Gandhi (film)

film del 1982 diretto da Richard Attenborough

Gandhi

Immagine Mahatma Gandhi Ghp.jpg.
Titolo originale

Gandhi

Lingua originale inglese
Paese Regno Unito, India, Australia
Anno 1982
Genere biografico, drammatico
Regia Richard Attenborough
Soggetto John Briley
Sceneggiatura John Briley
Produttore Richard Attenborough
Interpreti e personaggi
Doppiatori italiani
Note
  • Vincitore di 8 premi Oscar (1983):
    • Miglior film (Richard Attenborough)
    • Miglior regia (Richard Attenborough)
    • Miglior attore protagonista (Ben Kingsley)
    • Migliore sceneggiatura originale (John Briley)
    • Migliore fotografia
    • Migliore scenografia
    • Migliori costumi
    • Miglior montaggio

Gandhi, film del 1982 con Ben Kingsley, regia di Richard Attenborough.

  Citazioni in ordine temporale.

  • [Durante il funerale di Gandhi] L'oggetto di questo enorme tributo di massa è per un uomo che è morto come era sempre vissuto, un privato cittadino senza ricchezze, senza proprietà, senza titoli ufficiali e senza cariche. Mahatma Gandhi non era un capo di eserciti, non era sovrano di vasti regni, non poteva vantare nessuna scoperta scientifica o qualche talento artistico, eppure uomini, governi e dignitari di tutto il mondo hanno oggi giunto le mani per rendere omaggio a questo piccolo uomo scuro in perizoma che ha portato questo paese alla libertà [...] Il Mahatma Gandhi è diventato il portavoce della coscienza di tutto il genere umano. Egli era un uomo che ha reso l'umiltà, e la semplice verità più potenti degli imperi. (Edward R. Murrow)
  • Signore e signori, vi abbiamo chiesto di riunirvi qui per aiutarci a proclamare il nostro diritto di essere trattati alla stregua di tutti i cittadini dell'impero. Non andiamo in cerca di conflitti. Noi conosciamo il peso delle forze schierate contro di noi. Sappiamo che per contrastarle, ne possiamo solo usare mezzi pacifici. Però siamo determinati a farci rendere giustizia. Il simbolo della nostra condizione è tutto in questo lasciapassare che dobbiamo portare sempre con noi, ma che gli europei neanche devono avere. Il primo passo per cambiare questa nostra condizione è eliminare questa diversità tra noi e gli altri. (Gandhi)
  • Quando ti batti per una causa giusta, la gente sembra scaturire. (Gandhi)
  • Siamo giunti alla stessa conclusione nel nostro gita, nel corano musulmano, nella vostra bibbia. Sono sempre le cose semplici che ti mozzano il fiato. Ama il tuo prossimo come te stesso. Non è molto praticato ma sono parole da cui noi potremo imparare molto. (Gandhi)
  • Noi occidentali abbiamo un debole per questi uomini indiani inclini alla spiritualità, ma da vecchio avvocato lascia che lo avverta: il Signor Gandhi è l'individuo più scaltro che incontrerà mai, per quanto staccato dal mondo può sembrare. (Smuts)
  • Vi sono leggi ingiuste come vi sono uomini ingiusti. (Gandhi)
  • Per minore che possa essere una minoranza, la verità è la verità. (Gandhi)
