Bhagavadgītā

testo sacro dell'induismo

Bhagavadgītā, episodio del poema epico indiano Mahābhārata.

Bhagavadgītā: manoscritto indiano del XIX secolo

I traduzione

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Dhritarashtra Che cosa fecero i miei figli, le cattive, seducenti tendenze mentali e dei sensi, opposti alle pure tendenze mentali discriminative, radunatisi sulla sacra pianura del campo di battaglia della Vita (dharmakshetra) desiderosi di darsi battaglia psicologica e morale?
Sanjaya Allora Re Duryodhana, dopo aver visto le armate dei Pandava schierate in ordine di battaglia, si rifugiò dal suo precettore Drona, e così gli parlò:
"O Maestro, guarda il grande esercito dei figli di Pandu, schierato in ordine di battaglia dal figlio di Drupada, tuo discepolo di grande talento.
"In esso vi sono potenti eroi, grandi arcieri abili in battaglia come Bhima e Arjuna; i guerrieri veterani Yuyiidhana, Virata e Drupada;
"I potenti Dhristaketu, Cekitana e il re di Kashi; il fiore degli uomini, Purujit; e Kuntibhoja e Shaibya;
"Il forte Yudhamanyu e il prode Uttamauja; il figlio di Subhadra e i figli di Draupadi – tutti signori di grandi carri.
"Ascolta anche, o Fiore dei Brahmini due-volte-nati, chi sono i generali del nostro esercito che si distinguono tra noi; te li nominerò per tua conoscenza.
[Bhagavadgītā in italiano]

Oreste Nazari

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Dhritarâstra dimandò:
Nel santo territorio, nel territorio dei Kuru, convenuti desiderosi di pugna, i miei e i Pânduidi che dunque fecero, o Sangiaya?
Sangiaya rispose:
Veduto l'esercito dei Pânduidi schierato, il re Duryodhana allora, accostatosi al maestro [d'armi, Drona], tenne questo discorso: «Guarda, maestro, questo grande esercito dei figli di Pându, schierato dall'intelligente tuo discepolo, il figlio di Drupada <Dhristadyumna>. Ivi sono eroi dal grand'arco, a Bhîma e a Argiuna pari in battaglia, Yuyudhâna e Virâta e Drupada grande eroe, Dhristaketu, Cekitâna e il forte re di Kâçi, Purugite e Kuntibhogia e Çaibya duce d'uomini, e Yudhâmanyu valoroso e Uttamâugiase forte e il Subhadride <Abhimanyu> e i Drâupadidi, tutti quanti grandi eroi. Fra noi poi, quali siano i principali duci del mio esercito, odili, o sommo dei brâhmani, che per segnalarteli te li dico [...]
[Il canto divino, tradotto e commentato da Oreste Nazari, Remo Sandron Edit., 1904.]

Ida Vassalini

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Diceva Dhṛtarāṣṭra:
A me rispondi: Là, nel sacro campo di Kuru,
quando vennero a fronte, di lotta ardenti e di strage,
che mai fecero, o Sañjaya, i Pāṇḍuidi ed i nostri?
E Sañjaya disse:

O Dhṛtarāṣṭra, poi che de i Pāṇḍava scorse
l'esercito schierato, s'accostava Duryodhana il sire
al suo Maestro, e così il parlar gli volgea:
«Guarda, o Maestro, questo esercito grande de' figli
di Pāṇḍu che il Draupadio, di te saggio alunno famoso,
ordinava in battaglia. Là sono gli eroi, là gli arcieri
nel pugnare valenti di Bhīma e d'Arjuna al pari:
Yuyudhāna, Virāṭa, Drupada, guerrieri superbi;
e Dhṛṣṭaketu e Cekitāna e di Kāśi
l'illustre re, e Purujit e Kuntibhoja e de' Śibi
il nobile sovrano, e Yudhāmanyu possente
e l'ardito Uttamaujas, di Subhadrā il figlio, ed i figli
ancor di Draupadī: e tutti su carri di guerra.
Or senti, grande bracmano, chi sono i duci migliori
di nostre schiere: li dico perché sempre tu abbia
a ricordarli [...].

