Alberto Savinio

scrittore, pittore e compositore italiano (1891-1952)
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Alberto Savinio, pseudonimo di Andrea Francesco Alberto de Chirico (1891 – 1952), scrittore, pittore, drammaturgo e compositore italiano.

Alberto Savinio

Citazioni di Alberto Savinio

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  • A Catania il barocco è una malattia eruttiva.[1]
  • Difatti, nel fondo, l'Etna fa cono. Quanto diverso però dall'immaginato! Questo il tremendo Mongibello, l'infocato carcere di Tifone? Il monte più armonico di forme, più mite d'aspetto che io abbia mai veduto. Me lo sono fatto indicare da gente del posto, per assicurarmi che è veramente lui. Solo che tutte le nuvole del cielo, poche o molte che siano, se le raccoglie intorno lui, come chioccia i pulcini.[2]
  • Entriamo nel sonno per un atto di egoismo giornaliero: nella morte per un egoismo definitivo.[1]
  • Il presente, che è nel tempo quello che la facciata è nello spazio, impedisce di vedere le cose in profondità.[1]
  • In Sicilia io rivivo la mia infanzia. Nella notte dei miei ricordi infantili, brillano le ruote, le stelle, i razzi dei fuochi artificiali. La pirotecnia è viva in Sicilia; forse in tutto il Mezzogiorno.[2]
  • In Sicilia le donne sono in primo piano e in tutti i settori della vita sociale. Sicure, sciolte nei modi, nella parola, nell'abito.[1]
  • Quello che chiamiamo la modernizzazione della vita, non è che una continua e sempre più grande complicazione demoniaca.[3]
  • [Parlando dello scacciapensieri] Questa lira minuscola e senza corde è un vibratore della voce. Fa dire alla voce dell'uomo quello che la voce dell'uomo da sola non sa dire. Non è uno strumento musicale: è un confessore del profondo.[2]

Ascolto il tuo cuore, città

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Arrivo a Venezia che è notte. Il lungo tragitto attraverso il cantiere della stazione nuova, è una preparazione al gagliardo podismo, alle tremende scarpinate, alle feroci maratone che mi aspettano in questa «città del riposo».

