Pier Paolo Pasolini

poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, attore e drammaturgo italiano (1922-1975)
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Pier Paolo Pasolini (1922 – 1975), poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, drammaturgo e giornalista italiano.

Pier Paolo Pasolini

Citazioni di Pier Paolo Pasolini

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  • Amo ferocemente, disperatamente la vita. E credo che questa ferocia, questa disperazione mi porteranno alla fine. Amo il sole, l'erba, la gioventù. L'amore per la vita è divenuto per me un vizio più micidiale della cocaina. Io divoro la mia esistenza con un appetito insaziabile. Come finirà tutto ciò? Lo ignoro.[1]
  • Andreotti, Fanfani, Rumor, e almeno una dozzina di altri potenti democristiani, dovrebbero essere trascinati sul banco degli imputati. E quivi accusati di una quantità sterminata di reati: indegnità, disprezzo per i cittadini, manipolazione del denaro pubblico, intrallazzo con i petrolieri, con gli industriali, con i banchieri, collaborazione con la Cia, uso illegale di enti come il Sid, responsabilità nelle stragi di Milano, Brescia e Bologna (almeno in quanto colpevole incapacità di colpirne gli esecutori), distruzione paesaggistica e urbanistica dell'Italia, responsabilità della degradazione antropologica degli italiani, responsabilità dell'esplosione "selvaggia" della cultura di massa e dei mass-media, corresponsabilità della stupidità delittuosa della televisione.
    Senza un simile processo penale, è inutile sperare che ci sia qualcosa da fare per il nostro paese. È chiaro infatti che la rispettabilità di alcuni democristiani (Moro, Zaccagnini) o la moralità dei comunisti non servono a nulla.[2]
  • Appena avrò un po' di tempo pubblicherò un libro bianco di una dozzina di sentenze pronunciate contro di me: senza commento. Sarà uno dei libri più comici della pubblicistica italiana. Ma ora le cose non sono più comiche. Sono tragiche, perché non riguardano più la persecuzione di un capro espiatorio [...]: ora si tratta di una vasta, profonda calcolata opera di repressione, a cui la parte più retriva della Magistratura si è dedicata con zelo [...] Ho speso circa quindici milioni in avvocati, per difendermi in processi assurdi e puramente politici.[3]
  • Cara Silvana [Mangano], è tanto che ti devo una lettera. Una lettera, se non «un mazzo di magnifiche rose». Invece di scrivertela privatamente, te la scrivo pubblicamente. Ciò non pone dei limiti alla confidenza e all'affetto, ma le conferisce, forse, un maggior valore».[4]
  • Di un trullo isolato si potrebbe parlare solo con i termini della cristallografia. Tutti i corpi solidi vi sono fusi mostruosamente per dar forma a un corpo nuovo, delicato, leggero. I tetti a punta, di un nero cilestrino, si staccano improvvisi da questa base contorta e armoniosa, per riempire il cielo di magiche punte. Non c'è traccia di miseria o di sporcizia. I trulli più poveri, allineati per i vicoli scoscesi, da paese montano, vaporosi e candidi, sono pieni di nitore, anche negli interni, dietro i vani neri delle porte ricoperte da tende penzolanti come reti.[5]
  • Disarmare la polizia significa infatti creare le condizioni oggettive per un immediato cambiamento della psicologia del poliziotto. Un poliziotto disarmato è un altro poliziotto. Crollerebbe di colpo, in lui, il fondamento della ‘falsa idea di sé' che il Potere gli ha dato, addestrandolo come un automa.[3]
  • Dopo le due, due e mezzo, la vita a Pietralata tornava sotto traccia. Non si vedevano che masnade di pupi, in mezzo ai lotti, o qualche donna allo sgobbo. Non c'era che sole e zella, zella e sole. Ma era ancora marzo, e faceva presto il sole a calare giù, dietro Roma. L'aria tornava in penombra e quasi gelata. Come i ragazzini risortivano fuori di scuola, era quasi l'ora del tramonto: e la borgata era ancora deserta, perché gli operai staccavano dal lavoro più tardi, il cinema aveva aperto da poco, e i due o tre bar ancora si dovevano affollare dei soliti senza speranza.
    I ragazzini filavano via dalla scuola, e si sparpagliavano tra i cortili di terra battuta, per la borgata: quattro pareti di lotti, una fila di forche d'impiccati, qualche lavatore con intorno due braccia di fango nero, e un po' più di luce che dentro la scuola. Da Una vita violenta, prefazione di Giuseppe De Robertis, Garzanti, Milano, 2014, parte prima, 1, Chi era Tommaso,p. 10. ISBN ISBN 978-88-11-13990-4
  • [Su Biagio Marin] E lui eccolo lì, ancora, a fare tutt'uno col mare, col cielo, coi gabbiani, coi bambini, con le sabbie, con le paludi, col sole. Nel fuoco del sesso che copre il mondo con la sua lava celeste. Pur imparando tutto, il nostro poeta non ha imparato nulla. Ogni volta è come la prima volta, e la consolazione è sempre la stessa un raptus, per cui egli si rovescia come un guanto nel mondo, e il mondo si rovescia come un guanto dentro di lui: le due superfici interne dei guanti rovesciati coincidono, e tutto è un blocco di azzurro e di sensi.[6]
  • [Su New York] È una città magica, travolgente, bellissima. Una di quelle città fortunate che hanno la grazia. Come certi poeti che ogni qualvolta scrivono un verso fanno una bella poesia. Mi dispiace non essere venuto qui molto prima, venti o trent'anni fa, per restarci. Non mi era mai successo di innamorarmi così di un paese. Fuorché in Africa, forse. Ma l'Africa è come una droga che prendi per non ammazzarti, una evasione. New York non è una evasione: è un impegno, una guerra. Ti mette addosso la voglia di fare, affrontare, cambiare: ti piace come le cose che piacciono, ecco, a vent'anni. Non mi sentivo straniero, imparai subito a girare le strade neanche ci fossi nato: eppure la riconoscevo. I giovani hanno un gusto favoloso: guarda come sono vestiti. Nel modo più sincero, più anticonformista possibile. Non gliene importa nulla delle regole piccolo-borghesi o popolari. Quei maglioni vistosi, quei giubbotti da poco prezzo, quei colori incredibili. E così se ne vanno, orgogliosi, coscienti della loro eleganza che non è mai un'eleganza mitica o ingenua. Questa è la cosa più bella che ho visto nella mia vita. Questa è una cosa che non dimenticherò finché vivo. Devo tornare, devo star qui anche se non ho più diciott'anni. Quanto mi dispiace partire, mi sento derubato. Mi sento come un bambino di fronte ad una torta tutta da mangiare, una torta di tanti strati, e il bambino non sa quale strato gli piacerà di più, sa solo che vuole, che deve mangiarli tutti. Uno ad uno. E nello stesso momento in cui sta per addentare la torta, gliela portano via. Vorrei avere diciott'anni per vivere tutta una vita quaggiù[7].
  • Finché i veri napoletani ci saranno, ci saranno, quando non ci saranno più, saranno altri. Non saranno dei napoletani trasformati. I napoletani hanno deciso di estinguersi, restando fino all'ultimo napoletani, cioè irripetibili, irriducibili, incorruttibili.[8]
  • Finché io non sarò morto, nessuno potrà garantire di conoscermi veramente, cioè di potere dare un senso alla mia azione, che dunque, in quanto momento linguistico, è mal decifrabile.
    È dunque assolutamente necessario morire, perché, finché siamo vivi, manchiamo di senso, e il linguaggio della nostra vita (con cui ci esprimiamo, e a cui dunque attribuiamo la massima importanza) è intraducibile: un caos di possibilità, una ricerca di relazioni e di significati senza soluzione di continuità. La morte compie un fulmineo montaggio della nostra vita: ossia sceglie i suoi momenti veramente significativi (e non più ormai modificabili da altri possibili momenti contrari o incoerenti), e li mette in successione, facendo del nostro presente, infinito, instabile e incerto, e dunque linguisticamente non descrivibile, un passato chiaro, stabile, certo, e dunque linguisticamente ben descrivibile... Solo grazie alla morte, la nostra vita ci serve ad esprimerci.
    Il montaggio opera dunque sul materiale del film (che è costituito da frammenti, lunghissimi o infinitesimali, di tanti piani-sequenza come possibili soggettive infinite) quello che la morte opera sulla vita.[9]
  • Ho scelto Napoli[10]perché è una sacca storica: i napoletani hanno deciso di restare quello che erano e così di lasciarsi morire: come certe tribù dell'Africa.[11]
  • I pomeriggi che ho passato a giocare a pallone sui Prati di Caprara (giocavo anche sei-sette ore di seguito, ininterrottamente: ala destra, allora, e i miei amici, qualche anno dopo, mi avrebbero chiamato lo "Stukas": ricordo dolce bieco) sono stati indubbiamente i più belli della mia vita. Mi viene quasi un nodo alla gola, se ci penso. Allora, il Bologna era il Bologna più potente della sua storia: quello di Biavati e Sansone, di Reguzzoni e Andreolo (il re del campo), di Marchesi, di Fedullo e Pagotto. Non ho mai visto niente di più bello degli scambi tra Biavati e Sansone (Reguzzoni è stato un po' ripreso da Pascutti). Che domeniche allo stadio Comunale![12]
  • Il calcio è l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l'unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro.[13]
  • Il ciclismo è lo sport più popolare perché non si paga il biglietto.[14]
  • [...] il complotto ci fa delirare. Ci libera da tutto il peso di confrontarci da soli con la verità.[15]
  • Il metodo più efficace sarebbe quello di abolire la televisione di Stato e di dare la possibilità di operare a delle televisioni private.[16]
  • Il monoteismo contadino dopo esser stato per tanto tempo modulo e strumento di potere viene buttato a mare dal potere industriale. Strano! Un modello di un "consumatore" non può piú essere un modello di dignità paterna! Il consumatore deve essere un uomo leggero, infantile, volubile, curioso, giocherellone, credulo. Il compratore è sostanzialmente una fanciulla. S'infrange il monoteismo col padre che dà, non prende; s'infrange con i suoi domini storici della piccola borghesia occidentale e rossa, lasciando il posto a un politeismo dei Beni donati da un Padre che non vuol farsi imitare?[17]
