Grazia Cherchi

scrittrice, giornalista e curatrice editoriale italiana

Grazia Cherchi (1937 – 1995), scrittrice, giornalista e curatrice editoriale italiana.

Citazioni di Grazia Cherchi modifica

  • A me questi diari [di Sof'ja Tolstaja] hanno sollevato non poche perplessità per la costante ossessiva presenza nelle sue pagine della noia, la contessa si annoia mentre succede il finimondo attorno a lei, mentre il marito scrive capolavori, sogna e tenta di realizzare riforme impossibili [...]. Rimpiange le altre vite che avrebbe potuto avere ed è per noia che adotta il diversivo del suicidio simulato, una noia che è invidia rancorosa per un marito che non si annoia mai, una noia da piccola borghese fatta e sputata, di chi si dà all'attivismo per cercare di nascondere il vuoto della propria vita.[1]
  • [Su Il nome della rosa di Umberto Eco] A questo libro non si sfugge. Si deve a tutti i costi averlo letto e apprezzato. In caso contrario bisogna prepararsi a passare alcune ore spiegando perché la nostra comunione mistica col Nome della rosa non è avvenuta. Questo comunque è un problema di esigue minoranze perseguitate: la maggioranza, professori di università compresi, è entusiasta. Il nome della rosa, romanzo per goliardi, è diventato un bestseller mondiale: tutto il mondo è una grande università in pectore. Ho il fondato sospetto che non sia un libro scritto a macchina, ma un libro scritto da una macchina. E chi oggi non aspira ad essere una macchina? Ha il sapore delle patatine dei fast-food, e il fatto emozionante che abbia avuto successo negli USA è la sola ragione per la quale ha avuto successo in Europa. In casi bizzarri come questo la tecnologia passa visibilmente in secondo piano. Gli europei hanno letto voracemente il nome della rosa perché è un libro scritto per essere letto voracemente dagli americani che l'avrebbero letto dopo.[2]
  • [Su I pugni in tasca] Il film, come ho detto, analizza il comportamento di un adolescente, e tale comportamento comprende anche certe reazioni, sprovvedute, infantili e di comodo, al mondo degli adulti. Il regista dà ben poco peso alle reazioni irriverenti di Alessandro, non solo non le prende sul serio, ma ci si spazientisce subito (e il suo film è un film impaziente per spettatori impazienti). Il motivo per cui il film mi sembra importante è che da esso traspare che non c'è nulla da profanare. I 'valori' sbeffeggiati da Alessandro non sono valori per Bellocchio, e quindi non richiedono una seria confutazione. Si è già con questo film in un periodo di molto posteriore alla 'crisi dei valori'. Si riparte da zero. Se così non fosse, la 'battaglia' di Bellocchio sarebbe arretrata e, in qualche modo, interna al sistema. Né c'è traccia nel suo film di ansia di tipo mistico o religioso (come certi furbastri cattolici vorrebbero far credere), si descrive o si accenna a descrivere, un mondo borghese che è solo putrefazione e che non ha possibilità di riscatto. Anzi, non c'è nemmeno un mondo borghese, ma gli ultimi suoi rantolanti sussulti. Solo in questo senso è accettabile la definizione di film di rottura. Il film, ripeto, ha liquidato definitivamente, non solo il vecchio mondo di valori, ma anche la polemica con essi.[3]
  • Un capolavoro del (nostro) Novecento? Casa d'altri, di Silvio D'Arzo. Valeva senz'altro la pena che Einaudi, in un momento in cui si sprecano prefazioni, postfazioni, apparati biobibliografici per coserelle e cosacce, informasse il lettore su chi è D'Arzo – lo scrittore reggiano è ancora sconosciuto ai più –, sulla sua brevissima vita (morì a 32 anni), sulle sue opere principali (che appartengono per certe cose al genere delle ghost stories originalmente rivisitato). Segnalo qui almeno altri due suoi libri: il racconto giovanile Essi pensano ad altro che, brulicante di marginali, frustrati e irregolari nostrani, ha sprazzi di grande potenza visionaria, e Penny Wirton e sua madre, racconto della maturità, pieno d'incanti e di adulte tristezze. Ma come prima cosa chi non conosce D'Arzo corra a comprare Casa d'altri (al mirabile racconto ne fanno seguito altri tre di cui uno datato, probabilmente per una svista) e mi sarà grato in eterno.[4]

Note modifica

  1. Da un articolo su Linus, 5 maggio 1979, pp. 100-101; citato in Cristina Cacciari, Veronica Cavicchioni, Marina Mizzau, Il caso Sofija Tolstoj, Essedue edizioni, Verona, 1981, pp. 34-35.
  2. Da Non si sfugge alla rosa. Ma in nome di che cosa?, "Il manifesto", settembre 1984; poi in Scompartimento per lettori e taciturni. Articoli, ritratti, interviste, Feltrinelli, 1997.
  3. Da un articolo su Giovane critica, n. 12, estate 1966; citato in Antologia critica, ilcinemaritrovato.it.
  4. Da Un capolavoro del (nostro) Novecento?, "Linus", aprile 1981; poi in Scompartimento per lettori e taciturni. Articoli, ritratti, interviste, Feltrinelli, 1997.

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