Umberto Eco

semiologo, filosofo, scrittore, traduttore, accademico, bibliofilo, medievista (1932-2016)
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Umberto Eco (1932 – 2016), scrittore, filosofo e semiologo italiano.

Umberto Eco nel 2005

Citazioni di Umberto Eco

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  • Anzitutto, se alcuni giovani scrittori sono presi da esigenze di mercato questo non esclude che, se ci guardiamo in giro, esista il gruppo che fa la rivistina dove per vocazione si produce senza pretese di far cassa. Poi, negli anni Cinquanta in televisione la rubrica sui libri di Luigi Silori s'intitolava Decimo Migliaio, il che voleva dire che se un libro riusciva ad arrivare a diecimila copie era un successo al pari di Via col vento. Quindi chi faceva letteratura (ma anche pittura: il contemporaneo allora non veniva venduto certo per milioni di dollari) sapeva benissimo che non era da quella attività che avrebbe tratto da vivere. Ora, si metta nella situazione di uno scrittore che vede intorno a sé un mercato che può trasformare il suo prodotto in qualcosa che gli permette di vivere.[1]
  • Avere un nemico è importante non solo per definire la nostra identità ma anche per procurarci un ostacolo rispetto al quale misurare il nostro sistema di valori e mostrare, nell'affrontarlo, il valore nostro. Pertanto, quando il nemico non ci sia, occorre costruirlo.[2]
  • Chi controlla a Wikipedia non solo i testi ma anche le loro correzioni? O agisce una sorta di compensazione statistica, per cui una notizia falsa verrà prima o poi individuata?[3]
  • Col Grande Fratello di Orwell pochissimi spiavano tutti. Con quello televisivo, invece, tutti possono spiare pochissimi. Così che ci abitueremo a pensare al Grande Fratello come a qualcosa di molto democratico e sommamente piacevole.[4]
  • Cos'è la filosofia? Scusate il mio conservatorismo banale, ma non trovo ancora di meglio che la definizione che ne dà Aristotele nella Metafisica: è la risposta a un atto di meraviglia.[5][6]
  • Cosa è il leghismo se non la storia di un movimento che non legge?[7]
  • Del resto la fotocopia è uno strumento di estrema utilità, ma molte volte costituisce anche un alibi intellettuale: cioè uno, uscendo dalla biblioteca con un fascio di fotocopie, ha la certezza che non potrà di solito mai leggerle tutte, non potrà neanche poi ritrovarle perché incominciano a confondersi tra di loro, ma ha la sensazione di essersi impadronito del contenuto di quei libri. Prima della xerociviltà costui si faceva lunghe schede a mano in queste enormi sale di consultazione e qualcosa gli rimaneva in testa. Con la nevrosi da fotocopia c'è il rischio che si perdano giornate in biblioteca a fotocopiare libri che poi non vengono letti.[8]
  • Di qualsiasi cosa i mass media si stanno occupando oggi, l'università se ne è occupata venti anni fa e quello di cui si occupa oggi l'università sarà riportato dai mass media tra vent'anni. Frequentare bene l'università vuol dire avere vent'anni di vantaggio. È la stessa ragione per cui saper leggere allunga la vita. Chi non legge ha solo la sua vita, che, vi assicuro, è pochissimo. Invece noi quando moriremo ci ricorderemo di aver attraversato il Rubicone con Cesare, di aver combattuto a Waterloo con Napoleone, di aver viaggiato con Gulliver e incontrato nani e giganti. Un piccolo compenso per la mancanza di immortalità. Auguri.[9]
  • È bello qualcosa che, se fosse nostro, ci rallegrerebbe, ma che rimane tale anche se appartiene a qualcun altro.[10]
  • Ecco la vera tecnica della macchina del fango: riportare qualcosa di assolutamente vero ma in modo da sottintendere qualcosa di falso, e chi la vuol capire la capisca.[11]
  • Ecco, se dovessi tentare a ogni costo la proposta di una cartina di tornasole per un buon romanzo storico, direi che la nostra reazione dovrebbe essere: «Forse questo personaggio non è mai esistito, ma avrebbe meritato di esistere; esso ci permette di capire meglio, se vogliamo, quel periodo, ma ci consente anche di ignorarlo e di riflettere su noi stessi». Così il buon romanzo storico è scritto sempre al presente.[12]
  • Emendarsi di continuo è pratica raccomandabile, a cui spesso mi attengo – ai limiti della schizofrenia. Ma ci sono casi in cui non si deve far mostra di avere cambiato idea solo per dimostrare che si è à la page. Anche nel campo delle idee, non sempre la monogamia è necessariamente segno di un'assenza di libido.[13]
  • [Sull'ateo] [...] figura la cui psicologia mi sfugge, perché kantianamente non vedo come si possa non credere in Dio, e ritenere che non se ne possa provare l'esistenza, e poi credere fermamente all'inesistenza di Dio, ritenendo di poterla provare [...].[14]
  • Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.[15]
  • Ho sempre sostenuto che il progetto Erasmus ha non solo valore intellettuale, ma anche sessuale, o se volete genetico. Mi è capitato di conoscere molti studenti e studentesse che, dopo un certo periodo trascorso all'estero, si sono sposati con una studentessa o uno studente locale. Se la tendenza s'intensifica, visto che poi nascerebbero figli bilingui, in una trentina d'anni potremmo avere una classe dirigente europea almeno bilingue. E non sarebbe poco.[16]
  • [Sull'Esperanto] Ho studiato un po' tutte queste utopie sulla creazione della lingua perfetta o della lingua originaria, la lingua di Adamo, fino a quelle lingue che sono dette universali – come l'Esperanto, il Volapük e le altre –, che non ambiscono ad essere lingue "perfette", ma lingue "ausiliarie". E in questo caso ho persino studiato la grammatica dell'Esperanto per capire di cosa si trattasse. E sono arrivato a due conclusioni. È una lingua molto, molto ben fatta. Dal punto di vista linguistico, segue davvero criteri ammirevoli di economia ed efficienza. In secondo luogo, tutti i movimenti per le lingue internazionali hanno fallito, ma non quello per l'Esperanto, che ancora oggi riunisce una moltitudine di persone in tutto il mondo, perché dietro all'Esperanto vi è un'idea, un ideale. Voglio dire che Zamenhof non ha solo costruito un oggetto linguistico: dietro a questo vi era un'idea di fratellanza, un'idea pacifista, e la forza di questo ideale – per il quale l'Esperanto è stato anche perseguitato sotto il nazismo e lo stalinismo – riunisce ancora la comunità degli esperantisti. Non si può dire che abbia fallito. Ma una cosa deve essere detta. Il motivo per cui qualsiasi lingua ha successo è sempre indefinibile.[17]
  • I perdenti, come gli autodidatti, hanno sempre conoscenze più vaste dei vincenti, se vuoi vincere devi sapere una cosa sola e non perdere tempo a saperle tutte, il piacere dell'erudizione è riservato ai perdenti. Più cose uno sa, più le cose non gli sono andate per il verso giusto.[18]
  • Il che m'indurrebbe a riflettere su come, in questo universo globalizzato in cui pare che ormai tutti vedano gli stessi film e mangino lo stesso cibo, esistano ancora fratture abissali e incolmabili tra cultura e cultura. Come faranno mai a intendersi due popoli di cui uno ignora Totò?[19][20]
  • Il calcio è un rituale in cui i diseredati bruciano l'energia combattiva e la voglia di rivolta.[21]
  • Il cinema è un alto artificio che mira a costruire realtà alternative a spese di quella fattuale, che gli provvede solo il materiale grezzo.[22]
  • Il computer non è una macchina intelligente che aiuta le persone stupide, anzi, è una macchina stupida che funziona solo nelle mani delle persone intelligenti.[23]
  • Il fenomeno twitter permette a certa gente, in fondo, di essere in contatto con gli altri, benché abbia una natura leggermente onanistica ed escluda la gente da tanti contatti faccia a faccia. Crea però da un lato un fenomeno anche positivo, pensiamo a cose che succedono in Cina o a Erdogan in Turchia. È stato anche un movimento di opinioni. Qualcuno ha detto se ci fosse stato internet ai tempi di Hitler, i campi di sterminio non sarebbero stati possibili perché la notizia si sarebbe diffusa viralmente. Ma d'altro canto [...] dà diritto di parola a legioni di imbecilli, i quali prima parlavano solo al bar dopo due o tre bicchieri di rosso e quindi non danneggiavano la società. [...] Sono della gente che di solito veniva messa a tacere dai compagni [...] e che adesso invece ha lo stesso diritto di parola di un premio Nobel. [...] Credo che dopo un poco si crei una sindrome di scetticismo, la gente non crederà più a quello che gli dice Twitter. All'inizio è tutto un grande entusiasmo, a poco poco a poco dice: chi l'ha detto? Twitter. Allora tutte balle.[24]
  • Il grande problema della scuola oggi è insegnare ai giovani a filtrare le informazioni di Internet, cosa di cui non sono però capaci neppure i professori, perché sono neofiti in questo campo.[25]
  • Il paradiso dantesco è l'apoteosi del virtuale, degli immateriali, del puro software, senza il peso dello hardware terrestre e infernale, di cui rimangono i cascami nel purgatorio. Il Paradiso è più che moderno, può diventare, per il lettore che abbia dimenticato la storia, tremendamente futuribile. È il trionfo di una energia pura, ciò che la ragnatela del Web ci promette e non saprà mai darci, è una esaltazione di flussi, di corpi senz'organi, un poema fatto di novae e stelle nane, un Big Bang ininterrotto, un racconto le cui vicende corrono per la lunghezza di anni luce e, se proprio volete ricorrere a esempi familiari, una trionfale odissea nello spazio, a lietissimo fine. Se volete, leggete il Paradiso anche così, male non potrà farvi e sarà meglio di una discoteca stroboscopica e dell'ecstasy. Perché, quanto a estasi, la terza cantica mantiene le sue promesse.[26]
  • In politica l'appello alla volontà popolare ha soltanto valore legale ("Ho diritto a governare perché ho ricevuto più voti") ma non permette che da questo dato quantitativo si traggano conseguenze teoriche ed etiche ("Ho la maggioranza dei consensi e dunque sono il migliore").[27]
  • Io ho il diritto di scegliere la mia morte per il bene degli altri.[28]
  • L'ambiguità delle nostre lingue, la naturale imperfezione dei nostri idiomi, non rappresentano il morbo postbabelico dal quale l'umanità deve guarire, bensì la sola opportunità che Dio aveva dato ad Adamo, l'animale parlante. Capire i linguaggi umani, imperfetti e capaci nello stesso tempo di realizzare quella suprema imperfezione che chiamiamo poesia, rappresenta l'unica conclusione di ogni ricerca della perfezione.[29]
  • L'illusione democratica del museo fa sì che si cerchi di allargare a tutti i cittadini i diritti di cui godeva il collezionista privato. Di fatto invece il visitatore del museo non gode del possesso dell'opera, che non gli appartiene; ma l'assenza di questo sentimento mercantile non va a vantaggio di un piacere estetico e di una comprensione culturale realizzati in modo sereno e distaccato. L'opera gli appare ancora come simbolo di un valore estetico ed economico insieme, e gli si presenta accumulata con altre opere, come in una immensa raccolta di merci preziose. Il visitatore del museo diventa così un avaro senza ricchezze, un avido accumulatore che non possiede nulla [...]. La sua situazione è diversa da quella del cittadino greco o del popolano medievale che vivevano in una città popolata di opere d'arte. E l'esperienza artistica più vera gli rimane solo quando sa riconoscere l'arte che lo circonda nella città d'oggi, l'arte dei grattacieli o delle piazze, delle carrozzerie delle automobili o degli aeroporti.[30]
  • L'unico modo per riconoscere se un libro sui Templari è serio è controllare se finisce col 1314, data in cui il loro Gran Maestro viene bruciato sul rogo.[31]
  • La decadenza dei costumi non sta in ciò che fanno Lady D e l'amante, ma nel fatto che i lettori paghino per farselo raccontare.[32]
  • La dolorosa meraviglia che ci procura ogni rilettura dei grandi tragici è che i loro eroi, che avrebbero potuto sfuggire a un fato atroce, per debolezza o cecità non capiscono a cosa vanno incontro, e precipitano nell'abisso che si sono scavati con le proprie mani.[33]
  • La filosofia è sempre una forma di alto dilettantismo, in cui qualcuno, per tanto che abbia letto, parla sempre di cose su cui non si è preparato abbastanza.[6]
  • La paranoia della cospirazione universale non finirà mai e non puoi stanarla perché non sai mai cosa c'è dietro. È una tentazione psicologica della nostra specie. Berlusconi ha passato tutte le sue campagne elettorali a parlare di doppia cospirazione, dei giudici e dei comunisti. Non ci sono più comunisti in circolazione, nemmeno a cercarli col lanternino, eppure per Berlusconi stavano tentando di conquistare il potere...[34]
  • La più grande rivoluzione politica fatta in Italia nell'ultimo secolo, la marcia su Roma, è stata fatta con il suo capo e organizzatore nella cuccetta di un treno.[35]
  • La ripresa diretta non è mai una resa speculare dell'avvenimento che si svolge, ma sempre - se pur in certi casi in misura infinitesimale - una interpretazione di esso. Per riprendere un avvenimento il regista televisivo piazza le tre o più telecamere in modo che la disposizione gli consenta tre o più punti di vista complementari, sia che tutte le camere siano puntate nei limiti di uno stesso campo visuale, sia (come può avvenire in una corsa ciclistica) che siano dislocate in tre punti diversi, per seguire il movimento di un mobile qualsiasi. È vero che la disposizione delle telecamere è sempre condizionata da possibilità tecniche, ma non tanto da non permettere, già in questa fase preliminare, una certa scelta. (da Il caso e l'intreccio. L'esperienza televisiva e l'estetica[36])
  • [...] la scienza di quelle soluzioni che, se uno non si affretta a immaginarle per malvagità e malizia, saranno ben presto immaginate da qualcuno, e sul serio, e senza malizia [...] la cacopedia ha il fine, santamente ignobile, di porre freni all'immaginazione umana e di mandare a vuoto numerosi futuri concorsi a cattedre universitarie.[37]
  • La televisione di Stato è carismatica per eccellenza: il pubblico e i giornali rimangono sconvolti e affascinati da quello che avviene sulle tre reti nazionali, mentre da Berlusconi può avvenire qualsiasi cosa. Se Baudo sulla Rete Uno parla male del suo presidente, entra in crisi il sistema politico nazionale, ma Baudo da Berlusconi potrebbe bestemmiare in prima serata, e protesterebbe al massimo il prevosto della parrocchia all'angolo.[38]
  • Le opere letterarie ci invitano alla libertà dell'interpretazione, perché ci propongono un discorso dai molti piani di lettura e ci pongono di fronte alle ambiguità e del linguaggio e della vita.[39]
  • [George Orwell] Le pagine sulla tortura, sul sottile legame d'amore che lega il torturato al torturatore, le avevamo già lette da qualche altra parte, se non altro in Sade. L'idea che la vittima di un processo ideologico debba non solo confessare, ma pentirsi, convincersi del suo errore e amare sinceramente i suoi persecutori, identificarsi con essi (e che solo a quel punto valga la pena di ucciderla), Orwell ce la presenta come nuova, ma non è vero: è pratica costante di tutte le inquisizioni che si rispettino. Eppure ad un certo punto indignazione ed energia visionaria prendono la mano all'autore e lo fanno andare al di là della "letteratura", così che Orwell non scrive soltanto un'opera di narrativa, ma un cult book, un libro mitico. Le pagine sulla tortura di Winston Smith sono terribili, hanno una grandezza cultuale, appunto, e la figura del suo persecutore ci prende alla gola, perché anche costui abbiamo già conosciuto da qualche parte, sia pure travestito, e a qualche liturgia noi abbiamo già in qualche modo partecipato, e temiamo che improvvisamente il persecutore si riveli e ci appaia al fianco, o dietro, o davanti, e ci sorrida con infinita tenerezza.[40]
  • Le preoccupazioni della stampa europea non sono dovute a pietà e amore per l'Italia ma semplicemente al timore che l'Italia, come in un altro infausto passato, sia il laboratorio di esperimenti che potrebbero estendersi all'Europa intera.[41]
  • Lo scrittore deve mantenersi oggettivo, essere au dessus de la melée. Non c'è dunque da stupirsi se le società entrano in crisi, se oggi subiscono un'accelerazione i ritmi della crisi; importa rendersi conto che la crisi apre spazi che prima non esistevano. Quella del '68 fu troppo enfatizzata; si pensava alla rivoluzione come se fosse "un caffé solubile".[42]
  • [Alberto Moravia] Ma non è scomparso uno dei Grandi Vecchi del secolo. Moravia è stato sino alla fine un Grande Giovane... Non si è costruito l'immagine del vate, dell'eroe, del maledetto o del martire, come altri protagonisti letterari del secolo: si è presa la parte del borghese, raccontando il suo essere borghese, dal di dentro, con lucida e scettica vocazione di moralista. Un poco annoiato, appunto, esibendo qualche acciacco e improvvisi guizzi da scavezzacollo passionale, e molte sorprese quasi infantili di fronte alla varietà della vita. Alla quale annoiatissimo e con frequenti sbuffi di irritazione non si è mai sottratto, aspettando che fosse lei a prendere la decisione di lasciarlo. Cosa che deve avergli provocato l'ultimo moto di stizza.[43]
  • Ma poi mi rendo conto che il problema della Stupidità ha la stessa valenza metafisica del problema del Male, anzi di più: perché si può persino pensare (gnosticamente) che il male si annidi come possibilità rimossa del seno stesso della Divinità; ma la Divinità non può ospitare e concepire la Stupidità, e pertanto la sola presenza degli stupidi nel Cosmo potrebbe testimoniare della Morte di Dio.[44]
  • Mentre un saggio [...] tende ad arrivare a delle conclusioni, un romanzo mette in scena le contraddizioni.[45]
  • Mi dicono che «Linus» è letto (oltre che da Rettori Magnifici di Università, da fisici nucleari, da economisti e da studiosi di sanscrito) anche dai giovani, dai ragazzi. Ebbene, vorrei che anche i ragazzi sapessero che, con la morte di Vittorini, hanno perso un maestro e un amico. Vorrei che leggendo le storie di Charlie Brown sapessero che qualcuno, un giorno, aveva saputo stupirsi e riflettere anche su queste cose, perché tutto può diventare importante se visto con interesse e spirito critico, unito a una ilare e curiosa serenità.[46]
  • Noi usiamo continuamente la parola "bello" per dire "una bella bistecca", "una bella giornata", "una bella notte d'amore", "un bel bambino", e così via. Vedete quindi che ci troviamo in un intrico di problemi, come già sa chi studia estetica. Alla fine mi sono accorto che noi, per muoverci nel mondo, giochiamo su pochissimi aggettivi (bello, brutto, buono, cattivo) coi quali copriamo tutto. Proprio per questo, in filosofia, quando uno deve definire cos'è il buono, cos'è il male, cos'è il bello, ci passa la vita o i secoli![47]
  • Non aspettatevi [...] che io vi parli troppo de Il nome della rosa, perché io odio questo libro e spero che anche voi lo odiate. Di romanzi ne ho scritti sei, gli ultimi cinque sono naturalmente migliori ma, per la legge di Gresham, quello che rimane più famoso è sempre il primo.[48]
  • [Charles M. Schulz] Non beve, non fuma, non bestemmia.[49]
  • Non credo che Benedetto XVI sia un grande filosofo, né un grande teologo, anche se generalmente viene rappresentato come tale. Le sue polemiche, la sua lotta contro il relativismo sono, a mio avviso, semplicemente molto grossolane, nemmeno uno studente della scuola dell'obbligo le formulerebbe come lui. La sua formazione filosofica è estremamente debole.[50]
  • Ora, cos'è importante nel problema dell'accessibilità agli scaffali? È che uno dei malintesi che dominano la nozione di biblioteca è che si vada in biblioteca per cercare un libro di cui si conosce il titolo. In verità accade sovente di andare in biblioteca perché si vuole un libro di cui si conosce il titolo, ma la principale funzione della biblioteca, almeno la funzione della biblioteca di casa mia e di qualsiasi amico che possiamo andare a visitare, è di scoprire dei libri di cui non si sospettava l'esistenza, e che tuttavia si scoprono essere di estrema importanza per noi.[8]
  • [Sull'ispirazione] Parliamo un po' di come sono nati i miei romanzi, perché si è sovente oppressi dalla domanda giornalistica: "Come scrive?". Di solito rispondevo "Da sinistra a destra", ma poi mi sono accorto che, per esempio, in Israele non funzionava e quindi ho dovuto cercare una risposta un poco più articolata. I miei romanzi sono nati tutti da un'idea seminale ch'era poco più di un'immagine e che mi ha preso e mi ha fatto venir voglia di andare avanti.[48]
  • Pensa a una trasmissione come Drive in, al suo ritmo, alla quantità di cose che riesce a far vedere in due minuti e paragona due minuti di Drive in a due minuti della vecchia televisione. Un salto da fantascienza, no? Eppure a quanto pare la cosa non ha provocato traumi, noi siamo passati dal ritmo di valzer a quello di rock'n roll senza perdere nessuna memoria.[51]
  • Posso leggere la Bibbia, Omero o Dylan Dog per giorni e giorni senza annoiarmi.[52]
  • Prepararsi al domani vuole dire non solo capire come funziona oggi un programma elettronico ma concepire nuovi programmi. E accade che gli studi classici (compreso sapere che cosa aveva detto Omero, ma soprattutto la capacità di lavorare filologicamente su un testo omerico – e avere fatto bene filosofia e un poco di logica) sono quelli che ancora possono preparare a concepire i mestieri di domani.
    Certamente vorrei un classico concepito in modo più moderno di quello ideato nel secolo scorso da Gentile (che poco aveva compreso delle scienze), dove ci fosse un poco più di matematica, e naturalmente di lingue contemporanee oltre al greco (e forse si potrebbe superare la distinzione artificiosa tra classico e scientifico), ma chi ha avuto una buona educazione classica ha sempre trovato qualcosa da fare, anche se non era quello che tutti si aspettavano in quel momento.
    Solo chi ha il respiro culturale che può essere offerto da buoni studi classici è aperto all'ideazione, all'intuizione di come andranno le cose quando oggi non lo si sa ancora.
    In altre parole, vorrei dire che chi ha fatto buoni studi classici, se non è forse capace di fare bene i mestieri esistenti, è più aperto ai mestieri di domani e forse capace di idearne alcuni.[53]
  • Quand'anche Gesù fosse – per assurdo – un personaggio inventato dagli uomini, il fatto che abbia potuto essere immaginato da noi bipedi implumi, di per sé sarebbe altrettanto miracoloso (miracolosamente misterioso) del fatto che il figlio di un Dio si sia veramente incarnato. Questo mistero naturale e terreno non cesserebbe di turbare e ingentilire il cuore di chi non crede.[54]
  • [Pier Paolo Pasolini] Quando ho sentito la notizia alla radio ho avuto un primo moto di rimorso: mesi fa, a proposito del suo articolo sull'aborto, lo avevo attaccato con cosciente cattiveria, e lui se ne era molto risentito, contrattaccando (una sola battuta nel corso di un'intervista) con altrettanta cattiveria. E al saperlo morto ammazzato, così bruttamente, ho avuto un sentimento di colpa, come se quei segni sul suo corpo fossero le tracce di un lungo linciaggio, a cui anch'io avevo preso parte.[55]
  • Quando un personaggio genera un nome comune, ha infranto la barriera dell'immortalità ed è entrato nel mito: si è un Calimero, come si è un Don Giovanni, un Casanova, un Don Chisciotte, una Cenerentola.[56]
  • Quanto ci si deve fidare di Wikipedia, allora? Dico subito che io mi fido perché la uso con la tecnica dello studioso di professione [...] Ma io ho fatto l'esempio di uno studioso che ha imparato un poco come si lavora confrontando le fonti tra loro. E gli altri? Quelli che si fidano? I ragazzini che ricorrono a Wikipedia per i compiti scolastici? [...] da gran tempo io avevo consigliato, anche a gruppi di giovani, di costituire un centro di monitoraggio di Internet, con un comitato formato da esperti sicuri, materia per materia, in modo che i vari siti fossero recensiti (o in linea, o con una pubblicazione a stampa) e giudicati quanto ad attendibilità e completezza.[57]
  • [...] quindi Casablanca non è un film: è molti film, un'antologia. Fatto a casaccio, si è probabilmente fatto da solo, se non contro la volontà dei suoi autori ed attori, almeno al di là del loro controllo. Ed è per questo motivo che funziona, a dispetto delle teorie estetiche e sull'arte di girare film. Perché in esso si svela con forza quasi tellurica il potere della Narrativa stessa, senza che l'Arte intervenga a disciplinarla. (da Casablanca, or, the Clichés are having a ball)
  • Recentemente un discepolo pensoso (tale Critone) mi ha chiesto: "Maestro, come si può bene appressarsi alla morte?" Ho risposto che l'unico modo di prepararsi alla morte è convincersi che tutti gli altri siano dei coglioni.
    [...] cerca soltanto di pensare che, al momento in cui avverti che stai lasciando questa valle, tu abbia la certezza immarcescibile che il mondo (sei miliardi di esseri umani) sia pieno di coglioni, che coglioni siano quelli che stanno danzando in discoteca, coglioni gli scienziati che credono di aver risolto i misteri del cosmo, coglioni i politici che propongono la panacea per i nostri mali, coglioni coloro che riempiono pagine e pagine di insulsi pettegolezzi marginali, coglioni i produttori suicidi che distruggono il pianeta. Non saresti in quel momento felice, sollevato, soddisfatto di abandonare questa valle di coglioni?"
    Critone mi ha allora domandato: "Maestro, ma quando devo incominciare a pensare così?" Gli ho risposto che non lo si deve fare molto presto, perché qualcuno che a venti o anche trent'anni pensa che tutti siano dei coglioni è un coglione e non raggiungerà mai la saggezza. Bisogna incominciare pensando che tutti gli altri siano migliori di noi, poi evolvere poco a poco, avere i primi dubbi verso i quaranta, iniziare la revisione tra i cinquanta e i sessanta, e raggiungere la certezza mentre si marcia verso i cento, ma pronti a chiudere in pari non appena giunga il telegramma di convocazione.
    Convincersi che tutti gli altri che ci stanno attorno (sei miliardi) siano coglioni, è effetto di un'arte sottile e accorta, non è disposizione del primo Cebete con l'anellino all'orecchio (o al naso). Richiede studio e fatica. Non bisogna accelerare i tempi. Bisogna arrivarci dolcemente, giusto in tempo per morire serenamente. Ma il giorno prima occorre ancora pensare che qualcuno, che amiamo e ammiriamo, proprio coglione non sia. La saggezza consiste nel riconoscere proprio al momento giusto (non prima) che era coglione anche lui. Solo allora si può morire.
    [...] È naturale, è umano, è proprio della nostra specie rifiutare la persuasione che gli altri siano tutti indistintamente coglioni, altrimenti perché varrebbe la pena di vivere? Ma quando, alla fine, saprai, avrai compreso perché vale la pena (anzi, è splendido) morire.
    Critone mi ha allora detto: "Maestro, non vorrei prendere decisioni precipitose, ma nutro il sospetto che Lei sia un coglione". "Vedi", gli ho detto, "sei già sulla buona strada."[58]
  • Scrivere un libro senza preoccuparsi della sua sopravvivenza sarebbe da imbecilli.[59]
  • [Per le elezioni politiche del 1963] Se la Dc, per forza grammaticale, è donna, come è che una donna può piacere? Ma se è bella e giovane, e cioè se è scopabile [...] Dunque facciamo una Dc fanciulletta; naturale che dovrà essere una fanciulletta per bene col mazzolin di fiori; al postutto il messaggio si rivolge ai buoni cattolici. Ma al di sotto, l'allusione è sessuale, ovvero è fallocentrica, e non ci è sfuggito neppure l'ufficio propaganda del più sessuofobo partito d'Italia.[60]
  • Tradurre vuole dire capire il sistema interno di una lingua e la struttura di un testo dato in quella lingua, e costruire un doppio del sistema testuale che, sotto una certa descrizione, possa produrre effetti analoghi nel lettore, sia sul piano semantico e sintattico che su quello stilistico, metrico, fonosimbolico, e quanto agli effetti passionali a cui il testo fonte tendeva. "Sotto una certa descrizione" significa che ogni traduzione presenta dei margini di infedeltà rispetto a un nucleo di presunta fedeltà, ma la decisione circa la posizione del nucleo e l'ampiezza dei margini dipende dai fini che si pone il traduttore.[61]
  • Un esempio deteriore di impiego gratuito di stilemi ex-colti è dato dalla prosa del cronista sportivo Gianni Brera, che rappresenta un esempio di "gaddismo spiegato al popolo", là dove il "popolo" avrebbe bisogno solo di un linguaggio appropriato alla materia trattata.[62][63]
  • Una dose di vittimismo è indispensabile per non galvanizzare gli avversari. Grillo ha fatto una campagna da vincente, ma è riuscito a dare l'impressione che lo escludessero dalla tv e dovesse rifugiarsi nelle piazze – e così ha riempito i teleschermi prendendo le parti delle vittime del sistema. Ma sapevano piangere Togliatti, che presentava i lavoratori come tenuti fuori dalla stanza dei bottoni dalla reazione in agguato; Pannella che, lamentandosi sempre che i media ignorassero i radicali, riusciva a monopolizzare l'attenzione costante di giornali e televisioni; Berlusconi, che si è sempre presentato come perseguitato dai giornali, dai poteri forti e dalla magistratura, e quando era al potere si lamentava che non lo lasciassero lavorare e gli remassero contro. È dunque fondamentale il principio del "chiagne e fotti", ovvero, per non esprimerci in modo troppo volgare, quello del "keep a low profile", tieni sempre un "profilo basso".[64]
  • [Su Il malloppo di Marcello Marchesi] [...] una sorta di monologo ininterrotto fatto di battute fulminanti.[65]
  • Vedevo il volto di un uomo esposto alla gogna, spiato in ogni piega del labbro, esposto al ludibrio di milioni di spettatori. Questo tipo di gogna vale un ergastolo.[66]
  • Voglio [...] parlare della mia morte, e ammetterete che in questo caso ho qualche diritto all'esternazione.[67]
  • Wikipedia ha anche un'altra proprietà: chiunque può correggere una voce che ritiene sbagliata. Ho fatto la prova per la voce che mi riguarda: conteneva un dato biografico impreciso, l'ho corretto e da allora la voce non contiene più quell'errore. [...] La cosa non mi tranquillizza per nulla. Chiunque potrebbe domani intervenire ancora su questa voce e attribuirmi (per gusto della beffa, per cattiveria, per stupidità) il contrario di quello che ho detto o fatto.[3]