[Bhagavadgītā, traduzione in esametri dal sanscrito e introduzione di Ida Vassalini, Gius. Laterza & Figli, Bari, 1943.]

Citazioni

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  • I veri saggi però non s'affliggono né per i vivi né per i morti. (Il Beato, II: 11)
  • Fiore tra gli Uomini, colui che non può essere turbato da queste cose [i sensi], chi rimane calmo ed equanime nel dolore e nel piacere, lui solo è degno d'ottenere l'immortalità. (Il Beato, II: 15)
  • Come un individuo getta degli abiti logori per indossare nuovi vestiti, così l'anima incarnata abbandona le dimore corporee rovinate per entrare in altre nuove. (Il Beato, II: 22)
  • Rimanendo equanime nella felicità e nel dolore, nel guadagno e nella perdita, nella vittoria e nella sconfitta, affronta la battaglia della vita. Così non commetterai peccato. (Il Beato, II: 38)
  • Ti ho spiegato la saggezza fondamentale del Sankhya. Adesso ascolta la saggezza dello Yoga, possedendo la quale – o Partha, spezzerai le catene del karma. (Il Beato, II: 39)
  • Tu hai diritto soltanto all'azione, e mai ai frutti che derivano dalle azioni. Non considerarti il produttore dei frutti delle tue azioni, e non permettere a te stesso d'essere attaccato all'inattività. (Il Beato, II: 47)
  • Pensare agli oggetti dei sensi causa attaccamento ad essi. Dall'attaccamento nasce il desiderio, e dal desiderio scaturisce la collera. (Il Beato, II: 62)
  • Chi, signore di sé, si muove tra gli oggetti dei sensi con sensi sgombri d'odio e d'amore, obbedienti al sé, raggiunge una calma serenità.[1]
  • Compi le azioni che costituiscono il tuo sacro dovere, perché l'azione è migliore dell'inattività. Anche il semplice mantenimento del corpo sarebbe impossibile senza attività. (Il Beato, III: 8)
  • Gli uomini di perfetta conoscenza non devono turbare le menti delle persone che hanno una conoscenza imperfetta. Ingannato dagli attributi della Natura primordiale, l'ignorante si attacca alle attività generate dai guna [proprie azioni]. (Il Beato, III: 29)
  • I sensi, dicono, sono superiori (al corpo fisico); la mente è superiore alle facoltà dei sensi; l'intelligenza è superiore alla mente; ma il Sé (Atman) è superiore all'intelligenza. (Il Beato, III: 42)
  • Anche i saggi sono confusi riguardo l'azione e l'inazione. Perciò ti spiegherò che cosa costituisce la vera azione, conoscendo la quale sarai liberato dal male. (Il Beato, IV: 16)
  • Tutto il karma (il risultato delle azioni) si dissolve completamente per l'essere liberato che, privo d'attaccamento, con la mente centrata nella saggezza, agisce solo per compiere la vera cerimonia spirituale del fuoco (yajna). (Il Beato, IV: 23)
  • O Parantapa! La cerimonia del fuoco spirituale della saggezza è superiore a qualunque rituale fatto con oggetti materiali. O Partha, ogni azione nella sua globalità (l'atto, la causa, l'effetto karmico) raggiunge la sua consumazione nella saggezza. (Il Beato, IV: 33)