  • Il produttore e regista Robert Wise ha avuto con Strategia di una rapina l'occasione per fare un bellissimo film: il film invece è mediocre, tanto da essere addirittura «beccato» dai cinici pubblici italiani e da passare quasi inosservato anche alla critica cinematografica più provveduta.
    Il film non è riuscito per due ragioni: la prima di ideologia, la seconda di stile.
    Il contenuto «formale» del film è la rapina a una banca fatta da due bianchi e da un negro: ma il contenuto «reale» è il rapporto razziale tra uno dei due bianchi e il negro.[18]
  • Il senso di pace, di avventura che mi dà l'essere in questo albergo nell'interno di Ischia, è una di quelle cose che ormai la vita dà così raramente.[19]
  • Il successo non è niente. Il successo è l'altra faccia della persecuzione. E poi il successo è sempre una cosa brutta per un uomo.[20]
  • Il tema [di Medea], come sempre nei miei film, è una specie di rapporto ideale, e sempre irrisolto, tra mondo povero e mondo plebeo, diciamo sottoproletario, e mondo colto, borghese storico. Questa volta ho affrontato direttamente, esplicitamente questo tema. Medea è l'eroina di un mondo sottoproletario, arcaico, religioso, Giasone invece è l'eroe di un mondo razionale, laico, moderno. E il loro amore rappresenta il conflitto tra questi due mondi.[21]
  • Il tipo di persone che amo di gran lunga di più sono le persone che possibilmente non abbiano fatto neanche la quarta elementare, cioè le persone assolutamente semplici. Ma non ci metta della retorica in questa mia affermazione: non lo dico per retorica, lo dico perché la cultura piccolo-borghese […] è qualcosa che porta sempre della corruzione, delle impurezze, mentre un analfabeta, uno che ha fatto solo i primi anni delle elementari, ha sempre una certa grazia che poi va perduta attraverso la cultura. Poi la si ritrova ad un altissimo grado di cultura, ma la cultura media è sempre corruttrice.[22]
  • In realtà lo schema delle crisi giovanili è sempre identico: si ricostruisce a ogni generazione. I ragazzi e i giovani sono in generale degli esseri adorabili, pieni di quella sostanza vergine dell'uomo che è la speranza, la buona volontà: mentre gli adulti sono in generale degli imbecilli, resi vili e ipocriti (alienati) dalle istituzioni sociali, in cui crescendo, sono venuti a poco a poco incastrandosi. Mi esprimo un po' coloritamente, lo so: ma purtroppo il giudizio che si può dare di una società come la nostra, è, più o meno coloritamente, questo. Voi giovani avete un unico dovere: quello di razionalizzare il senso di imbecillità che vi dànno i grandi, con le loro solenni Ipocrisie, le loro decrepite e faziose Istituzioni. Purtroppo invece l'enorme maggioranza di voi finisce col capitolare, appena l'ingranaggio delle necessità economiche l'incastra, lo fa suo, l'aliena. A tutto ciò si sfugge solo attraverso una esercitazione puntigliosa e implacabile dell'intelligenza, dello spirito critico. Altro non saprei consigliare ai giovani. E sarebbe una ben noiosa litania, la mia.[23]
  • [Sulla differenza fra progresso e sviluppo] Io credo nel progresso, non credo nello sviluppo. E nella fattispecie in questo sviluppo. Ed è questo sviluppo, semmai, che dà alla mia natura gaia una svolta tremendamente triste, quasi tragica [...].[24]
  • Io divoro la mia esistenza con un appetito insaziabile. Come finirà tutto ciò? Lo ignoro. [...] Sono scandaloso. Lo sono nella misura in cui tendo una corda, anzi un cordone ombelicale, tra il sacro e il profano.[25]
  • Io so questo: che i napoletani oggi sono una grande tribù che anziché vivere nel deserto o nella savana, come i Tuareg e i Beja, vive nel ventre di una grande città di mare. Questa tribù ha deciso – in quanto tale, senza rispondere delle proprie possibili mutazioni coatte – di estinguersi, rifiutando il nuovo potere, ossia quella che chiamiamo la storia o altrimenti la modernità. La stessa cosa fanno nel deserto i Tuareg o nella savana i Beja (o lo fanno anche da secoli, gli zingari): è un rifiuto sorto dal cuore della collettività [...]; una negazione fatale contro cui non c'è niente da fare. Essa dà una profonda malinconia come tutte le tragedie che si compiono lentamente; ma anche una profonda consolazione, perché questo rifiuto, questa negazione alla storia, è giusto, è sacrosanto.[26]
  • I ragazzi di Lotta continua sono degli estremisti, d'accordo, magari fanatici e protervamente rozzi dal punto di vista culturale, ma tirano la corda e mi pare che, proprio per questo, meritino di essere appoggiati. Bisogna volere il troppo per ottenere il poco.[3]
  • L'interesse per il cristianesimo è nato dopo la guerra, sotto l'incubo quotidiano della morte, a contatto con il mondo contadino di Casarsa. Attraverso l'estetismo ho riscoperto la religione.[27]
  • L'Italia – al di fuori naturalmente dei tradizionali comunisti – è nel suo insieme ormai un paese spoliticizzato, un corpo morto i cui riflessi non sono che meccanici. L'Italia cioè non sta vivendo altro che un processo di adattamento alla propria degradazione. [...] Tutti si sono adattati o attraverso il non voler accorgersi di niente o attraverso la più inerte sdrammatizzazione.[28]
  • La borghesia si schiera sulle barricate contro se stessa, i “figli di papà” si rivoltano contro i “papà”. Sono dei borghesi rimasti tali e quali come i loro padri.[29]
  • La Tv: qui la donna è considerata a tutti gli effetti un essere inferiore: viene delegata a incarichi d'importanza minima, come per esempio informare dei programmi della giornata; ed è costretta a farlo in un modo mostruoso, cioè con femminilità. Ne risulta una specie di puttana che lancia al pubblico sorrisi di imbarazzante complicità e fa laidi occhietti. Oppure viene adoperata ancillarmente come «valletta» (al «maschio» Mike Bongiorno e affini).[30]
  • Lo Yemen, architettonicamente, è il paese più bello del mondo. Sana'a, la capitale, una Venezia selvaggia sulla polvere senza San Marco e senza la Giudecca, una città-forma, la cui bellezza non risiede nei deperibili monumenti, ma nell'incompatibile disegno... è uno dei miei sogni.[31]
  • Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù...[32]
  • Massafra sorge su un colle spaccato a metà da un torrente [...] Un breve ponte di pietra è sospeso sul canyon grandioso, aperto, in fondo, verso la pianura salentina, inazzurrata da foschie sempre più stagnanti e incantate man mano che si avvicinano al mare [...] Al di là del ponte si trova il centro della città, una piazza affollata, verso sera, come in un giorno di festa. È una calca di uomini vestiti di nero e ragazzi disegnati col diamante e il carbone. Attorno a questa piazza si aggrovigliano, come visceri, i vicoli e le stradine scoscese, attraverso cui si regrediscono fino nel cuore del tempo. Il puro medioevo, intorno.[33]
  • Mio padre soffriva, ci faceva soffrire: odiava il mondo che aveva ridotto a due, tre dati ossessivi e inconciliabili: era uno che batteva continuamente, disperatamente, la testa contro un muro. La sua agonia vera durò molti mesi: respirava a fatica, con un continuo lamento. Era malato di fegato, e sapeva che era grave, che solo un dito di vino gli faceva male, e ne beveva almeno due litri al giorno. Non si voleva curare, in nome della sua vita retorica. Non ci dava ascolto, a me e a mia madre, perché ci disprezzava. Una notte tornai a casa, appena in tempo per vederlo morire.[34]
  • Nel '44-'45 e nel '68, sia pure parzialmente, il popolo italiano ha saputo cosa vuol dire – magari solo a livello pragmatico – cosa siano autogestione e decentramento, e ha vissuto, con violenza, una pretesa, sia pure indefinita, di democrazia reale. La Resistenza e il Movimento Studentesco sono le due uniche esperienze democratiche-rivoluzionarie del popolo italiano. Intorno c'è silenzio e deserto: il qualunquismo, la degenerazione statalistica, le orrende tradizioni sabaude, borboniche, papaline.[35]
  • Nel teatro la parola è doppiamente glorificata: è scritta, come nelle pagine di Omero, ma è anche pronunciata, come avviene fra due persone al lavoro: non c'è niente di più bello.[36]
  • Non c'è peccato peggiore, nel nostro tempo, che quello di rifiutarsi di capire: perché nel nostro tempo non si può scindere l'amare dal capire. L'invito evangelico che dice «ama il prossimo tuo come te stesso» va integrato con un «capisci il prossimo tuo come te stesso». Altrimenti l'amore è un puro fatto mistico e disumano.[37]
  • Non è neanche vero che la televisione modestamente sostituisca la tombola delle serate in famiglia […] Infatti la tombola delle vecchie sere, durate fino ad alcune decine di anni fa, aveva ancora una sua ragione culturale di essere. Era un infimo atto di cultura di una civiltà contadina, coi suoi forzati coprifuochi, la sua stasi, la sua povertà. La televisione non è questo: essa ha nella sua funzione culturale tutta la prepotenza del potere; del potere industriale; che vuole, e determina e condiziona una serata familiare.[38]
  • Non ha importanza dove si è nati, quando come e dove si sono avuti i primi approcci con il calcio, per diventare un appassionato, un tifoso. Il tifo è una malattia giovanile che dura tutta la vita. Io abitavo a Bologna. Soffrivo allora per questa squadra del cuore, soffro atrocemente anche adesso, sempre.[39]
  • Non ho potuto fare il conto delle parole usate da Biagio Marin ma credo siano nell'ordine delle centinaia, non certamente delle migliaia. Quanto a dire che Biagio Marin è un poeta petrarchesco, non dantesco. Contraddicendo con ciò la natura tradizionale e in qualche modo oggettiva del poeta dialettale.[40]