  • Qualcuno di voi si rallegrerà perché il signor Gandhi è stato finalmente messo in prigione. Ma io ora chiedo a voi, riuniti qui in questa casa di Dio, di ammettere che siamo testimoni di qualcosa di così nuovo, di così inaspettato, di così insolito, che non ci sorprende che il governo sia in imbarazzo. Quello che il signor Gandhi ci ha costretto a fare è di cominciare a porre delle domande a noi stessi. Da cristiani, ci è difficile rispondere a certe domande. Come trattare degli uomini che hanno deciso di sfidare una legge ingiusta non combattendo, però non rispettandola? (Andrews)
  • [Su Jawaharlal Nehru] Ha l'intelligenza del padre, il bell'aspetto della madre e il fascino del diavolo. (Patel)
  • Noi cerchiamo di fare una nazione, Gandhi. Ma gli inglesi stanno continuando a frantumarci in religioni e principati e province. (Gokhale)
  • Ci avevano chiesto "pazienza". Qualcuno di noi ne ha avuta e qualcuno no. Bene: la loro guerra è finita ora, e quelli di noi che l'hanno appoggiata e quelli di noi che l'hanno rifiutata devono dimenticare le nostre divergenze. E non può esserci più nessun pretesto per gli inglesi ora. L'India vuole l'autogoverno. Esige l'autogoverno! (Jinnah)
  • Da quando sono tornato dal Sudafrica, ho viaggiato molto per l'India e io so che potrei viaggiare per molti altri anni e riuscire a vederne solo una piccola parte. E tuttavia io so che quello che diciamo qui non significa niente per le masse del nostro paese. Qui facciamo discorsi solo per noi e per quelle riviste liberali inglesi che possono concederci poche righe. Ma il popolo dell'India non ne è sfiorato. La sua politica è limitata al pane e al sale. Potranno essere analfabeti, ma non sono cechi. Non trovano motivi per offrire la loro lealtà a uomini ricchi e potenti che vogliono semplicemente prendere il posto degli inglesi in nome della libertà. Questo congresso dice al mondo che rappresenta l'India. Fratelli miei, l'India è settecentomila villaggi, non poca centinaia di avvocati a Delhi e a Bombay. Finché noi non saremo nei campi con quei milioni che faticano ogni giorno sotto il sole cocente noi non rappresenteremo mai l'India, ne saremo mai in grado di sfidare la Gran Bretagna come una nazione. (Gandhi)
  • Cerco di vivere come un indiano, come vedete. È stupido, certo, perché nel nostro paese sono gli inglesi a decidere come vive un indiano, ciò che può comprare, che può vendere, e dal loro sfarzo in mezzo alla nostra terribile povertà loro ci istruiscono su che cos'è la giustizia e cos'è sedizione. È così è naturale che le nostre più giovani menti assumano un aria di dignità orientale mentre avidamente assimilano ogni debolezza occidentale quanto più presto è loro possibile. (Gandhi)
  • Dove c'è ingiustizia, io ho sempre creduto nella lotta. Il punto è se si lotta per cambiare le cose o si lotta per punire. Ed essendo tutti peccatori, dovremmo lasciare le punizioni a Dio. E se vogliamo davvero cambiare le cose, ci sono modi migliori di farlo senza far deragliare treni o trafiggere la gente con la spada. (Gandhi)
  • Preferirei essere governato da un terrorista indiano piuttosto da uno inglese. (Jinnah)
  • Quando Gandhi ed io eravamo giovani, le donne tessevano le loro veste. Ma ora ci sono milioni di persone senza lavoro perché, quelli che possono, comprano quanto loro occorre dall'Inghilterra. Io dico con Gandhiji: "Non esiste bellezza con la veste più fine se produce fame e infelicità." (Kasturba)
