Nguyễn Văn Thiệu

generale, politico e dittatore vietnamita

Nguyễn Văn Thiệu (1923 – 2001), generale e politico vietnamita.

Nguyễn Văn Thiệu nel 1966

Citazioni di Nguyễn Văn Thiệu modifica

  • Non esistono prigionieri politici nel Sudvietnam.[1]

Discorso sugli accordi di pace di Parigi

da Il Vietnam per ora rimane diviso in due, La Stampa, 24 gennaio 1973

  • Non riconosceremo mai due governi paralleli nel Sud Vietnam.
  • Il Vietnam rimarrà diviso in due parti e sarà riunificato con mezzi pacifici. I comunisti sono costretti a riconoscere due Vietnam. Il Vietnam del Nord rispetterà la sovranità o l'indipendenza del Vietnam del Sud. I comunisti sono costretti a riconoscere che nel Vietnam del Sud vi è un governo legale. Non vi sarà un governo bipartito.
  • Non dovremo riporre molta fiducia nella firma dei comunisti. I comunisti devono avere inghiottito un boccone amaro firmando questo accordo di pace. Noi e soltanto noi abbiamo la capacità di mantenere la pace. Nessun corpo internazionale, quale che sia la sua efficacia, può effettivamente controllare il mantenimento della pace nel Vietnam.
  • Per noi questo è soltanto un armistizio.

Dall'intervista di Oriana Fallaci

in Intervista con la storia, Rizzoli, Milano, 1974.