Da Sesamo apriti! Voglio uscire!

1984; in Stanisław Jerzy Lec, Pensieri spettinati (Myśli nieuczesane, 1957), traduzione di Riccardo Landau e Pietro Marchesani, Giunti/Bompiani, 2017, pp. 287-288.

  • [...] se dovessi andare nella solita isola deserta e potessi portarmi un solo libro da leggere e rileggere, e la scelta fosse tra Kraus e Lec, io sceglierei Lec. Apparentemente più brillante e paradossale, in realtà va più a fondo. Si presenta come critico dei costumi ma in effetti è un critico del fatto difficilmente giustificabile che ci sia dell'essere piuttosto che niente.
  • [...] Stanislaw J. Lec ha scritto altre cose, ma questo Pensieri spettinati ne ha segnato la fama. Perché è un libro di cui qualsiasi persona civile e pensosa dovrebbe leggere almeno tre o quattro righe ogni sera prima di prendere sonno (se potrà ancora).
  • [...] la vena satirica di Lec [...] parte da grandi profondità, non solo dalla vis ironica della cultura mitteleuroprea, ma dalla sapienza talmudica, e forse da prima ancora, è satira filosofica, metafisica, che colpisce non un singolo sistema politico ma (e scusate se l'espressione è un po' frusta) l'intera condizione umana.
  • [Su Pensieri spettinati] Potrei continuare a lungo, a occhio il volume contiene millecinquecento pensieri. Non tutti sono della stessa qualità, è naturale. Alcuni sono più lunghi e a prima vista non si capiscono bene. Segno che Lec non è un aforista facile, e i suoi pensieri non sono prefabbricati e buoni da usare subito. Alcuni, molti, vanno ripensati. In genere, non si lasciano pettinare così facilmente.

L'Espresso, 26 novembre 2010

  • Quali sono i libri che hanno formato la cultura sia di un francese che di un finlandese, e che ciascuno dovrebbe leggere? Certamente la cultura di ciascun occidentale è stata influenzata dalla Divina Commedia, da Shakespeare e, andando indietro, da Omero, Virgilio o Sofocle. Ma ne siamo stati influenzati perché li abbiamo letti?
  • In certe università americane si era risposto tempo fa con un gesto che, più che "politically correct" era "politically stupid": siccome abbiamo tanti studenti neri, si diceva, non dobbiamo più insegnare Shakespeare ma la letteratura africana. Bello scherzo giocato a quei ragazzi che poi avrebbero dovuto vivere negli Stati Uniti, ignorando cosa volesse dire "essere o non essere", e quindi rimanendo sempre ai margini della cultura dominante. Caso mai, come si suggerisce oggi per le ore di religione, i ragazzi dovrebbero venire a sapere qualcosa, oltre che del Vangelo, anche del Corano, o della tradizione buddista. E così non sarebbe male che alla media superiore, oltre che sentire parlare della civiltà greca, lo studente apprendesse qualcosa della grande civiltà letteraria araba, indiana o giapponese.
  • Arriveremo davvero a una educazione adatta al mondo della globalizzazione quando il 99 per cento degli europei colti ignora che per i georgiani uno dei poemi più grandi di tutta la storia letteraria è stato quello di Rustaveli, "L'uomo dalla pelle di pantera", e non ci siamo neppure messi d'accordo (controllate su Internet) se in quella lingua dall'alfabeto illeggibile si parlava di una pelle di pantera o non piuttosto di tigre o di leopardo? O continueremo a domandarci "Rustaveli, chi era costui?".

Attribuite

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  • Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto cinquemila anni: c'era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l'infinito... perché la lettura è un'immortalità all'indietro.
[Citazione errata] Diffusasi nei social network all'indomani della morte di Eco, la citazione appare falsa.[68] Un brano simile, nelle opere di Eco, è il seguente: «Non ce ne rendiamo conto, ma la nostra ricchezza rispetto all'analfabeta (o di chi, alfabeta, non legge) è che lui sta vivendo e vivrà solo la sua vita e noi ne abbiamo vissuto moltissime. Ricordiamo, insieme ai nostri giochi d'infanzia, quelli di Proust, abbiamo spasimato per il nostro amore ma anche per quello di Piramo e Tisbe, abbiamo assimilato qualcosa della saggezza di Solone, abbiamo rabbrividito per certe notti di vento a Sant'Elena e ci ripetiamo, insieme alla fiaba che ci ha raccontato la nonna, quella che aveva raccontato Sheherazade».[69]
  • La superstizione porta sfortuna.[70]
[Citazione errata] È in realtà una citazione di Raymond Smullyan. Eco la cita ne Il pendolo di Foucault.

A passo di gambero

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Questo libro raccoglie una serie di articoli e interventi scritti tra il 2000 e il 2005.

Il periodo è fatidico, si apre con le ansie per il nuovo millennio, esordisce con l'11 settembre, seguito dalle due guerre in Afghanistan e in Iraq, e in Italia vede l'ascesa al potere di Silvio Berlusconi.

Pertanto, lasciando cadere tanti altri contributi su svariati argomenti, ho voluto raccogliere solo gli scritti che si riferivano agli eventi politici e mediatici di questi sei anni. Il criterio di selezione mi è stato suggerito da uno degli ultimi pezzi della mia precedente raccolta di articoli (La bustina di Minerva), che s'intitolava "il trionfo della tecnologia leggera".

Citazioni

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  • Parliamo dunque di lavoro intellettuale per definire l'attività di chi lavora più con la mente che con le mani, e proprio per distinguere il lavoro intellettuale da quella che chiameremo funzione intellettuale. [...] La funzione intellettuale si svolge dunque per innovazione ma anche attraverso la critica del sapere o delle pratiche precedenti, e soprattutto attraverso la critica del proprio discorso. (Norberto Bobbio: la missione del dotto rivisitata: p. 63-64)
  • Gli intellettuali non risolvono le crisi, ma le creano. (Norberto Bobbio: la missione del dotto rivisitata: p. 68)
  • La lezione principale di Bobbio [...] è stata che l'intellettuale svolge la propria funzione critica e non propagandistica solo (o anzitutto) quando sa parlare contro la propria parte. (Norberto Bobbio: la missione del dotto rivisitata: p. 68)
  • Perché l'eredità fondamentale dell'illuminismo sta tutta qui: c'è un modo ragionevole di ragionare e, se si tengono i piedi per terra, tutti dovrebbero concordare su quello che diciamo, perché anche in filosofia bisogna dare retta al buon senso. [...] Il buon senso ci dice che ci sono casi in cui possiamo concordare tutti su come vadano le cose. (Illuminismo e senso comune: pp. 72-73)
  • Uno degli aspetti positivi della felix culpa è che, se Adamo non peccava, non avrebbe dovuto guadagnarsi il pane col sudore della fronte, e a gingillarsi tutto il giorno nell'Eden sarebbe rimasto uno zuzzurellone. Dal che emerge la provvidenzialità del Serpente. (Dal gioco al carnevale: p. 77)
  • Ma l'esibizionista (tale il suo dramma) non ci consente di ignorare la sua vergogna. (La perdita della privatezza: p. 89)
  • Ma democrazia è anche accettare una dose sopportabile di ingiustizia per evitare ingiustizie maggiori. (Che cos'è una scuola privata: p. 102)
  • Che cos'era la magia, che cosa è stata nei secoli e che cosa è ancora oggi, sia pure sotto mentite spoglie? La presunzione che i potesse passare di colpa da una causa a un effetto per cortocircuito, senza compiere i passi intermedi. [...] La magia ignora la catena lunga delle cause e degli effetti e soprattutto non si preoccupa di stabilire provando e riprovando se ci sia un rapporto replicabile fra causa ed effetto. [...] Il desiderio della simultaneità tra causa ed effetto si è trasferito alla tecnologia, che sembra la figlia naturale della scienza. (Scienza, tecnologia e magia: p. 105)
  • La mentalità magica vede solo un processo, il cortocircuito sempre trionfante tra la causa presunta e l'effetto sperato. (Scienza, tecnologia e magia: p. 107)
  • Appellarsi invece al popolo significa costruire un figmento: siccome il popolo in quanto tale non esiste, il populista è colui che si crea una immagine virtuale della volontà popolare. (Sul populismo mediatico: p. 125)
  • Quando il terrorismo perde, non solo non fa la rivoluzione ma agisce come elemento di conservazione, ovvero di rallentamento dei processi di cambiamento. (Ritorno agli anni settanta: p. 207)
  • La scuola deve insegnare ad analizzare e discutere i parametri su cui si reggono le nostre affermazioni passionali. (Guerre sante, passione e ragione: p. 221)
  • Tutti aspiriamo al meglio ma abbiamo imparato che talora il meglio è nemico del bene, e dunque negoziando si deve scegliere il meno peggio. (Negoziare in una società multietnica: p. 230)
  • Ogni cultura assimila elementi di culture vicine o lontane, ma poi si caratterizza per il modo in cui li fa propri. (Le radici dell'Europa: p. 246)

Come si fa una tesi di laurea

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Perché si deve fare una tesi e cos'è?