Citazioni

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  • Il progresso della civiltà si misura dalla vittoria del superfluo sul necessario. (El Vanièr)
  • Questo parlare scherzoso, questo trattare con ironia talvolta anche le cose e gli uomini più augusti, è forse la più sincera forma di amore, la più preziosa, la più pudica. Amore sottintende possesso, almeno desiderio di possesso (non dico «volontà di possesso»: è troppo forte). Amando una cosa la facciamo nostra, la pensiamo come nostra. Ed è questo bisogno di rimpicciolire le cose troppo grandi per renderle più facilmente nostre, rammorbidire le troppo dure, flettere le troppo rigide, che ci porta al tratto scherzoso, ironico. Le cose che amiamo cerchiamo di farle figlie nostre e le trattiamo come tali. Ma non tutti capiscono queste astuzie sentimentali, e vedono irriverenza in quello che è soltanto amore. E si scaldano, si fanno paladini dell'offesa grandezza. O inutile furore! (Catrafossi)
  • La serietà ha molta parte nella fama di taluni grandi uomini. Io per me diffido della serietà. A pungere la serietà, c'è il caso di scoprire attraverso il buchino qualcosa che l'uomo «serio» voleva nascondere. (Catrafossi, nota 8)
  • Lo spirito scientifico continua lo spirito poliziesco, e tra le nostre facoltà è la più sviluppata di tutte. Quello che interessa me, quello che io vorrei approfondire sta fuori dei libri, e forse fuori della stessa natura. La conoscenza intanto, come nave che non può ammainare le vele, si allontana sempre più verso le cose che la mano non più riesce a raggiungere né l'occhio a vedere. L'intelligenza dell'uomo perde via via il suo carattere «manuale» e si liquefà. E quando la liquefazione non basta più, l'intelligenza si «atmosferizza». E quando anche l'atmosfera non basta più, l'intelligenza diventa particella dello spazio. E quando lo stato di spazio nello spazio è troppo corposo ancora, troppo «toccabile», l'intelligenza si annulla. La fine del mondo avverrà per tentazione dell'infinito. (Catrafossi)
  • È la conoscenza del male che ci rivela per contrasto il bene e il bello. (Figlio di Maria)
  • I sogni dunque non sono lo sfogo di quei sentimenti inconfessabili che da svegli siamo costretti a celare, ma il teatro sperimentale sul quale questi sentimenti prendono forma, e si mostrano a noi in una rappresentazione edificante e ammonitrice. Piacere non c'è nella libertà, nella non coscienza del sogno, e aneliamo dunque a rientrare nella «prigione» della nostra morale, della nostra coscienza, della nostra volontà di segreto. I sogni, questi iloti fedeli, ci danno ogni notte lo spettacolo angoscioso ma salutare del nostro inferno. (Figlio di Maria)
  • E quando il mio ospite annuncia che a pranzo c'è un pollo, s'intende che ogni commensale ha nel suo piatto un bel pollastrone intero, coricato sul dorso, lustro come un volatile di encausticato palissandro, stretto le zampette ai fianchi nella positura del neonato, e cui la sola testa manca per sorriderci e farci festa, poiché il collo non parla, nero, ricurvo e tronco, come il tubo mozzo nella casa abbandonata, dopo che gli agenti del gas sono venuti a staccare il contatore. (Figlio di Maria)
  • Non è vizio cercare un significato segreto, riposto, profondo della vita? Sperare di veder brillare nella voce dell'uomo la scintilla della divinità? È con questi inganni che la divinità si salvaguarda. Dio ha messo nell'uomo questa sete del profondo non tanto per punirlo, quanto per tenerlo a bada e deviarlo dal suo tentativo di innalzarsi fino a Lui. E l'uomo che crede indiarsi scavando sempre più profondo, consuma intanto le sue forze in un lavoro di Sisifo. La sola rivalità che Iddio teme, è quella di coloro che sanno la vanità della ricerca, e per indifferenza, insperanza, afede, sono simili a Lui. (Fallatajà)
  • Il Parmigiano è grave, robusto, fidato. La sua forma a ruota di camion attesta la solidità del suo sapore. È il Morgante Maggiore dei formaggi. (Fallatajà)
  • Agl'incontri fortuiti di parole, nei quali i Greci riconoscevano la presenza della divinità, bisognerebbe aggiungere i lapsus delle macchine da scrivere, e in questi pure riconoscere alcun gioco divino. Qui sopra, dove ho scritto «Meissonier il più gran pittore del secolo», la mia macchina da scrivere aveva scritto «il più gran puttore»; e dove ho scritto che la trattoria della Berta Filava era «ritrovo di patrioti», la macchina aveva scritto «ritorvo di patrioti». Sono le macchine da scrivere così innocenti come noi crediamo, oppure si nasconde in esse il genietto della malignità? (Bululù)
  • La civiltà del Settecento riuscì a far prevalere il Superfluo sul Necessario. È il punto più alto raggiunto finora dalla civiltà. (Garibaldoff)
  • Quale esattamente la differenza tra noi e gli «altri», e onde nasce l'invidia che gli «altri» hanno per noi, e invano tentano nascondere sotto un ostentato disprezzo e la fallace denuncia della nostra inutilità?
    La differenza è questa, che noi conosciamo il gioco segreto della felicità, e coloro lo ignorano: quel gioco che spiegato altrui e insegnato, stupisce per la semplicità della sua tecnica e la modestia dei suoi risultati, ma in compenso è gioco sicuro e fondato sul principio della sana felicità, che è di ignorare l'irraggiungibile bene, e contentarsi del bene che si trova quaggiù e si può toccare con mano.
    Gli altri vivono nella speranza di beni assai più costosi e spettacolari. Hanno l'al di là. Hanno il paradiso se cristiani, i cori angelici e la contemplazione di Dio; hanno le montagne di pilàf se musulmani, e le blandizie delle urì; hanno il nirvana se buddisti, e la suprema voluttà del nulla. Noi, abbiamo l'immortalità terrestre. (I cinque teatrini della crudeltà)
  • È con le occasioni mancate che a poco a poco noi ci costituiamo un patrimonio di felicità. Quando il desiderio è soddisfatto, non resta che morire. (L'omeone ferito)
  • La freddura è la filologia del povero. Con questo in più che la freddura non scompone la parola secondo un sistema logico, scientifico e che non dà sorprese, ma in una maniera del tutto arbitraria e che dà significati nuovi e imprevisti. È forse troppo arrischiato proporre l'idea che nella freddura si manifesta per qualche barlume la divinità? Non dimentichiamo che negli accostamenti fortuiti delle parole, i Greci riconoscevano la voce degli dèi. Nel freddurista c'è anche una parte se pur minima della gioia del demiurgo, ossia di colui che fa concorrenza a Dio. Creare da due significati diversi un «terzo» significato, inaspettato e sorprendente, assume il freddurista nella regione metafisica e dei misteri. E chi sa se quel freddo che gli ascoltatori fingono di sentire all'echeggiare della freddura, non sia una reminiscenza dello stupore sacro che dà la rivelazione di un fatto trascendente? La freddura determina un misterioso spostamento d'aria. Non lasciamoci ingannare dalla piccolezza della freddura e soprattutto dalla sua cattiva fama, e accettiamo senza pregiudizio l'idea che nella freddura c'è il meccanismo, se non altro, di molti fatti religiosi. (Lelefante)
  • Se c'è qualche giustificazione nella stretta di mano, è nel suo rivelare la qualità dell'uomo. Da questo attoccamento banale, frettoloso, in istrada, si può riconoscere l'uomo capace dall'uomo incapace, l'uomo fattivo dall'uomo infattivo, l'uomo operante dall'uomo inoperante, e dalle qualità fisiche dedurre le qualità psichiche, distinguere l'uomo sincero dall'ipocrita, l'uomo leale dal disleale, il buono dal malvagio. (Lelefante)
  • [...] chiara mi divenne l'essenza dell'opera artigiana, la virtù della cosa fatta a mano; la cosa che conserva un po' dell'incerto, del caduco, dell'imperfetto, dello sbagliato della natura umana; la cosa che serba il senso di questa nostra condizione mortale, che è la nostra immortalità. (Lelefante)
  • Nella preghiera è implicita la minaccia, per il caso che il santo dovesse essere o restio o insollecito a esaudire la preghiera. Per non essere indotto a minacciare, io mi astengo dal pregare. (Ala-Reiks)
  • Lo stile spegne la parola, la rende silenziosa e invisibile. Il lettore riceve dalla pagina l'idea, le idee, ma non sa, non s'accorge, non è indotto a domandarsi quale congegno letterario le ha espresse. Una pagina scritta con stile si legge ma non ci si avvede come è scritta, siccome una pittura dipinta con stile si guarda e non ci si accorge come è dipinta. In una pagina di Verga le parole o fanno buca o fanno sasso. E l'occhio si ferma ammirato. Genio di scrittura è molto spesso mancanza di stile. E l'equivoco si protrarrà fino al raggiungimento di una eccelsa civiltà letteraria, monda di ogni bellezza superflua, di ogni pregio contrario, di ogni errata qualità. (Ala-Reiks)
  • Tutti gli strumenti sono più o meno dei nobili decaduti. Il solo pianoforte si salva da questa condizione pietosa e disperata. Il pianoforte è lo strumento moderno per eccellenza: lo strumento nostro. La sua voce è precisa, rigorosa. Il suo aspetto medesimo, nero e solitario [...] il suo aspetto medesimo richiama alla nudezza, alla povertà della tragedia moderna. L'uomo ha inventato il cane per la guardia e il gioco dell'amicizia, ha inventato il pianoforte per la celebrazione della musica terrestre. Gli altri strumenti, dalla viola di gamba ai tromboni, si sono compromessi sull'Olimpo, sul Parnaso e nel paradiso dei cattolici. Il solo pianoforte si è serbato puro, immacolato: bianca la sua tastiera, degna delle nuove profezie. (Tekeli-li)
  • La religione è rigida, il culto pietrificato. Ciò che a me vieta di esser religioso, è di non trovare religione «di mio gusto». Pure se c'è cosa al mondo che dovrebbe adeguarsi ai desiderii dell'uomo, scendere nel suo fondo più riposto, contentarlo anche in ciò che egli non osa chiedere né manifestare, prodigarsi secondo le infinite varietà della specie umana, essa è la religione. La Riforma cadde a buon punto, contentò i gusti del mondo occidentale arrivato a maturità, al quale i gusti del mondo mediterraneo non potevano più bastare. Quante nuove esigenze si sono accumulate dal tempo della Riforma a oggi? Apra la religione nuovi reparti: apra un reparto anche per noi. Chi ci leverà dalla mente che la religione è un dialogo fra Autorità e Infantilismo? Noi la parte dell'infante non la vogliamo fare. In materia di fede, di sentimento dell'anima, di abbandono all'aura del mistero, cordialità e confidenza sono condizioni prime; e così pure la parità di trattamento, come per la guerra o per un lungo viaggio. . Anche nei premi che la religione promette, conto non è tenuto della varietà dei gusti, della tanta diversità fra abitudine e abitudine, fra esigenza ed esigenza; fra stile e stile. Perché aspirare al paradiso, se il paradiso così com'è a noi non piace, né come spettacolo, né come musica, né per la compagnia che ci si trova? Già nella Divina Commedia, sei secoli addietro, gli uomini interessanti, i nostri amici d'elezione, stavano tutti nell'Inferno. (A ufo)
  • Considerare mistero ciò che non si conosce o non si riesce a spiegare, è una forma di ottusità mentale, un modo di amareggiarsi la vita. L'uomo saggio e intelligente non conosce misteri. Non se ne preoccupa. Sa che nulla è mistero. Sa che il mistero se mai è tale, per ragioni che non hanno nulla di misterioso. La sola forma accettabile di mistero, è il mistero come gusto, ossia come condimento d'arte: mistero come ombra, mistero come luce, mistero come gioco di piani. Nient'altro. (A ufo)
  • Mi stavo rileggendo in quei giorni quel libro di Lucio Apuleio che dal titolo originale si chiama Le trasformazioni, e comunemente è chiamato L'Asino d'oro. Era la quinta o sesta volta che me lo rileggevo. E ogni volta me lo leggevo meglio. Di tanto in tanto «agganciavo» la mia mente a una parola o particolarmente significativa o particolarmente evocatrice, e quindi spiccavo il volo nelle divagazioni, nei ragionamenti, nelle fantasie. La buona qualità di un libro, noi che scriviamo la misuriamo dal suo potere nutritivo. (A ufo)
  • La ragione è alla nostra salute morale, ciò che l'igiene è alla nostra salute fisica. [proporzione] (A ufo)
  • Equivoco è fratello di Provvidenza. (A ufo)
  • Idea è il primo stato della cosa destinata a vivere: stato secondo eternità, secondo incorporeità, secondo anima. (Côncôn)
  • [...] pessimismo non è negazione della vita, ma contatto con le parti più umane, più morbide, più deboli, più brutte, più sofferenti della vita, e più atte per questo a stimolare, a giustificare il nostro amore. (O velatissima verità)
  • La nebbia è comoda. Trasforma la città in una enorme bomboniera, e i suoi abitanti in altrettanti canditi. La nebbia unisce e invita alla vita domestica. Anche l'amore è favorito dalla nebbia, chiuso e teneramente umano. (Baba)
  • L'analogia è una forma di sicurtà. Serve a convincerci che il terreno intorno è sodo (è abitabile, è abitato) e noi non rischiamo d'incamminarci nel vuoto. L'analogia è una forma di civismo, di socievolezza letteraria. Guai se ci mancasse intorno il tessuto delle analogie. Guai se Noè non fosse il biblico padrone dell'arca e assieme un nostro zio, un vecchio cane, la sàgoma di una brocca; guai se Dante non fosse per noi anche il profilo dell'angolo dello scaffale che ci sta di fronte mentre scriviamo: l'idea e l'immagine Noè, l'idea e l'immagine Dante perderebbero i fili che le tengono sospese nella nostra memoria, nel nostro mondo personale, e alla lunga (?) cadrebbero nell'oblio; oppure si essiccherebbero, diverrebbero foglie secche, fossili. Nel lavoro di composizione, quasi ogni immagine di persona o di cosa viene fuori accompagnata naturalmente da un «come»: il tale è «come», la tale cosa è «come». Poi molti «come» la revisione li elimina per ragioni di nettezza, snellezza, eleganza di periodo; ma l'analogia rimane sotto la pelle della pagina. (Irromentabile)
  • Coraggio che non nasconde un minimo di fifa, è come bistecca senza sale. (Irromentabile)
  • Nonché tristi sempre, i nostri ricordi sono così spesso vergognosi, che tutto quanto abbiamo fatto, e benché mentre lo facevamo ce ne mancasse la coscienza, vien fatto di pensarlo macchiato delle macchie gialle della vergogna. (Irromentabile)
  • È singolare che i nomi di molti musici richiamino piuttosto idee di colori e pittoriche: Porpora, Scarlatti, Rossini, Verdi; o addirittura paesaggi: Monteverdi, Cimarosa... (Irromentabile, nota 84)
  • [...] Caterino non si è liberato del gusto delle citazioni: questo provincialismo, questo voler mostrare che si è in confidenza con le cose celebri. (Irromentabile)
  • C'è in questa idea del nulla qualcosa di sorprendentemente affascinante, di improvvisamente nuovo, di irresistibilmente attraente. Perché rifiutare il Nulla? Sento con una chiarezza che mi traversa tutto il corpo, sento con lo stomaco, con le punte dei piedi, l'eroico, il bello, il dolce del Nulla. E una commozione immensa m'irrora di lui che si avvia al Nulla. Fortunato! Quale trasformazione! Quale novità! È un sole nero che attira con la sua luce negativa. Una luce alla quale non si resiste, non si resiste, non si resiste. (Irromentabile)
  • I mobili hanno vita più lunga degli uomini, sono i rappresentanti degli uomini quaggiù e i loro continuatori. Ogni mobile rimane a rappresentare un uomo, la sua distrutta forma corporea, la sua anima indistruttibile. Entrate di notte, di soppiatto, mentre la casa dorme, in una camera deserta di uomo; affilate l'orecchio e udrete i mobili, con voce o di legno o di stoffa, scambiarsi le loro memorie e i nostri segreti. (Pagine aggiunte: la morte insudicia)

Casa «La Vita»

