Mohammad Reza Pahlavi

ultimo scià di Persia

Mohammad Reza Pahlavi (1919 – 1980), Scià d'Iran.

Mohammad Reza Pahlavi

Citazioni di Mohammad Reza Pahlavi

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  Citazioni in ordine temporale.

  • [Sul Mazandaran] Là si trovano tigri più belle che nel Bengala.[1]
  • L'Italia è così viva perché sa di aver perduta la guerra, la Francia è così morta perché crede di averla vinta.[1]
  • Non c'è naturalmente nessun dubbio che certi presupposti politici vanno rispettati. L'esperienza del passato ha dimostrato che quando questi presupposti non vengono rispettati, si decono affrontare enormi difficoltà. Viceversa, una politica accorta porta sempre dei frutti positivi. Tuttavia, l'accortezza e la cautela vanno sempre inserite nel quadro degli interessi del Paese. In politica estera, noi applichiamo il principio dell'amicizia con altri Paesi quando esso coincide con l'interesse dell'Iran, ed è saggio colui che lo sa utilizzare. In caso contrario, non si può evidentemente parlare di amicizia; ma l'importante è di non perdere la testa e non agire sulla base di giudizi sbagliati, come sono quelli della gente debole e rassegnata ai soprusi degli altri.[2]
  • [Sul divorzio da Soraya Esfandiary Bakhtiari] È stato il futuro del Paese e le sorti della monarchia che mi hanno costretto a separarmi dalla mia amata consorte.[3]
  • Per assicurare il futuro al Paese e per salvare la monarchia ereditaria io ho dovuto separarmi dalla mia adorata sposa, che nei tempi più difficili dei sette anni trascorsi insieme ha condiviso con me le mie pene ed i miei dolori, e mi è sempre stata compagna fedele al fianco.[3]
  • Fin dai primi giorni del mio regno, io mi sono proposto, ed è stata questa la mia norma di condotta costante di dimenticare me stesso nell'interesse del Paese. E anche in quest'ultima occasione, una delle più difficili che abbia mai sperimentato, non ho considerato che l'interesse del Paese.[3]
  • Ma c'è da impazzire. Io una volta pensavo che la corruzione dipendesse dal fatto che i piccoli impiegati non avevano da vivere decentemente, e che bastasse aumentare gli stipendi perché essi fossero al riparo dalle tentazioni della disonestà. Sono costretto a riconoscere che i più corrotti sono i più ricchi. Rischio di perdere la testa in questa lotta: ma mi dico che debbo invece procedere in maniera freddamente efficace, "more scientifically".[4]
  • Io non ho niente contro la Jugoslavia, ma sbaglio, forse a domandare se non sia strano che un paese comunista riceva il doppio di noi che siamo alleati dell'Occidente?[4]
  • Se gli Stati Uniti abbandonano il Vietnam del Sud, allora perderanno la fiducia degli altri loro alleati.
[...] if the US abandons the South Vietnamese, then they lose the trust of their other allies.[5]
  • L'addestramento militare ha un grande impatto. Vedemmo ciò che successe nel giugno del 1967. Questo, ovviamente, non accadrà di nuovo. Non verranno sorpresi, e indubbiamente le forze aeree arabe non verranno distrutte in poche ore. Ma non credo che gli arabi siano arrivati al punto di poter distruggere le forze armate israeliane. In ogni caso, abbiamo detto a Israele: potete fare un'altra guerra, ma dove vi ritroverete infine? Ci sono cento milioni di arabi, e col passar del tempo, impareranno a combattere.
Military training has a great impact. We saw what happened in June 1967. Of course, this will not happen again, they will not be taken aback and undoubtedly the entire Arab air forces will not be destroyed in a couple of hours. But I think the Arabs have not reached a point where they can destroy Israel's armed forces. In any case, we told Israel: you can wage another war, but eventually where will you end up? There are 100 million Arabs and as time passes by, they will learn how to fight.[5]
  • Ovviamente Israele esiste come Stato, e non si può sterminare un popolo; il desiderio manifestato da certe persone di sterminare la razza ebraica non può avverarsi.
Of course, Israel exists as a state and a people cannot be exterminated; the desire manifested by some to exterminate the Jewish race cannot be fulfilled.[5]
  • Non sono un sanguinario. Sto lavorando per il mio paese e le generazioni future. Non posso sprecare il mio tempo con una manciata di giovani stolti. Non credo che le torture attribuite alla SAVAK siano così abituali come si dice, ma non posso controllare tutto. Inoltre, abbiamo metodi di impiego della pressione psicologica che sono molto più efficaci della tortura. [...] Il mio popolo ha ogni genere di libertà, eccetto quella di tradire.
I am not bloodthirsty. I am working for my country and the coming generations. I can't waste my time on a few young idiots. I don't believe the tortures attributed to the SAVAK are as common as people say, but I can't run everything. Besides, we have ways of using psychological pressure that are much more effective than torture [...] My people have every kind of freedom, except the freedom to betray.[6]
  • Voi occidentali semplicemente non capite la filosofia che sta dietro il mio potere. Gli iraniani considerano il loro sovrano come un padre. [...] La monarchia è il cemento della nostra unità. [...] Ora, se per te un padre è inevitabilmente un dittatore, quello è un problema tuo, non mio.
You Westerners simply don't understand the philosophy behind my power. The Iranians think of their sovereign as a father. The monarchy is the cement of our unity. [...] Now, if to you, a father is inevitably a dictator, that is your problem, not mine.[6]
  • [Ultime parole famose] Voglio che fra dieci anni il tenore di vita in Iran sia esattamente allo stesso livello di quello in Europa. Fra venti, avremo superato gli Stati Uniti.
I want the standard of living in Iran in ten years' time to be exactly on a level with that in Europe today. In twenty years' time we shall be ahead of the United States.[6]
  • Saremo certo lieti di vedere Israele mettere gli arabi al loro posto, ma abbiamo ripetutamente condannato la loro occupazione del territorio arabo. (19 maggio 1969)
We may be delighted to see Israel putting the Arabs in their place, but we have repeatedly condemned their occupation of Arab territory.[7]
  • Malgrado tutta la loro apparente tolleranza, gli Stati Uniti mantengono un particolare equilibrio tra le forze del capitalismo e quelle della democrazia. Sono sicuro che, per ottenere ciò, il paese è guidato da qualche forza nascosta, un'organizzazione che lavora in segreto, abbastanza potente da far fuori i Kennedy e chiunque lo ostacoli. (9 settembre 1970)
For all its apparent tolerance, the USA maintains a peculiar balance between the forces of capitalism and democracy. To achieve this I feel sure the country is guided by some hidden force; an organization working in secrecy, powerful enough to dispose of the Kennedys and of anyone else who gets in its way.[8]
  • Con l'esperienza, ho imparato che una tragica fine attende chiunque osi scontrarsi con me; Nasser non c'è più, John e Robert Kennedy perirono per mano di assassini, il loro fratello Edward è stato umiliato, Nikita Chruščëv è stato deposto, la lista non ha fine. (16 febbraio 1970)
I have learned by experience that a tragic end awaits anyone who dares cross swords with me; Nasser is no more, John and Robert Kennedy died at the hands of assassins, their brother Edward has been disgraced, Krushchev was toppled, the list is endless.[9]
 
Lo scià elogiando Ciro il grande durante la Celebrazione dei 2500 anni dell'Impero Persiano
  • A te Ciro, gran re, re dei re, re Achemenide, da parte mia, lo Sciainscià dell'Iran e da parte del mio popolo, salve. [...] Eccoci davanti alla tua dimora eterna, per dirti solennemente, dormi in pace. (Dichiarazione davanti alla tomba di Ciro II di Persia durante la Celebrazione dei 2500 anni dell'Impero Persiano, 12 ottobre 1971)[10]
  • Grazie a Dio noi in Iran non abbiamo né la voglia né il bisogno di soffrire a causa della democrazia. (5 agosto 1972)
Thank God we in Iran have neither the desire nor the need to suffer from democracy.[11]
  • Avevamo torto nel credere che i britannici fossero nostri amici. Siete ossessionati unicamente dai vostri interessi egoistici, e ci trattate come un popolo inaccettabile. Ma il vostro atteggiamento è una questione di profondo disinteresse. Il vostro sistema democratico è già esploso nel caos. Presto noi vi supereremo, e fra un decennio faticherete a starci dietro. Forse allora vi ricorderete di come ci avete trattati. (16 agosto 1972)
We were wrong to believe that the British are our friends. You are obsessed solely with your own selfish interests and treat us as a people beyond the pale. But your attitude is a matter of profound disinterest. Your democratic system has already erupted into chaos. We shall soon overtake you and in a decade you will be struggling in our wake. Perhaps then you will remember how you treated us.[12]
  • [Su Hasan II del Marocco] Passa metà del suo tempo addormentato e il resto tra le gambe del gentil sesso. (17 agosto 1972)
He spends half his time asleep and the rest of it buried between the legs of the fairer sex.[13]
  • Nixon è un capo forte con una buona comprensione dei problemi mondiali. Lui sa che l'unico modo per discutere con i comunisti è da una posizione di forza. (8 november 1972)
Nixon is a strong leader with a good grasp of the world's problems. He knows that the only way to argue with the communists is from a position of strength.[14]
  • Le grandi potenze affermano che tutto ciò che possiedono appartiene loro di diritto, ma qualsiasi cosa che noi, i paesi più piccoli, possediamo è negoziabile. (29 novembre 1972)
The great powers claim that whatever they possess is theirs by right, but whatever we, the smaller countries possess is negotiable.[15]
  • Nixon ci relegherebbe al livello dei paesi più arretrati dell'intero medio oriente. Perché abbassarci agli standard dell'Arabia Saudita invece di elevare i sauditi al nostro livello? (27 gennaio 1973)
Nixon would like to consign us to to the level of the most backward countries in the whole Middle East. Why lower us to the standard of the Saudis rather than raising the Saudis to meet us?[16]
  • [Sui paesi arabi] Al diavolo la «fratellanza musulmana»; sono i nostri peggior nemici. Lei stesso sa che sono musulmano, persino un musulmano fanatico, ma ciò non cambia la mia opinione sugli arabi. (28 ottobre 1973)
Muslim brothers be damned; they're our greatest enemies. You know yourself that I'm a Muslim, even a fanatical Muslim. But that does nothing to alter my opinion of the Arabs.[17]
  • Essere primi nel Medio Oriente non basta. Dobbiamo innalzarci al livello di una grande potenza mondiale. (22 marzo 1974)
To be first in the Middle East is not enough. We must raise ourselves to the level of a great world power.[18]
  • [Su Henry Kissinger] Prima della rovina viene l'orgoglio, ma nel suo caso si tratta più di presunzione che orgoglio. (10 ottobre 1974)
Pride comes before a fall- although in his case it's more conceit than pride.[19]
  • Chi mai gli americani pensano che siano i loro alleati nel mondo arabo? Sembra persino che considerino l'Arabia Saudita nient'altro che un serbatoio di petrolio e denaro. (18 marzo 1976)
Who on earth do the Americans suppose their allies are amongst the Arab world? Even Saudi Arabia they seem to regard as nothing more than a resevoir of oil and money.[20]
  • The Times e il Guardian ci accusano di messo in atto uno stato di polizia. Il programma persiano della Bbc ha fatto accuse simili, dichiarando che ai paesi come l'Iran e l'Arabia Saudita dovrebbe essere negato l'accesso alla tecnologia militare occidentale. Di che stanno parlando questi maledetti idioti? Credono sul serio che l'Iraq, o l'Algeria, o la Libia siano regimi liberali? (1 giugno 1976)
The Times and the Guardian accuse us of operating a police-state. The BBC Persian programme has made similair allegations, saying that countries such as Iran and Saudi Arabia should be denied access to Western military technology. What are the bloody fools on about? Do they seriously regard Iraq, or Algeria, or Libya as liberal regimes?[21]
  • Ciò che è successo di recente in Pakistan,[22] India[23] e Kuwait non fa che dimostrare quanto sia inutile imitare la democrazia occidentale. Si sono ritrovati esattamente al punto di partenza. (6 settembre 1976)
What's happened recently in Pakistan, India and Kuwait only goes to show that it's futile to imitate Western democracy. They've ended up exactly where they started.[24]
  • La propaganda sovietica è notevolmente efficace e gli americani sono ancora più notevolmente stupidi. (14 settembre 1976)
Soviet propaganda is remarkably effective and the Americans are even more remarkably stupid.[25]
  • I sauditi non hanno mai dimostrato alcun rispetto per i diritti umani, sia ora che in passato. Persino un semplice ladro deve subire il taglio di una mano. La stampa liberale in America preferisce ignorare tutto questo, ma non esita gettare il discredito sull'Iran. (1 gennaio 1977)
[...] the Saudis have never shown any respect for human rights, either now or in the past. Even a petty burglar faces having one of his hands chopped off. The liberal press in America prefers to ignore all this, although they don't hesitate to blacken the reputation of Iran.[26]
  • Come si può sperare di sviluppare una nazione frammentando la sua politica in campi opposti? Qualsiasi cosa un campo costruisca, l'altro cercherà di distruggerlo. (5 giugno 1977)
How can you hope to build up a nation by fragmenting its politics into opposing camps? Whatever one group builds, the other will endeavour to destroy.[27]
  • I cinesi sono un popolo solo. Possono parlare dialetti diversi, ma il loro linguaggio scritto è lo stesso. Ovunque si trovino essi sviluppano un forte senso comunitario, sia in Cina che all'estero. Per quanto possano violentemente dissentire su istanze politiche, alla fine si considerano tutti cinesi e sono tutti orgogliosi delle loro tradizioni nazionali. L'India, al contrario, è un'incredibile amalgama di razze, culture, religioni e linguaggi. Non esiste nemmeno una lingua nazionale comune. Al Parlamento, per capirsi, i deputati sono costretti a parlare in inglese. (dichiarazione a Richard Nixon fatta in esilio nel Messico nel 1979)[28]
  • Se io fossi rimasto al potere, l'Urss non avrebbe invaso l'Afghanistan e si sarebbero perse meno vite umane in Iran. (da un'intervista data al Washington Post, maggio 1980)[29]
  • In realtà l'Iran attuale è lontanissimo dalla religione, che non è certo la violenza, il sangue e l'arbitrio del regime di Khomeini. In Iran, i religiosi rubano e distruggono. Il popolo ha fame. Nessuno riesce a nutrirlo, nessuno l'aiuta, e finirà per barattare la propria libertà con il tozzo di pane che il comunismo può offrirgli.[30]
  • [Su Ruhollah Khomeyni] È un pazzo con una mentalità di un altro secolo. Quando si oppose alla "rivoluzione bianca", anziché mandarlo in esilio, avrei dovuto sbatterlo in prigione.[30]
  • Io credo che l'Iran sarà la prossima vittima dell'Unione Sovietica. Come dall'Afghanistan, forse un giorno i russi riceveranno l'«invito» a intervenire, e l'Occidente, tutto preso dai suoi problemi, non farà niente per impedirlo.[30]

Dall'intervista di Oriana Fallaci

in Intervista con la storia, Rizzoli, Milano, 1974.

  • Forse in fondo al cuore sono un uomo triste. Ma la mia è una tristezza mistica, credo. Una tristezza che dipende dal mio lato mistico. Non saprei in quale altro modo spiegare la cosa visto che non v'è alcuna ragione per cui dovrei essere triste. Ormai ho tutto ciò che volevo come uomo e come re. Ho davvero tutto, la mia vita procede come un bellissimo sogno. Nessuno al mondo dovrebbe esser più felice di me e invece...
  • Prima d'esser un uomo, io sono un re. Un re il cui destino è dominato da una missione da compiere. E il resto non conta.
  • Non nego la mia solitudine. Essa è profonda. Un re, quando non deve rendere conto a nessuno di ciò che dice e che fa, inevitabilmente è assai solo. Però non sono del tutto solo perché mi accompagna una forza che gli altri non vedono. La mia forza mistica. E poi ricevo messaggi. Messaggi religiosi. Sono molto, molto religioso. Credo in Dio e ho sempre detto che, se Dio non esistesse, bisognerebbe inventarlo. Oh, mi fanno tanta pena quei poveretti che non hanno Dio. Non si può vivere senza Dio. Io vivo con Dio dall'età di cinque anni. Cioè da quando Dio mi dette quelle visioni.
  • Non ci si può ribellare al destino quando si ha una missione da compiere. E, in un re, i sentimenti personali non contano. Un re non piange mai per sé stesso. Non ne ha il diritto. Un re è anzitutto dovere, e il senso di dovere è sempre stato così forte in me.
  • Nessuno può influenzarmi: nessuno. E una donna ancor meno. Nella vita di un uomo, le donne contano solo se sono belle e graziose e mantengono la loro femminilità e... Questa storia del femminismo, ad esempio. Cosa vogliono queste femministe? Cosa volete? Dice: l'uguaglianza. Oh! Non vorrei apparire sgarbato ma... siete uguali per legge ma, scusatemi, non per capacità.
  • [Sulle donne] Non avete mai avuto un Michelangelo o un Bach. Non avete mai avuto nemmeno un gran cuoco. E se mi parlate di opportunità vi rispondo: vogliamo scherzare? V'è forse mancata l'opportunità di dare alla storia un gran cuoco? Non avete dato nulla di grande, nulla!
  • Tutto ciò che posso dire è che le donne, quando governano, sono molto più dure degli uomini. Molto più crudeli. Molto più assetate di sangue. Mi riferisco a fatti, non a opinioni. Siete senza cuore quando avete il potere. Pensi a Caterina de' Medici, a Caterina di Russia, a Elisabetta d'Inghilterra. Per non citare la vostra Lucrezia Borgia e i suoi veleni, i suoi intrighi. Siete intriganti, siete cattive. Tutte.
  • [Sul perché gli abitanti di Teheran non osino pronunciare il suo nome] Per eccesso di rispetto, suppongo. Con me, infatti, non si comportano davvero così.
  • [...] per mandare avanti le riforme, non si può non essere autoritari. Specialmente quando le riforme avvengono in un paese che, come l'Iran, ha solo il 25 per cento di abitanti che sanno leggere e scrivere. Non bisogna dimenticare che l'analfabetismo è drammatico qui: ci vorranno almeno dieci anni per cancellarlo. E non dico cancellarlo per tutti: dico cancellarlo per quelli che oggi sono sotto i cinquanta anni. Mi creda: quando tre quarti di una nazione non sa né leggere né scrivere, alle riforme si provvede solo attraverso l'autoritarismo più rigido: altrimenti non si ottiene nulla.
  • Le assicuro che in molti sensi l'Iran è più democratico di quanto lo siano i vostri paesi in Europa. A parte il fatto che i contadini sono i proprietari della terra, che gli operai partecipano alla gestione delle fabbriche, che i grandi complessi industriali sono di proprietà dello Stato anziché di privati, deve sapere che le elezioni qui incominciano nei villaggi e si svolgono al livello dei consigli locali, municipali, provinciali. In Parlamento vi sono soltanto due partiti, d'accordo. Ma sono quelli che accettano i dodici punti della mia Rivoluzione Bianca e quanti partiti dovrebbero rappresentare l'ideologia della mia Rivoluzione Bianca? Del resto quei due sono i soli che possono ricevere abbastanza voti: le minoranze sono una entità così trascurabile, così ridicola, che non potrebbero neanche eleggere un deputato. E, comunque sia, io non voglio che certe minoranze eleggano alcun deputato. Così come non voglio che il Partito comunista sia permesso. I comunisti sono fuori legge in Iran. Non vogliono che distruggere, distruggere, distruggere, e giurano fedeltà a qualcun altro anziché al loro paese e al loro re. Sono traditori e sarei pazzo a permettere loro di esistere.
  • Prenda un seme di mela e lo pianti a Teheran, poi prenda un altro seme della stessa mela e lo pianti a Roma: l'albero che nascerà a Teheran non sarà mai uguale all'albero che nascerà a Roma. Qui fucilare certa gente è giusto e necessario. Qui il pietismo è assurdo.
  • [Su Salvador Allende] Penso che la sua morte ci insegna una lezione: bisogna essere una cosa o l'altra, stare da una parte o dall'altra, se si vuol combinare qualcosa e vincere. Le vie di mezzo, i compromessi, non sono possibili. In altre parole, o si è un rivoluzionario o si è qualcuno che esige l'ordine e la legge. Tantomeno nella tolleranza.
  • Ah, questa sinistra! Ha corrotto perfino il clero. Perfino i preti! Ormai anche loro stanno diventando elementi che mirano solo a distruggere, distruggere, distruggere. Addirittura nei paesi dell'America Latina, addirittura in Spagna! Sembra incredibile. Abusano della loro stessa chiesa. Della loro stessa chiesa! parlano di ingiustizie, di uguaglianza... Ah, questa sinistra! Vedrete, vedrete dove vi porterà.
  • Nemmeno mio padre poteva influenzarmi. Nessuno può influenzarmi, le ho detto! Io ero legato a mio padre da affetto: sì. Ma nient'altro. Non ho mai tentato di copiarlo, di imitarlo. Né sarebbe stato possibile, anche se lo avessi voluto. Eravamo due personalità troppo diverse, e anche le circostanze storiche in cui ci siamo trovati erano troppo diverso.
  • Molti pensano che la Terza guerra mondiale possa esplodere solo per il Mediterraneo, io dico invece che potrebbe esplodere molto più facilmente per l'Iran. Oh, molto più facilmente! Siamo noi, infatti, che controlliamo le risorse energetiche del mondo. Per raggiungere il resto del mondo, il petrolio non passa attraverso il Mediterraneo: passa attraverso il Golfo Persico e l'Oceano Indiano. Quindi, se l'Unione Sovietica ci attaccasse, noi resisteremmo. E saremmo probabilmente travolti e allora i paesi non comunisti ci guarderebbero bene dallo stare con le mani in mano. E interverrebbero. E sarebbe la Terza guerra mondiale. Evidente. Il mondo non comunista non può accettare la scomparsa dell'Iran perché sa bene che perdere l'Iran significherebbe perdere tutto.
  • Va dappertutto, il nostro petrolio: perché non dovrebbe andare a Israele? E perché dovrebbe importarmi se va a Israele? Dove va, va. E quanto alle nostre personali relazioni con Israele, è noto che non abbiamo un'ambasciata a Gerusalemme ma abbiamo tecnici israeliani in Iran. Siamo musulmani ma non arabi. E in politica estera seguiamo un atteggiamento assai indipendente.
  • Non sono soltanto gli arabi a spendere enormi quantità di denaro in materiale bellico: sono anche gli israeliani. E non vedo come, sia gli arabi che gli israeliani, possano continuare su questa strada. Inoltre, in Israele, cominciano a verificarsi fenomeni nuovi: gli scioperi, ad esempio. Fino a quando Israele continuerà a nutrire lo spirito fantastico e terribile che l'animava ai tempi della sua formazione? Io penso soprattutto alle nuove generazioni di Israele, e agli israeliani che vengono dall'Europa orientale per essere trattati in modo diverso dagli altri.
  • [Sull'Iran] Dire che diverrà il paese più ricco del mondo è forse esagerato. Ma dire che si allineerà tra i cinque paesi più grandi e potenti del mondo, non lo è affatto.
  • Guardi, quel signor Gheddafi io non posso prenderlo affatto sul serio. Posso solo augurargli di riuscire a servire il suo paese come riesco a servirlo io, posso solo ricordargli che non dovrebbe strillare tanto.
  • Noi iraniani non siamo poi diversi da voi europei. Se le nostre donne hanno il velo, anche voi ce l'avete. Il velo della Chiesa cattolica. Se i nostri uomini hanno più mogli, anche voi ce le avete. Le mogli chiamate amanti. E, se noi crediamo alle visioni, voi credete ai dogmi. Se voi vi credete superiori, noi non abbiamo complessi. Non dimentichiamo mai che tutto ciò che avete ve lo insegnammo noi tremila anni fa.
  • [Rivolto a Oriana Fallaci] Anche se è sulla lista nera delle mie autorità, io la metto sulla lista bianca del mio cuore.

