Jawaharlal Nehru

politico indiano
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Jawaharlal Nehru (1889 – 1964), politico indiano.

Jawaharlal Nehru

Citazioni di Jawaharlal Nehru

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  Citazioni in ordine temporale.

  • Kashmir: il suo richiamo è più forte che mai, la sua magica atmosfera sussurra suadente all'orecchio, il suo ricordo turba la mente.[1]
  • Non bisogna pensare che l'impero degli Stati Uniti si limiti alle sole Filippine. Questo apparentemente è l'unico possedimento degli Stati Uniti; ma approfittando della esperienza e delle difficoltà delle altre potenze imperialistiche, gli americani hanno perfezionato vecchi metodi. Non si danno la pena di annettere un Paese come la Gran Bretagna ha fatto con l'India. Sono interessati unicamente a trar profitti e fanno quindi i passi necessari per assumere il controllo delle ricchezze di un determinato Paese. Mediante il controllo delle ricchezze è molto facile controllare gli uomini e in definitiva il Paese stesso. Così senza troppa fatica, senza urti contro nazionalismi violenti, controllano il Paese e approfittano delle sue ricchezze. Questo metodo ingegnoso va sotto il nome di imperialismo economico. Non appare sulle carte geografiche. Un Paese può sembrare libero e indipendente nei libri di geografia e negli atlanti. Ma per poco che si sollevi il velo, trova che è stretto in una morsa da un altro Paese, o piuttosto dai banchieri e dall'alta finanza di quel Paese. Questo è l'invisibile impero degli Stati Uniti d'America. Ed è questo impero invisibile, ma quanto mai effettivo che la Gran Bretagna cerca di conservare l'India e altrove, mentre esteriormente cede il controllo del meccanismo politico alla popolazione del Paese. (lettera dal carcere, 1933[2])
  • ... gli stalli... hanno almeno questo vantaggio... ci costringono a pensare. (1942[3])
  • Dopo il fallimento morale dell'occidente che ha trascinato il mondo in una serie di guerre disastrose, l'India intende prendere l'iniziativa di promuovere la maggior collaborazione possibile fra i popoli dell'Asia finora isolati dagli imperialisti occidentali. (da un discorso all'inaugurazione della conferenza per le relazioni asiatiche, marzo 1947[4])
  • [Su Gandhi] Il padre della nazione indiana non è più. Ora che la sua luce non si riflette più sulle nostre vite, io non so più che cosa dirvi né come parlarvi. La nostra amata guida non c'è più. Noi, che lo abbiamo visto per tutti questi anni, non possiamo più rivolgerci a lui per consiglio ed aiuto. (da un messaggio radiofonico, 30 gennaio 1948[5])
  • [Sulla guerra di Corea] Prima del conflitto la situazione delle due zone della Corea era tutt'altro che perfetta: occorre ora fare il possibile per porre termine alla guerra, e dovranno essere i coreani stessi a decidere, nelle dovute forme, del futuro del loro Paese. (da un discorso alla terza riunione del Consiglio di Sicurezza, 3 agosto 1950[6])
  • Il governo indiano non ha riconosciuto nessuno dei due governi coreani essendo convinto che la spartizione del Paese era completamente artificiale e non realista e non volendo far nulla che potesse contribuire anche minimamente a confermare la divisione forzata di un popolo desideroso di ricostruire la sua unità alla prima occasione. (da un discorso alla terza riunione del Con­siglio di Sicurezza, 3 agosto 1950[6])
  • Insomma, vi sono riluttanza ed esitazione ad accettare il grandioso mutamento verificatosi in Asia. Si tenta ancora di trattare le grandi nazioni asiatiche alla vecchia maniera. Ma il fatto più importante dell'epoca attuale è proprio l'affiorare di questa nuova Asia, che ha sconvolto il vecchio equilibrio delle forze. (da una dichiarazione all'Onu, 25 gennaio 1951[7])
  • Sono rimasto profondamente preoccupato da taluni sviluppi interni nella Corea meridionale e appoggiare un qualsiasi regime capeggiato dal presidente Syngman Rhee significa appoggiare la guerra e la dittatura. (da un discorso al parlamento, 12 giugno 1952[8])
  • Le Nazioni Unite hanno deviato dalla loro originaria linea di condotta ed in linea indiretta sono divenute le sostenitrici di un nuovo colonialismo. Invece di essere una organizzazione per il conseguimento ed il mantenimento della pace, i suoi componenti hanno cominciato a considerare l'O.N.U. come un organo che sostiene la guerra. (da un discorso al parlamento, 12 giugno 1952[8])
  • L'India non è disposta ad arrestare il proprio lavoro di sviluppo e dedicare le sue risorse alla produzione di armi perché in definitiva la forza di un Paese sta soprattutto nelle condizioni economiche del suo popolo anziché nel possesso di cannoni. (da una dichiarazione a Bangalore, 5 gennaio 1954[9])
  • Da due anni la guerra continua in Indocina con sorti alterne, e si tratta di una guerra relativamente piccola. Ma, se anche in una guerra così piccola è difficile arrivare a una soluzione finché continua il conflitto, che cosa accadrebbe se dovesse scoppiare una guerra mondiale? È estremamente pericoloso oggi cominciare una guerra, anche se si tratta di una guerra limitata. La cessazione del fuoco o qualche altro mezzo possono essere trovati per far terminare le ostilità in Indocina. Non è possibile infatti giungere ad una soluzione finché durano il fuoco, le stragi e la guerra. (da una dichiarazione durante la convocazione della conferenza di Ginevra, 22 febbraio 1954[10])
  • Se noi accettassimo gli aiuti militari americani saremmo degli ipocriti e degli opportunisti. L'India non ha alcuna intenzione di mercanteggiare o di abbandonare la sua libertà per qualsiasi ragione o pressione. È questo un problema nazionale sul quale non possono esservi due opinioni. (da un discorso al parlamento, 1º marzo 1954[11])
  • È motivo per noi di particolare inquietudine il fatto che l'Asia ed i popoli asiatici si trovino sempre più vicini a questi esperimenti e alle conseguenze, potenziali o reali, che ne derivano. Poco si sa sulla bomba H, ma quel poco che ne sappiamo e soprattutto il fatto che gli stessi scienziati possano a stento valutare gli effetti di queste esplosioni consentono di affermare che una tremenda minaccia pesa sull'umanità. (da un discorso al parlamento, 2 aprile 1954[12])
  • Vado a Bandung con la piena speranza che questa conferenza esprima uno spirito nuovo, che è anche lo spirito dei tempi nuovi. Quando una iniziativa va di pari passo col processo storico, essa trionfa necessariamente nonostante gli ostacoli. Noi procediamo nel senso della storia, e perciò il successo deve arridere. (dichiarazione prima di partire per la conferenza di Bandung, 15 aprile 1955[13])
  • I nostri successi non sono diretti contro alcun paese. Essi significano soltanto la equa espressione dei diritti dell'Asia. Essi rappresentano un contributo alla creazione di una atmosfera di pace nel mondo. Essi significano in definitiva che verrà apportato un contributo alla realizzazione della concezione di un mondo unito, che dovrà essere presto o tardi attuata, se il mondo vuole sopravvivere. (da una dichiarazione prima di partire per la conferenza di Bandung, 15 aprile 1955[13])
  • Io sono seguace del principio di Gandhi consistente nell'odiare il male e non coloro i quali fanno il male. In un periodo di circa venti anni, due guerre mondiali hanno dimostrato che gli statisti di tutto il mondo non sono competenti a risolvere i problemi mondiali. Ma la guerra non costituisce una soluzione e nemmeno parlare di guerra offre qualche giovamento, giacché non fa altro che condurre all'odio. (da una dichiarazione durante una conferenza stampa a Vienna, 27 giugno 1955[14])
  • Oggi si vorrebbe chiamare Cina poche persone che abitano l'isola di Formosa. Ma questo non cambia di una virgola il fatto che la Cina esiste. Essa è là. Il suo governo è saldo e nessuno riuscirà a rovesciarlo. Lo si è escluso dalle Nazione Unite, ma che cosa si è guadagnato? Null'altro che un aggravamento della tenzione internazionale. Ed è probabile che se la Cina fosse stata all'ONU non avremmo avuto la guerra di Corea, ma una soluzione pacifica della questione coreana, in sede di Nazioni Unite. (da un colloquio con Konrad Adenauer a Berlino, 15 luglio 1956[15])
  • In Europa si anette troppa importanza al metodo militare. L'Asia è stata giudicata dal punto di vista militare. Ma gli uomini contano tuttora, nonostante la bomba atomica. Il fatto dominante di questa era è l'emergere dell'Asia. Oggi, per la prima volta, vi è la speranza che nel mondo venga realizzato il disarmo. Esso può essere raggiunto gradualmente, è vero. Ma non otterremo mai la pace se ci prepariamo per la guerra. (da un colloquio con Konrad Adenauer a Berlino, 15 luglio 1956)[15]
  • [Sulla crisi di Suez] È vero che l'Egitto aveva il diritto di nazionalizzare il Canale, ma anche le altre nazioni avevano il diritto di mandare le proprie navi per tale via di comunicazione marittima con l'Oriente... Ripetiamo: Nasser aveva tutto il diritto di nazionalizzare Suez, ma il suo sistema di farlo è stato sbagliato. (da un discorso a Nuova Delhi, settembre 1956[16])
  • [Sulla rivoluzione ungherese del 1956] È evidente che il governo magiaro non è un governo libero, ma un governo che è stato imposto con la forza. Se nel corso di dieci anni non è stato possibile convertire il popolo ungherese alle idee sovietiche, ciò sta a dimostrare che siamo di fronte a un fallimento. Io non ho dubbi sul fatto che il popolo ungherese è destinato a trionfare in questa sua lotta per la libertà. (da una dichiarazione al parlamento, 19 novembre 1956[17])
  • Se voi onorate la vostra fede, dovete onorare la fede degli altri che sono diversi da voi. Onorando la fede altrui, esalterete la vostra stessa fede, e farete sì che sia onorata dagli altri. (da una dichiarazione durante un congresso a Nuova Delhi, 1957[18])
  • L'India per secoli fu divisa da sanguinose lotte interne. Poi vennero gli inglesi e ci diedero l'unità. Ma era l'unità di un popolo di schiavi. Siamo rimasti uniti e fermi per secoli: ora che abbiamo cominciato ad alzarci e a camminare ci accorgiamo di avere i piedi indolenziti dalla lunga immobilità. Progrediamo lentamente perché oltre avere i piedi indolenziti abbiamo anche i cervelli ancora ottenebrati dal lungo sonno di secoli. Nessuno di noi migliorerà la propria vita e quella dei propri figli se continuerà ad andare dagli astrologhi a chiedere oroscopi. Nessuno vi vieta di andare dagli astrologhi, ma ci rimettete solo il danaro. Per fare dei progressi bisogna fare sacrifici. Un paese si giudica dall'acciaio che produce e dall'eletricità che consuma. Ma per avere acciaio e elettricità si devono fare sacrifici. Guardate l'Unione Sovietica: oggi produce molto acciaio e molta elettricità: ma i russi hanno dovuto fare 40 anni di sacrifici. Qui in India vogliamo con la libertà e la democrazia far migliorare la vita di tutti. E noi non ci stanchiamo mai di ripetere che ognuno però deve aumentare il proprio lavoro per far aumentare la produttività. Al contrario che cosa avviene? Invece di aumentare la produttività voi aumentate il numero dei vostri figli! (da un discorso a Gurgaon, marzo 1957[19])
  • Le antiche civiltà, con tutti i loro meriti, si sono ovviamente dimostrate inadeguate. La nostra civiltà occidentale, con le sue vittorie e i suoi successi, nonché con le sue bombe atomiche, si dimostra anch'essa inadeguata, e perciò si estende l'opinione che nella nostra civiltà ci sia qualcosa di non giusto. Infatti, i nostri problemi sono in sostanza i problemi della stessa civiltà. La religione ha dettato alcuni precetti morali e spirituali, ma ha anche cercato di perpetrare superstizioni e pregiudizi sociali che in realtà hanno fatto smarrire e hanno soffocato il vero spirito della religione, provocando disillusioni. Sulla scia di questa disillusione, appare il comunismo a offrire una specie di fede e di disciplina, a colmare una certa misura il vuoto formatosi, dando un significato alla vita umana... Purtroppo, essendo il comunismo così strettamente collegato alla necessità della violenza, l'ideale che ha diffuso nel mondo si è corrotto. (dall'articolo L'atteggiamento fondamentale, 1958)[20]
  • Io conosco bene i sentimenti amichevoli dell'America, ma non le chiederò di impegnarsi nei nostri confronti. Domandare un impegno significa contrarre degli obblighi militari, che io desidero evitare. (da un'intervista televisiva alla NBC, 11 dicembre 1959[21])
  • Noi dobbiamo far fronte in Asia ad una nuova situazione che è del tutto nuova nello sviluppo della storia... Si tratta di qualcosa di affascinante, ma anche inquietante. La Cina, naturalmente, sta rapidamente realizzando la sua potenza industriale e sta divenendo, o diverrà, una grande potenza dal punto di vista militare. Ciò crea una situazione del tutto nuova in Asia. (da un'intervista televisiva alla NBC, 11 dicembre 1959[21])
  • È sorto il pericolo di una nuova guerra, e questo pericolo, con la presenza delle armi nucleari, ci fa paura. Tutti i dirigenti di governo dicono che la pace è un bisogno universale. Certamente, l'Unione Sovietica ha fatto per la pace più di tutti gli altri paesi. È stata l'Unione Sovietica a proporre il disarmo generale e completo sotto il controllo internazionale, per liquidare per sempre le minacce di guerra. (da un discorso durante un colloquio con Nikita Sergeevič Chruščëv a Mosca, 8 settembre 1961[22])
  • L'India non comprometterà mai il proprio onore e non abbandonerà mai la propria indipendenza, quali che possano essere le conseguenze di questo atteggiamento. (da un discorso pronunciato l'11 novembre 1962[23])

14 agosto 1947, riportato in Guidaindia.com, n.d.

 
Nehru durante il suo discorso del 14 agosto 1947
  • All'alba della Storia l'India iniziò la sua infinita avventura, durante la quale ha colmato i secoli coi segni dei suoi sforzi, della magnificenza dei suoi successi così come delle sue sconfitte. Ma attraversando fortune e avversità l'India non ha mai perso di vista il suo obiettivo, o dimenticato gli ideali che han costituito la sua forza.
  • Allo scoccare della mezzanotte, mentre il mondo dorme, l'India si sveglierà alla vita e alla libertà.
  • È un momento cruciale per noi in India, per tutta l'Asia e per il mondo. È sorta una nuova stella, la stella della libertà in Oriente, nasce una nuova speranza, una visione a lungo desiderata si è materializzata. Possa quella stella mai tramontare e possa quella speranza mai essere tradita!
  • Il futuro ci chiama. Verso dove ci muoveremo e quali i nostri obiettivi? Portare libertà e opportunità all'uomo comune, ai contadini e ai lavoratori indiani; combattere e sconfiggere la povertà, l'ignoranza e la malattia; costruire una nazione prospera, democratica e progressista, creare istituzioni sociali, economiche e politiche che assicurino giustizia e pienezza della vita per ogni uomo o donna.
  • Il sogno dei più grandi uomini della nostra generazione è stato quello di asciugare ogni lacrima. Finché ci saranno lacrime e sofferenza il nostro lavoro non sarà terminato.
  • La libertà e il potere portano responsabilità. La responsabilità poggia su questa Assemblea, organo sovrano che rappresenta la sovranità del popolo indiano. Prima della nascita alla libertà abbiamo sopportato tutte le sofferenze che ogni parto suppone e i nostri cuori si fanno pesanti al ricordo di tanto dolore, un dolore che in parte continua anche ora. Ma ciò che duole è il passato mentre ciò che ci chiama ora è il futuro.
  • In questo giorno il nostro primo pensiero va all'architetto di questa libertà, al Padre della nostra Nazione il quale, incarnando l'antico spirito dell'India, tenne alta la fiaccola della libertà, illuminando l'oscurità che ci circondava.
    Siamo stati spesso suoi indegni seguaci e abbiamo più volte tradito il suo messaggio; non solo noi ma anche le future generazioni ricorderanno quel messaggio e porteranno impresso nel cuore questo straordinario figlio dell'India, glorioso per la sua fede, la sua forza, il suo coraggio e la sua umiltà. Non permettiamo mai che quella fiaccola venga spenta, per quanto forte sarà il vento o violenta la tempesta.

da un'intervista nel Daily Express, 19 settembre 1950, riportato in Avanti!, 20 settembre 1950

  • Gli americani stanno chiaramente preparando una terza guerra mondiale contro la Russia e i suoi alleati in Asia.
  • L'intervento americano contro il comunismo in Asia va condannato, non solo perché sostiene governi coloniali come quello inglese in Malesia e quello francese in Indocina, ma perché l'America avanza un proprio colonialismo.
  • Se dovessi scegliere tra colonialismo e comunismo, sceglierei il comunismo.

da una dichiarazione alla Camera bassa di Nuova Delhi, 18 febbraio 1953; Avanti!, 19 febbraio 1953

  • Un soldato è una brava persona nel suo proprio dominio, ma questa intrusione della mentalità militare nelle cancellerie del mondo costituisce un pericolo gravissimo.
  • Che la pace, pertanto, venga lasciata in pace. Oggi sembra che la pace sia sinonimo di guerra. Il mondo sta per essere pervaso dalla mentalità militare. L'arte del governare s'ispira sempre più a considerazioni militari. Questo parlare di blocco della Cina, o di misure consimili, non è parlare di pace. Lo sblocco di Formosa ha provocato grave apprensione non solo qui, ma anche in tutto il mondo. Non mi riesce ancora di comprendere quale possa essere la portata di tale decisione. Ma qualunque possa essere il significato che si nasconde dietro di essa, non vi possono essere dubbi sulle impressioni e le ripercussioni che essa ha suscitato. Essa ha avuto un effetto cattivo, ed ha fatto notevolmente aumentare la psicosi di guerra.
  • Ogni atto di politica estera ha per premessa questa domanda: Fa esso aumentare o diminuire la tensione mondiale?

da un discorso al parlamento, 17 settembre 1953; l'Unità, 18 settembre 1953

  • I paesi dell'Asia, anche se deboli, non intendono essere ignorati e schiacciati.
  • L'ONU è, nonostante le sue numerose debolezze, una grande organizzazione mondiale contenente il seme della speranza e della pace. La nazione che tentasse di distruggere l'ONU sarebbe perversa.
  • Viviamo in una situazione precaria, tra la speranza e il timore. Vi sono la bomba atomica, la bomba a idrogeno ed anche la bomba al cobalto, di cui si comincia a parlare. Ma al tempo stesso vi è la prospettiva di una vita infinitamente migliore di quella che il mondo ha sinora conosciuta. L'umanità deve scegliere tra queste due alternative: ovviamente la stragrande maggioranza vuole la pace e il benessere.

21 giugno 1954, riportato ne La Stampa, 5 giugno 1964

  • Sono stato affezionato al Gange ed allo Jumna sin dall'infanzia e, a mano a mano che invecchiavo, l'affetto è diventato ancora più intenso. Ho seguito i mutevoli umori dei due fiumi con l'andazzo dei tempi ed ho spesso meditato sulla storia, sui miti, sulle tradizioni, sui canti e sulle leggende che si riferiscono ad essi attraverso una lunga storia fino a diventare una parte delle loro acque.
  • Il Gange, in modo particolare, è il fiume dell'India, amato dal suo popolo e intorno al quale s'integrano i ricordi collettivi, le speranze e i timori, i canti trionfali, le vittorie e le sconfitte. Il Gange è stato un simbolo della cultura e della civiltà indiane attraverso i secoli, sempre cangiante, sempre scorrevole e tuttavia sempre lo stesso.
  • Sorridente e danzante sotto il sole del mattino, triste e pieno di mistero quando cala la notte, un sottile nastro lento e pieno di grazia in inverno, una massa ruggente durante il monsone, e largo quasi quanto il mare con una parte della sua forza distruttrice, il Gange è stato per me un simbolo ed un ricordo del passato dell'India che si precipita nel presente e sfocia nel vasto oceano dell'avvenire.
  • Sono orgoglioso della grande eredità che è stata e rimane nostra. Sono ugualmente cosciente del fatto che anch'io, come noi tutti, non sono che un anello della catena interminabile che risale sino all'alba della storia nel passato impenetrabile dell'India. Questa catena, io rifiuto di spezzarla poiché la venero e vi cerco l'ispirazione. A prova di questo desiderio e per rendere il mio ultimo omaggio all'eredità culturale dell'India, esprimo la volontà che una manciata delle mie ceneri venga gettata nel Gange, ad Allahabad, affinché sia portata verso il vasto oceano che bagna le rive dell'India.

