. Questo è un piccolo passo per l'uomo, è un salto gigantesco per l'umanità». Però si riprese immediatamente, tornò immediatamente sé stesso, e ciò accadde quando staccò le mani dal LM, e andò avanti [...] (p. 153)

Ventun giorni dopo l'ammaraggio nell'Oceano Pacifico i tre astronauti uscirono trionfalmente dal Laboratorio Lunare e rientrarono nelle loro famiglie. Poi cominciò la baraonda delle celebrazioni, delle medaglie, dei viaggi nei vari paesi in cui li volevan conoscere, applaudire, mitologizzare. Per qualche tempo furono idoli della folla e per sempre gli restò la patente di eroi. Ma questo se l'aspettavano tutti e così non fece impressione a nessuno. Voglio dire: qualcosa del genere s'era letto anche nel libro Dalla Terra alla Luna di Jules Verne. E comunque, ecco, per tornare alle rocce e alla cronaca che ci interessava, le cose andarono così in quella settimana d'estate, nei primi giorni che seguirono il ritorno sulla Terra degli uomini che avevan toccato la Luna.

Se il sole muore

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Il sasso non si vedeva, tanto l'erba era fitta e rigogliosa: ci incastrai un piede e caddi distesa, parallela alla strada. Nessuno camminava in quella direzione e forse in tutte le strade della città. Nessuno all'infuori de me. Nessuno esisteva, nessuno con due piedi e due gambe, un corpo sulle due gambe, una testa sul corpo: esistevano solo automobili che scivolavan via unte, ordinate, sempre alla stessa velocità, alla stessa distanza, e un uomo dentro, una donna. Sedevano figure umane al volante, d'accordo: ma così ferme, composte, che certo non si trattava di uomini, donne, si trattava di automi, robot.

Citazioni

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  • Sono stupendi i trent'anni, ed anche i trentuno, i trentadue, i trentatré, i trentaquattro, i trentacinque! Sono stupendi perché sono liberi, ribelli, fuorilegge, perché è finita l'angoscia dell'attesa, non è incominciata la malinconia del declino, perché siamo lucidi, finalmente, a trent'anni! Se siamo religiosi, siamo religiosi convinti. Se siamo atei, siamo atei convinti. Se siamo dubbiosi, siamo dubbiosi senza vergogna. E non temiamo le beffe dei ragazzi perché anche noi siamo giovani, non temiamo i rimproveri degli adulti perché anche noi siamo adulti. Non temiamo il peccato perché abbiamo capito che il peccato è un punto di vista, non temiamo la disubbidienza perché abbiamo scoperto che la disubbidienza è nobile. Non temiamo la punizione perché abbiamo concluso che non c'è nulla di male ad amarci se ci incontriamo, ad abbandonarci se ci perdiamo: i conti non dobbiamo più farli con la maestra di scuola e non dobbiamo ancora farli col prete dell'olio santo. Li facciamo con noi stessi e basta, col nostro dolore da grandi. Siamo un campo di grano maturo, a trent'anni, non più acerbi e non ancora secchi: la linfa scorre in noi con la pressione giusta, gonfia di vita. È viva ogni nostra gioia, è viva ogni nostra pena, si ride e si piange come non ci riuscirà mai più, si pensa e si capisce come non ci riuscirà mai più. Abbiamo raggiunto la cima della montagna e tutto è chiaro là in cima: la strada per cui siamo saliti, la strada per cui scenderemo. Un po' ansimanti e tuttavia freschi, non succederà più di sederci nel mezzo a guardare indietro e in avanti, a meditare sulla nostra fortuna.

Un uomo, un fratello se n'era andato; altri uomini altri fratelli se ne sarebbero andati, tagliati di colpo come il tronco di un albero su cui si abbatte l'accetta; io stessa me ne sarei andata, chissà dove, chissà quando il colpo di accetta avrebbe tagliato anche me, me che voglio vivere, vivere, vivere : ma il mondo restava una lunga promessa e il cielo donava tante case accese, papà. E se la Terra muore, e se il Sole muore, noi vivremo lassù. Costi quel che costi. Un albero, mille alberi, tutti gli alberi che la vita ci ha dato.

Un cappello pieno di ciliege

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Ora che il futuro s'era fatto corto e mi sfuggiva di mano con l'inesorabilità della sabbia che cola dentro una clessidra, mi capitava spesso di pensare al passato della mia esistenza: cercare lì le risposte con le quali sarebbe giusto morire. Perché fossi nata, perché fossi vissuta, e chi o che cosa avesse plasmato il mosaico di persone che da un lontano giorno d'estate costituiva il mio Io. Naturalmente sapevo bene che la domanda perché-sono-nato se l'eran già posta miliardi di esseri umani ed invano, che la sua risposta apparteneva all'enigma chiamato Vita, che per fingere di trovarla avrei dovuto ricorrere all'idea di Dio. Espediente mai capito e mai accettato.