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  • È per questo felice stupore, per questo loro presentarsi inaspettate e nuove, per questo venirmi incontro come da un altro mondo, che prima di farsi amare da altri le mie opere si fanno amare da me; prima di divertire altri esse divertono me; prima che ad altri esse dicono a me che nel buio quale dietro a me si richiude esse rimangono ferme e formate di un fosforo immortale. (Prefazione, pp. 11-12)
  • Amplifichiamo: nella vita «degli» uomini la cosa più importante è la morte. Morire è un problema. Vari sono i problemi che ci tocca risolvere nel corso di quest'avventura terrestre nella quale non per volontà nostra ci siamo trovati implicati. Problema di saper vivere, problema di saper invecchiare, problema di saper morire: il più importante di tutti perché è il problema ultimo e che dà il passaggio. (Prefazione, p. 13)
  • Non aveva segreti per me la mia città. Fosse o lieta o alcuna ombra la oscurasse, ero abituato a compatire i suoi umori, a spartire i suoi sentimenti più celati, a seguirne le rimutazioni tanto sulla faccia che guardava il mare, quanto su quella che guardava la montagna. (Alla città della mia infanzia dico, pp. 17-18)
  • Animo tirava fuori il taccuino, notava la parola e il suo significato, troppo giovane ancora per sapere che chiarire un mistero è indelicato verso il mistero stesso. (Figlia d'imperatore, p. 31)
  • Ognuno ha le reliquie che si mèrita. (Vendetta postuma, p. 58)
  • Nulla riesce altrettanto perfetto, quanto ciò che è organizzato dalla logica dorata dell'amore. (Flora, p. 69)
  • Chiaro mi divenne che nella sua divinità stupidità, il Mare non sarebbe mai riuscito a capire le cose che ci affliggono quaggiù, e ci fanno soffrire, e ci riempiono di tristezza. (Walde«mare», p. 100)
  • Il Savoia navigava di notte, e di giorno si rifugiava in uno dei tanti seni che trasformano la Grecia in una enorme foglia di fico: anche la geografia ha i suoi pudori. (Carmelo e il Generalissimo, p. 106)
  • I poeti continuano a vivere nella propria opera, molto più di rado nel proprio corpo. La sopravvivenza corporea è in facoltà di uomini estranei alla poesia. (Nuove metamorfosi di Ovidio, p. 123)
  • Non nel senso igienico della parola, sì in quello borghese e pantofolaio, costui è l'uomo sano per eccellenza. (Il castellano di Philippeville, p. 133)
  • Benché la vita, a detta degli stupidi, diventi sempre più attiva e rudimentale, la coltura gode tuttavia una grande venerazione, e c'è ancora chi chiama il libro «il pane dell'anima». (Il castellano di Philippeville, p. 134)
  • Uscirono al fine dalle luci e dalla gente, e nel punto stesso terminavano i lastroni del lungomare. Nulla arginava quindi innanzi il movimento del mare, calme le onde notturne venivano a stendersi quanto erano lunghe sulla rena, davano intermittentemente un sibilo di saliva sul ferro caldo. Ora anche il fiato del mare spande libero il suo lezzo verde, che per un certo tratto si aggrava di un fetore di «cose» umane. (Un maus in casa Dolcemare ovvero i mostri marini, p. 147)
  • Nel mondo c'era la Testa. Poi venne la Croce. Allora Testa e Croce si misero a giocare a testa e croce, e tutto il male viene da lì. (Occhio n. 6)
  • Agonia. Nivasio pensava con tutto il suo pensiero al significato della parola agonia. Lotta! E chi lottava era sua madre. Sua madre! Lottava contro un invisibile avversario, senza possibilità di aiuto, senza speranza di vittoria. Invano. E allora Nivasio capì che per passare dalla vita alla morte bisogna curvarsi e farsi piccoli piccoli come per passare attraverso un pertugio molto stretto. Allora Nivasio pensò che la morte è il parto più difficile e una terribile nascita. Allora Nivasio capì che tutta la sofferenza dell'agonia è in questa strettezza del pertugio. Allora Nivasio sentì che quando la creatura anche più cara a noi agonizza, ossia lotta per il passaggio, quello che essa invoca da noi non è di trattenerla di qua dal passaggio, ma, terribile a dire, di aiutarla a passare di là. (Mia madre non mi capisce)
  • [...] avevo alzato d'istinto gli occhi al cielo. Era nerissimo e straordinariamente stellato. Una grande lavagna sulla quale erano tracciate a puntini d'oro le formule di un'algebra ignota, e altrettanto vana del resto dell'algebra nota. (Mia madre non mi capisce)
  • Ma anche Nivasio Dolcemare, come tutti gli uomini consapevoli si vergogna della propria storia e vorrebbe nasconderla, cancellarla dall'accusatrice lavagna del passato. Quasi tutte le cose che egli ha fatto, sono cose che non voleva fare. Quelle invece che avrebbe voluto fare non le ha fatte, ma spera di farle un giorno e per questa ragione vive, per questa ragione «continua» a vivere. Anche l'Umanità, anche il Mondo, se fossero come lui capaci di sentire la vergogna di quello che hanno fatto e assieme rimorso di quello che non hanno fatto, si vergognerebbero della loro storia: l'Umanità della storia dell'umanità, il Mondo della storia del mondo. (Mia madre non mi capisce)
  • La porta è rimasta aperta sulla notte, sul buio che pesa sulla città deserta, la quale in quell'ora di ansia e di attesa ove di minuto in minuto si aspetta il nemico, non ha saputo esprimere nulla di meglio dal suo vuoto e torturato cuore, di quel cane sperduto e famelico. (Trololò, p. 187)
  • Per una illustrazione onomatopeica del suo camminare sghimbesciato, Giorgio e Andrea diedero al cane un nome assurdo e arrotolato come una molla: Trololò. (Trololò, p. 187)
  • Trololò si rivelò un cane straordinario. Le più rare qualità canine erano riunite in lui e salivano a una specie di eccesso, le loro manifestazioni inaspettate davano talvolta quella medesima perplessità che darebbe il ritratto di un antenato che all'improvviso si mettesse a cantare, o la statua di un giardino pubblico che d'un tratto scendesse dal suo piedistallo e cominciasse a passeggiare nelle aiuole. (Trololò, p. 187)
  • Trololò era nulla ed era tutto. E al tutto ci si abitua molto più presto, molto più profondamente che a «una» cosa. Vediamo noi forse l'aria che respiriamo? La pensiamo? (Trololò, p. 188)
  • E Trololò disse: «Perché mi hai colpito? Che male ti avevo fatto? Il tuo gesto era così vile, così crudele, così inutile, che non mi sono sentito più di vivere. Questa forma di morte volontaria voi la chiamate suicidio, perché, conoscendomi come mi conosci, avrai capito che se mi sono lasciato prendere dall'accalappiacani, è perché così ho voluto. Eppure io a te non ho fatto che bene. [...] Te lo ricordi?». (Trololò, pp. 194-195)
  • Ma guai... guai se l'Imprevisto traversa d'un tratto la nostra strada, arresta il corso imbottito e soffice delle abitudini, ferma il ricorrere circolare di quei pochi fatti, di quelle poche cose, di quelle poche immagini, di quelle poche persone che passando e ripassando davanti a noi compongono la nostra vita. Non vi lagnate, uomini, della Monotonia: è la nostra amica migliore. Di colpo la nostra vita si squarcia. Scade alla condizione di uno scenario tutto carta e travicelli. E come scenario che un ciclone improvviso fa crollare e spazza via, la nostra vita – quello che era, quello che credevamo fosse la nostra vita crolla intorno a noi, sparisce e ci troviamo di colpo circondati da una inaspettata mancanza di cose, di fatti, di immagini, di persone; da una terrificante assenza di mobili, appigli, punti di riferimento; spaventosamente affacciati su un cielo nudo di stelle, sulla spalancata bocca del vuoto, sulla faccia nera del nulla. (Storta la vita sana?)
  • Alcuni popoli restituiscono al morto la posizione che questi aveva nel grembo della madre. Lo ricompongono feto nel grembo della morte, nostra madre suprema.
    Tutte le notti il dormiente ripete la posizione prenatale e prepara assieme la posizione postmortale. Tutte le notti l'uomo ridiventa nascituro e a un tempo morente. Tutte le notti l'uomo sconfina oltre i due limiti estremi e opposti della vita. (Storta la vita sana?)
  • «In che maniera stolida e incauta noi viviamo!» pensa Mero. «Se è freddo ci rifugiamo in luogo riscaldato e provvediamo che il freddo non ci raggiunga; il simile facciamo se è caldo, rifugiandoci in luogo fresco. Ma il favorevole caldo, il favorevole fresco della nostra mente non provvediamo in nessun modo a proteggerli, a preservarli dalle insidie e dalla distruzione. Il nostro benessere mentale è alla mercé di un'ombra che passa, di un rumore che echeggia, di un uscio che si apre, di due suore che escono e con la loro repentina, intempestiva, inopportuna apparizione annientano di colpo quella sottile, delicatissima felicità fatta di distacco dal presente, di rapimento nei sogni, nelle fantasie e nelle immaginate possibilità, nella quale talvolta, ma così provvisoriamente, così precariamente, così instabilmente riusciamo ad accoccolarci come il feto nel grembo della madre. Per la felicità del corpo c'è la casa, i mobili, gli apparecchi riscaldanti e quelli refrigeranti, la luce artificiale; ma che cosa ha inventato l'uomo, che cosa ha fabbricato per custodire, per difendere la sua felicità mentale? Per coloro cui non basta la sola felicità del corpo bisognerebbe costruire oltre alla casa, anche dei grandi autoclavi entro i quali essi potessero chiudersi e che custodissero, preservassero quella felicità mentale che in fondo è il nostro bene più prezioso». (Omero Barchetta)
  • Il signor Münster capiva tutto ma in ritardo, il suo presente era come un campo di battaglia sul quale non rimangono che i cadaveri. (Il signor Münster, p. 248)
  • L'adulto deve mutare continuamente i propri giochi per divertirsi, mentre il bambino, favorito da una più generosa fantasia, gode a ripetere sempre lo stesso gioco. (Il signor Münster, p. 253)
  • Resta da svelare il mistero della sua vita che continua anche dopo la morte del corpo, di questa luce che arde anche dopo la distruzione della lampada. Ma non sa il signor Münster, lui che tanto ha meditato intorno a questi problemi e tanto ha scritto, che è indelicato, e nonché indelicato è imprudente, e nonché imprudente è immorale, e nonché immorale è vano cercare di sollevare il velo sui misteri dell'anima, e che la metafisica della vita va accolta senza esame, senza diffidenza, con animo puro e grato come la poesia? (Il signor Münster, p. 260)
  • Amare è dare altrui la propria anima, è animare altrui con la propria anima, è illuderci di dare altrui una vita felice e profonda che altrimenti gli mancherebbe. (Il signor Münster, p. 260)
  • Non c'è posto nell'amore per due anime. E quando si dice che due, amandosi, compongono un'anima sola, si vuole dire che una sola di queste due anime opera amorosamente, mentre l'altra si sta in dolce e grata inazione. (Il signor Münster, p. 261)

Dico a te, Clio

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Clio: xλείω: chiudo. La storia raccoglie le nostre azioni e le depone via via nel passato. La storia ci libera via via del passato. Una perfetta organizzazione di vita farebbe sì che tutte le nostre azioni, anche le minime e più insignificanti, diventassero storia: per togliercele di dosso, per non farcele più sentire sulle spalle. L'uso di consegnare a un diario le nostre azioni giornaliere, è una regola d'igiene; e l'uomo di mente operante è implicitamente un memorialista, che nei memoriali, ossia nelle opere, depone le sue "azioni interne". Ci si dovrebbe abituare da piccoli a tenere un diario, siccome ci si abitua a pulirci i denti. Quanto a lavarci la faccia la mattina, lo facciamo per pulircela dei sogni, queste "azioni" del sonno, questi "peccati" notturni.