Conversazioni con Nehru

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  • Quando uno vive una vita molto intensa, pensa più al presente che al passato. Ogni volta che andavo in prigione ero costretto improvvisamente a pensare alla mia vita passata, poiché allora non c'era presente. Il risultato sono stati i libri che ho scritto. Mi riesce difficile pormi in quello stato d'animo di rievocazione introspettiva, se non in prigione. (p. 16)
  • È curioso, ma in certa misura io riesco ad essere solo anche in mezzo a una folla, a staccarmi, in certo modo, dalle attività che sto svolgendo. (p. 16)
  • Mio padre [Motilal Nehru] fu un ribelle, per quel che riguarda molte usanze sociali. Questo, naturalmente ebbe qualche influenza su di me, nei miei primi anni. Secondo una concezione moderna, per molti aspetti mio padre avrebbe potuto essere classificato conservatore. Ma in quei tempi era un gran ribelle. E uomo dal carattere molto forte. (p. 18)
  • Mio padre non era esattamente quello che si dice una persona religiosa. Senza dubbio, aveva un certo rispetto per la religione indù, era stato allevato in essa. Ma non era religioso in alcun senso. Molte delle usanze sociali indù non gli andavano a genio, e cessò di conformarvisi. Venne anche a conflitto con la sua comunità, e fu scomunicato. Non gliene importò assolutamente niente. (p. 19)
  • In Inghilterra, ancora giovane, fui molto influenzato da cose come la Repubblica italiana di Mazzini, Cavour e Garibaldi; dalla lotta degl'irlandesi, che era così vicina. Anzi visitai l'Irlanda agli inizi del movimento dei Sinn Fein. Ne fui molto interessato. (p. 23)
  • Quando cominciarono ad arrivare le notizie della prima Rivoluzione, la Rivoluzione di Kerenskij, naturalmente ne fummo molto felici. Avevo letto alcuni libri e descrizioni di precedenti tentativi in Russia, e sul dominio zarista, così oppressivo e autocratico. Un tipo di dominazione che mi era odioso, e simpatizzai subito con quel movimento rivoluzionario. Non v'era alcuna traccia di marxismo in esso, comunque. La rivoluzione di Kerenskij suscitò grandissimo interesse non soltanto in me ma in tutta l'India. Poi venne la Rivoluzione bolscevica, che fu davvero un fatto molto eccitante. Non se ne poteva sapere gran che, in quel tempo; la guerra era appena finita, e questo, naturalmente, era cosa che assorbiva gran parte della nostra attenzione. Le nostre simpatie andavano a Lenin e agli altri, senza sapere gran che sul marxismo. A quel tempo non avevo ancora letto niente sul marxismo. (pp. 24-25)
  • Dopo la Rivoluzione russa, la cosa che ci impressionò di più fu quest'dea della pianificazione; e più particolarmente le cose che si apprendevano sugli straordinari cambiamenti nell'Asia centrale, che erano regioni molto ma molto arretrate. (p. 27)
  • [Sul Mahatma Gandhi] Egli conduceva la sua lotta alla sua propria maniera, non alla maniera socialista, non con i metodi della lotta di classe, ma semplicemente parlando sempre degli oppressi: specialmente dei contadini dell'India. Così il nostro pensiero divenne sempre più condizionato dai problemi dei contadini dell'India; non tanto dagli operai dell'industria, benché in certa misura anche da questi. (p. 29)
  • [Su Motilal Nehru] Io credo che fu assai più straordinario per lui cadere sotto l'influenza di Gandhi e anche porsi largamente in linea con lui, di quanto non lo fu per me. Egli rappresentava non soltanto una generazione più anziana ma era anche un uomo di forte volontà, a cui non garbava affatto piegare la sua volontà a quella di chiunque altro. Fu una terribile lotta, per lui. Fu una cosa molto graduale. Gandhi rovesciò le basi stesse del suo pensiero; eppure egli subì questo cambiamento. Ora è molto difficile analizzare il perché fu così. (pp. 31-32)
  • Un leader non può divorziare dalle masse, o almeno non completamente. Egli può essere a qualche distanza, spingendole o tirandole. Ma se divorzia da esse, be'... sarà magari un grand'uomo, ma non è un capo. (p. 40)
  • Di quando in quando ho riletto il Gita, e l'ho ammirato. L'ho riletto più e più volte. Non da un punto di vista filosofico e teologico, ma tante parti di quel libro hanno avuto un grande effetto su di me. Cose come queste, per esempio: se una persona fa una cosa giusta, da essa deriveranno i giusti risultati. (p. 41)
  • In realtà, la società indù è anarchica. È una curiosa mescolanza di estrema disciplina sociale, e di anarchia di pensiero. Potete fare quello che volete e pensare quello che volete, in filosofia o in qualsiasi altro campo... Ma dovete rispettare le regole di casta. Una volta spezzate le regole di casta, tutto è anarchia: a meno che non ci mettiate qualche altra cosa... (p. 44)
  • [Sulla partizione dell'India] Venne l'indipendenza, e insieme con essa, venne la suddivisione dell'India, e il terribile massacro e la carestia che vi fecero seguito, sia nel Pakistan che nell'India settentrionale. Fu un'orribile esperienza che quasi ci spezzò. Senza dubbio Gandhi soffrì terribilmente a causa di questo. Gli parve quasi il fallimento di tutta la sua vita... Questo mutuo massacro, e l'odio che l'aveva provocato. Era l'odio che lo addolorava di più. Ricordo che una volta disse: – Se hai una spada nel tuo cuore, è meglio che la tiri fuori e la usi, piuttosto che cullartela in cuore per tutto il tempo. (pp. 45-46)
  • In una posizione di responsabilità si diventa più moderati. Si deve guidare la gente, portarla a sé. Io devo affrontare continuamente questa difficoltà, di non esser capace di portar la gente a me. E a parte tutto il resto, il mio amor proprio è offeso dal fatto che io non riesca a convincere una persona, che non riesca a tirarla dalla mia parte... (p. 48)
  • Io posso essere molto popolare. È vero. Ma non posso agire individualmente. Devo agire attraverso i miei colleghi, attraverso altre persone; devo convincerli alle mie idee o essere convinto alle loro. (p. 50)
  • Un individuo può essere un genio, un altro uno scemo. Non si può farli diventare uguali. Ma quello che è essenziale è che debbono avere uguale opportunità di svilupparsi. (p. 57)
  • La concentrazione del potere – politico, economico, o di qualsiasi altro tipo – è pericolosa, anche quando si tratta di una persona perbene. Ecco perché non vogliamo un re, che è un autocrate. Noi non vogliamo un imperatore economico che detenga tutto il potere. Non ci piacciono i monopoli. In altre parole, la tendenza normale dovrebbe essere per il decentramento di ogni tipo di potere, in modo che il popolo ne possa partecipare in misure uguale. (p. 59)
  • Consideriamo la democrazia durante gli ultimi cento o centocinquant'anni. Alcuni paesi dell'Europa occidentale avevano la democrazia, ma era molto limitata. Il suffragio era ristretto. Era una democrazia per, diciamo, il dieci per cento della popolazione; per il venti, il venticinque per cento. Anche nei paesi più democratici il suffragio universale è molto recente. E anche oggi in molti paesi dell'Europa, le donne ancora non hanno il voto. Ora, una volta ottenuto il suffragio universale, l'apparato democratico può funzionare secondo i suoi desideri della grande maggioranza della popolazione. O almeno si suppone che sia così, a meno ch'essa non sia mal guidata o condotta in direzione sbagliata. (pp. 63-64)
  • Il partito comunista è la macchina per il dittatore comunista. [...] Nei paesi comunisti, il governo e il partito comunista sono alleati, procedono di conserva, e questo è indubbiamente un vantaggio. Ma suppongo che neppure in una dittatura comunista si possa prescindere completamente dai desideri della maggioranza del popolo: se si oltrepassano certi limiti, bisogna poi fare marcia indietro. (p. 67)
  • È vero che il numero dei buddhisti in India oggi è molto ridotto. Ma Buddha e il buddhismo hanno radicalmente trasformato l'induismo; hanno avuto un effetto potente sull'India nel suo insieme. (p. 68)
  • L'intoccabilità non esiste nei treni, nelle fabbriche, nella vita moderna di una città. Nei villaggi, invece, esiste ancora, anche se si sta a poco a poco sradicando. (p. 69)
  • In Birmania vi è stata una forte insurrezione comunista, ma il nazionalismo birmano – che è un nazionalismo molto di sinistra, in sostanza un nazionalismo socialista – ha potuto far fronte alla sfida, e uscirne vincitore. In Indocina il nazionalismo non poteva trionfare da solo, e perciò il comunismo acquistò forza da questa tremenda spinta nazionalista. Anche in India il nazionalismo ha trionfato; un nazionalismo con un contenuto sociale. (p. 72)
  • Per quanto ci riguarda, alludo alla maggior parte della gente in India, noi non abbiamo niente in contrario al comunismo come ideale della società. O al socialismo; come ideali sono entrambi validi. È alla tecnica di azione comunista che ci opponiamo. (p. 74)
 
Nehru con Zhou Enlai e U Nu durante la conferenza di Bandung
  • [Sulla conferenza di Bandung] Per quanto riguarda l'Asia, essa produsse, in certa misura, un senso di solidarietà. Quanto all'America e all'Europa, produsse un senso di... be', un certo allarme per questa solidarietà delle nazioni asiatiche, che in definitiva sfidavano la supremazia che le nazioni occidentali avevano esercitato. (pp. 75-76)
  • [Sulla guerra fredda] Se questa venisse a cessare, se la tensione nel mondo si allentasse, se le paure e le apprensioni diminuissero, io credo che potremmo progredire assai più rapidamente. Se il denaro oggi destinato agli armamenti venisse invece impiegato a questo scopo, non vi sarebbe alcun sovraccarico addizionale per le popolazioni. Si risparmierebbe tanto denaro, in questo modo. Se si potesse usufruire anche soltanto del dieci o del venti per cento del denaro ora speso in armamenti, sarebbe già una grossa somma. (p. 80)
  • In certo senso, dell'energia atomica hanno più bisogno i paesi sottosviluppati che quelli sviluppati; voglio dire, le fonti di energia necessitano più urgentemente alle terre meno sviluppate. Negli Stati Uniti, per esempio, le risorse di energia sono così altamente sviluppate, che essi potrebbero fare a meno dell'energia atomica. Non farebbe in realtà nessuna differenza, per loro. (p. 83)
  • La guerra fredda implica il pensare continuamente in termini di guerra, in termini di preparazione della guerra, e il rischio di arrivare alla guerra calda. (p. 91)
  • Una guerra fredda ha qualche significato soltanto come preludio alla guerra calda. Se la guerra calda non si deve fare, bisogna cercare qualche altro mezzo. Ma la guerra fredda preclude la possibilità di trovare qualsiasi altro mezzo. (p. 92)
  • Ora, a proposito di ideologie, noi senza dubbio non accettiamo il contesto ideologico della Russia sovietica. Ma sul piano economico, o su altri, neanche il contesto degli Stati Uniti d'America si adatta al nostro punto di vista, né al nostro modo di affrontare questi problemi. Dal punto di vista politico noi siamo quella che è chiamata una democrazia parlamentare, che è molto più vicina al punto di vista occidentale. Noi crediamo nelle libertà civili, nella libertà d'espressione, eccetera. Ma vogliamo progredire rapidamente, e intendiamo abolire le disparità esistenti nel nostro paese, disparità economiche e d'altro genere. (p. 92)
  • La Cecoslovacchia avrebbe dovuto resistere alla Germania hitleriana, quali che potessero essere le conseguenze. Mi trovavo giusto in Cecoslovacchia nel 1938, proprio alla vigilia dell'invasione di Hitler. Non potei mai rassegnarmi all'idea che la Cecoslovacchia si sottomettesse a quanto accadde. Ma, naturalmente, io avevo tutto un passato di resistenza, qui in India. (p. 95)
  • Io non sono un pacifista in quel senso. Riconosco che in determinate circostanze uno deve combattere. Ciò dipende meno dalle teorie di quanto non dipenda dalla situazione del popolo, e di quanto esso può fare. Perfino Gandhi, che era un gran pacifista, diceva sempre che è meglio combattere piuttosto che aver paura. È meglio abbandonarsi alla violenza piuttosto che scappare. Con questo voleva dire che non bisogna arrendersi al male, al male fondamentale, e che si deve soltanto preferire di combattere in maniera pacifica. Se questo non è possibile, be', allora si combatte con le armi. Ma non arrendersi al male. (p. 96)
  • Tutti dovrebbero disarmare. Questa è l'essenza della questione del disarmo, oggi; poiché se la guerra viene esclusa, come a quanto pare si fa, non c'è assolutamente altra via d'uscita, almeno a rigor di logica. Escludere la guerra significa risolvere un problema con mezzi diversi dalla guerra. E se tutte le parti in conflitto disarmano – proporzionalmente, intendo – allora il timore reciproco non sorge, poiché la situazione rimane sostanzialmente la stessa, dal punto di vista militare. Naturalmente, è difficile arrivare a questo. (p. 101)
  • Guardi l'Indocina alla Conferenza di Ginevra. Allora in Indocina c'era ancora la guerra. La soluzione che fu trovata per far cessare la guerra fu che le due parti maggiori in conflitto si accordassero di non interferire. Da una parte la Cina temeva che l'Indocina potesse essere usata come base per un attacco contro di lei. Dall'altra parte le potenze occidentali temevano che l'Indocina potesse essere assorbita dalla Cina comunista e usata come base per attaccare altri paesi. Vi erano questi due timori. E l'unico modo per eliminarli, per entrambi, fu di convenire di non interferire e lasciare che l'Indocina elaborasse da sé il suo futuro. (p. 106)
  • In qualche modo, le esigenze della guerra fredda hanno portato indirettamente gli Stati Uniti a incoraggiare il colonialismo. Direttamente, io credo che ad essi il colonialismo come tale non interessi. Ma indirettamente lo incoraggiano. (p. 112)
  • Io credo che il popolo americano abbia molte qualità ammirevoli. Eppure molti aspetti della vita americana non m'interessano. Per esempio, a me non interessa fornire a ogni indiano un'automobile, una lavatrice, un frigorifero. Questo non mi passa neanche per la testa. Non che io sia contrario alle comodità materiali, ma non sono sicuro che averne troppe sia un bene. (p. 117)
  • Quello che lei chiama liberalismo ottocentesco, bene... è vero che quella fede nell'inevitabilità del progresso umano è stata largamente demolita – e certo io non posso dire di esserne sicuro. Pure, debbo dire, senza darne alcuna ragione, che nel fondo del mio animo io ancora credo che vi sia qualcosa, nell'umanità, una qualche forza, che ci fa sopravvivere. Io credo questo nonostante tutte le difficoltà. E se l'umanità sopravvive, essa sopravviverà, ad ogni tappa, ad un livello relativamente più alto. (p. 120)
  • Se la struttura democratica è subordinata a qualche altra cosa, ciò vuol dire in realtà che ad essa si è rinunciato. (p. 128)
  • Di fatto, l'intoccabilità è già stata spezzata. In pratica, essa esiste ancora qua e là, ma il sentimento popolare è contro di essa. Questo, naturalmente, a causa delle nuove condizioni economiche, dei nuovi modi di vita, e grazie alla nostra propaganda, al nostro lavoro, e alle nostre leggi. Nell'idea dell'intoccabilità non c'è più vita. È finita, ormai. (p. 131)
  • Io non direi esattamente, che gli indiani siano più spirituali. Direi piuttosto che una società statica parla di più della cosiddetta spiritualità. (p. 138)
  • L'India ha sempre avuto la tendenza a rimanere nel suo guscio; forse anche più di qualsiasi altro paese. Un grande paese, una vastissima superficie, tende a questo, forse perché è già un mondo in se stesso. Un paese piccolo è costretto a pensare agli altri. (p. 146)
  • Io non so se in molti paesi occidentali o in America ci si renda abbastanza conto di quanto profondamente noi sentiamo la questione del colonialismo. Ce l'abbiamo nel sangue. Abbiamo sofferto troppo, per essa. È inutile che qualcuno ci dica, sì, sì, avete ragione, ma aspettate, ci sono altri problemi molto difficili... Questo è un problema vitale, un problema importantissimo, per noi. Colonialismo e razzismo sono due cose vitali nei paesi asiatici. E quali che possano essere le differenze che ci dividono, tutti ci troviamo d'accordo su questo argomento, come è avvenuto a Bandung. Alcuni paesi, in quella riunione, potevano essere comunisti, altri anticomunisti, ma tutti quanti fummo d'accordo su questa questione a causa del fortissimo sentimento popolare in proposito. Perciò, a noi interessa non soltanto l'eliminazione del colonialismo dai paesi asiatici dove ancora esiste, ma anche dall'Africa. (pp. 154-155)
  • La parola distensione è diventata quasi un insulto, quasi un sinonimo di resa. Bene, che cosa c'è di male nella distensione purché non si ceda sui propri principi? La distensione non si basa sulla resa dei propri principi. In passato noi eravamo abituati a sentirci dire che bisognava comportarsi in maniera civile anche con i propri nemici; perciò, direi, dovremmo comportarci civilmente, e non dire volgarità... A parte ogni altra cosa, non si può riflettere con chiarezza in uno stato di costante sovraeccitazione, di odio, di ira; non si può riflettere con chiarezza quando si è sconvolti dalla passione. E se entrambe le parti avverse vivono in un'atmosfera come questa, né l'una né l'altra può riflettere con calma, e il risultato è pessimo.
  • Il Gita dice, dobbiamo lavorare per ottenere dei risultati, ma non dobbiamo preoccuparci troppo dei risultati. Questo vuol dire, in sostanza, che si deve lavorare ma non si deve essere così attaccati ai risultati da doverne essere sconvolti. In altre parole, bisogna mantenere un certo distacco anche nel pieno dell'azione. (p. 166)

Attribuite

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  • [Sull'Impero anglo-indiano] Una delle principali caratteristiche di quella dominazione è che i peggiori mali inflittici presentano esteriormente l'apparenza di benefici piovuti dal Cielo: essi erano necessari e noi siamo molto grati all'Inghilterra che ce li ha portati. Ma non dobbiamo dimenticare che il primo obiettivo era quello di rafforzare l'imperialismo britannico sul nostro suolo, e questo implicava uno stretto controllo amministrativo e la conquista di nuovi mercati per i prodotti dell'industria inglese.[24]

Eighteen Months in India

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Il titolo dato a questa raccolta di vari saggi e dichiarazioni tende a fuorviare. Questo libro non è una storia degli ultimi diciotto mesi in India, né la storia di una visita turistica in India. Nel marzo del 1936 ritornai dall'Europa e da quel momento in poi ho agito sulla scena pubblica in qualità di presidente del Congresso Nazionale. Questo è stato un periodo movimentato nel sempre mutevole dramma della politica indiana, e ho dovuto necessariamente svolgere un ruolo di primo piano. Per un verso, ha segnato una nuova fase nello sviluppo del nostro movimento nazionale per la libertà. Nuove idee si sono diffuse, nuove speranze si sono destate, si è dovuto far fronte a conflitti e difficoltà nuove, nuovi problemi richiedono soluzione. Una storia di questo breve periodo sarebbe proficua, ma per questo dovremo aspettare. Intanto, potrebbe essere di qualche utilità raccogliere il materiale per questo studio, ed era in quest'ottica che si decise di pubblicare questa raccolta frammentaria di saggi di diverso merito e valore. Essa non pretende di essere niente di più che le mie personali impressioni su determinati eventi e tendenze. Ma forse anche questo può aiutare un po' a capire l'India odierna ed i suoi molteplici problemi.