Citazioni

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  • Non so arrendermi al fatto che per vivere si debba morire, che vivere e morire siano due aspetti della medesima realtà, l'uno necessario all'altro, l'uno conseguenza dell'altro. Non so piegarmi all'idea che la Vita sia un viaggio verso la Morte e nascere una condanna a morte. Eppure l'accetto. Mi inchino al suo potere illimitato e accesa da un cupo interesse la studio, la analizzo, la stuzzico. Spinta da un tetro rispetto la corteggio, la sfido, la canto, e nei momenti di troppo dolore la invoco.
  • Niente ferisce, avvelena, ammala, quanto la delusione. Perché la delusione è un dolore che deriva sempre da una speranza svanita, una sconfitta che nasce sempre da una fiducia tradita cioè dal voltafaccia di qualcuno o qualcosa in cui credevamo. E a subirla ti senti ingannato, beffato, umiliato. La vittima d'una ingiustizia che non t'aspettavi, d'un fallimento che non meritavi. Ti senti anche offeso, ridicolo, sicché a volte cerchi la vendetta. Scelta che può dare un po' di sollievo, ammettiamolo, ma che di rado s'accompagna alla gioia e che spesso costa più del perdono.
  • La lasciò al Croce di Malta, l'albergo che veniva considerato il migliore della città. Buon servizio, buon cibo, camere arredate con decoro. Non a caso i viaggiatori stranieri lo preferivano al più celebre De Cerf, una ventina d'anni prima v'erano scesi anche Casanova e Tobias Smollett, e nel milleottocento vi avrebbero alloggiato personaggi non meno illustri: Wolfgang Goethe, Henri Stendhal, Richard Wagner, Alexandre Dumas, Gustave Flaubert, Mark Twain. Era situato sul lungomare chiamato Ripa, il Croce di Malta, in una bella torre medievale chiamata Torre de' Marchi, e a parte quei pregi aveva due vantaggi: quello di trovarsi sul porto, proprio dinanzi alla darsena dove ormeggiava l'Europa, e quello di distare pochi isolati da Palazzo Grimaldi. (p. 225)
  • Esiste ancora anche Palazzo Grimaldi, vilipeso dalle modifiche e dagli oltraggi che l'ignoranza e il cinismo gli hanno inflitto insieme alle bombe della Seconda guerra mondiale, e naturalmente mi risultò difficile accettar l'idea che il banale edificio ora diviso in appartamentini fosse l'ex residenza del signor duca. (pp. 225–226)

Subito le acque mi trascinarono dentro il tunnel che per centro metri passava sotto le fondamenta delle case, poi nel tratto che per trecento metri percorreva prima di oltrepassare le mura della città, poi in quello che faceva per unirsi al fiume Savio, e qui il ricordo si spenge. Tutto diventa buio e non posso dir nulla di ciò che accadde lungo i trentadue chilometri che portavano al mare nel quale quarant'anni prima era finita Marguerite. Però so che non venni mai ritrovata. Di Anastasìa Ferrier, leggenda vissuta senza un certificato di nascita, non esiste nemmeno un certificato di morte.

Un uomo

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Un ruggito di dolore e di rabbia si alzava sulla città, e rintronava incessante, ossessivo, spazzando qualsiasi altro suono, scandendo la grande menzogna. Zi, zi, zi! Vive, vive, vive! Un ruggito che non aveva nulla di umano. Infatti non si alzava da esseri umani, creature con due braccia e due gambe e un pensiero proprio, si alzava da una bestia mostruosa e senza pensiero, la folla, la piovra che a mezzogiorno, incrostata di pugni chiusi, di volti distorti, di bocche contratte, aveva invaso la piazza della cattedrale ortodossa poi allungato i tentacoli nelle strade adiacenti intasandole, sommergendole con l'implacabilità della lava che nel suo straripare divora ogni ostacolo, assordandole con il suo zi, zi, zi. Sottrarsene era illusione.