  • Non posso più credere alla rivoluzione, ma non posso non stare dalla parte dei giovani che si battono per essa. È già un'illusione scrivere poesia, eppure continuo a scriverne, pure se per me la poesia non è più quel meraviglioso mito classico che ha esaltato la mia adolescenza. [...] Non credo più nella dialettica e nella contraddizione, ma alle pure opposizioni. [...] Tuttavia sono sempre più affascinato da quell'alleanza esemplare che si compie nei santi, come san Paolo, fra vita attiva e vita contemplativa.[41][42]
  • Non posso tener conto della minor preparazione o capacità a comprendere quello che una proiezione vuol dire, da parte dell'uomo medio, perché in tal caso compirei un'immoralità nei confronti della libertà espressiva, non solo nei miei confronti ma anche nei confronti dello spettatore.[43]
  • Non soltanto non vedo differenza tra l'Edipo e Medea, ma non vedo nemmeno differenza tra Accattone e Medea, e nemmeno molta differenza tra il Vangelo e Medea. Praticamente un autore fa sempre lo stesso film per un lungo periodo della sua vita, come uno scrittore scrive sempre la stessa poesia. Si tratta di varianti, anche profonde, di uno stesso tema.[21]
  • Nulla è più anarchico del potere, il potere fa praticamente ciò che vuole. E ciò che il potere vuole è completamente arbitrario o dettato da sua necessità di carattere economico, che sfugge alle logiche razionali. Io detesto soprattutto il potere di oggi. Ognuno odia il potere che subisce, quindi odio con particolare veemenza il potere di questi giorni. È un potere che manipola i corpi in un modo orribile, che non ha niente da invidiare alla manipolazione fatta da Himmler o da Hitler. Li manipola trasformandone la coscienza, cioè nel modo peggiore, istituendo dei nuovi valori che sono dei valori alienanti e falsi, i valori del consumo, che compiono quello che Marx chiama un genocidio delle culture viventi, reali, precedenti. Sono caduti dei valori, e sono stati sostituiti con altri valori. Sono caduti dei modelli di comportamento e sono stati sostituiti da altri modelli di comportamento. Questa sostituzione non è stata voluta dalla gente, dal basso, ma sono stati imposti dal nuovo potere consumistico, cioè la nostra industria italiana pluri-nazionale e anche quella nazionale degli industrialotti, voleva che gli italiani consumassero in un certo modo, un certo tipo di merce, e per consumarlo dovevano realizzare un nuovo modello umano.[44]
  • [Sul padre Carlo Alberto Pasolini] [...] passionale, sensuale e violento di carattere: era finito in Libia, senza un soldo; così aveva cominciato la carriera militare; da cui sarebbe poi stato deformato e represso fino al conformismo più definitivo. Questo non lo poté accontentare e quindi lo angosciò sempre, fino a una forma quasi paranoidea negli ultimi anni, al ritorno dalla sua terza guerra. Aveva puntato su di me, sulla mia carriera letteraria, fin da quando ero piccolo, dato che ho scritto le prime poesie a sette anni: aveva intuito, pover'uomo, ma non aveva previsto, con le soddisfazioni, le umiliazioni. Credeva di poter conciliare la vita di un figlio scrittore col suo conformismo. L'inconciliabilità lo ha fatto impazzire: nell'atto stesso di capire non capiva più niente [...] E ci esasperava, ruggiva, smaniava, era al mondo per soffrire, e quanto ci ha fatti soffrire, me e mia madre![34]
  • Poiché il cinema non è solo un'esperienza linguistica, ma, proprio in quanto ricerca linguistica, è un'esperienza filosofica.[45]
  • Porta con mani di santo o soldato l'intimità col Re, Destra divina | che è dentro di noi, nel sonno. Credi nel borghese cieco di onestà, | anche se è un'illusione: perché anche i padroni hanno i loro | padroni, e sono figli di padri che stanno da qualche parte nel mondo.[46]
  • Prevedo la spoliticizzazione completa dell'Italia: diventeremo un gran corpo senza nervi, senza più riflessi. Lo so: i comitati di quartiere, la partecipazione dei genitori nelle scuole, la politica dal basso... Ma sono tutte iniziative pratiche, utilitaristiche, in definitiva non politiche. La strada maestra, fatta di qualunquismo e di alienante egoismo, è già tracciata. Resterà forse, come sempre è accaduto in passato, qualche sentiero: non so però chi lo percorrerà, e come.[47]
  • Riparto, mi perdo nelle Calabrie: che si fanno sempre più Calabrie, sempre più Calabrie, finché a Pileto, a Palmi, comincia la Sicilia. Avevo sempre pensato e detto che la città dove preferisco vivere è Roma, seguita da Ferrara e Livorno. Ma non avevo visto ancora, e conosciuto bene, Reggio, Catania, Siracusa. Non c'è dubbio, non c'è il minimo dubbio che vorrei vivere qui: vivere e morirci, non di pace, come con Lawrence a Ravello, ma di gioia. [...] Non è mica una chiacchiera che qui profumano zagare e limoni, liquerizia e papiri. Lascio andare Taormina, che è indubbiamente una cosa d'una bellezza suprema (ma dove, come a Positano e a Maratea, io non mi sono trovato bene): posso però affermare che il viaggio da Messina a Siracusa può fare impazzire. [...] [A Lentini] Scendo per la cena: ma lì un profumo di limoni, una luna grossa come non l'ho mai vista, della gente che non aspetta altro che parlare, mi arresta. Fino a dopo mezzanotte non mi so decidere a lasciare i nuovi amici che mi sono fatto, che mi salutano come se ci conoscessimo da anni, uno dicendo: "Iddu 'u core bono j'ave!": e solo perché ho parlato un po' con loro, dei loro problemi, del loro futuro.[48]
  • [...] se io dovessi descrivere sinteticamente e vivacemente l'italiano, direi che si tratta di una lingua non, o imperfettamente, nazionale, che copre un corpo storico-sociale frammentario, sia in senso verticale (le diacronie storiche, la sua formazione a strati), sia in senso estensivo (le diverse vicende storiche regionali, che hanno prodotto varie piccole lingue virtuali concorrenti, i dialetti, e le successive differenti dialettizzazioni della koinè): su tale copertura linguistica di una realtà frammentaria e quindi non nazionale, si proietta la normatività della lingua scritta — usata a scuola e a livello della cultura — nata come lingua letteraria, e dunque artificiale, e dunque pseudo-nazionale.[49]
  • [In risposta alla domanda di Enzo Biagi: «Senza cinema, senza scrivere, che cosa le sarebbe piaciuto diventare?»] Un bravo calciatore. Dopo la letteratura e l'eros, per me il football è uno dei grandi piaceri.[50]
  • Stringo il braccio di mia madre e affondo la guancia nella povera pelliccia che essa indossa: in quella pelliccia sento il profumo della primavera, un miscuglio di gelo e di tepore, di fando odoroso e di fiori ancora inodori, di casa e di campagna. Questo odore della povera pelliccia di mia madre è l'odore della mia vita.[51]
  • Sulle montagne, tra il Friuli e la Jugoslavia, Guido combatté a lungo, valorosamente, per alcuni mesi: egli si era arruolato nella divisione Osoppo, che operava nella zona della Venezia Giulia insieme alla divisione Garibaldi. Furono giorni terribili: mia madre sentiva che Guido non sarebbe tornato più. Cento volte egli avrebbe potuto cadere combattendo contro i fascisti e i tedeschi: perché era un ragazzo di una generosità che non ammetteva nessuna debolezza, nessun compromesso. Invece era destinato a morire in un modo più tragico ancora. [...] in quel periodo, la Jugoslavia tendeva ad annettersi l'intero territorio e non soltanto quello che, in realtà, le spettava. È sorta una lotta di nazionalismi, insomma. Mio fratello, pur iscritto al Partito d'Azione, pur intimamente socialista (è certo che oggi sarebbe stato al mio fianco), non poteva accettare che un territorio italiano, com'è il Friuli, potesse esser mira del nazionalismo jugoslavo. Si oppose, e lottò. [...] sicché Guido, venne a trovarsi come nemici gli uomini di Tito, tra i quali c'erano anche degli italiani, naturalmente le cui idee politiche egli in quel momento sostanzialmente condivideva, ma di cui non poteva condividere la politica immediata, nazionalistica. Egli morì in un modo che non mi regge il cuore di raccontare: avrebbe potuto anche salvarsi, quel giorno: è morto per correre in aiuto del suo comandante e dei suoi compagni. Credo che non ci sia nessun comunista che possa disapprovare l'operato del partigiano Guido Pasolini.[52]
  • Totò riuniva in sé in maniera assolutamente armoniosa, indistinguibile, due momenti tipici dei personaggi delle favole: l'assurdità, il clownesco, e l'immensamente umano, ... umano proprio come nelle favole della nonna.[53]
  • Un atleta ha un solo modo per realizzare pienamente la propria libertà: lottare liberamente per vincere.[54]
  • Il calcio «è» un linguaggio con i suoi poeti e prosatori.[55]
  • Il gioco del football è un «sistema di segni»; è, cioè, una lingua, sia pure non verbale.
  • Ebbene anche per la lingua del calcio si possono fare distinzioni del genere: anche il calcio possiede dei sottocodici, dal momento in cui, da puramente strumentale, diventa espressivo. Ci può essere un calcio come linguaggio fondamentalmente prosatico e un calcio come linguaggio fondamentalmente poetico. Per spiegarmi, darò – anticipando le conclusioni – alcuni esempi: Bulgarelli gioca un calcio in prosa: egli è un «prosatore realista»; Riva gioca un calcio in poesia, egli è un «poeta realista». Corso gioca un calcio in poesia, ma non è un «poeta realista»: è un poeta un po' maudit, extravagante. Rivera gioca un calcio in prosa: ma la sua è una prosa poetica, da «elzeviro». Anche Mazzola è un elverista, che potrebbe scrivere sul «Corriere della Sera»: ma è più poeta di Rivera, ogni tanto interrompe la prosa, e inventa lì per lì due versi folgoranti. Si noti che tra la prosa e la poesia non faccio alcuna distinzione di valore; la mia è una distinzione puramente tecnica.
  • Ci sono nel calcio dei momenti che sono esclusivamente poetici: si tratta dei momenti dei «goal». Ogni goal è sempre un'invenzione, è sempre una sovversione del codice: ogni goal è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Proprio come la parola poetica. Il capocannoniere del campionato è sempre il miglior poeta dell'anno. In questo momento lo è Savoldi. Il calcio che esprime più goals è il calcio più poetico.