  • Comprendi questo! Abbandonandoti (al guru), ponendo domande (al guru e alla tua percezione interiore) e servendo (il guru), i saggi che hanno realizzato la Verità ti impartiranno la saggezza. (Il Beato, IV: 34)
  • Anche se tu sei il più peccatore di tutti i peccatori, tuttavia, grazie alla barca della conoscenza , trapasserai ogni peccato. (IV, 36)[1]
  • La libertà si ottiene sia con la rinuncia che con l'adempimento delle azioni. Delle due, la via dello yoga dell'azione è migliore della via della rinuncia all'azione. (Il Beato, V: 2)
  • Percepisce la verità chi vede la conoscenza (Sankhya) e la pratica delle azioni (Yoga) come una cosa sola. (Il Beato, V: 5)
  • L'Onnipresente non prende in considerazione le virtù o i peccati di alcuno. La saggezza è eclissata dall'illusione cosmica: per questo l'umanità è smarrita. (Il Beato, V: 15)
  • Ma in quelli che hanno bandito l'ignoranza per mezzo della conoscenza, la loro saggezza, come il sole splendente, rende manifesto il Supremo (Brahman). (Il Beato, V: 16)
  • Un savio non suole rallegrarsi quando gli capita qualcosa di gradito, né suole turbarsi quando gli capita qualcosa di sgradito. (V, 20)[1]
  • O Figlio di Kunti, poiché i piaceri dei sensi nascono dai contatti esteriori e hanno un inizio e una fine (sono effimeri), generano soltanto dolore. Nessun saggio cerca la felicità in essi. (Il Beato, V: 22)
  • Vero rinunciante e vero yogi è chi compie le azioni spirituali (karma) e quelle che costituiscono il suo sacro dovere (karyam) senza desiderarne i frutti – non colui che non compie la cerimonia del fuoco (il sacrificio) né chi abbandona l'azione. (Il Beato, VI: 1)
  • Lo yogi beatamente assorto nella verità e nella realizzazione del Sé è indissolubilmente unito (allo Spirito). Imperturbabile, conquistatore dei suoi sensi, egli guarda con occhio equanime una zolla di terra, una pietra e l'oro. (Il Beato, VI: 8)
  • È uno yogi eccelso chi guarda con mente equanime tutti gli uomini: benefattori, amici, nemici, stranieri, mediatori, esseri odiosi, parenti, peccatori e santi. (Il Beato, VI: 9)
  • Sereno e impavido, fermo nel voto di brahmacharya (castità e autodisciplina), con la mente controllata e i pensieri rivolti a Me, lo yogi deve sedere meditando su di Me come Mèta Suprema. (Il Beato, VI: 14)
  • Chi vede in Me tutte le cose e tutte le cose in Me, per costui Io non sono perduto, per Me egli non è perduto.[2] (Il Beato, VI, 30)
  • Rimane per sempre in Me lo yogi che, ancorato nell'unità qualunque sia il suo modo di vita, Mi realizza presente in tutti gli esseri.[3] (Il Beato, VI: 31)
  • Avendo guadagnato l'ingresso al mondo dei giusti, uno yogi decaduto vi rimane per innumerevoli anni; quindi rinasce (sulla terra) in una casa pura e prospera. (Il Beato, VI: 41)
 