Citazioni

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  • [...] non lasciatevi intruppare dai dogmi, dalle uniformi, dalle dottrine, non lasciatevi turlupinare da chi vi comanda, da chi vi promette, da chi vi spaventa, da chi vuole sostituire un padrone con un nuovo padrone, non siate gregge perdio, non riparatevi sotto l'ombrello delle colpe altrui, lottate, ragionate col vostro cervello, ricordate che ciascuno è qualcuno, un individuo prezioso, responsabile, artefice di se stesso, difendetelo il vostro io, nocciolo di ogni libertà, la libertà è un dovere, prima che un diritto è un dovere. (Prologo; 2001, pp. 11–12)
  • Chi si rassegna non vive: sopravvive. (Gheorgazis: I, I; 2001, p. 23)
  • Ma quando un governo si impone con la violenza e con la violenza impedisce ai cittadini di esprimersi, di opporsi, addirittura di pensare, allora ricorrere alla violenza è una necessità. (Alekos Panagulis: I, II; 2001, pp. 56–57)
  • È una cosa terribile ammazzare, lo so, ma nelle tirannie diventa un diritto, anzi un dovere. La libertà è un dovere prima che un diritto. (Alekos Panagulis: I, II; 2001, p. 62)
  • La fiaba dell'eroe non si esaurisce col gran gesto che lo rivela al mondo. Sia nelle leggende che nella vita, il gran gesto non costituisce che l'inizio dell'avventura, l'avvio della missione. Ad esso segue il periodo delle grandi prove, poi il ritorno al villaggio o alla normalità, poi la sfida finale dietro cui si nasconde l'insidia della morte sempre evitata. Il periodo delle grandi prove è il più lungo, forse il più difficile. E lo è perché, durante quello, l'eroe si trova completamente abbandonato a se stesso, irresistibilmente esposto alla tentazione di arrendersi, e tutto congiura contro di lui: l'oblio degli altri, la solitudine esasperata, il rinnovarsi monotono delle sofferenze. Ma guai se egli non supera quel secondo esame, guai se non resiste, se cede: il gran gesto che lo rivelò diventa inutile e la missione fallisce. (I, III; 2001, p. 70)
  • La libertà non ha patria. (Alekos Panagulis: II, II; 2001, p. 168)
  • L'aspetto della saggezza non è cupo e tetro, non è pensieroso, è ilare e pieno di gioia. Il fine e il compimento della sapienza stanno nella giocosità felice. (Alekos Panagulis: II, II; 2001, p. 173)
  • Il popolo! Il buon popolo che non ha mai colpa in quanto è povero ignorante innocente! Il buon popolo che va sempre assolto perché è sfruttato manipolato oppresso! Come se gli eserciti fossero composti solo da generali e da colonelli! Come se a fare la guerra e a sparare sugli inermi e a distruggere le città fossero i capi di Stato maggiore e basta! Come se i soldati del plotone di esecuzione che doveva fucilarmi non fossero stati figli del popolo! Come se quelli che mi torturavano non fossero stati figli del popolo! [...] Come se ad accettare i re sul trono non fosse il popolo, come se a inchinarsi ai tiranni non fosse il popolo, come se ad eleggere i Nixon non fosse il popolo, come se a votare pei padroni non fosse il popolo! [...] Come se la libertà si potesse assassinare senza il consenso del popolo, senza la vigliaccheria del popolo, senza il silenzio del popolo! Cosa vuol dire popolo?!? Chi è il popolo?!? Sono io il popolo! Sono i pochi che lottano e disubbidiscono, il popolo! Loro non sono popolo! Sono gregge, gregge, gregge! (Alekos Panagulis: IV, I; 2001, p. 275)
  • Dire che il popolo è sempre vittima, sempre innocente, è un'ipocrisia e una menzogna e un insulto alla dignità di ogni uomo, di ogni donna, di ogni persona. Un popolo è fatto di uomini, donne, persone, ciascuna di queste persone ha il dovere di scegliere e decidere per se stessa; e non si cessa di scegliere, di decidere, perché non si è né generali né ricchi né potenti. (IV, I; 2001, p. 276)
  • [...] nei piazzali Loreto i Mussolini si appendono subito o mai più. Se in tempo di dittatura il tirannicidio è un dovere, in tempo di democrazia il perdono è una necessità. In tempo di democrazia la giustizia non si fa scavando le tombe. (Alekos Panagulis: IV, III; 2001, p. 326)
  • «Non piangere, Alekos. Perché piangi?» «Perché ho sbagliato tutto. Mi sono fidato degli uomini, ho sbagliato tutto. Ho creduto che agli uomini importasse la verità, la libertà, la giustizia. Ho sbagliato tutto. Ho creduto che capissero. Ho sbagliato tutto. A cosa serve soffrire, battersi, se la gente non capisce, se alla gente non importa? Ho sbagliato tutto.» (V, III; 2001, p. 387)
  • Perché soffrire, allora, perché lottare, perché rischiare d'essere investiti dalla raffica che parte dalla montagna e ti butta laggiù in fondo al pozzo tra i pesci? Ma perché è l'unico modo di esistere quando sei un uomo, un donna, una persona non una pecora del gregge, perdio! Se un uomo è un uomo, non una pecora del gregge, v'è in lui un istinto di sopravvivenza che lo induce a battersi anche se capisce di battersi a vuoto, anche se sa di perdere: don Chisciotte che si lancia contro i mulini a vento senza curarsi d'essere solo e anzi fiero d'essere solo. E non ha importanza che egli agisca per se stesso o per l'umanità, credendo al popolo o non credendoci, non ha importanza che il suo sacrificio abbia o non abbia risultati: finché lotta e nel momento in cui soccombe fisicamente è lui il Popolo, è lui l'Umanità. E magari un risultato esiste: sta nel fatto che egli si allontani dal branco, che rifiuti di appartenere al fiume di lana, che turbi il gregge per un'ora o un giorno. A volte basta che un uomo, una donna, si allontanino dal gregge perché il gregge si sparpagli un poco, perché il fiume di lana interrompa il suo fluire lungo il sentiero tracciato dalla montagna. (V, III; 2001, pp. 391–392)
  • Non v'è eroe vivo che valga un eroe morto [...]. (VI, I; 2001, p. 415)
  • L'eterno Potere che non muore mai, cade sempre per risorgere dalle sue ceneri, magari credi di averlo abbattuto con una rivoluzione o un macello che chiamano rivoluzione e invece rieccolo, intatto, diverso nel colore e basta, qua nero, là rosso, o giallo o verde o viola, mentre il popolo accetta o subisce o si adegua. (Prologo)
  • La solita fiaba dell'eroe che si batte da solo, preso a calci, vilipeso, incompreso. La solita storia dell'uomo che rifiuta di piegarsi alle chiese, alle paure, alle mode, agli schemi ideologici, ai principii assoluti da qualsiasi parte vengano, di qualsiasi colore si vestano, e predica la libertà. La solita tragedia dell'individuo che non si adegua, che non si rassegna, che pensa con la propria testa, e per questo muore ucciso da tutti. (Prologo)