Una tesi di laurea è un elaborato dattiloscritto, di una lunghezza media variabile tra le cento e le quattrocento cartelle, in cui lo studente tratta un problema concernente l'indirizzo di studi in cui si vuol laureare. La tesi è, secondo la legge italiana, indispensabile per laurearsi. Quando ha dato tutti gli esami prescritti, lo studente presenta la tesi davanti a una commissione di laurea che ascolta il resoconto del relatore (il professore con cui "si fa" la tesi) e del o dei controrelatori, i quali muovono anche alcune obbiezioni al candidato; ne nasce una discussione alla quale prendono parte anche gli altri membri della commissione.

Citazioni

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  • Il bello di un procedimento scientifico è che esso non fa mai perdere tempo agli altri: anche lavorare sulla scia di una ipotesi scientifica per scoprire poi che bisogna confutarla significa avere fatto qualcosa di utile sotto l'impulso di una proposta precedente. (p. 42)
  • I libri si rispettano usandoli, non lasciandoli stare. (p. 139)

Dalla periferia dell'Impero

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  • L'olografia non è un giochetto: viene studiata e applicata dalla NASA per le esplorazioni spaziali, è utilizzata in medicina per ottenere rappresentazioni realistiche delle alterazioni anatomiche, serve alla cartografia aerea, a molte industrie per studiare processi fisici... Ma cominciano a usarla artisti che un tempo avrebbero forse fatto dell'iperrealismo, e dell'iperrealismo soddisfa le ambizioni più ambiziose. [...] L'olografia non poteva prosperare che in America, un paese ossessionato dal realismo dove, perché una rievocazione sia credibile, deve essere assolutamente iconica, copia rassomigliante, illusionisticamente "vera", della realtà rappresentata. (da Le fortezze della solitudine, Nel cuore dell'Impero: Viaggio nell'iperrealtà, pp. 13-14)
  • La Lyndon Johnoson Library è una Fortezza della Solitudine: camera delle meraviglie, esempio ingenuo di narrative-art, museo delle cere, caverna degli automi. E lascia capire come esista una costante dell'immaginazione e del gusto americano medio, per cui il passato deve essere conservato e celebrato in forma di copia assoluta, formato reale, scala uno a uno: una filosofia della immortalità come duplicazione. (da Le Fortezze della Solitudine, Nel cuore dell'Impero: Viaggio nell'iperrealtà, p. 16)
  • Le povere parole di cui è dotato il linguaggio naturale degli uomini non possono bastare a descrivere il Madonna Inn. Per renderne l'aspetto dall'esterno, distribuito in una serie di costruzioni a cui si accede passando per un distributore di benzina scolpito in roccia dolomitica, o il ristorante, i bar e la cafetteria, si possono tentare solo alcuni suggerimenti analogici. Diciamo che Piacentini, mentre sfogliava un libro di Gaudi, abbia ingerito una dose esagerata di LSD e si sia messo a costruire una catacomba nuziale per Liza Minnelli. Ma non rende l'idea. Diciamo, l'Arcimboldi che costruisca per Orietta Berti la Sagrada Familia. Oppure: Carmen Miranda che disegna un locale Tiffany per i motel Motta. Ancora, il Vittoriale immaginato da Ugo Fantozzi, le Città invisibili di Calvino descritte da Liala e realizzate da Eleanor Fini per la Fiera del Panno Lenci, la sonata in si bemolle minore di Chopin cantata da Claudio Villa su arrangiamento di Valentino Liberace ed eseguita dalla banda dei Pompieri di Viggiù. Ma non ci siamo ancora. (da I castelli incantati, Nel cuore dell'Impero: Viaggio nell'iperrealtà, pp. 34-35)
  • [...] la bassa Manhattan è un capolavoro di architettura viva, storta come la chiostra inferiore dei denti di Cowboy Kathy, grattacieli e cattedrali gotiche vi compongono quella che è stata definita la più grande jam session in pietra di tutta la storia dell'umanità. (da I castelli incantati, Nel cuore dell'Impero: Viaggio nell'iperrealtà, p. 39)
  • [...] il Vieux Carré non corrisponde affatto al quartiere dei divertimenti di una città americana, è piuttosto cugino germano di Montmartre. In questo lembo di Europa pre-tropicale esistono ancora ristoranti abitati da personaggi alla Via col Vento, dove i camerieri in marsina discutono con voi sulle variazioni subite dalla "sauce béarnaise" nell'impatto con le spezie locali, altri stranamente somiglianti a una "brasera" meneghina, che conoscono i misteri del bollito col bagnetto verde (disinvoltamente presentato come salsa creola). (da I castelli incantati, Nel cuore dell'Impero: Viaggio nell'iperrealtà, p. 40)
  • New Orleans non è presa dalla nevrosi di un passato negato, regala ricordi con la disinvoltura del gran signore, non ha bisogno di inseguire la "real thing".
    Altrove invece il desiderio spasmodico del Quasi Vero nasce solo come reazione nevrotica al vuoto dei ricordi, il Falso Assoluto è figlio della coscienza infelice del presente senza spessore. (da I castelli incantati, Nel cuore dell'Impero: Viaggio nell'iperrealtà, p. 41)
  • [...] nella costruzione della Fama Immortale ci vuole anzitutto una sfacciataggine cosmica. Ditemi chi sarebbe, senza la tomba omonima, Cecilia Metella. (da I monasteri della salvezza, Nel cuore dell'Impero: Viaggio nell'iperrealtà, p. 48)
  • Se l'America è quella del Guggenheim Museum o dei nuovi grattacieli di Manhattan, allora Disneyland è una eccezione curiosa e ben fanno gli intellettuali americani che si rifiutano di andarla a vedere. Ma se l'America è quella che abbiamo visto nel corso del nostro viaggio, allora Disneyland ne è la Cappella Sistina e gli iperrealisti delle gallerie sono solo dei timidi voyeurs di un immenso e continuo "oggetto trovato". (da La città degli automi, Nel cuore dell'Impero: Viaggio nell'iperrealtà, pp. 59-60)
  • Quali sono le zone di ipersensibilità della società italiana? Bisognerebbe proprio chiederselo, perché è lì che la battaglia andrebbe condotta. Ma noi non abbiamo avuto i Padri Pellegrini, e che un presidente del consiglio menta non scandalizza nessuno. Che un generale perda una guerra, dopo che abbiamo avuto Carlo Alberto, Persano e gli artefici di Caporetto, sembra quasi umano. Non ci scandalizzeremo nemmeno per qualche bustarella, una concussioncella, un pastrocchio valutario, una evasioncella fiscale. Siamo uomini, tutti abbiamo le nostre debolezze. E allora? Allora bisognerebbe chiedersi chi e che cosa riesca ancora a scandalizzare gli italiani, senza speranza di perdono. E la risposta è preoccupante. Nell'ordine sono: 1) il cornuto contento; 2) l'impotente beffato; 3) l'omosessuale non autorizzato (quindi sono esclusi gli artisti); 4) chi picchia i bambini; 5) chi non ama la mamma; 6) chi guadagna più di me. [...] Ma questo significa che nel nostro paese di Lucrezie Borgia che avvelenano, Maramaldi che tradiscono, Freda che bombardano, dove non ci si scandalizza né per il malgoverno né per la mafia, l'ultima battaglia per la libertà non dovrebbe essere combattuta rivelando le conversazioni segrete tra gli ammiragli e i ministri, ma filmando dietro un falso specchio un ammiraglio che si masturba bevendo champagne mentre il suo attendente nudo picchia la vecchia madre inferma. Il che, ammettiamolo, è un po' triste. (da L'uomo che morde troppo, Cronache dei regni vassalli, pp. 78-79)
  • La Chiesa cattolica apostolica romana è un organismo formatosi negli ultimi secoli dell'impero romano che ha trovato la sua definizione teologica, politica e organizzativa proprio nel Medioevo (e la Controriforma ne ha dato solo un puro adeguamento tattico alle esigenze del tempo). La Chiesa cattolica, quella buona, è quella di Pio XII. Tutti gli altri tentativi di modernizzazione non hanno nulla a che vedere col cattolicesimo, che è una cosa diversa. Sono eresie.
    Non si può giocare sui termini e confondere il cristianesimo col cattolicesimo. Il cattolicesimo è "un" cristianesimo. I cattolici che aspirano a un cristianesimo al passo coi tempi e vogliono un cattolicesimo purificato, sono dei dogmatici che identificano il cattolicesimo con l'unico cristianesimo possibile; e sono degli incontentabili perché vogliono essere cristiani e non perdere il cattolicesimo "storico". Una pretesa offensiva sia per il mondo contemporaneo che per la Chiesa. (da Paolo Sesto ritorna al sesto, Primi sintomi della morte degli dei, pp. 106-107)
  • [Su Casablanca] [...] portati a inventare una trama a braccio, gli autori ci hanno messo dentro tutto. E per mettere tutto sceglievano nel repertorio del già collaudato. Quando la scelta del già collaudato è limitata, si ha il film di maniera, di serie, o addirittura il Kitsch. Ma quando del già collaudato si mette proprio tutto, si ha una architettura come la Sagrada Familia di Gaudi. Si ha la vertigine, si sfiora la genialità. (da Casablanca o la rinascita degli dei, Primi sintomi della morte degli dei, p. 139)
  • [Su Casablanca] In tal modo Casablanca non è un film, è tanti film, una antologia. Fatto quasi per caso, probabilmente si è fatto da sé, se non contro almeno al di là della volontà dei suoi autori, e dei suoi attori. E per questo funziona, a dispetto delle teorie estetiche e delle teorie filmografiche. Perché in esso si dispiegano per forza quasi tellurica le Potenze della Narratività allo stato brado, senza che l'Arte intervenga a disciplinarle. (da Casablanca o la rinascita degli dei, Primi sintomi della morte degli dei, p. 142)
  • [Su Casablanca] Quando tutti gli archetipi irrompono senza decenza, si raggiungono profondità omeriche. Due cliché fanno ridere. Cento cliché commuovono. Perché si avverte oscuramente che i cliché stanno parlando tra loro e celebrano una festa di ritrovamento. Come il colmo del dolore incontra la voluttà e il colmo della perversione rasenta l'energia mistica, il colmo della banalità lascia intravvedere un sospetto di sublime. Qualcosa ha parlato al posto del regista. Il fenomeno è degno se non altro di venerazione. (da Casablanca o la rinascita degli dei, Primi sintomi della morte degli dei, pp. 142-143)
  • Qualcuno potrebbe obiettare che la società seminomade medievale era una società del viaggio insicuro; partire voleva dire far testamento (si pensi alla partenza del vecchio Anne Vercos nell'Annuncio fatto a Maria di Claudel, e viaggiare significava incontrare briganti, bande di vaganti, e fiere. Ma l'idea del viaggio moderno come un capolavoro di comfort e sicurezza è ormai naufragata da tempo, e salire su un jet passando attraverso i vari controlli elettronici e le perquisizioni contro il dirottamento restituisce pari pari l'antico sentimento di avventurosa insicurezza destinato presumibilmente ad aumentare. (da Il neonomadismo, Verso un nuovo Medioevo, pp. 200-201)
  • Gli eccessi formalistici e la tentazione antistorica dello strutturalismo sono gli stessi delle discussioni scolastiche, così come la tensione pragmatica e modificatrice dei rivoluzionari, che allora si chiamavano eretici tout court, deve (come doveva) appoggiarsi su furibonde diatribe teoriche e ogni sfumatura teorica coinvolgeva una prassi diversa. Persino le discussioni tra San Bernardo, fautore di un'arte senza immagini, tersa e rigorosa, e Suger, fautore della cattedrale sontuosa e pullulante di comunicazioni figurative, trovano riscontro, a vari livelli e in varie chiavi, nell'opposizione tra costruttivismo sovietico e realismo socialista, tra astrattisti e neobarocchi, tra teorici rigoristi della comunicazione concettuale e fautori macluhaniani del villaggio globale della comunicazione visiva. (da Le forme del pensiero, Verso un nuovo Medioevo, pp. 206-207)
  • Civiltà della visione il Medioevo, dove la cattedrale è il grande libro di pietra, e in effetti è il manifesto pubblicitario, lo schermo televisivo, il mistico fumetto che deve raccontare e spiegare tutto, i popoli della terra, le arti e i mestieri, i giorni dell'anno, le stagioni della semina e del raccolto, i misteri della fede, gli aneddoti della storia sacra e profana e la vita dei santi (grandi modelli di comportamento, come oggi i divi e i cantanti, élite senza potere politico, come spiegherebbe Francesco Alberoni, ma con enorme potere carismatico).
    Accanto a questa massiccia impresa di cultura popolare si svolge il lavoro di composizione e collage che la cultura dotta esercita sui detriti della cultura passata. Si prenda una scatola magica di Cornell o Armand, un collage di Max Ernst, una macchina inutile di Munari o Tinguely, e ci si ritroverà in un paesaggio che non ha nulla a che vedere con Raffaello o Canova ma che ha moltissimo a che vedere con il gusto estetico medievale. (da L'arte come bricolage, Verso un nuovo Medioevo, pp. 207-208)
  • Arte non sistematica ma additiva e compositiva la nostra come quella medievale, oggi come allora coesiste l'esperimento elitistico raffinato con la grande impresa di divulgazione popolare (il rapporto miniatura-cattedrale è lo stesso che c'è tra Museum of Modern Art e Hollywood), con interscambi e prestiti reciproci e continui: e l'apparente bizantinismo, il gusto forsennato per la collezione, l'elenco, l'assemblage, l'ammasso di cose diverse è dovuto all'esigenza di scomporre e rigiudicare i detriti di un mondo precedente, forse armonico, ma ormai desueto, da vivere, direbbe Sanguineti, come una Palus Putredinis che aveva attraversata e dimenticata. (da L'arte come bricolage, Verso un nuovo Medioevo, p. 209)
  • Il Medioevo ha conservato a modo suo l'eredità del passato ma non per ibernazione bensì per continua ritraduzione e riutilizzazione, è stata una immensa operazione di bricolage in bilico tra nostalgia, speranza e disperazione.
    Sotto la sua apparenza immobilistica e dogmatica è stato, paradossalmente, un momento di "rivoluzione culturale". Tutto il processo è stato naturalmente caratterizzato da pestilenze e stragi, intolleranza e morte. Nessuno dice che il nuovo Medioevo rappresenti una prospettiva del tutto allegra. Come dicevano i cinesi per maledire qualcuno: "Che tu possa vivere in un'epoca interessante." (da La transizione permanente, Verso un nuovo Medioevo, p. 211)
  • Docile strumento del potere, la vittima sportiva dirotta i propri istinti in riserve di caccia dove non può influire sulla vita politica nazionale, e la sua rabbia è controllata. Ma del sistema è la vittima più repressa, e la più disperata, perché non sa più di che cosa è privato. Questa sua violenza senza oggetto potrà essere ricuperata al momento opportuno: gli stadi (così come oggi sono concepiti) sono una riserva di energia per ogni dittatura che sappia offrire un oggetto d'amore altrettanto mitico e inconsistente del gioco non giocato. (da I commandos dello stadio, Eretici e millenaristi, p. 217)
  • Il nudo, anche e specie quando non è volgare, è sublimato e sublimante. Impone un modello al desiderio, ma questo modello non è reale. (da Troubadours for Men only, Eretici e millenaristi, pp. 238-239)
  • [...] le grandi elaborazioni teoriche nascono sempre in epoche di restaurazione, si può essere Hegel quando la rivoluzione francese è già liquidata, ma prima che la rivoluzione esploda (e durante) ci vuole l'Enciclopedia di Diderot, con la sua attenzione al lavoro umano e alla vita di tutti i giorni, la sua critica corrosiva del quotidiano e della cultura precedente, e ci vogliono i volantini, le stampe di colportage, i pamphlets. (da Chi scrive, Chi legge, Ordini mendicanti e scritture alternative, p. 320)
  • Come ha potuto l'esercizio dell'inventiva e del gioco diventare una faccenda per specializzati (considerati d'altronde un po' matti), a cui i sani sono ammessi solo come auditori passivi? Come può un artista che crede a quello che fa adattarsi ancora a produrre oggetti che altri guarderanno senza sapere come sono nati, invece di buttarsi in situazioni di partecipazione in cui gli altri imparino a fare gli oggetti con lui? (da Un messaggio chiamato Cavallo, Ordini mendicanti e scritture alternative, p. 335)
  • [Sull'insegnamento della filosofia] Ma è possibile parlare, non dico di Socrate, ma di Parmenide in termini contemporanei? Credo proprio di sì. Non è che per far le scienze umane basti leggere i romanzi gialli come fossero Parmenide: occorre anche leggere Parmenide come se fosse un romanzo giallo. (da De consolatione philosophiae, p. 339)

Diario Minimo

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[Il presente manoscritto ci è stato consegnato dal guardiano capo delle carceri comunali di un paesino del Piemonte. Le notizie incerte che l'uomo ci diede sul misterioso prigioniero che lo abbandonò in una cella, la nebbia di cui è avvolta la sorte dello scrittore, una certa complessiva, inspiegabile reticenza di coloro che conobbero l'individuo che vergò queste pagine, ci inducono ad accontentarci di ciò che sappiamo come ci appaghiamo di quel che del manoscritto rimane – il resto roso dai topi – e in base al quale pensiamo che il lettore possa farsi un'idea della straordinaria vicenda di questo Umberto Umberto (ma non fu forse, il misterioso prigioniero, Vladimiro Nabokov paradossalmente profugo per le Langhe, e non mostra forse questo manoscritto l'antivolto del proteico immoralista?) e possa infine trarre da queste pagine quella che ne è la lezione nascosta – sotto la spoglia del libertinaggio una lezione di superiore moralità.]

Nonita. Fiore della mia adolescenza, angoscia delle mie notti. Potrò mai rivederti. Nonita. Nonita. Nonita. Tre sillabe, come una negazione fatta di dolcezza: No. Ni. Ta. Nonita che io possa ricordarti sinché la tua immagine non sarà tenebra e il tuo luogo sepolcro.