Krishna il Beato parla ad Arjuna
  • Sappi che le Mie due nature, la pura e l'impura prakriti, costituiscono la matrice di tutti gli esseri. Io sono l'origine e la dissoluzione dell'intero universo. (Il Beato, VII: 6)
  • Io sono estremamente caro al saggio, ed egli è estremamente caro a Me. (Il Beato, VII: 17)
  • Non comprendendo il Mio stato supremo, la Mia natura immutabile e indescrivibile, gli uomini privi di saggezza pensano che Io, il Non Manifesto, assuma una manifestazione (come un mortale che prende una forma). (Il Beato, VII: 24)
  • Lo Spirito Supremo e Imperituro è Brahman. La Sua manifestazione indifferenziata (come Kutastha Chaitanya e come anima individuale) è chiamata adhyatma. L'Aum (Vibrazione Cosmica o Visarga) che causa la nascita, la crescita e la dissoluzione di tutti gli esseri e delle loro varie nature, è chiamato karma (azione cosmica). (Il Beato, VIII: 3)
  • Entra infine nel Mio Essere chi, al momento del trapasso, quando abbandona il corpo, pensa soltanto a Me. Questo è vero al di là di ogni dubbio. (Il Beato, VIII: 5)
  • Figlio di Kunti! Il pensiero con il quale un morente lascia il corpo determina – per la sua lunga persistenza in esso – il suo prossimo stato d'esistenza. (Il Beato, VIII: 6)
  • Io – il Non Manifesto – pervado l'intero universo. Tutte le creature risiedono in Me, ma Io non sono in esse. (Il Beato, IX: 4)
  • Al termine di un ciclo (kalpa), o Figlio di Kunti, tutti gli esseri ritornano allo stato non manifesto della Mia Natura Cosmica (Prakriti). All'inizio del ciclo seguente Io li proietto di nuovo fuori. (Il Beato, IX: 7)
  • Di questo mondo Io sono il Padre, la Madre, l'Avo, il Sostenitore, il Purificatore, il solo Oggetto di conoscenza, il Suono Cosmico Aum e anche la tradizione vedica (il Rig, Sama e Yajur-Veda). (Il Beato, IX: 17)
  • Io do il calore del sole, o Arjuna, e mando o trattengo la pioggia. Io sono l'Immortalità e anche la Morte. Io sono l'Essere (Sat) e il Non-Essere (Asat). (Il Beato, IX: 19)
  • Degli Aditya (dodici esseri risplendenti), Io sono Vishnu; degli astri luminosi, Io sono il sole raggiante; dei Marut (divinità del vento), sono Marici; dei corpi celesti, sono la luna. (Il Beato, X: 21)
  • Tra i Veda, Io sono il Sama Veda tra gli dèi, sono Vasava (Indra); tra i sensi, sono la mente (manas); negli esseri viventi, sono l'intelligenza. (Il Beato, X: 22)
  • Dei Rudra (undici esseri radiosi), Io sono (il loro capo) Shankara (Shiva); tra gli Yaksha e i Rakshasa (esseri semi divini), sono Kubera (il Signore delle ricchezze); dei Vasu (Otto esseri vitalizzanti), Io sono Pavalta (il dio del fuoco, il potere purificante); delle montagne, sono il monte Meru. (Il Beato, X: 23)
  • Tra i purificatori, Io sono il vento; fra i guerrieri armati sono Rama; tra gli esseri acquatici, sono Makara (il veicolo del dio dell'oceano, lo squalo); tra i fiumi, Io sono Jahnavi (il Gange). (Il Beato, X: 31)
  • Di tutte le manifestazioni – o Arjuna – Io sono il principio, il mezzo ed anche la fine. Di tutti i rami della conoscenza, Io sono la saggezza del Sé. Per gli oratori, sono la logica discriminativa (vada). (Il Beato, X: 32)
 