Da Il mio voto al PCI

Discorso di Roma, 8 giugno 1975; riportato in L'Unità, 10 giugno 1975, edizione Piemonte, p. 3

  • Ricordo e so che tanto io, giovane comunista della generazione precedente, che voi, giovani comunisti di oggi, se non conoscessimo Marx, Lenin e Gramsci, vivremmo una vita senza forma.
    Ricordo e so che l'unica possibilità di operare, oltre che di pensare, è data non solo dall'alternativa rivoluzionaria offerta dal marxismo, ma soprattutto dalla sua alterità.
    Ricordo e so che il quadro umano è cambiato, che le coscienze sono state violate nel profondo.
    Ricordo e so che, a compensare questa strage umana, non ci sono né ospedali né scuole, né verde né asili per i vecchi e i bambini, né cultura né alcuna dignità possibile.
  • Ricordo e so, anzi, so, semplicemente perché è cosa di oggi, di questo momento, che gli uomini al potere sono legati alla stessa speranza di sopravvivenza a cui sono legati i criminali, speranza consistente nella necessità di compiere altri crimini.
  • Ricordo e so di colpo che si è avverato intorno a noi e su di noi, il genocidio che Marx aveva profetato nel Manifesto: un genocidio però non più colonialistico e parziale, bensì un genocidio come suicidio di un intero paese.
  • Ma infine so che in questo paese non nero, ma solo orribilmente sporco c'è un altro paese. Il paese rosso dei comunisti. In esso è ignota la corruzione, la volontà d'ignoranza, il servilismo. È un'isola dove le coscienze si sono disperatamente difese e dove quindi il comportamento umano è riuscito ancora a conservare l'antica dignità.
  • Voto comunista perché questi uomini diversi che sono i comunisti continuino a lottare per la dignità del lavoratore oltre che per il suo tenore di vita; riescano cioè a trasformare, come vuole la loro tradizione razionale e scientifica, lo Sviluppo e il Progresso.

I film degli altri

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  • Il ferroviere è stato un film grossolano, senza la minima luce, irrimediabilmente retorico e natalizio: una esaltazione conformista, apparentemente e demagogicamente libera, della morale piccolo-borghese italiana. (Lo stile di Germi, 29 dicembre 1959; p. 19)
  • Rossellini è il neorealismo. In lui la «riscoperta» della realtà – nella fattispecie dell'Italia quotidiana, abolita dalla retorica di allora – è stato un atto insieme intuitivo e strettamente legato alla circostanza. Egli era lì, fisicamente presente, quando la maschera cretina è caduta. Ed è stato uno dei primi a vedere la povera faccia della vera Italia. (L'anno del «Generale Della Rovere», 5 gennaio 1960; p. 21)
  • A qualcuno piace caldo, malgrado quel fenomeno delizioso che è Marilyn Monroe, è un film approssimativo e deprimente, che lascia in bocca l'amaro di un gioco di società riuscito così così. (p. 37)
  • La corazzata Potëmkin è proprio un brutto film, dove il conformismo con cui sono visti i personaggi rivoluzionari è quello della più faziosa propaganda, ma senza il gusto formale dell'«affiche» (in questo, allora, era veramente grande Dziga Vertov). I marinai della Potëmkin sono persone senza anima, senza corpo, senza sesso, che si muovono come burattini «positivi». Non basta aver ragione ed essere eroi per essere vivi. (Contro Eisenstein, 1973; p. 107)

La comicità di Sordi: gli stranieri non ridono, 19 gennaio 1960

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  • Ma di che specie è il riso che suscita Alberto Sordi? Pensateci un momento: è un riso di cui un po' ci si vergogna. (p. 28)
  • Alla comicità di Alberto Sordi ridiamo solo noi: perché solo noi conosciamo il nostro pollo. Ridiamo, e usciamo dal cinema vergognandoci di aver riso, perché abbiamo riso sulla nostra viltà, sul nostro qualunquismo, sul nostro infantilismo. (p. 29)
  • Se in Sordi entrasse definitivamente questa contraddizione, se egli capisse che non si può ridere se al fondo del riso non c'è della bontà – pur esercitata o repressa in un mondo nemico – la sua comicità finirebbe di essere uno dei tristi fenomeni della brutta Italia di questi anni, e potrebbe, nei suoi modesti limiti, contribuire almeno a una lotta riformistica e morale. (p. 31)

«La dolce vita»: per me si tratta di un film cattolico, 23 febbraio 1960

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  • La dolce vita di Fellini è troppo importante perché se ne possa parlare come si fa di solito di un film. Benché non grande come un Chaplin, Eisenstein o Mizoguchi, Fellini è senza dubbio "autore", non "regista". Perciò il film è unicamente suo: non vi esistono né attori né tecnici: niente è casuale. (p. 51)
  • Soltanto delle goffe persone senza anima – come quelle che redigono l'organo del Vaticano – soltanto i clerico-fascisti romani, soltanto i moralistici capitalisti milanesi, possono essere così ciechi da non capire che con La dolce vita si trovano davanti al più alto e al più assoluto prodotto del cattolicesimo di questi ultimi anni, per cui i dati del mondo e della società si presentano come dati eterni e immodificabili, con le loro bassezze e abbiezioni, sia pure, ma anche con la grazia sempre sospesa, pronta a discendere: anzi, quasi sempre già discesa e circolante di persona in persona, di atto in atto, di immagine in immagine. (p. 57)
  • [Su La dolce vita] Eppure non c'è nessuno di questi personaggi che non risulti puro e vitale, presentato sempre in un suo momento di energia quasi sacra. Osservate: non c'è un personaggio triste, che muova a compassione: a tutti tutto va bene, anche se va malissimo: vitale è ognuno nell'arrangiarsi a vivere, pur col suo carico di morte e di incoscienza. Non ho mai visto un film in cui tutti i personaggi siano così pieni di felicità di essere: anche le cose dolorose, le tragedie, si configurano come fenomeni carichi di vitalità, come spettacoli. Bisogna davvero possedere una miniera inesauribile d'amore, per arrivare a questo: magari anche d'amore sacrilego... (p. 59)