[Umberto Eco, Diario minimo, Fabbri Editori, 1992]

Citazioni

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  • [...] una delle prime e più nobili funzioni delle cose poco serie è di gettare un'ombra di diffidenza sulle cose troppo serie – e tale è la funzione seria della parodia. (da Nota all'edizione 1975, 1995 p. 8)
  • [Al consumatore] si chiede di diventare un uomo con il frigorifero e un televisore da 21 pollici, e cioè gli si chiede di rimanere com'è aggiungendo agli oggetti che possiede un frigorifero e un televisore; in compenso gli si propone come ideale Kirk Douglas o Superman. L'ideale del consumatore di mass media è un superuomo che egli non pretenderà mai di diventare, ma che si diletta a impersonare fantasticamente, come si indossa per alcuni minuti davanti a uno specchio un abito altrui, senza neppur pensare di possederlo un giorno.
    La situazione nuova in cui si pone al riguardo la TV è questa: la TV non offre, come ideale in cui immedesimarsi, il superman, ma l'everyman. La TV presenta come ideale l'uomo assolutamente medio. (da Fenomenologia di Mike Bongiorno, 1995 pp. 45-46)
  • Ora, nel campo dei fenomeni quantitativi, la media rappresenta appunto un termine di mezzo, e per chi non vi si è ancora uniformato, essa rappresenta un traguardo. [...] Invece, nel campo dei fenomeni qualitativi, il livellamento alla media corrisponde al livellamento a zero. Un uomo che possieda tutte le virtù morali e intellettuali in grado medio, si trova immediatamente a un livello minimale di evoluzione. La "medietà" aristotelica è equilibrio nell'esercizio delle proprie passioni, retto dalla virtù discernitrice della "prudenza". Mentre nutrire passioni in grado medio e aver una media prudenza significa essere un povero campione di umanità. (da Fenomenologia di Mike Bongiorno, 1995 p. 46)
  • Mike Bongiorno non è particolarmente bello, atletico, coraggioso, intelligente. Rappresenta, biologicamente parlando, un grado modesto di adattamento all'ambiente. [...]
    Mike Bongiorno non si vergogna di essere ignorante e non prova il bisogno di istruirsi. Entra a contatto con le più vertiginose zone dello scibile e ne esce vergine e intatto, confortando le altrui naturali tendenze all'apatia e alla pigrizia mentale. Pone gran cura nel non impressionare lo spettatore, non solo mostrandosi all'oscuro dei fatti, ma altresì decisamente intenzionato a non apprendere nulla. In compenso Mike Bongiorno dimostra sincera e primitiva ammirazione per colui che sa. (da Fenomenologia di Mike Bongiorno, 1995 pp. 47-48)
  • L'ammirazione per la cultura tuttavia sopraggiunge quando, in base alla cultura, si viene a guadagnar denaro. Allora si scopre che la cultura serve a qualcosa. L'uomo mediocre rifiuta di imparare ma si propone di far studiare il figlio. (da Fenomenologia di Mike Bongiorno, 1995 p.48)
  • In questo vertiginoso gioco di gaffes non tenta neppure di usare perifrasi: la perifrasi è già una agudeza, e le agudezas appartengono a un ciclo vichiano cui Bongiorno è estraneo. Per lui, lo si è detto, ogni cosa ha un nome e uno solo, l'artificio retorico è una sofisticazione. In fondo la gaffe nasce sempre da un atto di sincerità non mascherata; quando la sincerità è voluta non si ha gaffe ma sfida e provocazione; la gaffe (in cui Bongiorno eccelle, a detta dei critici e del pubblico) nasce proprio quando si è sinceri per sbaglio e per sconsideratezza. Quanto più è mediocre, l'uomo mediocre è maldestro. Mike Bongiorno lo conforta portando la gaffe a dignità di figura retorica [...] (da Fenomenologia di Mike Bongiorno, 1995 p. 51)
  • Franti ride perché è cattivo – pensa Enrico – ma di fatto pare cattivo perché ride. (da Elogio di Franti, 1995 p. 135)
  • [...] l'Ordine o lo si ride dal di dentro o lo si bestemmia dal di fuori; o si finge di accettarlo per farlo esplodere, o si finge di rifiutarlo per farlo rifiorire in altre forme; o si è Rabelais o si è Cartesio [...] (da Elogio di Franti, pp. 142-143)

Elogio di Franti

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  • Chi sia codesto Enrico è sin troppo risaputo: di mediocre intelletto (non si sa che voti prenda né se riesca promosso a fine anno), oppresso sin dalla piú tenera infanzia da un padre, da una madre e da una sorella che gli scrivono nottetempo, come sicari dell'OAS, lettere pressoché minatorie sul suo diario, egli vive continuamente immerso in umbratili complessi, un po' diviso tra l'ammirazione prona per un Garrone che non perde occasione per far della bassa retorica elettorale [...] e d'altro lato una sorta di attrazione omosessuale per il Derossi, che è «il piú bello di tutti», scuote i capelli biondi, prende il primo premio, si fa baciare dal giovane calabrese e sembra insomma certi personaggi dei libri di Arbasino. Tra questi poli è l'Enrico: di carattere impreciso, incostante nei suoi propositi etici, schiavo di ambigui culti della personalità, non poteva essere gran che diverso col padre che si ritrovava, torbido personaggio costui, incarnazione di quell'ambiguo socialismo umanitario che precedette il fascismo, e in cui l'ideologia dolciastra stava alla lotta di classe come il repubblicanesimo di Carducci alla rivoluzione francese (odi alla regina Margherita, nonne e cipressi che a bolgheri alti e schietti, ma repubblica, ciccia) [...]. (pp. 355-356)
  • E [il padre di Enrico] ti educava cosí questo figlio alla violenza e alla retorica nazionale, all'interclassismo corporativista e all'umanitarismo paternalista, sí che svolgendosi la vicenda nell'ottantadue, possiamo immaginarci Enrico interventista quarantenne (e quindi a casa, da tavolino), all'inizio della guerra, e professionista fiancheggiatore delle squadre d'azione nel ventidue, lieto infine che il Paese sia andato in mano a un uomo forte garante dell'ordine e della fratellanza. Il Derossi a quell'epoca era già morto sicuramente in guerra, volontario, caduto scagliando la sua medaglia di primo della classe in faccia al nemico, Votini era passato spia dell'Ovra e Nobis, che doveva avere possedimenti in campagna, e già da piccolo dava dello straccione ai figli di carbonai, agrario fiancheggiatore delle squadre, sicuramente era già federale. C'è da sperare che il muratorino e il Precossi si fossero almeno presi il loro olio di ricino e tramassero nell'ombra; e forse Stardi, sgobbone com'era, si era letto tutto il Capitale, senonaltro per puntiglio, e quindi qualcosa aveva capito; ma Garoffi di certo si era allineato e non faceva politica, e Coretti, con quel padre che gli passava calda calda la carezza del Re, chissà che non facesse la guardia d'onore all'Uomo della Provvidenza. (p. 357)
  • Chi ride è malvagio solo per chi crede in ciò di cui si ride. Ma chi ride, per ridere, e per dare al suo riso tutta la sua forza, deve accettare e credere, sia pure tra parentesi, ciò di cui ride, e ridere dal di dentro, se cosí si vuol dire, se no il riso non ha valore. Ridere del piegabaffi, oggi, è un gioco da ragazzi; ridete dell'usanza di radersi, e poi discuteremo. Chi ride deve dunque essere figlio di una situazione, accettarla in toto, quasi amarla, e quindi, da figlio infame, farle uno sberleffo. (Franti a parte, solo di fronte al riso la situazione misura la sua forza: quello che esce indenne dal riso è valido, quello che crolla doveva morire. E quindi il riso, l'ironia, la beffa, il marameo, il fare il verso, il prendere a gabbo, è alla fine un servizio reso alla cosa derisa, come per salvare quello che resiste nonostante tutto alla critica interna. Il resto poteva e doveva cadere).
    Tale è Franti. Dall'interno idilliaco della terza classe in cui alligna Enrico Bottini, egli irraggia il suo riso distruttore; e chi si aggrappa a ciò che egli distrugge, lo chiama infame. (p. 363)
  • [...] perché l'Ordine o lo si ride dal di dentro o lo si bestemmia dal di fuori; o si finge di accettarlo per farlo esplodere, o si finge di rifiutarlo per farlo rifiorire in altre forme; o si è Rabelais o si è Cartesio; o si è, come Franti ha tentato, uno scolaro che ride in scuola, o un analfabeta di avanguardia. E forse Franti, con la memoria accesa del gesto di papà Coretti che dava al figlio, con la mano ancor calda, la carezza del Re (impeditogli da Enrico di sorridere ancora una volta, cancellato con un tratto di penna), si apprestava in un lunga ascesi a esercitare, all'alba del nuovo secolo, sotto il nome d'arte di Gaetano Bresci. (p. 364)

[Edmondo De Amicis, Cuore. Libro per i ragazzi (1886), seguito da Elogio di Franti di Umberto Eco, a cura di Luciano Tamburini, Einaudi, Torino, 2001. ISBN 8806159291]

Il cimitero di Praga

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Il passante che in quella grigia mattina del marzo 1897 avesse attraversato a proprio rischio e pericolo place Maubert, o la Maub, come la chiamavano i malviventi (già centro di vita universitaria nel Medioevo, quando accoglieva la folla degli studenti che frequentavano la Facoltà delle Arti nel Vicus Stramineus o rue du Fouarre, e più tardi luogo dell'esecuzione capitale di apostoli del libero pensiero come Étienne Dolet), si sarebbe trovato in uno dei pochi luoghi di Parigi risparmiato dagli sventramenti del barone Haussmann, tra un groviglio di vicoli maleodoranti, tagliati in due settori dal corso della Bièvre, che laggiù ancora fuoriusciva da quelle viscere della metropoli dove da tempo era stata confinata, per gettarsi febbricitante, rantolante e verminosa nella vicinissima Senna. Da place Maubert, ormai sfregiata dal boulevard Saint-Germain, si dipartiva ancora una ragnatela di straducole come rue Maître-Albert, rue Saint-Séverin, rue Galande, rue de la Bûcherie, rue Saint-Julien-le-Pauvre, sino a rue de la Huchette, disseminate di sordidi hotel tenuti in genere da alvergnati, albergatori dalla leggendaria cupidigia, che domandavano un franco per la prima notte e quaranta centesimi per le seguenti (più venti soldi se si voleva anche un lenzuolo).

Citazioni

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  • Anche qui, come se la cosa l'avessimo inventata noi, era intervenuta a favore di Diana una mistica carmelitana di Lisieux in odore di santità malgrado la sua giovane età. Questa suor Teresa del Bambino Gesù e del Santo Volto, avendo ricevuto copia delle memorie di Diana convertita, si era talmente commossa per questa creatura da inserirla come personaggio in una sua operetta teatrale scritta per le consorelle, Il trionfo dell'Umiltà', dove c'entrava persino Giovanna d'Arco. (cap. 22)
  • Degli ebrei so solo ciò che mi ha insegnato il nonno: – Sono il popolo ateo per eccellenza, mi istruiva. Partono dal concetto che il bene deve realizzarsi qui, e non oltre la tomba. Quindi operano solo per la conquista di questo mondo. (p. 11)
  • [...] l'ebreo, oltre che vanitoso come uno spagnolo, ignorante come un croato, cupido come un levantino, ingrato come un maltese, insolente come uno zingaro, sporco come un inglese, untuoso come un calmucco, imperioso come un prussiano e maldicente come un astigiano, è adultero per foia irrefrenabile [...]. (p. 12)
  • L'italiano è infido, bugiardo, vile, traditore, si trova più a suo agio col pugnale che con la spada, meglio col veleno che col farmaco, viscido nella trattativa, coerente solo nel cambiar bandiera a ogni vento. (p. 17)
  • Gli uomini non fanno mai il male così completamente ed entusiasticamente come quando lo fanno per convinzione religiosa. (p. 18)
  • Qual è stato il lievito che qualcuno, o la sorte, o il diavolo ha immesso nel corpo ancora sano delle conventicole dei templari e dei liberi muratori per farne lievitare la più diabolica delle sette di tutti i tempi? (p. 64)
  • [In riferimento alla Sicilia] In questa terra dove da secoli non accadeva niente, è arrivato Garibaldi coi suoi. Non è che la gente di qui partecipi per lui, né che tenga ancora per il re che Garibaldi sta detronizzando. Semplicemente sono come ubriacati dal fatto che sia accaduto qualcosa di diverso. E ciascuno interpreta la diversità a modo suo. Forse questo gran vento di novità è solo uno scirocco che li addormenterà di nuovo tutti. (p. 160)
  • Così sono, e son condannato a esserlo. Sarò sempre fantastico, buio, tenebroso, bilioso. Ho ormai trent'anni e ho sempre fatto la guerra, per distrarmi da un mondo che non amo. E così ho lasciato a casa un grande romanzo ancora manoscritto. Vorrei vederlo stampato, e non posso occuparmene perché ho questi sudici conti da curare. Se fossi ambizioso, se avessi sete di piaceri... se fossi almeno cattivo... Almeno come Bixio. Niente. Mi conservo ragazzo, vivo alla giornata, amo il moto per muovermi, l'aria per respirarla. Morirò per morire... E tutto sarà finito. (Ippolito Nievo: p. 172)
  • Immaginarsi come elemento necessario nell'ordine dell'universo equivale, per noi gente di buone letture, a quello che è la superstizione per gli illetterati. Non si cambia il mondo con le idee. Le persone con poche idee sono meno soggette all'errore, seguono ciò che fanno tutti e non disturbano nessuno, e riescono, si arricchiscono, raggiungono buone posizioni, deputati, decorati, uomini di lettere rinomati, accademici, giornalisti.
    Si può essere sciocchi quando si fanno così bene i propri affari? Lo sciocco sono io, che ho voluto battermi coi mulini a vento. (Maurice Joly: p. 209)
  • Viene un momento in cui qualcosa si spezza dentro, e non si ha più né energia né volontà. Dicono che bisogna vivere, ma vivere è un problema che alla lunga conduce al suicidio. (p. 317)
  • Ma non vi è nulla di più inedito di ciò che è già stato pubblicato. (p. 376)
  • Qualcuno ha detto che il patriottismo è l'ultimo rifugio delle canaglie: chi non ha principi morali si avvolge di solito in una bandiera, e i bastardi si richiamano sempre alla purezza della loro razza. L'identità nazionale è l'ultima risorsa dei diseredati. (p. 399)
  • Ora il senso dell'identità si fonda sull'odio, sull'odio per chi non è identico. Bisogna coltivare l'odio come passione civile. Il nemico è l'amico dei popoli. Ci vuole sempre qualcuno da odiare per sentirsi giustificati nella propria miseria. L'odio è la vera passione primordiale. È l'amore che è una situazione anomala. Per questo Cristo è stato ucciso: parlava contro natura. Non si ama qualcuno per tutta la vita, da questa speranza impossibile nascono adulterio, matricidio, tradimento dell'amico... Invece si può odiare qualcuno per tutta la vita. Purché sia sempre là a rinfocolare il nostro odio. L'odio riscalda il cuore. (p. 400)
  • I buoni cristiani non credono forse che Satana abbia trasportato Gesù Cristo stesso sulla cima di una montagna, da cui gli ha mostrato tutti i regni della terra? E come faceva a mostrarglieli tutti se la terra è tonda? (p. 475)

Il fascismo eterno

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  • In Italia c'è oggi qualcuno che dice che il mito della Resistenza era una bugia comunista. È vero che i comunisti hanno sfruttato la Resistenza come una proprietà personale, dal momento che vi ebbero un ruolo primario; ma io ricordo partigiani con fazzoletti di diversi colori. (p. 16)
  • Se per totalitarismo si intende un regime che subordina ogni atto individuale allo stato e alla sua ideologia, allora nazismo e stalinismo erano regimi totalitari. Il fascismo fu certamente una dittatura, ma non era compiutamente totalitario, non tanto per la sua mitezza, quanto per la debolezza filosofica della sua ideologia. [...] Mussolini non aveva nessuna filosofia: aveva solo una retorica. (p. 22)
  • Si può dire che il fascismo italiano sia stata la prima dittatura di destra che abbia dominato un paese europeo, e che tutti i movimenti analoghi abbiano trovato in seguito una sorta di archetipo comune nel regime di Mussolini. Il fascismo italiano fu il primo a creare una liturgia militare, un folklore, e persino un modo di vestire [...]. (p. 23)
  • [...] il fascismo non possedeva alcuna quintessenza, e neppure una singola essenza. Il fascismo era un totalitarismo fuzzy. Il fascismo non era un ideologia monolitica, ma piuttosto un collage di diverse idee politiche e filosofiche, un alveare di contraddizioni. Si può forse concepire un movimento totalitario che riesca a mettere insieme monarchia e rivoluzione, esercito regio e milizia personale di Mussolini, i privilegi concessi alla chiesa e una educazione statale che esaltava la violenza, il controllo assoluto e il libero mercato? (p. 25)
  • Il fascismo era filosoficamente scardinato, ma dal punto di vista emotivo era fermamente incernierato ad alcuni archetipi. (pp. 30-31)
  • [...] si può giocare al fascismo in molti modi, e il nome del gioco non cambia. [...] Il termine "fascismo" si adatta a tutto perché è possibile eliminare da un regime fascista uno o più aspetti, e lo si potrà sempre riconoscere per fascista. Togliete al fascismo l'imperialismo e avrete Franco o Salazar; togliete il colonialismo e avrete il fascismo balcanico. Aggiungete al fascismo italiano un anticapitalismo radicale (che non affascinò mai Mussolini) e avrete Ezra Pound. Aggiungete il culto della mitologia celtica e il misticismo del Graal (completamente estraneo al fascismo ufficiale) e avrete uno dei più rispettati guru fascisti, Julius Evola. (pp. 31-33)
  • 1. La prima caratteristica di un Ur-Fascismo è il culto della tradizione. (p. 34)
  • 2. Il tradizionalismo implica il rifiuto del modernismo. [...] L'illuminismo, l'età della ragione vengono visti come l'inizio della depravazione moderna. In questo senso, l'Ur-Fascismo può venire definito come "irrazionalismo". (pp. 36-37)
  • 3. L'irrazionalismo dipende anche dal culto dell'azione per l'azione. l'azione è bella di per sé, e dunque deve essere attuata prima di e senza una qualunque riflessione. Pensare è una forma di evirazione. (p. 37)
  • 4. Nessuna forma di sincretismo può accettare la critica. Lo spirito critico opera distinzioni, e distinguere è un segno di modernità. Per l'Ur-Fascismo, il disaccordo è tradimento. [...] (pp. 38-39)
  • 5. Il disaccordo è inoltre un segno di diversità. L'Ur-Fascismo cresce e cerca il consenso sfruttando ed esacerbando la naturale paura della differenza. Il primo appello di un movimento fascista o prematuramente fascista è contro gli intrusi. L'Ur-Fascismo è dunque razzista per definizione. (p. 39)
  • 6. L'Ur-Fascismo scaturisce dalla frustrazione individuale o sociale. Il che spiega perché una delle caratteristiche tipiche dei fascismi storici è stato l'appello alle classi medie frustrate, a disagio per qualche crisi economica o umiliazione politica, spaventate dalla pressione dei gruppi sociali subalterni. (p. 39)
  • 7. A coloro che sono privi di una qualunque identità sociale, l'Ur-Fascismo dice che il loro unico privilegio è il più comune di tutti, quello di essere nati nello stesso paese. È questa l'origine del "nazionalismo". Inoltre, gli unici che possono fornire una identità alla nazione sono i nemici. Così, alla radice della psicologica Ur-Fascista vi è l'ossessione del complotto, possibilmente internazionale. I seguaci debbono sentirsi assediati. Il modo più facile per far emergere un complotto è quello di fare appello alla xenofobia. Ma il complotto deve venire anche dall'interno: gli ebrei sono di solito l'obiettivo migliore, in quanto presentano il vantaggio di essere al tempo stesso dentro e fuori. (p. 40)
  • 8. I seguaci debbono sentirsi umiliati dalla ricchezza ostentata e dalla forza dei nemici. [...] I seguaci debbono tuttavia essere convinti di poter sconfiggere i nemici. Così, grazie a un continuo spostamento di registro retorico, i nemici sono al tempo stesso troppo forti e troppo deboli. (p. 41)
  • 9. Per l'Ur-Fascismo non c'è lotta per la vita, ma piuttosto "vita per la lotta". Il pacifismo è allora collusione col nemico, il pacifismo è cattivo perché la vita è una guerra permanente. (p. 42)
  • 10. L'elitismo è un aspetto tipico di ogni ideologia reazionaria, in quanto fondamentalmente aristocratico. Nel corso della storia, tutti gli elitismi aristocratici e militaristici hanno implicato il disprezzo per i deboli. L'Ur-Fascismo non può fare a meno di predicare un "elitismo popolare". (pp. 42-43)
  • 11. In questa prospettiva, ciascuno è educato per diventare un eroe. [...] Questo culto dell'eroismo è strettamente legato al culto della morte [...] L'eroe Ur-Fascista, invece, aspira alla morte, annunciata come la migliore ricompensa per una vita eroica. L'eroe Ur-Fascista è impaziente di morire. (p. 44)
  • 12. Dal momento che sia la guerra permanente sia l'eroismo sono giochi difficili da giocare, l'Ur-Fascista trasferisce la sua volontà di potenza su questioni sessuali. [...] Dal momento che anche il sesso è un gioco difficile da giocare, l'eroe Ur-Fascista gioca con le armi, che sono il suo Ersatz fallico: i suoi giochi di guerra sono dovuti a una invidia penis permanente. (pp. 44-45)
  • 13. L'Ur-Fascismo si basa su un "populismo qualitativo". [...] Per l'Ur-Fascismo gli individui in quanto individui non hanno diritti [...] (p. 45)
  • Ogni qual volta un politico getta dubbi sulla legittimità del parlamento perché non rappresenta più la "voce del popolo", possiamo sentire l'odore di Ur-Fascismo. (p. 47)
  • 14. L'Ur-Fascismo parla la "neolingua". (p. 47)
  • Il mattino del 27 luglio del 1943 mi fu detto che, secondo delle informazioni lette alla radio, il fascismo era crollato e Mussolini era stato arrestato. Mia madre mi mandò a comperare il giornale. Andai al chiosco più vicino e vidi che i giornali c'erano, ma i nomi erano diversi. [...] Il messaggio celebrava la fine della dittatura e il ritorno della libertà: libertà di parola, di stampa, di associazione politica. Questa parole, "libertà", "dittatura" – Dio mio – era la prima volta in vita mia che le leggevo. In virtù di queste nuove parole ero rinato uomo libero occidentale. (pp. 48-49)
  • L'Ur-Fascismo è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. [...] L'Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l'indice su ognuna delle sue nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo. (pp. 49-50)

