Giorgio Gaber
cantautore, drammaturgo, attore, cabarettista, chitarrista e regista teatrale italiano (1939-2003)
Giorgio Gaber, nome d'arte di Giorgio Gaberščik (1939 – 2003), cantautore, attore, commediografo e regista teatrale italiano.
Citazioni di Giorgio Gaber
modifica- Bolognesi! Ricordatevi: Sting è molto bravo, però tenetevi il vostro Guccini. Uno che è riuscito a scrivere 13 strofe su una locomotiva, può scrivere davvero di tutto.[1]
Attribuite
modifica- Io non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me.[2]
- [Erroneamente attribuita] La citazione è in realtà di Gian Piero Alloisio. Infatti, nonostante Gaber abbia sempre espressamente attribuito la citazione ad Alloisio, la frase è stata spesso erroneamente attribuita allo stesso Gaber. È lo stesso Alloisio ad ammetterlo nel libro Il mio amico Giorgio Gaber: «Malgrado Gaber abbia rispettato il mio "diritto di proprietà intellettuale", [la frase] quasi sempre è stata attribuita a lui. Perché? Perché funziona di più.»[3]
Citazioni tratte da canzoni
modificaIl Riccardo / Donna donna donna
modificaEtichetta: Vedette VVN 33165, 1969.
- Uuuuh, che noia qui al bar, che noia la sera, la sera vedersi qui al bar, | Che noia qui al bar. | [...] | Ma per fortuna che c'è il Riccardo | che da solo gioca a biliardo | non è di grande compagnia | ma è il più simpatico che ci sia. (da Il Riccardo, lato A)
Il signor G
modificaEtichetta: Carosello, 1970.
- Se potessi cantare davvero | canterei veramente per tutti, | canterei le gioie ed i lutti | e il mio canto sarebbe sincero. | Ma se canto così io non piaccio, | devo fare per forza il pagliaccio. (da Suona chitarra, n. 1)
- E incomincia fra i commenti | la sfilata dei parenti | ma io proprio non capisco | perché son così contenti. (da Il signor G nasce, n. 2)
- A proposito del nome | proprio G come mio nonno, | avrei voglia di reagire, | ma per ora ho troppo sonno. (da Il signor G nasce, n. 2)
- È nato in un prato un fiore colorato, | è nato in un prato un fiore già appassito, | il fiore colorato è stato concimato, | il fiore già appassito è stato trascurato. (da Io mi chiamo G, n. 3)
- Eppure sembra un uomo, | vive come un uomo, | soffre come un uomo, | è un uomo. (da Eppure sembra un uomo, n. 4)
- Sul muro c'era scritto | «Alzateci il salario». | L'ha cancellato un grande cartellone | con scritto «Costa meno il mio sapone». (da Eppure sembra un uomo, n. 4)
- Mio padre è mio padre, | mio padre è un brav'uomo, | mio padre tratta tutti da cretini, | i vecchi bisogna ammazzarli da bambini. (da Eppure sembra un uomo, n. 4)
- Da una recente statistica sui matrimoni risulta che: il 2 % riguarda quei coniugi che hanno trovato nell'unione la più completa felicità, e si ritengono eternamente innamorati. Nel 9% dei casi si raggiunge una convivenza serena, pur nel superamento di qualche difficoltà. Solo nel 10% dei casi avviene la separazione vera e propria, per il rimanente 79% la maggioranza, il matrimonio continua. (da Il signor G e l'amore, n. 5)
- Com'eri bella, | com'eri bella, | avevo bisogno di te. | Eri la donna della mia vita, | ti ho chiesto di stare con me | perché ti amavo, perché ti amavo, | ma com'è bella la vita in due! (da Il signor G e l'amore, n. 5)
- La voglia di andare, la voglia di reagire | con quanto coraggio, con quanta paura. | La voglia di fare e di ricominciare | con tutta la rabbia, con tutto l'amore. (da Il signor G dalla parte di chi, n. 7)
- A cosa pensi, mio signor G? | Pensi alla vita a ciò che finì, | a ciò che hai detto, a ciò che hai fatto, | al tuo coraggio, al tuo passato che è già passato. (da Il signor G sul ponte, n. 8)
- L'acqua che passa, l'acqua che scorre | come una nenia che non finisce, | io che la guardo come assopito | ci farei un tuffo tutto vestito. (da Il signor G sul ponte, n. 8)
- Ed io che ho lavorato, lavorato, lavorato | ora mi fermo un momento a guardare | quel seguirsi di errori e il mio passato | e quella vita che mi avete rubato. (da Il signor G incontra un albero, n. 12)
- Ed ogni volta mi chiedo se ho ancora | la forza di ricominciare, | il nostro amore è un po' stanco ma anche questa volta | si salverà. | Provo a tornare nei luoghi dove tu, solo tu | mi hai insegnato ad amare | ma quasi sempre c'è un prato che aveva un colore | che adesso non ha. (da Il signor G e le stagioni, n. 13)
- Signore delle chiese e dei santi, | Signore delle suore e dei preti | prova ad esserlo, se credi, | anche dei cortili, delle fabbriche, | delle puttane, dei ladri. (da Preghiera, n. 14)
- Quanta gente affezionata | che premura, che assistenza | c'è una busta sigillata | state calmi, che impazienza. | Ma c'è scritto solamente | «G saluta la sua gente». | S'è mangiato tutti i soldi | non vi lascia proprio niente. (da Il signor G muore, n. 17)
I borghesi
modificaEtichetta: Carosello, 1971.
- I borghesi son tutti dei porci, | più sono grassi e più sono lerci, | più son lerci e più c'hanno i milioni, | i borghesi son tutti... (da I borghesi, n. 1)
- Quanta resistenza | e quanta esagerata insofferenza | qualche volta anche per niente. | E questa strana unione | che ogni giorno si trasforma | lentamente. (da Ora che non son più innamorato, n. 2)
- Ce l'hanno su con me | mi danno del pezzente, | mi danno del barbone | e già, per quella gente | è meglio un delinquente | ma con la posizione, | e anche se la figlia | sembra differente | è nata ed è cresciuta | in quell'ambiente. (da Che bella gente, n. 3)
- E la Chiesa si rinnova per la nuova società | e la Chiesa si rinnova per salvar l'umanità. (da La Chiesa si rinnova, n. 4)
- E se in qualche parte del mondo c'è un dramma | il Papa è sempre pronto e manda un telegramma. | Nel testo si commuove, depreca, è solidale | insomma gli dispiace come a uno normale. (da La Chiesa si rinnova, n. 4)
- Scusa cara | ci sono dei momenti, | vien voglia di andar via, | non sai che cosa vuoi. (da Evasione, n. 5)
- Com'è grande e vuoto, è docile, è fragile, | ubbidiente, riflessivo, indifeso, inoffensivo, | debole, meschino, vigliacco, | inchinato, prostrato, sudato, | consenziente, affaticato, inutile, inutile, inutile, | un uomo inutile, inutile, inutile, | una palla inutile. (da L'uomo sfera, n. 6)
- Da quando sei sposata | non è più come prima, | ti trovo un po' cambiata | l'amore ti rovina. (da Due donne, n. 10)
Far finta di essere sani
modificaEtichetta: Carosello, 1973.
- Vivere, non riesco a vivere | ma la mente mi autorizza a credere | che una storia mia, positiva o no | è qualcosa che sta dentro la realtà. (da Far finta di essere sani, CD 1, n. 2)
- Liberi, sentirsi liberi | forse per un attimo è possibile | ma che senso ha, se è cosciente in me | la misura della mia inutilità. (da Far finta di essere sani, CD 1, n. 2)
- Per ora rimando il suicidio | e faccio un gruppo di studio: | le masse, la lotta di classe, i testi gramsciani. | Far finta di essere sani... (da Far finta di essere sani, CD 1, n. 2)
- La natura è la vita, l'ha detto Rousseau. | La natura è la misura dell'uomo. L'ha detto Schopenhauer. | La natura fa schifo... L'ho detto io. (da La natura, CD 1, n. 3)
- Cerco un gesto, un gesto naturale | per essere sicuro che questo corpo è mio, | cerco un gesto, un gesto naturale | intero come il nostro Io. (da Cerco un gesto, un gesto naturale, CD 1, n. 4)
- E invece non so niente, sono a pezzi, non so più chi sono, | capisco solo che continuamente io mi condiziono, | devi essere come un uomo, come un santo, come un dio, | per me ci sono sempre i come e non ci sono io. (da Cerco un gesto, un gesto naturale, CD 1, n. 4)
- Forse la comune | non ha senso la famiglia coniugale | ho bisogno di trovare un'apertura | a una vita troppo chiusa, troppo uguale. (da La comune, CD 1, n. 5)
- Schiuma, soffice, morbida, bianca, lieve, lieve | sembra panna, sembra neve. (da Lo shampoo, CD 1, n. 8)
- Son convinto che sia meglio quello giallo senza canfora | i migliori son più cari perché sono antiforfora. (da Lo shampoo, CD 1, n. 8)
- Una pallina bianca è uguale a una pallina bianca. | Una pallina bianca è diversa da una pallina nera. | E nessuna delle due palline si è offesa | [...] Ma, io dico, non si potrebbe essere diversi così, | su un piano, tutta una base? (da Le palline, CD 1, n. 9)
- Nella sua torre tutta d'avorio | il genio studia le sue carte | concentrazione, ispirazione | la sua cultura, la sua arte. (da Il dente della conoscenza, CD 1, n. 10)
- In un dente anormale non c'è niente di male | ma per colpa di uno strano destino | ci risulta dai dati che altri figli son nati | tutti quanti con lo stesso dentino. (da Il dente della conoscenza, CD 1, n. 10)
- Io ti sfioro e non so quanto sia emozionante, | tu mi guardi e mi chiedi se sono presente, | io penso alla nostra impotenza, ad un gesto d'amore. (L'impotenza, CD 1, n. 11)
- Le mani si muovono, accarezzano i fianchi, | le bocche si avvicinano poi si staccano ancora, | i corpi si sfiorano poi si allontanano, | di scatto si riallacciano poi si comprimono, | il respiro è più forte incalzante, | più affannoso, morboso, ansimante, | parole sconnesse, frenetiche, senza pudore, | è l'amore, è l'amore, è l'amore. (da È sabato, CD 1, n. 12)
- Io, con una donna, mi sento, | mi riconosco, mi ritrovo, m'invento, | mi realizzo, mi rinnovo, mi miglioro, | perché io, con una donna, m'innamoro. (da Il narciso, CD 1, n. 13)
- Io, con una donna, ho più coraggio, | mi accarezzo, mi tocco, praticamente mi corteggio, | mi incammino verso il letto e penso a dopo, | perché io, con una donna, mi scopo. (da Il narciso, CD 1, n. 13)
- Ho visto un uomo matto | è impressionante come possa fare effetto, | un uomo solo, abbandonato, dimenticato | dietro le sbarre sempre chiuse di un cancello. (da Dall'altra parte del cancello, CD 1, n. 15)
- E noi colitici | che siamo tutti un po' psicosomatici, | sensibili ai problemi più drammatici | degli stomaci, | non con la mente | ma visceralmente abbiamo i nostri slanci. (da La marcia dei colitici, CD 2, n. 1)
- E noi colitici, | un po' individualisti ma simpatici, | insieme diventiamo più politici | ma democratici. | Ci organizziamo ed uniti marciamo | sicuri del successo. (da La marcia dei colitici, CD 2, n. 1)
- Un'emozione non so che cosa sia | ma ho imparato che che va buttata via. | Dolce prudenza, ti prego, resta ancora con me | da troppo tempo non vivo grazie a te. (da Un'emozione, CD 2, n. 3)
- Un'idea, un concetto, un'idea, | finché resta un'idea è soltanto un'astrazione. | Se potessi mangiare un'idea, | avrei fatto la mia rivoluzione. (da Un'idea, CD 2, n. 3)
- Se sapessi parlare di Maria, | se sapessi davvero capire la sua esistenza | avrei capito esattamente la realtà, | la paura, la tensione, la violenza, | avrei capito il capitale, la borghesia, | ma la mia rabbia è che non so parlare di Maria | la libertà, Maria la rivoluzione, Maria il Vietnam, la Cambogia, | Maria la realtà. (da Chiedo scusa se parlo di Maria, CD 2, n. 11)
- La libertà non è star sopra un albero, | non è neanche il volo di un moscone, | la libertà non è uno spazio libero, | libertà è partecipazione. (da La libertà, CD 2, n. 13)
- La libertà non è star sopra un albero, | non è neanche avere un'opinione, | la libertà non è uno spazio libero, | libertà è partecipazione. (da La libertà, CD 2, n. 13)
- Il mare, com'è strano il mare, | non è che non ne senta la sua poesia ma mi fa vomitare. (da La nave, CD 2, n. 14)
Anche per oggi non si vola
modificaEtichetta: Carosello, 1974.