Il caos

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  • Ora, degli italiani piccolo-borghesi si sentono tranquilli davanti a ogni forma di scandalo, se questo scandalo ha dietro una qualsiasi forma di opinione pubblica o di potere; perché essi riconoscono subito, in tale scandalo, una possibilità di istituzionalizzazione, e, con questa possibilità, essi fraternizzano. (13 agosto 1968)
  • Quando un giovane, o un anziano molto aggiornato, accusando se stesso e gli altri – fino a ridursi alla disperazione e allo sciopero – dice che non c'è nulla da fare, che il sistema non può fatalmente non «mangiare» dice in realtà: io desidero essere mangiato, sparire. (3 settembre 1968)
  • Finché perdura il sistema che si combatte (nella specie, il sistema capitalistico) esso non va considerato il male, perché anche sotto di esso c'è la realtà, ossia Dio. Infatti la realtà è infinitamente più estesa del sistema, ma il sistema è infinitamente più esteso di noi: e quindi, come il sistema non coprirà mai tutta la vita, noi non potremo mai giungere ai confini del sistema e scavalcarlo. (3 settembre 1968)
  • La Resistenza e il Movimento Studentesco sono le due uniche esperienze democratico-rivoluzionarie del popolo italiano. Intorno c'è silenzio e deserto: il qualunquismo, la degenerazione statalistica, le orrende tradizioni sabaude, borboniche, papaline. (21 settembre 1968)
  • È esperienza di ogni giorno: si richiede la santità agli altri, per tenere tranquilla la coscienza, nel momento in cui ci si accorge che non sono santi. Ma nel momento in cui ci si accorge che lo sono, li si consacra. La consacrazione li discrimina, li cataloga: li rende innocui, e anche un po' ridicoli e ufficiali. (7 dicembre 1968)
  • Io so questo: che chi pretende la libertà, poi non sa cosa farsene. (7 dicembre 1968)
  • E quando dicevo che il Movimento Studentesco non può fare la guerra, volevo dire che la guerra la fanno gli eserciti, e che gli eserciti sono delle istituzioni. (15 marzo 1969)
  • Chi di noi assomiglia a un tecnico americano o a una guardia rossa cinese? Nessuno. Eppure l'apparente analogia tra «il rapporto sacrilego con il passato» del tecnico e quello del rivoluzionario, si verifica anche in Italia: per esempio, in certo atteggiamento drastico dei giovani, che condannano indiscriminatamente «tutto» ciò che è vecchio in nome della rivoluzione, facendosi così portatori di un valore neocapitalistico: la sostituzione totale del nuovo potere industriale ai vecchi poteri. Oppure nel culto che hanno certi gruppi di giovani per il lavoro collettivo, d'équipe! come se appunto si trattasse di una collettivizzazione del lavoro di tipo rivoluzionario e popolare, mentre si tratta proprio di una richiesta di spersonalizzazione da parte della cultura di massa. (22 marzo 1969)
  • L'opinione pubblica, come una belva, ha bisogno di essere tranquillizzata a proposito di fatti che essa non voglia odiare, mentre ha bisogno di essere aizzata a proposito di fatti che essa vuole odiare. I giornali per esempio sono restati visibilmente delusi, quando si affacciata l'ipotesi che ad ammazzare il bambino di Viareggio non sia stato, come speravano, un bruto; infatti, l'opinione pubblica sperava di poter essere soddisfatta in questo suo odio razzistico, che andava dunque drammatizzato. (5 aprile 1969)
  • Può un uomo collocarsi fuori dalla sua storia [...]? No, non lo può. Questo uscire dalla storia, adottando una falsa e bugiarda ottica di postero o di cherubino, è un atto caro ai reazionari, e i giornali di destra sono pieni di scrittori che si prestano a simili ascesi, atte a soddisfare il bisogno spiritualistico dei piccoli borghesi (che, sia pure inconsapevolmente, son essi i nefandi «materialisti», oggetti del loro odio). (9 agosto 1969)
  • Il razzismo è un odio di classe inconscio. Si confronti il razzismo americano: esso è stato appunto, fino a oggi e ancora oggi, un odio di classe inconscio. Ma dal momento che i negri hanno incominciato a lottare e avere consapevolezza di sé come classe povera, l'odio razzistico, oscuro e indecifrabile, di sta trasformando in un chiarissimo e decifrabilissimo odio di classe. L'odio cioè che un borghese italiano prova per un comunista, non per un «terrone» o un carcerato (che è ancora oscuro e indecifrabile). (11 ottobre 1969)
  • Tutto si integra nell'eterno ritorno: ciò lo sanno gli umoristi, i santi e gli innocenti. (25 ottobre 1969)
  • Ho capito di colpo che cosa è oggi il Movimento Studentesco. Esso è un movimento politico la cui ascesi consiste nel fare. È qualcosa di più e di diverso dal pragmatismo talvolta ricattatorio sotto il cui segno il Movimento Studentesco è cominciato: pragmatismo che non trascendeva ancora se stesso in una specie di religione di se stesso: ma era un semplice dato, non privo, nei casi peggiori (il fanatismo per Che Guevara) di vecchia retorica piccolo borghese. Ora, per la prima volta, che io sappia, nella storia il Credere nasce dal Fare: mentre dal tempo della Bibbia, attraverso San Paolo fino ai giorni nostri, il Fare non era che l'altra faccia del Credere.
    È da supporsi che un Credere (incondito, rimosso, non affrontato, spregiato) presieda a tutta questa operazione: e che non si tratti che di un ritorno adesso, attraverso la scoperta del Fare (dell'Organizzare). (6 dicembre 1969)
  • La serietà! Dio mio la serietà! Ma la serietà è la qualità di coloro che non ne hanno altre: è uno dei canoni di condotta, anzi, il primo canone, della piccola borghesia! Come ci si può vantare della propria serietà? Seri bisogna esserlo, non dirlo, e magari neanche sembrarlo! Seri si è o non si è: quando la serietà viene enunciata diventa ricatto e terrorismo! (20 dicembre 1969)
  • Certe cose sono sconvolgenti e inaccettabili alla comune coscienza. La comune coscienza è inadattabile alle atrocità. E ci sarà pure qualche ragione. Forse perché essa, in realtà, le vuole. La comune coscienza prima non ha accettato le atrocità naziste, e poi ha preferito dimenticarle. [...] Certe cose atroci architettate o comunque volute dal Potere (quello reale non quello sia pur fittiziamente democratico) sono comunissime nella storia: dico comunissime: eppure alla comune coscienza paiono sempre eccezionali e incredibili. (20 dicembre 1969)