Intervista di Jacqueline Grapin, La Stampa, 2 marzo 1976

  • Molta gente che si è precipitata verso l'Iran credeva di raccogliervi la manna senza fare troppi sforzi. Oggi ci si rende conto che non è così. Il nostro è un Paese serio in cui si lavora dopo un'accurata pianificazione. Evidentemente ciò seleziona le persone.
  • Noi esportiamo ora automobili, camion, materiale ferroviario, prodotti tessili, scarpe: tutto ciò prova che siamo già un Paese industrializzato. Esportiamo non soltanto nei Paesi confinanti ma anche all'est, ed abbiamo intenzione di esportare anche nell'Europa dell'Ovest. Nel volgere di non molti anni raggiungeremo la produzione delle Nazioni più industrializzate nel campo della siderurgia, della petrolchimica, dell'elettronica e di certi beni di consumo.
  • Non avremo problemi di energia perché le nostre riserve sono praticamente inestinguibili: inoltre non si tratterà più di estrarre il petrolio come fonte di energia. Lo riserveremo per la petrolchimica. Ecco perché abbiamo ideato un importante piano di costruzioni di centrali nucleari.
  • Non crediate che lo sviluppo dell'Iran avvenga mediante l'arricchimento dei più ricchi. Io ho costretto tutti i proprietari di società a cedere il 49 per cento del loro capitale, prima ai loro dipendenti e poi ai contadini.
  • In materia di partecipazione ho preso dall'Europa certe idee che voi non siete mai stati in grado di applicare nella vostra cosiddetta democrazia.

Intervista di Alberto Moravia, La Stampa, 15 dicembre 1977

  • Nella nostra storia, che risale tremila anni fa, abbiamo avuto sempre un regime monarchico. E il Re per il popolo è un padre, un professore, una guida. Così stanno le cose. Se chiedo qualcosa al mio popolo lui lo accetta, perché sa che questa richiesta proviene da qualcuno a cui stanno a cuore i suoi problemi.
  • Nel campo della petrolchimica sappiamo che esistono già 70 mila derivati. Il loro valore assume una dimensione straordinaria. Per esempio, persino l'aspirina è fabbricata a base di petrolio. Dunque, quanti grammi di petrolio sono necessari per fabbricare una pastiglia di aspirina? E a che prezzo vendere questa pastiglia? Credo che non soltanto sulle automobili bisognerebbe controllare i consumi. È soprattutto per riscaldare le case e per fare l'elettricità che io trovo quasi criminale l'uso del petrolio. Perché queste cose si possono ottenere per altre vie, con il carbone per esempio, per chi ha il carbone. O con l'energia atomica. O tramite nuove fonti di energia che i ricercatori stanno scoprendo.
  • Il Partito Unico comprende tutto il paese. Si parla di partito unico ma in realtà tutto il paese è dentro il partito. In seno al partito si può dire tutto ciò che si vuole, si possono esprimere tutte le idee, intraprendere ogni tipo di discussione e chiarire ogni tipo di faccende. Dunque, tutto il paese, tutto il popolo partecipa nel partito alla vita nazionale. Poi voi parlate di «limiti nelle libertà individuali». Non c'è che un solo limite, quello di tradire il paese. Di venderlo allo straniero. Questo è il solo limite che esiste. Non lo permetteremo mai. E non vedo perché dovremmo permetterlo. Evidentemente nel nostro paese il comunismo è illegale.

Intervista di Frank Giles, La Stampa, 18 novembre 1979

  • Ciò che accadde fu strano e imprevedibile. Attraversando con un'auto aperta la città di Mashad appena quattro mesi prima che la situazione si deteriorasse, fui acclamato da 300 mila persone. Poco dopo gli incidenti di Tabriz il mio primo ministro andò sul luogo ed ebbe una straordinaria accoglienza. Non ricordo nulla nella storia del mondo - neppure la rivoluzione francese - paragonabile a quanto è accaduto dopo in Iran.
  • Poiché ero un re e non un dittatore non mi parve giusto organizzare né autorizzare una massiccia repressione, sebbene fosse proprio questo il consiglio di molti.
  • Quando il presidente Carter mi fece visita nel dicembre 1977, non solo parlò dell'Iran come di "un'isola di stabilità in una delle zone più agitate del mondo", ma si complimentò caldamente con me in persona. Dodici mesi dopo...
  • Mi si dia il nome di una sola persona che durante il mio regno sia stata uccisa per colpe politiche. I terroristi sono un'altra cosa: occorre trattarli con fermezza. Basta vedere che cosa accade adesso in Iran: questa è la migliore risposta che posso dare ai miei critici.
  • Mi sono sempre piegato alla volontà di Dio. Che cosa cambierebbe con la mia morte? In ogni caso non esiste una protezione totale contro killers decisi a tutto. I più pericolosi sono gli aspiranti martiri.
  • Alcuni dicono che non sono disposto a tollerare opinioni diverse dalle mie. È falso. Non ho obiezioni, a patto che le critiche vengano da uomini di buona volontà. Quello che non posso tollerare sono le persone che cercano di creare problemi a proprio beneficio.

Dall'intervista di David Frost

teletrasmesso su 20/20 (ABC), 17 gennaio 1980.

  • [Riguardo Khomeyni e i suoi sostenitori] Chi sono loro per processarmi? In un mondo serio, dovrebbero essere loro i primi ad essere processati; sono persone che stanno scartando le risoluzioni dell'Onu, della Corte penale internazionale dell'Aia, dell'opinione pubblica mondiale, che non hanno alcun rispetto per nessuna legge internazionale, e stanno massacrando, giustiziando le persone, semplicemente imprigionandone migliaia e migliaia senza alcuna ragione. Chi li processerà?
Who are they to try me? They should be tried first if we have a serious world; people who are rejecting the United Nations resolutions, who are rejecting the Hague Court resolution, who are rejecting the world public opinion, who have no respect for any internation law, and who are massacring people, executing people, just imprisoning thousands and thousands and thousands without any reasons. Who is going to try them?
  • È sempre stato alla moda paragonare il nostro paese durante il mio regno alle democrazie più perfette del mondo. Non do importanza a questo. Ma ora stanno dicendo «oh, cerchiamo di capire queste persone. Dopo tutto, l'Islam è qualcosa di speciale», quando ciò che stanno facendo è totalmente contrario all'Islam. Ora, tutti dicono «beh, cerchiamo di capirli», capire queste persone che ne stanno uccidendo, massacrando altre, le persone che odiano, come mosche. Nel mio caso, però, paragonano il paese al governo più perfetto del mondo.
It's always a tendency to compare our country in my time to the most perfect democracies of the world. I don't mind that. But now, what we hear is "oh let's try to understand these people. After all, Islam is something special," when what they are doing is absolutely contrary to Islam. Now, everybody is trying to say "well, let's try to understand these people", these people who are killing, massacring others, the people they don't like just like flies. But in my case, it is to compare it to the most perfect government of the world.
  • [Sul perché non ha adottato una linea dura contro i rivoluzionari] Una corona, un trono non possono reggersi sull'instabile fondamento del sangue.
A crown, a throne could not be based on the not too very solid foundation of blood.

Missione per il mio Paese

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Lo Scià con suo figlio Reza Ciro

Ho scritto questo libro per colmare una lacuna esistente da lungo tempo. In Persia la monarchia venne fondata venticinque secoli fa, ma, per quanto mi risulta, sono io il primo sovrano persiano che abbia scritto un'autobiografia del genere di questa, che si potrebbe dire sistematica. (p. 5)