- Eppure il granoturco | che ha scelto di esser giallo | non si domanda niente | non ricorda. || Chissà se poi continua | a presentarsi giallo | per essere fedele | a chi lo guarda. (da Il granoturco, disco 1, lato A, n. 2)
- Sì, mangi tutto, anche se non è che del minestrone ti interessa tutto, certo, non puoi mica metterti lì a selezionare a dividere con le mani, sarebbe, difficile scomodo, e anche maleducato, quindi mangi tutto [...]. (da Il minestrone, disco 1, lato A, n. 3)
- A me personalmente, del minestrone interessa la carota, è evidente che mi interessa la carota per le sue proprietà eccezionali d'altronde ben note. La carota, questo prezioso ortaggio, fa bene al... irrobustisce il... il nervo ottico, sì fa bene, ai bulbi, ti vengono due bulboni, che vedi no, importante vedere, anche, anche politicamente, questa, questa vista che cresce, che si sviluppa, individua il nemico da combattere, sì. (da Il minestrone, disco 1, lato A, n. 3)
- Mi son fatto tutto da me, | mi son fatto tutto da me, | mi son fatto tutto da me! | Mi son fatto tutto di merda. (da L'odore, disco 1, lato B, n. 1)
- Anche per oggi non si vola. (da La leggerezza, disco 2, lato A, n. 3)
- La realtà è un uccello che non ha memoria, | devi immaginare da che parte va. (da La realtà è un uccello, disco 2, lato A, n. 4)
- È scoppiata un'epidemia di quelle più maligne | con bubboni che appestano uomini, donne e bambini , | l'infezione è trasmessa da topi usciti dalle fogne | ma hanno visto abilissime mani lanciarli dai tombini , | son le solite mani nascoste e potenti, | che lavorano sotto, che sono sempre presenti. (da La peste, disco 2, lato B, n. 2)
- C'è solo la strada su cui puoi contare | la strada è l'unica salvezza | c'è solo la voglia, il bisogno di uscire | di esporsi nella strada, nella piazza. | Perché il giudizio universale | non passa per le case | in casa non si sentono le trombe | in casa ti allontani dalla vita | dalla lotta, dal dolore, dalle bombe. (da C'è solo la strada, disco 2, lato B, n. 5)
Libertà obbligatoria
modificaEtichetta: Carosello, 1976.
- Ho bisogno di un delirio | che sia ancora più forte, | ma abbia un senso di vita | e non di morte. (da Il delirio, disco 1, n. 5)
- Io non assomiglio ad Ambrogio, | l'interezza non è il mio forte, | per essere a mio agio | ho bisogno di una parte. (da Il comportamento, disco 1, n. 7)
- E se mi viene bene | se la parte mi funziona | allora mi sembra di essere | una persona. (da Il comportamento, disco 1, n. 7)
- Quando invece sto leggendo Hegel | mi concentro sono tutto preso | non da Hegel naturalmente | ma dal mio fascino di studioso. (da Il comportamento, disco 1, n. 7)
- Mio nonno si è scelto una parte | che non cambia in ogni momento, | voglio dire che c'ha un solo | comportamento. || Io invece ho sempre bisogno | di una nuova definizione | e gli altri fanno lo stesso | è una tacita convenzione. (da Il comportamento, disco 1, n. 7)
- Se un giorno noi cercassimo | chi siamo veramente | ho il sospetto | che non troveremmo niente. (da Il comportamento, disco 1, n. 7)
- La solitudine | non è mica una follia | è indispensabile | per star bene in compagnia. (da La solitudine, disco 2, n. 1)
- Non c'è popolo che sia più giusto degli americani. Anche se sono costretti a fare una guerra, per cause di forza maggiore, s'intende, non la fanno mica perché conviene a loro. Nooo! È perché ci sono ancora dei posti dove non c'è né giustizia, né libertà. E loro... Eccola lì... pum! Te la portano. Sono portatori, gli americani. Sono portatori sani di democrazia. Nel senso che a loro non fa male, però te l'attaccano. (da L'America, disco 2, n. 8)
- Si può, siamo liberi come l'aria | si può, siamo noi che facciam la storia, | si può, libertà, libertà, libertà, | libertà obbligatoria. (da Si può, disco 2, n. 9)
- Ma come? Con tutte le libertà che avete, volete anche la libertà di pensare? (da Si può, disco 2, n. 9)
- Ma quello che succede in fondo ai tuoi polmoni, o al tuo intestino, è quello che conta, è qualcosa che ti hanno messo dentro, e ti mangia piano piano, come un cancro. Hanno inventato un nemico molto più geniale, che non si vede, un nemico segreto e consapevole che ti viene incontro, hanno inventato il cancro. (da Il cancro, disco 2, n. 11)
- E ti lasciano libero | con questa cosa dentro, | con quel milione di molecole | che non ti ubbidiscono più, | che lavorano per conto loro, | che proliferano silenziose | e non le vedremo mai | quelle molecole pazze | cancerose. | Non sapremo nemmeno se sono esistite | quelle cellule ingorde insaziabili enormi, | voraci affamate di noi ci mangeranno | come vermi. (da Il cancro, disco 2, n. 11)
- Non si può ancora morire | mentre ti agiti inerte. | Aggrappati all'ultima azione | che ancora puoi fare: | non devi fallire la morte. (da Il cancro, disco 2, n. 11)
- È difficile vivere con gli assassini dentro, forse è più facile vivere con gli assassini fuori, visibili riconoscibili, che ti sparano addosso dalle strade, dalle cattedrali, dalle finestre delle caserme, dai palazzi reali dai balconi col tricolore. [...] Prevedibili e schematici anche nella cattiveria, come le bestie bionde, come le bestie nere, che ti possono togliere la libertà, mai le tue idee. Come quegli ingenui e patetici esemplari che esistono ancora oggi, ma non contano, sono un diversivo, un fatto di folklore, una mazurca. Ma l'assassino dentro, è come un'iniezione, non la puoi fermare non risparmia nessuno, nessuno sfugge alla scadenza. È difficile vivere con gli assassini dentro, appena ce li hai iniettati, ti si rivoltano contro. (da Il cancro, disco 2, n. 11)
Polli d'allevamento
modificaEtichetta: Carosello, 1978.
- Io sono uno che in tutte le cose ha bisogno di trovare quello scatto quello slancio iniziale, quell'energia che specialmente nell'amore può essere esaltante solamente a condizione che avvenga e si realizzi in quell'istante che precede la conoscenza e stimola, stimola, stimola, arricchisce, nutre, incuriosisce. (da Prima dell'amore, disco 1, n. 4)
- Prima di fare l'amore siamo dei grandi ascoltatori... dopo meno. (da Prima dell'amore, disco 1, n. 4)
- Chi non ha mai commesso l'errore di togliersi i pantaloni prima delle scarpe... costui non sa niente dell'amore. (da Prima dell'amore, disco 1, n. 4)
- [...] non si è mai abbastanza coraggiosi da diventare vigliacchi definitivamente. (da La paura, disco 1, n. 6)
- Riassumiamo: io avevo avuto l'orgasmo... ghinnn! Niente a che vedere con quelli che mi organizzo da solo eh, ma un discreto orgasmo per essere in due. (da Dopo l'amore, disco 2, n. 3)
- L'ho sempre detto, se vuoi sciupare un amicizia con una persona facci all'amore. E dopo? Ci vuole troppa comprensione, per trasformare in dolcezza una cosa venuta male. Ti rimetti la camicia lentamente, ti allacci una scarpa, e questa operazione ti sembra che duri tutto il pomeriggio, pomeriggio? (da Dopo l'amore, disco 2, n. 3)
- Bisogna essere prudenti quando ci si ammazza, se no si fan delle figure dai. (da Il suicidio, disco 2, n. 10)
- C'è una fine per tutto... E non è detto che sia sempre la morte. (da Il suicidio, disco 2, n. 10)
Io se fossi Dio
modificaEtichetta: F1 Team, DM 913, 1980.
- Io se fossi Dio, | non sarei così coglione | a credere solo ai palpiti del cuore | o solo agli alambicchi della ragione. (da Io se fossi Dio)
- Ma io se fossi Dio, | non mi farei fregare da questo sgomento | e nei confronti dei politicanti | sarei severo come all'inizio, | perché a Dio i martiri | non gli hanno fatto mai cambiar giudizio. (da Io se fossi Dio)
- E se al mio Dio che ancora si accalora, | gli fa rabbia chi spara, | gli fa anche rabbia il fatto | che un politicante qualunque | se gli ha sparato un brigatista, | diventa l'unico statista! (da Io se fossi Dio)
- Io se fossi Dio, | quel Dio di cui ho bisogno come di un miraggio, | c'avrei ancora il coraggio di continuare a dire | che Aldo Moro insieme a tutta la Democrazia Cristiana | è il responsabile maggiore di trent'anni di cancrena italiana. | Io se fossi Dio, | un Dio incosciente enormemente saggio, | avrei anche il coraggio di andare dritto in galera, | ma vorrei dire che Aldo Moro resta ancora | quella faccia che era! (da Io se fossi Dio)
Anni affollati
modificaEtichetta: Carosello, 1981.
- Odio il tuo viso che è la mia caricatura , | odio la tua voce che è la mia scimmiottatura , | odio l'arroganza della tua idiozia , | odio la tua stupida parola che è la mia. (da Il sosia, lato A, n. 1)
- Era come un sogno che svapora | che quando lo racconti | non riesci neanche a ricordarti | fuori mi aspettavano altri sogni, altri infarti. (da Il sosia, lato A, n. 1)
- L'attesa è una suspense elementare, | è un antico idioma che non sai decifrare, | è un'irrequietezza misteriosa e anonima, | è una curiosità dell'anima. (da L'attesa, lato B, n. 1)
- Perché da sempre l'attesa è il destino | di chi osserva il mondo | con la curiosa sensazione | di aver toccato il fondo. (da L'attesa, lato B, n. 1)
- L'attesa è il risultato, il retroscena | di questa nostra vita troppo piena. | È un andar via di cose dove al loro posto | c'è rimasto il vuoto. || Un senso quieto e religioso | in cui ti viene da pensare | e lo confesso ci ho pensato anch'io | al gusto della morte e dell'oblio. (da L'attesa, lato B, n. 1)
- Allora salti il piano, se lo sai saltare, | ed entri in un altro reparto dell'amore. (da Gildo, lato B, n. 2)
Gaber
modificaEtichetta: GO Igest, 1984.
- Non esiste né luogo, né tempo, | distanza non esiste, | io sono gli uomini del passato canuti e saggi, | io sono gli uomini del futuro smarriti e scaltri, | io sono come tutti io sono gli altri. (da Gli altri, n. 1)
- Il percorso normale della conoscenza | è come non lo usassimo più. | Il percorso del pensiero | che ogni giorno diventa più avaro. (da Occhio, cuore, cervello, n. 5)
- Non so se è fratellanza o scienza, | istinto naturale o amore, | il sociale è una nozione delle più confuse | che per ragioni misteriose abbiamo il dovere di salvare. (da Il sociale, n. 7)
- Il sociale è il passatempo della demagogia | politica mondiale, | è l'alibi dell'uomo di sinistra, | che se lo porta a casa e lo riveste | di ideologia | così adatta a far passare meglio | qualche vecchia idea. (da Il sociale, n. 7)
Il Grigio
modificaEtichetta: Carosello, 1988.