  • Per avere l'indipendenza dobbiamo provarcene degni. Dev'esserci l'unità indù-musulmana sempre. Secondo, nessun indiano dev'essere trattato come un inglese tratta noi. Noi dobbiamo sopprimere l'intoccabilità dai nostri cuori, dalle nostre vite. Terzo, dobbiamo sfidare gli inglesi, non con violenza, che infiammi la loro volontà, ma con una fermezza che apra i loro occhi. Le fabbriche inglesi fanno i tessuti che fanno la nostra povertà. Tutti quelli che vogliono che gli inglesi lo vedano, mi portino l'abito di Manchester e di Leeds che indossano oggi, e noi ne faremo un falò che sarà visto a Delhi e a Londra. E se, come me, portate solo un pezzo di stoffa fatto in casa, portatelo con dignità. (Gandhi)
  • Quando io dispero, io ricordo che nel corso di tutta la storia la via dell'amore e della verità ha sempre vinto. Ci sono stati tiranni e macellai per qualche tempo, e si possono sembrare invincibili, ma la conclusione è che cadono sempre. (Gandhi)
  • È impossibile per me ignorare che lei è di una categoria diversa da qualsiasi persona che io abbia mai giudicato, o che tento di giudicare. Cionondimeno, è mio dovere di condannarla a sei anni di reclusione. Se comunque il governo di Sua Maestà dovesse successivamente giudicare opportuno ridurre la pena, io sarei il primo a esserne compiaciuto. (Giudice Broomfield)
  • Come puoi vedere, la mia città è una città di mare, sempre piena di indù, musulmani, sikh, ebrei, persiani. La mia famiglia era della setta Pranamin, indù, ovviamente, ma nel nostro tempio il prete era solito leggere dal corano islamico e dal gita indù, passando dall'uno all'altro come se non importasse quale libro leggesse, purché la divinità fosse adorata. (Gandhi)
  • Il signor Gandhi si accorgerà che ci vuole molto più di un pizzico di sale per annientare l'impero inglese. (Lord Irwin)
  • Jinnah ha collaborato con gli inglesi, e questo l'ha dato potere e la libertà di parlare a riempi di musulmani di paure per che cosa accadrà a loro in questo paese che è prevalentemente indù. E questo la trovo duro da sopportare. (Gandhi)
  • Io so che la felicità non viene dalle cose, neanche dalle cose del ventesimo secolo. Può venire dal lavoro e dall'orgoglio di ciò che fai. L'India vive nei suoi villaggi e la terribile miseria la si può solo eliminare se le loro capacità artigiane possono rivivere. La povertà è la peggiore forma di violenza, e un programma costruttivo è l'unica soluzione non violenta per l'agonia dell'India, e non sarà necessariamente un progresso per l'India a limitarsi a importare l'infelicità dell'occidente. (Gandhi)
  • Nella filosofia indù, la via al Signore è liberarti dalle tue possessioni e dalle passioni. (Kasturba)
  • Io sono musulmano e sono indù, e sono cristiano e sono ebreo. E così tutti voi, quando brandite le bandiere e gridate, mettete paura nei cuori di vostri fratelli. Quella non è l'India che voglio. Basta! Per amor di Dio, basta! (Gandhi)
  • Talvolta è quando sei del tutto privo di speranza e quando vaghi nel buio assoluto che Dio viene in tuo soccorso. Gandhi sta morendo a causa della nostra follia. Mettete da parte le vostre vendette. Che bene può venire dal continuare a uccidere? Abbiate il coraggio di fare ciò che sapete che è giusto. In nome di Dio, stringiamoci in un abbraccio come fratelli. (Nehru)