The title given to this collection of odd essays and statements is apt to mislead. This book is not a history of the past eighteen months in India, nor is it the story of a tourist's visit to India. In March 1936 I returned from Europe and ever since then I have functioned on the public stage as president of the National Congress. This period has been an eventful one in the ever changing drama of Indian politics, and perforce I have had to play a prominent part in it. In a sense it has been a new phase in the development of our national movement for freedom. New ideas have spread, new hopes have arisen, new conflicts and difficulties have had to be faced, new problems require solution. A history of this brief period would be worthwhile, but we shall have to wait for that. Meanwhile it might serve some little purpose to collect the material for this study, and it was with this end in view that it was decided to publish this scrappy collection of essays of varying merit and importance. It does not pretend to be anything more than my personal reactions to certain happenings and tendencies. But perhaps even this may help somewhat in understanding the India of today and her manifold problems.

Citazioni

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  • I poli sono stati conquistati, i deserti cartografati, le alte montagne si sono arrese all'uomo, ma l'Everest resta ancora fiero e invitto. Ma l'uomo è tenace e l'Everest dovrà inchinarsi a lui, poiché il suo esile corpo ha una Mente che non riconosce limiti e uno spirito che non conosce sconfitta. (p. 4)
The Poles have been conquered, the deserts surveyed, the high mountains have yielded to man, though Everest still remains proud and unvanquished. But man is persistent and Everest will have to bow to him, for his puny body has a Mind that recognizes no bounds and a spirit that knows no defeat.
  • Per quanto riguarda la religione, sono fermamente convinto che ci debba essere la più perfetta libertà di fede ed osservanza. Le persone possono venerare Dio in uno qualsiasi dei mille modi che vogliono. Ma rivendico anche quella libertà che consiste nel non adorare Dio se così scelgo, e rivendico anche la libertà di distogliere il popolo da ciò che considero superstizione e pratiche antisociali. (p. 13)
About religion I am quite convinced that there must be the most perfect freedom of faiths and observance. People can worship God in any of the thousand ways they like. Bit I also claim that freedom not to worship God if I so choose, and I also claim freedom to draw people away from what I consider superstition and unsocial practices.
  • Non ho paura della parola comunismo. Per come sono fatto, tutte le mie simpatie vanno al più debole e a colui che è più perseguitato. Questo, di per sé, sarebbe sufficiente per farmi propendere verso il comunismo quando tutto il potere dello Stato e dell'interesse acquisito cerca di schiacciarlo. (p. 14)
I am not afraid of the word communism. Constituted as I am, all my sympathies go to the under-dog and to him who is persecuted most. That in itself would be sufficient to incline me towards communism when all the power of the State and of vested interest tries to crush it.
  • È un modo di procedere indecoroso per un autore entrare in polemica con i suoi critici. (p. 16)
For an author to enter into argument with his critics is an unbecoming procedure.
  • La forza non viene proviene a una nazione o a una comunità dai soli numeri, o da seggi speciali nelle assemblee legislative, o dalla protezione offerta da stranieri. Viene dall'interno e dalla cooperazione e la buona volontà di compagni in una causa comune. Le minoranze in India non si svilupperanno facendosi imboccare dall'alto, ma attraverso i meriti e la forza propri. Qualcuno può immaginare che una maggioranza qualsiasi in India sia in grado di schiacciare gli impavidi sikh, per quanto piccoli di numero. Solo un folle può pensare che i musulmani possono essere dominati e coartati da qualsiasi maggioranza religiosa in India. (pp. 151-152)
Strength does not come to a nation or a community from mere numbers, or special seats in the legislatures, or protection given by outsiders. It comes from within and from the cooperation and goodwill of comrades in a common cause. The minorities in India will not flourish by being spoon-fed from above but by their own merits and strength. Can anyone imagine that any majority in India can crush the brave Sikhs, small as they are in numbers? Only a lunatic can think that the Muslims can be dominated and coerced by any religious majority in India.
  • Una lingua vivente è una cosa palpitante e vitale, sempre in trasformazione, sempre in crescita e tale da rispecchiare il popolo che la parla e la scrive. Essa affonda le sue radici nelle masse, sebbene la sua sovrastruttura possa rappresentare la cultura di una minoranza. (p. 247)
A living language is a throbbing, vital thing, ever changing, ever growing and mirroring the people who speak and write it. It has its roots in the masses, though its superstructure may represent the culture of a few.
  • Le nostre grandi lingue provinciali non sono dialetti o vernacoli locali come talvolta vengono definite dagli ignoranti. Sono lingue antiche con un'eredità ricca, ognuna parlata da molti milioni di persone, ognuna inestricabilmente legata alla vita e alla cultura e alle idee sia delle masse che delle classi superiori. (p. 248)
Our great provincial languages are no dialects or vernaculars as the ignorant sometimes call them. They are ancient languages with a rich inheritance, each spoken by many millions of persons, each tied up inextricably with the life and culture and ideas of the masses as well as of the upper classes.
  • L'alfabeto latino è stato propugnato come soluzione per alcune delle nostre difficoltà linguistiche. È certamente più efficace sia dell'hindi che dell'urdu dal punto di vista di un lavoro rapido. In questi tempi di macchina da scrivere, di duplicatore e altri dispositivi meccanici, l'alfabeto latino presenta grandi vantaggi rispetto agli alfabeti indiani che non possono utilizzare totalmente questi nuovi dispositivi. Ma malgrado questi vantaggi, non penso che ci sia la minima possibilità per l'alfabeto latino di rimpiazzare il devanagari o l'urdu. C'è certamente la barriera del sentimento rafforzata ulteriormente dal fatto che l'alfabeto latino è associato ai nostri padroni stranieri. Ma ci sono ragioni ancor più solide per rifiutarlo. Gli alfabeti sono componenti essenziali delle nostre letterature; senza di essi, saremmo in larga misura tagliati fuori dalla nostra vecchia eredità. (p. 251)
The Latin script has been advocated as a solution of some of our linguistic difficulties. It is certainly more efficient than either Hindi or Urdu from the point of view of rapid work. In these days of the type-writer and duplicator and other mechanical devices, the Latin script has great advantages over the Indian scripts which cannot utilise fully these new devices. But in spite of these advantages I do not think there is the slightest chance of the Latin script replacing Devanagari or Urdu. There is the wall of sentiment of course strengthened even more by the fact that the Latin script is associated with our alien rulers. But there are more solid grounds also for its rejection. The scripts are essential parts of our literatures; without them we would be largely cut off from our old inheritance.
  • Considerare l'hindi come la lingua degli indù e l'urdu come quella dei musulmani è assurdo. L'urdu, tranne il suo alfabeto, appartiene al suolo stesso dell'India e non trova posto fuori dall'India. È tuttora la lingua natale di un gran numero di indù nel nord. (p. 253)
To consider Hindi as the language of the Hindus and Urdu as that of the Muslims is absurd. Urdu, except for its script, is of the very soil of India and has no place outside India. It is even today the home language of large numbers of Hindus in the North.
  • La parola urdu sembra essere entrata in uso durante il periodo moghul negli accampamenti dei moghul, ma sembra che sia stata usata quasi come sinonimo di hindi. Non aveva neppure il significato di variante dell'hindi. Fino alla rivolta del 1857, urdu significava hindi, eccetto l'alfabeto. (p. 253)
The word Urdu seems to have come into use during the Moghal period in the camps of the Moghals, but it appears to have been used almost synonymously with Hindi. It did not signify even a variation of Hindi. Right up to the Revolt of 1857, Urdu meant Hindi, except in regard to script.
  • L'urdu è la lingua delle città e l'hindi la lingua dei villaggi. L'hindi, certo, è parlato anche nelle città, ma l'urdu è quasi esclusivamente una lingua urbana. (p. 255)
Urdu is the language of the towns and Hindi the language of the villages. Hindi is of course spoken also in the towns, but Urdu is almost entirely an urban language.
  • Da parte mia sono fermamente convinto che l'hindi e l'urdu debbano avvicinarsi l'uno all'altro e che, pur potendo indossare vesti differenti, saranno essenzialmente una sola lingua. Le forze che favoriscono questa unificazione sono troppo potenti perché i singoli si oppongano ad esse. (p. 257)
I have no doubt in my mind that Hindi and Urdu must come nearer to each other, and though they may wear different garbs, will be essentially one language. The forces favouring this unification are too strong to be resisted by individuals.
  • Non sono un esperto di questa materia ma la mia impressione è che l'autore medio in hindi e urdu non tenta di sfruttare neppure il pubblico esistente. Pensa molto più ai circoli letterari in cui si muove, e scrive per essi nella lingua che hanno imparato ad apprezzare. La sua voce e la sua parola non raggiungono il più vasto pubblico, e se per caso raggiungono questo pubblico, non vengono capite. C'è da stupirsi allora che i libri in hindi e urdu vendano poco? (p. 258)
I am no expert in this matter but my own impression is that the average writer in Hindi or Urdu does not seek to take advantage of even the existing audience. He thinks much more of the literary coteries in which he moves, and writes for them in the language that they have come to appreciate. His voice and his word do not reach the much larger public, and if they happen to reach this public, they are not understood. Is it surprising that Hindi and Urdu books have restricted sales?
  • Immagino che, di tutte le lingue indiane, il bengalese abbia probabilmente fatto il passo più grande nello sviluppare contatti con le masse. Il bengalese letterario non è qualcosa di separato e distante dalla vita del popolo del Bengala. Il genio di un uomo, Rabindranath Tagore, ha colmato il divario tra la minoranza colta e le masse, e oggi le sue belle canzoni e poesie sono sentite anche nella più umile capanna. Non solo hanno accresciuto il patrimonio della letteratura bengalese, ma hanno arricchito la vita del popolo del Bengala e fatto della sua lingua un potente strumento della più raffinata espressione letteraria con le più semplici parole. (p. 260)
I imagine that probably Bengali, of all Indian languages, has gone furthest in developing contacts with the masses. Literary Bengali is not something apart from and far removed from the life of the people of Bengal. The genius of one man, Rabindra Nath Tagore, has bridged that gap between the cultured few and the masses, and today his beautiful songs and poems are heard even in the humblest hut. They have not only added to the wealth of Bengali literature but enriched the life of the people of Bengal, and made of their language a powerful medium of the finest literary expression in the simplest terms.

Il nostro obiettivo è l'indipendenza nazionale e uno Stato democratico. La democrazia è libertà ma anche disciplina, e dobbiamo quindi sviluppare allo stesso tempo la libertà e la disciplina della democrazia nel nostro popolo.

We aim at national independence and a democratic State. Democracy is freedom but also discipline, and we must therefore develop both the freedom and the discipline of democracy among our people.

Glimpses of World History

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Non so quando o dove queste lettere saranno pubblicate, o se verranno pubblicate affatto, perché l'India di oggi è una terra strana ed è difficile fare profezie.

I do not know when or where these letters will be published, or whether they will be published at all, for India is a strange land to-day and it is difficult to prophesy.

Citazioni

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  • In un paese grande come l'India ci sono, certo, numerosi dialetti - cioè, varianti locali di una lingua. Ci sono anche molte tribù collinari e altri piccoli gruppi in varie parti del paese con lingue speciali. Ma tutte queste hanno poca importanza se si considera l'India nel suo complesso . Solo dal punto di vista del censimento sono importanti. Le vere lingue dell'India [...] appartengono a due famiglie, quella dravidica, [...] e l'indoaria. La lingua indoaria principale era il sanscrito, e tutte le lingue indoarie dell'India sono figlie del sanscrito. Queste sono l'hindi, il bengalese, il gujarati, e il marathi. Ci sono inoltre alcune altre varianti. In Assam vi è l'assamese, e in Orissa o Utkal, viene usata la lingua oriya. L'urdu è una variante dell'hindi. La parola indostano viene usata per significare sia hindi che urdu. Quindi, le lingue principali dell'India sono solo dieci. Indostano, bengalese, gujarati, marathi, tamil, telugu, kannada, malayalam, oriya ed assamese. Di queste, l'indostano, che è la nostra lingua madre, è parlato in tutta l'India settentrionale - nel Punjab, Province Unite, Bihar, Province Centrali, Rajputana, Delhi e nell'India centrale. Questa è un'area enorme abitata da circa 150 milioni di persone. Si può quindi constatare che già 150 milioni parlano l'indostano, con varianti minori, e, come ben sai, l'indostano è capito in gran parte d'India. È probabile che diventerà la lingua comune dell'India. Ma questo certo non significa che le altre lingue principali [...] debbano scomparire. Dovrebbero certamente rimanere come lingue provinciali, poiché hanno pregevoli letterature e non si dovrebbe mai cercare di portare via una lingua ben sviluppata ad un popolo. L'unico modo per un popolo di crescere, per i suoi figli d'imparare, è attraverso la loro lingua. (p. 23)
In a big country like India there are, of course, numerous dialects - that is, local variations of a language. There are also many hill tribes and other small groups in various parts of the country with special languages. But all these are unimportant when you take India as a whole. Only from the point of view of the census are they important. The real languages of India [...] belong to two families, the Dravidian, [...] and the Indo-Aryan. The principal Indo-Aryan language was Sanskrit, and all the Indo-Aryan languages of India are daughters of Sanskrit. These are Hindi, Bengali, Gujrati, and Marathi. There are also some other variations. In Assam there is Assamese, and in Orissa or Utkal the Uriya language is used. Urdū is a variation of Hindi. The word Hindustani is used to mean both Hindi and Urdū. Thus the principal languages of India are just ten. Hindustani, Bengali, Gujrati, Marathi, Tamil, Telugu, Kanarese, Malayālam, Uriya and Assamese. Of these, Hindustani, which is our mother-tongue, is spoken all over northern India - in the Punjab, United Provinces, Bihar, Central Provinces, Rajputana, Delhi and central India. This is a huge area inhabited by about 150,000,000 people. So you see that already 150,000,000 speak Hindustani, with minor variations, and, as you know well, Hindustani is understood in most parts of India. It is likely to become the common language of India. But this of course does not mean that the other principal languages [...] should disappear. They should certainly remain as provincial languages, for they have fine literatures, and one should never try to take away a well-developed language from a people. The only way for a people to grow, for their children to learn, is through their own language.
  • [Sui persiani durante la battaglia di Maratona] Combattevano perché erano pagati; a loro non interessava tanto la conquista della Grecia. Gli ateniesi, d'altro canto, combattevano per la loro libertà. (p. 40)
They fought because they were paid for it; they were not interested very much in the conquest of Greece. The Athenians, on the other hand, fought for their freedom.
  • Temo di avere un debole per criticare re e principi. Vedo poco da ammirare o ossequiare in loro. Ma ora stiamo arrivando a un uomo che, sebbene fosse un re e un imperatore, era grande e degno di ammirazione. Era Ashoka, nipote di Chandragupta Maurya. (p. 61)
I am afraid I am a little too fond of running down kings and princes. I see little in their kind to admire or do reverence to. But we are now coming to a man who, in spite of being a king and emperor, was great and worthy of admiration. He was Ashoka, the grandson of Chandragupta Maurya.
  • Ashoka divenne un fervente buddista e tentò con tutte le sue forze di diffondere il Dharma. Ma non esercitava alcuna forza o costrizione. Solo conquistando i cuori degli uomini tentò di fare convertiti . Gli uomini di religione sono stati raramente, molto raramente, tolleranti quanto Ashoka. (p. 63)
Ashoka became an ardent Buddhist and tried his utmost to spread the Dharma. But there was no force or compulsion. It was only by winning men's hearts that he sought to make converts. Men of religion have seldom, very seldom, been as tolerant as Ashoka.
  • La passione di Ashoka per la protezione della vita si estendeva anche agli animali. Ospedali fatti apposta per loro furono eretti e i sacrifici d'animali furono proibiti. In entrambe queste questioni, era alquanto in anticipo rispetto alla nostra epoca. (p. 64)
Ashoka's passion for protecting life extended to animals also. Hospitals especially meant for them were erected, and animal-sacrifice was forbidden. In both these matters he was somewhat in advance of our own time.
  • Per molti aspetti, l'insegnamento di Gesù è tanto simile agli insegnamenti di Gautama che sembra molto probabile che ne avesse una perfetta conoscenza. Ma il buddhismo era sufficientemente conosciuto in altri paesi, e Gesù avrebbe ben potuto conoscerlo senza venire in India. (p. 84)
In many respects the teaching of Jesus is so similar to Gautama's teachings that it seems highly probable that he was fully acquainted with it. But Buddhism was sufficiently known in other countries, and Jesus could well have known of it without coming to India.
  • È uno dei prodigi della storia il modo in cui gli ebrei, senza patria o rifugio, vessati e perseguitati oltre misura, e spesso fino alla morte, abbiano preservato la loro identità e siano rimasti uniti per oltre duemila anni. (p. 85)
It is one of the wonders of history how the Jews, without a home or a refuge, harassed and persecuted beyond measure, and often done to death, have preserved their identity and held together for over 2000 years.
  • Così, invece di capire e seguire gli insegnamenti di Gesù, i cristiani disputarono e litigarono sulla natura della divinità di Gesù e sulla trinità. Si chiamarono reciprocamente eretici e si perseguitarono e decapitarono fra di loro. C'era una grande e violenta controversia a un certo punto fra le varie sette cristiane su un certo dittongo. Una fazione disse che la parola Homo-ousios deve essere usata in una preghiera; l'altra voleva Homoi-ousios- questa differenza si riferiva alla divinità di Gesù. Una guerra feroce infuriò per questo dittongo e un gran numero di persone fu massacrato. (pp. 86-87)
So, instead of understanding and following the teachings of Jesus, the Christians argued and quarreled about the nature of Jesus' divinity and about the Trinity. They called each other heretics and persecuted each other and cut each other's heads off. There was a great and violent controversy at one time among different Christian sects over a certain diphthong. One party said that the word Homo-ousion should be used in a prayer; the other wanted Homoi-ousion - this difference had reference to the divinity of Jesus. Over this diphthong fierce war was raged and large numbers of people were slaughtered.
  • La parola unno è diventata una terribile parola di biasimo. Così per la parola vandalo. Questi unni e vandali erano probabilmente rozzi e crudeli e causarono molti danni, ma dobbiamo tener presente che tutti i resoconti su di essi di cui disponiamo vengono dai loro nemici, i romani, e non ci si può certo aspettare che siano imparziali. (p. 91)
The word Hun has become a terrible term of reproach. So also has the word Vandal. Probably these Huns and Vandals were rather coarse and cruel and did a lot of damage, but we must remember that all the accounts of them that we have got are from their enemies the Romans, and one can hardly expect them to be impartial.
  • [Sul Sacro Romano Impero] Come impero, divenne un affare molto cupo. Mentre l'impero romano orientale a Costantinopoli continuò come Stato, quello occidentale cambiò e sparì per poi riapparire di tanto in tanto. Fu davvero uno spettrale impero fantasma, che continuava ad esistere in teoria per il prestigio del nome romano e della chiesa cristiana. Era un impero dell'immaginario con poco di reale. (p. 94)
As an empire, it became a very shadowy affair. While the Eastern Roman Empire at Constantinople carried on as a State, this Western one changed and vanished and appeared again from time to time. It was indeed a phantom and ghostly empire, continuing to exist in theory by the prestige of the Roman name and the Christian Church. It was an empire of the imagination with little of reality.
  • Per oltre trecento anni Roma ebbe la supremazia nell'occidente, e dopo, quando fu fondata Costantinopoli, la condivise con essa. È curioso che durante questo lungo arco di tempo non produsse niente di grande nel regno del pensiero, come fece la Grecia antica in breve tempo. Infatti, la civiltà romana sembra essere stata sotto molti aspetti una pallida ombra della civiltà ellenica. In una sola cosa i romani abbiano svolto un eminente ruolo guida. Questo è il diritto. Ancora oggi gli avvocati nell'occidente devono imparare il diritto romano, perché si afferma che sia il fondamento di gran parte delle leggi in Europa.
    L'impero britannico viene spesso paragonato all'impero romano - di solito dagli inglesi, con loro grande soddisfazione. Tutti gli imperi sono più o meno simili. S'ingrassano sullo sfruttamento dei molti. Ma c'è un altra forte somiglianza tra i romani e il popolo inglese - sono entrambi singolarmente privi di immaginazione! Arroganti e compiaciuti, e convinti che il mondo sia stato fatto appositamente a loro vantaggio, trascorrono la vita senza essere turbati da dubbi e da difficoltà. (p. 96)
For over 300 years Rome was supreme in the West, and afterwards, when Constantinople was founded, it shared supremacy with it. It is curious that during this long period it did not produce anything great in the realm of thought, as ancient Greece did in short time. Indeed, Roman civilization seems to have been in many respects a pale shadow of Hellenic civilization. In one thing Romans are supposed to have given a great lead. This is law. Even now lawyers in the West have to learn Roman Law, as it is said to be the foundation of a great deal of law in Europe.
The British Empire is often compared with the Roman Empire - usually by the English, to their own great satisfaction. All empires are more or less similar. They fatten on the exploitation of the many. But there is one other strong resemblance between the Romans and the English people - they are both singularly devoid of imagination! Smug and self-satisfied, and convinced that the world was made specially for their benefit, they go through life untroubled by doubt or difficulty.
  • L'Unno Attila è anche oggi quasi la personificazione della distruzione spietata. (p. 138)
Attila the Hun is even to-day almost the embodiment of ruthless destruction.
  • Si chiamava Teodosio, ed è chiamato il Grande, suppongo perché era grande nel distruggere i vecchi templi e le vecchie statue degli dei e delle dee. Non solo era fortemente contrario a coloro che non erano cristiani: era ugualmente aggressivo nei confronti dei cristiani che non erano ortodossi secondo il suo modo di pensare. Non tollerava alcuna opinione o religione che non approvava. (p. 139)
His name was Theodosius, and he is called the Great, I suppose because he was great in destroying the old temples and the old statues of the gods and goddesses. He was not only strongly opposed to those who were not Christians: he was equally aggressive against Christians who were not orthodox according to his way of thinking. He would tolerate no opinion or religion of which he did not approve.
  • Questo Sacro Romano Impero non era una continuazione del vecchio Impero Romano d'Occidente. Era qualcosa di diverso. Si considerava l'Impero, l'imperatore essendo a capo di chiunque altro nel mondo - eccetto forse il Papa. Tra l'Imperatore e il Papa ci fu per molti secoli una contesa su chi fosse il più grande. [...] Ciò che è interessante notare è che questo nuovo impero doveva essere una rinascita del vecchio Impero romano, quando questo era il più grande, e si diceva che Roma era la padrona del mondo. Ma a questa si aggiunse una nuova idea - quella del Cristianesimo e della Cristianità. Perciò, l'impero era "sacro". L'imperatore doveva essere una specie di Viceré di Dio sulla terra, e lo era anche il Papa. L'uno si occupava delle questioni politiche, l'altro di quelle spirituali. Questa, in ogni caso, era l'idea, e da questo, suppongo, che l'idea del diritto Divino dei re nacque in Europa. L'imperatore era il Difensore della Fede [...]
    Paragona questo imperatore al Khalipha o Califfo, che era chiamato il Comandante dei Fedeli. Il Khalipha era realmente un imperatore e un papa, per cominciare. (p. 158)
This Holy Roman Empire was not a continuation of the old Western Roman Empire. It was something different. It considered itself the Empire, the Emperor being boss over everybody else in the world - except perhaps the Pope. Between the Emperor and Pope there was for many centuries a contest as to who was the greater. [...] What is interesting to note is that this new empire was supposed to be a revival of the old Roman Empire, when this was supreme, and Rome was said to be the mistress of the world. But to this was added a new idea - that of Christianity and Christendom. Hence the Empire was "holy". The Emperor was supposed to be a kind of Viceroy of God on earth, and so was the Pope. One dealt with political matters, the other with spiritual. This was the idea, at any rate, and it was from this, I suppose, that the idea of the Divine right of kings arose in Europe. The Emperor was the Defender of the Faith. [...]
Compare this emperor with the Khalifa or Caliph, who was styled the Commander of the Faithful. The Khalifa was really an emperor and Pope, to begin with.
 