- Un uomo sapiente può godere l'intero spettacolo del mondo soltanto con l'aiuto dei sensi e del pensiero. (atto I, quadro IV)
- "Il pensare"... sì, il pensiero in sé, senza farci niente di utile, che godimento. Peccato che non ti paga nessuno per pensare. «Ho pensato otto ore» e chi ti crede? In India... in India ti credono. (atto I, quadro IV)
- Il mio orgoglio non è amore per me stesso. Se mi amassi non mi prenderei a calci come faccio. Il mio orgoglio è... è per come si dovrebbe essere. Il mio orgoglio è lo schifo di tutto e di tutti. Di te, ma anche di me... di me un po' meno. (atto II, quadro I)
Il teatro canzone
modificaEtichetta: Carosello, 1992.
- Ci dev'essere uno strano godimento a sentirsi inutili, perché sono tutti più allegri, più ottimisti e tutti via a sciare, e vela, windsurf, equitazione, golf... bello! Secondo me per essere bravi in quegli sport lì non è che bisogna essere proprio imbecilli, però aiuta! (da Gli inutili, disco 1, n. 3)
- Qualcuno era comunista perché vedeva la Russia come una promessa, la Cina come una poesia, il comunismo come il paradiso terrestre. (da Qualcuno era comunista, disco 2, n. 8)
- Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona; qualcuno era comunista perché Andreotti non era una brava persona. (da Qualcuno era comunista, disco 2, n. 8)
- Qualcuno era comunista perché era così ateo che aveva bisogno di un altro Dio. (da Qualcuno era comunista, disco 2, n. 8)
- Qualcuno era comunista perché era talmente affascinato dagli operai che voleva essere uno di loro. Qualcuno era comunista perché non ne poteva più di fare l'operaio. (da Qualcuno era comunista, disco 2, n. 8)
- Qualcuno era comunista perché la rivoluzione, oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente. (da Qualcuno era comunista, disco 2, n. 8)
- Qualcuno era comunista perché aveva scambiato il materialismo dialettico per il vangelo secondo Lenin. (da Qualcuno era comunista, disco 2, n. 8)
- Qualcuno era comunista perché c'era il grande partito comunista. Qualcuno era comunista malgrado ci fosse il grande partito comunista. (da Qualcuno era comunista, disco 2, n. 8)
- Qualcuno era comunista perché abbiamo avuto il peggiore Partito Socialista d'Europa. (da Qualcuno era comunista, disco 2, n. 8)
- Qualcuno era comunista perché credeva di poter essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri. (da Qualcuno era comunista, disco 2, n. 8)
E pensare che c'era il pensiero
modificaEtichetta: GIOM - Carosello, 1995.
- Senza cattive o buone azioni, | senza altre strane deviazioni, | che se anche il fiume le potesse avere, | andrebbe sempre al mare. Così vorrei amare. (da Quando sarò capace di amare, disco 2, n. 6)
- Le parole, definiscono il mondo, se non ci fossero le parole, non avemmo la possibilità di parlare, di niente. Ma il mondo gira, e le parole stanno ferme, le parole si logorano invecchiano, perdono di senso, e tutti noi continuiamo ad usarle, senza accorgerci di parlare, di niente. (da Destra/sinistra, disco 2, n. 7)
- La patata per natura è di sinistra, | spappolata nel purè è di destra, | la pisciata in compagnia è di sinistra, | il cesso è sempre in fondo a destra. (da Destra/sinistra, disco 2, n. 7)
- Il saluto vigoroso a pugno chiuso | è un antico gesto di sinistra, | quello un po' degli anni '20 un po' romano | è da stronzi oltre che di destra. (da Destra/sinistra, disco 2, n. 7)
- La risposta delle masse è di sinistra | con un lieve cedimento a destra. | Son sicuro che il bastardo è di sinistra, | il figlio di puttana è a destra. (da Destra/sinistra, disco 2, n. 7)
- Bisogna assolutamente trovare il coraggio di abbandonare i nostri meschini egoismi e cercare un nuovo slancio collettivo magari scaturito proprio dalle cose che ci fanno male, dai disagi quotidiani, dalle insofferenze comuni, dal nostro rifiuto! Perché un uomo solo che grida il suo no, è un pazzo. Milioni di uomini che gridano lo stesso no, avrebbero la possibilità di cambiare veramente il mondo. (da Mi fa male il mondo (seconda stagione), disco 2, n. 8)
Gaber 96/97
modificaEtichetta: GIOM GIOM-CD 01, 1996.
- L'appartenenza | non è lo sforzo di un civile stare insieme, | non è il conforto di un normale voler bene, | l'appartenenza | è avere gli altri dentro di sé. (da Canzone dell'appartenenza, n. 6)
- L'appartenenza | è un'esigenza che si avverte a poco a poco | si fa più forte alla presenza di un nemico, di un obiettivo o di uno scopo. (da Canzone dell'appartenenza, n. 6)
- Sarei certo di cambiare la mia vita se potessi cominciare a dire noi. (da Canzone dell'appartenenza, n. 6)
Un'idiozia conquistata a fatica
modificaEtichetta: GIOM GIOM-CD 02, 1998.
- Secondo me gli italiani e l'Italia hanno sempre avuto un rapporto conflittuale, ma la colpa non è certo dell'Italia, ma degli italiani, che sono sempre stati un popolo indisciplinato, individualista, se vogliamo un po' anarchico e ribelle, e troppo spesso cialtrone. Secondo me gli italiani non si sentono per niente italiani, ma quando vanno all'estero, li riconoscono subito. Secondo me gli italiani sono cattolici e laici, ma anche ai più laici piace la benedizione del papa. Non si sa mai. Secondo me gli italiani sono poco aggiornati e un po' confusi, perché non leggono i giornali. Figuriamoci se li leggessero. Secondo me non è vero che gli italiani sono antifemministi. Per loro la donna è troppo importante, specialmente la mamma. Secondo me gli italiani hanno sempre avuto come modello i russi e gli americani. Ecco come va a finire quando si frequentano le cattive compagnie. (da Secondo me gli italiani, disco 2, n. 4)
La mia generazione ha perso
modificaEtichetta: CGD East West, 2001.
- Ma io ti voglio dire | che non è mai finita, | che tutto quel che accade | fa parte della vita. (da Verso il terzo millennio, n. 2)
- La mia generazione ha visto | le strade, le piazze gremite | di gente appassionata, | sicura di ridare un senso alla propria vita. | Ma ormai son tutte cose del secolo scorso: | la mia generazione ha perso. (da La razza in estinzione, n. 5)
- L'obeso ha un aspetto | imperturbabile e imponente, | è un grosso uomo che si muove lentamente, | mangia sempre dalla sera alla mattina | con l'isterica passione, | per qualsiasi proteina, | l'obeso è imprigionato | nel suo corpo assai opulento, | sembra un uomo generato | da un enorme allevamento. (da L'obeso, n. 11)
- L'obeso mangia idee, mangia opinioni, | computer, cellulari, | dibattiti e canzoni, | mangia il sogno dell'Europa, | le riforme, i parlamenti, | film d'azione e libri d'arte, | mangia soldi e sentimenti | e s'ingravida guardando e mangiando | gli orrori del mondo. || L'obeso è ormai un destino senza scampo, | è la follia del nostro tempo, | l'obeso è un pachiderma nauseabondo, | è il simbolo del mondo. (da L'obeso, n. 11)
- L'obeso è l'infinito | di un Leopardi americano. (da L'obeso, n. 11)
Io non mi sento italiano
modificaEtichetta: CGD East West, 2003.
- L'importante è insegnare quei valori | che sembrano perduti, | con il rischio di creare nuovi disperati. (da Il tutto è falso, n. 1)
- Il falso è misterioso | e assai più oscuro | se è mescolato | insieme a un po' di vero. (da Il tutto è falso, n. 1)
- Non insegnate ai bambini, | non insegnate la vostra morale: | è troppo stanca e malata | potrebbe far male. (da Non insegnate ai bambini, n. 2)
- Non insegnate ai bambini, | non divulgate illusioni sociali, | non gli riempite il futuro | di vecchi ideali. (da Non insegnate ai bambini, n. 2)
- L'unica cosa sicura è tenerli lontano | dalla nostra cultura. (da Non insegnate ai bambini, n. 2)
- Stategli sempre vicini, | date fiducia all'amore, il resto è niente. (da Non insegnate ai bambini, n. 2)
- Io non mi sento italiano, | ma per fortuna o purtroppo lo sono. (da Io non mi sento italiano, n. 3)
- Mi scusi Presidente | ma questo nostro Stato | che voi rappresentate | mi sembra un po' sfasciato. | È anche troppo chiaro | agli occhi della gente | che tutto è calcolato | e non funziona niente. (da Io non mi sento italiano, n. 3)
- Abbiamo fatto l'Europa, | facciamo anche l'Italia. (da Io non mi sento italiano, n. 3)
- C'è un'aria, un'aria, ma un'aria | che manca l'aria. (da C'è un'aria, n. 9)
- E c'è un gusto morboso del mestiere d'informare, | uno sfoggio di pensieri senza mai l'ombra di un dolore | e le miserie umane raccontate come film gialli | sono tragedie oscene che soddisfano la fame | di questi avidi sciacalli. (da C'è un'aria, n. 9)
- Ma la televisione che ti culla dolcemente | presa a piccole dosi direi che è come un tranquillante | la si dovrebbe trattare in tutte le famiglie | con lo stesso rispetto che è giusto avere | per una lavastoviglie. (da C'è un'aria, n. 9)
- E guardando i giornali con un minimo di ironia | li dovremmo sfogliare come romanzi di fantasia | che poi il giorno dopo e anche il giorno stesso | vanno molto bene per accendere il fuoco | o per andare al cesso. (da C'è un'aria, n. 9)
Citazioni su Giorgio Gaber
modifica- Abbiamo discusso parecchie volte soprattutto sull'impegno nell'arte. Perché io ero convinto che lui lo penalizzasse con un po' di amarezza, con la malinconia che a volte scorgevo nei suoi lavori. Anche se poi non posso scordare che Giorgio è stato pure l'autore di "La libertà". Una canzone sull'importanza di essere presenti nella vita per sceglierne chiaramente il destino, un brano che ritengo fra i più belli dell'intera storia della musica italiane e che è proprio un brano di impegno politico. Ma in senso alto, educativo, etico. [...] Con Luporini scriveva lavori costruiti bene e soprattutto mangiati, masticati, digeriti, sputati e ripresi. Ovvero meditati, sofferti, discussi, faticosi, mai buttati lì con facilità. Come tutte le cose che contano, le sue erano opere vissute. (Dario Fo)
- Allora gli altri cantautori si sentivano un po' troppo portabandiera di qualche cosa, mentre Giorgio, ogni volta che qualcuno gli ammollava questo ruolo, ne fuggiva. Perché capiva che era un'altra trappola, come quelle del pop. E lui ha fatto di tutto nella sua vita pur di comunicare che l'unico modo di essere veramente liberi è porsi sempre dei dubbi. Mettersi davanti allo specchio a chiedersi se stai facendo quello che sei o sei figlio di qualche pensiero altrui. (Rossana Casale)
- [A]ndare a vedere Gaber significava confrontarsi con un linguaggio che certo non potevi pensare di riproporre al suo livello, ma che comunque era raggiungibile. Era un obiettivo realistico. Gaber è stato forse l'unico a essere contemporaneamente rivoluzionario, politico, innovatore e anche comunicatore. Nonché poeta. Un poeta che però ci si era presentato con un biglietto da visita sconvolgente. (Gino e Michele)
- Avrei anche potuto rubargli il posto, quando il manager di Mina mi propose di fare una stagione teatrale insieme a lei. Ma quel tour lo fece lui, e nacque lì la sua scelta di dedicarsi al teatro. Pure io nei primi anni Settanta tentai il teatro, con Jacopone, un'opera rock che però si rivelò un mezzo disastro. Ma Giorgio, anche in quell'occasione, mi diede una mano dicendomi come snellire lo spettacolo. Però, i suoi spettacoli erano un'altra cosa. Restavo a bocca aperta, notando che cresceva sempre più, che diventava un vero uomo di teatro. E guardare la gente impazzire per lui, anche quando restava solo sul palco per due ore, era un insegnamento per me. Perché evidentemente aveva trovato la chiave giusta per colpire: con i contenuti, ma non solo. (Gianni Morandi)
- [Parlando di Qualcuno era comunista] Certo è singolare che l'unico testo letterario, politico e culturale sui comunisti sia stato scritto da uno che, pur avendo camminato a sinistra, non è mai stato comunista. Ed è incredibile che egli l'abbia sempre interpretato con un coinvolgimento tale per cui veniva da dire, con Croce, "perché non possiamo non dirci comunisti" nel modo in cui ce lo propone Gaber? (Fausto Bertinotti)