Dialoghi

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  • Facchino: Mi scusi signore. Da quanto tempo è in Sudafrica?
    Gandhi: Una settimana.
    Facchino: Non capisco come ha avuto il biglietto!
    Bigliettaio: Che fai in questa carrozza, cafro?
    Gandhi: Io ho il biglietto, un biglietto di prima classe.
    Bigliettaio: E lo hai avuto come?
    Gandhi: L'ho richiesto per posta. Io sono avvocato, e non ho...
    Passeggero: Non esistono avvocati di colore in Sudafrica. Vada dov'è suo posto!
    Facchino: Signore, le metto giù le valigie.
    Gandhi: No, no, no. Un momento. [esibisce il biglietto da visita] Vede? Mohandas K. Gandhi. Avvocato. E sto andato a Pretoria. Difenderò una ditta indiana in una causa.
    Passeggero: Non mi ha sentito? Non ci sono avvocati di colore qui in Sudafrica.
    Gandhi: Signore, io sono iscritto all'ordine di Londra e autorizzato dall'alta corte di giustizia, e pertanto sono un avvocato. E dato che sono a loro occhi di colore, credo si possa dedurre che c'è almeno un avvocato di colore in Sudafrica!
  • Gandhi [sull'apartheid]: Ma lei è un uomo ricco. Perché subisce queste cose?
    Khan: Sì, sono ricco. Ma sono indiano, e quindi non ho la pretesa di viaggiare in prima classe.
    Gandhi: In Inghilterra era un povero studente...!
    Khan: Ah, quello è in Inghilterra.
    Gandhi: Questa è una parte dell'impero inglese.
    A. W. Baker: Signor Gandhi, lei guarda il Signor Khan e vede un mercante musulmano di successo. Quasi tutti i sudafricani lo vedono semplicemente come un indiano, e la grande maggioranza degli indiani, perlopiù indù come lei, sono stati portati qui per lavorare nelle miniere e nei campi. La quasi totalità degli europei non vuole che facciano altro.
    Gandhi: Ma questo è molto poco cristiano.
    Dottore: Signor Gandhi, in questo paese agli indiani non è permesso camminare sul marciapiede con un cristiano.
    Gandhi: Cioè, lei può avere il Signor Baker come il suo avvocato, ma non può camminare a suo fianco sul marciapiede?
    Khan: Posso, sì. Ma rischio a essere sbattuto giù a calci da qualcuno meno cristiano del Signor Baker.
    Gandhi: Ma questo va combattuto. Noi siamo figli di Dio come qualunque altro.
  • Gandhi: Il Nuovo Testamento non dice "Se il tuo nemico ti colpisce sulla guancia destra, porgi la sinistra"?
    Andrews: Beh, forse la frase è usata metaforicamente. Io non credo che...
    Gandhi: Non ne sono sicuro. Io su questo ho molto riflettuto, e forse intendeva che devi mostrare il coraggio, avere la volontà di ricevere una percossa, più percosse, per mostrare che non reagirai, che non ti farai sviare. E quando fai così, risplende qualcosa nella natura umana qualcosa che nel tuo nemico fa decrescere il suo odio per te e crescere il suo rispetto.
  • Gandhi: Che cosa c'è?
    Kasturba: Hanno mandato Sora a dirmi che devo raschiare e lavare la latrina.
    Gandhi: Ma certo. Ognuno deve farlo a turno.
    Kasturba: Ma quello è un lavoro da intoccabili!
    Gandhi: In questo posto non esistono intoccabili. Nessun lavoro è indegno, per nessuno.
    Kasturba: Ma sono tua moglie.
    Gandhi: A maggior ragione.
    Kasturba: Ai tuoi commandi! Gli altri ti potranno seguire, ma ti dimentichi che io ti conoscevo quando eri bambino.
    Gandhi: Non è per me. È per il principio, e tu lo farai con gioia o non lo farai affatto.
    Kasturba: Non lo faccio allora.