Il nome della rosa

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In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Questo era in principio presso Dio e compito del monaco fedele sarebbe ripetere ogni giorno con salmodiante umiltà l'unico immodificabile evento di cui si possa asserire l'incontrovertibile verità. Ma videmus nunc per speculum et in aenigmate e la verità, prima che faccia a faccia, si manifesta a tratti (ahi, quanto illeggibili) nell'errore del mondo, così che dobbiamo compitarne i fedeli segnacoli, anche là dove ci appaiono oscuri e quasi intessuti di una volontà del tutto intesa al male.
Giunto al finire della mia vita di peccatore, mentre canuto senesco come il mondo, nell'attesa di perdermi nell'abisso senza fondo della divinità silenziosa e deserta, partecipando della luce inconversevole delle intelligenze angeliche, trattenuto ormai col mio corpo greve e malato in questa cella del caro monastero di Melk, mi accingo a lasciare su questo vello testimonianza degli eventi mirabili e tremendi a cui in gioventù mi accadde di assistere, ripetendo verbatim quanto vidi e udii, senza azzardarmi a trarne un disegno, come a lasciare a coloro che verranno (se l'Anticristo non li precederà) segni di segni, perché su di essi si eserciti la preghiera della decifrazione.

Citazioni

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  • Come dice Boezio, nulla è più fugace della forma esteriore, che appassisce e muta come i fiori di campo all'apparire dell'autunno; e che senso avrebbe dire dell'abate Abbone che ebbe l'occhio severo e le guance pallide quando ormai lui e coloro che lo attorniavano sono polvere e della polvere il loro corpo ha ormai il grigiore mortifero (solo l'animo, lo voglia Iddio, risplendendo di una luce che non si spegnerà mai più)? (Prologo)
  • Tale è la forza del vero che, come il bene, è diffusivo di sé. (Primo giorno, Prima)
  • La bellezza del cosmo è data non solo dalla unità nella varietà, ma anche dalla varietà nell'unità. (Primo giorno, Prima)
  • Se mai fossi saggio, lo sarei perché so essere severo. (Abate: Primo giorno, Terza)
  • Se un pastore falla deve essere isolato dagli altri pastori, ma guai se le pecore cominciassero a diffidare dei pastori. (Abate: Primo giorno, Terza)
  • Ecco, forse l'unica vera prova della presenza del diavolo è l'intensità con cui tutti in quel momento ambiscono saperlo all'opera... (Guglielmo: Primo giorno, Terza)
  • Non tutte le verità sono per tutte le orecchie, non tutte le menzogne possono essere riconosciute come tali da un animo pio, e i monaci, infine, stanno nello scriptorium per porre capo a un'opera precisa, per la quale debbono leggere certi e non altri volumi, e non per seguire ogni dissennata curiosità che li colga, vuoi per debolezza della mente, vuoi per superbia, vuoi per suggestione diabolica. (l'Abate a Guglielmo; primo giorno, Terza)
  • Monasterium sine libris est sicut civitas sine opibus, castrum sine numeris, coquina sine suppellectili, mensa sine cibis, hortus sine herbis, pratum sine floribus, arbor sine foliis... (l'Abate a Guglielmo; Primo giorno, Terza)
  • Sì, c'è una lussuria del dolore, come c'è una lussuria dell'adorazione e persino una lussuria dell'umiltà. Se bastò così poco agli angeli ribelli per mutare il loro ardore d'adorazione e umiltà in ardore di superbia e di rivolta, cosa dire di un essere umano? E fu per questo che rinunciai a quella attività [di inquisitore]. Mi mancò il coraggio di inquisire sulle debolezze dei malvagi, perché scoprii che sono le stesse debolezze dei santi. (Guglielmo: Primo giorno, Sesta)
  • Quando entra in gioco il possesso delle cose terrene, è difficile che gli uomini ragionino secondo giustizia. (Primo giorno, Sesta)
  • "È un uomo...strano", dissi.
    "È, o è stato, per molti aspetti, un grande uomo. Ma proprio per questo è strano. Sono solo gli uomini piccoli che sembrano normali. Ubertino avrebbe potuto diventare uno degli eretici che ha contribuito a fare bruciare, o un cardinale di santa romana chiesa. È andato vicinissimo a entrambe le perversioni. Quando parlo con Ubertino ho l'impressione che l'inferno sia il paradiso guardato dall'altra parte." (Adso e Guglielmo: Primo giorno, Verso nona)
  • Perché tre cose concorrono a creare la bellezza: anzitutto l'integrità o perfezione, e per questo reputiamo brutte le cose incomplete; poi la debita proporzione ovvero la consonanza; e infine la clarità e la luce, e infatti chiamiamo belle le cose di colore nitido. E siccome la visione del bello comporta la pace, e per il nostro appetito è la stessa cosa acquetarsi nella pace, nel bene o nel bello, mi sentii pervaso di grande consolazione e pensai quanto dovesse essere piacevole lavorare in quel luogo [lo scriptorium]. (Primo giorno, Dopo Nona)
  • Vedi tu questa cappa di sofismi della quale sono stato vestito sino ad oggi? Questa mi grava e pesa come avessi la maggior torre di Parigi o la montagna del mondo in su le spalle e mai la potrò più porre giù. E questa pena m'è data dalla divina giustizia per la mia vanagloria, per aver creduto il mio corpo un luogo di delizie, e per aver supposto di sapere più degli altri, e per l'essermi dilettato di cose mostruose che hanno prodotto cose ben più mostruose nell'interno dell'anima mia – e ora con esse dovrò vivere in eterno. (Berengario da Arundel: Secondo giorno, Prima)
  • Anche una guerra santa è una guerra. Per questo forse non dovrebbero esserci guerre sante. (Guglielmo: Secondo giorno, Nona)
  • È sempre meglio che chi ci incute paura abbia più paura di noi. (Adso riprendendo un'osservazione di Guglielmo: Secondo giorno, Compieta)
  • Quando i veri nemici sono troppo forti, bisogna pur scegliere dei nemici più deboli. Riflettei che per questo i semplici son detti tali. Solo i potenti sanno sempre con grande chiarezza chi siano i loro nemici veri. (Terzo giorno, Sesta)
  • Tutte le eresie sono bandiera di una realtà dell'esclusione. Gratta l'eresia, troverai il lebbroso. Ogni battaglia contro l'eresia vuole solamente questo: che il lebbroso rimanga tale. Quanto ai lebbrosi cosa vuoi chiedere loro? Che distinguano nel dogma trinitario o nella definizione dell'eucarestia quanto è giusto e quanto è sbagliato? Suvvia Adso, questi sono giochi per noi uomini di dottrina. I semplici hanno altri problemi. E bada, li risolvono tutti nel modo sbagliato. Per questo diventano eretici. (Terzo giorno, Nona)
  • Pensa un fiume, denso e maestoso, che corre per miglia e miglia entro argini robusti, e tu sai dove sia il fiume, dove l'argine, dove la terra ferma. A un certo punto il fiume, per stanchezza, perché ha corso per troppo tempo e troppo spazio, perché si avvicina il mare, che annulla in sé tutti i fiumi, non sa più cosa sia. Diventa il proprio delta. Rimane forse un ramo maggiore, ma molti se ne diramano, in ogni direzione, e alcuni riconfluiscono gli uni negli altri, e non sai più cosa sia origine di cosa, e talora non sai cosa sia fiume ancora, e cosa già mare... [Guglielmo, riferendosi alle forme di eresia presenti nel '300] (Terzo giorno, Nona)
  • Nulla infonde più coraggio al pauroso della paura altrui. (Terzo giorno, Dopo compieta)
  • Scoprii che più amara della morte è la donna, che è come il laccio dei cacciatori, il suo cuore è come una rete, le sue mani funi. (Terzo giorno, Notte)
  • Avevo sempre creduto che la logica fosse un'arma universale e mi accorgevo ora di come la sua validità dipendesse dal modo in cui la si usava. D'altra parte, frequentando il mio maestro mi ero reso conto, e sempre più me ne resi conto nei giorni che seguirono, che la logica poteva servire a molto a condizione di entrarci dentro e poi di uscirne. (Quarto giorno, Laudi)
  • Vedi, un tempo ho tentato di ribellarmi ai signori, ora li servo e per il signore di queste terre comando a quelli come me. O ribellarsi o tradire, è data poca scelta a noi semplici. (Remigio a Guglielmo: Quarto giorno, Prima)
  • Vidi la pecora, che "ovis" è detta "ab oblatione" perché serviva sin dai primi tempi ai riti sacrificali [...] E le greggi erano sorvegliate dai cani, così chiamati da "canor" a causa del loro latrato. [...] E coi buoi uscivano in quel momento dalle stalle i vitellini che, femmine e maschi, traggono il loro nome dalla parola "viriditas" o anche da "virgo", perché‚ a quella età, essi sono ancora freschi, giovani e casti, e male avevo fatto e facevo, mi dissi, a vedere nelle loro movenze graziose una immagine della fanciulla non casta. (Quarto giorno, Terza)
  • Ebbi l'impressione che Guglielmo non fosse affatto interessato alla verità, che altro non è che l'adeguazione fra la cosa e l'intelletto. Egli invece si divertiva a immaginare quanti più possibili fosse possibile. (Quarto giorno, Vespri)
  • Per non apparire sciocco dopo, rinuncio ad apparire astuto ora. Lasciami pensare sino a domani, almeno. (Guglielmo: Quarto giorno, Vespri)
  • "Ma allora," ardii commentare, "siete ancora lontano dalla soluzione..."
    "Ci sono vicinissimo," disse Guglielmo, "ma non so a quale."
    "Quindi non avete una sola risposta alle vostre domande?"
    "Adso, se l'avessi insegnerei teologia a Parigi."
    "A Parigi hanno sempre la risposta vera?"
    "Mai," disse Guglielmo, "ma sono molto sicuri dei loro errori."
    "E voi," dissi con infantile impertinenza, "non commettete mai errori?"
    "Spesso," rispose. "Ma invece di concepirne uno solo ne immagino molti, così non divento schiavo di nessuno." (Quarto giorno, Vespri)
  • I libri non sono fatti per crederci, ma per essere sottoposti a indagine. Di fronte a un libro non dobbiamo chiederci cosa dica ma cosa vuole dire. (Guglielmo: Quarto giorno, Dopo compieta)
  • Non sempre un'impronta ha la stessa forma del corpo che l'ha impressa e non sempre nasce dalla pressione di un corpo. Talora riproduce l'impressione che un corpo ha lasciato nella nostra mente, è impronta di una idea. L'idea è segno delle cose, e l'immagine è segno dell'idea, segno di un segno. Ma dall'immagine ricostruisco, se non il corpo, l'idea che altri ne aveva. (Guglielmo: Quarto giorno, Dopo compieta)
  • Se la guardi perché è bella, e ne sei turbato (ma so che sei turbato, perché il peccato di cui la si sospetta te la rende ancora più affascinante), se la guardi e provi desiderio, perciostesso essa è una strega. Sta' in guardia, figlio mio... La bellezza del corpo si limita alla pelle. Se gli uomini vedessero quello che è sotto la pelle, così come accade con la lince di Beozia, rabbrividirebbero alla visione della donna. Tutta quella grazia consiste di mucosità e di sangue, di umori e di bile. Se si pensa a ciò che si nasconde nelle narici, nella gola e nel ventre, non si troverà che lordume. E se ti ripugna toccare il muco o lo sterco con la punta del dito, come mai potremmo desiderare di abbracciare il sacco stesso che contiene lo sterco? (Ubertino, a Adso: Quarto giorno, Notte)
  • Dio condusse all'uomo tutti gli animali per vedere come li avrebbe chiamati, e in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ciascun essere vivente, quello doveva essere il suo nome. E benché certamente il primo uomo fosse stato così accorto da chiamare, nella sua lingua edenica, ogni cosa e animale secondo la sua natura, ciò non toglie che egli non esercitasse una sorta di diritto sovrano nell'immaginare il nome che a suo giudizio meglio corrispondesse a quella natura. Perché infatti è ormai noto che diversi sono i nomi che gli uomini impongono per designare i concetti, e uguali per tutti sono solo i concetti, segni delle cose. Così che certamente viene la parola "nomen" da "nomos", ovvero legge, dato che appunto i "nomina" vengono dati dagli uomini "ad placitum", e cioè per libera e collettiva convenzione. (Guglielmo: Quinto giorno, Terza)
  • Il cellario non rispose, ma il suo silenzio era abbastanza eloquente. (Quinto giorno, Nona)
  • La giustizia non è mossa dalla fretta, come credevano gli pseudoapostoli, e quella di Dio ha secoli a disposizione. Si proceda piano, e per gradi [nella tortura]. E soprattutto, ricordate quanto è stato detto ripetutamente: che si evitino le mutilazioni e il pericolo di morte. Una delle provvidenze che questo procedimento riconosce all'empio, è proprio che la morte venga assaporata, e attesa, ma non venga prima che la confessione sia stata piena, e volontaria, e purificatrice. (Bernardo Gui: Quinto giorno, Nona)
  • I folli e i bambini dicono sempre la verità, Adso. Sarà perché‚ come consigliere imperiale, il mio amico Marsilio è più bravo di me, ma come inquisitore sono più bravo io. Persino più bravo di Bernardo Gui, Dio mi perdoni. Perché a Bernardo non interessa scoprire i colpevoli, bensì bruciare gli imputati. E io invece trovo il diletto più gaudioso nel dipanare una bella e intricata matassa. E sarà ancora perché‚ in un momento in cui, come filosofo, dubito che il mondo abbia un ordine, mi consola scoprire, se non un ordine, almeno una serie di connessioni in piccole porzioni degli affari del mondo. (Guglielmo: Quinto giorno, Vespri)
  • Il bene di un libro sta nell'essere letto. Un libro è fatto di segni che parlano di altri segni, i quali a loro volta parlano delle cose. Senza un occhio che lo legga, un libro reca segni che non producono concetti, e quindi è muto. Questa biblioteca è nata forse per salvare i libri che contiene, ma ora vive per seppellirli. Per questo è diventata fomite di empietà. (Guglielmo: Quinto giorno, Vespri)
  • L'amore vero vuole il bene dell'amato. (Guglielmo: Quinto giorno, Vespri)
  • Dell'unico amore terreno della mia vita, non sapevo, e non seppi mai, il nome. (Quinto giorno, Compieta)
  • «E tu non t'incantare troppo su queste teche. Di frammenti della croce ne ho visti molti altri, in altre chiese. Se tutti fossero autentici, Nostro Signore non sarebbe stato suppliziato su due assi incrociate, ma su di una intera foresta.»
    «Maestro!» dissi scandalizzato.
    «È così Adso. E ci sono dei tesori ancora più ricchi. Tempo fa, nella cattedrale di Colonia vidi il cranio di Giovanni Battista all'età di dodici anni.»
    «Davvero?» esclamai ammirato. Poi, colto da un dubbio: «Ma il Battista fu ucciso in età più avanzata!»
    «L'altro cranio dev'essere in un altro tesoro» disse Guglielmo con viso serio. (Sesto giorno, Prima)
  • A quel punto l'Abate gridò: "Traete, filii de puta!" [...] [71] (Sesto giorno, Terza)
  • «Aveva un altro senso, come tutti i sogni, e le visioni. Va letto allegoricamente o anagogicamente...»
    «Come le scritture!?»
    «Un sogno è una scrittura, e molte scritture non sono altro che sogni.» (Guglielmo a Adso: Sesto giorno, Dopo terza)
  • «Ma ormai la sfida non è solo tra me e Abbone [l'Abate del monastero], è tra me e tutta la vicenda, io non esco da questa cinta prima di aver saputo. Vuole che io parta domattina? Bene, è lui il padrone di casa, ma entro domattina io devo sapere. Devo.»
    «Dovete? Ma chi ve lo impone, ormai?»
    «Nessuno ci impone di sapere, Adso. Si deve, ecco tutto, anche a costo di capire male.» (Guglielmo e Adso: Sesto giorno, nona)
  • Disse un filosofo greco (che il tuo Aristotele qui cita, complice e immonda auctoritas) che si deve smantellare la serietà degli avversari con il riso, e il riso avversare con la serietà. La prudenza dei nostri padri ha fatto la sua scelta: se il riso è il diletto della plebe, la licenza della plebe venga tenuta a freno e umiliata, e intimorita con la severità. E la plebe non ha armi per affinare il suo riso sino a farlo diventare strumento contro la serietà dei pastori che devono condurla alla vita eterna e sottrarla alle seduzioni del ventre, delle pudenda, del cibo, dei suoi sordidi desideri. Ma se qualcuno un giorno, agitando le parole del Filosofo, e quindi parlando da filosofo, portasse l'arte del riso a condizione di arma sottile, se alla retorica della convinzione si sostituisse la retorica dell'irrisione, se alla topica della paziente e salvifica costruzione delle immagini della redenzione si sostituisse la topica dell'impaziente decostruzione e dello stravolgimento di tutte le immagini più sante e venerabili — oh, quel giorno anche tu e tutta la tua sapienza, Guglielmo, ne sareste travolti! (Jorge: Settimo giorno, Notte I)
  • «Tu sei il diavolo» disse allora Guglielmo.
    Jorge parve non capire. Se fosse stato veggente direi che avrebbe fissato il suo interlocutore con sguardo attonito. «Io?» disse.
    «Sì, ti hanno mentito. Il diavolo non è il principe della materia, il diavolo è l'arroganza dello spirito, la fede senza sorriso, la verità che non viene mai presa dal dubbio. Il diavolo è cupo perché sa dove va, e andando va sempre da dove è venuto. Tu sei il diavolo e come il diavolo vivi nelle tenebre.» (Settimo giorno, Notte I)
  • Jorge, dico. In quel viso devastato dall'odio per la filosofia, ho visto per la prima volta il ritratto dell'Anticristo, che non viene dalla tribù di Giuda come vogliono i suoi annunciatori, né da un paese lontano. L'Anticristo può nascere dalla stessa pietà, dall'eccessivo amor di Dio o della verità, come l'eretico nasce dal santo e l'indemoniato dal veggente. Temi, Adso, i profeti e coloro disposti a morire per la verità, ché di solito fan morire moltissimo con loro, spesso prima di loro, talvolta al posto loro. Jorge ha compiuto un'opera diabolica perché amava in modo così lubrico la sua verità da osare tutto pur di distruggere la menzogna. Jorge temeva il secondo libro di Aristotele perché esso forse insegnava davvero a deformare il volto di ogni verità, affinché non diventassimo schiavi dei nostri fantasmi. Forse il compito di chi ama gli uomini e di far ridere della verità, fare ridere la verità, perché l'unica verità è imparare a liberarci dalla passione insana per la verità. (Settimo giorno, Notte II)
  • «Dove sta tutta la mia saggezza? Mi sono comportato da ostinato, inseguendo una parvenza di ordine, quando dovevo sapere bene che non vi è un ordine nell'universo.»
    «Ma immaginando degli ordini errati avete pur trovato qualcosa...»
    «Hai detto una cosa molto bella, Adso, ti ringrazio. L'ordine che la nostra mente immagina è come una rete, o una scala, che si costruisce per raggiungere qualcosa. Ma dopo si deve gettare la scala, perché si scopre che, se pure serviva, era priva di senso.» (Settimo giorno, Notte II)
  • Un romanzo [...] è una macchina per generare interpretazioni.
  • Un monaco dovrebbe certo amare i suoi libri con umiltà, volendo il ben loro e non la gloria della propria curiosità: me quello che per i laici è la tentazione dell'adulterio e per gli ecclesiastici regolari è la brama di richezze, questa per i monaci è la seduzione della conoscenza.
  • I semplici pagano sempre per tutti, anche per coloro che parlano in loro favore.
  • Non ci fa paura la bestemmia, perché anche nella maledizione di Dio riconosciamo l'immagine stranita dell'ira di Geova che maledice gli angeli ribelli. Non ci fa paura la violenza di chi uccide i pastori in nome di qualche fantasia di rinnovamento, perché è la stessa violenza dei principi che cercarono di distruggere il popolo di Israele. Non ci fa paura il rigore del donatista, la follia suicida del circoncellione, la lussuria del bogomilo, l'orgogliosa purezza dell'albigese, il bisogno di sangue del flagellante, la vertigine del male del fratello del libero spirito: li conosciamo tutti e conosciamo la radice dei loro peccati che è la radice stessa della nostra santità. Non ci fanno paura e soprattutto sappiamo come distruggerli, meglio, come lasciare che si distruggano da soli portando protervamente allo zenit la volontà di morte che nasce dagli abissi stessi del loro nadir. Anzi, vorrei dire, la loro presenza ci è preziosa, si iscrive nel disegno di Dio, perché il loro peccato incita la nostra virtù, la loro bestemmia incoraggia il nostro canto di lode, la loro sregolata penitenza regola il nostro gusto del sacrificio, la loro empietà fa risplendere la nostra pietà, così come il principe delle tenebre è stato necessario, con la sua ribellione e la sua disperazione, a far meglio rifulgere la gloria di Dio, principio e fine di ogni speranza.