- Certo non deve essere stato facile per lui conquistare un vasto pubblico con una proposta che via via si è evoluta tecnicamente così tanto. (Giovanni Allevi)
- Ci sono persone, strade, indirizzi, canzoni e tramonti che non vanno assolutamente dimenticati! Ritornare da Gaber, ogni tanto, ci vuole. Fa bene riascoltare la sua voce. Riconoscere la sua fisionomia. L'inconfondibile modo di stimolare una chitarra. E di maltrattare un argomento con il cuore... Sapere che sia riuscito a esprimersi oltre ogni ridicola censura, gli conferisce di diritto l'appellativo di "padre di tutti i cantautori intelligenti". [...] Grazie Giorgio, per essere rimasto al Giambellino intorno a quel biliardo, sfacciatamente presente! (Renato Zero)
- Com'è stato, scoprirlo? Pazzesco. Sono rimasto travolto dal suo stile perfetto, dalla sua capacità evocativa, dalla sua comunicativa umana. Ed essendo anch'io un cantante, una persona che lavora per un palcoscenico e per un pubblico, Gaber mi è diventato subito maestro. Non è che dopo aver conosciuto Gaber la mia personalità musicale o lo stile delle mie canzoni siano cambiati o debbano farlo, però adesso sono più convinto che si possa veramente riuscire a parlare dell'uomo e dei suoi interrogativi esistenziali anche nelle canzoni. Gaber me l'ha dimostrato: tramite il suo modo di vedere le cose, anche cinicamente a volte, raccontava la vita. E ce la insegnava. (Cesare Cremonini)
- Dai diciassette anni in poi, gli spettacoli di Gaber quando non li ho visti a teatro li ho recuperati su disco. Tutti. Però andarlo a vedere era un'esperienza fulminante: che performer era... Metteva tutto se stesso sul palco. Aveva una voce anomala, con un registro fra baritono e basso e poca estensione: ma la sapeva usare in modo perfetto, espressivo. Quindi, cantante perfetto, attore consumato... Impossibile non restare colpiti da Gaber. [...] Io sono definito un "rockettaro". Ma per "Qualcuno era comunista" ho pianto. Sono andato nel camerino a ringraziarlo. (Luciano Ligabue)
- Dal Movimento [del Sessantotto] ha preso molti temi e riferimenti: Cooper, Laing. ma poi nei suoi spettacoli c'erano intere citazioni di Céline. Una volta parlammo a lungo persino di Nietzsche. Del Movimento aveva colto il senso. E cercò di coniugarlo con una coscienza critica: che prima lo portò alla ferocia di Polli di allevamento, dove peraltro in molti lo vissero ancora come compagno di strada, questa volta nel disorientamento; e poi lo condusse a La mia generazione ha perso, dove ha detto cose per noi chiare da anni e però mai uscite. Psicologie rotte, e l'inabilità di salvare, del Movimento, almeno la spinta. (Romano Madera)
- «Datemi qualche pensiero» è l'ultimo urlo di Gaber. C'è un filo resistente (o un elastico?) che percorre l'opera di Gaber: è la fiducia in un individuo capace, nonostante il disincanto (anzi, forse in virtù di quel disincanto), di costruire una nuova coscienza anche partendo dal nulla, abbandonata per sempre ogni ambizione di appartenenza vecchio stile. E se fin dentro gli anni Novanta tornano le canzoni più «private» di un tempo – da «Chiedo scusa se parlo di Maria» al «Dilemma»: un capolavoro! – è perché per ripartire, appunto, non resta che guardare dentro se stessi. (Paolo Di Stefano)
- Del resto il poeta era lui. Io faccio il comico. (Giobbe Covatta)
- Dov'è l'individuo che cantava lui? Non vedo proposte, né dentro né fuori di me. Lui invece mi dava sempre una speranza, oltre che una risposta, quando gli esprimevo i miei dubbi. [...] Eredi non ce ne sono: al Festival di Viareggio vedo spesso tecnica, ma non sempre qualità. E che i comici guardino a Gaber è ovvio. L'abbiamo fatto tutti. Si parte dalla risata, poi si aggiunge la canzoncina, poi si va più a fondo con un monologo... È ancora un faro. (Enzo Iacchetti)
- È agendo in tale dimensione [collettiva] che ha creato una modalità unica di entrare in rapporto con il pubblico, uscendo da ogni cliché autoreferenziale che, in qualità di figura popolarissima, avrebbe potuto pure permettersi. Perché è vero che Gaber da un lato fa la scelta radicale di starsene in disparte; ma subito dopo propone, a chiunque, che se si vuole comunque ascoltarlo bisogna andare da lui. Pronti a mettersi a ragionare con lui. (Gad Lerner)
- È sempre stato "altro" dai cantautori suoi coetanei. Ha fatto delle scelte coraggiose che ha portato avanti con coerenza, per cantare quanto gli stava attorno attraverso linguaggi, fisici e musicali, assolutamente inediti e divenendo, potrei dire, un modello culturale. Perché, pur stando lontano dai riflettori, diceva lo stesso cose importanti a moltissimi. (Biagio Antonacci)
- Ecco, credo che Gaber in fondo la canzone se la tenesse stretta perché era una sicurezza, era come tornare nel ventre materno, alla sua natura originaria. E che nel teatro lo mettesse in gioco, questo suo passato, cercando anche tramite esso il futuro. Da uomo puro che aveva bisogno di scoprire tutti i padiglioni della vita, di esplorarne i carri, di affrontarne i mostri. Di giocare nel senso più alto del termine mettendo in gioco se stesso. (Massimo Ranieri)
- Ecco, di Gaber mi ha lasciato un segno tutto questo coraggio. Quel suo essere artista senza ripetersi mai, rimettendosi anzi in gioco. [...] Gaber invece cambiava, e cambiando cresceva, si raffinava. Il canto, la pulizia in scena, il suo estremo rigore... Era quasi iconoclasta, pochissime cose, però curatissime. E poi quel saper cambiare marcia più volte durante lo spettacolo: tutte caratteristiche che contribuivano alla sua incredibile capacità di tenere il palco. Ma tenerlo veramente, senza preoccuparsi di quanto piaceva al pubblico, obbligandolo invece a seguire il nuovo percorso che gli proponeva. Educandolo a crescere con lui, insomma. (Luca Barbareschi)
- E dal teatro Gaber ha mandato, a mio avviso, non tanto insegnamenti di percorso, quindi, ma di contenuti. [...] Lui denunciava la stanchezza morale degli anni Ottanta, l'affievolimento dei valori, il coinvolgimento della gente nel cosiddetto edonismo reaganiano, già prima che tutto questo accadesse. Ma ha avuto pure il coraggio, l'umiltà, di dire che forse, se le generazioni più giovani avevano subito senza accorgersene la dittatura del mercato, quella era in qualche modo pure una sconfitta della sua, di generazione. Soprattutto però Gaber ci ha ricordato sempre, anche in spettacoli complessi, che la risata è un valore. (Giobbe Covatta)
- Egli era uno scomodo realista, sapeva prendere attuo di quello che c'era nella realtà con la marcia in più della voglia di cambiarla, segnalando cosa a suo avviso non funzionava. E a questo credo lo portasse essere soprattutto un uomo di teatro. Perché il teatro da sempre è denuncia, mentre la canzone non ha avuto storicamente la stessa funzione. (Nando dalla Chiesa)
- Era come se non c'entrasse nulla con il nostro mondo di cantautori, quando cantava, lo faceva come nessuno. Non dava molte inflessioni al canto, paradossalmente non sembrava neppure che stesse a interpretare toppo, ma era la sua stessa voce, il suo timbro di voce che sapeva toccare veramente il cuore. Come nessuno. Allo stesso modo di quando parlava d'amore. (Ron)
- Era uno di quegli spiriti alti che compaiono di rado nella storia, per fare quell'operazione tanto cara ai greci, il disvelamento. Mettere a nudo le debolezze umane. Gaber non parlava solo dell'amore o dello "Shampoo", parlava anche di ben altro. Con riflessioni a volte però messe in secondo piano, in quanto danno fastidio a troppi. [...] Non per nulla ha testimoniato sino all'ultimo quanto vedeva, i rischi e gli slanci, avendo il coraggio di mettersi in gioco e di portare la sua testimonianza contestatrice e costruttiva insieme libera e gratuita, dappertutto. (Mario Capanna)
- Essi [Gaber e Luporini]] erano liberi da etichettamenti e classificazioni, erano lontani dalle pigrizie del discorrere comune. Costringevano, "rinominando", a fare un passo avanti. Verso un mondo che dev'essere ritrovato, come diceva la "Canzone dell'appartenenza". Verso ragioni che si sono perse o sono state dissipate, verso una chiarezza resa opaca dall'omologazione del pensiero. (Salvatore Veca)
- [Descrivendo l'incontro con Gaber] È stata una cosa molto casuale, nel senso che abitavamo vicini a Milano. Frequentavamo lo stesso bar. Me l'hanno presentato dicendo che lui faceva il cantante, io facevo il pittore. Così sono andato a vedere le sue esibizioni e lui è venuto a vedere i miei quadri. Siamo diventati amici. Mi ricordo di aver trovato un ragazzino che aveva diciannove anni, magro come un chiodo, e sono andato ad ascoltarlo. Cantava il rock in inglese, non capivo niente però rimasi folgorato dall'energia che aveva addosso. Siamo diventati molto amici, poi ci siamo frequentati spesso. A un certo punto, frequentando il nostro studio (avevo uno studio con altri amici pittori), passavamo le giornate a parlare. Un bel giorno mi ha detto: "Ma perché non proviamo a scrivere qualcosa insieme?" e così abbiamo cominciato i primi tentativi che restarono nel cassetto, perché erano un po' stravaganti e non tanto commerciali. Lui allora si esibiva ancora attraverso i canali normali, la televisione per intendersi. Quindi all'inizio è stato solamente un gioco, proprio un gioco. Questo il primo impatto. (Sandro Luporini)
- Forse è proprio questa la lezione più grande di Giorgio, quella che un giovane compositore dovrebbe seguire. Non porsi limiti. Anche perché, lo dico per esperienza, oggi c'è molto pubblico che dalla musica vuole segni diversi, che non si accontenta più di musica da sottofondo o da tappezzeria per non sentirsi soli davanti al silenzio. Gaber questi segni più forti li dava. Sapeva parlare alle nostre emozioni. Centrava i cuori oltre ogni barriera, nella musica e nelle parole. Lo faceva anche nella vita. (Roberto Cacciapaglia)
- Forse l'unico modo che abbiamo di dare finalmente seguito agli stimoli che Gaber ci lanciava già allora [negli anni settanta], è quello di recuperare fino in fondo la sua spinta di cercare una Libertà con la maiuscola. Seguendo la strada con la quale egli, nell'arte, ha indicato i modi per giungere alla "Liberazione". Ovvero, superare in modo definitivo l'idea di considerare la persona come uno strumento. Rimettere al centro di ogni cosa l'essere umano. (Gherardo Colombo)
- Forse solo con lui è accaduto per la prima volta che le persone abituate ad andare normalmente a teatro, il pubblico che potremmo definire colto, si sia trovato ad andarvi per un cantante. E non per divertirsi con un cantante, ma addirittura per riflettere con un cantante. Gaber è stato dunque un cantautore che, foss'anche solo per questo, si può dire abbia sicuramente tracciato un percorso decisivo all'interno della nostra storia. Un percorso che poi in molti abbiamo seguito, proponendoci a teatro per fare comunque musica, ma cercando anche di esprimere concetti. Senza più paure. (Enrico Ruggeri)
- Fra i vari ricordi che ho di lui in scena, spicca la sensazione profonda che mi lasciò dentro la prima volta che lo sentii gridare dell'essere stati comunisti, fra le altre cose, "perché Berlinguer era una brava persona". Un'altra provocazione, in fondo, perché sottintendeva che le ideologie sono vuote e conta altro. Segnalava che spesso ci aggrappiamo a esse quando non sappiamo come definire la nostra identità, mentre già le cose normali, come l'essere perbene, possono essere fonte di identità per l'uomo. (Nando dalla Chiesa)