Citazioni

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  • [...] anche nelle bonae litterae, come in cucina, tutto è questione di cottura. (Avvertenza, p. 6)
  • La regola nasconde la verità, le eccezioni sono tanti «perché» sparsi qua e là come paletti indicatori. (p. 14)
  • Il cemento è la «volgarità» del nostro tempo. Accanto alla pietra più comune, il blocco di cemento è come un naso di cera in mezzo a una faccia di carne. Nonché di anima, il cemento manca d'interiorità. Ha il vacuo, lo squallido della cosa morta. Si confronti l'ignobilità delle ferite nel cemento, con la patetica nobiltà delle ferite nel marmo. (p. 23)
  • Il popolo è finalista. Le domande: «che cosa significa?», «che fine ha?» sono domande essenzialmente popolari. Il progresso mentale porta a una progressiva rinuncia ai fini delle nostre opere e al loro presunto compenso. Il che non avviene per indifferenza, né per disinteresse, né per «materialismo», ma per l'acquisita coscienza del presente, e la possibilità di considerare il fondo «metafisico» delle cose, la loro essenza immutabile ed eterna. Il popolo «non ha presente», e dunque non ha gioia. Il popolo è un fiume che scorre lento, in direzione di un paese favoloso, nel quale sono raccolte tutte le ragioni, tutti i fini, tutti i «perché», tutti i compensi delle cose che via via facciamo o dobbiamo fare, per volontà nostra o per volontà altrui. Fermo sugli argini, l'uomo metafisico guarda scorrere il fiume, e una grande malinconia ombra il suo sguardo, perché egli sa che quella terra favolosa non esiste. Le poesie, le cose che egli fa per arte, i suoi giochi non rispondono a nessun «perché». E il popolo che passa lo guarda, e non capisce perché costui continui a fare quelle cose: quei «giochi». (p. 32)
  • Il vuoto attira: isola la nostra personalità, ci colloca al centro dell'universo. Quanta ambizione nella ricerca della solitudine! (p. 50)
  • L'attrazione della morte è irresistibile. È per questo che gli uomini edificano le civiltà, e con infinita pazienza ricominciano ogni volta a riedificarle. La civiltà è un gioco, una distrazione, il modo più efficace che noi abbiamo di allontanare dalla nostra mente il pensiero della morte. Essa ci lusinga con le sue idee di progresso, di mete da raggiungere, di destino da riempire, e intanto ci induce a una vita futile e smemorata: una vita che non consente di pensare ad altro. Perché gli uomini delle città camminano così in fretta? Per sfuggire al pensiero della morte. E dalla sveglia al momento di addormentarsi, la loro vita è tutta intarsiata di occupazioni inutili in sé ma necessarie, così da non lasciare buchi nei quali l'orribile pensiero possa insinuarsi. Anche il galateo, questa guida dell'uomo civile, raccomanda di non parlare di morte in società. (p. 78)
  • Nemica di ogni diversità, di ogni possibilità di diversità, la logica è la sola scienza che può dare quaggiù un qualche bene sicuro. (p. 86)
  • La Chiesa Cattolica vieta la cremazione, perché il morto si ritrovi con il proprio corpo intatto nel giorno del Giudizio. Ma la Chiesa bruciava gli eretici, segno che voleva togliere ogni possibilità a quei disgraziati di presentarsi essi pure al richiamo delle trombe fatali nella vallata di Giosafat. Quale eccesso di crudeltà! Resta a dire che contro Giordano Bruno, Giovanni Huss, Etienne Dolet, furono spiccati tanti mandati di cottura. (p. 96, in nota)
  • Una nostra cognata, formosa e piena di brio, chiama le Baleari "isole balneari", parendole giusto che un'isola riveli anche nel nome le proprie qualità. (p. 108)
  • L'amore, nella sua forma attiva, è la nostra ambizione ottimista, generosa, cristiana di dare altrui ciò che altrui manca. Badi la donna amata a serbare sempre "qualcosa che le manca". La sua perfezione renderebbe inutile il nostro amore. (p. 109)
  • Ma è forse nemico il lettore delle divagazioni? Crede a una mèta nonché della vita comune, ma anche di quella letteraria? Brama una storia che comincia e finisce? Questo è contrario al fine nobile della letteratura, la quale non conosce né principio né fine, ma vuol dare forma soltanto e brillio al continuo presente della vita. Badi il lettore a non lasciarsi distrarre dall'arte del passeggiare. La "serietà" è molto diversa da come egli crede. (p. 111)
  • Il meccanismo surrealista è di uso facile e a portata di tutti, comprese le donne e i bambini. I bambini anzi sono surrealisti per natura. È un meccanismo un po' simile a quello dell'umorismo. Si tratta di creare un'emozione, associando due cose che per loro natura sono inassociabili. L'uccello sull'albero è reale: l'uomo sull'albero è surreale. (p. 119)
  • Il sistema delle approssimazioni è deplorabile – come dire «Monaco l'Atene della Germania» o «De Amicis il Dickens dell'Italia» – e ci scusiamo di averlo usato anche noi; ma può servire talvolta a far vedere quanto povero è il mondo e quanto tenaci certe forme di stupidità. (p. 123)

Infanzia di Nivasio Dolcemare

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L'infanzia e parte dell'adolescenza Nivasio Dolcemare le ha consumate in una capitale della Balcania, in seno a una società cosmopolita cui l'Europa delegava a turno i suoi rappresentanti più squisiti.

Citazioni

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  • Prima qualità dell'aristocratismo, di ogni «aristismo», di qualunque condizione ottima, è la naturale facoltà di sintesi. Il «meglio» e il «più» ottenuti con sforzo minimo, inapparente, e, nei casi più alti, inesistente. Così, nel perfezionamento supremo del gioco equilibristico, si suppone che l'uomo può raggiungere una sua gravità personale, indipendente da quella terrestre, e vivere «ormai» in aria. (Prefazione alla vita di un uomo «nato»)
  • Antoine Calaroni era l'uomo più sciapo del mondo, ma in nessuno quanto in lui erano così strettamente riunite le tre virtù cardinali del perfetto uomo di mondo, e cioè la bruttezza decorativa, la stupidità dolce, l'ignoranza sicura. (cap. II)
  • Più l'uomo è passionale, più sudiciume egli produce. (Assioma da prendere anche in senso metaforico). Le passioni sono fuoco e movimento, determinano una maggiore attività organica, un rinnovamento più rapido delle cellule, un defluire più abbondante di materie suppurative: una maggiore abbondanza di sudiciume. Si può stabilire un nesso strettissimo fra l'indole di un uomo e la qualità della sua pelle. Diffidate, fratelli, degli uomini inodori e simpatizzate con le pelli grasse. L'epidermide asciutta, chiusa, dinota ipocrisia, egoismo, frigidità. Conosciamo uomini la cui pelle dà l'impressione dell'avorio: gente ossificata, per quanto giovanissima ancora. Costoro hanno la cute pulita «naturalmente», cioè a dire improduttiva, anche se si lavano meno di Volfango Goethe. (cap. II, nota 3)
  • In fondo all'uomo più mite sonnecchia il tiranno. (cap. II)
  • L'Intelligenza non ispira simpatia, non chiama a sé gl'innocenti, non dice: «Sinite parvulos...». Questa altissima Signora, cui ufficialmente va l'omaggio dell'universo mondo, in realtà è una sovrana odiatissima. Non passa giorno, ora, minuto in cui la sua salute non sia insidiata, la sua vita minacciata, il suo nome maledetto. E se la sua autorità è al riparo di qualunque rischio, è per questa sola ragione, che l'autorità dell'intelligenza non esiste. In compenso, e malgrado l'odio, la vendetta, la sete di distruzione che la circonda, l'Intelligenza non muore. Come uccidere una creatura senza corpo? (Il corpo veramente ce l'ha, ma è invulnerabile ai colpi dei nemici). Questa «mancanza di corpo» ha ispirato la teoria della «sterilità», della «non plasticità», della «inumanità» dell'Intelligenza. Con facile freddura, la si chiama Intellighenzia. Le si vuole addossare l'incapacità d'ironia, lo scientismo dell'intellettuale russo. Le quali teorie sono messe in giro dai peggiori nemici dell'Intelligenza: gl'intelligenti. Del resto, non c'è contrasto fra religione e intelligenza. Provengono entrambe da una comune radice. «Significano la stessa cosa». Anche l'Intelligenza «raccoglie» gli uomini. Ne raccoglie pochi (è questa selezione appunto che suscita le reazioni del proletariato), nella ipotesi suprema ne raccoglie uno solo: ma in questo Unico non brulica forse l'intera umanità? L'Intelligenza è mal vista, perché generalmente la si conosce nelle sue scorrerie di caccia. L'Intelligenza è cacciatrice. È la sua sola debolezza, il suo «dilettantismo». Cacciatrice della Stupidità. Della grassa, feconda, immortale Stupidità. Della Stupidità che nidifica dappertutto, dai palazzi al più umile casolare. Cacciatrice della Stupidità e delle sue infinite sottospeci, fino alla più nefanda di tutte: la Stupidità degl'Intelligenti. Nell'ardore sanguinario, nel grido di morte della caccia, la faccia dell'Intelligenza non è bella da vedere. Ma come si rasserena la sua faccia quando la caccia è finita e l'Intelligenza si ritrova fra i suoi! L'Intelligenza ridiventa bellissima allora e grave, dolcissima e generosa. Malinconica pure. Triste perfino. Triste per le proprie debolezze, per le proprie impossibilità. Ma qui si parla di un mondo, di tutto un mondo, con la sua poesia, la sua arte, la sua «plastica», i suoi costumi, le sue gioie, il suo amore, i suoi affetti, la sua umanità, un mondo che non si vede a occhio nudo. Ora coloro che vogliono criticare questo mondo così solitario e lontano, denunciare le sue deficienze, come possono non dico criticarlo ma soltanto parlarne, loro che non conoscono questo mondo, che non lo hanno mai veduto, che non lo vedranno mai? Come possono parlare di te, o Intelligenza, che allarghi il campo della vita, come il giorno allarga la notte, come la luce allarga l'oscurità? (cap. II, nota 5)
  • [...] la pittura non è riproduzione del vero. E particolarmente quando si dipingono figure umane o bisogna lasciare nel luogo della faccia un ovale neutro nel quale lo spettatore può idealmente collocare la faccia di qualche amico, o parente, o della donna dei suoi sogni, o di chi più gli talenta, oppure scendere così profondamente nella realtà dell'uomo figurato, da dare di lui una specie di radiografia intellettuale. (cap. II)
  • Il sacerdozio d'altra parte è il modo più legittimo, più evidente di manifestarsi superiore agli altri uomini. Segue l'esercizio delle armi, quello dell'autorità, la fama nelle arti, nel potere della ricchezza, finché in ultimo, e a pochissimi, rimane la pratica dell'Intelligenza pura. L'uomo non rappresenta più «una» superiorità, ma «la» superiorità. (cap. II)
  • La freddura ha carattere sacro. Oltre a ciò, la freddura è la forma più diretta, più mossa, più geniale dell'etimologia. È una luce subitanea proiettata nell'«interno», nel «meccanismo», nel «mistero» delle cose. È l'insospettata ma agilissima avversaria delle religioni. Perché mentre le religioni pongono un coperchio dorato sulle cose, la freddura è una «scoperchiatrice di altari». Da qui il discredito che circonda la freddura, il sospetto che la freddura ispira alle donne e comunque alle creature che si «appoggiano» alle religioni. (cap. III, nota 10)
  • Le imprese eroiche, gli atti audaci, l'uomo li deve compiere da solo. Altrimenti scemano di valore. (cap. III)
  • L'uomo aspira alla grandezza, alla forma più speciosa, più magniloquente, più ridondante della grandezza: l'eroismo. Quando le circostanze non consentono l'eroismo militare (il più apprezzato e comprensibile) l'uomo si contenta di surrogati: pioniere, esploratore, costruttore, capitano d'industria. I quali surrogati (anche il capitano d'industria) arieggiano tutti, e nell'interiorità e nell'esteriorità, i caratteri del guerriero. (cap. VI, nota 22)
  • [...] nel ricordo del tempo in cui gli animali vivevano con noi in compagnia ed uguaglianza, è contenuta l'idea più confortante sull'avvenire del mondo, l'idea che di là dalla contrazione dei popoli in se stessi, lascia intravedere l'espansione di essi popoli in una comune fraternità, e infine la loro nuova fusione con gli animali nel paradiso ritrovato. (Senza donne)