  • Nella fiaba dell'eroe è il ritorno al villaggio che giustifica le pene sofferte e le imprese compiute nel regno dell'impossibile: senza ritorno la sua lunga assenza perderebbe ogni significato. Però il ritorno è anche l'esperienza più amara che egli deve affrontare, un dolore che lo strazia più di quanto lo straziarono le battaglie sostenute nel periodo delle grandi prove, e non solo perché fino alle porte del villaggio egli è avversato dagli dèi che non si stancano di collaudarlo, di tormentarlo, ma perché rientrando tra i comuni mortali egli deve subire la loro ingratitudine, la loro indifferenza, la loro cecità.
  • Molti intellettuali credono che essere intellettuali significhi enunciare ideologie, o elaborarle, manipolarle, e poi sposarle per interpretare la vita secondo formule e verità assolute. Questo senza curarsi della realtà, dell'uomo, di loro stessi, cioè senza voler ammettere che essi stessi non sono fatti solo di cervello: hanno anche un cuore o qualcosa che assomiglia a un cuore, e un intestino e uno sfintere, quindi sentimenti e bisogni estranei all'intelligenza, non controllabili dall'intelligenza. Questi intellettuali non sono intelligenti, sono stupidi, e in ultima analisi non sono neanche intellettuali ma sacerdoti di una ideologia.
  • "E anzi accetto fin d'ora questa condanna. Perché il canto del cigno di un vero combattente è il rantolo che egli emette colpito dal plotone di esecuzione di una tirannia."(I)
  • L'abitudine è la più infame delle malattie perché ci fa accettare qualsiasi disgrazia, qualsiasi dolore, qualsiasi morte. (I)
  • Non si fa il proprio dovere perché qualcuno ci dica grazie, lo si fa per principio, per se stessi, per la propria dignità. (I)
  • Un uomo che non parla a nessuno e a cui nessuno parla è come un pozzo che nessuna sorgente alimenta: a poco a poco l'acqua che vi stagna imputridisce ed evapora. (I)
  • Il vero eroe non si arrende mai, a distinguerlo dagli altri non è il gran gesto iniziale o la fierezza con cui affronta le torture e la morte ma la costanza con cui si ripete, la pazienza con cui subisce e reagisce, l'orgoglio con cui nasconde le sue sofferenze e le ributta in faccia a chi gliele impone. Non rassegnarsi è il suo segreto, non considerarsi vittima, non mostrare agli altri tristezza o disperazione. (da Parte Prima)
  • Chiunque muoia per un miraggio si merita un buon funerale.
  • Da morto avrò l'eternità per dormire.
  • Il grande malanno del nostro tempo si chiama ideologia e i portatori del suo contagio sono gli intellettuali stupidi.
  • L'America è un paese che accoglie chiunque, compreso chi la critica.
  • L'America è un elefante che può permettersi qualsiasi lusso, anche il lusso della tolleranza. E se la critichi non sente neanche il solletico, se lo sente ne ride come di un pizzicorino sotto l'ascella.
  • L'estrema punizione per chi cerca mondi migliori è il niente.
  • La morte è una ladra che non si presenta mai di sorpresa.
  • Nessuno dice che il vero fascismo consiste nell'essere anti per principio, per bizza, cioè nel negare a priori che in ogni corrente di pensiero vi sia qualcosa di giusto o qualcosa da usare per cercare il giusto.
  • Tu non crederai a ciò che sto per raccontarti, lo so. Dirai che è teatro. Ma tutto ciò che accadeva con lui, e a lui, era anche teatro. A un certo punto, quella sera, cadde una stella. E io feci a tempo a esprimere un desiderio: che vivesse ancora un po'. Quest'uomo scomodo, diverso da tutti, dai più accettabile solo da morto.
  • Ci si dimentica sempre che un eroe è un uomo, soltanto un uomo, e che resistere a una tirannia, subire sevizie, languire per anni in una cella senz'aria né luce è a volte più facile che battersi nell'equivoco e nelle lusinghe della normalità.
  • Il coraggio è fatto di paura.
  • Niente è indegno se il fine è degno. (Alexos)
  • L'amara scoperta che Dio non esiste ha ucciso la parola destino. Ma negare il destino è arroganza, affermare che noi siamo gli unici artefici della nostra esistenza è follia: se neghi il destino la vita diventa una serie di occasioni perdute, un rimpianto di ciò che non è stato e avrebbe potuto essere, un rimorso di ciò che non è fatto e avremmo potuto fare, e si spreca il presente rendendo un'altra occasione perduta. (II)
  • "Se ci fermassimo a considerare ciò che ha buon senso e ciò che non lo ha, ciò che è possibile e ciò che non lo è, la terra smetterebbe di girare. E la vita perderebbe il suo scopo." (II)
  • In tempo di democrazia la giustizia non si fa scavando le tombe.
  • Un partito non ha bisogno di individui con personalità, creatività, fanasia, dignità: ha bisogno di burocrati, di funzionari, di servi.
  • Agli uomini non interessa né la verità, né la libertà, né la giustizia. Sono cose scomode e gli uomini si trovano comodi nella bugia e nella schiavitù e nell'ingiustizia. Ci si rotolano come maiali.
  • Ogni rivoluzione contiene in sé i germi di ciò che ha abbattuto e col tempo si dimostra il proseguimento di ciò che ha abbattuto. Da ogni rivoluzione nasce o rinasce un impero. Guarda quella francese, l'esempio che ha avvelenato il mondo con le sue bugie Liberté-Egalité-Fraternité. Fiumi di sangue e di sogni, mari di atrocità e di chimere, e poi?
  • Come un legno che va alla deriva, incapace d'opporsi alla corrente del fiume, ignaro se l'acqua lo scaglierà sulla sponda o lo trascinerà fino al mare, così me ne andavo nella tua esistenza durante quell'autunno. La mia battaglia contro l'amore, il cancro, era ormai perduta.
  • La felicità è un oblio che dura una settimana.
  • Lottate, ragionate col vostro cervello, ricordate che ciascuno è qualcuno, un individuo prezioso, responsabile, artefice di se stesso, difendetelo il vostro io, nocciolo di ogni libertà, la libertà è un dovere, prima che un diritto è un dovere.
  • Credere nell'Uomo significa credere nella sua libertà. Libertà di pensiero, di parola, di critica, di opposizione.
  • Come se la libertà si potesse assassinare senza il consenso del popolo, senza la vigliaccheria del popolo, senza il silenzio del popolo!
  • Oggi è un sogno cui dai nome libertà, domani potrebb'essere un sogno cui dare nome verità; non conta che siano o non siano obiettivi reali, conta rincorrerne il miraggio, la luce.
  • Questa ineffabile sinistra che non ascolta mai chi la contesta o la denuncia o la critica, e per rinnovarsi sa partorire soltanto i pistoleros alla John Wayne, i rivoluzionari del cazzo.
  • Gli eroi delle fiabe insensate ma senza le quali la vita non avrebbe alcun senso, e battersi sapendo di perdere sarebbe pura follia.