- Fu un amico a farmi conoscere il Gaber teatrale, e dal pertugio apertosi in quell'occasione nacque l'esigenza di approfondirlo, una sete continua di conoscerlo sempre più. Sono andato a vederlo a teatro ogni volta che ho potuto, e poi è stato proprio un lasciarmi invadere da Gaber, un cercare di assorbirne più che potevo. Mi spiace di non averlo conosciuto di persona, anche se probabilmente sarei stato una mummia anchilosata dalla timidezza, davanti a lui. (Neri Marcorè)
- Gaber apparteneva a una generazione per la quale i concetti di rivoluzione e contestazione non erano semplici slogan. Erano qualcosa di vissuto. E si vedeva che quando Gaber gridava di cambiare la realtà, o affrontava temi politici forti, lo faceva perché era un'esigenza interiore che sentiva di dover portare alla gente. (Biagio Antonacci)
- Gaber ci ha insegnato anche questo: a non mirare un po' il cerchio un po' la botte: perdi credibilità, accontenti tre persone su dieci, ti spersonalizzi e diventi pure creativamente sterile. Gaber riusciva ad appagare il silenzio della gente che a teatro voleva ascoltare qualcosa di sensato. Diceva quello che gli premeva in modi diversi, senza mai essere sopra le righe, sena essere bacchettone, senza sventolare bandiere, regalandoci l'autoironia - aspetto che rende l'arte più forte. (Davide Van De Sfroos)
- Gaber e Luporini [...] tentano di raggiungere una comprensione chiara delle trasformazioni di cui sono al tempo stesso osservatori e partecipanti. E la voglia che anima questo loro tentativo è naturalmente quello di comunicare tale comprensione a un pubblico. Che, nella dimensione dell'evento teatrale, vuol dire prima però costruirlo, un pubblico. (Salvatore Veca)
- Gaber era come un trapano, partiva dal quotidiani di tutti e da lì andava a fondo, esplicitamente, violentemente. Sino a costringere il pubblico a riflettere sulle zone d'ombra del quotidiano stesso. (Vincenzo Salemme)
- Gaber era libero, e questo è raro oggigiorno, non solo nel mondo dello spettacolo. Inoltre oggi ci si tira indietro, mentre lui gridava di mettersi in gioco, di partecipare: era un maestro di pensiero e di approccio alla vita. Oltre che di scrittura teatrale, dato che con Luporini ha confermato l'assunto per cui la profondità si nasconde nelle cose lievi, che poi è quello che si cerca di fare quando si sceglie la comicità. (Luciana Littizzetto)
- Gaber era "politico", allora? Sì, in senso alto. Nella misura in cui parlava di elementi irriducibili. Vita e morte, uomo e donna, bene e male. E io gli sarò sempre grato per questo, non tanto per ciò che mi ha consegnato in termini di stretta critica della politica e della società. Gli sarò sempre grato per quando dismetto l'abito della politica e lui parla della mia umanità nuda. Mi fa trascendere il mio linguaggio di politico e fa sì che sul suo linguaggio d'artista io modelli emozioni nuove e prenda a interrogarmi sul senso della realtà. Anche per strade diverse, altrimenti sconosciute. (Fausto Bertinotti)
- Gaber era uno che cercava nel confronto, anche con se stesso. E ritengo che il suo teatro sia stato uno sforzo intenso e genuino di non dare una linea, tipica espressione degli anni Settanta, ma di cercare una linea. Una ricerca personale, per sua natura inevitabilmente tortuosa, fatta di continue verifiche, di occhi aperti sulla vita. Infatti i suoi spettacoli erano lampi, erano ogni volta lampi di spiazzamento. E tutto questo, mi piace esplicitarlo, sottolinea che non solo Giorgio Gaber era persona di rara onestà intellettuale e artistica, ma anche di grande umiltà. (Paolo Bosisio)
- Gaber è stato il più vicino alla poetica di Brassens, pungente, profondo, ironico, anticlericale, tanto feroce contro il potere e la borghesia quanto ipercritico con le storture e le ipocrisie di "quelli della sua parte". (Alberto Patrucco)
- Gaber [...] fu il primo in Italia a mettere sul palco l'anima nuda. L'anima dell'uomo del suo tempo, e la sua per prima. Una rottura incredibile, soprattutto per gli anni Ottanta, quando anche i giovani si stavano sempre più allontanando da un teatro divenuto troppo ideologico, e per questo freddo. Gaber nei suoi lavori invece era tutt'altro che freddo. Ci metteva invece cuore, anima, corpo. (Vincenzo Salemme)
- Gaber gridava gli occhi aperti, perché la coerenza non è immobilismo. Mentre oggi si avverte lo stallo, il vuoto. E la complessità di Gaber è rimasta premiante, paradossalmente, proprio per questo. Perché la gente, le persone più sensibili, quelle che frequentano poi i teatri, sentono che la sua complessità è una richiesta di muoversi. Di gridare per sconfiggere il vuoto. Una richiesta quasi spaventosa di questi tempi. Un grido di cui c'è bisogno. [...] Gridare contro il vuoto. Questa è la sfida, o forse meglio la missione della bellissima rabbia che Giorgio e Sandro hanno lasciato nei loro testi. (Giulio Casale)
- Gaber non diceva "sono un cantautore", non si schierava di qua o di là. Prendeva quello che rimbalzava dalla strada e lo restituiva onestamente alla gente, con il suo tocco personale. Che poi era un tocco da figo, da uno che sapeva far girare le balle a chi comanda. (J-Ax)
- Gaber parlava molto di morale, e oggi sento un gran bisogno di questo. Però lo faceva senza essere moralista: in nessuno dei suoi testi c'è il dito indice che accusa, prima lo punta contro se stesso, casomai. (Neri Marcorè)
- Gaber stava sempre con i piedi per terra, ma ironizzava anche su argomenti ostici. Era una voce profonda, schietta, coraggiosa e fuori dal coro. Non era legato ad ambienti ideologici, non assumeva mai prese di posizioni a propri. Ragionava sempre sulle cose: e questo è stato l'aspetto più importante che ho cercato di assimilare dai suoi spettacoli. (Flavio Oreglio)
- Gaber voleva dare un valore diverso alle parole, valutarne più che la capacità di intorbidire, con metafore o quant'altro, quella di chiarire. Le usava per condividere i pensieri. Anche se, e in questo l'ho sempre ammirato, ha saputo immettere nel suo linguaggio assolutamente quotidiano anche una percentuale inattesa di poesia. Del resto, a mio avviso, lui era più attore che musicista. (Eugenio Finardi)
- Giorgio a mio avviso capiva perfettamente la spinta propulsiva che avevamo in quegli anni [negli anni settanta], quella voglia di solidarietà, giustizia, cambiamento che credo si avvicinasse molto a quella del Movimento del Sessantotto. E capiva anche l'altro fenomeno diffuso nella mia generazione, la forza che alcuni traevano dalla spiritualità, da una fede. Pur essendo lui non credente e anche in questo caso, quindi, fuori dai giochi. (Eugenio Finardi)
- Giorgio era un cantante eccezionale, con una voce stupenda. Non cantava solo le note, cantava le parole. Da lì è diventato un vero e proprio attore, dotato di un umorismo particolare, diverso da quello tipicamente lombardo che è spesso legato a un certo surrealismo. La comicità di Gaber invece parte sempre dalla realtà della vita vissuta. (Sandro Luporini)
- [Ultima strofa di una poesia dedicata a Gaber] Grazie ancora, all'attore, al regista | al talento dell'illusionista | a quell'uomo col naso dovunque | e la testa poggiata sul mondo | per averci fornito l'esempio | per averci incantati, vivendo! | All'amore con cui ti sei dato | al pudore col quale sei andato | verità adesso non sei un miraggio | il teatro avrà gli occhi di Giorgio... (Renato Zero)
- Ho amato Giorgio Gaber anche per quel suo ragionare a teatro, successivamente, in musica, al fine di raccontare la vita in modo diverso; per cercare di migliorare la società anche attraverso canzoni che erano vere e proprie lezioni. Rimanevo proprio ammirato dai "messaggi" che riusciva a inserire in quelle canzoni, casomai scritte con Luporini: da "La libertà" fino a "Destra-Sinistra". C'è sempre stato da parte sua l'intento che la canzone dovesse soprattutto servire per migliorarsi e per migliorarci. (Renzo Arbore)
- Ho amato moltissimo Giorgione, anche se non sempre siamo stati d'accordo. Naturalmente, mi verrebbe da dire. Giacché nel momento in cui lui mi scriveva che la nostra generazione aveva perso, uno come me non poteva che dissentire. [...] E la "sconfitta" da lui cantata allora è una presa di coscienza: della mancanza di continuità fra quello che si mise in gioco nel Sessantotto e quanto non si è messo in gioco dopo. [...] Giorgione, in realtà, era un contestatore permanente. E proprio per questo a volte persino noi lo trovavamo fuori dal coro. Era un anticipatore, contestatore nel senso etimologico profondo (da contestor: "chiamo in testimonianza"). (Mario Capanna)
- Ho sempre considerato Giorgio Gaber un cercatore. Un uomo che cercava di capire la realtà, che cercava dentro e fuori da se stesso. E, cercando, Gaber molte cose le ha trovate. Ma di lui mi ha soprattutto colpito l'incredibile talento di trovarle prima. Di anticipare il futuro dell'arte, fare esperienze che anche altri hanno fatto, ma farle molto prima di loro. (Claudio Baglioni)
- I suoi anni post-Sessantotto sono stati anni di dubbio, di pathos, di sofferenza, nei quali il suo giudizio sulla società si è fatto certamente sempre più severo, mantenendosi però sempre e fin dall'inizio libero da preconcetti e pregiudizi, da ogni tipo di ideologia. [...] La differenza vera fra Gaber e, per esempio, Dario Fo è proprio questa. (Paolo Bosisio)
- Il caso di Gaber era particolare: perché la sua arte, pur mantenendo i connotati tipici dell'espressione musicale pura da cui poi era partito, aveva al tempo stesso anche un'anima teatrale. Correva su un doppio binario, potrei dire, e dunque la genialità del Signor G è stata nel saper sviluppare quell'anima teatrale restando fedele alla propria natura di artista formatosi su un linguaggio prettamente musicale. (Giovanni Allevi)
- Il modo in cui faceva uscire il fiato, l'uso che faceva della voce, il senso che dava a ogni singola parola, ancora oggi bastano per capire cosa volesse dire esattamente. Tanto che non penso sia necessario rivederlo in immagine per capire il senso delle sue opere. Basta ascoltarne i dischi. (Andrea Mirò)
- In Gaber il coraggio prendeva [...] molte forme: il coraggio di essere liberi, di non appartenere a nessuna delle nostre numerose conventicole. Il coraggio dell'ironia, della sincerità assoluta. [...] Inoltre Gaber ha avuto anche il coraggio di inventarsi un genere, il Teatro Canzone, allora considerato molto trasgressivo, anche troppo. Dal pubblico della canzone come da quello del teatro. (Curzio Malaparte)
- In Gaber la solidarietà tra parola e suono diventa gesto e luogo in cui spingere il canto: ed ecco nascere il Teatro Canzone, il cabaret intelligente fatto di suono e di satira, di pianto quotidiano e sorriso ancestrale, di quadro d'autore e canzone popolare. Con Giorgio Gaber la parola percorre lo spazio del vivere e ne appassiona il dialettico incontro con la voce del cuore: proprio come chi sa che la parola è un pigiama di seta, e la notte l'altare che ne assume i contorni. (Mango)
- Io e Giorgio e eravamo accomunati da un forte rispetto reciproco, ma fra noi c'erano profonde differenze. Lui era un "borghese" di Milano, io, pur essendo nato a Modena, sono un montanaro. E poi, il ragionier Gaberscik e il maestro elementare Guccini. Due modi diversi di vedere le cose. E anche se poi ci siamo sempre trovati molto bene insieme, credo che queste differenze si notino. (Francesco Guccini)