una strofa del poema in lingua devanāgarī
  • Arjuna O Maestro, Signore degli Yogi! Se mi ritieni capace di vederLo, mostrami il Tuo Sé Infinito.
    Il Beato Guarda, o Partha, le Mie forme divine, a centinaia, a migliaia – di svariati colori e d'ogni genere!
    Guarda gli Aditya, i Vasu, i Rudra, i gemelli Ashvin, i Marut e molte altre cose meravigliose mai viste prima!
    O Conquistatore del Sonno! Guarda ora riuniti nel Mio Corpo Cosmico tutti i mondi, tutto ciò che si muove o è immobile, e qualunque altra cosa desideri vedere.
    Ma tu non puoi vederMi con occhi mortali. Perciò ti concedo la vista divina. Guarda il potere supremo del Mio yoga!
    Sanjaya Con queste parole Hari, l'eccelso Signore dello Yoga, mostrò ad Arjuna la Sua Completa Manifestazione, la Forma Cosmica di Ishvara.
    (Arjuna vide) la multiforme e meravigliosa Presenza della Divinità – infinita nelle forme, splendente in ogni direzione dello spazio, onnipotenza onnipervadente, adorna d'innumerevoli abiti, ghirlande e ornamenti celesti, con in pugno armi divine, fragrante di ogni amabile essenza, con occhi e bocche dappertutto! (XI: 4-11)
  • Vedo Te – dalle braccia possenti – con innumerevoli bocche e occhi stellati, con infinite mani e gambe adorne di piedi di loto. L'immensa voragine della Tua bocca, con i denti del giorno del giudizio, si spalanca ad ingoiare i mondi intorno che si dissolvono, e lascia in me un puro e gioioso timore reverenziale. Vedendo la Tua immensità tutti i mondi rimangono esterrefatti, ed anch'io! (Arjuna, XI: 23)
  • Tu sei più grande di Brahmā, il Creatore, che è scaturito da Te. O Essere Infinito, Dio degli dèi, Rifugio dell'universo, Tu sei l'Imperituro: il Manifesto, il Non Manifesto e Quello oltre (il Mistero Supremo)! (Arjuna, XI: 37)
  • Invero la saggezza (nata dalla pratica yoga) è superiore alla pratica (meccanica) dello yoga; la meditazione è più desiderabile del possesso della conoscenza (teorica); la rinuncia ai frutti delle azioni è meglio (degli stati iniziali) della meditazione. la rinuncia ai frutti delle azioni è seguita immediatamente dalla pace. (Il Beato, XII: 12)
  • L'individuo che non crea disturbo nel mondo e che non può essere disturbato dal mondo, che è libero da esultanza, gelosia, paura e ansietà – anche questi Mi è caro. (Il Beato, XII: 15)
  • Chi è ugualmente tranquillo davanti ad amici e nemici, (ricevendo) adorazione e insulti, e durante le esperienze di caldo e freddo e di piacere e sofferenza; chi ha rinunciato all'attaccamento, considerando allo stesso modo lode e biasimo; chi è tranquillo e contento con qualunque cosa, non attaccato alla vita di casa, ed ha una natura calma e piena di devozione – questi Mi è caro. (Il Beato, XII: 18-19)
  • (Il saggio è contraddistinto da) umiltà, mancanza d'ipocrisia, non violenza, clemenza, rettitudine, servizio al guru, purezza di mente e corpo, fermezza e auto-controllo;
    Indifferenza verso gli oggetti dei sensi, assenza di egoismo, comprensione delle sofferenze e dei mali (impliciti nella vita mortale): nascita, malattia, vecchiaia e morte;
    Non attaccamento, non identificazione del Sé con cose come figli, moglie e casa; costante equanimità in tutte le circostanze desiderabili e indesiderabili;
    Incrollabile devozione a Me mediante lo yoga della non-separazione; vivere in luoghi solitari, evitare la compagnia delle persone mondane;
    Perseveranza nella conoscenza del Sé e percezione intuitiva dello scopo di ogni sapere. Tutte queste qualità costituiscono la saggezza; (le qualità) ad esse opposte costituiscono l'ignoranza. (Il Beato, XIII: 7-11)
  • Quando un uomo vede che tutti gli esseri separati esistono nell'Uno, che Si è espanso nei molti, allora si fonde con Brahman. (Il Beato, XIII: 30)