L'Utopia e la «Città del Sole» di Tommaso Campanella

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L'idea di utopia è essenzialmente moderna. Alla parola "moderna" io do significato di qualità, non di tempo. Moderno è l'uomo che pensa con il cervello proprio, non per ispirazione e autorizzazione di un'autorità religiosa o politica.

Citazioni

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  • Umanesimo non è se non la ritrovata dignità dell'uomo, la quale a sua volta non è se non la libertà di pensare col proprio cervello. Questa libertà si accende per la prima volta in Grecia e la illumina, e non torna a riaccendersi nel mondo se non con l'Umanesimo. (p. 109)
  • L'utopia non fa se non rendere concreto e plastico, l'anelito antichissimo e diffuso a una vita migliore. (p. 110)

La nostra anima

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«Chi sono quei tre personaggi che mentre la guerra infuria nelle cinque parti del mondo, entrano tranquillamente nel museo dei manichini di carne?».

Citazioni

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  • La storia è veramente la scienza di tutti, e come tale non ricorda se non quello che tutti possono vedere e intendere, ossia il lato più vano degli uomini e delle cose; al che è bene aggiungere che a questo appunto essa deve di essere chiamata "maestra di vita". (Clio)
  • Bisognerebbe calcolare quante mai cose non sono state fatte, solo perché la parola che avrebbe iniziato il loro destino «esterno» non ha infilato il modo, il momento, l'opportunità di scendere dal cervello alla lingua e quindi spiccare il suo volo sonoro come ape dall'alveare. Il numero delle cose perdute per defectus vocabuli è certamente maggiore di quello degli uomini perduti perché il germe che li conteneva è andato sparso su lenzuola di canapa o di seta, su divani imbottiti di ovatta o semplicemente sulla nuda terra, oppure trascinato assieme con l'acqua del bidè nel cuore tenebroso degli oceani. È in questo senso che sono da interpretare i quinari di Rimbaud: «Oisive jeunesse – à tout asservie, – par délicatesse – j'ai perdu ma vie». Ma quello che il cognato di Paterne Berrichon chiama «delicatezza», è invero una misteriosa autorità che noi ci portiamo dentro e che per ragioni ignotissime ci inibisce la massima parte delle cose che noi progettiamo di fare, e alcune a detrimento della nostra salute, della nostra reputazione, della stessa nostra vita. L'uomo che con pertinacia inesauribile combatte l'arbitrio esterno e la tirannia che un altro gli vuole imporre, non pensa invece, stolto che è, a combattere prima di tutto questa tirannia e questo arbitrio che egli si porta dentro di sé. I tiranni più crudeli, i nostri nemici peggiori sono dentro di noi, e se pochi uomini sono liberi di fuori, uomo non c'è che dentro di sé si possa dire veramente libero.
  • Se vuoi combattere i dittatori, comincia dal primo dittatore: Dio.
  • La nostra «sete» di conoscenza non è in fondo se non una forma di emulazione. Noi non vogliamo conoscere quello che ignoriamo, ma quello che altri conosce già. E se la nostra volontà di conoscere davanti al mistero non si arresta, è perché il mistero per «qualcuno» tale non è, non fosse che per Dio. E che questo «qualcuno» sia Dio non placa il nostro spirito di emulazione – il nostro «sportivo» spirito di emulazione: anzi! Togliamoci dalla mente questo «formidabile» rivale, e ogni velleità di emulazione sparirà; guarderemo senza curiosità e senza desiderio il mistero, per meglio dire il mistero vanirà, la nostra vita si sanerà dei suoi struggenti desideri, e una pace senza incrinature scenderà a benedire il mondo.
  • Il genio molte volte non è se non l'ingigantimento della nullità.
  • O sconosciute ricchezze della nostra anima! Basta svegliarsi dal sonno che dentro ci riempie e che spettacoli improvvisi, insospettati, stupefacenti! L'uomo è una bara che trasporta se stesso morto.
  • L'uomo pensa male perché pensa circolarmente. Ritorna di continuo sugli stessi pensieri, e scambia per pensieri nuovi l'altra faccia dei pensieri già pensati. È il pensiero classico. Il pensiero chiuso. Il pensiero conservatore. Il pensiero che al centro di se stesso trova Dio. Chi ha il coraggio di rinunciare a questa «divina» conclusione, rompe il cerchio e si mette per una via libera e diritta, che non conosce meta, non conosce conclusione perché è infinita.

Maupassant e "l'altro"