L'odore dell'India

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  • Fortunatamente l'induismo non è la religione di stato. Perciò i santoni non sono pericolosi. Mentre i loro fedeli li ammirano (ma mica tanto, poi), c'è sempre un mussulmano, un buddista o un cattolico che li guarda con compassione, ironia o curiosità. È un fatto, comunque, che in India l'atmosfera è favorevole alla religiosità, come dicono anche i referti più banali. Ma a me non risulta che gli indiani siano molto occupati da seri problemi religiosi. Certe loro forme di religiosità sono coatte, tipicamente medioevali: alienazioni dovute all'orrenda situazione economica e igienica del paese, vere e proprie nevrosi mistiche, che ricordano quelle europee, appunto, del medioevo, che possono colpire individui o intere comunità. Ma più che una religiosità specifica (quella che dà i fenomeni mistici o la potenza clericale) ho osservato tra gli indiani una religiosità generica e diffusa: un prodotto medio della religione. La non violenza, insomma, la mitezza, la bontà degli indù. Essi hanno forse contatto con le fonti dirette della loro religione (che è evidentemente una religione degenerata) ma continuano a esserne dei frutti viventi. Così la loro religione, che è la più astratta e filosofica del mondo, in teoria, è, ora, in realtà, una religione totalmente pratica: un modo di vivere.
  • Ci sono sessantamila lebbrosi, a Calcutta, e vari milioni in tutta l'India. È una delle tante cose orribili di questa nazione, davanti a cui si è del tutto impotenti: in certi momenti ho provato dei veri impulsi di odio contro Nehru e i suoi cento collaboratori intellettuali educati a Cambridge: ma devo dire che ero ingiusto, perché veramente bisogna rendersi conto che c'è ben poco da fare in quella situazione.
  • Sia ben chiaro che l'India non ha nulla di misterioso, come dicono le leggende. In fondo si tratta di un piccolo paese, con solo quattro o cinque grosse città, di cui una sola, Bombay, degna di questo nome; senza industrie, o quasi; molto uniforme e con semplici stratificazioni e cristalizzazioni storiche.
    In sostanza si tratta di un enorme sottoproletario agricolo, bloccato da secoli nelle sue istituzioni dalla dominazione straniera: il che ha fatto sì che quelle sue istituzioni si conservassero e, nel tempo stesso, per colpa di una conservazione così coatta e innaturale, degenerassero.
  • La gente che in India ha studiato, o possiede qualcosa, o comunque compie quella funzione che si chiama del «dirigere», sa che non ha speranza: appena uscita, attraverso una coscienza culturale moderna, dall'inferno, sa che dovrà restare all'inferno. L'orizzonte di una sia pur vaga rinascita non si delinea in questa generazione, e neanche nella prossima, e chissà in quale delle future. L'assenza di ogni attendibile speranza fa sì che i borghesi indiani, ripeto, si chiudano in quel po' di certo che possiedono: la famiglia. Vi si chiudono per non vedere e per non esser visti. Hanno un nobilissimo senso civico: e i loro ideali, Gandhi e Nehru, sono lì a testimoniarlo: possiedono una qualità assolutamente rara, nel mondo moderno: la tolleranza. Ciò nonostante l'impossibilità ad agire li costringe a uno stato di rinuncia che rimpicciolisce il loro orizzonte mentale: ma tale angustia, per ora, è indefinitamente più commovente che irritante. E questo è certo: che non è mai volgare. Benché l'India sia un inferno di miseria è meraviglioso viverci, perché essa manca quasi totalmente di volgarità.
  • Nehru ha dichiarato pubblicamente, di fronte a tutti i suoi quattrocento milioni di cittadini, che non è credente, che la religione è certo una bella cosa, ma a lui non interessa affatto. Questa straordinaria libertà di pensiero, questa integrale mancanza di ipocrisia è uno dei fatti più alti del tempo in cui viviamo.
  • Nehru è nato a Allahbad, una città nella pianura del Gange, da una famiglia borghese: ma la sua formazione è inglese. E, della cultura inglese, egli ha assorbito la qualità più tipica: l'empirismo. In questo momento, Nehru non è né inglese né indiano: è un uomo del mondo, che, con dolcezza indiana e praticità inglese, si occupa dei problemi di uno dei grandi paesi del mondo.
  • Gli indiani in questo momento sono un immenso popolo di frastornati, di vacillanti: come delle persone vissute per lungo tempo al buio, e improvvisamente riportate alla luce.
  • Nell'acqua del Gange si immergono i cadaveri prima di bruciarli, nell'acqua del Gange si buttano, non bruciati, ma sistemati tra due lastroni di pietra, i santoni, i vaiolosi e i lebbrosi, nell'acqua del Gange galleggiano tutti i rifiuti e le carogne di una città che praticamente è un lazzaretto, perché la gente ci viene a morire.
  • Anche nella pignoleria legalitaria di Nehru, nella sua cavillosa e quasi maniaca difesa del sistema parlamentare, c'è qualcosa di quella codificazione paralizzante che è tipica di tutti gli indiani. Si sente che la grammatica parlamentare britannica è stata assimilata da una persona che aveva altre abitudini grammaticali. Infatti, chi è autoctono alla propria grammatica è capace, se è necessario, di trasgressioni, di eccezioni e di innovazioni anche scandalose, che sono però la vita di quella sua grammatica istituzionale: mentre chi a tale grammatica è alloglotta, non oserà mai affrontare trasgressioni né tentare innovazioni. La sua obbedienza alla normatività sarà pedissequa, magari fino al sublime, come mi sembra in Nehru. È per questo che, visitando l'India, provavo verso il suo leader, peraltro adorabile, non pochi moti di rabbia...
  • La tradizione castale è un cancro sparso e radicato in tutti i tessuti dell'India. Nehru ha il prestigio per poterne tentare con la forza l'estirpazione: a meno che anch'egli non si ricordi un po' troppo di essere un bramino.
  • [Sui sikh] Mi irrita la loro tradizione militaresca, il loro proverbiale lealismo, la loro aria di «milites gloriosi», la loro fama di buoni servitori.
  • Ad Agra c'è il Taj Mahal. Il San Pietro dell'India. Veramente è un tempio, o meglio una tomba mussulmana, non indù. Ma è comunque la forma architettonica nazionale, lo stemma dell'Air India, il sogno delle zitelle inglesi.
  • Anche negli indiani mussulmani c'è qualcosa di sfuggente: come un corpo estraneo entrato dentro di loro, una vita d'altra natura incastrata nella loro vita. Dovrei restare più a lungo in India per spiegarmi: la mia non è che una impressione irrazionale. Se l'indiano perde la sua insicurezza, la sua mitezza, il suo tremore, la sua passività, cosa diventa? Il Corano indurisce, dà delle certezze, coltiva l'identità. Perciò con gli indiani di religione mussulmana, che del resto sono una percentuale molto alta, non mi trovo a mio agio: la mia simpatia ha un decorso fatto di pungenti, impalpabili delusioni.
  • Ogni volta che in India si va a visitare un monumento, si cade prigionieri della guida, e, in seconda istanza, della turba di mendicanti.

L'usignolo della Chiesa Cattolica

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  • L'illecito t'è in cuore | e solo esso vale, | ridi del naturale | millenario pudore. (da L'illecito, vv. 29-32; p. 51)
  • L'amore infine è aridità. (da Lingua, v. 64; p. 58)

La Divina Mimesis

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Intorno ai quarant'anni, mi accorsi di trovarmi in un momento molto oscuro della mia vita. Qualunque cosa facessi, nella «Selva» della realtà del 1963, anno in cui ero giunto, assurdamente impreparato a quell'esclusione dalla vita degli altri che è la ripetizione della propria, c'era un senso di oscurità. Non direi di nausea, o di angoscia: anzi, in quell'oscurità, per dire il vero, c'era qualcosa di terribilmente luminoso: la luce della vecchia verità, se vogliamo, quella davanti a cui non c'è più niente da dire.

Citazioni

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  • Ecco laggiù qualcosa di rosso, di molto rosso, un altarino di rose, come quelli che allestiscono mani fedeli di donne vecchie, nei diseredati paesi umbri o friulani o abruzzesi, vecchie come furono vecchie le loro vecchie, volonterose a ripetersi nei secoli. (p. 8)
  • Solo parlando, manifestiamo il sapere: nel silenzio non sentiamo che un'ingenua e vergognosa avidità. (p. 29)
  • Odiamo il conformismo degli altri perché è questo che ci trattiene dall'interessarci al nostro. Ognuno di noi odia nell'altro come in un lager il proprio destino. (p. 30)
  • Hitler, nostro eroe orrendo, incarnazione dei ragazzi infelici, che avrebbero voluto arrestare il suono delle campane dietro i campi di granoturco, o le sirene in fondo a prospettive di portici comunali – perché la piccola borghesia dormiente si destasse, e corresse sulle piazze a ripetere, malgré soi, le sofferenze creatrici di Cristo. (p. 30)
  • Non appena un uomo rappresenta – con la propria fisicità – il proprio modo di guadagnarsi il pane, suscita pietà. (p. 33)
  • Ognuno di noi è fisicamente la figura di un acquirente, e le nostre inquietudini sono le inquietudini di questa figura. (p. 33)
  • La nostra esperienza vitale resta l'esperienza di chi si rivela attraverso l'umile acquisto. (p. 33)
  • Anche chi partecipa alla produzione avrà sempre i caratteri del consumatore. Ritornerà sempre alle sue prime inquietudini. Al suo non appartenersi. Non è suo lo sguardo che guarda chi è presente e si esprime acquistando le sue merci. (p. 34)
  • Far degenerare le ansie dell'acquisto e della produzione in qualcosa che è la loro purezza e la loro mancanza di funzione, è la parte del poeta. (p. 35)
  • Riduzione, spirito di riduzione, è mancanza di religione: questo è il grande peccato dell'epoca dell'odio. E infatti in nessun'altra parte dell'Inferno vedrai tanta gente. Le masse, amico mio! Le masse; che hanno eletto a religione il non voler averne – senza saperlo. (p. 42)
  • Bisogna fare come faceva il Cristo dei vangeli, che, appena stabilito un incanto – la pausa contemplativa dopo una parola che poteva essere senza fine interrogata e pensata in silenzio – ne stabiliva subito un altro, che non dava pace, quasi con crudeltà. (p. 43)
  • La volgarità è il momento di pieno rigoglio del conformismo. (p. 51)

La meglio gioventù

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  • Io son nero di amore, | né fanciullo né usignolo, | tutto intero come un fiore, | desidero senza desiderio.
Jo i soj neri di amòur | né frut né rosignòul | dut intèir coma un flòur | i brami sensa sen. (da Dansa di Narcís, vv. 1-4)
  • Io ti ricordo, Narciso, avevi il colore | della sera, quando le campane | suonano a morto.
Jo ti recuardi, Narcìs, ti vèvis il colòur | de la sera, quand li ciampanis | a súnin di muàrt. (da Il nini muàrt, vv. 4-6)
  • Oggi ti vestono | la seta e l'amore, | oggi è Domenica, | domani si muore.
Vuei ti vistìssin | la seda e l'amòur, | vuei a è Domènia | doman a si mòur. (da Li letanis dal biel fì, vv. 41-44)
  • Suona Rosario, e si sfiata per i prati: | io sono morto al canto delle campane.
A bat Rosari, pai pras al si scunìs: | jo i soj muàrt al ciant da li ciampanis. (da Ciant da li ciampanis, vv. 5-6)