Citazioni

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  • Su qualsiasi mappamondo o carta geografica la Persia è sempre chiaramente segnata. Si tratta di un territorio più grande dell'Alaska, vasto due volte il Texas: la sua superficie supera quelle messe insieme di Francia, Svizzera, Italia, Spagna, Portogallo, Belgio, Lussemburgo e Olanda. La nostra posizione geografica è tale che per migliaia d'anni abbiamo funzionato da crocevia alle strade del mondo. Ciò avveniva al tempo delle grandi carovane e séguita ad avvenire oggi, nell'era dei reattori e dei missili teleguidati. (p. 10)
  • Gran parte del cosiddetto caviale russo è di produzione iraniana; noi lo esportiamo non solo in Russia, ma anche negli Stati Uniti e in altri paesi. Un burlone ha insinuato che sono stati i motivi ideologici a far emigrare gli storioni, con le cui uova si fa il caviale, verso la sponda meridionale del Caspio; io però devo far presente che la loro preferenza per le acque, più calde, della riva sud di quel mare, gli storioni cominciarono a rivelarla molto prima della rivoluzione russa. Tuttora possediamo vaste riserve di pesce. (p. 12)
  • Secoli prima che fosse scoperto il Nuovo Mondo, e quando ancora la maggior parte degli europei usava mangiare sulla nuda terra portandosi il cibo alla bocca con le mani, i persiani già conoscevano le posate e mangiavano in piatti di ceramica decorata. Fatta eccezione per la Cina, la nostra è la più antica civiltà "continua" del mondo, e non credo di esagerare affermando che sotto certi aspetti la nostra cultura è superiore a quella cinese.
    In ogni caso è indubbio che la cultura persiana è molto più affine all'occidentale di quanto non lo siano la cultura cinese e quella dei nostri vicini arabi. L'Iran fu una delle prime sedi degli ariani, ai quali gli americani e gli europei attribuiscono la propria ascendenza. Razzialmente, noi persiani siamo molto diversi dagli arabi, che sono di ceppo semitico. La stessa cosa vale per la lingua persiana, che appartiene al gruppo dei linguaggi indo-europei, assieme all'inglese, il francese, al tedesco e ai più importanti idiomi occidentali. Benché attraverso i secoli siano avvenute frequenti mescolanze tra la nostra popolazione e altre razze e, in seguito alla conquista araba, anche la lingua abbia ricevuto notevoli apporti di parole arabe, la nostra identità sociale e idiomatica è rimasta immutata. (p. 13)
  • Ideammo noi il sistema delle satrapie, o governatori provinciali, senza di cui sarebbe stato impossibile amministrare l'impero. Precedemmo i romani nella creazione di una rete stradale di comunicazioni a vasto raggio e di un sistema postale degno di tal nome. I corrieri reali, percorrendo con cavalli sempre freschi le tappe, brevissime, tra una stazione di posta e l'altra, erano in grado di attraversare l'impero da un capo all'altro in quindici giorni. Comunicazioni ancor più rapide, per quei tempi, erano possibili con l'uso del telegrafo ottico, anch'esso inventato dai persiani, basato su un sistema di torri semaforiche situate a intervalli regolari su una superficie di centinaia di miglia. (pp. 14-15)
  • L'unità dell'impero di Ciro il Grande era frutto non soltanto di conquiste territoriali ma anche di tolleranza fra le nazioni e di comprensione. I diritti d'ogni popolo soggetto erano salvaguardati, e le sue leggi e i suoi costumi godevano del massimo rispetto. In quel nostro primo impero io sono portato a trovare qualcosa dello spirito delle Nazioni Unite, la cui istituzione doveva avvenire circa venticinque secoli più tardi. (p. 18)
  • Il persiano fu l'unico popolo che seppe sempre opporsi alla potenza di Roma, la quale, nonostante le sue più o meno continue campagne, non riuscì mai a conquistarci. (p. 19)
  • Mi sono spesso chiesto con meraviglia perché alcuni si ostinino a considerare una figura romantica Gengis Khan, il condottiero mongolo che invase l'Iran attorno al 1220. Per noi è tuttora difficile dimenticare le spietate e selvagge distruzioni compiute dalle sue orde, che sterminarono a sangue freddo la popolazione delle nostre fiorenti città, massacrando centinaia di migliaia di donne e bambini. (p. 22)
  • [Su ʿAbbās I il Grande] Sotto di lui la Persia raggiunse un grado di prosperità che non conosceva da secoli. (p. 23)
  • I re quajar non fecero mai molto per opporsi all'infiltrazione di stranieri nel paese; anzi, la loro politica tentennante incoraggiò gli allogeni a immischiarsi nelle nostre questioni interne. Sotto il loro, il clero influì in modo eccessivo sugli affari civili. Nessun quajar affrontò mai risolutamente il problema della repressione del brigantaggio e del controllo delle tribù. La loro politica irresoluta e gli eccessi personali di alcuni (ad esempio, i frequenti viaggi di piacere all'estero) portarono il paese sull'orlo della rovina economica. Per pagare le proprie stravaganze i quajar contrassero gravosi debiti con le potenze straniere. Il penultimo monarca di questa dinastia fece, inutilmente, quanto era in suo potere per reprimere l'aspirazione a un governo costituzionale che andava serpeggiando in tutto il paese. (p. 24)
  • Mi risulta che gli storici sia occidentali che orientali concordano tutti nel considerare la dinastia dei quajar scarsamente importante, ma va detto a suo discarico che essa fu la prima dinastia persiana a dover sopportare il peso dell'imperialismo russo e inglese. (p. 25)
  • Dario il Grande sottolineò a più riprese l'importanza di parlare con sincerità e di bandire ogni menzogna. (p. 30)
  • Khosro Nushirwan [...] meritò l'appellativo di "Giusto", benché talvolta si comportasse in modo inutilmente crudele. [...] Fra le altre cose, Khosro accolse anche alla sua corte i filosofi greci neoplatonici perseguitati dagli imperatori romani e li ospitò per un certo periodo, fino a quando non gli fu garantito che essi avrebbero potuto tornare sani e salvi alle loro case senza subire ulteriori persecuzioni. Anche verso i cristiani Khosro Nushirwan dimostrò la massima tolleranza. (pp. 30-31)
  • Mio padre era un uomo di carattere forte e dalla personalità dominante. Per questo la sua carriera procedette rapidamente. A quei tempi l'esercito persiano non aveva ufficiali di complemento, e il balzo da soldato semplice a ufficiale di carriera che mio padre riuscì a compiere fu enorme. In realtà sarebbe stato molto difficile ignorare e tener nell'ombra le sue qualità eccezionali. Ampio di spalle e di statura imponente, aveva tratti marcati e rudi. Il suo sguardo colpiva chiunque lo avvicinasse. Gli bastava un'occhiata per far tremare anche gli uomini più coraggiosi. A me è stato raccontato in seguito che gli ufficiali russi della brigata cosacca provavano davanti a lui paura mista ad ammirazione.
    La passione per lo studio non abbandonò mai mio padre. Benché fosse ormai adulto, volle egualmente cominciare dal principio e imparar a leggere e scrivere. (p. 37)
  • Mio padre si servì con parsimonia delle procedure democratiche perché nell'Iran non esisteva ancora un elettorato sufficientemente istruito e vasto da consentire l'esercizio della democrazia. Fu lui in definitiva che, sviluppando sia pure con mezzi drastici i sistemi educativi dell'intero paese, additò la via che il primo governo realmente democratico avrebbe dovuto seguire. (p. 47)
  • Se fossi vissuto ai suoi tempi e nelle identiche situazioni storiche, le nostre due personalità, ne sono convinto, si sarebbero sviluppate in modo diverso. Una fortuna circostanza decise la sua sorte: le doti di mio padre servirono il paese meglio di quanto ai suoi tempi avrebbero fatto le mie, così come, pur restando immutata la mia ammirazione per lui, io penso che la mia personalità sia più adatta della sua alla situazione politica attuale; se mio padre fosse vivo credo che si troverebbe d'accordo con me. (p. 48)
  • Aveva un'abilità straordinaria nel giudicare la natura umana. Come se fosse in possesso di un raggio elettronico segreto, riusciva quasi istantaneamente a valutare la forza e la debolezza, l'integrità e la corruzione. Moltissimi non osavano guardarlo negli occhi.
    Eppure, contrariamente a quanto molti credevano, mio padre era una persona gentile, dai sentimenti tenerissimi, soprattutto nei riguardi dei propri familiari. La sua scostante durezza si trasformava in dolcezza, amabilità e lieta confidenza non appena rientrava in famiglia. Con me, specialmente, suo legittimo erede al trono, si comportava in modo affabile e scherzoso. Quando ci trovavamo soli lui e io, mi cantava delle canzoncine; non ricordo che lo abbia mai fatto in presenza di terzi. (p. 49)
  • Molti, vedendo che spesso se la prendeva coi preti, pensavano che non fosse religioso, ma io posso affermare il contrario. Se minimizzò e ridusse l'importanza del clero lo fece perché a quel tempo molti religiosi si opponevano al progresso del paese e interferivano negli affari di stato. Se non li avesse trattati con una certa durezza gli ci sarebbe voluto un tempo triplo o quadruplo di quello che effettivamente impiegò per portare a compimento il suo programma di riforme. Ciò non significa che fosse indifferente ai problemi religiosi. Egli rispettò il clero più illuminato e progressista. (p. 51)
  • Proverbialmente, in Persia, per indurre qualcuno a fare una determinata cosa, è necessario premiare o punire. Mio padre puniva più di quanto non premiasse o incoraggiasse. Secondo lui, non c'era nessuna ragione di compiacersi del retto comportamento d'una persona, essendo, quello di far bene, suo preciso dovere. Se qualcuno, poi, si comportava in modo meschino oppure disonesto, e mio padre lo veniva a sapere, per lui era finita: avrebbe trascorso il resto dei suoi giorni a rimpiangere il malfatto. (pp. 53-54)
  • Fin dall'infanzia ho saputo che il mio destino era quello di diventare il capo di un paese di cui venero l'antica e magnifica tradizione culturale. Desidero migliorare le condizioni di vita del mio popolo, e sopratutto quelle della gente modesta. In questo difficile compito sento che la fede mi è di aiuto. Sarebbe superbia il pensare di poter assolvere tale missione senza l'ausilio divino. (p. 64)
  • Sono calmo di natura, sia di fronte al pericolo sia in altre circostanze. Raramente mi accade di perdere il controllo, e mi piace creder di avere un certo senso dell'umorismo, sebbene in me esso sia assai più riservato e tranquillo che non in altri. So apprezzare i buoni scherzi e mi diverto moltissimo a guardare le vignette politiche o d'altro genere. (p. 68)
  • Non deve meravigliare il fatto che mio padre coltivasse stretti rapporti economici con la Germania. I tecnici tedeschi e il macchinario costruito in Germania erano conosciuti in tutto il mondo, e il governo di Berlino offriva vantaggiose condizioni commerciali. La Germania non aveva nei confronti dell'Iran nessun preoccupante passato imperialistico, raramente aveva interferito nei nostri affari interni e in più era avversaria delle due grandi potenze che per lungo tempo avevano fatto il bello e il brutto tempo nel paese. I nazisti sembravano tenere in gran conto la comune origine ariana dei due popoli, mentre i persiani, i quali erano già abituati a un regime autoritario, non si rendevano pienamente conto che Hitler, più o meno come Stalin, non rispettava i diritti essenziali dell'uomo. (pp. 73-74)
  • [Sull'invasione anglo-sovietica dell'Iran] Il nostro esercito era stato colto completamente di sorpresa. Le truppe di terra avevano avuto gli accampamenti e i depositi bombardati, e le nostre esigue unità navali erano state affondate con perdite considerevoli di vite umane. È naturale che mio padre e molti altri persiani pensassero che gli alleati avevano tradito il nostro paese. A mio padre sembrava assurdo che le potenze alleate avessero potuto violare la nostra indipendenza e sovranità in modo così flagrante. Naturalmente si rendeva conto che essi avevano tutti i mezzi necessari per invadere il paese, ma in fondo pensava che, per ragioni morali e per rispetto alle leggi internazionali, avrebbero presto interrotto le operazioni. (p. 79)
  • Mio padre non era né sciocco né del tutto digiuno di strategia militare. Se gli inglesi e i russi avessero spiegato chiaramente il loro punto di vista egli avrebbe senz'altro capito. Invece si limitarono al ritornello senza fine dei tedeschi nell'Iran. Ho già spiegato come la maggior parte di questi si trovasse nel nostro paese per ragioni di lavoro, e a noi risultava che la colonia germanica era formata al massimo da circa quattrocentosettanta persone con le relative famiglie. Anche ammettendo che qualche altro cittadino tedesco si trovasse nel paese illecitamente e senza permesso di residenza, è logico che mio padre si ribellasse alle richieste alleate. Essi poi sapevano come egli fosse sensibile su questioni del genere, e quanto a me non posso fare a meno di credere che le loro note fossero state redatte in malafede: penso infatti che avessero maggior interesse a cercare un pretesto per invadere il paese, che a raggiungere un accordo. (p. 81)
  • Se davvero gli alleati si preoccupavano di un'eventuale offensiva da parte dei tedeschi, perché non chiesero il nostro aiuto sotto forma di un'alleanza militare e politica? Qualcuno potrebbe obiettare che a causa del neutralismo di mio padre la proposta sarebbe stata assurda. Io dirò allora che mio padre era una persona ragionevole e che per lui la cosa più importante consisteva nel benessere del proprio paese. Se gli alleati fossero stati più precisi e avessero prospettato onestamente allo scià Reza il quadro esatto delle loro necessità strategiche in relazione al nostro paese, sono certo che mio padre avrebbe compreso il loro punto di vista. E sono sempre del parere che egli o avrebbe accettato le loro proposte oppure si sarebbe messo in disparte in modo da permettere a me di farlo. Gli alleati non sarebbero stati così costretti a dislocare nell'Iran truppe di cui avevano gran bisogno altrove, mentre a noi sarebbero stati risparmiati l'affronto e il caos dell'invasione, il che ci avrebbe permesso di collaborare molto tempo prima alla lotta comune contro la tirannia di Hitler. (pp. 82-83)
  • [Su Mohammad Mossadeq] In apparenza egli non si legò mai ai comunisti, ma in realtà il suo potere era fondato sul loro appoggio e lui stesso non era altro che un loro strumento. (p. 94)
  • Che cosa mancava a Mossadeq per essere un vero statista? Per prima cosa era di una ignoranza sbalorditiva. Benché avesse studiato all'estero, ignorava praticamente tutto sugli altri paesi del mondo. Di economia capiva meno che niente. Io non sono un economista di professione, eppure so qualcosa sui fatti e sui princìpi più comuni dell'economia nazionale e internazionale. Come scià ho avuto modo di trattare con un'infinità di funzionari d'ogni genere e di diversa formazione politica, ma in tutta franchezza devo dire che raramente ho trovato qualcuno che, essendo in una posizione di responsabilità, eguagliasse l'ignoranza da lui mostrata dei princìpi più elementari della produzione, del commercio e degli altri fattori economici. (p. 94)
  • Aveva cominciato con l'affermare, e la cosa in se stessa era esatta, che l'Iran aveva sopportato troppo a lungo l'influsso e la dominazione delle potenze straniere. Da un'osservazione del genere era saltato alla conclusione che la cosa migliore per l'Iran era di non accordare concessioni a nessuna potenza e di non accettare favori da nessuno. A prima vista il contenuto negativistico della sua posizione richiamava l'isolazionismo politico prevalso per un verto periodo in alcuni stati dell'America prima della seconda guerra mondiale. Ma il negativismo di Mossadeq superava anche tale precedente, abbracciando nella sua estensione la politica estera e quella interna del paese. (p. 95)
  • Probabilmente, mi è stato prospettato, Mossadeq era soltanto un romantico il quale pensava di poter far retrocedere nel tempo la Persia. (p. 96)
  • Mossadeq non sosteneva la non-violenza come sistema di vita: non era Gandhi. Bisognava infatti tener presente che bande di malviventi controllate da lui o da suoi sostenitori scorrazzarono per molti mesi nella capitale, aggredendo persone innocenti e terrorizzando la cittadinanza. Fra l'altro va considerato il fatto che i seguaci di Gandhi, dopo l'indipendenza dell'India, non hanno mai interpretato la dottrina della non-violenza come un principio morale che giustifichi l'irresponsabilità in fatto di sicurezza interna. (p. 98)
  • Il potere rivela la misura dell'uomo. Alcuni ingigantiscono di fronte alla sfida morale della potenza di cui dispongono, altri invece si perdono. Alla luce dei fatti, Mossadeq si rivelò un uomo assai meschino. (p. 126)
  • I comunisti in genere capiscono subito quando la loro politica non è proficua. (p. 130)
  • Ritengo che gli storici del futuro stabiliranno che la guerra fredda ebbe inizio proprio nell'Iran. Dovunque ve n'erano i segni, ma i primi indizi si delinearono chiaramente nel nostro paese. In seguito a quanto era successo nell'Azerbaijan, l'America, per la prima volta nella storia, cominciò ad assumere una funzione di guida nel Medio Oriente. L'esperienza indusse Truman alla formulazione di quella dottrina che salvò la Grecia e Turchia dall'imperialismo comunista, e aprì la strada alla politica di Eisenhower. (p. 135)
  • Le Nazioni Unite sono diventate più forti, e l'idea di un corpo di polizia internazionale è stata accettata da tutto il mondo, sia in teoria sia in pratica. (p. 142)
  • Noi non facciamo affidamento su una politica di supina e passiva neutralità; siamo franchi amici dei nostri amici, e contiamo sulla loro amicizia. Se qualcuno ci irrita, ci insulta o ci minaccia, non intendiamo per questo smentire il nostro modo di pensare o il nostro modo di agire nei suoi riguardi. Non facciamo come le civette che appollaiate sulle rovine lanciano (o dalla rete radiofonica internazionale) per condannare il prossimo e rimanere nello stesso tempo infelici, poveri e deboli. Al contrario diventiamo giorno per giorno più forti e più ricchi; stiamo edificando una nuova nazione e contemporaneamente cerchiamo di conservare gli aspetti più positivi del sentimento nazionalistico. (p. 143)
  • Sia il nazionalismo sia l'imperialismo possono essere a doppio taglio. Nella sua autentica forma il nazionalismo può guidare una nazione verso grandi imprese. Esso, per esempio, è stato indubbiamente alla base di molti notevoli progressi americani; non è certo piccolo il merito di mio padre per aver saputo risvegliare l'istintivo nazionalismo del suo popolo.
    D'altra parte lo spirito nazionalistico, abilmente manovrato da politicanti o da un potere esterno, costituisce un ideale strumento per infiltrazioni imperialistiche, per il sovvertimento o per il suicidio nazionale. (p. 144)
  • Chiunque è capace di demolire, ma pochi sanno edificare. È caratteristica strana ma universale della natura umana reagire con maggior entusiasmo ai richiami di forze negative piuttosto che all'incitamento alla riedificazione di una nazione. Demolire è facile ed emozionante; edificare è invece un processo lento e difficile. (p. 145)
  • Un [...] mezzo per scoprire il vero e il falso nazionalismo consiste nel chiedere spietatamente a questa gente qual è il loro effettivo programma per edificare il paese. Se essi non hanno un piano positivo, oppure se il loro programma consiste in frasi vaghe che non dicono nulla, oppure ancora, se essi hanno idee ragionevoli, ma si rifiutano di concentrarsi su attività pratiche per realizzarle, farete bene a diffidare del loro millantato nazionalismo. Se sono invece in grado di mostrarvi un programma positivo, di esporvi progetti praticamente realizzabili, e di dimostrarvi una serena e tenace risolutezza a operare per il benessere del paese, allora avrete buone ragioni di prestar fede alle loro affermazioni nazionalistiche. (p. 146)
  • Permettere al popolo di esprimere i propri pensieri non soltanto costituisce un mezzo di sfogo, ma può anche portare alla scoperta di abusi che hanno bisogno di urgente rimedio. (p. 147)
  • L'America non ha mai tentato di dominarci come hanno fatto i vecchi imperialisti, e noi non lo tollereremmo se lo facesse; allo stesso modo ci comporteremo nei nostri rapporti tutti gli altri paesi. (p. 150)
  • Una corte orientale che ha dietro le spalle una tradizione millenaria è naturalmente ricca di elementi romantici e fastosi. Ma se qualcuno vuol fare la mia conoscenza deve anche rendersi conto delle mie convinzioni di uomo e di capo di stato. La verità pura e semplice è che i miei maggiori piaceri io li traggo dalla soluzione di problemi assai complessi e non soltanto di carattere economico. Lo scià non può venire separato dall'uomo che, come tale, è profondamente interessato al progresso economico, alla riforma agraria e ai problemi della scuola. (p. 162)
  • Quando si costruisce una nazione, i bei discorsi non riescono mai a sostituire il lavoro intenso e sistematico. (p. 163)
  • Non è un caso che ogni anno migliaia di persone fuggano, attraverso la cortina di ferro, dalla Germania orientale verso quella occidentale. Esse sanno cosa significa la libertà e sono pronte a rischiare la vita, oltre che i loro beni, per conquistarla. Per la maggior parte si tratta di intellettuali e di professionisti che hanno sofferto particolarmente sotto il regime comunista. Molti potrebbero pure fuggire dalla Germania occidentale verso quella orientale, se lo volessero, ma praticamente nessuno lo ha mai fatto. (p. 187)
  • Per giudicare uno qualsiasi di questi regimi si possono usare due mezzi. Uno consiste nel vedere quale rapporto esista fra i governanti, da un lato e il proletariato o gente comune, dall'altro. Sono, questi governanti, membri del proletariato come vorrebbero farci credere e identificano veramente i loro interessi con quelli del semplice cittadino? Sembra invece che tutte le dittature proletarie siano in effetti controllate da una piccola élite che si preoccupa molto poco dei diritti dell'uomo comune.
    In secondo luogo bisogna domandarsi se il proletariato abbia voce in capitolo per quanto riguarda la linea politica dei governanti. In base alla mia esperienza devo dire che la gente del popolo ha pochissimo, o addirittura nessuno influsso sul governo, sulla propria vita e sul proprio futuro.
    I dittatori comunisti hanno in comune coi fascisti la loro simpatia per le elezioni. Con ciò sperano di dare al semplice lavoratore l'impressione di contribuire al governo del paese. Essi però accettano un solo partito politico; chiunque tenti di farne sorgere un alto, o chiunque esprima un'opinione contraria al partito al governo, corre il rischio di venire eliminato. Nelle elezioni (ammesso che le si possa chiamare tali) l'elettore non ha scelta, giacché i soli candidati in lista sono quelli del partito al potere. Il cittadino viene sollecitato a votare (o gli viene ordinato di votare) semplicemente per una questione di forma; poi le autorità annunciano trionfalmente che, diciamo, il novantanove per cento dei voti era a favore del partito al governo. Mi domando come tante persone intelligenti possano lasciarsi ingannare da questo genere di cose. (p. 188)
  • Se fossi un dittatore potrei patrocinare un singolo partito come fece Hitler in Germania e come accade nei paesi comunisti. Essendo sovrano di una monarchia costituzionale, invece, posso permettermi solo d'incoraggiare su vasta scala la loro attività, ben lunghi dal legarmi a un partito e alla concezione di uno stato monopartitico. Come simbolo dell'unità del mio popolo, io posso promuovere due o più partiti senz'avere alcun rapporto con loro. (pp. 200-201)
  • La democrazia politica non può funzionare come un apparecchio elettrico che si accende e spegne quando si vuole. Una vera democrazia politica richiede intelligenza; gli elettori devono avere un'idea dei meriti dei candidati e dei loro programmi. Ciò esige maturità e tolleranza; il ricco deve accontentarsi dello stesso voto di cui fruisce il povero, e il partito che viene sconfitto (anche se soltanto per alcuni voti) deve accettare pacificamente la cosa e agire lealmente invece di ricorrere a un'opposizione negativa. È indispensabile l'onestà, e i funzionari politici e civili devono resistere all'umana tentazione di derubare o ingannare il popolo. È necessaria una continua vigilanza; la negligenza politica o amministrativa e la falsità devono essere denunciate dai cittadini amanti della patria e punite severamente. Infine una reale democrazia richiede dedizione, entusiasmo, dinamismo. Io non sostengo quindi questo sistema politico come qualcosa che sia facile da realizzare e da mantenere; sto semplicemente mettendo in rilievo che, secondo noi, i valori umani impliciti in una vera democrazia politica valgono qualsiasi prezzo. (pp. 206-207)
  • Un vero governo democratico è la cosa più complessa e difficile che si possa organizzare, ma è anche la forma migliore di governo scoperta dagli uomini. (p. 225)
  • La donna è una creatura così paradossale che forse proprio per questo la questione femminile suscita ovunque vivaci discussioni. (p. 254)
  • [Su Soraya Esfandiary Bakhtiari] Benché Soraya frequentasse la scuola elementare tedesca a Isfahan e in casa parlasse tedesco oltre che persiano, la sua fu un'infanzia tipicamente persiana. (p. 258)
  • Durante i sette anni in cui la regina Soraya e io vivemmo insieme, ella s'impegnò sempre più attivamente nell'assistenza sociale. Per esempio, ricordo la sua indignazione non priva di fascino allorché visitò uno dei più vecchi orfanotrofi del paese, diretto da amministratori incapaci e corrotti. Con occhi fiammeggianti mi parlò delle miserevoli condizioni dei bambini ivi ospitati e del suo desiderio ch'io facessi immediatamente qualcosa per migliorarle. Senza indugio disposi che l'orfanotrofio venisse ricostruito dalla Fondazione Pahlavi e che ad amministrarlo in seguito fosse la Società Soraya affiliata alla fondazione stessa. Raramente mi è accaduto di assistere a una trasformazione così radicale come quella che avvenne nei bambini di quell'orfanotrofio. (p. 261)
  • [Su Farah Pahlavi] Dopo il matrimonio ella si dedicò completamente all'adempimento dei suoi compiti di regina, ed è per me motivo costante di conforto l'interesse profondo che lei mostra verso i problemi sociali del paese. (p. 265)
  • Molti occidentali dimenticano che quando Maometto parlò di quattro mogli come del massimo numero consentito, intendeva ridurre appunto a quattro il numero a quel tempo esorbitante di mogli che un uomo poteva prendere. Inoltre il profeta specificò che un uomo poteva tenere più di una moglie se aveva la possibilità di trattarle tutte con giustizia, risultato questo difficilmente conseguibile anche da parte del più diligente degli uomini. In effetti, quindi, il profeta operò una vera e propria riduzione di numero. (pp. 272-273)
  • La donna, come pure l'uomo, ha ricevuto dalla natura caratteristiche inconfondibili che fanno apparire senza senso qualsiasi definizione superficiale di uguaglianza dei sessi. Il danno maggiore che si possa fare alla causa della vera emancipazione femminile è di confondere l'eguaglianza con la parità dei diritti. La religione musulmana e tutte le grandi dottrine religiose del mondo insegnano che i rapporti tra uomo e donna sono complementari, e respingono il concetto di "eguale" nell'accezione di identico e di sinonimo. L'osservazione e il buonsenso insegnano la medesima cosa. (p. 275)
  • [Sul hijab] Personalmente sono contrario all'usanza, e non solo per motivi estetici. Devo però ammettere di avere incontrato abbastanza spesso, per esempio nei sobborghi di molte città americane, donne che erano assai più trasandate di quanto le persiane non lo siano normalmente. (p. 272)
  • La NATO è molto di più di una pura alleanza militare secondo la vecchia accezione del termine: è il simbolo della fratellanza fra popoli che hanno i medesimi ideali e lo stesso amore per la pace. (p. 343)
  • Voglio sottolineare il fatto che il sistema di cooperazione internazionale di difesa non esautora le Nazioni Unite: al contrario, fa pieno uso dei due princìpi fondamentali dell'ONU. Da un lato i dipartimenti specializzati dell'ONU svolgono una funzione fondamentale nel dare assistenza tecnica e nell'anticipare fondi per i programmi di sviluppo, dall'altro lato le Nazioni Unite assolvono una funzione di sicurezza collettiva che è ugualmente essenziale. Chi può, ad esempio, dimenticare ciò che l'ONU ha fatto per bloccare l'aggressione comunista in Corea, oppure durante l'aspra contesa fra Israele e gli stati arabi? (p. 346)

Con un sistema di governo democratico lo scià dovrà essere come il punto focale di un'unità che trascende gli interessi particolari. Noi persiani siamo fra i popoli più individualisti della terra, ma nel corso dei secoli abbiamo saputo dimostrare di possedere grandi doti di lealtà e di patriottismo. Sotto questo aspeto credo che l'avvenire non ci riservi sorprese.
La metamorfosi del mondo ha assunto un ritmo così veloce che assai facilmente ogni forma i ordinamento può perdere il proprio equilibrio. Credo che i recenti sensazionali progressi del mio paese testimonino la buona volontà con cui accogliamo i cambiamenti positivi, anche se nel medesimo tempo rimaniamo fermi nel sostenere certi valori che io ritengo essere esclusivamente nostri. Coltiviamo i giardini e la poesia, la vita familiare e l'ospitabilità; veneriamo questo paese di deserti e di bianche montagne nevose, di cedri e di platani, di fiumi e di sorgenti, di ruscelli leggiadri, di rose, di fiori d'arancio e di usignuoli. Siamo infine orgogliosi delle nostre istituzioni politiche e sociali. (p. 385)

L'Iran che ho costruito

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Lo scià rappresentato su arte propagandistica

Sedici anni fa veniva pubblicato il mio primo libro intitolato «Mission for my Country», ed undici anni fa il secondo, «The White Revolution». Il primo riguardava soprattutto il passato, il secondo il presente. Oggi ritengo necessario mettere a disposizione del popolo iraniano un mio terzo libro che riguarda soprattutto il futuro.
Ciò che maggiormente mi induce ad intraprendere una tale opera è la convinzione che ogni iraniano, per poter adempiere pienamente la propria missione nei confronti del paese, dei figli e della società umana debba necessariamente avere una conoscenza comprensiva dei principi e degli imperativi sui quali la società iraniana attuale e futura, nonché la comunità mondiale, largamente si fondano. In una società composta di persone pienamente consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri e responsabilità, il raggiungimento di ogni grande fine necessita, naturalmente, della libertà ed avveduta partecipazione di tutti.