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  • Con rigore irrallentato noi continuiamo l'osservanza del codice metafisico della vita, perché stimiamo che la crisi della civiltà e la decadenza della cultura sono da ascrivere principalmente all'inaridimento del senso religioso della vita; ma il continuare a tener caldo il sentimento religioso della vita pur sapendo che le sorgenti della religiosità sono del tutto inaridite, costa a noi metafisici un «eroismo d'illusione» di cui nessun altro all'infuori di noi riuscirebbe a sostenere il peso.
  • Per colpa della nostra posizione geografica; per colpa di lunghi anni di modestia intellettuale e per colpa soprattutto del persistente pregiudizio della lingua letteraria, la lingua italiana è rimasta alquanto in ritardo di fronte al costante fluire di nuove cose da nominare e di nuovi sentimenti da esprimere; è naturale dunque che ogni scrittore italiano che non voglia chiudersi dentro frontiere intellettuali strettamente nazionali, faccia uso di vocaboli stranieri ogni volta che il vocabolo italiano manca. Si tratta di preparare l'Europa futura con ogni mezzo, principalissimo il mezzo letterario. (nota 7)
  • E scrivere da scrittore significa scrivere non dal presente, ma o per ricordo o per anticipazione. Dal che si può dedurre questa definizione del giornalista: colui che scrive senza memoria. (nota 16)
  • La guerra è un modo di togliere l'uomo alla sua naturale pigrizia, alla sua naturale inerzia, alla sua naturale vigliaccheria e renderlo attivo, energico, coraggioso; ma è il modo più brutale, più facile, più a portata di tutti. Altri modi ci sono ben più degni e noi i nostri combattimenti quotidiani non certo li diamo sul campo di battaglia. Ma l'uomo malgrado tutto progredisce e al progresso dell'umanità noi fermamente crediamo; e fermamente crediamo che in avvenire, a poco a poco, l'uomo riuscirà a tenere viva la propria energia, alto il proprio coraggio, vigile il proprio animo anche senza la sferza della guerra ‒ a quel modo che la gioventù si educa anche senza le pene corporali; e forse prima di morire noi faremo in tempo a vedere un mondo o almeno una Europa viva nella mente, ferma nella giustizia, energica nei lavori di pace, come in una guerra senza odio e senza sangue. (nota 22)
  • Perché obbedire ancora a una legge decaduta, a uno scrupolo superato? Perché continuare a correggere gli errori ‒ quelli che «noi» crediamo errori? Perché non accettare gli errori di mano [lapsus calami] e gli errori di macchina [da scrivere] ‒ questa nuova forma di spontaneità, questa più profonda «voce del cuore»? Perché non accettare questi creduti errori come una espressione poetica, come un accento lirico, come il segno di una intelligenza nuova che soltanto la nostra pigrizia mentale e il pregiudizio di un'unica legge, di un solo ordine ci impedivano finora di accettare come tali? Il «sublime» Raymond Roussell non ha dato fondo alla serie dei meccanismi poetici. (nota 23)
  • Il presente crede di aver ragione sul passato prossimo: fenomeno di vanità e di autosuggestione. Ma è anche volontà di vivere: è anche «diritto alla vita». Il presente, per acquistare diritto alla vita, vuole uccidere quello che lo ha immediatamente preceduto. Ucciderlo in qualunque modo. E se il presente copre il passato prossimo di ridicolo, è perché sa che «il ridicolo uccide» (le ridicule tue). (nota 31)
  • Il passato è per sua natura venerabile. Ma tale soltanto è il passato immobile. Prima di entrare nell'immobilità (venerabilità), il passato per un breve periodo è mobile, come se conservasse ancora un po' di vita, come la macchina che continua ancora per un poco a camminare dopo che il motore è spento. Questo è il momento «critico» del passato: il suo periodo di formazione. Prima di diventare venerabile, il passato deve traversare un periodo di prova durante il quale è messo in berlina. (nota 31)
  • Sbagliano i politici e sbagliano i sociali credendo che per contentare il popolo bisogna dargli cose di carattere «popolare». Il popolo ama, ambisce, è attratto, aspira a quello che non è lui, a quello che non è «popolare». È in questo senso che dovrebbe essere indirizzata una intelligente politica demagogica. Ma l'intelligenza dov'è? (nota 37)
  • [...] il valore «lirico» sia della fotografia sia del cinematografo è questa traduzione appunto e sia pure questa «diminuzione» della natura in bianco e nero: questo «creare» una natura diversa e diciamo pure «falsa».
  • Il matrimonio ha un fine sessuale, ha un fine sentimentale, ha un fine procreativo, ma ha soprattutto il fine di completare e di rafforzare quaggiù la situazione dell'uomo e della donna, e di creare tra un uomo e una donna una associazione piccola ma sicura, che consente di affrontare con una specie di «egoismo raddoppiato» i pericoli, la sorte e soprattutto la solitudine della vita.
  • La somiglianza molte volte è acquisita. È una somiglianza come tra il cielo e il mare. Ed è la forma più significativa della somiglianza. La somiglianza viene per simpatia, per fedeltà, per devozione, per discepolismo. La moglie finisce a poco a poco per somigliare al marito (salvo le volte che il marito, più debole, finisce per somigliare alla moglie). Il cane da caccia finisce per somigliare al suo padrone cacciatore (salvo le volte che il cacciatore, più suggestionabile, finisce per somigliare al proprio cane). I discepoli di un bravo maestro (di un Carducci, di un Renan, di un Augusto Murri) finiscono per somigliare al proprio maestro, imitandone i gesti, l'intonazione della voce, gli stessi difetti di pronuncia. La somiglianza acquisita è un omaggio all'uomo che si ama, che si ammira, che si rispetta. Più profondamente, la somiglianza acquisita è il tentativo di diventare simile a colui che si ama, che si ammira, che si rispetta ‒ non esclusa la metafisica speranza di confondersi con lui e diventare lui.
  • [...] l'ambizione è per sua natura l'esaltazione della personalità [...]. (nota 55)
  • [...] l'immortalità è degli uomini leggeri, degli uomini senza peso, perché soltanto gli uomini senza peso sopravvivono (ils surnagent), soltanto loro non sono abbattuti dalla lotta, non sono trascinati giù dalla morte, perché l'uomo leggero non sta «dentro» le cose, ma «intorno» e «sopra» le cose come l'aria e la luce: libero e proprio.
  • Il mare dà anche il senso dell'infinito, di un infinito «umano», di un infinito «possibile», di un infinito «raggiungibile». Più del cielo. Perché il cielo non è cosa nostra. (nota 67)
  • Il poeta, di qualunque cosa parli, anche delle più pesanti, ha la facoltà di ascensione: fa volare le vacche. (nota 69)
  • Scrittore è colui che dà peso e durezza di eternità a ogni suo periodo, a ogni sua parola. (nota 70)
  • La letteratura gialla ci ha insegnato che il miglior modo di mettere al sicuro una persona minacciata, è di metterla in prigione. Tanto più nella morte dunque, molto più sicura della prigione. (nota 90)
  • Anche l'aristocraticismo nel senso di dovizia di antenati, è paura della solitudine. (nota 98)

Narrate, uomini, la vostra storia

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  • Non si vola per accorciare le distanze. Volare è un desiderio metafisico dell'uomo, un sogno, il ricordo di una vita remotissima e mostruosa. (Arnoldo Boecklin, p. 44)
  • La prospettiva del desiderio falsa la direzione, mostra nel futuro ciò che invece è nel passato. Più che desiderare nuovi acquisti, desideriamo riavere ciò che abbiamo perduto. L'illusione c'illude che avanziamo verso i nostri desideri, mentre in verità questo nostro avanzare è un ritorno. La nostra aspirazione più grande, il nostro desiderio più profondo è di ritornare alla condizione che ha preceduto la nostra nascita; e poiché non ci è consentito rientrare nel grembo di nostra madre, ci contentiamo di una metafora, e rientriamo nel grembo della terra. (Arnoldo Boecklin, p. 44)
  • Che pensa della danza Nivasio Dolcemare? «La danza», egli ci ha detto, «è il linguaggio dei sordomuti propagato dalle mani a tutto il corpo. Sordomuti e danzatrici ispirano una pena eguale. Gli uni e gli altri ci vogliono dire qualcosa, ma che cosa?» (Isadora Duncan, p. 272)
  • L'attesa di ciò che non può avvenire, è la forma più penosa dell'infelicità. (Isadora Duncan, p. 272)
  • Il male è insopprimibile nel mondo. Perché non nasconderlo dunque sotto una faccia uniformemente angelica? Inutile cercare altro significato alla parola ipocrisia, di quello contenuto nella parola civiltà. (Isadora Duncan, p. 276)
  • Il disprezzo spesso non è se non la maschera dell'invidia. (Isadora Duncan, p. 299)
  • [...] di rado la stupidità è semplice ma le più volte ragionatrice [...]. (Isadora Duncan, p. 313)
  • Una profonda solidarietà unisce i bambini di tutto il mondo, tanto profonda quanto sa essere profonda l'anima stessa dei bambini, ma che via via si allenta, finché si converte nell'inimicizia, nell'ostilità, nella guerra dei grandi. Quando due bambini s'incontrano, si guardano senza incertezza, si riconoscono anche se non si sono visti mai, e se non si fiutano come fanno i cani, è perché gl'istinti cui rispondono i richiami degli odori, in loro sono ancora sopiti. Se un bambino è contento, tutti i bambini si rallegrano dall'uno all'altro polo. Se un bambino soffre, tutti i bambini soffrono un poco e quasi senz'avvedersene. Quando un bambino muore, nasce un sospiro lenissimo sulla bocca dei bambini che dormono, indugia come una bollicina luminosa sul labbro, poi si spegne. (Isadora Duncan, p. 321)