    Gandhi: Allora va via. Lasceranno il posto per te. Vattene via. Vattene per sempre! Non ti vogliamo. Va via!
    Kasturba: Non fare così, smetti! Ma non ti vergogni? Dove credi che possa andare io?
    Gandhi: Che cosa mi sta accadendo?
    Kasturba: Tu sei un uomo, solo un essere umano, ed è anche più difficile per quelli noi che non vogliono nemmeno provare di essere buoni come te.
    Gandhi: Ti chiedo scusa. Io devo tornare da quel giornalista.
    Kasturba: E io devo raschiare e lavare la latrina.
  • Gandhi: Io voglio dare il benvenuto a tutti. [nota degli ufficiali britannici tra la folla] A tutti voi. Noi non abbiamo nessun segreto. Ricominciamo con l'essere chiari sulla legge del Generale Smuts: a tutti gli indiani saranno prese le impronte digitali come i criminali, a uomini e donne. Nessun matrimonio, che non sia un matrimonio cristiano, è considerato valido. Secondo questa legge le nostre mogli e madri sono sgualdrine e ogni uomo qui è un bastardo! [...] E un poliziotto che passa da un alloggio indiano (ma non chiamiamole case!) può entrare a richiedere i documenti a qualsiasi donna indiana nel suo alloggio.
    Folla: Schifosi! Maledetti! Dio le maledica!
    Gandhi: Capite? Non è che lui debba restare sulla porta. Lui può entrare.
    Membro della folla #1: Non gli permetterò di entrare in casa mia!
    Membro della folla #2: Io giuro su Allah che ucciderò chi farà questo affronto a mia casa e mia moglie. [rivolto agli ufficiali britannici] E che voi m'impicchino!
    Membro della folla #3: Io dico parlare non porta niente. Uccidi qualche funzionario prima che disonorino una donna indiana, poi ci penseranno due volte a fare queste leggi!
    Membro della folla #4: In questo caso, io sarei anche pronto a morire.
    Gandhi: Apprezzo tale coraggio. Occorre tale coraggio perché per questa causa anch'io sono disposto a morire, però, amici non c'è nessuna causa per la quale io sia disposto ad uccidere. Qualunque cosa ci facciano, noi non aggrediremo nessuno, non uccideremo nessuno, ma non daremo le nostre impronte digitali, nessuno di noi. Ci imprigioneranno, ci multeranno, prenderanno le nostre proprietà, ma non potranno mai toglierci il rispetto per noi stessi se non saremo noi a darglielo.
    Membro della folla #5: Lei è mai stato in prigione? Ci tortureranno, ci pesteranno. Io dico che dobbiamo...
    Gandhi: Io vi sto chiedendo di combattere, di combattere contro la rabbia, non di provocarla. Noi non vibreremo un solo colpo, ma ai loro colpi non ci sotterreremo, e attraverso il nostro dolore noi faremo loro vedere la loro ingiustizia. E questo porterà dolore, come lo porta ogni battaglia, ma non possiamo perdere, non possiamo. Loro possono torturare le mie carni, rompere le mie ossa, anche uccidermi. Allora potranno avere il mio cadavere, non la mia obbedienza.
  • Smuts: Signor Gandhi, ho più o meno deciso di chiedere alla camera di abrogare la legge sulla quale lei ha sollevato tante eccezioni.
    Gandhi: Se lo chiederà lei, Generale Smuts, sono sicuro che sarà fatto.
    Smuts: Non è poi così semplice.
    Gandhi: Non mi aspettavo che lo fosse.
    Smuts: Pensavo di convocare una commissione reale per esaminare la nuova legislazione. Credo di poter garantire che consiglierebbero la sua abrogazione.
    Gandhi: Mi congratulo con loro.
    Smuts: Ma potrebbero anche raccomandare che, in avvenire, l'immigrazione indiana fosse fortemente limitata, perfino interrotta.