Gengis Khan
  • Gengis è senza alcun dubbio il più grande genio militare e condottiero della storia. Alessandro e Cesare appaiono insignificanti in confronto. (p. 216)
Chengiz is, without doubt, the greatest military genius and leader in history. Alexander and Caesar seem petty before him.
  • Aveva lo spirito di un nomade, e odiava la vita urbana e le città. Gli piaceva vivere nelle steppe o le grandi pianure. A un certo punto, Gengis prese in considerazione l'auspicabilità di distruggere tutte le città della Cina, ma per fortuna desistette! La sua idea era di armonizzare la civiltà con una vita nomade. Ma questo non era, e non è, possibile. (p. 219)
He had the spirit of a nomad, and he hated towns and cities. He liked living in the steppes or great plains. At one time Chengiz considered the desirability of destroying all the cities in China, but fortunately he desisted! His idea was to combine civilization with a nomadic life. But this was not, and is not, possible.
  • Gengis era una persona molto tollerante in materia di religione. La sua religione, se si può definire tale, era lo sciamanesimo, l'adorazione dell'"eterno cielo blu". Era solito fare lunghe conversazioni con i saggi cinesi taoisti, ma rimase sciamanista e, quando si trovava in difficoltà, consultava il cielo. (p. 220)
Chengiz was a very tolerant person in religion. His religion, such as it was, was Shamanism, the worship of the "Everlasting Blue Sky". He used to have long talks with Chinese Tao-ist sages, but he stuck to Shamanism, and when in difficulty, consulted the sky.
  • [Su Gengis Khan] È strano, non trovi?, che questo capo feudale feroce, crudele e violento di una tribù nomade debba affascinare una persona pacifica, non violenta e mite come me, che sono un abitante di città e nemico di tutto ciò che è feudale! (p. 220)
Strange, is it not, that this fierce and cruel and violent feudal chief of a nomadic tribe should fascinate a peaceful and non-violent and mild person like me, who am a dweller of cities and a hater of everything feudal!
  • Kublai completò la conquista della Cina, ma le sue campagne erano molto diverse dalle vecchie campagne mongole. C'era molto meno crudeltà e distruzione. La Cina aveva già placato e civilizzato Kublai. (p. 223)
Kublai completed the conquest of China, but his campaigns were very different from the old Mongol campaigns. There was much less cruelty and destruction. China had already toned down and civilized Kublai.
  • Il potente impero Mongolo si espanse tra Asia ed Europa. Non c'era mai stato nella storia niente di paragonabile alle conquiste mongole; non c'era mai stato un impero così vasto. I mongoli dovevano davvero apparire i signori del mondo all'epoca. (p. 224)
Right across Asia and Europe the mighty Mongol Empire sprawled. There had never been in history anything to compare with the Mongol conquests; there had never been such a vast empire. The Mongols must indeed have seemed at the time the lords of the world.
  • Erano un popolo strano, questi mongoli; estremamente efficienti per certi aspetti e quasi infantili in altri. Persino la loro ferocia e crudeltà, per quanto fosse impressionante, ha una componente infantile. È questo infantilismo in loro, penso, che rende piuttosto attraenti questi feroci guerrieri. (p. 225)
They were a strange people, these Mongols; highly efficient in some ways, and almost childish in other matters. Even their ferocity and cruelty, shocking as it was, has a childish element to it. It is this childishness in them, I think, that makes these fierce warriors rather attractive.
  • [Su Babur] Era una persona incantevole, e le sue memorie scritte ne fanno tuttora una figura molto umana e attraente. (p. 225)
He was a delightful person, and the memoirs that he wrote make him still a very human and attractive figure.
  • [Su Tamerlano] Era un grande generale, ma era un vero selvaggio. [...] Ovunque andasse, spargeva desolazione, pestilenza e miseria totale. Il suo più grande piacere era innalzare enormi piramidi di teschi. (p. 247)
He was a great general, but he was a complete savage. [...] Wherever he went he spread desolation and pestilence and utter misery. His chief pleasure was the erection of enormous pyramids of skulls.
  • Gengis Khan e i suoi mongoli erano crudeli e distruttivi, ma come gli altri della loro epoca. Tamerlano, però, era di gran lunga peggiore. Si distingue per sfrenata e diabolica crudeltà. (p. 247)
Chengiz Khan and his Mongols were cruel and destructive, but they were like others of their time. But Timur was much worse. He stands apart for wanton and fiendish cruelty.
  • [Su Tamerlano] Gli ottomani gli resero omaggio, così come l'Egitto e l'Orda d'Oro. Ma la sua abilità si limitava alle sua capacità come capo militare, che era notevole. Alcune delle sue campagne nelle nevi della Siberia furono straordinarie. Ma in fondo era un nomade barbaro, e non costruì alcuna organizzazione, né lasciò dietro di sé uomini competenti come aveva fatto Gengis per continuare l'impero. Così l'impero di Tamerlano finì con lui e lasciò solo una memoria di massacri e di desolazione. (p. 248)
The Ottomans paid tribute to him, so did Egypt, so did the Golden Horde. But his ability was confined to his generalship, which was remarkable. Some of his campaigns in the snows of Siberia were extraordinary. But at heart he was a barbarous nomad, and he built up no organization and left behind him no competent men, as Chengiz had done, to carry on the empire. So the Empire of Timur ended with him and left a memory only of massacres and desolation.
  • Tamerlano [...] fu una delle peggiori afflizioni che si abbatté sull'India. Si rabbrividisce se si pensa alla scia di orrore che lasciò dietro di lui ovunque andasse. (p. 249)
Timur [...] was one of the worst afflictions that befell India. One shudders to think of the trail of horror which he left behind him wherever he went.
  • Babur stesso era un principe di stampo rinascimentale, ma migliore del tipo europeo di quell'epoca. Era un avventuriero, ma un cavaliere galante, con la passione per la letteratura e l'arte. (p. 287)
[...] Babar was himself a Renaissance type of prince, though a better one than the European type of the period. He was an adventurer, but a gallant knight, with a passion for literature and art.
  • Si dice che queste corti Mogol fossero magnifiche, ed erano forse le più ricche e splendide mai esistite. (p. 288)
It is said that these Moghul Courts were magnificent, and were perhaps the richest and most splendid that have ever existed.
  • Discendente di Gengis e di Tamerlano, aveva qualcosa della loro grandezza ed abilità militare. Ma i mongoli erano diventati più civilizzati dai giorni di Gengis, e Babur era una delle persone più colte ed incantevoli che si potessero incontrare. Non c'era in lui alcun settarismo, alcun fanatismo religioso, e non seminò distruzione come fecero i suoi antenati. (p. 303)
Descended from Chengiz and Timur, he had something of their greatness and military ability. But the Mongols had become more civilized since the days of Chengiz, and Babar was one of the most cultured and delightful persons one could meet. There was no sectarianism in him, no religious bigotry, and he did not destroy as his ancestors used to do.
 
Akbar
  • Come si è visto in seguito, Akbar fu un despota avveduto, e si impegnò instancabilmente per il benessere del popolo indiano. In un certo senso, si potrebbe considerare il padre del nazionalismo indiano. In un'epoca in cui c'era poca nazionalità nel paese e la religione era un fattore di divisione, Akbar pose deliberatamente l'ideale di una comune nazionalità indiana al di sopra delle pretese di una religione separatista. (p. 306)
As it happened, Akbar was a wise despot, and he worked hard for the welfare of the Indian people. In a sense he might be considered to be the father of Indian nationalism. At a time when there was little of nationality in the country and religion was a dividing factor, Akbar deliberately placed the ideal of a common Indian nationhood above the claims of separatist religion.
  • [Su Akbar] Era un combattente abbastanza coraggioso e un abile generale. Diversamente da Ashoka, non disdegnava mai il combattimento. Ma preferiva le conquiste conseguite con l'affetto a quelle ottenute con la spada, e sapeva che sarebbero state più durature. (p. 308)
He was a brave enough fighter and an able general. He was, unlike Ashoka, never averse to fighting. But he preferred the gains of affection to the gains of the sword, and he knew that they would be more enduring.
  • Akbar aveva questo magnetismo e fascino personale in abbondanza; i suoi occhi seducenti erano, nella meravigliosa descrizione dei gesuiti, "luminosi come il mare sotto il sole". C'è da stupirsi che quest'uomo debba tuttora affascinarci, e che la sua figura augusta e virile debba sovrastare la moltitudine di uomini che sono stati solo dei re? (p. 309)
Akbar had this personal magnetism and charm in abundant measure; his compelling eyes were, in the wonderful description of the Jesuits, "vibrant like the sea in sunshine". Is it any wonder that this man should fascinate us still, and that his most royal and manly figure should tower high above the crowds of men who have been but kings?
  • I britannici si considerano i successori dei Mogol nel dominio dell'India e cercano di imitarli in pompa ed ostentazione volgare. (p. 315)
The British consider themselves the successors of the Moghals to the dominion of India and try to copy them in pomp and vulgar display.
[...] a thoroughly incompetent individual.
  • Clive, l'inglese che è così ammirato dai suoi connazionali come grande costruttore di imperi, era un uomo così risoluto. Nella sua persona e nelle sue gesta, illustra come sono costruiti gli imperi. Era impavido e avventuroso e straordinariamente avido, e la sua determinazione non ha avuto esitazioni dinanzi alla falsificazione e alla menzogna. (p. 324)
Clive, the Englishman who is so much admired by his countrymen as a great empire-builder, was such a resolute person. In his person and in his deeds he illustrates how empires are built up. He was daring and adventurous and extraordinarily covetous, and his resolution did not falter before forgery or falsehood.
  • [Sulla battaglia di Plassey] Questa fu una battaglia piccola per gli standard delle battaglie e sicuramente fu vinta in pratica da Clive nei suoi intrighi ancor prima che lo scontro avesse inizio. Ma la piccola battaglia di Plassey ebbe grandi conseguenze. Decise la sorte del Bengala, e si è soliti dire che il dominio britannico in India cominciò da Plassey. (p. 325)
This was a small battle, as battles go, and indeed it had been practically won by Clive in his intrigues even before the fighting began. But the little battle of Plassey had big results. It decided the fate of Bengal, and British dominion in India is often said to begin from Plassey.
  • La rivolta del 1857-58 fu l'ultimo fremito dell'India feudale. Pose fine a molte cose. Pose fine alla stirpe del Gran Mogol, poiché i due figli e un nipote di Bahadur Shah furono uccisi a sangue freddo, senza alcuna ragione o provocazione. [...] La rivolta pose fine anche al dominio della Compagnia britannica delle Indie orientali in India. Il governo britannico ora assunse il controllo diretto, e il governatore generale britannico si elevò al rango di Viceré. (p. 415)
The Revolt of 1857-58 was the last flicker of feudal India. It ended many things. It ended the line of the Great Moghal, for Bahadur Shah's two sons and a grandson were shot down in cold blood, without any reason or provocation. [...] The Revolt also put an end to the rule of the East India Company in India. The British Government now took direct charge, and the British Governor-General blossomed out into a "Viceroy".
  • I Persiani devono essere stati un gran sollievo dopo gli Assiri e i Babilonesi. Erano dominatori civilizzati e tolleranti, che permettevano la fioritura di diverse religioni e culture. (p. 490)
The Persians must have come as a great relief after the Assyrians and the Babylonians. They were civilized and tolerant masters, allowing different religions and cultures to flourish.
  • Nel terzo secolo ci fu una rinascita nazionale in Persia e una nuova dinastia salì al potere. Questa fu la dinastia dei Sasanidi che erano aggressivamente nazionalisti e affermavano di essere i successori dei vecchi re Achemenidi. Come solitamente accade con un nazionalismo aggressivo, questo fu miope ed intollerante. Divenne così perché era stretto tra l'Impero romano e l'Impero bizantino ad occidente e le tribù turche in marcia ad oriente. Eppure, riuscì a resistere per più di 400 anni, fino all'avvento dell'Islam. (p. 491)
In the third century there was a national revival in Persia and a new dynasty further removed . This was the Sassanid dynasty, which was aggressively nationalistic and claimed to be the successor of the old Achæmenid kings. As usually happens with an aggressive nationalism, this was narrow and intolerant. It had become so because it was wedged in between the Roman Empire and the Byzantine Empire of Constantinople on the west, and the advancing Turkish tribes on the east. Still, it managed to carry on for more than 400 years, right up to the coming of Islam.
  • [Sulla conquista islamica della Persia] Verso la fine del loro lungo regno, i Sasanidi s'indebolirono e la Persia si trovava in difficoltà. Dopo lunghe guerre con l'Impero bizantino, ambedue erano allo stremo. Non fu difficile per gli eserciti arabi, pieni di ardore per la loro nuova fede, conquistare la Persia. [...] Nella loro espansione verso l'Asia centrale e il Nord Africa, gli eserciti arabi portarono con loro non soltanto la loro nuova religione, ma una civiltà giovane e in ascesa. Siria, Mesopotamia, Egitto furono tutti assorbiti dalla cultura araba. La lingua araba divenne la loro lingua, e anche razzialmente furono assimilati. [...] La Persia fu allo stesso modo conquistata dagli Arabi, ma non poterono assorbire o assimilare il popolo come avevano fatto in Siria o Egitto. La razza iraniana, essendo di vecchio ceppo ariano, fu ulteriormente differenziata dagli Arabi semiti; anche la loro lingua era una lingua ariana. Così la razza restò distinta e la lingua continuò a fiorire. (p. 491)
Towards the end of their long rule the Sassanids became weak and Persia was in a bad way. After long warfare with the Byzantine Empire both were thoroughly exhausted. It was not difficult for the Arab armies, full of ardour for their new faith, to conquer Persia. [...] As Arab armies spread to Central Asia and North Africa they carried with them not only their new religion, but a young and growing civilization. Syria, Mesopotamia, Egypt were all absorbed by Arabic culture. The Arabic language became their language, and even racially they were assimilated. [...] Persia was similarly conquered by the Arabs, but they could not absorb or assimilate the people as they had done in Syria or Egypt. The Iranian race, being of the old Aryan stock, was further removed from the Semitic Arabs; their language was also an Aryan language. So the race remained apart and the language continued to flourish.
  • Lo Scià Reza giunse al trono in modo pacifico e con metodi in apparenza democratici. Il Majlis funziona tuttora, e il nuovo scià non presume di essere un monarca autocratico. È chiaro però che è lui l'uomo forte al timone del governo persiano. (p. 500)
Riza Shah reached the throne peacefully and by methods which were outwardly democratic. The Mejlis still functions, and the new Shah does not presume to be an autocratic monarch. It is clear, however, that he is the strong man at the helm of the Persian government.
  • [Su Giuseppe Garibaldi] Era tale la magia del suo nome che gli eserciti si dissolvevano al suo arrivo. (p. 509)
Such was the magic of his name that armies melted away at his approach.
  • Il fascismo aveva trionfato e Mussolini era al comando. Ma che cosa rappresentava? Quale era il suo programma e la sua politica? I grandi movimenti sono quasi invariabilmente costruiti attorno ad una ideologia ben definita che cresce attorno a certi principi immutabili e ha obbiettivi e programmi definiti. Il fascismo si distingueva solo per il fatto di non avere alle sue spalle né principi fissi, né ideologia, né filosofia, a meno che possa essere considerata una filosofia la sola opposizione al socialismo, al comunismo e al liberalismo. (pp. 817-818)
Fascism had triumphed and Mussolini was in control. But what did he stand for? What was his programme and policy? Great movements are almost invariably built up round a clear-cut ideology which grows up round certain fixed principles and has definite objectives and programmes. Fascism had the unique distinction of having no fixed principles, no ideology, no philosophy behind it, unless the mere opposition to socialism, communism, and liberalism might be considered to be a philosophy.
  • La violenza è un fenomeno abbastanza comune nella storia, ma è considerata di solito una dolorosa necessità, e viene giustificata e spiegata. Il fascismo, però, non credeva affatto in nessun simile atteggiamento apologetico verso la violenza. La accettarono e la lodarono apertamente, e la praticarono sebbene non ci fosse alcuna resistenza contro di loro. (pp. 818-819)
Violence is a common enough phenomenon in history, but usually it is considered a painful necessity and it is excused and explained. Fascism, however, did not believe in any such apologetic attitude towards violence. They accepted it and praised it openly, and they practised it even though there was no resistance to them.
  • I fascisti si oppongono all'intero principio che è alla base dell'idea democratica, e maledicono la democrazia con tutto il vigore a loro disposizione. Mussolini l'ha definita: "un cadavere in putrefazione"! Allo stesso modo l'idea della libertà individuale è disprezzata dai fascisti, lo Stato è tutto, l'individuo non conta. [...] Cosa avrebbe detto il povero Mazzini, il profeta dell'idealismo democratico del diciannovesimo secolo, al suo connazionale Mussolini! (p. 824)
Fascists object to the whole principle underlying the democratic idea, and they curse democracy with all the vigour at their command. Mussolini has called it a "putrefying corpse"! The idea of individual liberty is equally disliked by the fascists, the State is everything, the individual does not count. [...] What would poor Mazzini, the prophet of nineteenth century-democratic idealism, have said to his fellow-countryman Mussolini!
  • Il fascismo è accesamente nazionalistico, mentre il comunismo è internazionale. Il fascismo, infatti, si oppone all'internazionalismo. Fa dello Stato un dio sul cui altare le libertà e i diritti individuali devono essere sacrificati; tutti gli altri paesi sono estranei e quasi come nemici. (p. 825)
Fascism is intensely nationalistic, while communism is international. Fascism actually opposes internationalism. It makes of the State a god on whose altar individual freedom and rights must be sacrificed; all other countries are alien and almost like enemies.
  • Dal momento che il fascismo si è diffuso in altri paesi, è diventato chiaro che non è un fenomeno peculiare dell'Italia, ma che è qualcosa che appare quando predominano determinate condizioni sociali ed economiche. Ogni volta che i lavoratori diventano potenti e minacciano lo Stato capitalistico, la classe capitalistica cerca naturalmente di salvarsi. Generalmente una simile minaccia da parte dei lavoratori sorge nei periodi di violenta crisi economica. Se la classe proprietaria e dominante non può sopraffare i lavoratori con l'ordinaria soluzione democratica attraverso la polizia e l'esercito, allora adotta il metodo fascista. Questo consiste nel creare un movimento popolare di massa, con degli slogan che attirano la folla, destinato alla protezione della classe proprietaria capitalistica. La spina dorsale di questo movimento viene dalla piccola borghesia, poiché molti dei suoi membri sono colpiti dalla disoccupazione, e molti dei lavoratori e contadini arretrati e disorganizzati sono ugualmene attratti ad esso dagli slogan e dalle speranze di migliorare la loro condizione. Tale movimento è sostenuto finanziariamente dalla grande borghesia che spera di trarre profitto da esso, e sebbene faccia della violenza un credo e una pratica quotidiana, il governo capitalista del paese lo tollera in grande misura perché combatte contro il nemico comune - il movimento socialista dei lavoratori. Come partito, e molto di più qualora diventi il governo di un paese, distrugge le organizzazioni dei lavoratori e terrorizza tutti gli avversari. (p. 826)
As fascism has spread in other countries, it has become clear that it is not a peculiar Italian phenomenon, but that it is something which appears when certain social and economic conditions prevail in a country. Whenever the workers become powerful and actually threaten the capitalistic State, the capitalist class naturally tries to save itself. Usually such a threat from the workers comes in times of violent economic crisis. If the owning and ruling class cannot put down the workers in the ordinary democratic way by using the police and army, then it adopts the fascist method. This consists in creating a popular mass movement, with some slogans which appeal to the crowd, meant for the protection of the owning capitalist class. The backbone for this movement comes from the lower-middle class, most of them suffering from unemployment, and many of the politically backward and unorganized workers and peasants are also attracted to it by the slogans and hopes of bettering their position. Such a movement is financially helped by the big bourgeoisie who hope to profit by it, and although it makes violence a creed and a daily practice, the capitalist government of the country tolerates it to a large extent because it fights the common enemy - socialist labour. As a party, and much more so if it becomes the government in a country, it destroys the workers' organizations and terrorizes all opponents.
  • Trotckij era un brillante scrittore ed oratore, e aveva anche dato prova di essere un grande organizzatore e uomo d'azione. Aveva un intelletto acuto e luminoso, che elaborava teorie di rivoluzione, e contrattaccava ai suoi avversari con parole che pungevano come fruste o scorpioni. Stalin, in confronto, sembrava un uomo ordinario, taciturno, anonimo, tutt'altro che brillante. Eppure era anche un grande organizzatore, un lottatore grande ed eroico, e un uomo dalla volontà ferrea. Infatti, è conosciuto ora come "l'uomo d'acciaio". Mentre Trotckij era ammirato, era Stalin che ispirava fiducia. (p. 851)
Trotsky was a brilliant writer and orator, and had also proved himself a great organizer and man of action. He had a keen and flashing intellect, evolving theories of revolution, and hitting out at his opponents with words that stung like whips and scorpions. Stalin seemed to be a commonplace man beside him, silent, unimposing, far from brilliant. And yet he was also a great organizer, a great and heroic fighter, and a man of iron will. Indeed, he has come to be known as "the man of steel". While Trotsky was admired, it was Stalin who inspired confidence.
  • [Su Stalin] Cupamente e silenziosamente resistette. Non era un oratore: di rado parlava in pubblico. Sembrava essere l'immagine ferrea di un destino ineluttabile che avanza verso un obiettivo predestinato. (p. 855)
Grimly and silently he held on. He was no talker: he hardly spoke in public. He seemed to be the iron image of an inevitable fate going ahead to the predestined goal.
  • La Russia sovietica è già ai primi posti nella scienza, sia nella scienza pura che nelle sue numerose applicazioni. (p. 862)
In science Soviet Russia is already in the first rank, both in pure science and in its numerous applications.
  • L'Italia, sotto Mussolini, assume una posizione molto fredda, pragmatica ed egoista di politica internazionale, e non indulge in frasi pie sulla pace e la buona volontà, come fanno le altre nazioni. Si prepara con impegno alla guerra, poiché è convinta che la guerra è ben presto inevitabile, e nel frattempo manovra per posizionarsi. (p. 944)
Italy, under Mussolini, takes a very cold, matter-of-fact, and selfish view of international politics, and does not indulge in pious phrases about peace and good will, as other nations do. She prepares for war strenuously, for she is convinced that war is bound to come before long, and meanwhile she maneuvers for position.