Nuova enciclopedia

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  • L'etimologia è la psicologia del linguaggio, il modo di penetrare l'anima delle parole. Una mente etimologica trae infiniti godimenti dalle parole, i quali sono ignorati da coloro che non considerano le parole se non come suoni convenzionali; così come una mente psicologica trae infiniti godimenti dalla frequentazione degli uomini, i quali sono ignorati da coloro che non considerano l'uomo se non come una forma parlante e semovente. (Achille, p. 20)
  • [...] il borghese – il borghese «ultimo» – non si contenta più della vita comoda, sicura e pigra, ma vuole anche godere delle sofferenze altrui, come a rinforzare il proprio benessere. (Borghesia, p. 78)
  • La cultura ha principalmente lo scopo di far conoscere molte cose. Più cose si conoscono, meno importanza si dà a ciascuna cosa: meno fede, meno fede assoluta. Conoscere molte cose significa giudicarle più liberamente e dunque meglio. Meno cose si conoscono, più si crede che soltanto quelle esistono, soltanto quelle contano, soltanto quelle hanno importanza. Si arriva così al fanatismo, ossia a conoscere una sola cosa e dunque a credere, ad avere fede soltanto in quella. (Cultura, p. 105)
  • Ma contro la minaccia dell'estetismo culinario noi per fortuna abbiamo un'arma invincibile: la fedele pagnottella, cibo avito, cibo grave e assieme ironico, passero degli alimenti, genietto tutelare della mensa. Il pane ha nella nutrizione un ufficio particolare e insostituibile. Alla mensa del povero il pane costituisce il fondamento del pasto (pane e companatico, ossia radice «pane»), altrove è l'accompagnatore necessario dei cibi, il basso che regge lo stendersi della melodia, la guida sicura e virtuosa, il correttivo; smorza i sapori troppo vivi, avviva i troppo deboli, unisce quelli più diversi, tra quelli troppo simili pone una opportuna divisione. (Dolci, pp. 111-112)
  • Il dolce non è propriamente un cibo. Il dolce stimola meno lo stomaco che la fantasia: quell'angolo riposto della nostra fantasia che s'ispira alle voluttà dei sapori. Gli uomini privi di siffatta fantasia tengono il dolce per un'aggiunta inutile, una superfluità, un lusso. Nell'ordine dei cibi il dolce tiene il luogo del vizio, meglio ancora di un peccato è il caso di dire dolcissimo. Non è senza una precisa ragione che il dolce viene alla fine del pasto. I dolci noi non li accettiamo se non saziata la fame, placata la necessità. Implacata ancora in noi la fame, i dolci e comunque le sostanze zuccherate ci ripugnano al solo guardarle. Le bestie che non mangiano se non per nutrirsi, rifiutano i dolci. Del pari gli uomini bestiali, i quali terminano il pasto sul formaggio. L'assaporamento dei dolci richiede una inclinazione naturale alla fantasia e ai rapimenti poetici. Viene il dolce alla fine del pasto siccome si ridesta la poesia spento che è il dramma e la necessità. E quindi uscimmo a riveder le stelle. Il dolce fa dimenticare quel che di necessario e dunque di cupo e di mortale è nell'operazione del nutrirsi, ci riconcilia con la parte divina della vita e fa rifiorire in noi il riso. (Dolci, pp. 112-113)
  • [...] cominciai a pensare l'uomo educato e l'uomo ineducato, anzi a vederli; e mentre l'ineducato mi appariva in ispecie di uomo-porcospino, circondato di lunghissimi aculei che sono i raggi espansivi dei suoi bisogni, delle sue necessità, dei suoi desiderii, delle sue voglie, dei suoi comodi, del suo 'spazio vitale'; vedevo invece l'uomo educato che per rendere meno disagevole la vita in comune ritrae i raggi dei suoi bisogni, li riassorbe in sé, finisce per non avere bisogni e riduce le sue necessità di vita a quel minimo necessario oltre il quale c'è la morte; e per un istante anche l'uomo educatissimo mi apparve, che 'per semplificare', rinuncia a vivere; perché l'educazione, tutto sommato, è una quistione di imballaggio. (Educazione, pp. 131-132)
  • L'enfasi, le inflessioni di voce, il linguaggio espressivo non sono se non il residuo del parlare semeionico dell'uomo primitivo e del gesto passato nel suono. È un gestire con la voce. È il segno che ancora non ci si fida del significato puro della parola. È il segno che ancora non si riesce a vincere in noi lo scimmiesco. (Enfasi, p. 134)
  • La differenza tra fascista e delinquente sta in questo, che mentre il delinquente è isolato e solitario – e questa solitudine è il suo dramma, il suo eroismo, la sua poesia – il fascista è un delinquente collettivo e 'sociale'. Il fascista isolato perde la sua qualità di fascista, la sua forza di delinquente 'svapora' ed egli diventa apparentemente un uomo innocuo – un uomo qualunque. (Fascista, p. 155)
  • Nessuno pensa quanto necessaria è la solitudine all'uomo. Nessuno pensa quanto necessaria è all'organismo dell'uomo e alla economia della sua vita una certa dose di solitudine giornaliera. Per purificare la sua vita, rinettarla delle scorie del vivere collettivo. La vita sociale, la vita collettiva intossica l'organismo dell'uomo. Ci si preoccupa tanto dei danni dell'alcolismo, del tabagismo: nessuno si preoccupa dei danni del collettivismo. (Germanesimo, p. 168)
  • L'europeismo è una civiltà di carattere non teocratico ma essenzialmente umano, e dunque suscettibile di progresso e di perfezionamento. L'europeismo è una forma di civiltà prettamente umana, e così prettamente umana che ogni intromissione del divino nell'europeismo, ogni tentativo di teocrazia in Europa è un ostacolo all'europeismo, un arresto della civiltà.[4] (Germanesimo, p. 174)
  • Non c'è possibilità di equilibrio tra il destino comune di un popolo e quello singolare di un uomo; e però la dittatura, cioè a dire la sommissione del destino di un popolo a quello di un singolo uomo, è di tutte le forme politiche la più assurda. Non si capisce come nonostante i molti esempi di precedenti dittature tutte finite catastroficamente, si trovino ancora popoli disposti ad accettare la dittatura di un singolo uomo e a sottomettervisi. Come si spiega questa 'ardente' accettazione di una condizione mostruosa? La folla è ignorante, smemorata, incapace di giudizio. Primo compito di uno stato civile dovrebbe essere di sopprimere la folla. La folla si potrebbe sopprimere educando e illuminando la mente di ogni singolo componente di essa folla, ossia facendo sì che la folla non sia più folla. Ma la dittatura quanto a sé ha bisogno della folla. La dittatura vive della folla. La dittatura è una espressione della folla. È la folla che crea la dittatura. In una nazione priva di folle ignoranti e bestiali, la dittatura non ha possibilità di allignare. (Germanesimo, p. 185)
  • Il buon lettore, il solo che m'interessi e meriti che per lui fatichi e gema il mio cervello, come dire il lettore che non si passa le pagine stampate solo per un diletto superficiale e un divertimento passeggero, vuole essere guidato attraverso le più dense foreste di idee, immerso nell'imo fondo dei pensieri, introdotto nell'intimo dell'anima di uomini e cose; ed è questa, o lettore, la ragione della complicità tra te e me, è per questo che la lettura è di tutte le operazioni la più indelicata, la più indiscreta e in fondo la più illecita; è per questo che l'uomo pudico sente la vergogna del leggere e non sopporta che altri legga assieme con lui nello stesso libro (meno il caso di Paolo e Francesca il quale sappiamo come finì) e se veramente non è un'anima corrotta considera la lettura come una operazione clandestina e, per leggere, si apparta come l'animale per morire [...]. (Giostra, p. 199)
  • La verità assoluta, l'indirizzo unico, il significato solitario sono i nemici dell'uomo, il pericolo che perpetuamente lo minaccia, come tante frecce nere che perentorie gli si conficcano nel petto, come tanti neri martelli che gli si abbattono sul capo. L'ambiguità invece è dolce e confortevole. L'ambiguità ha le stesse proprietà dei cuscini e delle imbottiture, e fa sì che comunque si cada non ci si fa mai male. L'ambiguità è il modo dell'equilibrio e il principio dell'armonia. «Tenere i piedi in due staffe» è un proverbio al quale immeritatamente è stato dato un significato spregiativo. (Giostra, p. 200)
  • La Grammatica è un fatto a posteriori, e tanto basta a screditarla. Il greco era arrivato alla sua massima perfezione, prima che i greci si sognassero di esaminare e codificare le leggi che lo governano. Un Pindaro, un Eschilo ignoravano perfettamente che cos'è un avverbio o una preposizione, ignoravano del pari le regole che presiedono all'uso dei modi e dei tempi, e pure sono scrittori eccellenti. E ignoravano la Grammatica perché al tempo loro la Grammatica non era ancora nata. (Grammatica, p. 217)
  • La nostra solitudine è la nostra nobiltà. La nostra solitudine è la nostra gioia [...]. (Joy, p. 227)
  • L'inglese è quasi tutto di parole-comete. Stella la sillaba sulla quale cade, e così delicatamente, l'accento; chioma le sillabe disaccentuate che l'accentuata sillaba si trascina dietro, e che via via vanno digradando di suono e finiscono in pulviscolo sonoro, così come la chioma della cometa va digradando via via di luce e finisce in pulviscolo luminoso nella infinita oscurità del firmamento. Carattere romantico della lingua inglese. Romantica non solo nell'indole e nella mente, ma anche nella disposizione stessa e nello stesso suono delle parole. (Lingue (e popoli), pp. 237-238)
  • Afflizione dell'anima affine alla tristezza, ma questa affligge più vivamente (più materialmente). Anche se cupa e profonda, la malinconia trova ancora sorgenti di tenerezza. Si direbbe che essa ha per carattere la dolcezza. La tristezza è disperata, la malinconia viene nelle 'soste' della speranza. Se tanta malinconia è negli dei antichi, è perché l'immortalità, quell'immortalità 'terrestre' cui essi erano destinati (o 'condannati') esclude la speranza. Arte vera è spesso malinconica, ma triste mai. In fondo la differenza fra tristezza e malinconia è questa, che la tristezza esclude il pensiero, la malinconia se ne alimenta. Guardate come 'pensa' la Malinconia di Dürer. Socrate, nel Fedone, dice che una divinità avendo tentato un giorno di confondere il dolore e la voluttà, e non essendo riuscita, fece in modo che almeno in un punto aderissero assieme. (Malinconia, p. 246)
  • La rettorica, ossia la sproporzione tra apparenza e realtà con squilibrio per ipertrofia dell'apparenza, è il vizio peggiore degli italiani e il più nefasto. (Rettorica, p. 321)
  • La terra è piena di animali antidiluviani: di animali scampati al diluvio. Uno di essi è il tacchino, un altro la giraffa. La quale per sé è l'animale più singolare che io mi conosca. E più misterioso. Misteriosissima poi è la testa della giraffa, minuscola in cima al lunghissimo collo, adorna al sommo di due pennelli da barba, fornita, non certo a scopo alimentare, di una bocca che lavora lassù indipendentemente dal resto del corpo e 'allabbra' le foglie per conto di un altro, e di occhi che non vedono, non guardano, ma sono tutti pieni, tutti occupati dell'innocenza del mondo antecedente il peccato. Segno del gran mistero della giraffa: è il solo animale totalmente muto della creazione. Hanno preso la testa della sfinge a simbolo dell'enigma della vita: dovevano prendere la testa della giraffa, molto più enigmatica della sfinge e per di più di un animale reale: un mammifero come voi e me. La testa piccolissima della giraffa in cima al lunghissimo collo: questa enimmatica testina che si sposta in qua e in là mentre la base del collo e il corpo rimangono immobili (la bocca del tutto afona sceglie con movimenti pettegoli e saccenti le foglioline più tenere sotto la palla del fogliame) mi ricorda il microfono piantato in cima a una pertica mobile e lunga che nella lavorazione dei film serve a riprendere le voci delle masse; mi fornisce l'esempio della 'testa a distanza'. (Testa, pp. 363-364)

Partita rimandata

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  • Il vero messo a confronto col falso, è più falso del falso. (Viaggio ministeriale, p. 34)
  • È la prima volta ch'io vedo la Sicilia. Essa è la culla, mi diceva mio padre, della nostra gente. Quella terra laggiù, disegnata in turchino da sapientissima mano, è dunque in maniera più ampia della strettamente umana, un'antica madre per me. Eppure il mio cuore non sussulta. Non ho cuore di figlio, io? E la mia macchina, la prima volta, aveva scritto «cuore di giglio». (p. 42)
  • L'elemento femminile è necessario alla vita zoologica, ma è altrettanto necessario alla vita sociale. È altrettanto necessario alla vita mentale. È altrettanto necessario alla vita psichica. È necessarissimo alla civiltà.
    Nei momenti di civiltà più alta, la donna è più presente, più partecipe nella vita sociale. È la maggior partecipazione della donna alla vita sociale che determina la maggiore civiltà?
    La presenza "attiva" della donna nella vita sociale non solo arricchisce e migliora la vita sociale: migliora l'uomo. Spegne il "troppo maschile". Accende negli occhi di lui, nella faccia, nei movimenti della bocca, nel colore della pelle, sul piano della fronte una luce maggiore e migliore. (Dove le donne sono di più ma non si vedono che uomini, p. 68)
  • Che è amore?
    È la messa in presa del nostro "più profondo" col "più profondo" altrui. Del nostro "più lontano dalla superficie" col "più lontano dalla superficie" altrui. Di tutto che in noi è meno truccato per la bella figura della superficie. Di tutto che in noi è più segreto, più brutto, più vergognoso, più inconfessabile.
    Ventitré anni sono, quando conobbi colei che mi è più cara al mondo, le dissi: «Non vedo l'ora che tu diventi vecchia». L'amore profondo vuol superare la pelle della gioventù e della bellezza, questi "ostacoli" all'amore. (Partita rimandata, p. 105)