Citazioni

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  • Durante questo periodo [1953-1978], il nostro paese è diventato una delle potenze reali ed effettive del quadro politico internazionale la cui importanza e ruolo nessuno può ignorare. Il nuovo posto che oggi occupiamo a livello mondiale ha necessariamente comportato responsabilità internazionali specifiche.
    Sul piano interno siamo impegnati in una delle più grandi campagne economiche e sociali del mondo moderno: un programma che in breve tempo trasformerà la nostra nazione in una delle più floride e moderne società del mondo. (p. XVI)
  • Se crediamo nella nostra eredità storica, che è grande quanto antica, come potremo, nella nostra marcia in avanti, fermarci prima della meta? Potremo forse accontentarci, limitandoci a guardare gli altri? In che modo giustificheremo la rinuncia ad un'impresa che consiste essenzialmente in un sacro impegno per assicurare la felicità e la prosperità alle generazioni future del nostro paese? E in che modo potremo scusare il nostro atteggiamento di passività di fronte all'evoluzione ed al progresso di altri che in nessun senso possono vantare privilegi nei nostri confronti, né per il retaggio storico o per valori personali ed intellettuali? (p. XVII)
  • Sottovalutare le difficoltà di un'impresa significa condannarla al fallimento. Se siamo veramente decisi a raggiungere una grande meta, dobbiamo in primo luogo avere la necessaria disposizione psicologica, adeguata alla grandezza del nostro ideale ed alla forza della nostra decisione. (p. XVII)
  • Sono solo 5 anni che la nazione iraniana è entrata nella gara mondiale per il progresso e lo sviluppo, mentre gli attuali paesi progrediti sono impegnati in questa competizione da quasi due secoli ed alcuni molo di più. (p. XIX)
  • Grazie ai continui miglioramenti susseguitisi negli ultimi 15 anni, ed alle ripercussioni positive che hanno avuto sulla situazione politica ed economica del paese la nostra nazione dispone oggi delle più favorevoli condizioni politiche, economiche e sociali, atte a garantire il successo delle proprie aspirazioni. I nostri obbiettivi, così come la natura del piano approntato per realizzarli, sono chiari. Tutti i presupposti necessari per ottenere il trionfo in questa importantissima lotta sono a nostra disposizione: una leadership stabile e risoluta, una solida infrastruttura culturale nazionale, il rispetto dei valori morali, genialità e talento intrinsechi, una sempre crescente fiducia e speranza e il forte legame che unisce la nazione al suo centro di comando. (pp. XIX-XX)
  • La storia movimentata della nostra terra, vecchia di migliaia di anni, con i suoi alti e bassi e le sue straordinarie vicissitudini, dimostra inequivocabilmente che solo mediante la grazia divina il nostro paese è riuscito di volta in volta a sopravvivere sano e con le energie intatte a colpi mortali che in altri casi hanno fatto scomparire intere nazioni dalla faccia della terra. È solo grazie a questa benedizione che il nostro paese è stato in grado di proseguire nell'adempimento della sua interminabile missione umanitaria. Sono convinto che un aiuto incondizionato continuerà ad assisterci se anche questa volta ci mobiliteremo ed uniremo tutte le nostre forze ed energie per la realizzazione del sacro fine (che non potrà essere che conforme alla volontà di Dio) di costruire per i bambini di questa terra per la loro felicità ed il loro onore, un glorioso futuro; in altre parole, per gettare le fondamenta della società iraniana del domani, in modo tale che ne risulti una comunità ricca di valori spirituali e di virtù morali. (p. XX)
  • Vari ed importanti eventi della mia vita mi hanno convinto, al di là del dubbio, che una forza sovrumana guida il mio destino e quello della mia nazione lungo il cammino che essa ha stabilito, e che tutto ciò che faccio prende ispirazione da tale forza e che fino ad oggi è stata garante del mio comando e ne ha stabilito la direzione. (pp. XX-XXI)
  • La speciale posizione della monarchia iraniana richiede, come afferma il Christensen in un suo passo molto conosciuto, che un vero re in questo paese deve essere non solo il capo dello Stato, ma allo stesso tempo la guida e il maestro del suo popolo. Io accetto di tutto cuore di adempiere la mia missione di leader e di maestro, conscio dell'altissima conoscenza che ho dei problemi nazionali ed internazionali del mio paese e del fatto che io stesso sono l'iniziatore e l'ideatore di quella rivoluzione sociale dalla quale l'attuale progresso della nazione iraniana ha avuto inizio. Nelle condizioni attuali della società iraniana, lo status di maestro è uno status di cui un individuo non può non essere orgoglioso. (p. XXIII)
  • Il nostro mondo, ha dunque a disposizione tutto ciò che occorre per rendere la terra un luogo più che adatto ad ospitare i suoi quattro miliardi di abitanti (che alla fine di questo secolo diventeranno sette miliardi) ma il vero problema è costituito dal fatto che la crescita mentale e sociale dell'uomo non ha tenuto il passo con l'enorme progresso scientifico ed industriale. Ancor oggi nell'era spaziale, il destino delle nazioni è spesso in balia degli istinti più sfrenati e di cupe passioni, retaggio dei periodi più oscuri del nostro passato. (pp. 6-7)
  • Le vicende storiche degli ultimi secoli hanno creato una situazione per cui alcune società godono già delle migliori condizioni in tutti questi campi. Non c'è dubbio che tale privilegio è in parte dovuto al genio e ai meriti delle stesse società, ma sappiamo anche che in parte è il risultato dell'età del colonialismo ormai estinta. La storia recente, così come viene insegnata in quasi tutte le scuole e che è stata scritta principalmente da studiosi occidentali, ci ha spiegato che l'economia di una parte dei paesi industrializzati si è basata per lungo tempo sulla colonizzazione di altre comunità e sullo sfruttamento delle loro risorse naturali ed energie umane. (pp. 9-10)
  • Se ho spesso rivolto i miei ammonimenti ai paesi progrediti del mondo occidentale per questioni di carattere sociale e culturale, è perché sono veramente preoccupato del loro benessere e della loro potenza e non perché desidero la loro caduta. Una logica stringente mi porta a concludere che dobbiamo unire i nostri sforzi nel cercare di salvare il mondo piuttosto che allargare il divario esistente fra di noi aumentando le cause di dissenso che di separano. Ho sempre affermato che non vogliamo assolutamente che il mondo industrializzato crolli perché ci sentiamo sempre più parte di tale mondo, e se questo dovesse succedere noi cadremmo con lui. Comunque, devo constatare con rammarico che le mie dichiarazioni a questo riguardo, sono spesso ignorate, forse a causa delle responsabilità che comporterebbe il prenderne atto. (p. 31)
  • Lasciateci sperare, insieme con tutti i sostenitori di giuste cause, i realisti e quanti hanno a cuore la sopravvivenza e la perpetuazione della società umana e della civiltà da essa creata, che il mondo futuro sarà un mondo fatto di coesistenza e cooperazione fruttuosa fra tutti i popoli e le nazioni della terra. Lasciateci sperare in un mondo in cui tutti lavoreranno insieme e dedicheranno i loro sforzi congiunti alla realizzazione di obbiettivi comuni: un mondo nel quale i calcoli meschini, l'egoismo, i pregiudizi, gli istinti sfrenati e la pericolosa grettezza lasceranno il posto alla comprensione e ad una visione più lungimirante; un mondo nel quale lo spirito della giustizia e il rispetto per la dignità umana verranno riconosciuti e riveriti da tutti gli esseri umani; un mondo nel quale le risorse che Dio stesso ha elargito, verranno sfruttate nel rispetto dei diritti legittimi, nell'interesse dell'intera società umana e distribuite in maniera più equa, perché possano servire ad eliminare la povertà, l'ignoranza, le malattie, le carestie e le varie forme di discriminazione esistenti. In un mondo del genere i benefici della pace e della stabilità garantiranno il cammino dell'umanità verso quel futuro che merita in ragione dei suoi sforzi passati, dei sacrifici e delle sue grandi conquiste. (p. 33)
  • Lasciateci sperare che nel 2000 il nostro sarà un mondo basato sulla collaborazione e non una vittima delle frizioni. Se crediamo nella necessità di combattere l'isolamento e di promuovere la coesistenza, dobbiamo riconoscere che può esistere solo un tipo di società. Il dovere più importante ed urgente di una tale società sarà di accelerare le attività costruttive su scala mondiale. Tale obbiettivo richiederà che il destino del mondo si fondi su di una politica nuova, fatta di pace e di cooperazione, l'opposto della vecchia distruttiva politica da guerra fredda. Il mondo dell'anno 2000 dovrà essere un mondo unito, nel quale tutti gli esseri umani vivranno gli uni accanto agli altri nell'ambito di una struttura internazionale basata sulla cooperazione, in spirito di comprensione e sicurezza. (p. 34)
  • [Sulla Rivoluzione bianca] Si tratta di una Rivoluzione che incide sul destino, che guarda al futuro mantenendo un saldo legame con il passato e deriva la sua forza non solo dalla tecnologia e dalle scienze umane ma dai valori nobili ed eterni del suo antico retaggio. (p. 37)
  • Secondo i nostri piani e le nostre previsioni, la società iraniana entrerà nell'era della Grande Civiltà nell'ultima decade del ventesimo secolo. Stando a questi calcoli, il cammino storico compiuto dalla nazione iraniana per uscire dalle tenebre alla luce e da uno stadio di declino ad uno di grandezza, durerà soltanto due terzi di secolo, ovvero meno della vita media di una generazione. L'iraniano che ha aperto gli occhi in anni precedenti quel 22 febbraio 1921, in una delle nazioni più deboli e misere, potrà ormai chiuderli in un paese fra i più avanzati e progrediti del mondo. (p. 38)
  • [Sull'Iran sotto la dinastia Cagiara] Le manifestazioni ordinarie della civiltà materialista occidentale, tipiche allora dei paesi dell'Europa e dell'America, ma anche dell'Impero Ottomano, dell'India e degli altri paesi limitrofi, erano assolutamente sconosciute in Iran. Ferrovie, viadotti, automobili, elettricità, telefono, non esistevano o venivano considerati un lusso. A queste gravi carenze materiali e spirituali si aggiungevano una serie di sventure derivanti dal dilagare della corruzione, falsità, slealtà e lotte interne, dal gran numero di oppiomani e dall'enorme diffusione di superstizioni di ogni tipo. (p. 41)
  • [Nel 1978] La nuova società iraniana, fondata 15 anni fa, si regge su tre pilastri principali: l'ordine monarchico, la legge costituzionale e la Rivoluzione dello Shah e del Popolo. Ognuno di questi pilastri presiede ad aspetti differenti della vita nazionale e tutti insieme costituiscono la guida che la società iraniana deve seguire per poter avanzare sulla strada della sua evoluzione. (p. 46)
  • L'ordine monarchico dell'Iran è il garante della solidarietà nazionale, della direzione stabile e forte del paese, della sua potenza militare, dell'indipendenza politica e dell'adempimento del ruolo universale della nazione iraniana. (p. 46)
  • [Sulla Rivoluzione bianca] La caratteristica distintiva di questa Rivoluzione è che, a differenza di tante altre, è stata imposta da una grande maggioranza su di una piccola ma influente minoranza. La Rivoluzione è stata attuata seguendo la volontà della maggioranza liberamente espressa mediante votazione e la sua forma di azione, nonché le garanzie per la sua continuità, sono state elaborate con la partecipazione della stessa maggioranza. (p. 47)
  • In Iran non saranno in alcun modo tollerati o scusati atti intesi ad impedire o ritardare il progresso della nazione. Di conseguenza non c'è spazio nel paese per quei pazzi, traviati o malvagi, appartenenti alla stessa razza d'individui presente anche in molti paesi progrediti, che costituiscono una sorta di «internazionale del terrorismo». Questi individui, o per ignoranza ed irrazionalità congenita, o perché plagiati, o perché malati di mente, compiono azioni di sabotaggio ed assassinii a danno del proprio paese (e naturalmente a beneficio di stranieri), prendendo a pretesto «ideologie» stupide come «Il Marxismo Islamico», una combinazione, ridicola, la cui assurdità appare evidente anche ad un bambino. Si tratta d'individui che considerano «un impegno eroico» l'ostacolare ogni sforzo positivo e costruttivo. Ma è superfluo dire che le attività, stupide o traditrici di questi individui, non causano nessuna seria preoccupazione, perché non possono incidere minimamente sulla realtà di un paese dove prevale un ordine forte e militante. (pp. 48-49)
  • La nostra democrazia progressista, ma disciplinata, se non tollera attività reazionarie e retrograde, allo stesso modo non sopporta alcuna forma di terrorismo o di tradimento, perché gli effetti deleteri dell'oscurantismo e dell'ostruzionismo sull'evoluzione sociale sono altrettanto seri di quelli del tradimento e del terrorismo. Alla luce dei veri interessi della nazione iraniana, gli uni e gli altri sono ugualmente colpevoli. (p. 49)
  • La posizione geografica dell'Iran è talmente vitale e delicata che un qualsiasi ritardo sulla via del progresso, potrebbe mettere in pericolo la stabilità e la pacifica esistenza di tutta questa area mondiale. (p. 50)
  • Con la Rivoluzione, il lavoro ha perso una volta per tutte ogni caratteristica di sfruttamento e l'integrità personale degli individui è stata assicurata ovunque. Ogni iraniano ha così potuto comprendere, fino in fondo, la dignità del suo stato di essere umano in grado di usufruire di una piena giustizia sociale e di godere dei diritti umani e delle libertà individuali. (p. 50)
  • Il nuovo ordine della società iraniana, ha rifiutato ogni forma di capitalismo assoluto, ma allo stesso tempo non solo ha mantenuto, ma anche protetto ed incoraggiato, il ruolo produttivo del settore privato nei differenti campi dell'industria, del commercio, dell'agricoltura e simili. Il concetto di democrazia economica, come è oggi applicato nell'Iran moderno, significa che il maggior numero possibile degli imprenditori indipendenti, debba essere autorizzato a condurre imprese commerciali e produttive, nel rispetto delle leggi che regolano il lavoro e l'economia. (p. 52)
  • [Sulla Rivoluzione bianca] È stata una Rivoluzione che a differenza di molte altre, ha favorito tutte le classi e tutti gli individui della società. Una Rivoluzione i cui benefici sono andati a vantaggio di tutti gli iraniani: proprietari terrieri, contadini, imprenditori, operai, abitanti delle aree urbane, o dei villaggi, vecchi e giovani, uomini e donne, madri e bambini, intellettuali ed analfabeti. Di conseguenza, la caratteristica distintiva di questa Rivoluzione è stata nella piena partecipazione del popolo tutto, al progresso ed allo sviluppo materiale e spirituale del paese in ogni campo. (p. 52)
  • L'elasticità della nostra Rivoluzione è la migliore garanzia per il suo trionfo, perché l'esperienza insegna che ogni movimento rivoluzionario, una volta inquadrato nelle rigide strutture di principi inflessibili, finisce col perdere ogni capacità di adeguarsi alle esigenze, alle richieste, ed alle mutate condizioni della società cui appartiene. (p. 53)
  • La questione dell'acqua è stata fin dalle origini della storia dell'Iran uno dei problemi vitali e fondamentali di questa terra ed uno dei fattori che maggiormente hanno pesato sul suo sviluppo economico. Un elemento che non solo ha inciso sull'economia nazionale, ma ha influenzato l'essenza stessa della cultura e della civiltà iraniana. Molte credenze religiose e riflessioni filosofiche dell'antico Iran, così come diverse tradizioni ed usanze nazionali, sono state ispirate dall'interminabile lotta del popolo di questo paese contro la siccità e la scarsità d'acqua. L'esigenza di perseverare in questa lotta ha fatto sì che determinanti concetti, acquistassero un valore speciale. Il ruolo dell'acqua nella vita e nell'economia della nazione iraniana è così vitale che Dario, il re Achemenide, nella sua famosa inscrizione su pietra, indica la siccità come uno dei tre mali dai quali chiede a Dio di proteggere il paese, gli altri due sono l'ostilità e l'inganno. (p. 65)
  • Le donne iraniane che nella società attuale svolgono un ruolo attivo, costruttivo e rispettabile, hanno potuto partecipare a pieno diritto alla vita nazionale del paese ed accedere a posti importanti in qualità di ministro, ambasciatore, membro di tutte e due le camere del Parlamento, professore universitario, giudice, avvocato, sindaco, direttore di compagnia ecc. Ci sono donne anche nelle forze armate come ufficiali ed in ranghi inferiori. (p. 78)
  • L'insegnamento della religione continuerà a ricevere la massima attenzione anche in futuro, perché il rafforzamento ed il consolidamento delle convinzioni religiose e la più profonda e generale consapevolezza a riguardo, sono condizioni necessarie per la solidarietà ed il benessere della società. (p. 82)
  • La storia del petrolio è uno dei capitoli più tumultuosi della storia dei nostri tempi, perché dall'inizio alla fine è caratterizzata da intrighi, complotti, crisi politiche ed economiche, assassinii, colpi di stato e sanguinose rivoluzioni. L'imperialismo del petrolio è sempre stato dei più disumani perché, pur di realizzare il massimo profitto, non ha esitato ha calpestare ogni principio morale e sociale. Le ingiustizie, le privazioni, i soprusi e gli insulti che il nostro paese ebbe a soffrire per tutto il periodo della concessione petrolifera, furono alcuni dei mali derivanti da tale situazione. (p. 119)
  • Oggi l'industria petrolchimica è in grado di derivare dal petrolio più di 70.000 generi di consumo. Quale altra fonte energetica, fra quelle esistenti e quelle future, come l'energia nucleare, quella idroelettrica e quella solare, sono in grado di fornire tanti derivati? In base a quale logica assurda questa preziosa sostanza che può essere impiegata a fini produttivi altrimenti irraggiungibili, deve essere utilizzata per esigenze che potrebbero venire ugualmente soddisfatte ricorrendo ad altre fonti di produzione energetica?
    La natura ha impiegato centinaia di milioni di anni per creare questi giacimenti. Quale logica ha indotto l'uomo moderno ad esaurirli, per usi spesso irragionevoli ed inutili, nell'arco di poche generazioni e cioè 120 anni, ad un ritmo 50.000 volte superiore a quello occorso per la loro formazione? (p. 131)
  • Prima o poi il mondo capirà che bruciare petrolio e gas naturale per creare energia, è un peccato imperdonabile. Allora il petrolio troverà il giusto prezzo, perché in realtà quello attuale è ancora troppo basso perché qualcuno sia disposto a ricercare altre fonti di energia. Lo stesso varrà per il consumo di gas naturale, quando in futuro saranno state messe a punto altre forme di produzione energetica, perché anche questa sostanza è troppo preziosa perché la si possa continuare a bruciare invece che impiegarla nell'industria petrolchimica. (pp. 131-132)
  • Sul piano internazionale appoggiamo l'Organizzazione delle Nazioni Unite quale sede universale più importante per la composizione delle controversie ed il luogo dove tutti i membri della grande famiglia umana possono discutere e risolvere i loro problemi e giungere a decisioni che s'impegnano a rispettare. Noi ci auguriamo sinceramente che la leale collaborazione di tutti i membri possa garantire all'ONU l'espletamento delle sue funzioni e delle sue responsabilità, benché al momento questa organizzazione manchi di potere esecutivo. (p. 135)
  • Il nostro paese è stato tra i primi a firmare l'accordo che proibiva l'espansione degli armamenti nucleari ed in ogni circostanza ha sempre dato il suo appoggio ad iniziative volte alla limitazione degli armamenti ed a maggior ragione a quelle per il disarmo mondiale. (p. 138)
  • Il Golfo Persico fornisce oggi all'Europa più del 70% del suo fabbisogno petrolifero ed il 90% di quello del Giappone. Cosa succederebbe per esempio se con un'azione di aperto sabotaggio o con manovre nascoste si riuscisse a far esplodere una grande petroliera negli stretti di Ormuz, chiudendo così questa vitale via di comunicazione marittima alla navigazione internazionale? E come potremmo mai permettere una cosa del genere? (p. 138)
  • La potenza militare non rappresenta soltanto una necessità per la difesa del paese, ma è sempre stata un fattore determinante nel garantire la nostra evoluzione sociale, soprattutto nella fase di attuazione della Rivoluzione. Se non fosse stato per il potere deterrente di questo fattore di ordine e di stabilità, l'applicazione costante dei principi della Rivoluzione si sarebbe scontrata contro intrighi, agitazioni e cospirazioni messe in atto dai seguaci del regime feudale o dagli agenti dei movimenti reazionari rossi e neri. In realtà è stata questa stessa forza che nei recenti anni ha neutralizzato gli atti di sabotaggio preparati da terroristi, assassini ed anarchici al soldo delle potenze straniere. (p. 140)
  • La mia più grande aspirazione è quella di condurre la nazione iraniana alla Grande Civiltà e considero mio dovere fondamentale, quale responsabile del destino del paese, guidarlo nella sua avanzata verso la meta finale. L'Iran sta percorrendo oggi la strada giusta, ma per poter realizzare questo grande obiettivo è necessario che non devii, né che la sua avanzata venga in qualche modo ostacolata o ritardata. (p. 143)
  • Venticinque secoli fa, la monarchia iraniana, facendo la sua comparsa sulla scena mondiale, inaugurò una nuova era nella storia dell'evoluzione della civiltà umana. Perché ritenere impossibile che i nostri sforzi presenti possano inaugurare un'altra nuova era nella storia di questa evoluzione? Perché non dovremmo lottare per gettare le basi della Grande Civiltà del domani, nella quale gli elementi migliori di tutte le civiltà umane concorreranno a risolvere i problemi di cui il nostro mondo tribolato è profondamente conscio? (p. 143)
  • Che cosa s'intende per «Grande Civiltà»? Si tratta di una civiltà nella quale i migliori elementi della conoscenza e dell'intuito umano concorreranno ad assicurare ad ogni individuo il più alto tenore di vita materiale e morale e nella quale le nuove acquisizioni scientifiche, industriali e tecnologiche saranno state armonizzate con gli alti valori morali e con le norme più progredite della giustizia sociale. S'intende una civiltà fondata all'insegna della creatività e della umanità, nella quale ogni individuo, oltre al completo benessere materiale, potrà godere della massima sicurezza sociale e possedere eminenti virtù spirituali e morali. Naturalmente ogni nazione e società ha il diritto di lottare per giungere ad una meta ed è nostro sincero desiderio che ogni impresa del genere, ovunque venga intrapresa, possa avere successo perché in quanto tale appartiene alla missione più nobile della società umana. Per quanto ci compete miriamo in primo luogo e soprattutto a garantire la prosperità ed il benessere della società iraniana. Senza dubbio se la nostra «Grande Civiltà» saprà mostrarsi attraente, la sua importanza supererà i confini del paese ed altri potranno allora pronunciarsi a proposito. (p. 144)
  • Non dobbiamo essere imitatori servili dell'occidente, ma neanche ostili, contrari ad ogni forma di modernismo; dobbiamo avere il massimo riguardo per la nostra cultura nazionale, ma non tradurre questo atteggiamento in venerazione di costumi antiquati. Dobbiamo essere nazionalisti al massimo grado, ma nel senso positivo e costruttivo del termine, contrari dunque ad ogni forma di fanatismo ed odio che nella nostra epoca ha portato soltanto distruzione e morte. (p. 145)
  • L'Iran di oggi è artefice dell'Iran di domani e l'erede dell'Iran di ieri. La sua eredità consiste in 25 secoli d'imprese gloriose di cui la storia scritta porta testimonianza. La storia ci ha tramandato i valori, che compongono la nostra identità nazionale e sono alla base della struttura morale e sociale e dei costumi della società attuale. Ogni iraniano fin dalla nascita porta in sé i valori che nel corso dei secoli hanno formato il destino dell'Iran ed hanno costituito lo scudo protettivo che ha salvaguardato l'integrità nazionale di fronte ad attacchi spaventosi. Ogni iraniano riceve questa eredità e la tramanda alle generazioni future. Si tratta di una lezione che la storia ha insegnato a noi ed a quanti hanno avuto a che fare con la storia del paese e che nel futuro anche i nostri figli impareranno.
    La storia della monarchia iraniana, fondata su questi valori imperituri, è proseguita per oltre 25 secoli ed al supporto di questi stessi valori è dovuta la sua continuità che ha meravigliato tanti ricercatori. Durante questo lungo periodo il paese ha dovuto assistere a ripetuti attacchi ed a massacri spaventosi nei quali migliaia e migliaia di suoi figli sono caduti sotto colpi durissimi. Ma nessun attacco, per quanto sufficiente a distruggere un intero paese, è riuscito a trionfare sui valori iraniani ma, come tutti gli altri, è passato lasciando dietro di sé soltanto un cattivo ricordo. (p. 146)
  • L'autentica civiltà ariana si basa sulla forza e la creatività. In essa la luce è considerata la più grande manifestazione della creazione perche fonte di ogni bellezza e di ogni energia. Questo concetto raggiunge la sua massima espressione nella civiltà iraniana, che costituisce la prima fioritura storica della grande civiltà iraniana, che costituisce la prima fioritura storica della grande civiltà ariana (ed è per questo che Hegel la definisce «la vera origine della civiltà mondiale»), perche è qui che la luce, fonte di tutta la creazione, avvolge l'intero essere materiale e spirituale dell'uomo, permettendogli di distinguere fra bellezza e bruttezza, fra purezza ed impurità e di relefagare tutti i fenomeni non creativi al dominio delle tenebre e della non-esistenza. L'essenza della personalità di ogni vero iraniano, quale viene forgiata dagli strumenti della filosofia e della cultura, è costituita dalla fede in una vita trionfante assegnata all'uomo come missione, una vita dunque vissuta all'insegna dell'eroismo, del coraggio, della purezza di cuore, della generosità, della speranza, dell'onestà e della salute. Nella nostra concezione filosofica ogni attributo contrario come malvagità, falsità, paura, scoraggiamento, ozio, malattia, inganno, egoismo e simili, genera tenebre e morte. L'immutabile missione di un ariano-iraniano è dunque quella di difendere la luce dalle tenebre, la vita dalla morte, la creatività della distruzione, la giustizia dall'ingiustizia. Ed è su questa concezione di base che nel mondo occidentale Hugo fondò la sua «Legende des Siècles» e Nietzsche l'immagine del superuomo in Zoroastro, opera quest'ultima, che come l'epiteto «ariano» fu poi vittima di un'interpretazione dissennata. (p. 148)
  • Dal giorno in cui gli iraniani gettarono le basi del primo stato ariano nella storia del mondo, nessuna forza è stata mai in grado di trionfare della volontà di vivere radicata nella nazione iraniana, né lo sarà mai in futuro. Se questa straordinaria costanza nel difendere in maniera tanto eminente la propria identità nazionale la si trova soltanto nel popolo iraniano fra tutti i popoli antichi è perché l'«energia vitale» dalla quale discendono tutte le altre manifestazioni della creatività, è stata fin dal primo momento il fermento dal quale è sorto e si è sviluppato il carattere iraniano. (p. 149)
  • La cultura iraniana è stata fin dalle origini profondamente umana, apportatrice di un messaggio estremamente nobile e bello. Umanità e buona volontà sono le due caratteristiche maggiori della storia dell'Iran. La ritroviamo nei principi religiosi e filosofici dell'antico Iran, nel sistema monarchico e nei diversi aspetti del pensiero, della scienza, della letteratura, dell'arte e del misticismo iraniano. (pp. 149-150)
  • Gli antichi iraniani fondarono la loro monarchia, che fu il primo esempio di governo ariano ed allo stesso tempo il primo impero nella storia del mondo, sulla base degli stessi principi di giustizia e di amore per l'umanità, di cui l'ormai noto editto di Ciro il Grande fu un'insigne incarnazione. (p. 150)
  • Il ruolo culturale dell'Iran, per quanto riguarda la scienza, la letteratura e l'arte, è ormai riconosciuto quale elemento indiscutibile della storia della civiltà. La letteratura dell'Iran che costituisce uno dei contributi più preziosi di questa nazione alla civiltà ed alla cultura mondiale è caratterizzata da spiritualità, altruismo ed affetto. Un messaggio che raggiunge il suo vertice nella letteratura mistica dell'Iran. L'arte iraniana è uno specchio permanente di amore e bellezza. Anche la filosofia iraniana si è sempre fondata sulla saggezza, la moralità e la spiritualità. (p. 150)
  • L'iraniano percepisce profondamente il legame che unisce il destino di tutti gli esseri umani ed è convinto che la felicità di ogni nazione sia indissolubilmente legata a quella delle altre. Si direbbe che il popolo iraniano sia stato sempre consapevole di una missione a lui assegnata a questo riguardo che presuppone responsabilità di cui deve essere cosciente in ogni momento. (p. 150)
  • La storia dimostra che il pensiero e la civiltà iraniani non sono mai stati contaminati dall'egoismo. Contrariamente a molte altre, la civiltà iraniana non ha mai innalzato barriere di carattere razziale, geografico o religioso. Nella prospettiva culturale dell'Iran diritto e giustizia sono indivisibili. Se oggi affermiamo che la nostra politica internazionale si fonda sul rispetto dei diritti umani, della sovranità nazionale e dell'ideologie di ogni società è perché c'ispiriamo ai valori immortali della civiltà iraniana. (p. 151)
  • L'ordine monarchico dell'Iran è stato fin dall'inizio un'emanazione ed allo stesso tempo il garante di tutti gli altri valori che costituiscono l'identità della nazione. I vari tipi di governo o di regime e le varie ideologie ed istituzioni che nel corso della storia sono stati sperimentati nel paese da varie potenze straniere, direttamente o attraverso emissari interni, sono andati invariabilmente incontro al fallimento ed ogni volta il corso degli eventi politici e sociali del paese ha riportato tali esperimenti nell'unico canale che abbia avuto la piena approvazione e la conferma della nazione iraniana. Niente è mai riuscito ad avere il sopravvento sullo spirito nazionalista degli iraniani, né gli attacchi furibondi di Alessandro, né le incursioni degli Arabi e dei Mongoli, né i disordini interni dell'era feudale, né le anarchie, il colonialismo o i recenti tentativi compiuti da potenze straniere ed è anche certo che non ci sarà mai niente in grado di farlo. (p. 152)
  • È importante capire il vero significato della parola Shahanshahi (monarchico) che non può essere spiegata ricorrendo a nozioni e definizioni di tipo ordinario. In genere, nel tentativo di tradurre questo termine gli stranieri ricorrono all'aggettivo «imperiale». Ma il termine «imperiale» è usato dagli occidentali con un significato prettamente politico e geografico, mentre per gli iraniani la parola Shahanshahi trascende l'indicazione materiale per assumere valori di carattere spirituale, filosofico, ideale e largamente sentimentale. In altre parole questo concetto è legato alla logica ed al pensiero degli iraniani come lo è al loro cuore ed alla loro anima. Nel lessico iraniano Shahanshahi sta ad indicare una unità geografica e politica ed allo stesso tempo l'identità nazionale e tutti i valori immutabili che hanno concorso a formare tale identità. Di conseguenza nessun cambiamento o innovazione potrà mai sperare di attecchire nel paese senza adattarsi all'ordine monarchico e conformarsi ai suoi principi ed alle sue norme fondamentali. Da questo punto di vista anche i periodi più oscuri della storia dell'Iran, nei quali ogni nozione di «impero», governo centrale e sovranità nazionale si sarebbe detta perduta, appartengono ugualmente alla storia della monarchia iraniana perché anche allora, al di là degli aspetti esteriori e visibili, la monarchia conserva intatta la propria struttura ideale e spirituale. (p. 153)
  • [Sulla conquista della Persia di Alessandro Magno] Si trattò dell'imposizione di una cultura e di una civiltà progredite contro la cultura e la civiltà monarchica iraniana. Ma il paese non solo riconquistò in pieno la propria personalità ed identità nazionale, ma lo stesso Alessandro finì con l'identificarsi con l'Iran e si fece chiamare il successore dei re achemenidi. Molti storici occidentali hanno cercato di attribuire a questo generale macedone un piano per la creazione di uno stato ed una civiltà mondiali, ma si tratta di un'opinione che più di costituire un fatto storicamente provato, rappresenta l'ennesimo tentativo di glorificare il ruolo storico della cultura greca di cui l'occhio si considera l'erede naturale. Una conseguenza di questo settarismo prevenuto e tendenzioso è data dalla falsa interpretazione dell'incontro fra Grecia ed Iran. Si tratta di un tipico caso di colonialismo culturale. (pp. 153-154)
  • [Sulla Conquista islamica della Persia] In quell'occasione la fede islamica, i cui principi monoteisti erano molto vicini a quelli iraniani, venne ben accolta ed accettata dalla maggioranza della popolazione. Ma attraverso i vari scambi culturali il pensiero e la civiltà iraniani erano destinati a costituire nel corso dei secoli un solido fondamento per la civiltà islamica. Allo stesso tempo, malgrado una profonda affinità religiosa e culturale, l'Iran non accettò di aderire politicamente alla causa araba, il che sarebbe equivalso da parte sua ad una negazione della propria identità nazionale. In questo modo si formò uno stato islamico indipendente, al di fuori dell'impero arabo avente come propria lingua ufficiale il persiano e non l'arabo. (pp. 154-155)
  • [Sull'invasione mongola della Persia] Si trattò di una prova terribile, rimasta probabilmente unica nella storia del mondo. La sola considerazione che può giustificare il ricordo di un evento così tragico nella storia dell'Iran è il fatto che anche quell'immensa e selvaggia mobilitazione di forze sataniche in una delle loro manifestazioni più orride, non fu in grado di abbattere lo spirito invincibile dell'Iran, il quale anche allora, dopo un breve lasso di tempo, tornò a sollevare il capo più vivo che mai, per riassumere la propria missione creativa. (p. 155)
  • Va in primo luogo sottolineato che la civiltà occidentale, pur basandosi dal punto di vista politico sulla democrazia, ha ugualmente partorito un fenomeno come il comunismo, la cui ideologia e le cui prospettive sono totalmente contrarie ai principi ed alle norme della democrazia occidentale. Ovviamente tutto ciò che riguarda atteggiamenti o relazioni delle singole società occidentali nei confronti di questo fenomeno e dei suoi aspetti ideologici e governativi nonché le politiche adottate a proposito, sono affari che non ci riguardano. Per quanto ci compete, possiamo affermare che tale ideologia è assolutamente estranea ed inammissibile per la società iraniana perché si basa sull'assoluto materialismo e sul rifiuto di ogni principio religioso e spirituale. È dunque estranea ai valori fondamentali della nostra cultura e della nostra civiltà, a tutti gli elementi che costituiscono l'identità nazionale, al nostro tessuto sociale ed intellettuale, alle tradizioni storiche, al nostro governo ed alla nostra civiltà. Proprio come un corpo sano rigetta ogni corpo estraneo e dannoso, così la società iraniana rifiuta questo elemento improprio ed ogni tentativo in tal senso sarebbe, come per il passato, destinato al sicuro fallimento. (pp. 156-157)
  • L'Europa colonialista mostrava di non considerare le altre razze egli altri popoli esseri umani aventi gli stessi diritti degli occidentali. Il loro ruolo e la loro funzione era, secondo l'occidente, di porre le risorse naturali o quelle umane al servizio delle potenze coloniali. Il concetto di democrazia era dunque eccellente, ma veniva applicato a vantaggio esclusivo di una minoranza privilegiata di nazioni. (p. 157)
  • Sappiamo che gli anarchici, i nichilisti e gli altri gruppi estremisti che sfortunatamente trovano sempre dei fiancheggiatori nei paesi industrializzati, non sono creazioni del mondo in via di sviluppo, ma di quello progredito. Scopo dichiarato di questi individui è di distruggere e cancellare ogni valore sociale, e se si chiede loro il perché, non sanno dare risposta, perché dietro questo comportamento c'è solo il desiderio di negare e di distruggere. (p. 159)
  • Nessuna civiltà o cultura, nessuna grande conquista politica o sociale, nessuna dottrina o fede ed in genere nessun fattore positivo per la società umana è mai stato conseguito con la ricerca del piacere o seguendo orientamenti conservativi, ma soltanto con la volontà e con la fede di chi ha coltivato grandi ideali. La Storia che come è stato spesso detto, si ripete, dimostra che se le basi morali e culturali di una civiltà s'indeboliscono, il suo involucro materiale, per quanto vistoso ed attraente, sarà incapace d'impedire il collasso dell'intera struttura.
    Questo è stato vero per la brillante civiltà greca, la grande civiltà romana, l'antica civiltà cinese, la civiltà islamica dei primi secoli e per il nostro stesso paese in alcuni periodi della sua storia. Come ben si sa il declino di queste civiltà iniziò nel momento stesso in cui l'indulgenza generale ad una vita di piaceri e di comodità materiali, aveva raggiunto il suo più alto vertice. Anche in quei paesi in cui ancora alto era il livello conoscitivo, filosofico, artistico e letterario, una volta crollate le basi morali che avevano permesso di giungere a quel grado di sviluppo materiale ed intellettuale, iniziava un graduale processo di declino. (p. 160)
  • Nell'Iran della Grande Civiltà non ci sarà più traccia degli antichi fattori negativi e distruttivi come la povertà, l'ignoranza, l'analfabetismo, la corruzione, lo sfruttamento, la discriminazione e simili. L'espansione dell'assistenza sanitaria pubblica permetterà ad ogni iraniano di poter godere di un'ottima salute e di poter disporre delle proprie energie nel miglior modo possibile. La diffusione dell'istruzione si risolverà in un benessere mentale ed intellettuale generale. Ogni iraniano, indipendentemente dalla propria situazione individuale e sociale, sarà protetto fin dalla nascita da ogni tipo di assicurazione sociale. I salari ed i redditi saranno proporzionati al lavoro onestamente svolto (che sarà disponibile per tutti) e tali da assicurare ad ognuno la piena autonomia economica. Molte spese individuali diminuiranno grazie all'assistenza del governo. L'istruzione sarà gratuita per tutti senza alcuna condizione fino a un certo livello, mentre per l'università ed i corsi di specializzazione, saranno poste alcune condizioni. Il tenore di vita sarà tale che nessun iraniano conoscerà la fame (e tuttavia il governo continuerà a prendersi cura dei bambini fino all'età di due anni). Ogni persona avrà un alloggio confortevole. L'ambiente fisico sarà salubre, puro e corroborante; e quello culturale e mentale profondamente umano. Vigerà il principio dell'impegno comune e della programmazione; contadini, operai, imprenditori, studenti, impiegati statali, liberi professionisti, artisti ed in generale le persone di ogni classe e condizione sociale potranno svolgere le loro funzioni nel pieno possesso di ogni diritto umano, sociale ed economico, in maniera positiva ed in spirito di collaborazione e partecipazione fra di loro, senza alcuna contrapposizione ed ostilità. Sarà il popolo stesso ad occuparsi per quanto possibile, delle questioni che lo riguardano. In ogni circostanza lo spirito generale di comprensione, una critica costruttiva ed una guida illuminata apriranno la via al progresso. Una piena e diffusa consapevolezza politica completerà nel senso più profondo l'educazione generale. La fede religiosa, quale manifestazione suprema della spiritualità, eleverà le anime di tutti i cittadini. Circoli culturali, artistici e sportivi e centri di sano divertimento saranno aperti a tutti. Ognuno avrà libero accesso agli strumenti atti a risolvere le sue esigenze culturali, come le biblioteche, i musei, le sale per conferenze, i teatri, la musica ed in generale tutto ciò che si riferisca alla cultura nazionale ed internazionale. Le persone anziane senza famiglia o che preferiscano vivere indipendentemente, avranno a disposizione case adeguatamente attrezzate. Saranno create le condizioni migliori perché tutti possano sviluppare il proprio ingegno ed il proprio talento in un'atmosfera sana e costruttiva per il bene del singolo ed il progresso della società. (pp. 161-162)
  • L'Iran è ovunque un museo vivente ed un'autentica mostra di tesori artistici e storici. Ogni angolo di questa terra porta le testimonianze eloquenti delle eroiche imprese e dei sacrifici dei nostri antenati. Le bellezze naturali dell'Iran, estremamente varie, a seconda delle condizioni climatiche delle differenti regioni, sono fra le più splendide del mondo. (p. 190)
  • La fede religiosa costituisce l'essenza spirituale di ogni società, perché senza un tale sostegno, qualsiasi società, per quanto progredita e materialmente ricca, è destinata a vivere in maniera confusa e senza scopo. Una fede autentica è la migliore garanzia della salute spirituale e dell'integrità morale di una società, il suo sostegno più valido nell'affrontare i problemi quotidiani, piccoli o grandi che siano e la protezione migliore contro ogni attacco sferrato alla moralità. Nessuna società può ritenere di poter sostituire questo essenziale fattore di forza e di continuità con una qualsiasi ideologia. Tutti i tentativi fatti fino ad oggi in tal senso si sono dimostrati perdenti. (p. 195)
  • È superfluo dire che il vero significato dell'Islam è incompatibile con l'abuso maligno, demagogico o reazionario che viene fatto dei suoi principii. Tutte le manovre che si fondano su di un tale abuso (sfortunatamente la nostra stessa società è stata più volte vittima di tali manovre nel passato e nel presente) costituiscono l'opposto del vero spirito e del vero significato dell'Islam. Nostro obiettivo fondamentale nel costruire la società iraniana presente e futura è di promulgare e fortificare il più possibile il vero spirito ed il vero significato dell'Islam in modo che la società dell'era della Grande Civiltà possa godere dei privilegi della fede, della purezza, della virtù e della massima spiritualità. (p. 196)