Nel 1935 ci fu l'invasione d'Abissinia; nel 1936 la Spagna fu attaccata; nel 1937 la Cina fu di nuovo invasa; nel 1938 l'Austria fu invasa e cancellata dalla mappa dalla Germania nazista, e la Cecoslovacchia fu frammentata e ridotta al vassallaggio. Ogni anno ha portato il suo raccolto di disastro, e che dire del 1939, sulla cui soglia stiamo? Cosa porterà a noi e al mondo?

In 1935 there was the invasion of Abyssinia; in 1936 Spain was attacked; in 1937 China was invaded afresh; in 1938 Austria was invaded and removed from the map by Nazi Germany, and Czechoslovakia was broken up and reduced to vassalage. Each year has brought its full crop of disaster, what of 1939 on whose threshold we stand? What will it bring to us and to the world?

Autobiografia

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È facile che l'unico figlio di genitori benestanti sia viziato, e specialmente in India. Quando poi costui è stato figlio unico per i primi quindici anni della sua esistenza, c'è ben poca speranza che egli sfugga a certe premure.

Citazioni

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Nehru e Gandhi
  • Noi siamo originari del Kashmir. Più di duecento anni fa, al principio del diciottesimo secolo, i nostri antenati discesero da quella vallata montana in cerca di fama e di fortuna nelle ricche pianure sottostanti. Erano quelli i giorni della decadenza dell'Impero dei Mogol dopo la morte di Aurungzeb, e Farrukhsiar era l'Imperatore. Raj Kaul, così si chiamava quel nostro antenato, si era guadagnato una posizione eminente nel Kashmir quale studioso di sanscrito e persiano. Egli attirò l'attenzione di Farrukhsiar durante la visita di quest'ultimo nel Kashmir, e, probabilmente su invito dell'Imperatore, la famiglia emigrò a Delhi, la capitale imperiale, verso il 1716. (p. 11)
  • Le genti del Kashmir hanno un vantaggio rispetto alle altre popolazioni dell'India, specialmente nel Nord: non hanno mai adottato il purdah, o separazione delle donne. Quando discesero dalle pianure indiane, trovando che era in vigore tale costume, esse lo adottarono, ma solo in parte e cioè nelle loro relazioni con le popolazioni non provenienti dal Kashmir. (p. 21)
  • Per la prima volta in vita mia incominciai a pensare volutamente alla religione e all'esistenza di altri mondi. Crebbe la mia ammirazione per la religione hindù, non per i suoi riti e le sue cerimonie, ma per i suoi grandi libri, l'Upanishads e il Bahagavad Gita. Non li capivo, naturalmente, ma mi sembravano meravigliosi, sognavo corpi celesti, e mi immaginavo di volare attraverso gli spazi. Questo sogno di volare (con tutta la sola fantasia) si è ripetuto parecchie volte durante tutta la mia vita, a volte era vivo, realistico, e vedevo il paesaggio che si stendeva sotto di me come un vasto panorama. Non so come i moderni divinatori di sogni, Freud e altri, interpreterebbero questi sogni. (p. 26)
  • Attraverso tutte queste pagine ho parlato del signor Gandhi o Mahatma Gandhi chiamandolo «Gandhiji» poiché egli stesso preferiva questa aggiunta al suo nome anziché «Mahatma». Ma in libri e articoli di scrittori inglesi, ho visto delle stranissime spiegazioni di questo «Ji». Taluni l'immaginano un termine affettuoso – Gandhiji significherebbe «caro piccolo Gandhi!». Questo è assolutamente assurdo e dimostra la loro colossale ignoranza della vita indiana. «Ji» in India è uno dei suffissi più comuni dei nomi, e viene usato sia per uomini che per donne, ragazzi e bambini. Esprime un sentimento di rispetto, qualcosa di simile a Signore, Signora o Signorina. La lingua hindostana è ricca di espressioni gentili, di prefissi e di suffissi di nomi e di titoli onorifici. «Ji» è la più semplice e la meno formale di tutte queste forme di cortesia, quantunque perfettamente esatta. Mio cognato, – Ranjit S. Pandit, mi dice che questo «Ji» ha una storia antica e illustre. Deriva dal sanscrito «Arya» che significa signore o di famiglia nobile (non nel significato nazista di ariano!). Questo «Arya» in pracrito si trasformò in «ajja» e di qui si passò al semplice «ji». (p. 41)
  • Quale cultura io possegga, o se io non ne possegga affatto, mi è un po' difficile a dirlo. Il persiano, come lingua, sfortunatamente non lo conosco nemmeno. Ma è vero che mio padre era cresciuto in un'atmosfera culturale indo-persiana, che era nell'India del nord l'eredità della vecchia corte di Delhi, e di cui, persino in questi tempi di decadenza, Delhi e Lucknow sono i due centri principali. I Bramini del Kashmir avevano una straordinaria capacità di adattamento, e scendendo nelle pianure indiane e trovando che a quei tempi predominava questa cultura indo-persiana, l'adottarono e produssero un buon numero di profondi studiosi di persiano e urdu. Più tardi essi si adattarono con uguale rapidità al nuovo cambiamento quando divennero necessari la conoscenza dell'inglese e gli elementi della cultura europea. Ma anche ora i Kashmiriani dell'India vi sono molti elementi dotti in lingua persiana. (pp. 182-183)
  • Budda ha sempre destato in me un grande interessamento. Mi è difficile analizzarlo, non è comunque un interessamento religioso, perché non mi curo dei dogmi che avvolgono il Buddismo. È la sua personalità che mi attira, così come mi attira quella di Cristo. (p. 284)
  • La storia aveva un nuovo significato per me e l'interpretazione marxista vi gettava un torrente di luce, essa diveniva un dramma in atto con un certo ordine e una certa intenzionalità, anche se inconscia, alle spalle. Malgrado gli orrendi guasti e la miseria del passato e del presente, il futuro brillava di speranza, sebbene vi fossero ancora molti pericoli. (p. 378)
  • La grande crisi mondiale e la depressione sembravano giustificare l'analisi marxista. Mentre tutti gli altri sistemi e teorie stavano annaspando nel buio, il solo Marxismo spiegava la situazione in modo più o meno soddisfacente e offriva una soluzione reale. (p. 379)
  • Cos'è allora la religione (per usare la parola malgrado i suoi ovvii svantaggi)? Probabilmente consiste nello sviluppo interno dell'individuo, nella evoluzione della sua coscienza in una determinata direzione che è considerata buona. Cosa sia quella direzione sarà ancora materia di discussione. Ma, per quel che posso dire, la religione pone il suo accento su questo mutamento interiore e considera ogni mutamento esterno come la semplice proiezione di questo sviluppo interiore. Non vi può essere dubbio che questo sviluppo interiore influenzi considerevolmente l'ambiente circostante esterno. Ma è parimenti ovvio che l'ambiente circostante esterno influenza considerevolmente lo sviluppo interiore. (p. 414)
  • Nessuna nazione che sia coscientemente ipocrita potrebbe avere le riserve di forza che gli inglesi hanno ripetutamente mostrato di possedere e la specie di religione che hanno adottato ha senz'altro influito in questo senso, attutendo le loro suscettibilità morali ogni qualvolta fossero in ballo i loro interessi. Altri popoli e altre nazioni si sono spesso comportati assai peggio degli inglesi, ma non sono mai riusciti, per lo meno nella stessa misura, a fare una virtù di ciò che era loro utile. Tutti noi troviamo molto facile scorgere la pagliuzza nell'occhio altrui e ignorare le trave nel nostro, ma forse gli inglesi superano tutti.
    Il protestantesimo ha cercato di adattarsi a nuove condizioni ed ha cercato di avere il meglio dei due mondi. È riuscito abbastanza bene per quel che riguarda questo mondo, ma dal punto di vista religioso è caduto, come organizzazione religiosa, fra due seggi, e la religione gradualmente ha fatto posto al sentimentalismo e ai grossi affari. Il cattolicesimo romano è sfuggito a questo destino, rimanendo fedele al suo vecchio seggio, e fintanto che questo seggio resiste, prospererà. Oggi sembra essere in occidente l'unica religione viva, nel senso ristretto della parola. (p. 417)
  • Io ritengo fermamente che la filosofia del comunismo ci aiuti a comprendere e ad analizzare le condizioni esistenti ovunque e che poi possa indicare la strada verso un progresso futuro. (p. 419)
  • Per molte generazioni gli inglesi hanno trattato l'India come una specie di enorme casa di campagna (secondo il vecchio costume inglese) di loro proprietà. Essi erano i ricchi che possedevano la casa e ne occupavano le parti migliori mentre gli indiani venivano relegati nelle stanze della servitù, nella dispensa e nella cucina. E come in ogni casa di campagna che si rispetti, c'era una gerarchia fissa negli strati inferiori – maggiordomo, portinaio, cuoco, cameriere, donna di servizio, lustrascarpe, ecc. – e fra loro veniva osservata la rigorosa dipendenza. Ma fra gli altri strati superiori della casa esisteva, socialmente e politicamente, una barriera insormontabile. Il fatto che il Governo britannico ci abbia imposto questa situazione non è sorprendente, ma ciò che sembra sorprendente è che noi, o la maggior parte di noi, l'avessimo accettata come l'ordinamento naturale ed inevitabile della nostra vita e del nostro destino. Noi abbiamo sviluppato la mentalità di un buon servitore di una casa di campagna. Qualche volta ci veniva riservato un onore raro, ci veniva data una tazza di té nel salotto. Il sommo della nostra ambizione era diventare rispettabili ed essere promossi individualmente agli strati superiori. Questo trionfo psicologico degli inglesi in India era maggiore di qualsiasi vittoria militare o diplomatica. Lo schiavo aveva incominciato a pensare da schiavo, come avevano detto i saggi vecchi di un tempo. (p. 430)
  • Personalmente, io devo troppe cose all'Inghilterra, per quanto riguarda la mia formazione mentale, per sentirmi totalmente estraneo ad essa. E, per quanto io faccia, non posso sbarazzarmi delle abitudini derivanti dalla mia mentalità e dai sistemi e modi di giudicare gli altri paesi, così come la vita in generale, che ho acquistato nelle scuole e nelle università inglesi. Tutte le mie predilezioni (fatta eccezione per il piano politico) sono per l'Inghilterra e per il popolo inglese, e se sono diventato ciò che può definirsi un incrollabile avversario del dominio britannico in India, è stato quasi a dispetto di me stesso. (p. 431)
  • Sarebbe forse possibile addomesticare la tigre selvaggia delle foreste, e toglierle la sua ferocia naturale, ma non c'è alcuna possibilità di domare il capitalismo e l'imperialismo, quando essi si alleano e si abbattono su un infelice paese. (p. 431)
  • Una delle leggende sull'India, che i nostri dominatori inglesi hanno fatto tenacemente circolare in tutto il mondo, è che l'India avrebbe centinaia di lingue, non me ne ricordo il numero esatto. E a riprova di ciò c'è il censimento. Di queste parecchie centinaia è un fatto straordinario che pochissimi inglesi ne conoscono appena una discretamente bene, nonostante risiedano per tutta la vita nel nostro paese. Essi ne classificano parecchie insieme e le chiamano «vernacolo», il linguaggio degli schiavi (dal latino verna, uno schiavo nato in casa) e molti della loro gente hanno accettato, senza saperlo, questa nomenclatura. È sorprendente come gli inglesi trascorrano una vita intera in India senza prendersi la briga di impararne bene la lingua. Essi hanno sviluppato, con l'aiuto dei loro khansamahs e dei loro ayahs, un gergo straordinario, una specie di indostano fasullo, che essi si immaginano essere la vera lingua. Così come apprendono i fatti relativi alla vita dell'India dai loro subordinati e sicofanti, essi si formano una idea dell'indostano dai propri domestici, i quali si fanno obbligo di parlare la loro lingua fasulla al Sahib di casa, nel timore che questi non capisca null'altro. Gli inglesi sembrano ignorare totalmente il fatto che l'indostano, come pure le altre lingue indiane, hanno un alto merito letterario ed una vasta letteratura. (p. 466)
  • A me sembra che l'India abbia un numero sorprendentemente ridotto di lingue, considerata la sua estensione. Confrontata con la stessa Europa, l'India è molto più strettamente collegata in fatto di lingue, ma a causa del diffuso analfabetismo, non si sono sviluppati dei valori comuni e si sono formati dei dialetti. Le principali lingue dell'India (esclusa la Birmania) sono l'indostano (delle due varietà, hindi ed urdu), il bengali, il gujarati, il marathi, il tamil, il telugu, il malayalam ed il canarese. Se si aggiungessero l'assamese, l'oriya, il sindhi, il pushtu ed il punjabi, verrebbe compreso l'intero paese, ad eccezione di alcune tribù delle colline e delle foreste.
    Di queste lingue, quelle indo-ariane, che comprendono l'intero nord, il centro e la zona occidentale dell'India, sono strettamente collegate. E le lingue meridionali dravidiche, per quanto differenti, sono state molto influenzate dal sanscrito e sono piene di parole sanscrite. (p. 466)
  • [Sulla Lingua indostana] Si basa su un solido fondamento di sanscrito ed è strettamente collegata al persiano. In questo modo può attingere da due ricche fonti, e naturalmente negli anni recenti ha attinto dall'inglese (p. 467)
  • Non ho alcun dubbio che l'indostano stia diventando la lingua comune dell'India. In realtà è già così in gran parte, oggi, per le faccende comuni. Il suo progresso è stato ostacolato da sciocche controversie circa i suoi caratteri di scrittura, nagri o persiani, e dagli sforzi maldiretti delle sue fazioni di usare una lingua che è troppo affine al sanscrito oppure troppo persianizzata. Non c'è alcuna via di uscita dalla difficoltà della scrittura, salvo quella di adottarle entrambe ufficialmente, e permettere alla gente di usare l'una o l'altra. (p. 467)
  • Lo sviluppo e la diffusione dell'indostano non deve entrare in conflitto, e non vi entrerà, con l'uso continuativo e l'arricchimento delle altri grandi lingue dell'India, il bengali, il gujarati, il marathi, l'oriya e le lingue dravidiche del sud. Alcune di queste lingue sono già più vivide e più pronte, intellettualmente, dell'indostano, e, nelle rispettive zone, devono rimanere come lingue ufficiali per scopi educativi e d'altra natura. Solo per loro tramite l'educazione e la cultura possono diffondersi rapidamente fra le masse. Certa gente immagina che l'inglese debba probabilmente diventare la «lingua franca» dell'India. Mi sembra un'idea fantastica, salvo per quanto riguarda una piccola parte degli ambienti intellettuali delle classi superiori, un'idea che non abbia alcuna relazione col problema dell'educazione e della cultura delle masse. Può essere come si verifica oggi in parte, che l'inglese diventi una lingua sempre più usata per le comunicazioni tecniche, scientifiche e commerciali, e specialmente per contatti internazionali. Per molti di noi è essenziale conoscere le lingue straniere, allo scopo di tenerci in contatto con il pensiero e la cultura mondiale, e mi piacerebbe che le nostre università incoraggiassero lo studio di altre lingue, oltre all'inglese, tedesco, russo, spagnolo, italiano. Ciò non significa che l'inglese debba essere trascurato, ma se dobbiamo avere una veduta equilibrata del mondo non dobbiamo limitarci agli occhiali inglesi. (p. 468)
  • Per quanto possiamo incoraggiare le altre lingue straniere, l'inglese è destinato a rimanere il nostro legame principale con il mondo esterno. È così che deve essere. Per generazioni, in passato, abbiamo tentato di apprendere l'inglese, ed in questo sforzo abbiamo ottenuto un buon successo. Sarebbe una follia ora pulire la lavagna e non sfruttare pienamente il nostro lungo sforzo. Oggi l'inglese è indubbiamente la lingua più diffusa ed importante del mondo, e sta guadagnando rapidamente terreno rispetto alle altre. È infatti molto probabile che diventi sempre più il mezzo impiegato negli scambi internazionali e nelle trasmissioni radio, a meno che non gli subentri l'«americano». Pertanto noi dobbiamo continuare a diffondere la conoscenza dell'inglese, dobbiamo impararlo il meglio che sia possibile, ma non mi sembra che noi valga la pena di dedicare troppo tempo e troppa energia ad apprezzare le sfumature migliori di questa lingua, come fanno in vece molti di noi. Possono farlo i singoli, ma stabilirlo come un ideale per un gran numero di persone significa imporre loro un peso superfluo ed impedir loro di progredire in altre direzioni. (pp. 468-469)
  • La letteratura hindi ha un bel passato, ma non può vivere per sempre sul suo passato. Io sono sicuro che essa abbia anche un grande futuro, e che il giornalismo hindi debba costituire un tremendo potere in questo paese. Ma né l'una né l'altro faranno molti progressi, finché non si libereranno delle ristrette convenzioni e non si indirizzeranno coraggiosamente alle masse. (p. 470)