- Io l'ho visto una volta sola in vita mia, quando l'ho intervistato per la Repubblica nel 1998, e di lui mi colpì soprattutto la totale equidistanza dalla politica. Che non credo fosse geometrica, nel senso che non penso proprio che Gaber facesse calcoli su quanto lo separava dalla destra e quanto invece dalla sinistra. Mi sembrò un atteggiamento interiore, una categoria dello spirito che segnava la sua alterità assoluta da un far politica nei partiti. [...] Non c'era in lui snobismo, né atteggiamento di superiorità nei confronti dei politici. Però, un certo disprezzo per come si era degradata la politica, questo lo si avvertiva. [..] Certo, l'equidistanza costa, anche perché presuppone un livello culturale e morale veramente molto superiore alla media, in una società infestata come la nostra, ovunque si vada, dalla politica. [...] Per me somigliava molto a Indro Montanelli, e pure questo è curioso, perché Montanelli veniva da destra, mentre Gaber veniva da sinistra. Eppure, grazie al loro essere equidistanti nello spirito da ogni partigianeria, erano arrivati esattamente alle stesse conclusioni, riguardo questo nostro assurdo Paese. (Marco Travaglio)
- L'abbiamo frantumato quel "noi" verso cui Gaber ci conduceva. Lui ci voleva portare nei nostri singoli io, dentro a ciascuno dei quali ci sono religione, spiritualità, sensibilità artistica, politica stessa, per ricercare, insieme un "noi" diverso, che veramente liberasse e coinvolgesse tutti gli io. E invece siamo arrivati a nuovi "noi" spaventosi, che si isolano a vicenda, capaci persino di razzismo e violenza. Siamo arrivati a chiederci se la libertà dell'uomo sia una faccenda "politica" o "antipolitica". (Gad Lerner)
- L'idea di rileggere la tradizione sarebbe anche lodevole, ma è difficile: come fai a rileggere Gaber? Era unico. (Ivano Fossati)
- L'incomunicabilità che Gaber cantava è ancora viva rimane verissimo il fatto che l'amore coniugale sia un'altra cosa rispetto alla passione iniziale, è confermato che quando tu cerchi di mettere a posto tutti gli elementi di una storia arrivi a un'equazione gigantesca che non sai più come risolvere. Forse è così da sempre e sempre sarà; perché sono pensieri grandi, non è solo il comico, quella di Gaber è una scrittura che ha una profondità che deve essere garantita, tutelata, ricordata. E tutto quello che finisce in "ata": amata per esempio. (Luciana Littizzetto)
- La forza dei veri artisti si vede anche dalla fortuna di dare piacere e fare compagnia anche dopo che se ne sono andati. In Italia è accaduto solo per De André e Gaber, attorno ai quali ci si ritrova in tanti, senza mai meravigliarsi che nel novero degli amici ci siano persone estremamente difformi per idee politiche e calibro culturale, senza nessuna necessità di dover giustificare differenti punti di partenza. (Michele Serra)
- La grandezza di Gaber si misurava proprio nella sua capacità di scrivere solo quando aveva qualcosa da dire, e di farlo scegliendo i temi da trattare senza calcoli sulle reazioni che avrebbero suscitato o il successo che avrebbero potuto avere. Quando poi a tutto questo aggiungi una sincerità di fondo, quella passione che in Gaber si avvertiva, allora nascono opere che sanno essere specchio di un'epoca. (Luca Barbarossa)
- La grandezza di Gaber stava proprio nel saper arrivare al nocciolo di questioni importanti, universali, restando però comprensibile. Un impegno durissimo, una sfida a lunga scadenza, nell'affrontare la quale occorre essere pronti sia a sperimentare più strade finché non ci trova quella giusta, sia a limare. Limare continuamente per giungere al punto della questione da affrontare e capire "come affrontarla". (Andrea Mirò)
- La mia fantasia viene continuamente abbracciata dalla dialettica senza confine di questo meraviglioso uomo di musica: a una voce dello stato borghese ormai irrispettoso, Gaber ha offerto una morale che risolvesse il potere e l'antipotere. Alle nostre risposte egoiste Gaber ha offerto il sarcasmo, quello in cui si nascondeva la soluzione definitiva: il sentimento. [...] Oh, Gaber, tu eri quello che un artista riesce a scoprire nell'anima del mondo sapendo che l'anima del mondo è sempre dalla parte sua. (Fernanda Pivano)
- La sfida è capire se esiste ancora, nella gente, la capacità di rispondere alle sollecitazioni di Gaber. Soprattutto in Polli di allevamento, tanto incisive e feroci. Capire se l'urlo di Giorgio ha un'eco o si perde nel vuoto. Su questo, credo valga la pena di riflettere rimettendo in scena Gaber oggi. (Giulio Casale)
- Le sue critiche spesso erano anche apprezzate proprio perché da una parte pizzicava e dall'altra era compagno di strada. Dava sfogo sul palco a quanto potevamo abitualmente solo sussurrare tra amici, o nei momenti di disperazione. (Romano Madera)
- Leggeva e interpretava con attenzione e coscienza quanto accadeva, e lo comunicava nei teatri. Veniva con me dalla canzonetta, come me aveva fatto un salto per abbandonare gli stereotipi del pop dell'epoca, però il suo salto era stato lunghissimo. Non era più un cantante ma un attore. (Ricky Gianco)
- Lui comunque ci ha insegnato a essere dei Gianburrasca, sul palco. Occhi aperti, provocare sempre, curiosità estrema. [...] Il punto è che spesso Gaber riusciva a vedere, tra bianco e nero, il grigio. Cioè la realtà vera. Oltre le etichette e le apparenze. (Claudio Bisio)
- Ma assistere a uno spettacolo di Gaber significava anche confrontarmi con un linguaggio diverso da quello dei suoi colleghi. Con un colosso, un artista che, forte di grandissima libertà espressiva, poneva un'attenzione pazzesca al sociale senza guardare mai in faccia nessuno. E a volte pungendo pure se stesso; proprio per questo lo trovavo tanto credibile e indispensabile, perché a dare senso all'arte è pure il modo con cui la si propone. (Luca Barbarossa)
- Lui faceva cose molto forti, che spesso però mi colpivano per quanto vi mettesse in gioco l'istinto, senza volere mai essere protagonista, cercando soltanto di dire quello che riteneva importante. [...] E questa semplicità che usava nel raccontare, magari di politica, lo faceva diventare ancora più grande quando la usava per parlare d'amore. Lì in qualche modo si mostrava di più. Veniva fuori il suo intimo, un uomo forte ma tenero nello stesso tempo, con un rispetto per la donna veramente incredibile. (Ron)
- Ma che c'entra Gaber con me? Io sono un rullo compressore, lui è un triciclo. (Lucio Battisti)
- Ma Gaber è un po' come Dante, ci parla di gente della sua epoca senza che nessuno senta l'esigenza di cambiarne un verso. Anzi: si ha uno stimolo in più per conoscere il passato, senza che il senso del testo perda d'attualità. [...] Gaber va conosciuto soprattutto perché era libero. E le scelte di libertà artisticamente sono sempre premianti. Se sei libero migliori proprio il tuo "prodotto", la tua arte. E oggi, in un mondo in cui si vende sempre a un prezzo inferiore a quanto si vale, l'idea che un artista abbia fatto un percorso tanto coraggioso mantenendo sempre un livello altissimo di qualità e raggiungendo anche vette da catena dell'Himalaia, be', questo è un insegnamento assoluto. Fa capire dove si può arrivare, con le parole, se usate con rigore. (Jovanotti)
- [Su La mia generazione ha perso] Mio padre si è fatto due anni di servizio militare, due anni di guerra d'Africa e cinque anni di guerra mondiale: di cui due in campo di concentramento. Ecco, la sua era una generazione che aveva perso, essendo cresciuta durante il fascismo. Noi, bene o male, siamo invece riusciti a fare le nostre cose. Anche più dei giovani di oggi, che non hanno mai lavoro sicuro. La nostra generazione è stata abbastanza fortunata, ha trovato spazio, possibilità, modo di esprimersi. Non ha perso. Anche se, forse, quel concetto veniva solo da un momento di pessimismo di Giorgio. Solo, ho il rimpianto di non averglielo mai chiesto. (Francesco Guccini)
- Nel corso della mia carriera mi sono confrontato sin dall'inizio con i repertori altrui. Perché trovo ci sia molto da imparare, specie da maestri del calibro di Fabrizio De André e Giorgio Gaber. Rileggere le loro opere non significa solo condividere qualcosa che si trova esteticamente valido, ma anche dell'arte che si considera fondamentale da un punto di vista etico. [...] Perché parliamo di autori che hanno messo spessore in quanto hanno fatto, hanno speso idee, hanno formulato proposte interessanti anche politicamente, ideologicamente, filosoficamente. (Morgan)
- Non è stato facile cantare dischi insieme, malgrado la nostra sensibilità artistica fosse simile: io ho una voce meno baritonale della sua. E lui, ovviamente, con me faticava perché voleva fare tutto con precisione assoluta. Inoltre fingeva di non essere spiritoso. E io a dirgli Giorgio, tu sei spiritoso più di me, solo che vuoi farne a meno, lascia libero il tuo spirito di essere comico. Anche se con gli arrangiamenti di Battiato era difficile, in effetti! (Enzo Jannacci)
- Per fare Teatro Canzone Giorgio usava una sorta di "scaletta delle emozioni". Era molto utile per scrivere spettacoli sull'oggi, anche perché, fra una replica e l'altra, per lui era normale cambiare delle cose, e quindi i tempi di scrittura erano strettissimi. Così aveva stabilito regole fisse: se inizi con un tema abbastanza impegnato, il secondo pezzo deve tranquillizzare la gente; se parti leggero, al terzo pezzo devi far capire che la vita non è solo sorrisi. L'apparente semplicità di una struttura solidissima, rimastami come lezione. (Gian Piero Alloisio)
- Per molti versi Giorgio ha fatto parte della vita della mia famiglia. E di lui, in questo senso, ho un ricordo estremamente affettuoso, perché era un legame intrigante quello che riguardava Enzo e Giorgio insieme, il loro passato e i possibili futuri, le avventure che si schiudevano ogni volta che si incontravano. (Paolo Jannacci)
- Perché la cosa più difficile e preziosa che ha fatto Gaber è stato annullare lo scarto (così pesante e doloroso, oggi) tra "alto" e "basso", tra popolarità di massa e di nicchia. E avere qualità e riuscire a farne anche quantità, giacché il suo successo teatrale fu di massa, è più o meno il contrario di quanto accade, in genere, in un sistema di comunicazione che sembra avere individuato nella qualità un odioso nemico. (Michele Serra)
- Perché lì [nel brano Le strade di notte] Gaber canta il nostro mestiere, un mestiere notturno, la ricerca di un'intuizione, la speranza di trovare qualcosa cercando. Nel cielo che di notte sembra grondi di più di note, suggestioni, ispirazioni. (Claudio Baglioni)
- Perché un ingenuo? Perché anche lui tutto sommato aveva nutrito la sua bella utopia: l'idea di cambiare il mondo con le parole. Lui che dai Settanta aveva cantato con ironia la psicopatologia dell'individuo lasciato solo con i propri tic ma ancora ansioso di ritrovare se stesso in una matura collettività civile, doveva riconoscere che, tramontate le ideologie e stramorti i partiti, l'unico luogo di condivisione era ormai il mercato dio e demonio. (Paolo Di Stefano)
- Però lo faceva apposta, a toccare nervi scoperti. L'ha sempre fatto; e in fondo questa è stata la cosa che me lo faceva amare di più. Parlava di Craxi o De Mita, criticava certa sinistra, faceva satira pura... Ma alla fin fine, di base, si rivolgeva sempre all'uomo. Puntando spesso il dito persino contro di sé, in spettacoli che proponevano testi di taglio quasi psicanalitico, in brani che indagavano i rapporti tra l'uomo e il suo inconscio. E ovviamente, puntando spesso il dito pure verso i suoi simili, cioè noi. Come devono fare i grandi artisti, si assumeva il rischio di denunciare. E di prendersi i relativi fischi. (Claudio Bisio)
- Quando abbiamo ascoltato per la prima volta le canzoni di Giorgio Gaber è stato folgorante. Quello che stiamo tentando di fare nella nostra carriera, lui riusciva perfettamente a farlo già nei primi anni Settanta. Fare rock, potremmo dire. Non il rock malinteso come autodistruzione, il rock come linguaggio. Un linguaggio che permette di rispondere in profondità a chiunque impedisca al singolo di essere libero: praticamente, culturalmente, intellettualmente. (J-Ax)