Mi inoltrerò presto in questo deserto amplissimo, perfettamente piano e incommensurabile, in cui il cuore veramente pio soccombe beato. Sprofonderò nella tenebra divina, in un silenzio muto e in una unione ineffabile, e in questo sprofondarsi andrà perduta ogni eguaglianza e ogni disuguaglianza, e in quell'abisso il mio spirito perderà se stesso, e non conoscerà né l'uguale né il disuguale, né altro: e saranno dimenticate tutte le differenze, sarò nel fondamento semplice, nel deserto silenzioso dove mai si vide diversità, nell'intimo dove nessuno si trova nel proprio luogo. Cadrò nella divinità silenziosa e disabitata dove non c'è opera né immagine.

Fa freddo nello scriptorium, il pollice mi duole. Lascio questa scrittura, non so per chi, non so più intorno a che cosa: stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus.[72]

Citazioni su Il nome della rosa

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  • Da un bestseller al best per eccellenza: Il nome della rosa di Umberto Eco. A questo libro non si sfugge. Si deve a tutti i costi averlo letto e apprezzato. In caso contrario bisogna prepararsi a passare alcune ore spiegando perché la nostra comunione mistica col Nome della rosa non è avvenuta. Questo comunque è un problema di esigue minoranze perseguitate: la maggioranza, professori di università compresi, è entusiasta. Il nome della rosa, romanzo per goliardi, è diventato un bestseller mondiale: tutto il mondo è una grande università in pectore. Ho il fondato sospetto che non sia un libro scritto a macchina, ma un libro scritto da una macchina. E chi oggi non aspira ad essere una macchina? Ha il sapore delle patatine dei fast-food, e il fatto emozionante che abbia avuto successo negli USA è la sola ragione per la quale ha avuto successo in Europa. In casi bizzarri come questo la tecnologia passa visibilmente in secondo piano. Gli europei hanno letto voracemente il nome della rosa perché è un libro scritto per essere letto voracemente dagli americani che l'avrebbero letto dopo. (Grazia Cherchi)
  • L'eccellente riuscita de il nome della rosa è proprio nella felicità narrativa, nella consumata astuzia del mestiere, che permette anche alla casalinga di arrivare alla fine appassionandosi alla trama, assorbendone gli umori maliziosi senza neppure accorgersene. In questo senso, perfetto strumento di massa. (Vittorio Messori)

Il pendolo di Foucault

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Fu allora che vidi il Pendolo.
La sfera, mobile all'estremità di un lungo filo fissato alla volta del coro, descriveva le sue ampie oscillazioni con isocrona maestà.
Io sapevo – ma chiunque avrebbe dovuto avvertire nell'incanto di quel placido respiro – che il periodo era regolato dal rapporto tra la radice quadrata della lunghezza del filo e quel numero π che, irrazionale alle menti sublunari, per divina ragione lega necessariamente la circonferenza al diametro di tutti i cerchi possibili – così che il tempo di quel vagare di una sfera dall'uno all'altro polo era effetto di una arcana cospirazione tra le più intemporali delle misure, l'unità del punto di sospensione, la dualità di una astratta dimensione, la natura ternaria di π, il tetragono segreto della radice, la perfezione del cerchio.
Ancora sapevo che sulla verticale del punto di sospensione, alla base, un dispositivo magnetico, comunicando il suo richiamo a un cilindro nascosto nel cuore della sfera, garantiva la costanza del moto, artificio disposto a contrastare le resistenze della materia, ma che non si opponeva alla legge del Pendolo, anzi le permetteva di manifestarsi, perché nel vuoto qualsiasi punto materiale pesante, sospeso all'estremità di un filo inestensibile e senza peso, che non subisse la resistenza dell'aria, e non facesse attrito col suo punto d'appoggio, avrebbe oscillato in modo regolare per l'eternità.

Citazioni

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  • Come non cadere in ginocchio davanti all'altare della certezza? (cap. 1; p. 12)
  • Ormai mi muovevo come un uomo braccato – dall'orologio e dall'orrido avanzare del numero. (cap. 2; p .23)
  • Che sollievo. Solo a sapere che, volendo, potrei ricordare, dimentico subito. (cap. 3; p. 35)
  • “Signori,” disse, “invito loro ad andare a misurare quel chiosco. Vedranno che la lunghezza del ripiano è di 149 centimetri, vale a dire un centomiliardesimo della distanza Terra-Sole. L’altezza posteriore divisa per la larghezza della finestra fa 176/56=3,14. L’altezza anteriore è di 19 decimetri e cioè pari al numero di anni del ciclo lunare greco. La somma delle altezze dei due spigoli anteriori e dei due spigoli posteriori fa 190×2+176×2=732, che è la data della vittoria di Poitiers. Lo spessore del ripiano è di 3,10 centimetri e la larghezza della cornice della finestra di 8,8 centimetri. Sostituendo ai numeri interi la corrispondente lettera dell’alfabeto avremo C10H8, che è la formula della naftalina.” (cap. 5; p. 48)
  • Si nasce sempre sotto il segno sbagliato e stare al mondo in modo dignitoso vuol dire correggere giorno per giorno il proprio oroscopo.
    Credo che si diventi quel che nostro padre ci ha insegnato nei tempi morti, mentre non si preoccupava di educarci. Ci si forma su scarti di saggezza. (cap. 7; p. 57)
  • Non è che l'incredulo non debba credere a nulla. Non crede a tutto. Crede a una cosa per volta, e a una seconda solo se in qualche modo discende dalla prima. Procede in modo miope, metodico, non azzarda orizzonti. Di due cose che non stiano insieme, crederle tutte e due, e con l'idea che da qualche parte ve ne sia una terza, occulta, che le unisce questa è la credulità.
    L'incredulità non esclude la curiosità, la conforta. (cap. 7; p. 57)
  • Più tardi Lia mi avrebbe detto: "Tu vivi di superfici. Quando sembri profondo è perché ne incastri molte, e combini l'apparenza di un solido – un solido che se fosse solido non potrebbe stare in piedi."
    "Stai dicendo che sono superficiale?"
    "No," mi aveva risposto, "quello che gli altri chiamano profondità è solo un tesseract, un cubo tetradimensionale. Entri da un lato, esci dall'altro, e ti trovi in un universo che non può coesistere col tuo." (cap. 7; p. 58)
  • [...] la creazione, anche se produce l'errore, si dà sempre per amore di qualcuno che non siamo noi. (cap. 8; p. 65)
  • Si possono dire le cose sbagliate, basta che le ragioni siano giuste. (cap. 10; p. 74)
  • Popolare il mondo di figli che andranno sotto un altro nome, e nessuno saprà che sono tuoi. Come essere Dio in borghese. Tu sei Dio, giri per la città, senti la gente che parla di te, e Dio qua e Dio là, e che mirabile universo è questo, e che eleganza la gravitazione universale, e tu sorridi sotto i baffi (bisogna girare con una barba finta, oppure no, senza barba, perché dalla barba Dio lo riconosci subito), e dici fra te e te (il solipsismo di Dio è drammatico): "Ecco, questo sono io e loro non lo sanno." E qualcuno ti urta per strada, magari ti insulta, e tu umile dici scusi, e via, tanto sei Dio e se tu volessi, uno schiocco di dita, e il mondo sarebbe cenere. Ma tu sei così infinitamente potente da permetterti di esser buono. (cap. 11; p. 80)
  • Appartengo a una generazione perduta, e mi ritrovo soltanto quando assisto in compagnia alla solitudine dei miei simili. (cap. 12; p. 89)
  • Ancora all'inizio degli anni sessanta la barba era fascista – ma occorreva disegnarne il profilo, rasandola sulle guance, alla Italo Balbo – nel sessantotto era stata contestataria, e ora stava diventando neutra e universale, scelta di libertà. La barba è sempre stata maschera (ci si mette una barba finta per non essere riconosciuti), ma in quello scorcio d'inizio anni settanta ci si poteva camuffare con una barba vera. Si poteva mentire dicendo la verità, anzi, rendendo la verità enigmatica e sfuggente, perché di fronte a una barba non si poteva più inferire l'ideologia del barbuto. Ma quella sera, la barba risplendeva anche sui volti glabri di chi, non portandola, lasciava capire che avrebbe potuto coltivarla e vi aveva rinunciato solo per sfida. (cap. 13; p. 90)
  • E forse [i Templari] erano tutto questo, anime perse e anime sante, cavallanti e cavalieri, banchieri ed eroi... (cap. 13; p. 105)
  • [...] uno che fa la tesi sulla sifilide finisce per amare anche la spirocheta pallida. (cap. 13; p. 105)
  • Sa che si può essere ossessionati dal rimorso tutta la vita, non per aver scelto l'errore, di cui almeno ci si può pentire, ma per essersi trovati nell'impossibilità di provare a se stessi che non si sarebbe scelto l'errore... (cap. 15; p. 121)
  • "O basta là," disse Belbo. Solo un piemontese può capire l'animo con cui si pronuncia questa espressione di educata stupefazione. Nessuno dei suoi equivalenti in altra lingua o dialetto (non mi dica, dis donc, are you kidding?) può rendere il sovrano senso di disinteresse, il fatalismo con cui essa riconferma l'indefettibile persuasione che gli altri siano, e irrimediabilmente, figli di una divinità maldestra. (cap. 20; p. 158)
  • Così l'altra sera dovevo credere che il Piano fosse vero, altrimenti negli ultimi due anni sarei stato l'architetto onnipossente di un incubo maligno. Meglio che l'incubo fosse realtà, se una cosa è vera è vera, e tu non c'entri. (cap. 23; p. 178)
  • Il criterio era rigoroso, e credo sia lo stesso seguito dai servizi segreti: non ci sono informazioni migliori delle altre, il potere sta nello schedarle tutte, e poi cercare le connessioni. Le connessioni ci sono sempre, basta volerle trovare. (cap. 34; p. 240)
  • Bisogno di innamorarsi.
    Certe cose le senti venire, non è che ti innamori perché ti innamori, ti innamori perché in quel periodo avevi un disperato bisogno di innamorarti. Nei periodi in cui senti la voglia di innamorarti devi stare attento a dove metti piede: come aver bevuto un filtro, di quelli che ti innamorerai del primo essere che incontri. Potrebbe essere un ornitorinco. (cap. 37; p. 246)
  • L'umanità non sopporta il pensiero che il mondo sia nato per caso, per sbaglio, solo perché quattro atomi scriteriati si sono tamponati sull'autostrada bagnata. E allora occorre trovare un complotto cosmico, Dio, gli angeli o i diavoli. (cap. 53; p. 337)
  • Una celebrante salì su un dolmen e soffiò in una tromba. Pareva, più ancora di quella che avevamo visto qualche ora prima, una buccina da marcia trionfale dell'Aida. Ma ne usciva un suono feltrato e notturno, che sembrava venire da molto lontano. Belbo mi toccò il braccio: "È il ramsinga, il ramsinga dei thugs presso il baniano sacro..." (cap. 62; p. 377)
  • Perché non posso sognare l'esame di maturità come tutti? (cap. 64; p. 392)
  • [...] i Templari c'entrano sempre. (cap. 65; p. 395)
  • Aveva ragione lei. Qualsiasi dato diventa importante se è connesso a un altro. La connessione cambia la prospettiva. Induce a pensare che ogni parvenza del mondo, ogni voce, ogni parola scritta o detta non abbia il senso che appare, ma ci parli di un Segreto. Il criterio è semplice: sospettare, sospettare sempre. Si può leggere in trasparenza anche un cartello di senso vietato. (cap. 66; pp. 398-399)
  • Bisogna saper distinguere occultismo da esoterismo. L'esoterismo è la ricerca di un sapere che non si trasmette se non per simboli, sigillati per i profani. L'occultismo, invece, che si diffonde nell'Ottocento, è la punta dell'iceberg, quel poco che affiora del segreto esoterico. I Templari erano degli iniziati, e la prova è che, sottoposti a tortura, muoiono per salvare il loro segreto. È la forza con cui lo hanno occultato che ci fa sicuri della loro iniziazione, e nostalgici di ciò che essi avevano saputo. L'occultista è esibizionista. (cap. 76; p. 459)
  • In ogni caso, e quale fosse il ritmo, la sorte ci premiava, perché a voler trovare connessioni se ne trovano sempre, dappertutto e tra tutto, il mondo esplode in una rete, in un vortice di parentele e tutto rimanda a tutto, tutto spiega tutto... (cap. 85; p. 491)
  • Quella volta Belbo aveva perso il controllo. Almeno, come poteva perdere il controllo lui. Aveva atteso che Agliè fosse uscito e aveva detto tra i denti: «Ma gavte la nata.»
    Lorenza, che stava ancora facendo gesti complici di allegrezza, gli aveva chiesto che cosa volesse dire.
    «È torinese. Significa levati il tappo, ovvero, se preferisci, voglia ella levarsi il tappo. In presenza di persona altezzosa e impettita, la si suppone enfiata dalla propria immodestia, e parimenti si suppone che tale smodata autoconsiderazione tenga in vita il corpo dilatato solo in virtù di un tappo che, infilato nello sfintere, impedisca che tutta quella aerostatica dignità si dissolva, talché, invitando il soggetto a togliersi esso turacciolo, lo si condanna a perseguire il proprio irreversibile afflosciamento, non di rado accompagnato da sibilo acutissimo e riduzione del superstite involucro esterno a povera cosa, scarna immagine ed esangue fantasma della prisca maestà.» (cap. 98; p. 538)
  • Guai a fare finta, ti credono tutti. (cap. 106; p. 572)
  • C'era un tale, forse Rubinstein, che quando gli avevano chiesto se credeva in Dio aveva risposto: "Oh no, io credo... in qualcosa di molto più grande..." Ma c'era un altro (forse Chesterton?) che aveva detto: da quando gli uomini non credono più in Dio, non è che non credano più a nulla, credono a tutto[73]. (cap. 118; p. 657)
  • L'ho capito io questa sera: occorre che l'autore muoia perché il lettore si accorga della sua verità. (cap. 119; p. 671)

Che io abbia scritto o no, non fa differenza. Cercherebbero sempre un altro senso, anche nel mio silenzio. Sono fatti così. Sono ciechi alla rivelazione. Malkut è Malkut e basta.
Ma vaglielo a dire. Non hanno fede.

E allora tanto vale star qui, attendere, e guardare la collina.

È così bella.

Citazioni su Il pendolo di Foucalt

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  • Bilanci di fine anno. Sono stato a lungo incerto se includere o non includere Il pendolo di Foucault fra i libri più brutti letti nel corso dell'88. A farmi decidere per il no è stata la convinzione che non può essere brutto un libro che in nessun caso avrebbe potuto essere bello. Il bello, in letteratura, è una sorta di utilità marginale: nasce, se nasce, dal sovrappiù di senso che lo stile riesce a strappare al di là della realizzazione del progetto. E basta aprire il secondo romanzo di Eco per accorgersi che non vi spira alito di stile, che il motorino della scrittura ce la fa appena a smuovere la carretta dell'intreccio con il suo greve carico erudito. Il pendolo di Foucault può assomigliare a tutto – a un'inchiesta dell'"Espresso", a un'enciclopedia tascabile, a un'annata della "Settimana enigmistica", al "papiro" di una matricola – tranne che al libro di uno scrittore. Sotto il profilo letterario Eco va assolto per non aver commesso il fatto. (Giovanni Raboni)

In cosa crede chi non crede

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  • Se Cristo fosse pur solo il soggetto di un grande racconto, il fatto che questo racconto abbia potuto essere immaginato e voluto da bipedi implumi che sanno solo di non sapere, sarebbe altrettanto miracoloso (miracolosamente misterioso) del fatto che il figlio di un Dio reale si sia veramente incarnato. Questo mistero naturale e terreno non cesserebbe di turbare e ingentilire il cuore di chi non crede.
  • Io ritengo che un'etica naturale – rispettata nella profonda religiosità che l'anima – possa incontrarsi coi princìpi di un'etica fondata sulla fede nella trascendenza, la quale non può non riconoscere che i princìpi naturali siano stati scolpiti nel nostro cuore in base a un programma di salvezza. (p. 25)[74]

L'isola del giorno prima

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"Eppure m'inorgoglisco della mia umiliazione, e poiché a tal privilegio son condannato, quasi godo di un'aborrita salvezza: sono, credo, a memoria d'uomo, l'unico essere della nostra specie ad aver fatto naufragio su di una nave deserta."