Tuttavia per un giorno, quel giorno che conta, che riscatta, che viene magari quando non si spera più, e venendo lascia nell'aria un microscopico seme da cui sboccerà un fiore, lo capì anche il gregge che bela dentro il suo fiume di lana. Non più gregge, quel giorno, ma piovra che strozza e ruggisce zi, zi, zi! Alekos zi, zi, zi! Alekos vive, vive, vive! Ecco perché sorridevi tanto misteriosamente ora che calavi dentro la fossa dove il Gran Sacerdote coperto di ori e collane, zaffiri smeraldi rubini, simbolo d'ogni potere presente e passato e futuro, ruzzolava grottesco, rompendo il cristallo, calpestando la statua di marmo, credendo che soltanto quella restasse di un sogno, di un uomo.

Citazioni su Oriana Fallaci

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  • A Napoli per la trasmissione con Oriana Fallaci sul Vietnam. Orribile, sciocca, nevrotica primadonna che crea enormi problemi per avere la prima poltrona, che parla dei suoi inutili ricordi […] È un’orribile voyeur, inaffidabile, presuntuosa, piena della propria vanagloria, ora con manie di persecuzione. Querela tutti. Accusa tutti di sparlare di lei citando a testimone gente che è morta e che lei non può richiamare in causa. Ho l’impressione di essere vissuto in un altro mondo, di aver coperto altre guerre, altri paesi, di fare una professione diversa. (Tiziano Terzani)
  • Abbandonata a se stessa quando immaginava un mondo migliore. (Daniela Santanchè)
  • Ad un certo punto della mia vita ho interrotto gli studi universitari e mi sono arruolato. Incursore del "col Moschin" sono stato mandato in missione in Libano. Ed è qui che ho conosciuto Oriana Fallaci. Fu proprio lei, sulla nave che ci riportava in patria a chiedermi "cosa volevo fare da grande". "Non so – risposi – mi piacerebbe andare nello spazio". E lei: "tutto si può fare...". Quando siamo tornati mi ha stimolato a riprendere gli studi e mi ha aiutato. (Paolo Nespoli)
  • Allora, quale sarebbe il terribile, vergognoso sbaglio di Oriana Fallaci? Forse sta nell'aver detto «forse». Invece avrebbe dovuto dire: qui è in atto una guerra di religione «anche se» voluta e dichiarata soltanto da una frangia di quella religione. (Giovanni Sartori)
  • Amava la vita perché, in punto di morte, soffrendo, alzò gli occhi e gridò: "Se Tu esisti davvero, perché non mi fai vivere". Non chiedeva di non farla soffrire, chiedeva di vivere. Diceva di non credere, ma aveva una grande speranza. (Rino Fisichella)
  • Amava un'Italia scomparsa fatta di Risorgimento e Resistenza, di impegno e di passione civile. Ed era poco italiana, ora che essere buoni italiani vuol dire essere conformisti, recitare la correttezza politica e vivere le passioni dei premi letterari e dei talk show politici, ed essere per forza di destra o di sinistra, o di centro. Non fatevi ingannare quando cercano di separare le sue parole dopo l'11 settembre da quello che era stata prima. Era la stessa di sempre, quella che aveva giudicato la guerra del Vietnam inutile e stupida, quella del bambino mai nato, quella che si era tolta il velo davanti a Khomeini. La stessa ribellione e l'ipocrisia quando aveva preso a scrivere contro il fondamentalismo islamico, e ancora di più contro il relativismo, il multiculturalismo, l'antisemitismo, tutti gli -ismi di un'Europa avviata a diventare Eurabia. Se n'è andata in solitudine, ma siamo noi ad essere un po' più soli. (Toni Capuozzo)
  • Aver seminato tutto il terrore che ha seminato con quell'articolo[34], è un'operazione da terrorista. La signora Fallaci è una terrorista. (Franca Rame)
  • Con Oriana Fallaci scompare una donna straordinaria, oltre che una grande giornalista, che non ha mai rinunciato alla sua libertà di pensiero, anche quando le sue parole rischiavano di apparire scomode o addirittura temerarie. (Silvio Berlusconi)
  • Con Oriana Fallaci se ne va una giornalista coraggiosa, una scrittrice libera. Le sue interviste e i suoi reportage hanno aiutato generazioni di italiani a comprendere i fatti del mondo, a conoscerne le storie. Le pagine dei suoi libri sono quelle di una scrittrice di livello internazionale, che nel corso della sua vita non ha mai avuto timore di prendere posizione, di esprimere le proprie idee, di scegliere con chiarezza e con nettezza da che parte stare. L'Italia perde, con lei, la voce forte di una donna impegnata, di un'intellettuale indipendente. (Walter Veltroni)
  • Guarda un filo d'erba al vento e sentiti come lui. Ti passerà anche la rabbia. Ti saluto, Oriana e ti auguro di tutto cuore di trovare pace. Perché se quella non è dentro di noi non sarà mai da nessuna parte. (Tiziano Terzani)