- [Q]uando cantava la solitudine faceva scorgere in essa anche una possibile, straordinaria consapevolezza: quella di volerla. Di volere quella solitudine in cui ci si sa bastare, e non si cerca a tutti i costi qualcuno che ci somigli. Finendo col buttarci via. (Mietta)
- Quando Giorgio lavorava con Enzo, penso partissero sempre dall'amicizia. E poi la loro concezione artistica era qualcosa del tipo "sfruttiamo la chimica azione/reazione", quello che gli americani chiamano interplay. Credo che ogni incontro cambiasse le loro carriere, perché erano scintille che si accendevano in un discorso mai veramente interrotto, che coinvolgeva il personale in profondità. Anche se poi ognuno avrebbe proseguito con le proprie idee, i propri tempi, le proprie scelte artistiche. (Paolo Jannacci)
- Resta il suo grido di quanto la persona, oggi, sia umiliata. In politica, in televisione, dal mercato. La sua denuncia di come esista a volte persino un gioco ad autoumiliarsi. Resta anche, però, il concetto che la persona non deve venire umiliata. [...] Tutto è un problema se si perde di vista la persona, se non si ritorna a un modello culturale che la metta al centro del vivere. (Gherardo Colombo)
- Ricordo con emozione le sue proteste, le sue disperazioni, le sue speranze: non mi ha mai delusa. Aspettavo tremante la prossima rivelazione dei suoi sogni, delle sue delusioni, dei suoi scontri. (Fernanda Pivano)
- Ripenso a Giorgio Gaber e mi viene in mente Ugo Tognazzi, perché entrambi hanno saputo cambiare pelle più volte. Dall'avanspettacolo al varietà a Cannes. Dal rock snodato con Jannacci e Celentano alla prima serata televisiva al teatro canzone. Restando sempre se stessi, anche negli errori. Ripenso a Giorgio Gaber e mi viene in mente Grillo. Gaber, soprattutto dopo le prime speranze frustrate di cambiamento, era diventato un antipolitico ante litteram, che lanciava attacchi veementi contro ogni schieramento. Tanto che oggi tutti, dalla sinistra alla destra a Comunione e Liberazione, tendono a spartirsene le vesti, dicendo «Era uno dei nostri», come hanno fatto anche con Pasolini. Quest'anno è uscito persino un articolo dell'Osservatore Romano pieno di lodi e che ho trovato sconcertante. Gaber aveva di sicuro un pubblico più colto, meno schiumante, rumoroso e ingenuo di quello di Grillo. Ma sono i frutti di tempi diversi. (Tommaso Labranca)
- Ripudiava ogni atteggiamento finto, ogni estremismo comportamentale. In compenso sapeva voler bene alle persone, spesso senza dirlo, con pudore estremo. Aveva pure carisma, certo, e sicuramente bisognava avere una propria personalità per non finire col muoversi e parlare come lui. Però non si imponeva mai. E come autore aveva inventato il diritto di veto: se una cosa da lui proposta non piaceva, chi scriveva con lui poteva dire "no" senza spiegazioni. (Gian Piero Alloisio)
- Sento forte il rimpianto di non aver potuto conoscere Giorgio Gaber. È quasi un senso di colpa, perché da quando ho iniziato ad ascoltare la sua musica ho scoperto un mondo artistico nuovo, di grande interesse, legato più al peso dei testi che non a quello della musica. Un mondo che però mi appassiona proprio per questo, perché io ho sempre lavorato al contrario, sono sempre stata attratta più dalle note che non dalle parole. [...] Perché io, che molti definiscono cantante dell'amore per eccellenza, da Gaber ho imparato pure su questo fronte. Ho capito che l'amore si può cantare anche senza cantarlo, a volte. E ora penso quanto sarebbe bello se riuscissi a riportare tutti questi suoi insegnamenti nel mio mestiere. Per essere più profonda nei testi e nei sottintesi, per trasmettere emozioni e valori della vita anche tramite la semplicità della musica leggera, come riusciva a fare Gaber. (Laura Pausini)
- [Confrontando Gaber con Fabrizio De André] Si sente insomma che Gaber era attore: viveva quanto cantava mettendo in gioco una carica emotiva che in De André non c'è. De André rimane neutrale, racconta, quasi non interpreta. Dipende molto anche dalle diverse dinamiche del loro canto: quella di Fabrizio era monocorde, e questo implica che ascoltarlo sia quasi come leggere un testo scritto. Quanto lui canta ti arriva in sé: come se - paradossalmente - non ci fosse chi te lo sta passando. Gaber invece è il contrario. Si avverte quanto egli metta in gioco il suo essere umano. Prende il tema e lo racconta dal suo punto di vista, ti dà una vera interpretazione. Però avevano in comune una caratteristica bellissima: non hanno mai sposato una parte politica. Hanno costruito un pensiero libero, da anarchici libertari, direi. Che poi declinavano musicalmente in modo, anche qui, diversissimo: De André con i due riferimenti della canzone medievale, all'inizio della carriera, e poi della canzone etnica; Gaber in modo molto più ampio. [...] Confrontarsi con loro è insomma interessante da ogni punto di vista, oltre che necessario. Il problema è che se mi chiedete quale eredità hanno lasciato ai cantautori di oggi, io temo di dover rispondere che gli artisti della mia generazione non hanno imparato niente da loro. (Morgan)
- Sia in teatro sia in televisione, spesso mi sono servito della lucida e arguta sintesi di Giorgio Gaber: da "Il potere dei più buoni" a "Il conformista", Gaber mi è sempre venuto in soccorso. La visione di Gaber e Luporini sulle debolezze umane è precisissima. La loro capacità di aver visto lontano, di avere scritto e preceduto il pensiero di molti, li rende attualissimi. (Maurizio Crozza)
- Sicuramente so che quando Gaber scelse il teatro voleva che il suo folle gesto di portare la canzone dove non era mai stata potesse non solo farlo arrivare di più alla gente, ma pure segnare una strada per altri artisti. (Rossana Casale)
- Solo che quando Gaber iniziò certe tecniche non c'erano: quindi il fatto che lui sul palco sia riuscito fin da subito a esprimersi in modo incisivo anche con il movimento, rafforzando con il corpo il suo rapporto di comunicazione con il pubblico, be', per me testimonia quanto il modo di fare musica di Giorgio Gaber abbia inciso profondamente nell'evoluzione della cultura musicale di questo Paese. [...] Gaber diceva cose profonde lasciando che l'ingrediente-musica mantenesse un peso decisivo per comunicarle a quante più persone possibile, in una proposta artistica che era semplice solo all'apparenza. (Pino Daniele)
- Stavo preparando Provaci ancora Sam di Woody Allen, e lui aveva letto sui giornali una mia intervista nella quale dicevo che non volevo più fare televisione. Mi chiamò e disse: "Non fare una sciocchezza simile". Mi spronò a continuare a fare una tv che non fosse simpatica e pulita, senza arrendermi. Intendiamoci: non è che io volessi fare come aveva fatto lui nel 1970, abbandonare il piccolo schermo per il teatro con quello stesso suo rigore morale. Però ero proprio un po' stanco. (Enzo Iacchetti)
- Un artista poliedrico al punto tale da confondere e mescolare dentro di sé quel suo essere attore grande e grande cantante, e poi mimo, e poi dicitore sottile, e poi ancora uomo dalla timbrica vocale inconfondibile, marcata come la pennellatura di un grande pittore. (Mango)
- Un operaio dello spettacolo, avrebbe detto Totò, che affascinava e affabulava senza lasciare alcuno scollamento fra sé e le quinte. Se per Eduardo il teatro doveva essere gelo, io la prima volta che vidi quello di Gaber capii invece che poteva anche essere sangue e sudore. Forse, doveva esserlo. Perché lui per far arrivare il suo pensiero si spendeva fino in fondo, ben al di là di quanto avrebbe potuto certamente fare limitandosi a utilizzare le proprie doti di uomo di spettacolo, grande autore, ottimo compositore, eccellente cantante, interprete di grandissima ironia. Gaber aveva la capacità di prendere tutti questi doni, mescolarvi se stesso fino in fondo, e non aver paura mai di misurarsi con niente. (Massimo Ranieri)
- Una capacità da artista che definirei brechtiano, in grado cioè di mettersi al servizio dell'emozione anche quando vuole mostrarci la realtà. (Tosca)
- Verso la metà degli anni Settanta abbiamo passato splendide serate parlando e giocando a poker fino al mattino. Giorgio era un ascoltatore impressionante. Intelligentissimo, curioso e aperto. Perfezionista com'era, non sopportava (e in questo era feroce) l'inciviltà, l'incompetenza, il pressapochismo, il delinquere come filosofia di vita... E poi la politica corrotta. [...] Il passaggio di un uomo simile dalle nostre parti è stata, per me, l'ennesima prova che la vita non è per caso. (Franco Battiato)
- Gaber aveva due modi di cantare. La melodia libera, piena, che aveva naturale: pochi sapevano far cantare con così tanta allegria, con tanto abbandono; e l'altro un modo più tortuoso, più elaborato di cercare che le parole man mano si intricassero e si districassero.
- Gaber è un fatto musicale difficile da studiare perché i depositari non sono gli studiosi, ma tutta la gente che lo cita e se lo ricanta dentro. Ma la musica non è per Gaber mai un ornamento, un abbellimento, una scenografia alla parola, e la parola - mi spiace per chi arriva a conclusioni solamente dal testo - va letta nella musica, come l'ha cantata: con il significato ambiguo, ambivalente, o perentorio che la musica le conferiva.
- La musica fa con il testo quello che fa lui con le convinzioni: rimette tutto in gioco, continuamente, ma ne ha la coscienza. Perciò si sente sempre il timbro di una ricerca onesta e motivata, che finisce anche per confrontarci, per un verso, perché vera musica e vera poesia, e per un altro verso per esserci caro, poiché traccia il suo ritratto.
- Nella costruzione del suo Teatro Canzone c'è il parlato alternato al cantato, un po' alla maniera dell'opera italiana, del Settecento soprattutto, dove un recitativo si blocca al momento in cui un pensiero, una parola, un sentimento, un momento di suggestione morale obbligano a meditare cantando in modo diverso, e c'è bisogno d'un volo della melodia. Dove non è rispettata questa struttura, e la canzone parte direttamente, è necessario che la situazione precedente teatrale ne offra il ritmo, l'attesa.
- Gaber l'ho incontrato tardi. Però lui è riuscito lo stesso a farmi innamorare: della sua forza incontenibile, del suo acume, di quel talento difficilmente eguagliabile. E della sua capacità di parlarci dell'oggi. Motivo per cui credo che bisognerebbe comunque provarci, a riportare in scena quanto ha scritto. Anche se non è facile.
- Io continuo a pensare che l'impatto che Gaber era capace di dare a queste sue riflessioni, semplici solo in apparenza, resti ineguagliabile. Ci vorrebbero il talento e la forza comunicativa che aveva lui. [...] E chissà che nel tempo noi artisti che lo prendiamo a modello non riusciamo, crescendo, a fare cose simili alle sue.
- [Parlando della canzone Il dilemma] Sicuramente la stessa storia io la racconterei in modo diverso, forse più romantico, perché sono una donna. [...] Una canzone meravigliosa, una canzone d'amore, anch'essa però capace di chiudersi spiazzando: con una decisione dura, figlia di un'analisi profonda, per quanto estrema, del rapporto uomo-donna.
- Di Giorgio Gaber mi manca tutto. In particolare, da quando ha cominciato a star male, mi manca la sua grandissima ironia. [...] Ho sempre apprezzato il suo essere un camminatore solitario, uno fuori dal coro. Uno che non aveva bisogno dell'appartenenza per sentirsi vivo.
- Non v'è dubbio che Giorgio Gaber ha vissuto gran parte della sua attività creativa in solitudine. Forse, nel suo intimo, non era quello che desiderava. È probabile infatti che avrebbe preferito "crescere" non con troppe persone, ma con alcune sì. La mancanza di queste, per mille motivi, lo deve aver fatto sentire solo: lo ha "costretto" a un sovrappiù di malinconia.