Il motto principale che vi indico quale sprone ai vostri sforzi per ottenere la vittoria è: lavorare, lavorare ed ancora lavorare.
In questa gloriosa strada affidataci dal destino sarò con voi fino all'ultimo giorno della mia missione. Senza dubbio Dio aiuterà e sosterrà tutti noi.

Risposta alla storia

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Lo Scià partendo in esilio durante la rivoluzione iraniana

Poco più di un anno fa usciva a Teheran il mio ultimo libro. Era un libro di speranza, in cui sottoponevo al mio popolo le mie vedute e i miei progetti per il suo avvenire – avvenire che mi auguravo glorioso, felice e prospero, degno della Storia più volte millenaria di un Paese che è sempre stato un dei principali costruttori della civiltà universale.
Volevo, alle soglie del terzo millennio, un Iran completamente modernizzato, progredito, una società iraniana altamente evoluta che potesse godere di una economia prospera, un istruzione superiore e strutture democratiche solide.
Vedevo le future generazioni iraniane occupare orgogliosamente il posto che spettava loro nella grande famiglia umana, assumendo degnamente le proprie responsabilità. Speravo di vedere diradate per sempre le tenebre medievali da cui l'Iran era stato strappato da appena mezzo secolo e che s'instaurasse il regno di quella luce che è l'essenza stessa della civiltà e della cultura iraniane.