    Gandhi: L'immigrazione non era la questione per cui abbiamo lottato. Sarebbe non ortodosso risollevarla ora che noi siamo in posizione di vantaggio.
  • Giudice [dopo il massacro di Amritsar]: Generale Dyer, è esatto che lei ha ordinato le sue truppe di far fuoco dove la folla era più fitta?
    Dyer: Sì, è esatto.
    Giudice: 1516 tra morti e feriti con 1650 proiettili.
    Dyer: Era mia intenzione d'infliggere una lezione che avrebbe fatto scalpore nell'India intera.
    Avvocato indiano: Generale, se avesse avuto la possibilità di intervenire con l'autoblindo, lei avrebbe aperto il fuoco con la mitragliatrice?
    Dyer: Sì, è probabile. Sì.
    Lord Hunter: Generale, siete reso conto che c'erano donne e bambini nella folla?
    Dyer: Io sì.
    Giudice: Ma era irrilevante purché lei mantenesse il punto?
    Dyer: Esattamente.
    Giudice: Potrei chiederle che provvedimenti ha preso per i feriti?
    Dyer: Avrei assistito chi ne avesse fatto domanda.
    Giudice: Generale, come fa un bambino colpito da un .303 Lee-Enfield a fare domanda di aiuto?
  • Chelmsford: Perdonatemi signori, ma dovete capire che il governo di Sua Maestà e il popolo britannico si ribellano sia al massacro che alla filosofia che lo ha suggerito. Ora, quello che amerei fare e di giungere a una sorta di compromesso sulla nuova legislazione...
    Gandhi: Sua Eccellenza vuole scusarmi, a nostro avviso, i problemi hanno già trasceso la legislazione. È giunto il momento che riconosciate che siete padroni in casa di qualcun altro. Malgrado le migliore intenzioni dei migliori di voi, siete portati per forza di cose ad umiliarci per controllarci. Il generale Dyer non è che un esempio limite del principio. È ora che ve ne andiate.
    Kinnoch: Rispettosamente, signor Gandhi, senza l'amministrazione britannica, questo paese sarebbe ridotto al caos.
    Gandhi: Signor Kinnoch, la prego di convenire che non c'è popolo sulla terra che non preferirebbe un suo pessimo governo al buon governo di una potenza straniera.
    Generale di brigata: Mio caro signore, l'India è inglese, e non siamo davvero una potenza straniera.
    Chelmsford: Signor Gandhi, anche se Sua Maestà potesse rinunciare ad ogni altra considerazione, egli ha dei doveri verso i milioni di suoi sudditi musulmani, che sono una minoranza in questo regno, e l'esperienza ci insegna che le sue truppe e la sua amministrazione sono essenziali allo scopo di assicurare la pace.
    Gandhi: Tutte le nazioni hanno le loro minoranze religiose, e come in tutte le nazioni le nostre hanno dei problemi, ma saranno nostri, non vostri.
  • Patel [dopo l'incidente di Chauri Chaura]: Ecco delle notizie che non hanno censurato.
    Jinnah: Le hanno sparse in tutto il mondo. "India, non-violenza!"
    Nehru: Che si può fare?
    Gandhi: Dobbiamo chiudere la campagna.
    Jinnah: Dopo quello che ci fecero al massacro, questo è solo occhio per occhio.
    Gandhi: Occhio per occhio finisce soltanto per rendere tutto il mondo cieco.
    Patel: Ma Gandhiji, conosci i sacrifici che il popolo ha fatto.
    Jinnah: Non otteremo mai più un impegno così forte.
    Patel: Ora l'India intera si sta muovendo.
    Gandhi: Sì, ma in quale direzione? Se otteniamo la libertà a prezzo di sangue e di morte, io non voglio averci parte.
    Nehru: Bapu, tu sei il padre della nazione.
    Gandhi: Oggi non riesco a vedere in questo che motivo di vergogna.
    Nehru: Per un unico incidente?