Sorte dell'Europa

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  • Il concetto «nazione», che alle sue origini era un concetto espansivo, e dunque attivo e fecondo, e come tale ispirò di sé e informò le nazioni dell'Europa in mezzo alle quali noi siamo nati e abbiamo vissuto fino a ora, ha perduto ormai le sue qualità espansive e ha acquistato invece qualità restrittive. Ristretto e immiserito, questo concetto non ha più forza attiva ma è diventato passivo, non è più centrifugo ma è diventato centripeto, non risponde più a idee di sviluppo, di accrescimento, di allargamento ma obbedisce a idee di impoverimento, di restringimento, di riduzione: segno che il concetto «nazione» quale lo concepivano coloro che fecero le nazioni, ha perduto nel frattempo le sue virtù e da concetto fecondo è diventato concetto infecondo, da idea attiva è diventato idea passiva, da principio benefico è diventato principio malefico. (Oltre le barriere, p. 12)
  • Il pericolo della politica sta soprattutto in questo, che la politica è praticata dai politici. (Pompierismo, p. 20)
  • Nei militari e nei preti c'è oltre a tutto l'ostacolo dell'uniforme. Come porci in condizione di comunicabilità, se io sono in borghese, ossia vestito come tutti, e dunque in un certo senso «svestito», e il prete invece è chiuso nel suo abito talare come il pisello dentro la buccia, il militare è chiuso nella sua uniforme come la tartaruga nel carapace? (Sorte dell'Europa, p. 42)
  • Gridano agitati e agitatori contro la borghesia, e non sanno che, nel caso migliore, il loro agitarsi si concluderà nella creazione di una nuova borghesia. (Enciclopedismo, p. 48)

Souvenirs

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  • Quanto alla cucina italiana, essa è una «cucina-verità». È la cucina cui tutti prima o poi debbono fatalmente fare ritorno, dopo ogni sconsigliata, dopo ogni sciagurata incursione sia tra i divoratori di cavallette, sia tra i degustatori di quintessenze. La cucina italiana è per l'uomo ciò che la Terra era per Anteo: restituisce le forze, dissipa qualunque dissidio tra l'errante figlio di mamma, e nostra grande maestra Natura. (Sinfonia alimentare)
  • [...] il criminale, cioè a dire un uomo doppiamente eroico che sfida non solo il pericolo dell'azione, ma anche quello della sanzione giudiziaria [...]. (Romanzo poliziesco)
  • La nostra sorte è comune. È il «nazionalismo della vita». Il solo legittimo. È tra noi una profonda «simpatia», nel senso che «assieme » noi «patiamo» le medesime vicende. E tutti assieme, stretti in un ideale abbraccio, marciamo uniti verso la morte. Lasciateci stare, «lasciateci pèrdere» dicono a Roma. Non ci guardate. Abbiamo trovato finalmente la nostra religione. La nostra religione più «legittima». Abbiamo trovato finalmente la ragione più giusta e più giustificata di raccoglierci assieme e di stare uniti. Abbiamo scoperto finalmente una ragione «seria» al vivere collettivo. Un sentimento simile al nostro univa i primi cristiani nell'attesa concorde, nell'attesa «comune» del regno di Dio. Da questo «consentimento» nasce il comunismo più naturale e dunque più vero e profondo. Assieme affronteremo... Che cosa?... Quando si è in tanti, poco importa conoscere che cosa si affronta, che cosa ci aspetta. Sarà, fratelli, quel che sarà. En avant, route! (Di mensa in mensa)
  • S'intende che la riproduzione è l'atto più impuro che noi compiamo. Un uomo perfettamente puro vieterebbe a se stesso la riproduzione, per timore di macchiarsi, ma un uomo «perfettamente» puro non può esistere. Molti uomini vietano a se stessi la riproduzione, ma per ben altre ragioni che per non macchiare la propria purità: per avarizia, perché non vogliono «seccature». Del resto, attraverso le riproduzioni successive, questi atti impuri, l'uomo, e se inconsapevolmente non importa, spera di arrivare a poco a poco alla purità, come attraverso tante operazioni di decantazione; e in questo è la parte «santa» della riproduzione. (Di mensa in mensa)

Tragedia dell'infanzia

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Non so se fosse primavera o già estate: il caldo era soffocante, la gola mi ardeva di sete. La mamma si ostinava a non darmi da bere, non mi voleva aprire la zanzariera. Perché tanta malvagità?

Citazioni

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  • Triste il conoscere. Più triste e assieme nefanda l'inclinazione che ci spinge a conoscere a tutti i costi, quando ignorare sarebbe tanto più pietoso, o se ignorare non si può almeno dimenticare. (La dea Terme, p. 14)
  • Infanzia – onda continua di rivoluzione, e sistematicamente stroncata dai «grandi», questi reazionari. (Commento alla Tragedia dell'infanzia, p. 149)

Tutta la vita

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  • Noi stiamo traversando la crisi di allargamento dell'universo. Guerre, rivoluzioni, angoscia dell'uomo, tutto che è crisi nel mondo da più anni a questa parte, tutto è conseguenza di questo allargamento di questo universo più vasto nel quale Dio non trova più luogo né modo di fermarsi e di affermarsi, almeno in quella forma concreta e suadente che dava sicurezza e protezione all'uomo e pace al suo animo. (Prefazione, p. 8)
  • Non sarà cristiano in avvenire chi non porterà anche agli animali, alle piante, ai metalli, quell'amore cristiano che finora egli portava soltanto all'uomo. (Prefazione, p. 8)
  • Il nome, pensa la signorina Fufù, è il simbolo e il segno distintivo di colui che lo porta, e imporre il nome ai propri figli quando i figli non hanno ancora la possibilità di esprimere sul nome imposto il proprio gradimento, è un abuso d'autorità e talvolta un'infamia. (La pianessa, p. 53)
  • Ritrovò il colore della sua tristezza, l'odore della sua solitudine, il sapore della sua infelicità. Quando l'infelicità arriva a una perfezione tale, l'infelicità diventa una forma di felicità: la più gelosa anzi, la più squisita. Cercar di rompere una siffatta forma d'infelicità, è un tradire la felicità, un tradire se stessi. (Paterni mobili, p. 133)
  • Noi persone d'età e d'esperienza, noi conosciamo bene l'arte del dissimulare, che è il fondamento del vivere civile. (Poltrondamore, p. 143)
  • Perché gli uomini cedono alle più grosse impressioni fisiche, ma sono troppo rozzi ancora per fare attenzione a quel che di più sottile e ineffabile circonda la nostra vita; non sanno ascoltare le voci delle cose che nella loro ignoranza essi credono mute, non sanno vedere i paesaggi che popolano l'aria e che nella loro massiccia indifferenza essi credono vuota, e con le grosse teste che non capiscono e gli occhi velati che non vedono, si aggirano ignari in mezzo ai misteri. (Poltrondamore, p. 154)
  • L'ora è arrivata dei concerti senza musica; dei concerti silenziosi, equivalenti di quello che in pittura è la natura morta. Concerti nei quali gli ascoltatori, seduti in comode poltrone e circondati di silenzio, ascolteranno mentalmente le musiche che ciascuno preferisce. Quale il difetto più grave dei concerti? Di avere programmi fissi e uguali per tutti. Tante volte ci tocca sentire musiche che o non c'interessano affatto o addirittura ci sono insopportabili, solo perché nel programma ci sono tra quelle musiche anche musiche care al nostro cuore e grate al nostro orecchio. (Concerto privato, pp. 186-187)
  • Io ho sempre pensato che per certi lati la musica è la più pericolosa delle arti. Al suono di un notturno di Chopin, una signora mia amica si trasformò una volta in Notte, si sbiancò in faccia come la luna, si avviluppò di veli, e si trovò seduta in aria e gonfia di malinconia, sopra una città che dormiva sotto di lei con tutte le persiane chiuse. (Concerto privato, p. 195)

Incipit di alcune opere

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Al grido: «Terra! terra!» lanciato dall'uomo che vigila sulla coffa dell'albero di maestra, risponde il formidabile urrah dell'equipaggio. Accorrono tutti, si affollano sul castello di prua e, sporgendosi sopra i bastingaggi, puntano gli occhi avidi sul fantasma di quell'isola che sorge, fumoso e lontano, dal cuore dell'infecondo mare. Due alcioni, messaggeri di terra vicina, passano alti sopra la nostra nave.

[Alberto Savinio, Capri, Garzanti, 2023. ISBN 978-88-11-01137-8]

La casa ispirata

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Venni ad abitare nella casa.
Le azioni affrontate con animo giocondo, sogliono compiersi felicemente.
Ma triste fu quel giorno. Le speranze, stancate le ali in voli faticosi, s'erano accasciate a sera, come gli aquiloni cadono quando il vento scema.

[Alberto Savinio, La casa ispirata, Adelphi, 2014. ISBN 978-88-459-7509-7]

Citazioni su Alberto Savinio

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  • Alberto Savinio: il più grande scrittore italiano tra le due guerre. (Leonardo Sciascia)
  • I fratelli De Chirico e Savinio sono stati per la prima volta riuniti in mostre tedesche prima a Düsseldorf e poi a Monaco. Hanno fatto entrambi letteratura con i pennelli, ma come letterato il secondo è assai superiore per intelligenza creativa. (Morando Morandini)
  1. a b c d Da Scritti dispersi. 1943-1952.
  2. a b c Citato in Salvatore Ferlita, Il diario di Savinio Ritratto della Sicilia isola di mito e morte, Repubblica.it, 21 maggio 2008.
  3. Da Hermaphrodito, Einaudi.
  4. Cfr. Opere, a cura di Leonardo Sciascia e Franco De Maria, Bompiani, 1989: «L'europeismo è una civiltà di carattere non teocratico ma essenzialmente umano, e dunque suscettibile di progresso e di perfezionamento. L'europeismo è una forma di civiltà prettamente umana, che ogni intromissione del divino nell'europeismo, ogni tentativo di teocrazia in Europa (fascismo, nazismo, ecc.) è un ostacolo all'europeismo, un arresto della civiltà "europea"».

Bibliografia

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Voci correlate

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Altri progetti

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