Citazioni

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  • Nessun popolo può vivere nel passato, ma non può nemmeno vivere senza il suo passato. Se nulla lo collega più alla propria storia, è destinato a sparire. (p. 11)
  • Noi siamo un Paese antichissimo: la storia della Persia si perde nella notte dei tempi. (p. 11)
  • A partire dal 652 dopo Cristo, l'Iran subì l'invasione araba, quindi una dominazione straniera che avrebbe dovuto annientarlo: il Paese rimase per vari secoli sotto il giogo dei califfi di Bagdad ma, come era accaduto con i Greci, i vinti conquistarono i loro vincitori. (p. 18)
  • La leggenda ha forse esagerato gli eccessi di Tamerlano; tuttavia è innegabile che questi regnò con il terrore. La Persia sembrava definitivamente sommersa, cancellata per sempre dalla Storia. (p. 19)
  • [Su Nadir Shah] Colui che la storia ha chiamato il «Napoleone persiano» ci restituirà splendore e potenza. (p. 20)
  • Nadir Scià è stato paragonato a Napoleone poiché fu sempre vittorioso nel corso di folgoranti campagne, ma se Napoleone fu finalmente battuto dalle ultime coalizioni, Nadir rimase invitto; se però l'imperatore francese era un amministratore senza pari, non si può dire certo altrettanto di Nadir, il quale ebbe anche l'abominevole crudeltà di far accecare il proprio figlio. (p. 21)
  • Mio padre ci amava teneramente, profondamente. Eravamo undici figli; nutrivamo per lui un amore pieno di ammirazione, ma poiché ci sembrava potente e temibile, nutrivamo nei suoi confronti anche una sorta di timore reverenziale. Io non tardai a capire che sotto il suo aspetto di rude cavaliere nascondeva un'infinita bontà. Lo hanno riconosciuto anche i suoi avversari: fu uno di quegli uomini provvidenziali che appaiono nel corso dei secoli per impedire che la patria sprofondi nel nulla ed è stato il suo carattere integro, impetuoso, che gli permise di superare durante il suo regno le peggiori difficoltà, ma fu anche la causa della sua partenza.
    Non aveva nulla del monarca orientale e i suoi compiti imperiali rappresentavano per lui un vero servizio militare. Dormiva per terra, su un semplice materasso, si alzava alle cinque del mattino, consumava nel corso della giornata due soli pasti frugalissimi e per il resto del tempo lavorava. (pp. 36-37)
  • La mia fede ha sempre dettato la mia condotta – sia come uomo sia come capo di Stato – e ho sempre ritenuto che uno dei miei principali doveri era di dare e di conservare alla nostra religione il posto che le spetta.
    Una civiltà atea non è una civiltà e io ho sempre vegliato affinché la Rivoluzione bianca alla quale ho consacrato tanti anni del mio regno fosse conforme sotto ogni punto di vista ai principi dell'Islam. La religione è il cemento che permette all'edificio sociale di restare in piedi; è la base stessa della vita familiare e nazionale. (p. 45)
  • Se non condividevo l'entusiasmo di alcuni parlamentari per il leader del Fronte nazionale, era perché avevo osservato in passato alcune curiose contraddizioni tra i propositi di Mossadegh e le sue azioni.
    Ufficialmente era il difensore del sentimento nazionalistico anticolonialistico, il campione del patriottismo più intransigente, dichiarava che non bisognava accordare alle potenze straniere concessioni o vantaggi di sorta. Chiamava la sua dottrina la dottrina dell'«equilibrio negativo» e il suo più grande difetto era proprio quello di essere completamente negativo. (pp. 65-66)
  • [Su Mohammad Mossadeq] Le contraddizioni di quel rètore – contraddizioni perpetue – fra parola e azione, i suoi improvvisi e imprevedibili salti di umore – dall'esaltazione alla depressione – il suo passare da certezze violentemente espresse in discorsi isterici a lacrime, singhiozzi, malattie «diplomatiche», commedie macabre: «Io muoio... eccetera», ne fanno un politico difficile da giudicare. Alcuni lo hanno paragonato a Robespierre, altri a un personaggio della commedia dell'arte. (p. 66)
  • Non ignorando nulla dei progetti e delle ambizioni di Mossadegh, avevo deciso di lasciare l'Iran prima del colpo di forza; volevo evitare uno spargimento di sangue e lasciare il Paese libero di fare la propria scelta. Correvo un rischio, ma un rischio calcolato. (pp. 70-71)
  • [Sul rovescio di Mohammad Mossadeq] Io rientrai subito a Teheran dove ricevetti un'accoglienza popolare entusiastica. Fu veramente in tutto l'Iran un plebiscito irresistibile. Prima di queste prove, ero stato soltanto un sovrano ereditario; adesso avevo il diritto di dire di essere veramente eletto dal popolo. (pp. 71-72)
  • [Su Mohammad Mossadeq] Poiché sua madre era una discendente dei Khadjar, forse odiava la nostra dinastia. (p. 72)
  • Erano occorsi circa trenta mesi per far apparire Mossadegh agli occhi di tutti gli iraniani l'incarnazione stessa dell'apprendista stregone, incapace di controllare e dominare le forze distruttrici da lui stesso scatenate. (p. 73)
  • L'impero del petrolio resta uno dei più inumani del pianeta: i principi morali e sociali più elementari vi sono sistematicamente calpestati. Se le spoliazioni e le umiliazioni inflitte al nostro Paese dai potenti trust petroliferi erano terminate, non è che questi rapaci si fossero umanizzati; era che noi avevamo vinto lottando aspramente una battaglia che era stata impegnata fin dall'inizio del secolo. (pp. 75-76)
  • Ecco dunque uno dei miei principali «crimini»: aver voluto far passare l'Iran dall'èra del petrolio all'èra atomica prima che fosse troppo tardi. Devo arrossirne? L'impiego pacifico dell'energia nucleare non poneva da noi problemi di radiazione o di contaminazione, poiché nel nostro Paese esistono vaste distese desertiche. [...] Sono stato accusato di aver fatto adottare questi progetti, quelli delle centrali nucleari e gli altri, «per ambizione personale». Non era forse chiaro che io sarei stato probabilmente morto prima che la maggior parte di questi progetti venisse portata a termine? Perché dunque parlare di ambizione personale? Si trattava piuttosto di prevedere le necessità dell'Iran, Le mie ambizioni «personali» sono conosciute da tutti gli uomini di buona fede: salvaguardare l'unità nazionale, dare al popolo iraniano tutta la felicità possibile, preparare per le giovani generazioni un avvenire più sereno. È vero, adesso si incomincia a capirlo, e persino a dirlo, nonostante i fantasmi del Medio Evo e nonostante il terrore. Il mio scopo non era né chimerico né «diabolico» come sostengono oggi alcuni, aggiungendo addirittura che «io ho rovinato il Paese e fatto retrocedere l'Iran». (pp. 88-89)
  • Serbo un ricordo particolarmente gradevole dei miei incontri e colloqui con Ceausescu, che non mutò mai atteggiamento nei miei confronti, nemmeno quando dovetti lasciare l'Iran. Ceausescu è un uomo che credo capace di qualsiasi cosa per garantire l'indipendenza del suo Paese. (pp. 184-185)
  • I nostri rapporti con la Turchia non ponevano problemi. Fin da quando mio padre vi aveva soggiornato ai tempi di Kemal Ataturk, le nostre relazioni erano improntate a una grande amicizia e solidarietà. Per l'Iran, la prosperità e la grandezza della Turchia erano di importanza fondamentale. E oggi prego con ardore per il benessere di questo popolo coraggioso. (p. 185)
  • Nikita Kruscev era un interlocutore difficile, talvolta assai duro e sempre molto ostinato. Ciò nonostante, il suo lato contadino, la sua furbizia mista a bonarietà, lo rendevano simpatico. (p. 198)
  • A parte ogni differenza ideologica, non posso impedirmi di nutrire una sincera ammirazione per Breznev, che è innegabilmente un diplomatico impareggiabile. (p. 198)
 
Lo scià col presidente Dwight D. Eisenhower nel 1959
  • Probabilmente gli storici del futuro faranno del generale Eisenhower soprattutto un uomo di guerra. Per parte mia, ricorderò soprattutto le sue doti di cuore. Era una persona fondamentalmente buona, che seppe farsi amare da tutti gli americani: I like Ike. (pp. 199-200)
  • Per quanto riguarda la politica estera degli Stati Uniti, Nixon ebbe sempre, ed ha tuttora, una visione sorprendentemente esatta di uomini e cose. La sua politica di disimpegno nel Vietnam e di relazioni normali con la Repubblica popolare cinese, fu una politica ragionevole, impostata al buon senso e alla prudenza. Allo stesso modo, la sua concezione rigorosa dell'equilibrio delle forze mondiali aveva dato indiscusso prestigio agli Stati Uniti. (p. 200)
  • Persona di intelligenza superiore, Henry Kissinger possiede inoltre due qualità che, purtroppo, mancano a certi grandi di questo mondo: sa ascoltare e ha un sottile senso dell'umorismo. (p. 201)
  • Mi intrattenni sempre che grande piacere con l'imperatore d'Etiopia Hailé Selassié, che aveva dato prova di grande vigore patriottico resistendo all'Italia. Le nostre conversazioni erano franche, animate, e qualche volta mi permisi anche di suggerirgli certe riforme.
    Ero un giovane studente quando lo sentii difendere invano il suo Paese dall'alto della tribuna della Società delle Nazioni, a Ginevra. La Sdn non poté impedire nulla. Ma neanche l'Onu ai giorni nostri si è mostrata più efficace. Cosa ne è successo dell'Etiopia? (p. 203)
  • Solidi vincoli d'amicizia mi legano al presidente Senghor. Capo di Stato di prestigio internazionale, ottimo amministratore, Léopold Sedar Senghor è un maestro della lingua francese e un autentico poeta. Ho parlato a lungo con lui della «negritude», vera e propria dottrina di sintesi culturale. (p. 203)
  • Hassan è un sovrano di rara eleganza mentale. Discendente del Profeta e laureato in legge all'Università di Bordeaux, incarna perfettamente una duplice cultura, coranica ed europea. (p. 204)
  • Non dobbiamo dimenticare neppure Anuar El-Sadat che succeduto a Nasser, si trovò a capo di un Paese non soltanto schiacciato, ma anche umiliato, e dove nonostante tutto parte dell'opinione pubblica continuava a essere fuorviata e distratta da slogan menzogneri. Egli riprese la lotta e, grazie alle armi sovietiche, certo, strappò una prima vittoria. Ma il prezzo di questa vittoria gli parve troppo alto e fu davvero per salvare la pace che ringraziò i consiglieri sovietici e instaurò una politica d'indipendenza, a solo beneficio del popolo egiziano.
    Per compiere un simile sconvolgimento, bisognava essere dotati di grande senso politico e di coraggio non meno grande. Così Sadat è già entrato nella Storia come uno dei più autentici geni politici che l'Egitto abbia mai conosciuto. (p. 204)
  • Quanto al re Hussein di Giordania non risparmierò elogi al suo riguardo: non è solo un amico, è un fratello. Alle doti umane – nel senso più alto del termine – al cuore, egli unisce un grande coraggio, reso più grande da un amore autentico per il proprio Paese. (p. 204)
  • La Jugoslavia è, insieme con l'Iran, l'unico Paese che abbia saputo tener testa a Stalin pur in circostanze difficili se non addirittura angosciose. Non era facile unificare le etnie e modernizzare un Paese come la Jugoslavia, e bisogna ammettere che il maresciallo Tito ha realizzato un'opera straordinaria. Dio voglia che i suoi successori si dimostrino altrettanto capaci. (p. 205)
  • Del presidente rumeno vorrei lodare il patriottismo intransigente e l'ostinata volontà d'indipendenza. Una vera amicizia mi legava a lui. (p. 205)
  • L'Iran è sempre stato ed è tuttora un impero, cioè un insieme di popoli dove, nonostante una stragrande maggioranza musulmana, le etnie, le lingue, i costumi e perfino i culti sono diversi. Donde la necessità di un sovrano unificante dall'alto, per la realizzazione di un'autentica democrazia imperiale. [...] La democrazia imperiale è nel contempo l'unione entro le nostre frontiere di tutti i gruppi etnici sotto una stessa bandiera, e il raggruppamento di tutte le classi sociali in seno a una comunità in lotta per il vero progresso. C'è da meravigliarsi che ci si sia affannati a distruggerla? (p. 209)
  • Mi sono sempre sforzato, conformemente al mio doppio dovere di credente e di sovrano, di seguire i precetti del sacro Libro dell'Islam, precetti che sono quelli dell'equilibrio, della giustizia e della moderazione. Se nel ricevere la mia educazione religiosa ho seguito alla lettera i precetti del Corano, imparando a rispettarli conformemente al testo, è noto che in diverse circostanze della mia vita mi sono particolarmente sentito sotto la protezione dell'Onnipotente. (p. 234)
  • Sono convinto che oggi la maggioranza di religiosi deplorano le prove inflitte al nostro popolo. Non parlo solo dei martiri, ma delle famiglie disperse, terrificate, senza risorse, dei quattro milioni di disoccupati che il caos economico ha creato in un Paese che soltanto un anno prima offriva lavoro a un milione di stranieri. Coloro che hanno scelto di servire Dio non possono, senza una profonda tristezza, vedere schernire i più sacri principi della nostra religione. (p. 235)
  • Non posso fare a meno di interrogarmi anche sui sentimenti che devono provare coloro che oggi sono gli apparenti padroni dell'Iran. Nonostante i loro errori e i delitti che hanno fatto commettere, sono degli uomini di fede, che si appellano a Dio. Mi auguro comprendano finalmente che la rivoluzione che essi credono di aver condotta a buon esito non è offerta alla gloria di Dio, ma è al servizio delle forze del male. (p. 235)
  • L'Iran non aveva maggiori ragioni di adattarsi al terrorismo di quanto non ne abbiano gli italiani di adattarsi all'attività delle Brigate Rosse, o i tedeschi dalle estorsioni della Banda Baader. E quando nello stesso giorno, in Germania, sei prigionieri si suicidano sparandosi alla nuca per non fallire il colpo, ci si meraviglia appena che nella cella abbiano avuto un'arma a loro disposizione e questa serie di coincidenze davvero straordinarie viene presentata come del tutto normale. L'opinione pubblica mondiale accetta questa versione quasi senza batter ciglio. (p. 246)
  • La Savak era stata creata nel nostro Paese per combattere la sovversione comunista dopo la funesta esperienza Mossadegh. Non sta a me giudicare l'atteggiamento dei Paesi occidentali nei confronti dei loro comunisti, ma il fatto di non poter vedere le cose allo stesso modo dipende dall'avere o meno delle frontiere comuni con l'Unione Sovietica. (p. 246)
  • In Iran, come altrove, vi erano traditori, spie, agitatori e sabotatori di professione, sui quali il nostro governo e i nostri alti comandi dovevano essere informati e contro i quali il nostro popolo doveva essere difeso: era il compito della Savak. Servizio di informazione e di controspionaggio, essa agiva anche a richiesta dei magistrati civili, ma quest'ultimo compito le fu tolto per essere affidato alla gendarmeria e alla polizia ordinaria, in seguito a raccomandazioni da parte di commissioni di giuristi internazionali. (p. 247)
  • In nessun Paese la responsabilità dei servizi di polizia e di informazione incombe al sovrano o al capo dello Stato, bensì ai ministri dell'Interno e della Guerra, o al primo ministro.
    In Iran, la Savak dipendeva direttamente dal primo ministro. I capi di Stato intervengono, a richiesta del ministro della Giustizia, soltanto per esercitare il loro diritto di grazia nei confronti dei condannati; per quanto mi riguarda, non feci eccezione a questa regola. (p. 248)
  • Era inevitabile che alcuni terroristi trovassero la morte nei loro scontri con la Savak e, ancora più spesso, con le forze dell'ordine. Nessuno li obbligava ad appiccare degli incendi, a darsi ad atti di saccheggio o ad attentare alle vite umane; essi sono stati vittime della scelta che avevano fatto.
    Per quanto riguarda le persone arrestate per ragioni politiche, e non posso evidentemente porre in questa categoria i sabotatori e gli incendiari, affermo che sono state trattate in modo corretto e che non sono mai state molestate. Nessuno potrà mai citarmi il nome di un uomo politico «liquidato» dalla Savak. (p. 249)
  • Alcuni interlocutori mi dicono oggi che avrei dovuto applicare la legge marziale in tutto il suo rigore. Sarebbe certamente stato possibile ristabilire l'ordine usando i mezzi di cui disponevo, ma a quale prezzo?
    Mi si dice anche che ciò sarebbe costato meno caro al mio Paese di quanto non costi l'anarchia sanguinaria che vi si è instaurata. Posso rispondere che è facile atteggiarsi a profeti a posteriori e che un sovrano non può salvare il proprio trono facendo scorrere il sangue dei suoi compatrioti. Può farlo un dittatore, perché agisce in nome di una ideologia che ritiene di dover far trionfare a qualunque prezzo. Ma un sovrano non è un dittatore; tra lui e il suo popolo esiste un'alleanza che egli non può rompere. Un dittatore non ha nulla da trasmettere; lui, e lui soltanto, rappresenta il potere. Un sovrano riceve una corona e deve trasmetterla. (p. 257)
  • Il modo in cui quei carnefici che, volontariamente dimentichi della nostra storia, hanno asserito di rendere giustizia in nome di Dio, rappresenta una derisione.
    Prima dell'Islam, più di undici secoli di glorie e di prove nel corso delle quale i Persiani offrirono al mondo alcune delle sue più preziose invenzioni e creazioni sarebbero secondo loro, da scartare come pagani, o estranei alla vera fede. Dopo l'Islam e a parte i dieci anni del regno di Alì, regnò, secondo loro, un potere temporale usurpatore. (p. 274)
  • Un fanatismo cieco ha instaurato nel Paese il regno del terrore, della follia e della stupidità.
    Ma ciò che è molto più difficile da comprendere è che gli stessi mass media che avevano visto nel nostro Paese troppi poliziotti, troppi prigionieri, dei morti inesistenti e cento volte moltiplicati nelle strade delle nostre città, all'improvviso non hanno più visto nulla, oppure hanno assistito senza indagarsi a un'ecatombe che ha fatto centinaia di vittime. Ancora più incomprensibile è il fatto che le associazioni di giuristi internazionali che ci avevano dato dei buoni consigli per «umanizzare» la nostra giustizia, abbiano taciuto all'avvento di inquisizione selvaggia. (p. 274)
  • I «tribunali islamici» sono caratterizzati da un disprezzo totale dei più elementari diritti alla difesa. Secondo i «giudici» religiosi, gli accusati sono dei criminali evidenti per il solo fatto che hanno partecipato alla vita politica, sociale ed economica dell'Iran durante il nostro regno. Quanto ai «corrotti», che protestano la loro innocenza osservando anche i mollah hanno vissuto assai bene durante tutto quel periodo, aggravano la propria posizione. Inutile, dunque, ascoltare dei testimoni o delle arringhe. (p. 275)
  • Durante il mio regno, i rappresentanti della Croce Rossa poterono visitare tutti gli istituti di pena del Paese: è un fatto. I nostri penitenziari erano aperti a qualsiasi investigatore qualificato, e l'avvocato di qualsiasi detenuto poteva prendere conoscenza del fascicolo di accusa e aveva il tempo di preparare la difesa, di citare i testimoni necessari. Il condannato, infine, poteva appellarsi e ricorrere in cassazione, dopodiché usavo spesso del diritto di grazia. Ora non è più così; i cosiddetti «tribunali islamici» rappresentano un insulto agli elevati principi del Corano. (p. 283)

Prego per coloro che, bracciati, calunniati, devono traversare le dure prove dell'esilio; e prego per le decine di milioni di iraniani che sono esiliati nel loro stesso Paese.
Prego per le madri di famiglia angosciate.
Prego per la nostra gioventù, ingannata, schernita, che rimane senza speranza.
Prego per coloro che piangono un essere caro.
Prego per i milioni di senza lavoro. Prego per coloro che hanno perduto ogni cosa. Prego per coloro che soffrono in silenzio e per coloro che, laggiù, sono imbavagliati, forse hanno piedi e mani legati, e soffrono.
Prego, infine, per tutti coloro che rimangono accecati dalla menzogna e dall'impostura. Che Dio li illumini e strappi per sempre l'odio dal loro cuore.
Dio Onnipotente, nel quale ho creduto tutta la vita, proteggi il nostro Paese e salva il nostro popolo.