    Gandhi: Dillo alle famiglie dei poliziotti che sono morti.
    Nehru: Bapu, l'intera nazione è in marcia. Non si fermerebbero neanche se lo chiedessimo.
    Gandhi: Io glielo chiederò, e farò digiuno per penitenza per aver suscitato tali sentimenti, e non smetterò finché non smetteranno.
    Nehru: Ma...
    Jinnah: Questo è sicuro che non lo censureranno! Affiggeranno manifesti in ogni strada.
    Nehru: Gandhiji, il popolo si è sollevato. Ormai non si fermeranno più.
    Gandhi: Se io muoio, può darsi che si fermeranno.
  • Jinnah: Gandhiji, io non sono preoccupato per l'indipendenza dell'India. Sono preoccupato per la schiavitù dei musulmani.
    Gandhi: La prego. La prego, signor Jinnah...
    Jinnah: E non starò fermo a guardare il dominio degli indù sostituirsi al dominio degli inglesi.
    [...]
    Gandhi: Musulmani e indù sono l'occhio destro e sinistro dell'India. Nessuno sarà padrone, nessuno schiavo.
    Jinnah: Il mondo non è fatto di Mahatma Gandhi. Io sto parlando del mondo reale.
    Patel: Oh, ma questo è...
    Nehru: L'India reale ha musulmani e indù in ogni villaggio e in ogni città. Come si propone di separarli?
    Jinnah: Dove esiste una maggioranza musulmana, quello sarà Pakistan. Il resto è la vostra India.
    Patel: Mio caro Jinnah, i musulmani sono in maggioranza in due aree diverse del nostro paese.
    Jinnah: Lasciate che noi pensiamo al Pakistan. Voi penserete all'India.
  • Gandhi: Mio caro Jinnah, lei e io siamo fratelli nati dalla stessa madre India e, se ha timori, li voglio subito allontanare, implorando la comprensione dei miei amici. Io chiedo Panditji di passare la mano. Voglio che lei sia il primo Primo Ministro dell'India, che nomini suo intero gabinetto, che metta a capo di ogni ministero del governo un musulmano.
    Nehru: Bapu, per me e gli altri, se è questo che tu vuoi, noi lo accetteremo. Ma la fuori c'è già un tumulto in atto, perché gli indù temono che tu stia cedendo troppo.
    Patel: Se facessi questo, nessuno potrebbe controllarli. Nessuno.
    Jinnah: Sta a voi scegliere: volete un India indipendente e un Pakistan indipendente? O volete la guerra civile?
  • Nahari: Io andrò all'inferno, ma non con la tua morte sulla coscienza.
    Gandhi: Solo Dio può decidere chi va all'inferno.
    Nahari: Io ho ucciso un bambino. Gli ho spaccato la testa contro un muro.
    Gandhi: Perché?
    Nahari: Hanno ucciso mio figlio. Il mio bambino. I musulmani l'hanno ucciso.
    Gandhi: Io conosco una via d'uscita dall'inferno. Trova un bambino, un bambino di cui la madre e il padre siano stati uccisi. Un bambino piccolo, più o meno alto così, e crescilo come se fosse tuo. Solo sii sicuro che egli sia un musulmano e che lo crescerai come tale.
  • Margaret Bourke-White: Andrà veramente nel Pakistan? È davvero un uomo caparbio!
    Gandhi: Io semplicemente darò la prova agli indù qui e ai musulmani là che i soli demoni nel mondo sono quelli che corrono intorno dentro i nostri cuori, e che è lì che le nostre battaglie dovrebbero essere combattute.
  • Margaret Bourke-White: C'è in lui della tristezza.
    Mirabehn: Crede di avere fallito.
    Margaret Bourke-White: Ma perché? Mio Dio, se non l'ha dato ragione quello che è accaduto negli ultimi mesi!
    Mirabehn: Io forse sono accecata dal mio amore per lui, ma io credo che quando ne avevano bisogno ha offerto il mondo la via d'uscita dalla follia. Ma lui non se ne rende conto, e tanto meno il mondo.