Così, con impenitente concettosità, Roberto de la Grive, presumibilmente tra il luglio e l'agosto del 1643.
Da quanti giorni vagava sulle onde, legato a una tavola, a faccia in giù di giorno per non essere accecato dal sole, il collo innaturalmente teso per evitare di bere, riarso dal salmastro, certamente febbricitante? Le lettere non lo dicono e lasciano pensare a una eternità, ma si dev'essere trattato di due giorni al più, altrimenti non sarebbe sopravvissuto sotto la sferza di Febo (come immaginosamente lamenta) – lui così infermiccio quale si descrive, animale nottivago per naturale difetto.

Citazioni

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  • Il vero è tanto più gradito quanto sia ispido di difficoltà, e più stimata è la rivelazione che assai ci sia costata.
  • L'assenza è all'amore come il vento al fuoco: spegne il piccolo, fa avvampare il grande.
  • La presenza sminuisce la fama, mentre la lontananza l'accresce: le qualità perdono lucentezza se si toccano troppo, mentre la fantasia giunge più lontano della vista.
  • Dunque il geloso (che pure vuole o vorrebbe l'amata casta e fedele) non vuole né può pensarla se non come degna di gelosia, e dunque colpevole di tradimento, rinfocolando così nella sofferenza presente il piacere dell'amore assente. [...] Il contatto amoroso, che il geloso immagina, è l'unico modo in cui possa raffigurarsi con verisimiglianza un connubio altrui che, se non indubitabile, è per lo meno possibile, mentre il proprio è impossibile. (cap. 28)
  • La verità è una giovinetta tanto bella quanto pudica e perciò va sempre avvolta nel suo mantello.
  • Siamo animali tra gli animali, figli entrambi della materia, salvo che siamo più disarmati. Ma poiché a differenza delle bestie sappiamo che dobbiamo morire, prepariamoci a quel momento godendo della vita che ci è stata data dal caso e per caso. La saggezza ci insegni a impiegare i nostri giorni per bere e conversare amabilmente, come si conviene ai gentiluomini, disprezzando le anime vili.
  • La prima qualità di un onest'uomo è il disprezzo della religione, che ci vuole timorosi della cosa più naturale del mondo, che è la morte, odiatori dell'unica cosa bella che il destino ci ha dato, che è la vita, e aspiranti a un cielo dove di eterna beatitudine vivono solo i pianeti, che non godono né di premi né di condanne, ma del loro moto eterno, nelle braccia del vuoto. Siate forte come i saggi dell'antica Grecia e guardate alla morte con occhio fermo e senza paura. (cap. 5)
  • Dovrete imparare a fare con la parola arguta quello che non potete fare con la parola aperta; a muovervi in un mondo, che privilegia l'apparenza, con tutte le sveltezze dell'eloquenza, a esser tessitore di parole di seta. Se gli strali trafiggono il corpo, le parole possono trapassare l'anima.
  • Credeva di doversi abituare all'idea, e non aveva ancora capito che alla perdita di un padre è inutile abituarsi, perché non accadrà una seconda volta: tanto vale lasciare la ferita aperta. (cap. 7)

La bustina di Minerva

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  • Si può essere colti sia avendo letto dieci libri che dieci volte lo stesso libro. Dovrebbero preoccuparsi solo coloro che di libri non ne leggono mai. Ma proprio per questa ragione essi sono gli unici che non avranno mai preoccupazioni di questo genere. (Quanti libri non abbiamo letto?, 1997)
  • Perché Cesare prima di morire ebbe tempo di dire "Tu quoque, Brute"? Perché a vibrargli la pugnalata fatale non fu Marcelino Menendez y Pelayo. (Perché, 1997)
  • Perché san Paolo non era sposato? Perché con tutti i viaggi che ha fatto, se avesse dovuto scrivere lettere anche alla moglie, il Nuovo Testamento avrebbe dimensioni proibitive. (Perché)
  • Perché Dio è l'essere perfettissimo? Perché se fosse imperfettissimo sarebbe mio cugino Gustavo. (Perché)
  • Perché Napoleone è nato in Corsica? Perché sì. (Perché)
  • Perché Cristoforo Colombo ha navigato verso Ponente? Perché se avesse navigato verso Levante avrebbe scoperto Messina. (Perché)
  • Perché un angolo retto misura novanta gradi? Domanda mal posta: lui non misura niente, sono gli altri che misurano lui. (Perché)
  • Clonare esseri umani sarà un pessimo investimento per chiunque. Quale grande personaggio vorrebbe correre il rischio di perpetuarsi attraverso una caricatura? Tutto sommato è ancora più ragionevole fare figli col vecchio sistema. E poi, se fosse vero che in una cellula c'è già tutto il nostro destino, perché varrebbe la pena di vivere? (Uno scienziato pazzo ha deciso di clonarmi, 1997)
  • Questo è il bello dell'anarchia di Internet. Chiunque ha diritto di manifestare la propria irrilevanza.
  • Se leggo la Bibbia, la più antica professione del mondo è quella del lessicografo, perché subito Adamo diede nome alle cose.[75]
  • Una volta un tale che doveva fare una ricerca andava in biblioteca, trovava dieci titoli sull'argomento e li leggeva; oggi schiaccia un bottone del suo computer, riceve una bibliografia di diecimila titoli, e rinuncia.

La misteriosa fiamma della regina Loana

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«E lei come si chiama?»
«Aspetti, ce l'ho sulla punta della lingua.»

Tutto è cominciato così.
Mi ero come risvegliato da un lungo sonno, e però ero ancora sospeso in un grigio lattiginoso. Oppure, non ero sveglio ma stavo sognando. Era uno strano sogno, privo di immagini, popolato di suoni. Come se non vedessi, ma udissi voci che mi raccontavano che cosa dovessi vedere. E mi raccontavano che non vedevo ancora nulla, salvo un fumigare lungo i canali, dove il paesaggio si dissolveva. Bruges, mi ero detto, ero a Bruges, ero mai stato a Bruges la morta?

Citazioni

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  • «Scrivevo?»
    «Niente di tuo. Sono un genio sterile, dicevi, a questo mondo o si legge o si scrive, gli scrittori scrivono per disprezzo verso i colleghi, per avere ogni tanto qualche cosa di buono da leggere.»
  • Per la tradizione contadina mangiare tanto fa sempre bene, si sta male solo quando da mangiare non ce n'è.
  • [Gragnola rivolgendosi a Giambattista Yambo Bodoni] I preti ti dicono che se il re ti manda in guerra tu puoi, anzi, devi ammazzare. Tanto la responsabilità è del re. Così si giustifica la guerra, che è una brutta bestia, specie se in guerra ti ha mandato il Crapone [Mussolini]. Guarda che i comandamenti non dicono che puoi ammazzare in guerra. Dicono non ammazzare, punto e basta.
  • [Gragnola rivolgendosi a Giambattista Yambo Bodoni] Tu mi dirai: sì, ma la proibizione degli atti impuri proibisce di ciulare fuori del matrimonio. Sei sicuro che fosse veramente così? Che cosa erano gli atti impuri per gli ebrei? Loro avevano delle regole severissime, per esempio non potevano mangiare il maiale, neppure i buoi uccisi in un certo modo e, mi hanno detto, nemmeno i gianchetti. Allora gli atti impuri sono tutte le cose che il potere ha proibito. E quali? Tutte quelle che il potere ha definito come atti impuri. Basta inventare, il Crapone [Mussolini] riteneva impuro parlare male del fascismo e ti spediva al confino. Era impuro essere scapolo, e pagavi la tassa sul celibato. Era impuro sventolare una bandiera rossa. Eccetera eccetera eccetera.
  • [Gragnola rivolgendosi a Giambattista Yambo Bodoni] Il decimo comandamento proibisce la rivoluzione.
  • [Gragnola rivolgendosi a Giambattista Yambo Bodoni] Con le cose che faccio e le cose che so, se le SS o le Brigate Nere un giorno mi pigliano, mi torturano. Se mi torturano io parlo, perché il male mi fa paura. E mando a morte i miei compagni. Allora, se mi prendono, mi taglio la gola col bisturi. Non fa male, è un secondo, sguiss. Così li frego tutti: i fascisti che non vengono a sapere niente, i preti perché mi suicido, ed è peccato, e Dio perché muoio quando voglio io e non quando ha deciso lui. Prendi su e porta a casa.
  • Gragnola era morto. Aveva salvato i cosacchi, mi aveva messo al sicuro, poi era morto. Sapevo benissimo come era andata, me lo aveva anticipato troppe volte. Era un vigliacco e temeva che se quelli lo avessero torturato avrebbe detto tutto, fatto dei nomi e mandato al macello i suoi compagni. Per loro, aveva deciso di morire. Così, sguisss, come ero sicuro che aveva fatto coi due tedeschi, e forse per contrappasso. La morte coraggiosa di un vigliacco. Aveva pagato l'unico atto di violenza della sua vita, e così si era persino purgato di quel rimorso che si portava addosso, e che doveva riuscirgli insopportabile. Aveva fregato tutti, fascisti, tedeschi e Dio in un colpo solo. Sguisss.

Numero zero

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Questa mattina non colava acqua dal rubinetto.
Blop blop, due ruttini da neonato, poi più niente.
Ho bussato dalla vicina: a casa loro, tutto regolare. Avrà chiuso la manopola centrale, mi ha detto. Io? Non so neppure dove sia, è poco che vivo qui, lo sa, e torno a casa solo alla sera. Mio Dio, ma quando parte per una settimana non chiude acqua e gas? Io no. Bella imprudenza, mi lasci entrare, le faccio vedere.

Citazioni

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  • Stiamo parlando di finanza, non di commercio. Prima comperi, poi vedrai che i soldi per pagare ti arrivano. (cap. II)
  • Già nel '46 Togliatti aveva dato il via all'amnistia generalizzata, contraddizioni della storia, i fascisti riabilitati dai comunisti, ma forse Togliatti aveva ragione, bisognava tornare a ogni costo alla normalità. (cap. III)
  • I sospetti non sono mai esagerati. Sospettare, sospettare sempre, solo così trovi la verità. Non è così che dice di fare la scienza? (cap. III)
  • Essere il solo ad aver colto la verità può farti girare la testa. (cap. XV)
  • Nel 1964 nasce ufficialmente l'organizzazione Gladio, finanziata dalla CIA. Gladio: il nome dovrebbe dirti qualcosa perché il gladio è un'arma dei legionari romani, e quindi dire gladio era come dire fascio littorio o cose del genere. Un nome che poteva attrarre militari in pensione, amanti dell'avventura e nostalgici fascisti. (cap. XV)
  • La questione è che i giornali non sono fatti per diffondere ma per coprire le notizie. Accade il fatto X, non puoi non parlarne ma imbarazza troppa gente, e allora in quello stesso numero metti titoloni da far rizzare i capelli, madre sgozza i quattro figli, forse i nostri risparmi finiranno in cenere, scoperta una lettera d'insulti di Garibaldi a Nino Bixio e via, la tua notizia annega nel gran mare dell'informazione. (cap. XV)
  • Il golpe era stato progettato accuratamente sin dal 1969, [...] l'anno della strage di piazza Fontana, certamente già pensata per far cadere tutti i sospetti sulla sinistra e preparare psicologicamente l'opinione pubblica a un ritorno all'ordine. Borghese prevedeva l'occupazione del ministero dell'interno, del ministero della difesa, delle sedi RAI, dei mezzi di telecomunicazione (radio e telefoni) e la deportazione degli oppositori presenti nel parlamento. Queste non sono mie fantasie perché dopo è stato trovato un proclama che Borghese avrebbe dovuto leggere alla radio, e che diceva a un dipresso che era finalmente arrivata l'attesa svolta politica, la classe che aveva governato un venticinquennio aveva portato l'Italia sull'orlo dello sfacelo economico e morale, le forze armate e le forze dell'ordine fiancheggiavano la presa di potere dei golpisti. Italiani, avrebbe dovuto concludere Borghese, nel riconsegnare nelle vostre mani il glorioso Tricolore vi invitiamo a gridare il nostro prorompente inno d'amore, Viva l'Italia. Tipica retorica mussoliniana. (cap. XV)

Postille a Il nome della rosa

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  • Un narratore non deve fornire interpretazioni della propria opera, altrimenti non avrebbe scritto un romanzo, che è una macchina per generare interpretazioni. (p. 507)
  • Un titolo è purtroppo già una chiave interpretativa.[76]
  • [...] I tre moschettieri è in verità la storia del quarto.[77]
  • L'autore dovrebbe morire dopo aver scritto. Per non disturbare il cammino del testo. (p. 509)
  • Occorre crearsi delle costrizioni, per potere inventare liberamente. (p. 514)

Sei passeggiate nei boschi narrativi

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Vorrei iniziare ricordando Italo Calvino, che doveva tenere otto anni fa, in questo stesso luogo, le sue sei Norton Lectures, ma fece in tempo a scriverne solo cinque, e ci lasciò prima di poter iniziare il suo soggiorno alla Harvard University. Non ricordo Calvino solo per ragioni d'amicizia, ma perché queste mie conferenze saranno in gran parte dedicate alla situazione del lettore nei testi narrativi, e alla presenza del lettore nella narrazione è dedicato uno dei libri più belli di Calvino, Se una notte d'inverno un viaggiatore.

Citazioni

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  • Talora uno scrittore, per dire troppo, diventa più comico dei suoi personaggi. (p. 5)
  • Era molto popolare, nel XIX secolo, Carolina Invernizio, che ha fatto sognare intere generazioni di proletari con storie che si intitolavano Il bacio di una morta, La vendetta di una pazza o Il cadavere accusatore. Carolina Invernizio scriveva malissimo e qualcuno ha osservato che aveva avuto il coraggio, o la debolezza, di introdurre nella letteratura il linguaggio della piccola burocrazia del giovane Stato Italiano (a cui apparteneva suo marito, direttore di una panetteria militare.)
  • Alfred Kazin racconta che una volta Thomas Mann aveva prestato un romanzo di Kafka a Einstein, che glielo aveva restituito dicendo: "Non m'è riuscito di leggerlo: il cervello umano non è complesso fino a questo punto". (p. 5-6)
  • L'Italia è uno di quei paesi in cui non si è obbligati a entrare in un cinema all'inizio dello spettacolo, ma ci si può entrare in qualsiasi momento, e poi riprendere dall'inizio. La giudico una buona abitudine perché ritengo che un film sia come la vita: io nella vita sono entrato quando i miei genitori erano già nati e Omero aveva già scritto l'Odissea, poi ho cercato di ricostruire la fabula all'indietro, come ho fatto per Sylvie [Gérard de Nerval], e bene o male ho capito che cosa era accaduto nel mondo prima della mia entrata. E così mi pare giusto fare coi film. (p. 81)

Sette anni di desiderio

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  • Imponendo un contegno esteriore, gli abiti sono artifici semiotici ovvero macchine per comunicare.
  • L'America ha un'incredibile capacità di storicizzare il passato prossimo. (I preti spretati)
  • L'eroe vero è sempre eroe per sbaglio, il suo sogno sarebbe di essere un onesto vigliacco come tutti.
  • Talora la barzelletta oscena (come d'altra parte quella non oscena) è una forma d'arte, una variazione dell'epigramma o della satira antica: ve ne sono alcune che sono piccoli capolavori teatrali o verbali.
  • La saggezza non sta nel distruggere gli idoli, sta nel non crearne mai.
  • Mentre il comico è la percezione dell'opposto, l'umorismo ne è il sentimento.
  • Quello che continuo a ritenere irragionevole è che qualcuno mi sostenga, poniamo, che il Desiderio la vince sempre e comunque sul modus ponens (il che sarebbe anche possibile) ma per impormi la sua nozione di Desiderio e per confutare la mia confutazione, cerca di cogliermi in contraddizione usando il modus ponens. Mi viene il Desiderio di rompergli la testa.

Sugli specchi e altri saggi

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  • Il teatro è anche finzione solo perché è anzitutto segno. (Il segno teatrale)
  • In fondo quando si mente con eleganza e inventività si vorrebbe sempre, da un lato, convincere che stiamo dicendo la verità, e dall'altro essere smascherati, in modo che venga riconosciuta la nostra bravura. Talora l'assassino confessa il proprio delitto, rimasto impunito, perché l'investigatore riconosca la sua abilità. (Ritratto di Plinio da giovane)
  • La fantascienza è, in altri termini, narrativa dell'ipotesi, della congettura o dell'abduzione, e in tal senso è gioco scientifico per eccellenza, dato che ogni scienza funziona per congetture, ovvero per abduzioni. (I mondi della fantascienza)
  • Accanto al culto dei concetti trasmessi come deposito di verità e saggezza, accanto a un modo di vedere la natura come riflesso della trascendeza, ostacolo e remora, è viva nella sensibilità dell'epoca una fresca sollecitudine verso la realtà sensibile in tutti i suoi aspetti, compreso quello della sua godibilità in termini estetici. (Arte e bellezza nell'estetica medievale)
  • È nazista ogni vagheggiamento di una forza, eminentemente virile, che non sappia né leggere né scrivere: il Medioevo, con Carlo Magno che appena sapeva fare la propria firma, si presta mirabilmente a questi sogni di un ritorno alla villosità incontaminata. Quanto più peloso il modello, tanto maggiore il vagheggiamento: l'Hobbit sia modello umano per i nuovi aspiranti a nuove e lunghe notti dei lunghi coltelli. (Dieci modi di sognare il Medioevo)

Trattato di semiotica generale

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  • La semiotica ha a che fare con qualsiasi cosa possa essere ASSUNTA come segno. È segno ogni cosa che possa essere assunto come un sostituto significante di qualcosa d'altro. Questo qualcosa d'altro non deve necessariamente esistere, né deve sussistere di fatto nel momento in cui il segno sta in luogo di esso. In tal senso la semiotica, in principio, è la disciplina che studia tutto ciò che può essere usato per mentire. (p. 17)
  • Non ci sono regole oggettive di trasformazione da ideologia a ideologia. La sconnessione dello spazio semantico permette solo di vedere come diversi angoli visuali producono diverse organizzazioni semantiche. Non esiste teoria semiotica delle ideologie capace di verificarne la validità o di permetterne il miglioramento. C'è solo una tecnica di analisi semiotica che permette di mettere in crisi una ideologia mostrandone la relatività rispetto a un'altra opposta. La scelta del punto di vista non riguarda la semiotica. La semiotica aiuta ad analizzare le diverse scelte, ma non aiuta a scegliere. (p. 368)

Incipit di alcune opere

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Apocalittici e integrati

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È profondamente ingiusto sussumere degli atteggiamenti umani – in tutta la loro varietà, in tutte le loro sfumature – sotto due concetti generici e polemici come quelli di "apocalittico" e "integrato". Certe cose si fanno perché la titolazione di un libro ha le sue esigenze (si tratta, lo vedremo, di industria culturale, ma cercheremo appunto di dire come questo termine vada assunto in una accezione il più possibile decongestionata); e si fanno anche perché, se si vuole impostare un discorso introduttivo ai saggi che seguiranno, occorrerà fatalmente identificare alcune linee metodologiche generali: e per definire ciò che non si vorrebbe fare, risulta comodo tipicizzare all'estremo una serie di scelte culturali, che naturalmente andrebbero analizzate in concreto e con maggiore serenità. Ma questo è compito dei vari saggi e non di una introduzione.