Citazioni su Mohammad Reza Pahlavi

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Studenti dell'Università di Teheran abbattono una statua dello scià durante la Rivoluzione iraniana
  • A me sembra che tutte le tue esperienze passate col pericolo posto dai comunisti, e così via, sembrano averti condotto al punto dove, per preservare lo Stato come lo vedevi tu, quasi ognuno che ti opponeva finiva coll'essere dichiarato un nemico dello Stato, quando magari non lo erano. (David Frost)
  • Altro che Ciro, Dario, Serse. Erede vulnerabile di un usurpatore forestiero privo di scrupoli e di religione, seduto sul Trono del Pavone vagheggiando di congiungere gli oleodotti dell'Iran energetico al glorioso impero di Persepoli, egli ignorava quasi tutto dell'atavica anima islamica e sciita dell'Iran. Conosceva il calcolo infinitesimale, la chimica, la merceologia industriale, le lingue occidentali, ma non capiva i bottegai del bazar musulmano, che a loro volta non capivano il despota orientale che si dava le arie dell'ingegnere petrolifero. (Enzo Bettiza)
  • Certamente, come tutti i sovrani, anche Mohammad Reza Pahlavi può aver commesso degli errori, ma l'uomo che è senza difetti e peccati me lo faccia sapere. Non possiamo non riconoscere le virtù di un uomo capace di dialogare e di far fiorire l'economia. (Ramin Bahrami)
  • Era indubbiamente quello che io chiamerei un sovrano illuminato. Avrebbe certamente trovato posto nella galleria di quei personaggi che Voltaire considerava positivamente, come Federico il Grande, che non rientrava nell'abito stretto dei monarchi assoluti. Era una persona che teneva molto al suo Paese. Era fiero della posizione geopolitica che l'Iran occupava. Sembrava molto sicuro di sé, convinto che questo Paese avrebbe raggiunto un livello alto alla pari delle grandi democrazie occidentali sotto il profilo delle forze armate, della situazione politica, dello sviluppo sociale. (Umberto Vattani)
  • Era troppo tardi per lo scià, che ora raccoglieva i frutti di quello che aveva seminato nel corso del trentennio precedente: la repressione dei mezzi d'informazione, la tortura e l'assassinio degli intellettuali e di chi gli si opponeva, il pugno di ferro con cui aveva governato il paese. La gente era stufa della sua tirannia e non aveva alcuna fiducia nella restaurazione di una monarchia costituzionale. (Arash Hejazi)
  • Grazie alla grandezza dello Scià, l'Iran è un'isola di stabilità nel Medio Oriente. (Jimmy Carter)
  • Guardando indietro e riflettendo sul fatto che l'Occidente fece di tutto per far andare via lo Scià - soprattutto per sporchi interessi economici - penso che allora avessimo davvero tutto e non lo abbiamo capito. Per quel 5% di errori e di sbagli di cui è stato accusato, è stata cancellata un'epoca florida e condannato un popolo. (Ramin Bahrami)
  • Io non voglio che sia giustiziato all'estero. Io voglio che sia catturato e riportato in Iran e processato in pubblico per cinquant'anni di reati contro il popolo, inclusi i reati di tradimento e di furto. Furto di capitali. Se muore all'estero, quel denaro va perduto. Se lo processiamo qui, ce lo riprendiamo. No, no: io lo voglio qui. Qui! Lo voglio tanto che prego per la sua salute come l'ayatollah Modarres pregava per la salute dell'altro Pahlavi, il padre di questo Pahlavi che era fuggito anche lui portandosi dietro un mucchio di soldi. So che è malato. Me ne dispiace perché potrebbe morire di malattia. Guai se morisse di malattia e mentre sta all'estero. (Ruhollah Khomeyni)
  • Lo scià era stato un despota a tratti illuminato e innovatore, a tratti incline alla repressione e ignaro della rivolta che covava tra i sudditi. Aveva regnato trentasette anni e anche lui aveva fatto la sua Rivoluzione bianca. In particolare una riforma agraria che non aveva colpito troppo i latifondisti. A restituirgli il trono travolto da un'insurrezione popolare, nel 1953, era stata la Cia. Non gli erano poi mancati gli ossequi di mezzo mondo. Ossequi di un'intensità proporzionata alla produzione petrolifera della Persia. Persia era il nome che lo scià preferiva per il suo paese. Lo voleva storicamente collegato all'epoca preislamica. La protezione della superpotenza americana gli era garantita. Migliaia di esperti militari venuti dagli Stati Uniti erano la prova concreta che per questi ultimi la Persia di Pahlevi era il migliore alleato nella regione, insieme a Israele. L'idea di poter essere scalzato dai religiosi non l'aveva forse mai sfiorato. Lui aveva seguito le orme del padre, umiliandoli in più occasioni. (Bernardo Valli)
  • Lo Scià era un burattino degli Usa. Era estraneo, aveva un contatto superficiale con noi. (Kader Abdolah)
  • Lo scià ha distrutto la cultura, l'economia e l'agricoltura. Noi demoliremo il sistema da lui messo in piedi. (Ruhollah Khomeyni)
  • Lo sciainscià si arma perché ha grandi piani: occupare l'Iraq e il Golfo Persico nonché sbarrare la via ad una evetuale invasione proveniente dal Caucaso o dal Mar Caspio. Non è forse il successore degli illustri imperatori dell'Impero Pesiano, di cui ha recentemente festeggiato i duemilacinquecento anni di vita con una spesa colossale?! Lo scià dell'Iran conduce una vita favolosa come al tempo di Harun El Rascid, mentre il popolo iraniano soffre come al tempo della schiavitù. (Enver Hoxha)
  • Malgrado tre ore di domande e risposte l'uomo restava un mistero. Era idiota, ad esempio, o intelligente? Probabilmente è come Bhutto, un personaggio dove i contrasti più paradossali si fondono per regalare alla tua ricerca un enigma. Crede ai sogni premonitori, ad esempio, alle visioni, a un infantile misticismo, e poi discute sul petrolio come un esperto. (Lo è). Governa come un re assolutista, ad esempio, e poi si rivolge al popolo col tono di chi crede al popolo e lo ama: dirigendo una Rivoluzione Bianca che a quanto pare qualche sforzino lo fa per combattere l'analfabetismo e il sistema feudale. Ritiene che le donne vadano giudicate alla stregua di accessori graziosi, incapaci di pensare come un uomo e poi, in una società dove le donne portano ancora il velo, ordina addirittura alle ragazze di fare il servizio militare. Ma insomma che è questo Mohammad Reza Pahlavi che da trentadue anni siede solidamente sul trono più scottante del mondo? Appartiene all'epoca dei tappeti volanti o a quella dei computer? È un residuo del profeta Maometto o un accessorio dei pozzi di Abadan? Io non l'ho capito. (Oriana Fallaci)
  • Mi ritorna di riflesso in mente l'atmosfera d'insoddisfazione e di protesta che serpeggiava per la capitale iraniana negli ultimi giorni del potere, ormai scalfito e usurato, di Shahanshah Aryamehr Mohammad Reza Pahlavi. Pure lui, con il suo realismo ingegneristico e poliziesco, come dopo di lui gli ayatollah e i pasdaran, pensava che la forza d'urto e di ricatto del petrolio avrebbe potuto sanare i molti mali del regno che la politica, da sola, non riusciva a risolvere. Pure lui appariva in ritardo sulle esigenze e le aspettative di costituzionalità, di modernità democratica, che gl'indirizzavano i ceti istruiti ed evoluti di una società mediorientale tutt'altro che primitiva. Riteneva di poter mettere le cose a posto con una megalomaniaca e stonata combinazione di elementi disparati, a cui concorrevano, sul piano ideologico, il pugno di ferro di un kemalismo di riporto, poi sul piano d'immagine un classicismo anch'esso di riporto, imperniato in funzione antireligiosa sul mito di Ciro il Grande, infine sul piano della potenza una polizia segreta spietata e un esercito alimentato dai ricavi del petrolio. (Enzo Bettiza)
  • Non si imbarazzò affatto a parlare dell'Italia. Bisogna ricordare che in quel dato periodo avevamo il Presidente Aldo Moro prigioniero delle Brigate Rosse. Ricordo che lui manifestò il massimo stupore per la vicenda, dicendo che non era pensabile che un Paese come il nostro non fosse in grado di frenare dei terroristi, sbaragliarli e fare in modo che ci fosse un ordine pubblico ben attuato. Si disse basito nell'apprendere che una personalità politica di tale importanza, il capo della Democrazia Cristiana, potesse essere sequestrata in quel modo, fosse in prigionia da tanto tempo, senza che noi sapessimo in quale luogo si trovasse. Insomma ci sentimmo fare una specie di lezione su come andrebbe governato uno Stato, su come le forze armate e quelle di polizia dovrebbero fare il proprio lavoro. (Umberto Vattani)
  • Per molti aspetti Moham­med Reza appartiene di diritto alla piccola cerchia di quegli uomini di Stato che cercarono di rinnovare secondo modelli occidentali i costumi politici e civili delle società musulmane: Mohammed Ali, fondatore dell'Egitto moderno, il padre Reza, fondatore dell'ultima dinastia iraniana, il grande Kemal Ata­türk, creatore della Turchia moderna, e per certi aspetti persino Saddam Hussein, dittatore dell'Iraq sino alla guerra americana del 2003.
    Ma non aveva, a differenza del padre e di Kemal, la tempra del combattente, il rigore strategico, lo stile puritano del potere. Amava lo sfarzo della corte, le uniformi sgargianti, le villeggiature a Saint Moritz e le stravaganti feste imperiali con cui celebrò nel 1971 l'improbabile discendenza dello Stato iraniano da quello di Dario e di Ciro. (Sergio Romano)
  • Quando c'era lo Scià funzionava tutto molto bene, il Paese era molto aperto. Lo Scià era un mio grande amico, abbiamo lavorato moltissimo insieme, con le industrie italiane abbiamo fatto grandi cose in Iran. (Vittorio Emanuele di Savoia)
  • Se lo Scià di Persia fosse stato un buon democratico, ovvero un uomo che ama e rispetta il suo popolo, avrebbe evitato al suo Paese la drammatica esperienza della Repubblica islamica. (Tahar Ben Jelloun)
  • Spendere cento milioni di dollari come fece lui per celebrare se stesso a Persepolis quale discendente di Ciro il Grande la dice lunga sull’uomo. (Gian Antonio Stella)
  • Un bandito e figlio di bandito, che gli americani hanno fatto rientrare in Iran in aereo dall'esilio, dopo aver represso con i dollari e con i suoi agenti la rivolta di Mossadegh e soffocato nel sangue il movimento Tudeh! Questo tiranno oggi opprime senza pietà il popolo iraniano e gli succhia il sangue. In questo paese grandi masse non hanno lavoro, non hanno niente né da mangiare né da vestirsi, non hanno una capanna in cui ripararsi (senza parlare poi delle zone distrutte dai terremoti) mentre lo scià in persona e la sua cerchia intascano ogni anno miliardi di dollari! (Enver Hoxha)
  • Un monarca che si richiamava a Ciro il Grande, ossia all'epoca preislamica, e che pensava di essere sotto la tutela della superpotenza americana. (Bernardo Valli)
  • Credo che la grande debolezza dello Scià fu legata alla sua personalità, a una mancanza di fiducia in se stesso. Quando il Paese fu attraversato da diverse crisi, non riuscì a gestirle: nel 1963, nel 1964 durante la crisi iniziale prima della Rivoluzione Bianca e infine ovviamente alla fine del 1978 durante l'inizio della Rivoluzione islamica. Ma definire lo Scià come un 'cliente' è troppo. Ritengo che fondamentalmente fu più forte dagli anni Settanta in poi, con l'aumento del prezzo del petrolio. Quella fu veramente la sua prova più grande, alla fine del 1973, quando assunse il controllo delle risorse petrolifere iraniane in una maniera piuttosto drammatica, mandando sostanzialmente le economie occidentali sotto shock, in una situazione di recessione. Dal 1973, lo Scià fu in una posizione di comando, in una posizione di assoluto potere; gli americani, in termini di rapporti, vedevano sempre più lo Scià come un partner, non come un cliente. Credo che siano stati i suoi nemici a screditarlo in questo modo.
  • Quando lo Scià orchestrò l'aumento del prezzo del petrolio alla fine del 1973, trasformò completamente la natura dei rapporti con i suoi alleati occidentali. Fece il suo ingresso nel club, entrò a far parte di diritto di questo club di potenze emergenti estremamente ricche. Credo che quello fosse il momento opportuno in cui lo Scià, al massimo del potere, avrebbe potuto e dovuto iniziare un processo di democratizzazione sistematica del sistema politico. Lo Scià, proseguendo l'opera di suo padre, aveva continuato il processo di educazione di massa del Paese. Non vi erano mai stati tanti investimenti nel campo dell'istruzione universitaria e secondaria generale. Si stava formando una popolazione giovane e istruita, nella quale in tanti desideravano essere anche politicamente attivi, e non venne data loro l'opportunità di esserlo. Invece lo Scià si mosse in una direzione molto più autocratica di quanto perfino i suoi successori si aspettassero. Anche se consideriamo che avesse le migliori intenzioni per ottenere i suoi obbiettivi, è anche vero che molte politiche vennero ottenute utilizzando metodi che non sarebbero stati considerati accettabili in nessun Paese occidentale; praticamente, abusò dei diritti umani in vari modi. Quindi, in quel periodo, invece di muoversi verso una situazione di maggior democrazia e rispetto per i diritti umani, in realtà utilizzò questo suo immenso potere per limitare la libertà politica ed esercitare pressioni sugli oppositori, quelli che considerava i 'neri' e i 'rossi', ovvero i reazionari e i comunisti, questi due gruppi essenzialmente. Non ci sono dubbi che perse un'occasione facendo una serie di errori molto gravi a quel tempo.
  • Uno dei problemi [...] è che gli Stati Uniti e il Regno Unito, più di ogni altra potenza occidentale, credevano nella figura dello Scià più di quanto lo Scià stesso credesse in se stesso, per così dire. Iniziarono a vederlo come colui che veramente era padrone del proprio destino. Quindi lo trattarono come un 'giocatore alla pari' e di conseguenza le loro politiche furono mal interpretate, se così possiamo dire. Non gestirono queste politiche nel modo migliore possibile, sopravvalutarono il potere dello Scià, la durata del regime, ma soprattutto sopravvalutarono la sua stessa capacità di gestire la crisi politica. In un certo senso, credevano in questa immagine del 'Shahanshah/Re dei Re'.
 
Lo Scià durante il matrimonio con Soraya
  • Come può sapere con certezza se la sua nuova moglie gli darà un figlio? Eppure, non posso biasimarlo. Sarebbe ingiusto. Lo Scià è vittima di rigide tradizioni.
  • L'Imperatore è entrato nel mio cuore e non ne uscirà mai, anche se si sposasse e se mi dimenticasse, anche se smettesse di mandarmi i suoi fiori o se mi privasse dell'assegno mensile che mi ha concesso. Nulla potrà farmelo dimenticare, anche se finalmente avesse un erede. Io l'ho amato come fanciulla, come donna, come essere umano, e l'amerò sempre.
  • La decisione di divorziare non mi ha colto di sorpresa. L'aspettavo da sei mesi. Ma ho sempre sperato che Dio facesse comprendere allo Scià che l'amore è più importante di un trono.
  • Lo amavo e continuerò ad amarlo. Forse, se avesse potuto agire di propria iniziativa, lo Scià avrebbe dato la preferenza a me e non al trono. Le vere cause della nostra infelicità sono i suoi consiglieri e sua madre. Hanno continuato a dirgli che nell'interesse dello Stato deve avere un erede, hanno insistito fino a quando egli ha dovuto cedere.
  • Lo Scià non sa che cosa sia l'amore e ama soltanto il trono di Persia.
  • Non posso dire che Mohammed Reza fosse dotato di un gran senso dell'umorismo. Giudicava gli altri con estrema perspicacia ma non sopportava la minima critica. Abituato ai complimenti dei cortigiani, suscettibile come tutti gli iraniani, di fronte a un giudizio negativo si rannuvolava, stringeva la labbra e richiudeva gli occhi a una fessura, a volte spaventando i suoi familiari stessi e persino la principessa Ashraf, che pure amava tenergli testa.
  • Nonostante il primo matrimonio, nonostante le numerose avventure avute prima di conoscermi, Mohammed Reza era eccessivamente timido con le donne. Allevato con estremo rigore nelle scuole militari, abituato alla disciplina, consapevole delle sue responsabilità al sovrano, non amava rivelare i suoi sentimenti e ancor meno dire parole d'amore. Il suo pudore gliele rendeva difficili. Solo i suoi occhi scurissimi e brillanti, ora severi, ora tristi, ora dolci, erano pieni di fascino e riflettevano la sua anima.
    Solo quelli parlavano.
  • Per la prima volta in vita mia, mi ero innamorata. Non come l'eroina di un film o la protagonista di un romanzo, ma come un essere umano che scopre, insieme, la passione e il senso della responsabilità. Fra lo scià e me si era stabilito immediatamente un forte legame. Senza che ci fossimo scambiati confidenze essenziali, avevamo sentito passare fra noi una corrente di fiducia e di tenerezza. Nella vita che intendeva dividere con me, lo scià mi aveva offerto, fin dal primo sguardo, molti punti di riferimento: la sua timidezza, da cui s'intuiva un romanticismo che mi incantava, poiché ero molto giovane, un'eleganza innata e la sua perfetta educazione, arricchite da una vasta cultura, la sua impazienza che lusingava il mio orgoglio ancora quasi infantile. Fra tutte le ragazze che la corte gli aveva proposto non aveva forse scelto me vedendo una semplice fotografia?
    Me, Soraya Esfandiary Bakhtiary.
  • Quando ero bambina, lo scià era un aeroplano blu che sorvolava il cielo di Isfahan.
    «Guarda là... in alto!» mi dicevano le amiche prendendomi per un braccio. «Lassù c'è il nostro re.»
    Scrutavo il cielo socchiudendo gli occhi.
    Lo scià era anche la grande festa che si era tenuta il giorno del suo matrimonio con la principessa Fawzia: tutta la città illuminata, la cameriera che mi teneva per mano, i fuochi d'artificio, la folla in delirio, le ovazioni... e, naturalmente, le pecore sgozzate.
  • Quando lo Scià mi telefonò per dirmi che un divorzio era inevitabile, la sua voce era spezzata dai singhiozzi. Non ebbi la forza di ascoltarlo, la sua disperazione era straziante, attaccai il ricevitore.
  • «Sua Altissima Maestà lo scià!» annuncia all'improvviso un servitore.
    Tutti si alzano.
    Compare lo scià, in uniforme da parata di generale dell'esercito. Lo trovo imponente, magnifico, splendido.
    Sono magnetizzata. È affascinante.
    Chams si sbaglia, lo scià è bello e sa sorridere. Ha un fisico ben proporzionato. È giovane. Ha l'età delle responsabilità e una bellissima uniforme.
    Sì, lo confesso, per me è stato un colpo di fulmine.
  • Che lo Scià oggi distribuisca le terre della corona, che egli lottizza e concede a condizioni estremamente convenienti alle famiglie dei coltivatori, alle comunità dei villaggi, alle embrionali cooperative, non è un provvedimento che gli valga indulgenza presso i reduci. Non li commuove la dilazione dei pagamenti, né il tasso di interesse praticamente irrilevante, né l'assistenza prestata ai contadini, né il fatto stesso della liquidazione del patrimonio terrierio dello Scià, il quale in proprio possedeva una volta più di duemila villaggi comprendenti delle venti alle cinquanta famiglie ciascuno: «Sono terre e villaggi che suo padre aveva rubati, e lui fa bene a restituirli, ma non fa niente più del giusto, redistribuendoli.»
  • Gli sfoghi dello Scià, quando conversa con amici che egli stima, o con illustri visitatori occidentali, o con alcuni diplomatici cui dà la sua fiducia, sono larghi e sinceri. Parlando apertamente, nel discorso egli mette molta passione, fin quasi ad essere violento; ma ci si trova pure un pizzico d'angoscia, un desiderio forse disperato di ottenere comprensione, ed un accento di estremo appello che non manca, per chi abbia orecchio, di riuscire patetico. Egli espone difatti la condizione del suo Paese con una chiarezza così lucida che può fare pensare ad una forma di cinismo o crudeltà; e che invece è coraggio.
  • Lo Scià difatti è il più volenteroso dei governanti del Medio Oriente, il meglio intenzionato, ma anche il più incatenato alle palle di piombo della tradizione e dei costumi locali, e il più impigliato nel groviglio delle sue involontarie contraddizioni personali, che sono le stesse, d'altra parte, che tormentano il re del Nepal, Mahendra, coraggioso riformatore anche lui; che angustiano il presidente delle Filippine, Macapagal, il premier indiano Nehru, e tanti e tanti altri capi di Stato depressi in tutto il mondo, fino al presidente del Venezuela, Betancourt, e a quello deposto pochi giorni fa in Brasile, Joao Goulart.
  • Mossadeq si era fidato dell'appoggio sovietico ed aveva cercato sostegno presso i comunisti del Paese; lo Scià ha tolto di mezzo i comunisti e vorrebbe potersi fidare dell'appoggio occidentale.
  • Uno dei problemi che più tormentano lo Scià, è l'atteggiamento degli studenti, che sono quasi tutti contro di lui. Nell'Università di Teheran riesce quasi impossibile condurre a termine regolarmente un corso annuale di lezioni; anche adesso, difatti, vi si tengono sessioni di esame, ma l'insegnamento è saltuario. Le autorità di polizia non credono opportuno che troppi giovani si aggruppino, sia pure nella sede universitaria; turbolenti per natura, forti del numero in cui si trovassero adunati e quindi più facilmente eccitabili, probabilmente si lascerebbero andare a dimostrazioni di protesta politica.
  • Agli occhi dell'iraniano medio, la Grande Civiltà, ossia la Rivoluzione dello Scià e del Popolo, si configura soprattutto come una Grande Rapina praticata dall'élite. Chiunque ha il potere ruba. Chi occupa una carica e non ruba si fa il vuoto intorno, viene sospettato di essere una spia mandata a scoprire quanto rubino gli altri, per poi riferirlo al nemico, avido di informazioni del genere.
  • È difficile farsi un'idea del fiume di soldi che affluisce nelle casse dello scià, della sua famiglia e di tutta l'élite cortigiana. I parenti dello scià intascano tangenti dai tre ai quattro miliardi di dollari, ma il grosso del capitale si trova nelle banche estere. Primi ministri e generali prendono bustarelle dai venti ai cinquanta milioni di dollari. Per le cariche inferiori le tangenti sono più modeste, ma non per questo inesistenti, anzi. Con l'aumento dei prezzi aumentano anche le tangenti: la gente si lamenta di dover sacrificare una parte sempre maggiore dei propri guadagni al moloch della corruzione.
  • Il sovrano adorava leggere libri che trattavano di lui e sfogliare gli album pubblicati in suo onore. Amava molto anche presenziare all'inaugurazione di statue e ritratti che lo raffiguravano. Non bisognava cercarli lontano. Bastava fermarsi a caso in un posto qualsiasi e guardarsi intorno: lo scià appariva dappertutto.
  • La vera passione, l'hobby della sua vita è l'esercito. Una passione e un hobby non del tutto disinteressati. L'esercito è sempre stato il principale e poi anche l'unico sostegno del trono. Una volta dissolto l'esercito, lo scià smette di esistere.
  • Un iraniano in patria non può leggere i libri dei suoi migliori scrittori (che vengono stampati solo all'estero), non può vedere i film dei suoi migliori registi (proibiti nel paese), non può ascoltare la voce dei suoi intellettuali (condannati al silenzio). Lo scià lascia i sudditi liberi di scegliere tra Savak e mullah, e quelli ovviamene scelgono i mullah.
    Quando si parla della caduta di una dittatura (e il regime dello scià è stato una dittatura particolarmente brutale ed efferata) c'è poco da illudersi che con essa svanisca di colpo, come un brutto sogno, anche l'intero sistema. Finisce di esistere fisicamente, ma le sue conseguenze psicologiche e sociali permangono per anni, sopravvivendo in comportamenti inconsapevoli. Una dittatura che annienta intellighenzia e cultura laica dietro di sé terre incolte, dove l'albero del pensiero faticherà molto a rinascere.
  • Credo che l'Iran, negli ultimi anni dello Scià, si comportò, o desiderava comportarsi, come il 'poliziotto' dell'area del Golfo.
  • Credo che lo Scià abbia ignorato il fatto che il suo Paese sia molto religioso e che le persone siano devote all'Islam. La storia dell'Iran si fonda su due pilastri. Uno è l'Islam, l'eredità del profeta Maometto, nel loro caso l'eredità dell'Imam Ali; va detto che gli iraniani sono molto devoti all'Islam e gli sciiti sono solitamente molto più devoti rispetto ai sunniti. L'altro pilastro è la monarchia o nazionalismo iraniano. Ciò che possiamo vedere nelle politiche dello Scià, se guardiamo ai risultati, è che da un lato lo Scià non ebbe la possibilità di ignorare, o non fu in grado di diminuire, il potere della religione. D'altro canto, potrei dire lo stesso della Rivoluzione islamica, che non poté ignorare il potere del nazionalismo e del patriottismo iraniano, che erano in contrasto con la filosofia che tutti i musulmani sono un'unica nazione. Questi sono i due elementi: Islam e nazionalismo.
  • Sostanzialmente, dal punto di vista delle ambizioni e della visione dello Scià, riuscì a proteggere gli interessi nazionali iraniani. Non so cosa potrebbe essere detto degli aspetti negative delle politiche dello Scià, tranne il fatto che nelle questioni di politica interna fu un sovrano assoluto, che decise e condusse autonomamente le politiche in qualsiasi situazione. Credo che per quanto riguarda i rapporti con l'estero, non si possa davvero dire molto sugli aspetti negativi, ma quando si parla di questioni interne, come la religione e le donne, forse si potrebbe dire qualche parola in più.
  • Il padre pensava che la modernità potesse arrivare in Iran se avesse limitato il ruolo del clero; il figlio, che temeva il comunismo, pensava che l'unico modo per assicurare la propria sopravvivenza era dare più potere al clero. Questo finì per essere la sua rovina.
  • Io penso che lo Scià amasse l'Iran, che volesse il meglio per il proprio Paese, e raggiunse molti risultati. Ma penso anche che abbia avuto il grande difetto di essere convinto di sapere meglio di chiunque altro cosa fosse il bene per l'Iran, in relazione all'economia, alla sfera politica e culturale.
  • Non ero un sostenitore dello Scià quando era al potere, ma il modo in cui lo trattarono fu davvero vergognoso; lo Scià non era stato peggio di altri dittatori come Idi Amin, per esempio, o Marcos. A queste persone venne permesso di vivere in pace, venne dato un posto sicuro dove vivere, mentre lo Scià venne trasformato in una sorta di paria, costretto a spostarsi da un Paese all'altro, con la paura di essere arrestato.
  • Proprio quando l'Iran necessitava di un po' più di democrazia, diventò più autoritario. E al primo segno di crisi, perse il coraggio, perse la capacità di prendere decisioni sagge e approfondite. Quando era forte, ruggiva come un leone; al primo segno di crisi, diventava debole come un gattino.
 