La religione del mio tempo

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  • Non illuderti: la passione non ottiene mai perdono. | Non ti perdono neanch'io, che vivo di passione. (da A Chiaromonte)
  • Per essere poeti, bisogna avere molto tempo. (da Al principe)
  • Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti, | proprio perché fosti cosciente, sei incosciente. | E solo perché sei cattolica, non puoi pensare | che il tuo male è tutto il male: colpa di ogni male. | Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo. (da Alla mia nazione)
  • E, come un giovane, senza pietà | o pudore, io non nascondo | questo mio stato: non avrò pace, mai. (da La rabbia, vv. 88-90; p. 120)
  • Nel quartiere borghese, c'è la pace | di cui ognuno dentro si contenta, | anche vilmente, e di cui vorrebbe | piena ogni sera della sua esistenza.[56] (da Serata romana, vv. 11-14)

Le ceneri di Gramsci

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  • E senti come in quei lontani | esseri che, in vita, gridano, ridono, | in quei loro veicoli, in quei grami || caseggiati dove si consuma l'infido | ed espansivo dono dell'esistenza – | quella vita non è che un brivido; || corporea, collettiva presenza; | senti il mancare di ogni religione | vera; non vita, ma sopravvivenza || – forse più lieta della vita – come | d'un popolo di animali, nel cui arcano | orgasmo non ci sia altra passione || che per l'operare quotidiano: | umile fervore cui dà un senso di festa | l'umile corruzione. (da Le ceneri di Gramsci, VI, vv. 242-256; pp. 81-82)
  • È un brusio la vita, e questi persi | in essa, la perdono serenamente, | se il cuore ne hanno pieno: a godersi || eccoli, miseri, la sera: e potente | in essi, inermi, per essi, il mito | rinasce... Ma io, con il cuore cosciente || di chi soltanto nella storia ha vita, | potrò mai più con pura passione operare, | se so che la nostra storia è finita? (da Le ceneri di Gramsci, VI, vv. 299-307; p. 84)
  • Solo l'amare, solo il conoscere | conta, non l'aver amato, | non l'aver conosciuto. (da Il pianto della scavatrice, I, vv. 1-3; p. 85)

Lettere luterane

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Uno dei temi più misteriosi del teatro tragico greco è la predestinazione dei figli a pagare le colpe dei padri. Non importa se i figli sono buoni, innocenti, pii: se i loro padri hanno peccato, essi devono essere puniti.

Citazioni

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  • Io sto scrivendo nei primi mesi del 1975: e, in questo periodo, benché sia ormai un po' di tempo che non vengo a Napoli, i napoletani rappresentano per me una categoria di persone che mi sono appunto, in concreto, e, per di più, ideologicamente, simpatici. Essi infatti in questi anni – e, per la precisione, in questo decennio – non sono molto cambiati. Sono rimasti gli stessi napoletani di tutta la storia. E questo per me è molto importante, anche se so che posso essere sospettato, per questo, delle cose più terribili, fino ad apparire un traditore, un reietto, un poco di buono. Ma cosa vuoi farci, preferisco la povertà dei napoletani al benessere della repubblica italiana, preferisco l'ignoranza dei napoletani alle scuole della repubblica italiana, preferisco le scenette, sia pure un po' naturalistiche, cui si può ancora assistere nei bassi napoletani alle scenette della televisione della repubblica italiana. Coi napoletani mi sento in estrema confidenza, perché siamo costretti a capirci a vicenda. Coi napoletani non ho ritegno fisico, perché essi, innocentemente, non ce l'hanno con me. Coi napoletani posso presumere di poter insegnare qualcosa perché essi sanno che la loro attenzione è un favore che essi mi fanno. Lo scambio di sapere è dunque assolutamente naturale.[57] (Da Gennariello, Paragrafo primo: come ti immagino, l'Unità-Einaudi, Roma, stampa 1991, pp. 15-16)
  • Io con un napoletano posso semplicemente dire quel che so, perché ho, per il suo sapere, un'idea piena di rispetto quasi mitico, e comunque pieno di allegria e di naturale affetto. Considero anche l'imbroglio uno scambio di sapere. Un giorno mi sono accorto che un napoletano, durante un'effusione di affetto, mi stava sfilando il portafoglio: gliel'ho fatto notare, e il nostro affetto è cresciuto. (da Gennariello, Paragrafo primo: come ti immagino, l'Unità-Einaudi, Roma, stampa 1991, p. 16)
  • Napoli è ancora l'ultima metropoli plebea, l'ultimo grande villaggio (e per di più con tradizioni culturali non strettamente italiane): questo fatto generale e storico livella fisicamente e intellettualmente le classi sociali. La vitalità è sempre fonte di affetto e ingenuità. A Napoli sono pieni di vitalità sia il ragazzo povero che il ragazzo borghese. (da Gennariello, Paragrafo primo: come ti immagino, l'Unità-Einaudi, Roma, stampa 1991, p. 17)
  • La droga è sempre un surrogato. E precisamente un surrogato della cultura. [...] la droga viene a riempire un vuoto causato appunto dal desiderio di morte e che è dunque un vuoto di cultura. Per amare la cultura occorre una forte vitalità. Perché la cultura – in senso specifico o, meglio, classista – è un possesso: e niente necessita di una più accanita e matta energia che il desiderio di possesso. [...] Anche a un livello più alto si verifica qualcosa di simile [...] ma stavolta si tratta non semplicemente di un vuoto di cultura, bensì di un vuoto di necessità e di immaginazione. La droga in tal caso serve a sostituire la grazia con la disperazione, lo stile con la maniera. (da La droga: una vera tragedia italiana; p. 87)
  • Strano a dirsi: è vero che i potenti sono stati lasciati indietro dalla realtà con addosso, come una ridicola maschera, il loro potere clerico-fascista, ma anche gli uomini dell'opposizione sono stati lasciati indietro dalla realtà con addosso, come una ridicola maschera, il loro progressismo e la loro tolleranza.
    Una nuova forma di potere economico (cioè la nuova, reale anima – se Moro permette – della democrazia cristiana, che non è più un partito clericale perché la Chiesa non c'è più) ha realizzato attraverso lo sviluppo una fittizia forma di progresso e tolleranza. I giovani che sono nati e si sono formati in questo periodo di falso progressismo e falsa tolleranza, stanno pagando questa falsità (il cinismo del nuovo potere che ha tutto distrutto) nel modo più atroce. (da Fuori dal Palazzo; p. 96)
  • La società preconsumistica aveva bisogno di uomini forti, e dunque casti. La società consumistica ha invece bisogno di uomini deboli, e perciò lussuriosi. Al mito della donna chiusa e separata (il cui obbligo alla castità implicava la castità dell'uomo) si è sostituito il mito della donna aperta e vicina, sempre a disposizione. Al trionfo dell'amicizia tra maschi e dell'erezione, si è sostituito il trionfo della coppia e dell'impotenza. I maschi giovani sono traumatizzati dall'obbligo che impone loro la permissività: cioè l'obbligo di far sempre e liberamente l'amore. (da Soggetto per un film su una guardia di PS; p. 104)
  • Chi si scandalizza è sempre banale: ma, aggiungo, è anche sempre male informato. (da Processo anche a Donat Cattin; p. 139)
  • Che cos'è che ha trasformato i proletari e i sottoproletari italiani, sostanzialmente, in piccolo borghesi, divorati, per di più, dall'ansia economica di esserlo? Che cos'è che ha trasformato le «masse» dei giovani in «masse» di criminaloidi? L'ho detto e ripetuto ormai decine di volte: una «seconda» rivoluzione industriale che in realtà in Italia è la «prima»: il consumismo che ha distrutto cinicamente un mondo «reale», trasformandolo in una totale irrealtà, dove non c'è più scelta possibile tra male e bene. Donde l'ambiguità che caratterizza i criminali: e la loro ferocia, prodotta dall'assoluta mancanza di ogni tradizionale conflitto interiore. Non c'è stata in loro scelta tra male e bene: ma una scelta tuttavia c'è stata: la scelta dell'impietrimento, della mancanza di ogni pietà. (da Due modeste proposte per eliminare la criminalità in Italia; p. 168)
  • I diritti civili sono in sostanza i diritti degli altri.[58] (p. 193)
  • Sappi che negli insegnamenti che ti impartirò, non c'è il minimo dubbio, io ti sospingerò a tutte le sconsacrazioni possibili, alla mancanza di ogni rispetto per ogni sentimento istituito. Tuttavia il fondo del mio insegnamento consisterà nel convincerti a non temere la sacralità e i sentimenti, di cui il laicismo consumistico ha privato gli uomini trasformandoli in brutti e stupidi automi adoratori di feticci.[59] (p. 201)
  • I vari casi di criminalità che riempiono apocalitticamente la cronaca dei giornali e la nostra coscienza abbastanza atterrita, non sono casi: sono, evidentemente, casi estremi di un modo di essere criminale diffuso e profondo: di massa.
  • L'Italia – e non solo l'Italia del Palazzo e del potere – è un Paese ridicolo e sinistro: i suoi potenti sono delle maschere comiche, vagamente imbrattate di sangue: «contaminazioni» tra Molière e il Grand Guignol. Ma i cittadini italiani non sono da meno. Li ho visti, li ho visti in folla a Ferragosto. Erano l'immagine della frenesia più insolente. Ponevano un tale impegno nel divertirsi a tutti i costi, che parevano in uno stato di «raptus»: era difficile non considerarli spregevoli o comunque colpevolmente incoscienti.