  • L'Oriana è un libro aperto. Scritto in cinese, anzi in sanscrito. (Paola Fallaci)
  • La Fallaci è una grande giornalista per la stessa ragione per cui è una mediocre romanziera. È un enorme utero estroflesso che abbraccia un ampia superficie della realtà. Ma quello che guadagna in estensione quando scrive articoli lo perde in profondità quando scrive libri. (Massimo Fini)
  • La Fallaci del Vietnam. Indimenticabile l'immagine di lei che corre sull'Y Bridge con la macchina al collo sotto il fuoco dei Vietcong. Era il 1972. (Tiziana Ferrario)
  • La giornalista scrittrice che ama la guerra | perché le ricorda quando era giovane e bella. (Jovanotti)
  • Lei, combattente irriduci­bile dal suo eremo americano, amava andare con­trocorrente. Ma da sola. (Ferruccio de Bortoli)
  • Mi vergogno della vigliaccheria di Firenze, storicamente una città di geni ma anche di mascalzoni e di vigliacchi. Quattro manigoldi le hanno negato il Fiorino d'oro, il massimo riconoscimento, ed è stato come negarle la cittadinanza. Oriana Fallaci è stata la fiorentina più importante del '900 e l'hanno trattata come una nemica. (Franco Zeffirelli)
  • Non c'era un intervistato che si riconoscesse nelle interviste perché lei intervistava sempre sé stessa. Scriveva da Dio, e quindi il fatto che scrivesse da Dio la autorizzava a dire delle cose anche iperboliche come quando affermò che, se avessero costruito una moschea a Colle Val d'Elsa, l'avrebbe fatta saltare in aria. Se questa è la civiltà occidentale che dobbiamo difendere, ho i miei dubbi. Quelle della Fallaci erano provocazioni, ma l'errore è averla scambiata per una politologa e non averla considerata una scrittrice. (Marco Travaglio)
  • Oriana Fallaci è non solo una grande giornalista: per me è "il" giornalismo. E sottolineo "è" (non era) per tanti motivi. Uno dei quali sta nel fatto che le sue pagine resteranno a lungo la migliore scuola di giornalismo, ma soprattutto una formidabile ventata di libertà intellettuale, un vaccino contro tutti i cretini, variamente collocati nelle gerarchie del potere, e contro le pigre viltà del conformismo. (Antonio Socci)
  • Oriana Fallaci è stata la più grande giornalista italiana dell'ultimo secolo. Una donna straordinaria, una scomoda testimone dell'Occidente e dei suoi valori, uno spirito critico implacabile di fronte alle nostre troppe timidezze e pavidità. I suoi scritti dovranno ancora per lungo tempo essere motivo di riflessione per tutti noi. (Pier Ferdinando Casini)
  • Oriana Fallaci ha sempre avuto un carattere forte e difficile, spigoloso, e non ha mai cercato di arruffianarsi il pubblico o i potenti che intervistava, o i giornalisti, o i critici che dovevano parlare di lei, anzi. (Enrico Mentana)
  • Oriana Fallaci. Vorrei la sua grinta. Sogno di essere la prima donna a fare cose riservate ai maschi. (Federica Pellegrini)
  • [«Che idea s'è fatta di Oriana Fallaci?»] [...] posso non condividerne tutti i punti di vista, ma indubbiamente ne riconosco la portata storica. In un'epoca di voltagabbana, di gente di cui non ci si può fidare, lei resta esempio di donna solida. Una così coraggiosa da riuscire a inimicarsi tutti con le sue posizioni, non può che farmi simpatia. La considero un bell'esempio di femminile, di una donna che si è affrancata dai soliti ruoli di madre, moglie, in un'epoca dove era ancora più difficile. L'Italia è maschilista oggi [nel 2019], figurarsi 40 anni fa. (Sabrina Impacciatore)
  • Scompare con Oriana Fallaci una giornalista di fama mondiale, autrice di grandi successi editoriali, appassionata protagonista di vivaci battaglie culturali, ammirevole nella strenua lotta contro il male che l'aveva colpita. (Giorgio Napolitano)
  • Spero riposi in pace. Quella pace che a lei non piaceva. (Afef Jnifen)
  • Tutti noi, i greci e le greche rendiamo onore alla Fallaci, una voce levatasi con forza a favore della democrazia, in momenti difficili attraversati dal nostro Paese. (Thedoros Roussopulos, portavoce del governo greco[35])
  • Uomini e nazioni stanno cercando risposte adeguate. Il comune obiettivo è la pace, una pace vera, frutto di leale collaborazione nell'affrontare i problemi del mondo, non di ambiguità e di fallaci impegni.[36] (Carlo Azeglio Ciampi)
  • Val la pena di ricordare che molti tra i suoi colleghi, anche i più intelligenti, si preoccupano di apparire stupidi. La signorina Fallaci non ha bisogno di ricorrere a questi trucchi, sa nascondere la giornalista più agguerrita sotto la più ingannevole delle maschere femminili. (Orson Welles)