Lo scià con Richard Nixon nel 1973
  • Considerai lo scià uomo intelligente, dignitoso, calmo e non troppo sicuro di sé. Era, tuttavia, buon ascoltatore e dimostrava profonda conoscenza dei problemi del suo paese e del mondo attorno a lui.
  • I sovietici hanno invaso l'Afghanistan, cosa che probabilmente non avrebbero osato fare le lo scià fosse stato ancora sul trono, alleato degli Stati Uniti e con un esercito formidabile sotto la sua autorità.
  • L'Iran ha perso un capo valido. Il mondo ha perso uno di quei leader che, lunghi dall'essere ottusi, capiscono meglio di altri, anche appartenenti a importanti paesi, quali sono le grandi forze che muovono il mondo. Quando l'ho rivisto nel Messico lo scià mi ha fornito, dietro mia richiesta, una valutazione degli sviluppi in URSS, Cina, India, Medio Oriente, Africa e America latina, parlando per un'ora. La sua conoscenza era enciclopedica, la sua saggezza acuta.
  • Lo scià fu duro con se stesso, ammettendo la propria parte di errori. Ma aveva tentato disperatamente di fare il meglio. Aveva ancora grande affetto e stima per gli Stati Uniti. Gli riusciva tuttavia difficile capire la politica del governo americano verso di lui. Nonostante lo sviluppo economico raggiunto dall'Iran sotto il suo regno e il lento ma certo movimento verso una maggiore democrazia, gli Stati Uniti, in privato e in pubblico, lo avevano spinto a dare di più. Egli si era sforzato di accontentarli. Ma, ripensandoci, ora ha la sensazione di avere voluto fare forse troppo e troppo presto, economicamente e politicamente. Più il popolo otteneva, più voleva.
  • Oltre a rifiutarsi di partecipare agli embarghi petroliferi arabi del 1967 e del 1973, lo scià aveva continuato a riconoscere Israele e a rifornire di petrolio la nostra flotta nel Mediterraneo. Aveva pure impedito all'Irak di avere una parte significativa nella guerra del Kippur, inviando truppe al confine iracheno e aiutando segretamente le forze ribelli curde. Durante quella guerra l'Iran fu il solo paese della zona a proibire ai sovietici di sorvolare il proprio territorio; inviò anche celermente petrolio a una portaerei americana nell'Oceano Indiano per mantenerla in attività. Quando fu chiesto ai nostri alleati di spedire armi al Vietnam del Sud prima che gli accordi di Parigi lo proibissero, lo scià si privò di apparecchi F-5 per favorirci.
  • Siamo diventati amici. L'ho visto crescere in potenza e saggezza. Negli Anni Sessanta, quando non avevo alcuna carica, feci quattro viaggi a Teheran per vederlo. A quel tempo era maturato, diventato un leader mondiale di primo rango. E, cosa ancor più importante ed eccitante, aveva attuato una rivoluzione. In meno di un ventennio aveva portato l'Iran nel secolo ventesimo.
 
Farah Pahlavi e lo scià durante il loro matrimonio nel 1959
  • Credo che a Dio debba essere piaciuto di averlo portato via prima che potesse vedere la nazione iraniana in quello stato e soprattutto l'attacco di Hussein contro l'Iran.
  • Mio marito e io credevamo sinceramente che il cambiamento richiedeva qualche trasformazione culturale. In questo, fummo ispirati ed aiutati da molti iraniani che credevano nel cambiamento sociale e che avevano una conoscenza profonda della nostra cultura. Non è un caso che quelli, come certi mullah che erano contrari allo sviluppo, sono anche virulentemente contrari all'arte, alla bellezza e alla felicità.
  • Mio marito innescò la riforma agraria per porre fine al sistema feudale; diritti uguali per le donne; i diritti per gli operai, e la nazionalizzazione delle foreste e delle forniture idriche. L'istruzione, gli ospedali, le biblioteche, l'economia e l'industria: Volevamo creare progresso. I religiosi, ovviamente, come l'Ayatollah Khomeyni, erano contrari a tutto ciò.
  • Molti parlano tuttora di mio marito. Mi dà energia e coraggio il fatto che gli iraniani per strada, sia qui a Parigi che negli Stati Uniti, mi baciano e mi abbracciano spontaneamente, specialmente i giovani; persone nate dopo che fummo costretti a partire. Tramite internet e la televisione, sanno com'era l'Iran a quell'epoca. Sanno cosa avrebbe potuto essere oggi, e incolpano i loro genitori per ciò che successe.
  • Non dimenticherò mai le lacrime negli occhi dello scià il giorno in cui lasciammo l'Iran. In quella pista deserta e nell'aereo, il mio solo pensiero era se fosse l'ultima volta o se saremmo mai tornati.
  • Non potevamo crederci che, dopo tutto quello che lo scià fece per il paese, sarebbe stato rimpiazzato con qualcuno come Khomeyni.
  • Penso che, come politico, si fosse reso conto che i leader perseguivano i loro interessi politici e che avrebbero gradito molto stabilire relazioni con l'imminente regime in Iran. Per anni mi sono sempre chiesto, come poterono restare in silenzio tutti quelli che all'epoca scrivevano sul tema dei diritti umani, dopo tutti gli avvenimenti disumani verificatisi in Iran negli ultimi anni? Non fu un caso che la caduta dello scià portò ad un Iran nel quale gli Iraniani non avevano più diritti umani.
  • Lo Scià era un visionario, sapeva dove andava il mondo e ricordo che sottolineava l'importanza della Cina e dell'India. Aveva previsto che se un giorno l'Iran avesse avuto problemi, non ci sarebbero state gravi ripercussioni solo per il nostro Paese, ma per l'intera regione. Così avvenne.
  • Guardi, mio padre è oggi popolare in Iran come non lo è mai stato finché fu al potere o in vita.
  • Mio padre non era un tiranno, nel senso che non credeva nel dispotismo, e voleva portare l'Iran verso la democrazia. Non penso che fosse isolato dalla gente, o che non conoscesse la realtà del suo paese. Certo, ha commesso degli errori, il più grave è stato quello di svolgere un ruolo politicamente attivo, che istituzionalmente non gli spettava.
  • Mio padre seppe portare l'Iran all'avanguardia nella regione e tra gli attori della scena internazionale. Ma troppo tardi capì l'importanza della partecipazione popolare.
  • Non dimentichi che mio padre agiva in un mondo diverso da quello di oggi, un mondo diviso in blocchi: la contrapposizione est-ovest fece porre in secondo piano in molte parti del mondo i valori della democrazia e dei diritti umani.
  • Non era perfetto, mio padre, ma era un nazionalista, amava l'Iran, e credo che sia più popolare oggi, nel suo paese, di quando lo lasciò.
  • Sono orgoglioso dei risultati di mio padre e mio nonno, penso che abbiano portato l'Iran fuori dall'oscurità alla modernità.
  • Sotto di lui il paese compì grandi balzi in avanti, ma le riforme politiche non arrivarono a tempo.
  • Io però penso che amo lo scià. È stato scelto da Dio. Sì, è verissimo. È più persona che me l'ha detto; Dio e la mia maestra.
  • Mio zio è stato in prigione sotto il regime dello scià, ma è il nuovo regime che ha ordinato la sua esecuzione. Dite che non ci sono più prigionieri politici, ma dai tremila sotto lo scià siamo passati a trecentomila con voi. Come osa mentirci in questo modo!
  • Sì, il padre dello scià è stato molto duro. Ha perfino messo in prigione tuo nonno. Ma il figlio fu anche peggiore.
  • Il decennio che seguì la partenza dello Scià fu un periodo di indicibili sofferenze per il popolo iraniano. In quel periodo più di un milione di persone fu ucciso in operazioni di guerriglia urbana, da plotoni di esecuzione, in prigione sotto tortura e, soprattutto, durante gli otto anni della guerra Iran-Iraq. Questo significa che ogni ora di governo dei mullah costò la vita di almeno dieci iraniani. In circa 38 anni di regno dello Scià, furono giustiziate in tutto 312 persone – molte delle quali per omicidio. Nel decennio che seguì alla caduta dello Scià il numero degli iraniani giustiziati dal nuovo regime salì a più di 12.000 secondo Amnesty International. Nello stesso periodo il numero dei prigionieri politici, che sotto lo Scià non aveva mai superato i 4000, salì a più di 55.000 secondo le stime più basse.
  • La caduta dello Scià era, in un certo senso, il preludio a più di un decennio di instabilità nella regione, culminante nell'invasione irachena del Kuwait e nel successivo massacro dei curdi e degli sciiti in Mesopotamia. Potrebbero volerci molti più anni all'Iran e alla sua regione prima che le ripercussioni scatenate dalla caduta dello Scià siano completamente riassorbite.
  • Lo Scià definì la modernizzazione dell'Iran come il principale obiettivo della sua vita, eppure rifiutava categoricamente di vedere che non ci poteva essere nessuna vera modernizzazione senza democrazia. Spesso accennava alla sua istruzione svizzera come parte delle sue credenziali di democratico profondamente impegnato, ma, allo stesso tempo, era convinto che l'Iran non fosse ancora maturo per la democrazia, e che fosse suo dovere come «padre della nazione» salvare gli iraniani da una vita indolente fatta di preghiera, pellegrinaggio, piccolo commercio, agricoltura arretrata, e artigianato a domicilio. Voleva inoltre trasformare l'Iran in un secondo Giappone, facendone una delle cinque o sei grandi potenze mondiali alla fine del secolo. Considerava se stesso come il custode della grandezza e della libertà dell'Iran, e negli ultimi anni estese la sua autoproclamata missione di salvare l'Iran fino a includere il mondo intero.
  • La visione dello Scià della forma ideale di governo non era molto lontana da quella di Mossadeq. In quel modello ideale un solo uomo, il re, primo ministro o Pishva [Führer] avrebbe agito come il guardiano dei più alti interessi della nazione. Il Pishva, poiché ama il suo popolo, non avrebbe mai potuto fare nulla che potesse essere dannoso per il popolo e il paese. Avrebbe potuto sacrificare gli interessi dei pochi a beneficio di molti. Ma non avrebbe mai nuociuto "al popolo" o "alla nazione" nel suo complesso. La versione di Mossadeq dello stesso modello immaginava un ruolo per le masse, per i gruppi politici – ma non per i partiti politici – e le associazioni religiose, la cui funzione era di sostenere il Pishva lottando contro i suoi avversari e facendolo sentire amato e stimato. Nel modello dello Scià, le decisioni del Pishva dovevano essere eseguite esclusivamente attraverso la burocrazia, con le forze armate sempre pronte a schiacciare qualsiasi opposizione. Tutto ciò che restava da fare "alla nazione" era di applaudire il Pishva e farlo sentir bene. Mossadeq e lo Scià avanzavano esattamente la stessa argomentazione in difesa dei loro rispettivi modelli: l'essere l'Iran costantemente preda dell'appetito diabolico delle rapaci potenze straniere, l'influenza degli ajnabi (stranieri), moltiplicando i centri di potere politico, avrebbe permesso agli ajnabi di infiltrarsi nelle strutture della nazione. Nessuno dei due poteva immaginare una situazione in cui diversi settori della società iraniana avrebbero potuto, per ragioni proprie, opporsi al Leader. Non potevano concepire una qualsiasi circostanza in cui un movimento d'opposizione avrebbe potuto emergere senza il sostegno o l'intrigo straniero.
  • Lo Scià non aveva mai voluto che il popolo iraniano votasse per lui. Egli credeva che era dov'era grazie alla volontà divina – e, grazie al reddito del petrolio, aveva poco bisogno degli iraniani per finanziare il suo governo.
  • Lo Scià stesso non era a suo agio nel ruolo del martire. La sua personalità favoriva gli atti di eroismo. Voleva essere un vincitore, come lo era stato nei tornei sportivi scolastici a Lucerna. La sua formazione europea gli impediva di capire la psicologia del suo proprio popolo. Non sapeva che i persiani istintivamente sospettavano e detestavano il forte, il vincitore e l'eroe. Obbedirono a Reza Scià ma non lo amarono mai: ora amavano Mohammad Reza Scià, ma non volevano obbedirgli. La repulsione quasi patologica che lo Scià aveva per ciò che considerava «sporca politica» gli impediva di capire la necessità – per non dire la legittimità – di blandire almeno in parte i pregiudizi popolari.
  • Mohammad Reza doveva essere il primo Scià dell'Iran in forse mille anni a non conoscere una lingua turca. Fu anche il primo a parlare correntemente in una lingua occidentale.
  • Più di un decennio dopo la morte dello Scià, non è più necessario essere pro o contro di lui su tutti i temi. Come si potrebbe essere pro o contro tutto ciò che successe durante un regno di quasi trentotto anni? Come potevano gli iraniani non sostenerlo quando ha combattuto per l'Azerbaigian o quando diede l'assenso reale alla legge che nazionalizzò il petrolio dell'Iran? Come si potrebbe essere contrari al principio della riforma agraria o all'elevazione della condizione delle donne? E non meritava appoggio quando ha combattuto per un sistema più equo di produzione e di determinazione del prezzo del petrolio, che lui chiamò «una sostanza nobile»? Ma come si poteva sostenerlo quando chiuse tutte le porte alla discussione e al dibattito, e spinse di fatto molti iraniani intelligenti e patriottici nelle braccia dei mullah reazionari? E come si poteva approvare l'illimitata ingerenza della polizia segreta SAVAK in quasi tutti gli aspetti della vita, soprattutto negli anni settanta? Infine, ma non meno importante, sarebbe difficile capire, tanto meno giustificare, la sua convinzione quasi patologica che solo le grandi potenze fossero capaci di proteggere o di destabilizzare il suo regime.
  • L'ambizioso progetto dello Scià di ammodernare l'Iran facendo leva sugli ingenti proventi del petrolio ha certamente ottenuto dei risultati positivi: consistente diminuzione dell'analfabetismo, aumento sensibile nel reddito medio annuo pro capite, abolizione del rapporto feudale fra i contadini ed i proprietari delle terre. Il prezzo pagato è stato però troppo alto sul piano sociale, per lo sconvolgimento provocato dal tentativo di innestare un eccesso di sviluppo in una situazione che era pur sempre, sostanzialmente, di sottosviluppo.
  • Per un quarto di secolo l'esercizio d'un potere sempre più personale, gli ingenti proventi del petrolio, la posizione di favore goduta presso gli Stati Uniti, come pilastro del sistema occidentale nella cerniera tra Oceano Indiano e Medio Oriente, tutto questo ha tolto al second Pahlavi una visione realistica delle forze che contavano nell'Iran: quelle suscitate dalla sua stessa «rivoluzione bianca», quelle nazionalistiche e quelle tradizionali religiose.
  • Resta intanto a merito dello Scià l'aver tentato di rompere la crosta millenaria che soffocava la società persiana, incanalando il Paese lungo linee di sviluppo relativamente equilibrate. In questo senso il regime autoritario del sovrano si può rassomigliare al dispotismo illuminato dei monarchi europei del Settecento, che imponevano dall'alto le riforme ritenute indispensabili per il progresso.
  1. a b Citato in L'Imperatore si annoia, La Stampa, 3 febbraio 1949
  2. Citato in Vittorio Gorresio, Lo Scià vorrebbe fare un po' di «rivoluzione» in Persia, La Stampa, 28 settembre 1957
  3. a b c Citato in Lo Scià con voce commossa dice d'amare ancora Soraya, La Stampa, 21 marzo 1958
  4. a b Citato in Vittorio Gorresio, Ricchezze naturali e uno Scià "riformitore" non bastano a sollevare l'Iran dalla miseria, La Stampa, 17 aprile 1964
  5. a b c (EN) Citato in Minutes of Conversation between the Shah and Nicolae Ceaușescu, Teheran, 3 settembre 1969, History and Public Policy Program Digital Archive, ANIC, Foreign Relations, Central Committee of the Romanian Communist Party. Obtained and translated for CWIHP by Roham Alvandi and Eliza Gheorghe and included in CWIHP Working Paper, "The Shah's Petro-Diplomacy with Ceaușescu."
  6. a b c (EN) Citato in Gérard de Villiers, The Imperial Shah: An Informal Biography, Weidenfeld & Nicholson, 1975.
  7. (EN) Citato in Asadollah Alam, p. 65.
  8. (EN) Citato in Asadollah Alam, p. 169.
  9. (EN) Citato in Asadollah Alam, p. 202.
  10. Citato in "Ciro, gran re, re dei re", La Stampa, 13 ottobre 1971.
  11. (EN) Citato in Asadollah Alam, p. 233.
  12. (EN) Citato in Asadollah Alam, p. 236.
  13. (EN) Citato in Asadollah Alam, p. 237.
  14. (EN) Citato in Asadollah Alam, p. 254.
  15. (EN) Citato in Asadollah Alam, p. 262.
  16. (EN) Citato in Asadollah Alam, p. 281.
  17. (EN) Citato in Asadollah Alam, p. 330.
  18. (EN) Citato in Asadollah Alam, p. 360.
  19. (EN) Citato in Asadollah Alam, p. 391.
  20. (EN) Citato in Asadollah Alam, p. 474.
  21. (EN) Citato in Asadollah Alam, p. 490.
  22. In riferimento alla perdita del Bangladesh durante la guerra di liberazione bengalese
  23. In riferimento allo stato d'emergenza dichiarato da Indira Gandhi
  24. (EN) Citato in Asadollah Alam, p. 506.
  25. (EN) Citato in Asadollah Alam, p. 508.
  26. (EN) Citato in Asadollah Alam, p. 535.
  27. (EN) Citato in Asadollah Alam, p. 552.
  28. Citato in Richard Nixon, Leaders, traduzione di Tullio Ciarrapico, Ciarrapico editore, 1984, p. 384, ISBN 88-7518-039-3
  29. Citato in Lo Scià: ho sbagliato a non usare la forza per restare al potere, La Stampa, 28 maggio 1980.
  30. a b c Citato in Lo Scià gravissimo Sadat: «Preghiamo», La Stampa, 29 giugno 1980

Bibliografia

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  • (EN) Asadollah Alam, The Shah and I: The Confidential Diary of Iran's Royal Court, 1968-77, I.B. Tauris, 1991. ISBN 1845113721
  • Mohammad Reza Pahlavi, Missione per il mio Paese, traduzione di Augusto Marcell, Rizzoli, 1961.
  • Mohammad Reza Pahlavi, L'Iran che ho costruito, Dino Editori S.P.A., 1979.
  • Mohammad Reza Pahlavi, Risposta alla storia, traduzione di Maria Gallone, Adriana Crespi Bortolini e Ada Traversi, Editoriale Nuova, 1979.

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