Citazioni su Gandhi

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  • Il Gandhi che il regista ci propone, e che l'attore angloindiano Krìshna Bhanji (in arte Ben Kingsley) riesce a interpretare con affascinante bravura, non ha nulla di sentimentale, di zuccheroso, di rassegnato, e neanche di mistico. Dai gesti, dagli sguardi dell'avvocato che ha deciso di vivere come un mendicante, e che sembra così debole e malaticcio, si sprigiona une forza invincibile. La sua voce lenta e pacata, le sue parole semplici, che non incitano mai alla violenza, ma sempre (questo sì) al rifiuto rigoroso e inflessibile dell'ingiustizia e della menzogna, sono di una eloquenza travolgente. (Arminio Savioli)
  • All'inizio nessuno credeva alla "vendibilità" di un film del genere: le Major statunitensi mi prendevano in giro, i politici dicevano che non era il caso, gli Indiani stessi erano scettici. Nel 1962 fu proprio il primo ministro Pandit Nehru a mettermi sull'avviso; "Qualunque cosa faccia su Gandhi cerchi di non deificarlo. Non lo renda inviolabile e non lo metta su un piedistallo, come facciamo noi qui". Intanto, il progetto andava faticosamente avanti, a patto che il Gandhi fosse interpretato da un attore inglese. Nehru s'era fissato con Alec Guinness. Ma ve l'immaginate come avrebbe riso Gandhi, lassù, nel vedersi rappresentato da un inglese? Poi mi proposero Dustin Hoffman, De Niro e altri ancora. Meglio cosi, comunque. Se il film l'avessi fatto allora non avrei mai conosciuto Ben Kingsley; e probabilmente ne sarebbe venuto fuori un Gandhi più oleografico, rassicurante, pallido dal punto di vista politico.
  • Gandhi è la celebrazione laica dello spirito di un uomo, ma è anche un film che cerca di ristabilire la verità rispetto ai luoghi comuni, in fondo tipici di una certa sinistra, che hanno fatto del Mahatma una specie di profeta disarmato, triste e un po' anacronistico.
  • Quel piccolo uomo che si presentò seminudo a Giorgio V per definire insieme l'indipendenza dell'India era troppo grande per non farci un film.
  • Ciò che rende importante questo film non è che serve da lezione di storia (anche se lo fa) ma che, nell'epoca in cui la minaccia dell'olocausto nucleare incombe minacciosamente nell'aria, ci rammenta che siamo, dopo tutto, umani, e perciò capaci delle più straordinarie e meravigliose imprese, semplicemente facendo uso della nostra immaginazione, della nostra volontà, e del nostro senso di ciò che è giusto.
  • Gandhi non è semplicemente una storia morale con un lieto fine, e viene menzionata la tragedia dello spargimento di sangue tra le popolazioni indù e musulmane dell'India liberata, così come la spartizione dell'India e del Pakistan, di cui possiamo quasi letteralmente percepire che spezza il cuore di Gandhi.
  • L'interpretazione di Kingsley è potente senza essere chiassosa o istrionica; è quasi sempre silenzioso, attento, e pacato sullo schermo, eppure la sua interpretazione emana una tale forza che, dopo, ci rendiamo conto che dietro le parole deve esserci stata la pura e semplice forza morale di Gandhi. A parte tutte le sue altre qualità, ciò che rende speciale questo film è il fatto che indubbiamente fu girato da persone che credevano in esso.
  • Questo è il raro tipo di film epico che abbraccia un arco temporale di decenni, che impiega il proverbiale cast di migliaia, eppure segue una trama umana dall'inizio alla fine: Gandhi non viene sopraffatto dall'immensità della sua produzione come Gandhi non fu sopraffatto da tutta la gloria dell'Impero britannico.
  • Ho provato soddisfazione per il successo, naturalmente. Umanamente, però, ho vissuto un trauma; è stata la fine di un'epoca. Un attore di teatro vive in simbiosi con una compagnia, con un regista. Non è solo. Oggi io ricevo centinaia di copioni, sono solo ad avere la responsabilità di quello che faccio per me stesso.
  • L'ho interpretato pensando ad Antonio Gramsci. Non azzardo naturalmente paragoni politici, ma il mio Gandhi nasce anche da lì, dal Gramsci che ho "conosciuto" e recitato in uno spettacolo teatrale di Trevor Griffith, Occupazioni, ambientato a Torino durante le prime lotte alla Fiat. Sì, penso che Gramsci sia il Gandhi italiano, perché ha organizzato le masse, perché sapeva farsi capire da tutti, perché non ha spinto il proletariato verso una rivoluzione armata che probabilmente avrebbe distrutto la classe operaia.
  • Per il vecchio Gandhi avevo a disposizione una massa enorme di scritti, di documenti fotografici, cinematografici, di materiale registrato. E quindi era, apparentemente, più facile. Ma dovevo stare attento a non trasformarmi in una caricatura. Per il giovane, invece, c'era poco. E così ho dovuto "camminare" all'indietro, inventarmi un Gandhi ventenne e poi trentenne estrapolandolo dal Gandhi più anziano. E stata una sfida continua. Perché i due uomini erano davvero differenti. Da giovane mostrava un'intelligenza acutissima ma anche una rigidezza difficile da rendere sullo schermo; da vecchio, il carisma del leader venerato da milioni di uomini si siempera in una saggezza, in una comunicativa, in una serenità impressionanti, che sono poi l'articolazione perfetta dell'intelligenza politica e umano di Gandhi. Lui si fa intendere dal viceré delle Indie e dal contadino depredato dagli inglesi, lui sa di poter vincere perché gli uomini buoni fanno sentire a disagio.

Voci correlate

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Altri progetti

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