  • [Su Ngô Đình Diệm] Mi avevan promesso di non ammazzarlo. Io gli avevo detto: va bene, partecipo alla condizione che non sia ammazzato. Invece lo ammazzarono, quegli idioti. Quegli irresponsabili, pazzi. Mi dette un dolore che sta ancora qui, tra la testa e il cuore. Ogni anniversario della sua morte fo dire una Messa, qui nella mia cappella. E prego sempre per lui, per la sua anima.
  • Quando si manda avanti un paese, guai a tenere rancori.
  • [Sugli accordi di pace di Parigi] Io sostengo che accettare un esercito di 300.000 soldati in un paese significa riconoscere la sovranità di tale esercito su quel paese. Significa considerare i nordvietnamiti come liberatori anziché come aggressori. E di conseguenza significa considerare l'esercito sudvietnamita come un esercito mercenario degli americani. Insomma, rivoltar la frittata.
  • Tutti mi chiedono la stessa cosa: «Signor presidente, se lei è così forte da un punto di vista militare e politico, di che si preoccupa?». Glielo spiego io di che mi preoccupo. Non è mica difficile, per un nordvietnamita, imparare l'accento del Sud e passare da sudvietnamita. Sono vietnamiti anche loro. Tra noi non sono mica riconoscibili come gli americani. Quel trucchetto non l'hanno già fatto nel Laos coi Pathet Lao?
  • Che razza di pace è una pace che dà ai nordvietnamiti il diritto di tener qui le loro truppe?! Che razza di trattato è un trattato che legalizza la loro presenza de facto?
  • Non bisogna prender sul serio ciò che Pham Van Dong dice nelle interviste e nella sua propaganda. Lui ripete che i nordvietnamiti non vogliono un governo comunista nel Sud Vietnam, non vogliono un bagno di sangue nel Sud Vietnam, non vogliono il possesso nel Sud Vietnam: ma lo ripete solo per calmare gli americani che temono il bagno di sangue.
  • Quando tratti coi comunisti, non devi fissare una data di scadenza. Non devi dirgli che vuoi rimpatriare i prigionieri il più presto possibile e concluder la pace il più presto possibile: sennò se ne approfittano. [...] È uno sbaglio madornale perché loro conoscono la mentalità occidentale, la democrazia occidentale, e così ti ricattano. Loro sanno benissimo che se il presidente degli Stati Uniti fissa una data di scadenza, tutto il Congresso gli sta addosso ed esige che mantenga la promessa. E cosa riescono a dimostrare? Che il presidente Nixon è incapace di portare la pace entro la data fissata da lui stesso.
  • Nord o Sud, siamo tutti vietnamiti e io conosco i vietnamiti un po' più degli americani. Nel 1968, quando la Conferenza per la pace si aprì a Parigi, molti chiedevano: «Signor Thieu, quando crede che la Conferenza si concluderà?» E io rispondevo: «Vous savez... Se i comunisti accettano di negoziare, vuol dire che hanno bisogno di negoziare. Non che vogliono la pace. Ciò che vogliono è la sospensione dei bombardamenti per prender respiro e lanciare un'altra offensiva. Approfittando di questa pausa, tenteranno di infliggerci un'altra Dien Bien Phu». Più o meno quel che fecero durante la Conferenza di Ginevra nel 1954. A Ginevra non facevan che perdere tempo e giocavano lo stesso che hanno giocato per quattr'anni a Parigi. Ma quando vinsero a Dien Bien Phu diventaron subito svelti e conclusero. Se non ci fosse stata Dien Bien Phu, la Conferenza di Ginevra sarebbe durata fino a oggi.
  • I francesi ci abbandonarono nel 1954 e, in seguito a ciò, mezzo Vietnam cadde nelle mani dei comunisti. Se gli Stati Uniti ripetono ciò che fecero i francesi, anche l'altro mezzo Vietnam farà la stessa fine.
  • Se l'America ci abbandona, per noi è la fine. La fine completa, assoluta, e discuterne ancora non serve. Ricorda il Tibet? Nessuno intervenne, nel Tibet, nemmeno le Nazioni Unite, e ora il Tibet è comunista.
  • Io non amo certo la guerra. Essere costretto a farla non mi dà nessuna allegria. Quindi i bombardamenti di Hanoi non mi fanno bere champagne, così come non mi fanno bere champagne i razzi su Saigon. Ma, francamente, e dal momento che questa guerra esiste, bisogna farla.
  • Mademoiselle, la guerra è una malattia. A nessuno piace, ma quando ci casca addosso, bisogna risolverla velocemente. Senza gradualismo. Il gradualismo del presidente Johnson era insostenibile. Egli non realizzò mai questa semplice verità: la guerra si fa o non si fa. E il gradualismo che gli americani hanno seguito dopo Johnson è stato lo stesso.
  • Il comunismo non va bene pei vietnamiti. Sono troppo individualisti, e io le assicuro che solo pochi milioni su venti milioni sono comunisti, al Nord.
  • Se firmiamo la pace domani, cosa avremo vinto nel Sud Vietnam? Glielo dico io cosa. L'inflazione, centinaia di migliaia di morti, Dio sa quante città distrutte, un milione di profughi, un milione di soldati da pagare ogni mese... Sopportare la guerra in casa propria significa già aver perso la guerra, anche se la vittoria vien scritta nero sul bianco in un armistizio.
  • Non abbiamo vinto nulla, nulla. Abbiamo perso per scambiare la nostra sconfitta con un trattato di pace.
  • Questa guerra durerà fino al giorno che Giap vorrà, cioè fino a quando egli vorrà imporcela.
  • I miei soli nemici sono i comunisti quando vogliono portare il comunismo qui. A casa loro possono tenerlo quanto gli pare.
  • Penso che sia stato un buon generale ma nient'affatto il Napoleone asiatico che lui crede d'essere. La grandezza di Giap è stata inventata dalla stampa francese dopo Dien Bien Phu. E Dien Bien Phu resta la sua unica grande vittoria, sebbene non sia stata la vittoria straordinaria che egli sostiene e che i francesi hanno sempre sostenuto sui loro giornali. Da un punto di vista militare, Dien Bien Phu fu una battaglia facile per Giap. I francesi, a Dien Bien Phu, non avevan più nulla: né gli aeroplani, né i carri armati, né l'artiglieria. Giap non ebbe che da usare la marea umana e la tattica delle divisioni sempre fresche. Siamo onesti: a Dien Bien Phu cosa persero, in fondo, i francesi? Neanche un decimo del loro esercito. Qualsiasi generale francese che si trovava allora in Indocina le racconterà che l'esercito francese non era affatto sconfitto del tutto: se avessero ricevuto rinforzi da Parigi, avrebbero potuto difendere perfino il Vietnam del Nord. La guerra non fu persa dai francesi a Dien Bien Phu e grazie a Giap. La guerra fu persa a Dien Bien Phu perché era già stata perduta in Francia politicamente, psicologicamente, moralmente.
  • Mi fanno una gran pena, i neutralisti, perché si prestano al gioco dei comunisti. Che ingenui. Credono di fare la politica e si lasciano menare pel naso dai comunisti. Tanto varrebbe che raggiunsero le unità vietcong e ci combattessero con le armi. Li rispetterei molto di più.
  • La democrazia come ce l'hanno in America o come l'avete voi in Europa non può ancora esistere qui. Non siamo ancora pronti per essa. Non dimentichi che il Vietnam non ha mai conosciuto una vita democratica nel senso che dà lei a questa espressione. Fino al 1945 siamo stati una colonia francese. Fino al 1954 siamo stati dominati dai vietminh. Fino al 1963 siamo stati sotto il presidente Diem. Mi permetto dunque di affermare che la democrazia, qui, ha incominciato a esistere solo nel 1965, quando Thieu è diventato presidente.
  • Mi piace la responsabilità, più che il potere. Ecco perché dico che il potere non va mai diviso con altri. Ecco perché sono sempre io a decidere. Sempre!