  • Personalmente mi piacerebbe incoraggiare l'indostano ad adattare e ad assimilare molte parole dall'inglese e da altre lingue straniere. Questo è necessario, perché noi manchiamo di termini moderni, ed è meglio avere delle parole ben note piuttosto che sviluppare parole nuove e difficili dal sanscrito, dal persiano, e dall'arabo. I puristi sollevano obbiezioni all'uso di parole straniere, ma io penso che essi commettano un grande errore, perché il mezzo per arricchire la nostra lingua è quello di renderla flessibile e capace di assimilare parole ed idee da altri idiomi. (p. 468)
  • Devo dire che quegli Hindu e quei Mussulmani che guardano sempre indietro, che si attaccano sempre a cose che stanno loro sfuggendo, costituiscono una vista singolarmente patetica. Io non desidero condannare il passato o respingerlo, in quanto nel nostro passato ci sono molte cose particolarmente belle. Non ho alcun dubbio che esso debba durare. Ma non alle cose belle si attacca questa gente, ma a qualcosa che raramente vale la pena di seguire e che spesso porta danno. (p. 485)
  • La Turchia, questo campione dell'Islam, non solo ha posto fine al Khilafat, per cui l'India sostenne una lotta coraggiosa nel 1920, ma si è allontanata un passo dopo l'altro dalla religione. Nella nuova costituzione Turca un articolo afferma che la Turchia è uno stato mussulmano, ma, per paura che vi fosse qualche errore, Kemal Pascià ha dichiarato nel 1927 «La clausola nella Costituzione secondo la quale la Turchia è uno stato mussulmano è un compromesso destinato ad essere eliminato alla prima occasione». Ed io credo che successivamente egli abbia agito in questo senso. L'Egitto, per quanto più cautamente, sta seguendo la stessa via e mantiene la propria politica nettamente distinta dalla religione. In questo modo si comportano anche i paesi Arabi, ad eccezione della stessa Arabia, che è maggiormente arretrata. La Persia sta volgendosi indietro, verso i periodi pre-islamici, per la propria ispirazione culturale. Dappertutto la religione indietreggia in secondo piano ed il nazionalismo appare in vesti aggressive. (pp. 485-486)
  • La gente che non conosce Gandhiji personalmente ed ha soltanto letto i suoi scritti è incline a pensare che egli sia un tipo sacerdotale, estremamente puritano, dalla faccia lunga, un calvinista che perseguiti la gioia, qualcosa simile ai «preti in veste nera che fanno la ronda». Ma i suoi scritti non gli rendono giustizia, egli è molto più grande di ciò che egli scrive, e non è affatto giusto citare ciò che egli ha scritto per criticarlo. Egli è esattamente il contrario del tipo del prete calvinista. Il suo sorriso è delizioso, la sua risata contagiosa, e da lui irradia la sensazione di una straordinaria leggerezza di cuore. In lui c'è qualcosa di infantile che affascina assai quando egli entra in una stanza porta con sé un soffio d'aria fresca, che aerea l'atmosfera.
    Egli è uno straordinario paradosso. Suppongo che, in una certa misura, tutti gli uomini eccezionali lo siano. Per anni mi sono scervellato in questo problema perché, con tutto il suo amore e la sua sollecitudine per i reietti, egli sia tuttavia favorevole ad un sistema che inevitabilmente provoca l'esistenza degli oppressi e li aumenta, perché, con tutta la sua passione per la non-violenza, egli sia favorevole ad una struttura sociale e politica che si basa completamente sulla violenza e sulla coercizione. (p. 528)
  • I Cattolici si volgono a considerare il dodicesimo ed il tredicesimo secolo, lo stesso periodo che altri chiamano «l'era delle tenebre», come l'epoca d'oro della Cristianità, in cui i santi fiorivano, ed i sovrani cristiani salpavano per combattere nelle Crociate, e sorgevano le cattedrali gotiche. Quella fu l'epoca, secondo loro, «della vera democrazia cristiana che venne allora realizzata sotto il controllo delle corporazioni medioevali più pienamente di quanto sia stato mai fatto prima o dopo di allora». I Mussulmani ricordano con nostalgia la «democrazia dell'Islam», sotto i primi Califfi, e la loro sorprendente carriera di vittorie. Gli Hindu pensano la stessa cosa dei periodi dei Veda ed Epico, e sognano un «Rama Raj». E ciononostante tutta la storia ci dice che le grandi masse del popolo vivevano in una profonda miseria in quei giorni lontani, e scarseggiavano di viveri e del minimo necessario per la vita. Negli strati più elevati, ben poca gente poteva abbandonarsi alla vita spirituale, avendo gli agi ed i mezzi di farlo, ma per gli altri è difficile immaginarli nell'atto di compiere qualcosa di diverso della lotta per il minimo necessario per vivere. Ad una persona che sta morendo di fame è inutile parlare di progresso spirituale e culturale, i suoi pensieri saranno concentrati sul vitto e sul modo di procurarselo. (p. 532)
  • È desiderabile o possibile per noi arrestare il funzionamento delle macchine su larga scala nel nostro paese? Gandhiji ha detto ripetutamente di non essere contrario alle macchine come tali, sembra solo che egli pensi che esse siano fuori posto nell'India di oggi. Ma possiamo noi sopprimere le industrie-base, come quelle metallurgiche, od anche le industrie più leggere che già esistono?
    È ovvio che non possiamo farlo. (p. 540)
  • Penso ancora una volta a quel paradosso vivente che è Gandhiji.
    Con tutto il suo acuto intelletto e la sua passione per il miglioramento dei reietti e degli oppressi, perché egli sostiene un sistema che è chiaramente in decadenza e che crea questa miseria e queste disparità? Egli cerca una via d'uscita, è vero, ma non è questa via verso il passato, chiusa e sbarrata? E nel contempo egli benedice tutti i relitti del vecchio ordine, che si ergono, come degli ostacoli, sulla via del progresso, gli Stati feudali, i grandi zamindar e taluqadar, l'attuale sistema capitalista. (p. 541)
  • Odio intensamente la violenza eppure io stesso ne sono pieno e, consciamente o inconsciamente, sono spesso tentato di usare la forza contro gli altri. E vi può essere una coercizione maggiore di quella della coercizione psichica di Gandhiji che riduce molti dei suoi intimi seguaci e colleghi allo stato di stracci mentali? (p. 553)
  • La democrazia significa in effetti la coercizione della minoranza da parte della maggioranza. (p. 558)
  • Il mondo intero si trova oggi nella morsa di varie crisi, ma la maggiore di esse è la crisi dello spirito. Questo è vero in modo speciale in oriente perché i recenti mutamenti in Asia sono stati più rapidi che altrove e l'adattamento è doloroso. (p. 564)
  • Quel che la religione dice può essere buono o cattivo, ma il modo in cui lo dice, e vuole che lo crediamo, non porta certamente a una valutazione razionale di alcun problema. (p. 564)
  • È curioso come Gandhiji renda schiave le menti altrui e poi si stupisca della incapacità della gente. (p. 569)
  • Forse le mie radici sono ancora in parte del diciannovesimo secolo, e sono stato troppo influenzato dalla tradizione umanistica liberale per uscirne del tutto. La base borghese mi segue, ed è naturalmente fonte di irritazione per molti comunisti. Non mi piace il dogmatismo, né l'uso degli scritti di Carlo Marx o di qualsiasi altro libro come di una Rivelazione che non si può criticare, non mi piacciono l'irreggimentazione e le cacce all'eresia che sembrano caratteristiche del Comunismo moderno. Non mi piacciono nemmeno molte cose accadute in Russia, e specialmente l'eccessivo uso della violenza in tempi normali. (p. 605)
  • Mi sembra che l'intero valore del Marxismo stia nella sua assenza di dogmatismo, nell'accento posto su un determinato modo di vedere e di accostare, e nella sua attitudine all'azione. Quel modo di vedere ci aiuta a comprendere i fenomeni sociali dei nostri tempi, e ci addita la via dell'azione e dei superamenti. (p. 606)
  • È difficile essere pazienti con molti Comunisti, essi hanno sviluppato un metodo particolare di irritare gli altri. Ma sono gente aspramente provata e, al di fuori dell'Unione Sovietica, debbono lottare contro enormi difficoltà. Ho sempre ammirato il loro grande coraggio e la loro capacità di sacrificio. (p. 606)
  • La sfida del Fascismo e del Nazismo era in essenza la sfida dell'imperialismo. Erano fratelli gemelli, con questa variante, che l'imperialismo funzionava all'estero con colonie e dipendenze, mentre il Fascismo e il Nazismo funzionavano allo stesso modo anche nella madrepatria. (p. 618)

Lettere a Krishna

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Krishna "Betty" Nehru Hutheesing, sorella minore di Jawaharlal Nehru, nel 1958

Parte di una lettera
diretta alla signora Kamala Nehru

Naini,
Ottobre 1930


Questa parte è per Betty
Sento che stai riunendo ricordi ed allocuzioni. Cosa dovranno celebrare? Sicuramente poche ore trascorse nella prigione di Malacca non meritano un'epopea. In ogni modo non ti gonfiare la testa, o forse è meglio avere la testa gonfia che non averla per niente.

Citazioni

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  • [...] scegli alcuni volumi che contengano la saggezza degli antichi, la fede del medioevo, lo scetticismo del presente e visioni di gloria futura. Prendili, pagali e considerali il tardivo ma affettuoso regalo di un fratello un po' distratto, che pensa spesso alla sua sorellina. Leggi i volumi scelti e costruiscine una città magica piena di castelli incantati, di giardini fioriti, di vivaci ruscelli, dove hanno dimora la bellezza e la felicità e dove non siano ammessi i mali di questo nostro mondo doloroso. Costruendo tale città di magìa ed eliminando tutte le brutture e le miserie che ci circondano, la vita diventerà allora un'avventura senza fine, un lungo e felice cammino. (ottobre 1930; pp. 23-24)
  • [Su Motilal Nehru] L'amore profondo che nutriva per i suoi figli ci circondava e proteggeva. Noi così potevamo vivere la nostra vita notevolmente liberi dagli affanni e dalle ansietà che la maggior parte delle persone deve combattere. Solo pensare a lui era un conforto; egli rappresentava una fonte di forza ed un rifugio ogni qualvolta le durezze della vita ci mettevano alla prova. Dobbiamo fare senza di lui ora ed ogni giorno che passa sento di più la sua assenza ed un senso terribile di solitudine s'impossessa di me. Ma siamo figli di nostro padre ed abbiamo in noi qualcosa della sua grande forza e del suo coraggio e, per quante prove e difficoltà possano colpirci, le affronteremo con risolutezza e con la precisa determinazione di superarle. (21 febbraio 1931; pp. 26-27)
  • [...] Lanka è un posto incantevole: bellissima, fino a saziare della sua bellezza e della prodigalità della natura. Là è sempre pomeriggio, le brezze estive soffiano frusciando tra le rigogliose palme, il grande mare azzurro sfiora con un bacio le deliziose spiagge verdi e canta una ninna-nanna che blandisce e inebria deliziosamente. (22 maggio 1931; p. 29)
  • Il metodo migliore e più affascinante di studiare la storia è attraverso l'arte. (1 novembre 1932; p. 37)
  • La corrispondenza non dovrebbe mai diventare un dovere, altrimenti perde tutto il suo valore. (13 giugno 1933; p. 40)
  • La vita non è una maestra molto gentile o riguardosa. Se uno si lascia andare al movimento delle acque, le onde e le maree probabilmente lo butteranno contro le rocce, ma un buon nuotatore può anche vincere la tempesta. (13 giugno 1933; p. 42)
  • Noi viviamo in un'epoca di massicci cambiamenti e di terribili conflitti, in cui speranza e disperazione combattono per il predominio in ogni mente pensante. (13 giugno 1933; p. 43)
  • La saggezza è cosa che sfugge e ben difficile da afferrare. Tuttavia qualche volta giunge improvvisa e senza che ce ne rendiamo conto. Nel frattempo sarò un suo fedele seguace e cercherò di meritarne i favori. (1 marzo 1934; p. 60)
  • Coloro che hanno avuto il vantaggio dell'esperienza della prigione sanno almeno il valore della pazienza e se hanno tratto profitto dalla loro esperienza, hanno anche imparato il senso di adattamento, che è gran cosa. (1 marzo 1934; p. 60)
  • Le medicine, i preparati e ogni genere di aiuto artificiale non ci portano lontano se noi con comprendiamo che dobbiamo seguire le regole più elementari di igiene, e purtroppo non è cosa facile nella vita moderna. (18 dicembre 1934; p. 70)
  • Ho voluto lasciare la mente sgombra ed occuparmi invece di attività fisiche; è sorprendente quante se ne possano fare in prigione. Le varie pulizie, lavature, e il mantenere «il mio alloggio» nelle condizioni più decenti possibili assorbono gran quantità di tempo. Poi ho cominciato a vangare [...]. In seguito, ho cominciato ad occuparmi della terra fresca – com'è piacevole! abbiamo messo qualche pianticella e dei semi di fiori. Come uno sciocco genitore troppo attaccato alla sua creatura, ho subito iniziato a sciupare il mio lavoro per la cura eccessiva. (2 dicembre 1940; p. 96)
  • Mi mantengo in forma e sano sia fisicamente che mentalmente. È un fatto, credo, che ogni periodo in prigione mi ha recato del bene in un modo o nell'altro; non mi riferisco semplicemente al lavoro che vi ho svolto, ma ad un certo sviluppo che ha avuto luogo e che spero positivo. Riesco benissimo a estraniarmi dalle preoccupazioni e dalle responsabilità che mi accompagnano nella vita normale. Non è che le dimentichi, ma vi penso con più calma e serenità, e le guardo da una prospettiva più ampia. (12 dicembre 1940; p. 101)
  • Dei lunghi periodi di detenzione possono portare un individuo alla distruzione mentale e fisica, o alla filosofia. (12 dicembre 1940; pp. 101-102)
  • Non è necessario che io scriva solo per assicurare te e gli altri che sono vivo e vegeto, perché avete sufficiente fede nella mia vitalità per crederlo. (23 gennaio 1941; p. 103)
  • Io credo fermamente che la famiglia come unità sia importante, specie la famiglia piccola, e soddisfi un bisogno psicologico. Sopravviverà. Ma i legami economici che uniscono in un nucleo familiare numerose persone, tendono a diventare veri e propri legami; spesso aiutano l'individuo, ma anche l'opprimono, interferendo col suo sviluppo. Quando manchi un punto di vista in comune sulla vita, diventano una noia per tutti ed una costante fonte d'irritazione. (28 ottobre 1941; p. 117)
  • Nei momenti di difficoltà e di sforzi l'unico capitale che conti è l'intelligenza e la capacità individuale di affrontare una crisi con calma e di superarla. (28 ottobre 1941; p. 118)
  • Pensando ai grandi avvenimenti e ai grossi sconvolgimenti che ci sono nel mondo si guadagna un senso di prospettiva che fa diventare insignificanti le proprie preoccupazione. (28 ottobre 1941; p. 120)
  • La prigione mi serve sempre come tonico e costituisce un cambiamento della piatta uniformità della vita normale. (18 settembre 1942; p. 125)
  • In prigione, il presente quasi cessa di esistere, perché sensazioni ed emozioni dinamiche sono generalmente assenti. Soltanto il passato ed il futuro contano; alcuni si perdono nel passato, altri si immergono in un futuro indefinito. Fino ad un certo punto tutti si abbandonano alla rievocazione del passato, in quanto sembra l'unica cosa che possa venir esaminata senza molta difficoltà, ed in ogni modo è più facile lasciar vagare la mente senza alcuno scopo in sentieri conosciuti. Per parte mia sono quasi sempre più interessato al futuro; è sempre molto più stimolante, e l'ignoto ha anche un fascino fatale. Soddisfa anche la propria presunzione immaginare che si potrebbe essere capaci di modellarlo come emerge dalla melma e dal fango del presente, come fa un vasaio con la sua argilla. Probabilmente è una presunzione vuota, ma ciò nondimeno fa bene all'anima. (10 novembre 1942; p. 134)
  • Mi sono convinto che questa [vita], pur con tutte le sue stranezze, ci offre alla fine ciò che noi le chiediamo, o meglio ciò che noi siamo capaci di ricevere dalla sua inesauribile riserva. In un certo senso riflette le nostre capacità e il nostro temperamento. Se i nostri interessi sono sufficientemente vari, possiamo apprezzarla e assorbire da essa, se al contrario le nostre vedute sono ristrette, la nostra vita ne ricalcherà fedelmente le orme. (31 ottobre 1944; p. 240)
  • Munshi ha l'abitudine di usare un linguaggio ornato e «flamboyant» che suona bene a volte, ma che non sembra avere troppo significato. (14 novembre 1944; p. 242)

The Discovery of India

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Forte Ahmadnagar, 13 aprile 1944
Sono trascorsi più di venti mesi da quando siamo stati portati qui, più di venti mesi dalla mia nona incarcerazione. La luna nuova, una falce scintillante nel buio cielo, ci accolse al nostro arrivo qui. Le due fulgenti settimane di luna crescente erano iniziate. Sin d'allora, ogni ritorno della luna nuova mi ricordava che un altro mese della mia prigionia era trascorso.