- Una sera andammo in un ristorante all'apparenza discreto, in realtà molto frequentato. C'erano Gaber, Paolo Villaggio, Enzo Jannacci, Umberto Simonetta, il sottoscritto e qualcun altro. Un paio di tavoli accanto altri avventori cominciarono a parlottare, a indicarci, a cercare il modo di attaccare discorso. Gaber si girò di colpo e disse loro con durezza: "Non vogliamo fare comunella!" Una difesa d'ufficio, peraltro necessaria.
- Che Gaber fosse di destra o di sinistra non mi importa niente. Chi se ne frega. Cosa significa? Nulla, quello che conta è la persona che siamo. La nostra vita. E a me di Gaber piaceva proprio il fatto che sapeva raccontare la vita. Non so se sapesse vivere, ma raccontava la vita dei miei amici, di tanta gente, la mia. E lo faceva distribuendo emozioni. Che non sono né di destra né di sinistra.
- E chi se le scorda certe emozioni? Queste emozioni sono la forza e la poesia di Gaber, secondo me. Le riascolto spesso, le sue canzoni. E sarà perché invecchiando si pensa sempre al passato come un tempo migliore, a me regalano una nostalgia struggente, bellissima.
- Gaber con quattro parole e due note arrivava nel profondo del nostro animo. Dava voce a quello che siamo a prescindere dalle tessere di partito. Lo faceva proprio perché in lui erano evidenti ansia di libertà e insofferenza per gli schermi, i luoghi comuni, la destra e la sinistra, tutto ciò che ci vene imposto dall'alto come valore.
- In fondo, io amo Gaber perché ascoltare Gaber è un piacere. Quando sono con Gaber sono con me stesso, ritrovo le mie ribellioni di un tempo, sto bene.
- È stato un artista trasversale, non soltanto un figlio del suo tempo: molti suoi dischi sono ancora attualissimi.
- Fra i cantautori poi Gaber, a mio giudizio, era uno dei più maturi: era avanti. Non si capisce tutto di lui al primo ascolto, come accade con altri che pure sono dei grandissimi. A ogni nuovo ascolto si scoprono cose diverse, particolari mai notati prima. Le sue canzoni non sono "semplici" come diceva lui: infatti aveva anche il pregio di saper comunicare con strutture articolate.
- Io appartengo a una generazione cresciuta in una società filoamericana, di cui fra l'altro stiamo pagando anche molte conseguenze negative: se non ci fossero stati cantautori come lui a farci conoscere una musica diversa, una cultura diversa, io come altri colleghi non avrei mai affrontato gli argomenti che affronto. E nel toccarli non avrei mai alternato, alla leggerezza, anche un piglio più ruvido.
- A teatro Gaber arricchì il proprio portfolio di potenzialità con il magnetismo. Dimostrò di avere la qualità di parlare a te, singolo spettatore, come fosse occhi negli occhi. Tutti avevano questa impressione. E tutti così coglievano i dettagli, i toni, le espressioni, con cui egli colorava la sua proposta testuale.
- Forse il fulcro [della sua eredità] sta proprio nella forza che trasmetteva in scena. Nell'esempio. Nel far capire che il teatro è energia, è spendersi sino in fondo, generosamente, sino alla consunzione fisica. Il Gaber madido di sudore dei suoi interminabili bis era uno sprone a fare del teatro una ragione di vita in cui inserire istinto, coraggio, profondità, ironia, tecnica di costruzione dei testi e delle pause, mestiere. Nonché l'etica.
- Il teatro di Gaber era una questione personale di chi lo andava a vedere o aveva più un significato generazionale? Potremmo dire, entrambe le cose. Giacché soprattutto era un fatto teatrale, un percorso artistico di racconto della vita indicatoci con chiarezza. Fin dall'inizio. Perché se il Gaber del teatro era inimitabile ed esemplare, anche il cantante "irregolare" della televisione aveva rappresentato un "unicum".
- Un istinto e un talento naturale che si declinavano, raffinandosi col tempo, nei vari aspetti del fare teatro. Nella fisicità, innanzitutto. In un gesto per cui tutto ciò che esprimeva sul palco gli veniva da dentro, e si vedeva. Nella costruzione dei testi, sviluppata sempre con tutti gli ingredienti che ci vogliono in un testo, comico e no: il rimando, le cose che circolano, escono e poi rientrano, la capacità di mischiare temi, toni, colori.
- È molto difficile essere intellettuali in modo gaberiano. Perché bisogna pagar di persona e bisogna avere la consapevolezza che il prezzo lo si pagherà sempre. Non verrà mai un momento in cui si smetterà di pagare un prezzo per la propria libertà.
- Gaber ha sempre pagato dazio, certo, alle proprie scelte, ma da un certo punto in poi non ha più voluto far sottostare la propria libertà ad alcunché di esterno. Né ideologia politica né ricatti del pubblico. E per questo le sue parole talvolta cattive, talvolta tenere, talvolta struggenti e il più delle volte tutte queste cose insieme, sanno colpire davvero. Anche quando canta canzoni o dice parole potentemente politiche, anche quando capita di non essere d'accordo con lui, le lacrime agli occhi arrivano comunque spesso.
- Questa questione del corpo e della fisicità è stata toccata più volte e in modo molto esplicito da Giorgio Gaber. Intendeva dire che a un certo punto della sua vita aveva preso il suo corpo, si era piazzato su un palcoscenico e aveva cominciato a parlare, come direbbe il Vangelo, "da se stesso". Non più preoccupato di ottenere successi discografici, di avere chissà quali passaggi televisivi, aveva cominciato a parlare per dire semplicemente quello che pensava, quello che gli stava a cuore.
- C'è da dire poi che Gaber ci ha dato molto anche di persona. Accadde quando Luca lo conobbe, nel 1991, dentro il camerino di un teatro. Ebbero un lungo dialogo: pieno di sigarette, perché ne fumarono una dietro l'altra. Ma da quell'incontro... affumicato emerse un insegnamento che si rivelò preziosissimo per il nostro percorso. Gaber fu il primo a dirci di non aspettare che il lavoro piovesse dal cielo; disse che dovevamo scrivere cose nostre e portarle in giro per le strade. [...] Gli dobbiamo molto, insomma, se facciamo questo lavoro, se lo facciamo in un certo modo e se ci impegniamo ancora con la stessa energia degli inizi.
- [Parlando della collaborazione con Sandro Luporini] Con quali contributi alla storia della prosa italiana? Altissimi. La loro era un'alchimica straordinaria, la loro opera è figlia di una magia dell'incontro che nell'arte non si realizza spesso. E che anche per questo ha portato alla scrittura di testi di grande forza, capaci di resistere al tempo.
- Gaber per noi è stato un esempio grandioso, sotto diversi punti di vista. Non abbiamo nemmeno avuto particolari difficoltà a riproporlo adattandolo a come lavoriamo noi, insieme o separati: perché la sua grandezza d'autore implicava anche la capacità di scrivere testi elaborabili, che anche in termini di regia potessero essere trattati pure da altri: con originalità ma senza modificarne impatto o senso.
- [L'ultima intervista a Gaber] Fu un incontro tenero, era gentile e lucidissimo come sempre. Ma dovevamo registrare pochi minuti e ne incidemmo venti. E alla fine, purtroppo a telecamere spente, mi fece ascoltare alla chitarra due brani che poi sarebbero stati incisi nel suo ultimo, Io non mi sento italiano.
- Gaber è stato uno dei più grandi artisti che abbia mai intervistato. E uno dei pochi che ho amato.
- Ne aveva fatta tanta, di televisione, e riteneva di averla fatta bene: nonché di essersene allontanato per buonissimi motivi, quando aveva iniziato a non ritrovarcisi più. Anche se di alcune cose conservava bellissimi ricordi: riteneva inarrivabile il suo lungo duetto con Mina a Teatro 10, per esempio, in cui aveva fatto interpretare a Mina il bambino ricco del monologo "Io mi chiamo G".
- Del resto, riguardo alla realtà, Gaber diceva sempre che vivere per la strada non è come girare per la strada. Non basta insomma raccogliere aneddoti e informazioni, è importante anche costruire immagini più ampie, visioni più complesse.
- Giorgio mi diceva che ero un attore più che un comico e così ho iniziato a camminare sul filo come un funambolo mescolando riso e pianto. Ho conosciuto Giorgio quando venne a vedere il mio "Nemico di classe", molto prima che diventasse un cult. Ricordo con piacere le nostre chiacchierate, all'inizio ero frastornato all'idea di parlare con un personaggio famoso, poi mi abituai e diventammo amici. In comune avevamo l'eclettismo: lui era un cantante a cui piaceva recitare, io un attore con una certa predisposizione per il canto. Alla fine ci siamo trovati a lavorare insieme.
- Jannacci improvvisava, era visionario; Giorgio approfondiva, sentiva la responsabilità del testo. Però, pur essendo regista, rispettava l'individualità degli altri. Cosa che non capita a quelli di formazione accademica, che di solito cercano puri esecutori al servizio delle loro idee. Lui invece era generoso, accettava le singole personalità, guidava me in modo diverso da come guidava Enzo o se stesso.
- Gaber era semplice e chiaro, non gridava verità ma proponeva strade. Segnalando anche l'importanza del dolore, la necessità nella vita di superare prove difficili. Tutte cose che danno i romanzi, e però in maniera più diretta oggi ci arrivano proprio dalle canzoni d'autore. La forma più rapida per entrare nel contemporaneo. Che poi è sempre stato lo scopo di Giorgio Gaber: cantare l'illogica allegria del vivere la realtà.
- Il Gaber della fine degli anni Settanta sa due cose essenziali. Uno: la vita artistica non va buttata via. Due: la canzone non è solo qualcosa che si canta in tre minuti. Deve entrare in un discorso, in un dialogo che dal vivo prende ancora di più. Gaber ha capito che la canzone non è soltanto un oggetto da vendere, e siccome fa entrare nelle case delle persone andrebbe vissuta insieme a queste persone. In un posto adeguato. E da questi presupposti nasce il portare la canzone a teatro, la sua scoperta più grande. [...] Giorgio dà un'importanza fulminante alle parole e ai concetti che con esse esprime. La musica, pur se azzeccata, arriva quasi solo a vestirle. Quanto conta è la parola, che diviene magica nel momento in cui millecinquecento persone sono unite in un teatro ad ascoltarla.
- Per Gaber "la realtà è più avanti". Parte dalle contraddizioni, dalle contraddizioni interne che nessuno, o quasi, di solito sottolinea. La sua testimonianza si fa dunque prima autocritica, e poi critica della società. Si fa denuncia molto più vasta, e infatti Gaber potrà protrarla anche negli anni Ottanta e Novanta. Del resto l'idea - fondamentale anche oggi - che noi "crediamo" di essere liberi mentre invece siamo "polli di allevamento", non poteva venire dalla canzone politica alla Guccini né dalla rabbia di un Vasco. Poteva venire solo a un intellettuale della canzone come Giorgio. La seconda colonna portante dell'intellettualismo della canzone italiana. L'altra è Fabrizio De André, che però faceva un discorso più astratto. Gaber invece era specializzato sulla realtà, nei confronti della quale è stato feroce, ma mai nichilista.
Note
modifica- ↑ Citato in Portavo allora un eskimo innocente, a cura di Massimo Cotto, Giunti, 2007, p. 11. ISBN 978-88-09-05578-0
- ↑ Citato da Giorgio Gaber in Gad Lerner, Gaber: "Canto i talenti del '68, perdenti come me", Corriere della Sera, 6 aprile 2001; articolo riportato in Giorgiogaber.org.
- ↑ Cfr. Gian Piero Alloisio Il mio amico Giorgio Gaber, Utet, p. 192. ISBN 88-511-5114-8
Altri progetti
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Opere
modifica- Il signor G (1970)
- I borghesi (1971)
- Far finta di essere sani (1973)
- Anche per oggi non si vola (1974)
- Libertà obbligatoria (1976)
- Polli d'allevamento (1978)
- Io se fossi Dio (1980)
- Anni affollati (1981)
- Gaber (1984)
- Il teatro canzone (1992)
- E pensare che c'era il pensiero (1995)
- La mia generazione ha perso (2001)