Baudolino

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Ratispone Anno Dommini Domini mense decembri mclv kronica Baudolini cognomento de Aulario
io Baudolino di Galiaudo de li Aulari con na testa ke somilia un lione alleluja sieno rese Gratie al siniore ke mi perdoni
a yo face habeo facto il rubamento più grande de la mia vita cio è preso da uno scrinio del vescovo Oto molti folii ke forse sono cose de la kancel cancelleria imperiale et li o gratati quasi tutti meno ke dove non veniva via et adesso o tanto Pergamino per schriverci quel ke volio cioè la mia chronica anca se non la so scrivere in latino
se poi scoprono ke i folii non ci sono più ki sa ke cafarnaum viene fuori et pensano ke magari è una Spia dei vescovi romani ke voliono male all'imperatore federico
ma forse non li importa a nessuno in chancelleria schrivono tutto anca quando non serve et ki li trova [questi folii] se li infila nel büs del kü non se ne fa negott.

De Bibliotheca

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Io credo che in un luogo così venerando sia opportuno cominciare, come in una cerimonia religiosa, con la lettura del Libro, non a scopo di informazione, perché quando si legge un libro sacro tutti sanno già quello che il libro dice, ma con funzioni litaniali e di buona disposizione dello spirito. Dunque:

"L'universo (che altri chiama la biblioteca) si compone d'un numero indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, bordati di basse ringhiere. Da qualsiasi esagono si vedono i piani superiori e inferiori, interminabilmente. La distribuzione degli oggetti nelle gallerie è invariabile. Venticinque vasti scaffali, in ragione di cinque per lato, coprono tutti i lati meno uno; la loro altezza, che è quella stessa di ciascun piano, non supera di molto quella di una biblioteca normale.

Supponiamo che il signor Sigma, durante un soggiorno a Parigi, cominci ad avvertire dei disturbi alla "pancia". Ho usato un termine generico perché il signor Sigma ha ancora una sensazione confusa. Ora fa mente locale e cerca di definire il disturbo: bruciori di stomaco? spasimi? dolori viscerali? Egli cerca di dare un nome a stimoli imprecisi: dando loro un nome li culturalizza, cioè riassume quello che era un fenomeno naturale sotto precise rubriche "codificate", cerca quindi di dare a una sua esperienza personale una qualifica che la renda simile ad altre esperienze già nominate nei libri di medicina o negli articoli di giornale.

Segno e inferenza

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Proprio nel volgere di secolo in cui la semiotica si è affermata come disciplina, si è assistito a una serie di dichiarazioni teoriche circa la morte, o nel migliore dei casi, la crisi del segno.
Naturalmente è procedimento corretto per una disciplina mettere anzitutto sotto inchiesta l'oggetto che le è stato assegnato dalla tradizione. Il termine greco σημείον, sia pure inestricabilmente connesso a quello di τεκμήριον (che di solito si traduce con 'sintomo') appare già come termine tecnico nella scuola ippocratica e nella speculazione parmenidea; l'idea di una dottrina dei segni si organizza con gli stoici; Galeno usa il termine σημειωτική; e da quel momento, ogni qual volta nella storia del pensiero occidentale si fa strada l'idea di una scienza semiotica, comunque la si chiami, essa viene sempre definita come 'dottrina dei segni' [cfr. Jakobson 1974; Rey 1973; Sebeok 1976; Todorov 1977]. Siccome però la nozione di 'segno' acquista significati spesso non omogenei, è giusto sottoporla a critica severa (se non altro nel senso kantiano del termine). Ma in questo senso la nozione viene messa in crisi sin dal suo primo apparire.

Citazioni su Umberto Eco

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  • Anni fa si tagliò la barba per non farsi riconoscere. Poi, visto che nessuno lo riconosceva, se la fece ricrescere. (Roberto Gervaso)
  • "Come chi, abbandonato da una donna, diventa misogino a vita, pensando che sono tutte puttane" (p. 33 di Sette anni di desiderio). Eco crede di liquidare con una battuta d'effetto i "nouveaux philosophes" e qualche altro cretino. E non s'accorge che l'analogia usata, che per lui significa il colmo dell'ottusità, tocca invece, nonostante la trivialità dell'espressione, cose non riducibili alla chiacchiera illuminata o alla misura di un seminario accademico: il bisogno degli uomini di credere e di amare, la sofferenza della sconfitta, la volontà di non dimenticare... Ma basta, qui si cade nel serio... (Piergiorgio Bellocchio)
  • È chiaro professor Eco, è chiaro che lei Kant lo legge fino a tarda notte ma non lo capisce? (Giuliano Ferrara)
  • Era un ragazzo molto divertente e molto, molto spiritoso, assolutamente lontano dal personaggio del professore paludato e serioso che gli si volle affibbiare. (Alda Grimaldi)
  • Umberto Eco. La pietra di Pappagone della cultura italiana. (Marcello Marchesi)
  1. Da Intervista sul Gruppo '63 di Marco Filoni, Il Venerdì di Repubblica n. 1299, febbraio 2013.
  2. Dalla conferenza pronunciata all'Università di Bologna il 15 maggio 2008; citato in Costruire il nemico, La nave di Teseo, Milano, 2020, pagina. ISBN 978-88-346-0335-2
  3. a b Da Come copiare da Internet, L'espresso, 16 gennaio 2006.
  4. Da Ci sono due Grandi Fratelli. Noi rischiamo di riconoscerne uno, L'Espresso, 12 ottobre 2000.
  5. Cfr. Aristotele: «Gli uomini, sia nel nostro tempo sia dapprincipio, hanno preso dalla meraviglia lo spunto per filosofare, poiché dapprincipio essi si stupivano dei fenomeni che erano a portata di mano e di cui essi non sapevano rendersi conto, e in un secondo momento, a poco a poco, procedendo in questo stesso modo, si trovarono di fronte a maggiori difficoltà, quali le affezioni della luna e del sole e delle stelle e l'origine dell'universo».
  6. a b Da Che cosa fanno oggi i filosofi?
  7. Da Eco: se la Lega ignora il romanzo italiano, la Repubblica, 6 marzo 2009.
  8. a b Da De bibliotheca.
  9. Dal discorso alle matricole di Scienze della Comunicazione a Bologna, settembre 2009.
  10. Da Storia della Bellezza, Bompiani, 2004.
  11. Da La macchina del fango, L'Espresso, 30 ottobre 2015.
  12. Da Quando la Storia diventa un romanzo, repubblica.it, 23 novembre 2002.
  13. Da Sul simbolo, in Sulla letteratura, Bompiani, Milano, 2002.
  14. Da Quando entra in scena l'altro nasce l'etica; in Umberto Eco e Carlo Maria Martini, In cosa crede chi non crede, Liberal, 1996, p. 23.
  15. Da Come scrivere bene, in La Bustina di Minerva, La nave di Teseo, Milano, 2020, p. 310. ISBN 978-88-346-0355-0
  16. Da C'è un'identità europea?, La bustina di Minerva, L'espresso, n. 40, anno 2003.
  17. Intervista a Radio Paris Première (27 febbraio 1996); citato in Esperanto (rivista), maggio 1996, n. 1081 (5), pag. 90.
  18. Da Numero zero, Bompiani, Milano, 2015, cap. I.
  19. Commentando le richieste di chiarimenti per una traduzione in cinese di una raccolta di bustine, fra cui alcune su certi riferimenti a vari film di Totò.
  20. Da Ma che capirà il cinese?, La bustina di Minerva, L'espresso, n. 45, anno LIII, 15 novembre 2007.
  21. Citato in Cesare Medail, Umberto Eco va in gol su azione di Shakespeare, Corriere della Sera, 19 dicembre 1997, p. 33.
  22. Da L'effetto Kulesov e l'orso che ride, La bustina di Minerva, L'espresso, 19 febbraio 1989.
  23. Dalla prefazione a Claudio Pozzoli, Come scrivere una tesi di laurea con il personal computer, Rizzoli.
  24. Dall'incontro con i giornalisti in occasione della laurea honoris causa in Comunicazione e cultura dei media conferitagli dall'Università di Torino, 10 giugno 2015; video visibile su Umberto Eco e i social: "Danno diritto di parola a legioni di imbecilli", Video.Repubblica.it, 11 giugno 2015.
  25. Dall'incontro con i giornalisti in occasione della laurea honoris causa in Comunicazione e cultura dei media conferitagli dall'Università di Torino, 10 giugno 2015; citato in Anna Matino, Social, Umberto Eco: "Danno diritto di parola a legioni di imbecilli", BolognaToday.it.
  26. Da La profezia del software, ricerca.repubblica.it, 6 settembre 2000.
  27. Da Noi contro la legge, L'espresso, 27 maggio 2010.
  28. Da Perché ho il diritto di scegliere la mia morte, la Repubblica, 12 febbraio 2009.
  29. Da A portrait of the artist as a bachelor, in Sulla letteratura.
  30. Da L'arte come mestiere, Bompiani, Milano, p. 23. In Riccardo Marchese, Luigi Concato, Giuseppe Tibaldi, Antonio Genovese e Adriano Colombo, Uomini e istituzioni. Ricerche interdisciplinari sui principali meccanismi della società, La Nuova Italia Editrice, Firenze, 19792 ristampa, p. 739.
  31. Da La bustina di Minerva, L'espresso, 2 dicembre 2004.
  32. Da La bustina di Minerva, 1996; citato ne la Repubblica, 16 marzo 2007, p. 56.
  33. Da Su alcune funzioni della letteratura, in Sulla letteratura.
  34. Da un'intervista a The Guardian; citato in Umberto Eco: Berlusconi ritornerà, Affaritaliani.it, 28 novembre 2011.
  35. Dalla trasmissione televisiva Che tempo che fa, Rai 3, 5 febbraio 2006.
  36. Citato in Sulla televisione: Scritti 1956 – 2015, La Nave di Teseo Editore. ISBN 9788893447010
  37. Citato in Franco Minonzio, recensione a Paolo Albani, Paolo della Bella, Forse Queneau. Enciclopedia delle scienze anomale, Biblioteche oggi, luglio-agosto 2001, p. 76.
  38. Da Madre Rai ci conduce il novello Lutero, la Repubblica, 29 dicembre 1987.
  39. Da Su alcune funzioni della letteratura, in Sulla letteratura.
  40. Citato in Orwell o dell'energia visionaria, prefazione a 1984, Mondadori, 1984.
  41. Da Provocare per vincere, in MicroMega n. 4/2003, p. 59.
  42. Citato in Ruggero Puletti, Il nome della rosa. Struttura forme e temi, Piero Lacaita Editore, Manduria, 1995, p. 575.
  43. Citato in "Un giovane fino alla fine", la Repubblica, 27 settembre 1990.
  44. Da L'espresso, 20 luglio 2006, n. 28 anno LII, p. 170.
  45. Dalla conversazione col rabbino Riccardo Di Segni, video disponibile su Espresso.it (minuto 15:00).
  46. Dal ricordo di Elio Vittorini apparso su Linus n. 12, marzo 1996, citato in Paolo Interdonato, Linus. Storia di una rivoluzione nata per gioco, prefazione di Umberto Eco, Rizzoli, Milano, 2015, p. 131. ISBN 978-88-58-67874-9
  47. Citato in Di letteratura e bellezza, Festivaletteratura.it, 20 febbraio 2016.
  48. a b Umberto Eco: "Odio 'Il nome della rosa', è il mio peggior romanzo", intervento al Salone del Libro di Torino, 14 maggio 2011, Video.Repubblica.it.
  49. Citato in Franco Cavallone, prefazione a Fiocca, la neve fiocca, Rizzoli, Milano, 1979.
  50. Da un'intervista sul quotidiano tedesco Berliner Zeitung; citato in Umberto Eco contro Ratzinger, ilPost.it, 20 settembre 2011.
  51. Citato in La sinistra amava Drive in Eco e le ragazze fast food, Il Giornale.it, 23 febbraio 2011.
  52. Da Umberto Eco e Tiziano Sclavi. Un dialogo, in Alberto Ostini (a cura di), Dylan Dog, indocili sentimenti, arcane paure, Euresis, Milano, 1998.
  53. Da Elogio del classico, L'Espresso, 3 ottobre 2013.
  54. Da Cinque scritti morali, Bompiani, 1997.
  55. Citato in "Perché non sempre eravamo d'accordo", l'Espresso, 9 novembre 1975.
  56. Citato in Mario Mazzoleni, Management realizzato: prassi e teorie di un'azienda di successo. Il caso Sunstar, Franco Angeli, 2005, ISBN-10: 8846470303, ISBN-13: 978-8846470300, pagina 144.
  57. Da Ho sposato Wikipedia?, Espresso.it, 4 settembre 2009.
  58. Da Come prepararsi serenamente alla morte. Sommesse istruzioni a un eventuale discepolo, La bustina di Minerva, L'Espresso, 12 giugno 1997; citato in Umberto Eco: "Come prepararsi serenamente alla morte. Sommesse istruzioni a un eventuale discepolo", Espresso.repubblica.it, 20 febbraio 2016.
  59. Dall'intervista di Deborah Solomon, "Populismo e controllo totale dei media: rischio-Berlusconi anche in altri Paesi", traduzione di Elisabetta Horvat, la Repubblica, 25 novembre 2007.
  60. Da La donna è nubile, in Adriana Sartogo, Le donne al muro.
  61. Da Dire quasi la stessa cosa, Introduzione, Bompiani, 2012. ISBN 978-88-58-73955-6
  62. Sintetizzata in «Brera è Gadda spiegato al popolo» (Marco Pastonesi e Giorgio Terruzzi, Palla lunga e pedalare, Dalai Editore, 1992, p. 42, ISBN 88-8598-826-2), tale etichetta irritò non poco Brera: «Umberto smemora, e parla di Gadda spiegato al popolo» (Gianni Brera, L'arcimatto. 1960-1966, Dalai editore, 1993); e ancora, su Gadda: «Lo detesto. È anche lui uno scapigliato che non racconta nulla, fa degli arpeggi da cui non escono melodie. Butirro! Ma andiamo... Nel Pasticciaccio fa due pagine sulla cagata della gallina o sul peto di un carabiniere che si china per vedere una moto. È un insieme di bozzetti. Il signor Eco Umberto, prima di diventare un grande botanico, era un professore pieno di spocchia che pretendeva di giudicare i miei articoli di sette o otto cartelle scritti in un'ora e mezzo. Diceva che ero un Gadda spiegato al popolo: non teneva conto che il giro mentale era diverso.» (dall'intervista di Paolo Di Stefano, Brera, le parole in campo, Corriere della Sera, 10 giugno 1992, p. 8)
  63. Da Apocalittici e integrati.
  64. Durante la campagna elettorale per le elezioni politiche italiane del 2013; in Consiglio al Pd: vola bassissimo, l'Espresso, 14 marzo 2013.
  65. Da Nessuno è ateo in trincea, La bustina di minerva, Espresso.it, 17 aprile 2012.
  66. Da La bustina di Minerva; citato ne la Repubblica, 8 febbraio 2008.
  67. Da Perché ho il diritto di scegliere la mia morte, Repubblica.it, 12 febbraio 2009.
  68. Cfr. Claudio Paolucci, Umberto Eco: tra ordine e avventura, Feltrinelli, Milano, 2017 p. 16. ISBN 9788858826836
  69. Da Perché i libri allungano la nostra vita (1991), in La bustina di Minerva, p. 232.
  70. Citato in Gino e Michele, Matteo Molinari, Le Formiche: anno terzo, Zelig Editore, 1995, § 1465.
  71. Adso sta raccontando un sogno: questa citazione si riferisce all'Iscrizione di San Clemente, una delle prime espressioni scritte tra latino e volgare.
  72. "L'antica rosa rimane nel nome, noi possediamo soltanto nudi nomi". Si tratta di una variante, rintracciabile in manoscritti medievali, di un verso del De contemptu mundi di Bernardo Morliacense, monaco benedettino del XII secolo. Il verso originale di Bernardo è leggermente diverso, poiché recita "stat Roma pristina nomine, nomina nuda tenemus" (I, v. 952). Per approfondire leggi la voce su Wikipedia
  73. Si tratta in realtà di una frase di Emile Cammaerts, comunemente (ma erroneamente) attribuita a Chesterton.
  74. Citato in La misericordia nella vita di Umberto Eco, su zenit.org., 21 febbraio 2016. URL archiato il 6 marzo 2019
  75. Da Evitiamo di far troppi casini, in L'Espresso, Editrice L'Espresso, Roma, 1990, p. 162.
  76. Umberto Eco, Postille a Il nome della rosa, Bompiani, Milano, 1984, p. 7.
  77. Umberto Eco, Postille a Il nome della rosa, Bompiani, Milano, 1984, p. 8.

Bibliografia

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  • Norberto Bobbio, Umberto Cerroni, Umberto Eco, Italo Mancini, Paolo Rossi, Emanuele Severino, Gianni Vattimo, Che cosa fanno oggi i filosofi?, Bompiani, Milano, 1982.
  • Edmondo De Amicis, Cuore. Libro per i ragazzi (1886), seguito da Elogio di Franti di Umberto Eco, a cura di Luciano Tamburini, Einaudi, Torino, 2001. ISBN 8806159291
  • Umberto Eco, A passo di gambero. Guerre calde e populismo mediatico, Bompiani, Milano, 2006. ISBN 8845256200
  • Umberto Eco, Apocalittici e integrati, Bompiani, Milano, 1964.
  • Umberto Eco, Baudolino, Bompiani, Milano, 2000.
  • Umberto Eco, Come si fa una tesi di laurea, Bompiani, 1995.
  • Umberto Eco, Dalla periferia dell'Impero, Cronache da un nuovo medioevo, Bompiani, Milano. ISBN 88-452-2997-1
  • Umberto Eco, Diario minimo, Fabbri Editori, 1992
  • Umberto Eco, Diario minimo, Fabbri Editori-Corriere della Sera, Milano, 1995
  • Umberto Eco, Diario minimo, Mondadori, Milano, 2001.
  • Umberto Eco, De Bibliotheca, in I quaderni di Palazzo Sormani, Biblioteca Comunale di Milano, – Palazzo Sormani, gennaio 1982.
  • Umberto Eco, Il cimitero di Praga, Bompiani, 2010. ISBN 9788845266225
  • Umberto Eco, Il fascismo eterno, La nave di Teseo, Milano, 2018. ISBN 9788893442411
  • Umberto Eco, Il nome della rosa, Bompiani, Milano, 1984.
  • Umberto Eco, Il pendolo di Foucault, Bompiani, Milano, 1999. ISBN 8845215911
  • Umberto Eco, L'isola del giorno prima, Bompiani, Milano, 1994.
  • Umberto Eco, La bustina di Minerva, Bompiani, Milano, 2000. ISBN 88-452-4383-4
  • Umberto Eco, La misteriosa fiamma della regina Loana, Bompiani, Milano, 2004.
  • Umberto Eco, Numero Zero, Bompiani, Milano, 2015
  • Umberto Eco, Postille a Il nome della rosa(1983), in Il nome della rosa, Bompiani, Milano, 2000. ISBN 8845246345
  • Umberto Eco, Segno, Isedi, Milano, 1973.
  • Umberto Eco, Segno e inferenza, in Semiotica e filosofia del linguaggio, Einaudi, 1997.
  • Umberto Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Bompiani, 1995.
  • Umberto Eco, Sette anni di desiderio, Bompiani, Milano, 1983.
  • Umberto Eco, Sugli specchi e altri saggi. Il segno, la rappresentazione, l'illusione, l'immagine, Bompiani, 2012.
  • Umberto Eco, Trattato di semiotica generale, Bompiani, 1975.
  • Adriana Sartogo, Le donne al muro: l'immagine femminile nel manifesto politico italiano, 1945–1977, con interventi di Umberto Eco, Luciana Castellina, didascalie e grafica di Pasquale Prunas, Savelli, Roma, 1977.

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