Citazioni su Nguyễn Văn Thiệu modifica

Oriana Fallaci modifica

  • La sera andava a letto assai tardi. Fino alle due del mattino non dormiva mai. Addormentandosi lasciava la radio accesa, così la radio restava accesa anche mentre dormiva. Era così abituato a dormire con la radio accesa, anzi a distinguer nel sonno la musica delle parole, che quando la musica cessava e il notiziario incominciava lui apriva subito gli occhi e ascoltava con lucida mente. Non credessi con ciò, tuttavia, che non sapesse apprezzare la vita. A volte giocava a tennis, andava a cavallo, e tre o quattro volte la settimana si faceva proiettare un film. Storie sentimentali, western, judo e karaté. L'unica cosa che non aveva tempo di fare era leggere.
  • Niente in lui denunciava la diabolica astuzia grazie a cui è rimasto fino a oggi un tiranno protetto da un esercito di un milione di uomini e da un corpo di polizia che semina stragi.
  • Sembrava così piccolo, così perduto, così solo. Sembrava il simbolo stesso di un paese schiacciato, sfruttato, umiliato dagli interessi di chi fa e disfa il destino altrui come un balocco.

Nguyễn Cao Kỳ modifica

  • A volte mi chiedo se Theiu non sia comunista: tutto ciò che fa è talmente a vantaggio dei comunisti. Mi chiedo anche perché i comunisti abbiano sempre insistito tanto per vederlo cacciare. Con lui dentro il palazzo presidenziale, tutto sarebbe più facile per Giap. Più veloce.
  • È un grande attore. Il più grande attore che le capiterà mai di conoscere.
  • Lui non si attribuisce mai nessuna colpa. Butta sempre la colpa sugli altri: sui generali, sui soldati, sui politici, sugli americani, sul popolo, sulla stampa straniera che lo diffama. Su tutti fuorché su Thieu.
  • Nessuno lo ha mai preso sul serio nelle sue minacce di voler restare presidente. Ha troppa paura di morire. Non è mai stato pronto a morire. E io lo conosco troppo bene per immaginarlo in città il giorno in cui arriveranno i nordvietnamiti.
  • Per anni Thieu ha fatto ciò che voleva. Senza ascoltare nessuno fuorché se stesso. Prima non si curava dello squallore indecente in cui viveva il suo popolo. Ora non si cura nemmeno se il suo popolo vive o muore. Un vero dittatore.
  • Quando la guerra si avvicina, il primo impulso è quello di allontanarsi il più possibile. Ammenoché non ci si senta protetti dall'esercito. Dall'esercito di Thieu, invece, ci si sente abbandonati.

Note modifica

  1. Citato in Igor Man, I prigionieri di Thieu, La Stampa, 20 giugno 1973

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