Ahmadnagar Fort, 13th April 1944
It is more than twenty months since we were brought here, more than twenty months of my ninth term of imprisonment. The new moon, a shimmering crescent in the darkening sky, greeted us on our arrival here. The bright fortnight of the waxing moon had begun. Ever since then each coming of the new moon has been a reminder to me that another month of my imprisonment is over.

Citazioni

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  • La civiltà della valle dell'Indo, così come noi la troviamo, raggiunse un alto grado di sviluppo e deve aver impiegato migliaia di anni per arrivare a quello stadio. Fu, abbastanza sorprendentemente, una civiltà essenzialmente secolare, e l'elemento religioso, benché presente, non dominò la scena. (p. 70)
The Indus Valley civilization, as We find it, was highly developed and must have taken thousands of years to reach that stage. It was, surprisingly enough, a predominantly secular civilization, and the religious element, though present, did not dominate the scene.
  • Tra questa civiltà della valle dell'Indo e l'India attuale ci sono molte lacune e periodi di cui sappiamo poco. I legami che uniscono un periodo ad un altro non sono sempre evidenti, e ovviamente sono accadute molte cose e innumerevoli cambiamenti si sono verificati. Ma c'è sempre un senso sottostante di continuità, di una catena ininterrotta che lega l'India moderna al periodo remoto di sei o settemila anni fa quando la civiltà della valle dell'Indo probabilmente ebbe inizio. (p. 72)
Between this Indus Valley civilization and to-day in India there are many gaps and periods about which we know little. The links joining one period to another are not always evident, and a very great deal has of course happened and innumerable changes have taken place. But there is always an underlying sense of continuity, of an unbroken chain which joins modern India to the far distant period of six or seven thousand years ago when the Indus Valley civilization probably began.
  • È strano pensare che l'India, con il suo sistema di caste e il suo esclusivismo, abbia questa sorprendente capacità inclusiva di assimilare razze e culture straniere. Ciò si dové forse a questo, che conservò la sua vitalità e di tanto in tanto ringiovanì sé stessa. (pp. 73-74)
It is odd to think of India, with her caste system and exclusiveness, having this astonishing inclusive capacity to absorb foreign races and cultures. Perhaps it was due to this that she retained her vitality and rejuvinated herself from time to time.
  • In quanto fede, l'induismo è vago, amorfo, poliedrico, tutto a tutti. È pressoché impossibile definirlo o addirittura dire se è una religione, nel senso usuale del termine o no. Nella sua forma odierna, e anche nel passato, abbraccia molte credenze e pratiche, dalle più alte alle più basse, spesso opposte o in contraddizione fra loro. Il suo spirito essenziale sembra essere quello di vivere e lasciar vivere. (p. 75)
Hinduism, as a faith, is vague, amorphous, many-sided, all things to all men. It is hardly possible to define it, or indeed to say definitely whether it is a religion or not, in the usual sense of the word. In its present form, and even in the past, it embraces many beliefs and practices, from the highest to the lowest, often opposed to or contradicting each other. Its essential spirit seems to be to live and let live.
 
Nehru con Mohammad Ali Jinnah nel 1946
  • [Su Mohammad Ali Jinnah] Non lasciò il Congresso a causa di differenze d'opinione sulla questione indù-musulmana, ma perché non poteva adattarsi alla nuova e più avanzata ideologia, e ancora di più perché non sopportava la folla di persone trasandate che parlavano in indostano e affollavano il Congresso. La sua idea della politica era di un genere superiore, più adatta alla camera legislativa o a una sala conferenze. (p. 361)
He left the Congress not because of any difference of opinion on the Hindu-Moslem question but because he could not adapt himself to the new and more advanced ideology, and even more so because he disliked the crowds of ill-dressed people, talking in Hindustani, who filled the Congress. His idea of politics was of a superior variety, more suited to the legislative chamber or to a committee-room.
  • Anche nella Lega musulmana il Signor Jinnah è una figura solitaria che si tiene distante dai suoi colleghi più vicini, ampiamente rispettato, ma con distacco, più temuto che amato. Sulla sua abilità come politico non vi sono dubbi, ma in qualche modo questa abilità è legata alle condizioni peculiari dell'attuale dominio britannico in India. Si distingue come politico-avvocato, come stratega, come uno che pensa di mantenere l'equilibrio tra l'India nazionalista e il potere britannico. Se le condizioni fossero diverse e se dovesse affrontare concreti problemi politici ed economici, è difficile dire fin dove lo porterebbe questa abilità. Forse lui stesso dubita al riguardo, sebbene non abbia assolutamente una bassa opinione di sé. Questo potrebbe spiegare quell'impulso inconscio in lui di opporsi al cambiamento, di lasciare le cose come sono, e di evitare la discussione e la serena valutazione dei problemi con persone che non sono completamente d'accordo con lui. (p. 389)
Mr. Jinnah is a lone figure even in the Moslem League, keeping apart from his closest co-workers, widely but distantly respected, more feared than liked. About his ability as a politician there is no doubt, but somehow that ability is tied up with the peculiar conditions of British rule in India to-day. He shines as a lawyer-politician, as a tactician, as one who thinks that he holds the balance between nationalist India and the British power. If conditions were different and he had to face real problems, political, and economic, it is difficult to say how far his ability would carry him. Perhaps he is himself doubtful of this, although he has no small opinion of himself. This may be an explanation for that subconscious urge in him against change, to keep things going as they are, and to avoid discussion and the calm consideration of problems with people who do not wholly agree with him.
  • [Su Mohammad Ali Jinnah] Le sue avversioni e antipatie sono evidenti, ma che cosa gli piace? Con tutta la sua forza e tenacia, è una persona stranamente negativa, il cui simbolo appropriato potrebbe ben essere un «no». Per questo tutti i tentativi di comprendere il suo aspetto positivo falliscono, e resta inafferrabile.
    Da quando il dominio britannico si stabilì in India, i musulmani hanno prodotto poche figure eminenti del tipo moderno. Hanno prodotto degli uomini notevoli ma, di norma, rappresentavano la continuazione della vecchia cultura e tradizione, e non si integravano facilmente con gli sviluppi moderni. [...] Anche gli indù sono arretrati, talvolta ancora più provinciali e vincolati a modi tradizionali di pensiero e pratica dei musulmani, ma ciò nonostante hanno prodotto uomini molto eminenti nella scienza, nell'industria, e in altri campi. (p. 390)
His aversions and dislikes are obvious, but what does he like? With all his strength and tenacity, he is a strangely negative person whose appropriate symbol might well be a "no". Hence all attempts to understand his positive aspect fail and one cannot come to grips with it.
Since British rule came to India, Moslems have produced few outstanding figures of the modern type. They have produced some remarkable men but, as a rule, these represented the continuation of the old culture and tradition and did not easily fit with modern developments.
[...] The Hindus are backwards also, sometimes even more hide-bound and tied up with traditional ways of thought and practice than the Moslems, but nevertheless they have produced some very eminent men in science, industry, and other fields.
  • La richiesta del signor Jinnah era basata su una nuova teoria che egli aveva avanzato di recente: che l'India consistesse in due nazioni, indù e musulmana. Perché solo due lo ignoro, dato che se la nazionalità fosse basata sulla religione, allora ci sarebbero state molte nazioni in India. Di due fratelli, uno potrebbe essere un indù e l'altro un musulmano; essi apparterrebbero a due nazioni diverse. Queste due nazioni esistevano in proporzioni variabili nella più gran parte dei villaggi in India. Erano nazioni prive di frontiere; si sovrapponevano. Un musulmano bengalese e un indù bengalese che vivevano insieme, parlavano la stessa lingua, e avevano praticamente le stesse tradizioni e costumi, appartenevano a due nazioni diverse. Tutto ciò era estremamente difficile da afferrare; sembrava un ritorno a una qualche teoria medievale. (p. 392)
Mr. Jinnah's demand was based on a new theory he had recently propounded—that India consisted of two nations, Hindu and Moslem. Why only two I do not know, for if nationality was based on religion, then there were many nations in India. Of two brothers one may be a Hindu, another a Moslem; they would belong to two different nations. These two nations existed in varying proportions in most of the villages of India. They were nations which had no boundaries; they overlapped. A Bengali Moslem and a Bengali Hindu living together, speaking the same language, and having much the same traditions and customs, belonged to different nations. All this was very difficult to grasp; it seemed a reversion to some medieval theory.

Non ci sarà pace in India o altrove se non sulla base della libertà.

There is going to be no peace in India or elsewhere except on the basis of freedom

Lo strano paese della falce e martello

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  • È difficile restare indifferenti verso la Russia e ancora più difficile giudicare con imparzialità i suoi successi e i suoi fallimenti. La Russia odierna somiglia così tanto ad un filo dell'alta tensione che non si può toccare senza provare una reazione violenta; così quelli che scrivono su di essa raramente possono evitare i superlativi di elogio o di denunzia. (p. 41)
  • [Sull'Unione Sovietica] Quale sia l'opinione giusta, nessuno può negare il fascino di questo strano paese eurasiatico della falce e martello, dove gli operai e i contadini siedono sul trono del potente e capovolgono il più consolidato schema di uomini e topi. (pp. 41-42)
  • [Sugli indiani] Siamo un popolo conservatore, non troppo amante del cambiamento, e cerchiamo sempre di dimenticare la miseria e la degradazione presenti fantasticando su di un passato glorioso e una civiltà immortale. (p. 42)
  • Quali siano le difficoltà che la donna russa possa avere oggi, certo essa non è un bene mobile o un giocattolo per gli uomini. Essa è indipendente, aggressivamente indipendente, e rifiuta di fare da violino di spalla all'uomo. (p. 122)
  • Nel vecchio regime la sorte delle donne in Russia non era certo quella dell'uguaglianza con gli uomini. Le leggi favorivano gli uomini. La moglie era obbligata a fare quello che il marito le diceva di fare. Non poteva svolgere nessuna attività senza il permesso del marito. Per le donne era quasi impossibile ottenere il divorzio. La figlia poteva ereditare solo una quattordicesima parte dell'eredità, essendo le altre tredici destinate al figlio o ai figli maschi. Dopo il matrimonio le proprietà e il denaro della donna erano sotto il controllo del marito. Nei villaggi c'era un'ignoranza abissale e si dice, voce confermata da molti proverbi familiari russi, che uno dei principali passatempi del contadino era quello di picchiare la moglie. (p. 123)
  • In Unione sovietica le donne occupano le pù alte posizioni. [...] Nel 1926 centomila donne sono state elette nei soviet di villaggio nella R.S.F.S.R. e in Ucraina; e 169 donne contadine sono membri del Congresso panrusso dei soviet. Anche nell'arretrata Siberia vi sono 8.000 donne membri dei soviet di villaggio, quarantacinque delle quali sono anche presidenti dei rispettivi soviet. Le donne hanno un uguale diritto alla terra. Ve ne sono un milione che lavorano la propria terra come capifamiglia. (p. 125)
  • Gli eccessi nella vita sessuale, che si osservano così di frequente ai nostri giorni, non portano, a mio parere, né gioia di vita né vigore, ma al contrario li diminuiscono. In tempi di rivoluzione cio è male, molto male. (p. 130)
  • Gli ambasciatori dell'URSS sono stati uccisi a sangue freddo e suoi agenti diplomatici sono stati imprigionati e umiliati. Ma la Russia è riuscita ad evitare la guerra anche a costo di ingoiare la propria rabbia e il proprio risentimento. Per qualunque studioso della storia recente è chiaro che la Russia non vuole la guerra. (p. 134)
  • Di regola la Russia e l'India dovrebbero vivere come buoni vicini con il minor numero possibile di punti di attrito. L'attrito continuo cui oggi assistiamo è tra l'Inghilterra e la Russia e non tra l'India e la Russia. C'è forse una qualsiasi ragione perché noi in India si debba ereditare questa antica rivalità tra Inghilterra e Russia? Questa si basa sull'avidità e la smania dell'imperialismo britannico e il nostro interesse senza dubbio risiede nel metter fine a questo imperialismo e non nell'appoggiarlo o nel rafforzarlo. (p. 137)

Citazioni su Jawaharlal Nehru

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  • Al pari di moltissimi altri appartenenti alle classi elevate, «Bhai», (fratello) come lo chiamavo io, crebbe ignorando totalmente la miseria e la povertà che rappresentavano la sorte della maggior parte della gente dell'India. [...] L'incontro con Gandhi provocò un cambiamento nella concezione della vita di Bhai, sia dal punto di vista politico che sociale. [...] Bhai gettò i suoi abiti candidi per vestire della rozza stoffa tessuta a mano chiamata «khadi». Da quel signorino elegante privo di ambizioni particolari nella vita, che si interessava di teosofia e della politica della «Home Rule League», Bhai cambiò dalla sera alla mattina e si mise al lavoro per la causa della libertà con zelo quasi fanatico. (Krishna Hutheesing)
  • Forse più di qualsiasi altro leader mondiale, Nehru aveva dato espressione all'aspirazione umana alla pace e che nessun omaggio alla sua memoria può essere più adeguato e appropriato della pace del mondo. (Lyndon B. Johnson)
  • Guardi, sebbene fosse contro il principio del Pakistan, io ho sempre ammirato quell'uomo. In gioventù ne fui addirittura sedotto. Solo più tardi compresi che era un incantatore con molti difetti, vanitoso, spietato, e che non aveva la classe di uno Stalin o di un Churchill o di un Mao Tse-tung. (Zulfiqar Ali Bhutto)
  • Ha l'intelligenza del padre, il bell'aspetto della madre e il fascino del diavolo. (Gandhi)
  • Il grande umanista della nostra epoca, che rappresenta il fior fiore dell'intellettualità di un grande popolo. (Svetlana Allilueva)
  • Il rispetto di varie culture, tradizioni e religioni (l'India conta più musulmani del Pakistan, nato come paese islamico) è stata la principale virtù del governo laico di Jahawarlal Nehru e dei suoi successori. (Bernardo Valli)
  • In realtà, fu Nehru e non Gandhi a condurre il proprio paese all'indipendenza, anche al prezzo spaventoso della divisione. Per decenni, una solida alleanza fra le sinistre laiche inglesi e indiane aveva posto le basi, e alla fine vinto la battaglia, per la liberazione dell'India. Non c'era mai stato alcun bisogno che una figura religiosa oscurantista imponesse il suo ego su tale processo, ritardandolo e distorcendolo. (Christopher Hitchens)
  • Jawaharlal Nehru, rampollo di una famiglia bramina del Kashmir stabilitasi ad Allahabad, è il tipico rappresentante dell'Indiano anglicizzato e sofisticato. Affidato a istitutori inglesi a casa prima di frequentare Harrow e Cambridge, si ispirava alle parole di Euripide, Eschilo e Yeats per esprimere i suoi pensieri e aspirazioni. Il Bhagavad Gita attirava il suo spirito indagatore come un «poema di crisi, politica e sociale e ancor più di crisi dello spirito umano». Ma lui l'aveva letto, come altri classici sanscriti, solo nella traduzione inglese. (Aung San Suu Kyi)
  • L'India di Nehru, benché mantenesse solo in apparenza una posizione di neutralità fra l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti d'America e di ostilità verso la Cina, si manteneva su una posizione di «terza forza», e lo stesso Nehru ne era uno dei principali dirigenti. L'India mangiava in entrambe le greppie, approfittava sia dell'Unione Sovietica che degli Stati Uniti d'America, faceva parte del Commonwealth, ma, in apparenza, parteggiava di più per i sovietici. (Enver Hoxha)
  • Morto il Mahatma Gandhi (assassinato nel '48) nei mesi successivi all'indipendenza, di cui si celebrerà in agosto il cinquantesimo anniversario, Jahawarlal rappresentò per il mondo il volto nobile dell'India. Un volto elegante, leggermente ironico, distaccato, nei lineamenti e nelle espressioni. Il solo atteggiamento esterno possibile, in un uomo interiormente passionale, che doveva governare con mano di ferro un paese come l'India. Egli rimane una delle rare figure di politico intellettuale riuscito. Amico devoto di Gandhi, non ne seguì ovviamente i princìpi una volta arrivato al potere. Non poteva certo governare il subcontinente secondo la dottrina della non violenza, né puntare sulla sola agricoltura nel secolo dell'industrializzazione. Ma seppe anzitutto dare e conservare la democrazia, sia pure imperfetta, in una terra che oggi conta un miliardo di esseri umani. (Bernardo Valli)
  • Nehru apparteneva ovviamente a una esigua minoranza, era un uomo con un approccio talmente intellettuale verso la vita che imparò ad accettare con equanimità la sua anomala identità culturale. A differenza di Sri Aurobindo non sentiva l'esigenza di controbilanciare la sua educazione occidentale con una scrupolosa ricerca sul pensiero induista, sebbene l'avesse studiato in una prospettiva storica al fine di capire l'India. (Aung San Suu Kyi)
  • Nehru, capo di un popolo di mezzo miliardo di abitanti, ne aveva promosso lo sviluppo lungo le vie maestre della democrazia: testimonianza eminente della validità della democrazia anche quando le condizioni di vita sono estremamente difficili. Il suo genio ha saputo promuovere una così benefica evoluzione e solo se i suoi successori continueranno nella via da lui tracciata l'India potrà raggiungere la mèta auspicata. (Giuseppe Saragat)
  • Nehru è indubbiamente una delle grandi figure dell'umanità e già da vivo aveva il suo posto nella storia. [...] È stato un esempio di comprensione tra le civiltà dell'Oriente e dell'Occidente. Si deve certo molto a ciò se nella sua azione sul piano mondiale ha saputo esercitare una influenza moderatrice promuovendo il rispetto delle istituzioni di cooperazione internazionale. La sua perdita colpisce l'umanità intera. (Aldo Moro)
  • Nehru governò l'India per diciassette anni, e fondò una dinastia parlamentare. Era un capo popolare, anche se non molto capace. Fece del suo meglio per far funzionare il parlamento dell'India, il Lok Sabha, e vi trascorreva molto tempo, ma era troppo autocratico per permettere lo sviluppo di una vera autonomia di governo: dominava come padrone incontrastato, e ammetteva compiaciuto: «Credo che se me ne andassi si verificherebbe un disastro». (Paul Johnson)
  • Nel 1962 fu proprio il primo ministro Pandit Nehru a mettermi sull'avviso; "Qualunque cosa faccia su Gandhi cerchi di non deificarlo. Non lo renda inviolabile e non lo metta su un piedistallo, come facciamo noi qui". Intanto, il progetto andava faticosamente avanti, a patto che il Gandhi fosse interpretato da un attore inglese. Nehru s'era fissato con Alec Guinness. Ma ve l'immaginate come avrebbe riso Gandhi, lassù, nel vedersi rappresentato da un inglese? (Richard Attenborough)
  • Noi siamo comunisti e sappiamo che le idee di Nehru non sono uguali alle nostre. Abbiamo però un grande rispetto per Nehru non solo per quello che ha fatto per l'India ma anche per quello che fa per la pace mondiale. (János Kádár)
  • Non mi pare, infatti, che si possa fondare l'educazione alla pace senza la preliminare disposizione a pagarla, eventualmente, a caro prezzo; e questo mi pare che fosse uno dei limiti della politica di Nehru, certamente non gandhiano, che voleva essere neutralista senza avere disposto una coscienza e un'adeguata preparazione nel suo Stato a ciò che il neutralismo significa. (Aldo Capitini)
  • Non soltanto il popolo indiano perde in lui un provato dirigente della lotta per l'indipendenza dei popoli, lo piangono tutti gli uomini progressisti, rattristati della scomparsa di una personalità che fino alle ultime ore della sua vita ha lavorato per i più alti ideali umani, per la causa della pace e del progresso. (Nikita Sergeevič Chruščёv)
  • Quell'uomo straordinario, con il suo nobile portamento, gli occhi intelligenti e penetranti e un sorriso buono, disarmante mi turbò profondamente. Riccordo le affettuose parole che rivolse alla nostra Alma Mater e il augurio che l'università potesse laureare ragazzi e ragazze «dall'intelletto e del cuore grandi», che diventassero «portatori di buona volontà e di pace nel mondo». [...] Sosteneva che il problema della pace era legato a quello del progresso della civiltà umana e dell'utilizzo delle più innovative conoscenze in campo tecnico e scientifico per il bene di tutta l'umanità e si augurava l'abbattimento di ogni limite e barriera che impedisce l'evoluzione della nostra coscienza e del nostro spirito. (Michail Gorbačëv)
  • Sorrideva sempre e il suo volto aveva un'espressione estremamente cortese. (Nikita Sergeevič Chruščёv)
  • Al contrario di Gandhi che agiva sulle folle mediante idee-forza semplici e possenti [...], Nehru non agisce sull'India altro che mostrandosi, simile a un San Gennaro impotente a far miracoli.
  • Chi parla col signor Nehru si chiede, dopo, se davvero ha accostato un grande uomo. Noi occidentali riteniamo un modello ancora troppo cesariano dell'uomo di stato e lo vediamo o vogliamo vederlo nell'uniforme della propria grandezza. I contorni della personalità di Jawaharlal Nehru appaoiono, invece, fortemente vaghi e sfocati: egli non mostra nè il sigaro di Churchill, nè la giacca di taglio severo di Stalin, nè gli stivali brillanti di Mussolini, nè il berretto di operaio di Lenin, nè il ciuffo di Hitler. Il suo vestito indiano, bianco e grigio, intona il pallore sofferente del suo volto e la tremula mobilità delle sue idee. Non so se il paragone trovato per lui dagli americani sia valido, certo è aggiustato: egli incarna lo spirito della dea Saraswati, s'è detto, moglie e - nello stesso tempo - figlia di Brahma, galleggiante su una foglia di loto.
  • È un uomo di sessant'anni, di volto giovanile, fine, pallido; gli occhi molto belli, cerchiati ed espressivi, brillano sotto una fronte di attore drammatico. Gli americani gli hanno trovato non so quale somiglianza con Charles Boyer, mentre per la eloquenza hanno paragonato il signor Nehru (senza che questi se ne offendesse) nientemeno che a Fiorello La Guardia. A me questo Amleto indiano ricorda Moissi e Ruggeri, due «Amleti» europei.
  • Egli non si intende minimamente di economia. Si è arrabbiato moltissimo, quando gli ho chiesto il numero dei cittadini indiani iscritti nel ruolo delle tasse; si è arrabbiato ancora di più quando volevo conoscere quello degli operai impiegati nelle fabbriche indiane. Non sapeva né il primo, né il secondo di questi dati («S'informi dai miei segretari»). Questa indifferenza ai valori concreti e misurabili della vita indiana, forma il terrore della classe dirigente e della borghesia di cui è principalmente formato il partito del Governo.
  • Il primo ministro è un indiano che si arrabbia, ma non è un dittatore: forse vorrebbe esserlo. Egli è un grande romantico, un artista e scrittore caduto nella politica. Ha subìto il fascino marxista, vorrebbe modernizzare il suo paese, ma ha dovuto farsi fotografare nudo, la corda e il triplice segno della casta braminica sul petto. La dea Saraswati, ossia il fiore dell'indecisione.
  • Molte volte il signor Nehru ha tentato di risalire la corrente, ammonendo i suoi elettori di smettere talune funeste abitudini tradizionali: quella di mangiare, in certe regioni, solo riso; quella di andare scalzi; quella di evitare il taglio dei capelli per non uccidere i pidocchi, quella di masticare le fronde di bethel, costellando il suolo delle città di indelibili sputi sanguigni. Anzi a questa faccenda Nehru dedicò un intero discorso e credo sia stato il solo discorso, nella storia politica del mondo, inspirato dal problema dello sputare per terra.
  • Come tutti i realizzatori, crede nell'azione ed è paziente e fermo: non sarebbe, diversamente, un uomo politico. Ma non c'è in lui alcuna traccia di attivismo. Egli applica la dottrina che ritiene giusta con una sorta di sereno distacco.
  • Il meno machiavellico degli uomini politici. Ma anche il meno dogmatico ed astratto.
  • Sappiamo tutti che Jawaharlal Nehru, Primo ministro indiano, è uno dei massimi protagonisti della storia contemporanea. Ammiriamo la sua carriera prodigiosa (nato suddito di colore di S.M. britannica, oggi tratta da pari a pari con Elizabetta) e ci rendiamo conto che c'è in lui il tratto rarissimo che distingue i grandi capi: la fantasia creatrice. Ma possiamo dire veramente di conoscerlo? Non è facile per un occidentale.
  • Al nome di Gandhi, che tutto il mondo conosceva, seguì un altro nome, quello di Jawaharlal Nehru, onorato con l'appellativo di pandit, che vuol dire saggio, colto, intelligente; ed oggi egli è l'uomo che tutti conoscono. Si fa presto a scrivere come appaia agli occhi dell'osservatore straniero: un involontario (è bene ripetere involontario) dittatore morale del suo Paese. Basta scorrere i giornali, od ascoltare il parere privato degli indiani, per capire come la sua presenza, i suoi giudizi, persino i suoi aneddoti invadano tutti gli aspetti della vita nazionale. Anche i quotidiani di tinta comunista, adesso che almeno nei suoi riguardi sono in fase di quasi collaborazione, lo trattano con deferenza e con rispetto.
  • Il Primo Ministro Nehru è uomo di spirito veramente democratico, e gli ripugna qualsiasi prova di forza o di costrizione con la violenza. La sua ambiguità non è certo in quel che pensa, ma spesso nasce dal contrasto tra quel che pensa e dice e quello che può fare nel rispetto della Costituzione, del sistema democratico e della realtà economica.
  • Si è soliti anche per retorica immaginare l'animo di Nehru diviso e combattuto tra due mondi opposti, quello che gli ha dato la cultura ed ha fatto di lui un uomo moderno e quello dal quale proviene, pervaso da una grande civiltà antica, ma oggi inoperante. Mi è capitato di vedere Nehru a qualche cerimonia pubblica, ed osservandolo era possibile scorgere sul suo volto, asciutto, lungo, un poco cavallino, la presenza d'un velo di tristezza; ma alla fine questa impressione si dimostrò sbagliata. In realtà nell'animo suo non c'è nessuna lotta, romantica o retorica, tra i due mondi che egli per un destino eccezionale può rappresentare; ma c'è invece, e si riflette sul suo volto con una pattina di costante preoccupazione, la conoscenza esatta di quello che si dovrebbe fare e di quello che invece si può fare.
 