  • O Eroe dal Braccio Possente! I guna che nascono da Prakriti – sattva, rajas e tamas[4] – imprigionano saldamente nel corpo l'Incarnato Imperituro. (Il Beato, XIV: 5)
  • Essi (i saggi) parlano di un eterno albero ashvattha, con le radici in alto e i rami in basso, le cui foglie sono i Veda. Chi conosce quest'albero della vita è un conoscitore dei Veda. I suoi rami si sviluppano in altezza e in profondità, crescendo sulle guna; le sue gemme sono gli oggetti dei sensi; in basso le sue radici si ramificano, legate agli atti, nel mondo degli uomini. In questo mondo non se ne discerne la forma, né la fine, né il principio, né le dimensioni. Bisogna, con l'arma solida della rinuncia, troncare anzitutto questo Aśvattha dalle radici potenti, e poi ricercare il luogo dal quale non si ritorna. [...] (Il Beato, XV: 1-4) [5]
  • Permeando la terra con la Mia energia vitale (ojas), Io sostengo tutti gli esseri; e diventando la linfa lunare (soma), nutro tutte le forme vegetali. (Il Beato, XV: 13)
  • Io (il Signore) sono oltre il perituro (Prakriti) e sono anche superiore all'Imperituro (Kutastha). Per questo nei mondi e nei Veda (nella percezione intuitiva delle anime liberate) sono glorificato col nome di Purushottama, l'Essere Supremo. (Il Beato, XV: 18)
  • Assenza di paura, purezza di cuore, perseveranza nell'acquisizione della saggezza e nella pratica yoga, carità, controllo dei sensi, compiere riti sacri (yajna), studio delle sacre scritture, austerità, rettitudine;
    Non violenza, verità, assenza di collera, rinuncia interiore, pace, avversione alla calunnia, compassione verso tutte le creature, assenza di cupidigia, gentilezza, modestia, tranquillità;
    Radiosità di carattere, clemenza, pazienza, purezza, mancanza di odio e assenza di orgoglio – queste qualità, o Bharata, sono la ricchezza di chi ha inclinazioni divine.
    O Partha, il vanitoso orgoglio, l'arroganza, l'eccessiva stima di sé, la collera, come pure l'asprezza e l'ignoranza, contraddistinguono l'uomo nato con una natura demoniaca (asurica). (Il Beato, XVI: 1-4)
  • Triplice è questa porta dell'inferno, distruggitrice del sé – desiderio, ira e cupidigia. Questa triade dunque il savio l'abbandoni. (XVI, 21)[1]
  • Sappi che gli uomini che praticano terribili austerità non autorizzate dalle sacre scritture sono di natura asurica. Pieni d'ipocrisia ed egoismo – dominati dalla lussuria, dall'attaccamento e dalla follia violenta del potere – torturano in maniera insensata gli elementi del corpo e inoltre offendono Me, che sono Colui che vi dimora dentro. (Il Beato, XVII: 5-6)
  • 'Aum Tat Sat' sono state tramandate come le tre parole che designano Brahman (Dio). Da questo potere furono creati all'inizio i brahmana (i conoscitori di Brahman), i Veda e i riti sacrificali (yajna). (Il Beato, XVII: 23)
  • La felicità che nasce dalla chiara discriminazione percettiva della realizzazione del Sé, è chiamata sattvica. In principio sembra veleno, ma alla fine è come nettare.
    La felicità che nasce dall'unione dei sensi con la materia è chiamata rajasica. In principio sembra nettare, ma alla fine è come veleno. (Il Beato, XVIII: 37-38)
  • È meglio adempiere il proprio dharma anche se senza merito (e in maniera imperfetta), che fare bene il dharma di un altro. Chi compie il dovere prescritto dalla propria natura innata non commette peccato. (Il Beato, XVIII: 47)
  • Non dire mai queste verità a chi è privo d'auto-controllo o di devozione, né a chi non rende alcun servizio o non desidera ascoltare, né a chi parla male di Me.
    Chiunque impartirà ai Miei devoti la suprema conoscenza segreta, con la massima devozione a Me, verrà senza dubbio a Me. (Il Beato, XVIII: 67-68)
  • Chi studia e conosce (percepisce intuitivamente) questo sacro dialogo tra noi, Mi adorerà con il sacrificio (yajna) della saggezza. Questa è la Mia sacra parola. (Il Beato, XVIII: 70)