  1. a b Dall'intervista di Riccardo Mazzoni Oriana Fallaci risponde, Panorama.it, 21 novembre 2002.
  2. (EN) Citato in Oriana Fallaci: The Rolling Stone Interview, Rollingstone.com, 17 giugno 1976.
  3. Da un discorso all'ambasciata italiana a New York nel febbraio 2006; riportato in Islam, il discorso inedito della Fallaci: "Loro ci ammazzano, noi chiediamo scusa", Libero Quotidiano.it, 27 dicembre 2015.
  4. L'articolo fu pubblicato quando Francesco Totti fu sorpreso da una telecamera a sputare in faccia al collega danese Christian Poulsen durante una partita della nazionale italiana al campionato europeo di calcio 2004.
  5. Da Lo sdegno e il cazzotto, La Gazzetta dello Sport, 19 giugno 2004.
  6. a b c Dall'intervista a Federico Fellini, febbario 1963; tratto da Gli antipatici (1963).
  7. a b Dall'intervista a Ruhollah Khomeini, Corriere della Sera, 26 settembre 1979.
  8. Da A quaranta gradi moda d'inverno, Epoca n.95/1952.
  9. Da La rabbia e l'orgoglio; citato in Oriana Fallaci e quella profezia sull'Islam: "Parigi è persa", Libero Quotidiano.it, 14 novembre 2015.
  10. a b c Dal discorso tenuto il 28 novembre 2005 in occasione della consegna dell'Annie Taylor Award e riportato in Libero, 1 dicembre 2005.
  11. Dal documentario di Enrico Mentana Oriana Fallaci: storia di un'italiana.
  12. a b Dall'intervista di Christian Rocca Barbablù e il Mondo Nuovo, Il Foglio, 13 aprile 2005.
  13. Da Noi cannibali e i figli di Medea, Corriere della Sera, 3 giugno 2005.
  14. a b c Citato in Cecilia Lulli, Il carteggio tra la Fallaci e Fisichella: "Caro Rino, l'Alieno mi divora...", il Giornale.it, 18 settembre 2008.
  15. a b Dall'intervista di Lucia Annunziata e Carlo Rossella del 16 dicembre 2001 riportata in Lucia Annunziata, «Accetto la morte ma la odio», La Stampa, 16 settembre 2006.
  16. Da Sull'antisemitismo, Panorama, 18 aprile 2002.
  17. Da un'intervista condotta nel giugno 1964; citato in Virna, il racconto a Oriana Fallaci "Non sarò la nuova Marilyn", Corriere.it, 19 dicembre 2014.
  18. Da «Fiorentini, esprimiamo il nostro sdegno», Corriere della Sera, 6 novembre 2002.
  19. a b Dall'intervista di Padre Andrzej Majewski, L’intervista “perduta” alla Fallaci (parte 1), Libero, 14 agosto 2005.
  20. Da Con la censura stiamo peggio noi, L'Europeo, 27 ottobre 1957 riportato nell'appendice de I sette peccati di Hollywood (1958).
  21. (EN) The Agitator: Oriana Fallaci directs her fury toward Islam, The New Yorker, 5 Giugno 2006; Citato in Fallaci, l'ultima provocazione: Faccio saltare la moschea in Toscana, Repubblica.it, 30 maggio 2006.
  22. Dalla lettera agli studenti della scuola Rosselli di Marina di Carrara, 8 maggio 1975.
  23. Dall'intervista di Padre Andrzej Majewski, caporedattore della televisione pubblica polacca, riportata in Libero, 14 agosto 2005.
  24. Da La vita di Oriana narrata da Oriana stessa per i lettori dell'Europeo, anni ottanta, ripubblicata su L'Europeo, n. 4, 2007, ora in Oriana Fallaci, Solo io posso scrivere la mia storia. Autoritratto di una donna scomoda, Rizzoli, Milano, 2016. ISBN 978-88-58-68625-6
  25. Da Le radici dell'odio, op. cit.
  26. Il film in questione è Ultima occasione (Tuff Turf), pellicola statunitense del 1985. La frase è generalmente attribuita a Søren Kierkegaard.
  27. La Fallaci intervista qui il suo compagno Alexandros "Alekos" Panagulis.
  28. Dalla trentasettesima edizione in poi, modificata in «Ora muoio anch'io», così come appariva nelle bozze originali. Per maggiori dettagli, si veda Francesco Cevasco, Oriana, il libro, la voce, Corriere della Sera, 21 settembre 1993, pp. 25-26)
  29. Cfr.: Massacro di My Lai.
  30. Si riferisce al cancro ai polmoni, ovvero «l'Alieno».
  31. Pubblicato sul Corriere della sera il 29 settembre 2001.
  32. Cfr. Blaise Pascal, Pensieri: «L'uomo non è né angelo né bestia, e disgrazia vuole che chi vuol fare l'angelo fa la bestia.»
  33. Si riferisce ai libri Dalla Terra alla Luna (1865) e Intorno alla Luna (1870).
  34. Cfr. paragrafo su Wikipedia.
  35. Citato in Fallaci: governo greco, onore a voce che si levò in favore democrazia, Adnkronos, 16 settembre 2006.
  36. A proposito dell'incipiente guerra in Iraq; il termine fallaci fu inteso come una sottile critica alle idee radicali sostenute da Oriana Fallaci. In La forza della ragione, Rizzoli, della stessa giornalista si legge: "Per carità anzi pietà di Patria sorvolo su quelle [sevizie] compiute dai numi dell'Olimpo Costituzionale che in pubblici discorsi si sono squallidamente abbassati a usare il mio cognome come aggettivo spregiativo, cioè fallaci-inganni, fallaci-illusioni".