Nehru con sua figlia Indira Gandhi nel 1961
  • I libri affascinavano Jawaharlal Nehru. Scovava le idee. Era straordinariamente sensibile alla bellezza letteraria. Nei suoi scritti, cercava di descrivere le sue motivazioni e le sue valutazioni il più meticolosamente possibile. Lo scopo non era l'autogiustificazione o la razionalizzazione, ma di dimostrare la rigidità e l'inevitabilità delle azioni e degli eventi di cui egli era un attore principale. Era un uomo luminoso e i suoi scritti rispecchiano lo splendore del suo spirito.
  • Mio padre era un santo. Era la cosa più vicina a un santo che si possa trovare in un uomo normale. Perché era così buono. Così incredibilmente, insopportabilmente buono.
  • Nel suo mestiere lo sorreggeva solo una cieca fiducia nell'India: lo preoccupava in modo così ossessionante il futuro dell'India.
  • Guardavo quell'uomo, seduto vicino a me, che parlava: il suo viso pallido, i suoi occhi miti, languidi e penetranti, sotto le pesanti palpebre pigmentate, la sua esitante sicurezza; e mi domandavo chi fosse realmente, quello statista illustre, quel capo adorato di trecentosessanta milioni di indiani, quel potente della terra; e perché mai paresse naturale guardarlo cercandovi senza difficoltà una somiglianza, guardarlo senza il ritegno e il distacco, né il disdegno, e neppure la pietà, con la quale si guardano appunto, sia pure ammirandoli, i potenti della terra.
  • Il pandit Nehru ha un immenso potere. L'India è nelle sue mani, e l'adora. La sua immagine è come quella di un dio, letteralmente posta tra gli dèi familiari nelle stanze sacre, nei frontoni, sopra le porte delle case di questi adoratori di idoli.
  • Nehru non è Gandhi, né Vinoba: è impegnato con la ragione, con la pratica, con la pianificazione, la burocrazia, la diplomazia: nell'empireo dei nuovi santi indiani, il suo posto è quello di Paolo. E tuttavia è staccato da tutto questo, ci sta sopra (lo si sente). C'è in lui una profonda solitudine, la solitudine del prigioniero libero, del contadino nella campagna; egli vive (lo dice) «sotto la luna». E, appunto per questo, c'è in lui, fondamento della azione, della fraternità e del distacco, molla essenziale, una somiglianza con gli uomini, con tutti: un rapporto di amore.
  • Egli divenne discepolo del Mahatma Gandhi, ma superò a "sinistra" il suo maestro, senza riuscire mai a condividerne a fondo il suo messaggio di non-violenza. Pronto a predicare agli altri la non-violenza, lo fu altrettanto nel decidere di impiegarla quando in gioco fu il destino dell'India.
  • Jawaharlal Nehru, in India, riuscì in ciò in cui sia Sukarno che Nkrumah fallirono. Pur essendo un leader carismatico, egli si rivelò anche capace di costruire una nazione.
  • Nehru era un uomo brillante, altezzoso ed aristocratico, dotato di un'alta considerazione di se stesso e di un carattere facile all'alterazione. Egli era anche devoto in modo passionale nei confronti del suo popolo e verso gli ideali di unità e di indipendenza nazionale.
    Sfortunatamente per l'India anche lui, come molti altri intellettuali del suo tempo, sviluppò un precoce interesse per le teorie socialiste. L'India ha finito col pagare un altissimo prezzo per i tentativi compiuti da lui e da sua figlia di imporre il socialismo al mondo indiano, con le sue tradizioni millenarie e tenaci ed i suoi milioni di abitanti abituati alla fame ed agli stenti.
  • Nehru era un uomo di altezza media, alto poco più di un metro e settanta, con un volto dai lineamenti regolari ed un gran naso aquilino, occhi profondi di colore scuro, il cui sguardo poteva divenire molto intenso e penetrante. Il suo portamento aveva una eleganza aristocratica. Il suo inglese, sia scritto che parlato, era sintetico quanto impeccabile.
  • Non c'è dubbio che Jawaharlal Nehru sia stato un grande capo rivoluzionario. Nelle mie conversazioni con lui ebbi modo di rendermi conto del perché della sua grande influenza sul popolo indiano. Egli era dotato di un naturale alone di misticismo, ma era facile capire che ad esso si legava una perfetta comprensione dei meccanismi del potere, assieme ad una incrollabile risoluzione di usare il potere, persino con mano pesante, ove ciò fosse necessario.
    La sua eredità all'India è... l'India stessa.
  • Tra tutti i leader internazionali da me incontrati, certamente Nehru è tra quelli più intelligenti. Egli poteva essere arrogante, incisivo, super sicuro delle sue argomentazioni; era, per farla breve, in preda ad un forte "complesso di superiorità" che non si curava minimamente di nascondere.
  • Anche nella pignoleria legalitaria di Nehru, nella sua cavillosa e quasi maniaca difesa del sistema parlamentare, c'è qualcosa di quella codificazione paralizzante che è tipica di tutti gli indiani. Si sente che la grammatica parlamentare britannica è stata assimilata da una persona che aveva altre abitudini grammaticali. Infatti, chi è autoctono alla propria grammatica è capace, se è necessario, di trasgressioni, di eccezioni e di innovazioni anche scandalose, che sono però la vita di quella sua grammatica istituzionale: mentre chi a tale grammatica è alloglotta, non oserà mai affrontare trasgressioni né tentare innovazioni. La sua obbedienza alla normatività sarà pedissequa, magari fino al sublime, come mi sembra in Nehru. È per questo che, visitando l'India, provavo verso il suo leader, peraltro adorabile, non pochi moti di rabbia...
  • Ci sono sessantamila lebbrosi, a Calcutta, e vari milioni in tutta l'India. È una delle tante cose orribili di questa nazione, davanti a cui si è del tutto impotenti: in certi momenti ho provato dei veri impulsi di odio contro Nehru e i suoi cento collaboratori intellettuali educati a Cambridge: ma devo dire che ero ingiusto, perché veramente bisogna rendersi conto che c'è ben poco da fare in quella situazione.
  • La tradizione castale è un cancro sparso e radicato in tutti i tessuti dell'India. Nehru ha il prestigio per poterne tentare con la forza l'estirpazione: a meno che anch'egli non si ricordi un po' troppo di essere un bramino.
  • Nehru è nato a Allahbad, una città nella pianura del Gange, da una famiglia borghese: ma la sua formazione è inglese. E, della cultura inglese, egli ha assorbito la qualità più tipica: l'empirismo. In questo momento, Nehru non è né inglese né indiano: è un uomo del mondo, che, con dolcezza indiana e praticità inglese, si occupa dei problemi di uno dei grandi paesi del mondo.
  • Nehru ha dichiarato pubblicamente, di fronte a tutti i suoi quattrocento milioni di cittadini, che non è credente, che la religione è certo una bella cosa, ma a lui non interessa affatto. Questa straordinaria libertà di pensiero, questa integrale mancanza di ipocrisia è uno dei fatti più alti del tempo in cui viviamo.
  • A grandi linee, l'ideologia di Nehru può essere definita un paziente, moderato illuminismo pratico, non alieno dal compromesso con le tradizioni storiche, lo spirito e la cultura induisti, ma ostile alle loro degenerazioni e insofferente della loro staticità.
  • Nehru non ha governato l'India, ma le sue classi dirigenti educate. Egli presentò al mondo, fors'anche senza volerlo, un'India non vera; fu avvocato della libertà e dignità di arabi e congolesi, viet-minh e indonesiani, ma alle sue spalle sopravviveva uno sfacelo di quei valori, custodito e santificato nell'India di Benares, dei villaggi, delle caste, delle stragi religiose, della fame imposta per comandamento religioso.
  • Scompariva il solo governante del mondo ex coloniale che non fosse un dittatore.
  • Come Gandhi si identifica con la lunga lotta (pacifica) per l'indipendenza dell'India, così Nehru fa tutt'uno con la costruzione dell'India indipendente in uno Stato moderno.
  • Contro le immense e numerose differenze di stirpi, lingue, religioni e culture, lo sforzo unitario di Nehru è riuscito a tenere insieme e ad avviare ad un inizio di fusione un «sottocontinente» di 460 milioni di abitanti.
  • Il neutralismo indiano era molto di più che una politica dettata da ragioni contingenti: era una vera e completa dottrina delle relazioni internazionali, elaborata da Nehru su principi che egli riteneva permanenti ed universali: la non violenza, la rottura del circolo vizioso tra violenza e paura; la fede che la forza morale può resistere con successo alla forza materiale, la fiducia nella convivenza pacifica tra paesi a regimi diversi. Ne derivavano: la condanna dell'imperialismo e del colonialismo, il ripudio dei blocchi e in genere della politica di potenza, il rifiuto della guerra fredda, l'opera instancabile di mediazione nei conflitti di Corea e di Indocina, l'organizzazione dei paesi non impegnati, con alla testa l'India stessa.
  • Il primo ministro indiano ha il vento in poppa: ha conosciuto le lunghe prigionie inglesi, e ha lanciato dalla prigione il suo grido di dolore, durante l'ultima guerra, quando tutte le condizioni sembravano contrarie, malgrado l'indubbia rinascita del popolo indiano.
  • Il suo volto è fortemente costrutto, e non mostra l'impronta delle fatiche e delle sofferenze subite. La sua grande energia è avvolta nella calma e nel distacco appena corretto da un impercettibile sorriso. Nessuna aitanza, nessuna posa, ma evidente la coscienza del proprio potere. Non è certo il tipo dei grandi progetti, e tanto meno delle utopie, è il tipo del realizzatore che segue il principio del caso per caso, e non disdegna di curare con pazienza i residui del passato che in India sono tanti e spesso meschini e anacronistici.
  • Libertà, ha detto, è la condizione prima di ogni cultura. Se la ragione deve seguire se stessa per non sragionare, la fantasia deve volare con le proprie ali, o cadere pesantemente a terra.
  • Nehru, che era il prigioniero di alcuni anni or sono, è ora uno degli uomini più potenti della terra, e potrà divenire domani l'arbitro della pace mondiale.
  1. 1940, citato in Lewis M. Simons, Kashmir: conflitto senza fine, National Geographic, vol. 4, n. 3, settembre 1999, p. 11.
  2. Citato in Arrivi e partenze, Avanti!, 23 gennaio 1954.
  3. Citato in AA.VV., Come funziona il management, traduzione di Martina Dominici, Gribaudo, 2021, p. 115. ISBN 9788858035184
  4. Citato in Una piccola donna indiana minaccia l'impero britannico, Avanti!, 29 aprile 1949.
  5. Citato in L'assassinio di Gandhi, l'Unità, 31 gennaio 1948.
  6. a b Citato in L'America si aggrappa alla procedura per continuare il suo abuso dell'O.N.U., Avanti!, 4 agosto 1950.
  7. Citato in Dura requisitoria del Pandit nehru contro la politica degli S.u. in Asia, l'Unità, 25 gennaio 1951.
  8. a b Citato in Atto d'accusa di Nehru contro la politica delle N.U., Avanti!, 13 giugno 1952.
  9. Citato in L'alleanza USA-Pakistan è una minaccia di guerra, Avanti!, 6 gennaio 1954.
  10. Citato in Un appello di Nehru per una tregua in Indocina, Avanti!, 23 febbraio 1954.
  11. Citato in L'India respinge l'offerta di aiuti militari americani, Avanti!, 2 marzo 1954.
  12. Citato in Conferenza tripartita antiatomica chiesta dai laburisti a Churchill, Avanti!, 3 aprile 1954.
  13. a b Citato in Ciu En-Lai si è incontrato a Rangun con Nasser, U Nu ed il Pandit Nehru, l'Unità, 16 aprile 1955.
  14. Citato in Monito di Nehru a Vienna per la situazione in Indocina, l'Unità, 28 giugno 1955.
  15. a b Citato in Nehru discuterà con Guy Mollet a Parigi per una soluzione del problema algerino, l'Unità, 16 luglio 1956.
  16. Citato in Nehru critica la condotta di Nasser, La Stampa, 24 settembre 1956.
  17. Citato in Nehru deplora l'intervento russo in Ungheria, La Stampa, 19 novembre 1956.
  18. Citato in Il Pandit Nehru, La Stampa, 3 marzo 1957.
  19. Citato in Nehru parla alla folla della "signora patria", l'Unità, 17 marzo 1957.
  20. Citato in Nehru e il comunismo, l'Unità, 4 dicembre 1958.
  21. a b Citato in Nehru dichiara di non volere impegni militari con l'America, l'Unità, 12 dicembre 1959.
  22. Citato in Krusciov a Nehru: vogliamo trattare su basi realistiche con gli occidentali, l'Unità, 9 settembre 1961.
  23. Citato in Discorso allarmistico di Nehru, l'Unità, 12 novembre 1962.
  24. Citato in Bernardo Valli, Colonie. La cattiva coscienza dell'Occidente, la Repubblica, 16 dicembre 2005.

Bibliografia

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