Questa è la mia fede: ovunque sia manifesto Krishna, il Signore dello Yoga, ed ovunque sia presente Partha (un sincero devoto, come Arjuna), l'abile arciere dell'autocontrollo, là si trovano anche prosperità, vittoria, conseguimento dei poteri (spirituali) e l'infallibile legge dell'autodisciplina (che conduce alla liberazione). (Sanjaya)

Citazioni sulla Bhagavadgītā

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Il verso II.47 in alfabeto devanāgarī e trascritto secondo lo IAST
  • La Bhagavad-Gîtâ [...] contiene in sintesi gli aspetti preminenti del Vedantismo e una "metafisica dell'azione" con la quale inizia il bhakti-yoga. Il testo concilia vie induiste contraddittorie e il popolarismo delle concezioni puraniche con il misticismo tendente al divino assoluto. Risolve quindi il dilemma tra karma-marga (fede) e ghinana-marga (conoscenza), e in definitiva esprime una visione eminentemente mistica, ma virile, della realtà. (Gabriele Mandel)
  • La Bhagavad-gītā elabora in forma narrativa gli interessi dell'ortodossia hindu: l'importanza del dharma e del mantenimento della stabilità sociale, l'importanza dell'azione corretta e responsabile, l'importanza della devozione verso il trascendente sotto forma di un signore personale non dissimile dal re ideale. Nella Gītā sono confluite diverse componenti, tra cui il culto bhaktico di Kṛṣṇa, la filosofia del Sāṃkhya, idee e terminologie buddhiste. (Gavin Flood)
  • La Gita insegna pure che non è necessario rinunciare al mondo. Non vi dev'essere alcun vero conflitto fra vita ordinaria e vita spirituale: tutto quel che è necessario è agire liberi da attaccamento. (Jean Campbell Cooper)
  • La Gita non sostiene certo la guerra, ciò che sostiene è la difesa attiva e disinteressata del dharma. Se sinceramente seguito, il suo insegnamento avrebbe potuto cambiare il corso dell'umanità. Può ancora cambiare il corso della storia indiana. (Sri Aurobindo)
  • Nella primavera del 1940 ho letto la Bhagavatgita. Cosa curiosa, nel leggere quelle parole meravigliose di suono talmente cristiano, in bocca a una incarnazione di Dio, ho avuto la forte sensazione che la verità religiosa esiga da noi ben altro che l'adesione accordata a un bel poema, un'adesione ben altrimenti categorica. (Simone Weil)
  • Non un migliore commento è stato scritto o si può scrivere sui Veda. (Vivekananda)
  • Quanto più mirabile il Bhagavat Geeta di tutte le rovine d'oriente! (Henry David Thoreau)
  • Sono debitore di una magnifica giornata verso la Bhagavad-gita. È stato come se un impero ci avesse parlato, niente di piccolo o indegno, ma qualcosa di grande, sereno, consistente, la voce di un'antica intelligenza che in un'altra epoca e clima aveva meditato e quindi risolte le stesse domande che noi ci poniamo. (Ralph Waldo Emerson)
  • Io trovo nella Bhagavad Gita e nelle Upanishadi una consolazione che non riesco a sentire nemmeno nel Sermone del Monte. Non perché io non apprezzi l'ideale e gli insegnamenti di quel Sermone, ma perché, quando io mi sento nel dubbio e nella delusione e non vedo nessun raggio di luce all'orizzonte, io mi volgo alla Bhagavad Gita, e vi trovo un versetto che mi conforta, e subito comincio a sorridere in mezzo all'opprimente tristezza. La mia vita è stata piena di tragedie esteriori, e se esse non hanno lasciato nessun effetto visibile ed indelebile in me, lo devo agli insegnamenti della Bhagavad Gita.
  • Per migliaia di persone essa è la vera madre, in quanto produce il ricco latte del sollievo nelle difficoltà. Io l'ho chiamata il mio dizionario spirituale, perché non mi ha mai abbandonato nell'angoscia. Si tratta inoltre di un libro esente da faziosità e dogmi. Il suo appello è universale. Non considero la Gita un libro astruso. Senza dubbio i dotti riescono a vedere delle astrusità in tutto quello che gli capita a tiro. Però, a mio avviso, un uomo di intelligenza normale non dovrebbe trovare difficoltà a recepire il semplice messaggio della Gita. Il suo sanscrito è incredibilmente semplice.