Bibliografia

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  • Oriana Fallaci, 1968. Dal Vietnam al Messico. Diario di un anno cruciale, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli, 2017, ISBN 978-88-17-09672-0
  • Oriana Fallaci, I sette peccati di Hollywood (1958), BUR, 2009. ISBN 9788817028363
  • Oriana Fallaci, Insciallah, Rizzoli, Milano, 2000. ISBN 8817853747
  • Oriana Fallaci, Intervista con il potere, Rizzoli, Milano, 2009. ISBN 9788817035866
  • Oriana Fallaci, Intervista con la storia, Rizzoli, Milano, 1974
  • Oriana Fallaci, Intervista con la storia, BUR, Milano, 1977
  • Oriana Fallaci, La forza della ragione, Rizzoli, Milano, 2004. ISBN 8817002968
  • Oriana Fallaci, La rabbia e l'orgoglio, Rizzoli, Milano, 2001. ISBN 881786983X
  • Oriana Fallaci, Le radici dell'odio. La mia verità sull'islam, Rizzoli, Milano, 2015. ISBN 978-88-17-08428-4
  • Oriana Fallaci, Lettera a un bambino mai nato, Rizzoli, Milano, 1975. ISBN 881715010X
  • Oriana Fallaci, Niente e così sia, Rizzoli, Milano, 1997. ISBN 8817150126
  • Oriana Fallaci, Penelope alla guerra, introduzione di Michele Prisco, Rizzoli, Milano, 1962
  • Oriana Fallaci, Quel giorno sulla luna (1970), BUR, 2009. ISBN 9788817032599
  • Oriana Fallaci, Se il sole muore, Rizzoli, Milano, 1965
  • Oriana Fallaci, Un cappello pieno di ciliege, Rizzoli, Milano, 2008. ISBN 978-88-17-02781-6
  • Oriana Fallaci, Un uomo, Rizzoli, Milano, 2001. ISBN 8817453749

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