  • Perché la Gītā pone in alto «la rinuncia al frutto delle azioni?»
    Perché quella rinuncia è rara, irrealizzabile, contraria alla nostra natura, e giungervi significa distruggere l'uomo che si è stati e che si è, uccidere in sé tutto il passato, l'opera di millenni – affrancarsi, in una parola, dalla Specie, da questa turpe e immemoriale marmaglia.
  • Secondo la Bhagavadgītā, è perduto, per questo mondo e per l'altro, colui che è «preda del dubbio», quello stesso dubbio che il buddhismo da parte sua cita fra i cinque ostacoli alla salvezza. Perché il dubbio non è approfondimento, bensì ristagno, vertigine del ristagno...
  • A me, la sensazione di vivere in un mondo nuovo la diede il testo sanscrito della Bhagavad Gita, un mucchio di anni fa. Aprirlo a caso è una mano di soccorso. Non promette felicità impossibili, ma una salvezza fuori dall'illusione dell'esistenza.
  • La Bhagavadgita è il mio libro sacro.
  • Ma voglio indicare [...] un testo sacro che resta per me, fin dagli anni di giovinezza, di tutte le Scritture sacre la più vera, e il più San Giorgio per decapitare le illusioni false e le cause delle depressioni. Perché nulla resiste al potere di vincere il male e sciogliere i nodi che angariano l'anima con più forza di parola della Bhagavad Gita, rivelazione dell'India. Ce ne sono in italiano decine di edizioni [...] perché un testo in sanscrito risente sempre dell'interpretazione del traduttore e ancor più del commento che ne viene fatto. Utili anche i confronti con versioni in francese e in inglese, numerosissime come pannocchie di granturco. Ma credo in tutte sia tradotta allo stesso modo l'esortazione di Krishna (avatar di Vishnù) al guerriero perplesso Arjuna: «Va e combatti!» e la promessa essenziale del dio: «Chi pensa a me nell'ultimo istante verrà a me, non dubitare di questo».
  • Per molti anni, non sono uscito di casa senza aver prima verificato se c'era, nelle mie tasche interne, come una chiave o una medicina d'urgenza, una mia minima edizione dell'adorabile Gītā.
  • In questo senso si può dire che la Bhagavad Gîtâ si sforza di "salvare" tutti gli atti umani, di "giustificare" ogni azione profana: perché, per il fatto stesso di non godere più i loro "frutti", l'uomo trasforma i suoi atti in sacrifici, vale a dire in dinamismi transpersonali che contribuiscono a mantenere l'ordine cosmico.
  • La grande originalità della Bhagavad Gītā sta nell'aver insistito sullo «yoga dell'azione», che si realizza «rinunciando ai frutti dei propri atti», e questo è anche il principale motivo del suo successo, che non ha precedenti in India.
  • Nella Bhagavad Gītā viene anche dimostrata rigorosamente l'omologia delle tre 'vie' soteriologiche, in un celebre episodio che si apre con la 'crisi esistenziale' di Arjuna e si conclude con una rivelazione esemplare relativa alla condizione umana e alle 'vie' di liberazione.
  1. a b c d Trad. R. Gnoli. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  2. Traduzione alternativa "30. Chi Mi percepisce ovunque e vede tutte le cose in Me non Mi perde mai di vista, né Io perdo mai di vista lui".
  3. Trad. alternativa: "31. Lo yogi che Mi onora come presente in tutti gli esseri e si rifugia in questa unità, questi è sempre in Me, in qualsiasi stato si trovi".
  4. Bontà, passione e negligenza.
  5. Citato in Mircea Eliade, Trattato di storia delle religioni, Bollati, 99: "L'albero cosmico". ISBN 978-88-339-1849-5

Bibliografia

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  • Bhagavadgītā in italiano.
  • Bhagavadgita. Il canto del beato, traduzione di Raniero Gnoli, Utet, 2017.
  • Il canto divino, tradotto e commentato da Oreste Nazari, Remo Sandron Edit., 1904.

Voci correlate

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