Poesia in forma di rosa

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  • O guardo i crepuscoli, le mattine | su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo, | come i primi atti della Dopostoria, | cui io assisto, per privilegio d'anagrafe, | dall'orlo estremo di qualche età | sepolta. Mostruoso è chi è nato | dalle viscere di una donna morta. | E io, feto adulto, mi aggiro | più moderno d'ogni moderno | a cercare i fratelli che non sono più. (da Poesie mondane, 10 giugno 1962; p. 1099)
  • Io sono una forza del Passato. | Solo nella tradizione è il mio amore. (da Poesie mondane, 10 giugno 1962; p. 1099)
  • E lì vedrai, in una edilizia di delizioso cemento, | riconoscendovi gli amici e i nemici, || sotto i cartelli segnaletici dell'«OPERA INCREMENTO | PENE INFERNALI», A: I TROPPO CONTINENTI: Conformisti | (salotto Bellonci), Volgari (un ricevimento || al Quirinale), Cinici (un convegno di giornalisti | del Corriere della Sera e affini): e poi: | i Deboli, gli Ambigui, i Paurosi (individualisti || questi, a casa loro); B: GLI INCONVENIENTI, ZONA | PRIMA: eccesso di Rigore (socialisti borghesi, | piccoli benpensanti che si credono piccoli eroi, || solo per l'eroica scelta d'una buona bandiera), eccesso | di Rimorso (Soldati, Piovene); eccesso di Servilità | (masse infinite senza anagrafe, senza nome, senza sesso); || ZONA SECONDA: Raziocinanti (Landolfi) gente che sta | seduta sola nel suo cesso; Irrazionali | (l'intera avanguardia internazionale che va || dagli Endoletterari [De Gaulle] alle vestali | di Pound teutoniche o italiote); | Razionali (Moravia, rara avis, e le ali || degli Impegnati neo-gotici. (da Progetto di opere future; pp. 1251-1252)
  • La morte non è | nel non poter comunicare | ma nel non poter più essere compresi.[60] (da Una disperata vitalità)
  • Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore, | ciò che è stato sempre, prima d'ogni altro amore.[61] (da Supplica a mia madre)

Saggi sulla politica e sulla società

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  • Basta ai giovani contestatori staccarsi dalla cultura, ed eccoli optare per l'azione e l'utilitarismo, rassegnarsi alla situazione in cui il sistema si ingegna ad integrarli. Questa è la radice del problema: usano contro il neocapitalismo armi che in realtà portano il suo marchio di fabbrica, e sono quindi destinate soltanto a rafforzare il suo dominio. Essi credono di spezzare il cerchio, e invece non fanno altro che rinsaldarlo.
  • Ciò che resta originario nell'operaio è ciò che non è verbale: per esempio la sua fisicità, la sua voce, il suo corpo. Il corpo: ecco una terra non ancora colonizzata dal potere.
  • L'Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo. Essere laici, liberali, non significa nulla, quando manca quella forza morale che riesca a vincere la tentazione di essere partecipi a un mondo che apparentemente funziona, con le sue leggi allettanti e crudeli. Non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole: occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità, come codificazione, direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società.
  • La libertà sessuale è necessaria alla creazione? Sì. No. O forse sì. No, no, certamente no. Però... sì. No è meglio no. O sì? Ah, incontinenza meravigliosa! (Ah, meravigliosa castità.)

Scritti corsari

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La prima volta che ho visto i capelloni, è stato a Praga. Nella hall dell'albergo dove alloggiavo sono entrati due giovani stranieri, con i capelli lunghi fino alle spalle. Sono passati attraverso la hall, hanno raggiunto un angolo un po' appartato e si sono seduti a un tavolo. Sono rimasti lì seduti per una mezz'oretta, osservati dai clienti, tra cui io; poi se ne sono andati. Sia passando attraverso la gente ammassata nella hall, sia stando seduti nel loro angolo appartato, i due non hanno detto parola (forse – benché non lo ricordi – si sono bisbigliati qualcosa tra loro: ma, suppongo, qualcosa di strettamente pratico, inespressivo)

Citazioni

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  • Il futuro non appartiene né ai vecchi cardinali, né ai vecchi uomini politici, né ai vecchi magistrati, né ai vecchi poliziotti, Il futuro appartiene alla giovane borghesia che non ha più bisogno di detenere il potere con gli strumenti classici; che non sa più cosa farsene della Chiesa, la quale, ormai, ha finito genericamente con l'appartenere a quel mondo umanistico del passato che costituisce un impedimento alla nuova rivoluzione industriale; il nuovo potere borghese infatti necessita nei consumatori di uno spirito totalmente pragmatico ed edonistico: un universo tecnicistico e puramente terreno è quello in cui può svolgersi secondo la propria natura il ciclo della produzione e del consumo. Per la religione e soprattutto per la Chiesa non c'è più spazio. (da Il «folle» slogan dei jeans Jesus, 17 maggio 1973; p. 21)
  • La vecchia borghesia paleoindustriale sta cedendo il posto a una borghesia nuova che comprende sempre di più e più profondamente anche le classi operaie, tendendo finalmente alla identificazione di borghesia con umanità. (da La prima, vera rivoluzione di destra, 15 luglio 1973; p. 25)
  • L'uomo medio dei tempi del Leopardi poteva interiorizzare ancora la natura e l'umanità nella loro purezza ideale oggettivamente contenuta in esse; l'uomo medio di oggi può interiorizzare una Seicento o un frigorifero, oppure un week-end a Ostia. (da La prima, vera rivoluzione di destra, 15 luglio 1973; p. 28)
  • Non c'è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogan mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l'aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l'anima del popolo italiano; il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione) non solo l'ha scalfita, ma l'ha lacerata, violata, bruttata per sempre. (da Acculturazione e acculturazione, 9 dicembre 1973; p. 34)
  • Il parlamentarismo è un lusso che è stato consentito ai nuovi padroni (antifascisti!) dalla presenza della Chiesa. (da Previsione della vittoria al «referendum», 28 marzo 1974; p. 40)
  • L'Italia non ha avuto una grande Destra perché non ha avuto una cultura capace di esprimerla. (da Studio sulla rivoluzione antropologica in Italia, 10 giugno 1974; p. 52)
  • Noi intellettuali tendiamo sempre a identificare la "cultura" con la nostra cultura: quindi la morale con la nostra morale e l'ideologia con la nostra ideologia. Questo significa: 1) che non usiamo la parola "cultura" nel senso scientifico, 2) che esprimiamo, con questo, un certo insopprimibile razzismo verso coloro che vivono, appunto, un'altra cultura. (da Ampliamento del «bozzetto» sulla rivoluzione antropologica in Italia, 11 luglio 1974; p. 70)
  • Il rispetto per la persona – per la sua configurazione profonda alla quale un sentimento della libertà la cui formalità sia intesa come sostanziale, permette di articolarsi ed esprimersi a un livello per così dire «sacralizzato» da una ragione laica, rispetto anche alle più degradate idee politiche concrete – è per Pannella il primum di ogni teoria e di ogni prassi politica. In questo consiste il suo essere scandaloso. Uno scandalo inintegrabile, proprio perché il suo principio, sia pure in termini schematici e popolari, è sancito dalla costituzione. (da Il fascismo degli antifascisti, 16 luglio 1974; p. 84)
  • Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia. (da Il romanzo delle stragi, 14 novembre 1974; p. 114)
  • [In riferimento alla sovrappopolazione] Procreare è oggi un delitto ecologico. (da Sacer, 30 gennaio 1975; p. 135)
  • Nei primi anni sessanta, a causa dell'inquinamento [...] sono cominciate a scomparire le lucciole. [...] Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta. (da L'articolo sulle lucciole, 10 febbraio 1975; p. 161)
  • Ma naturalmente per capire i cambiamenti della gente, bisogna amarla. (da L'articolo sulle lucciole, 10 febbraio 1975; p. 164)
  • La Chiesa non può che essere reazionaria: non può che essere dalla parte del Potere; non può che accettare le regole autoritarie e formali della convivenza. (da La Chiesa, i peni e le vagine, 1974; p. 241)
  • Io credo, lo credo profondamente, che il vero fascismo sia quello che i sociologhi hanno troppo bonariamente chiamato la "società dei consumi". Una definizione che sembra innocua, puramente indicativa. E invece no. Se uno osserva bene la realtà, e soprattutto se uno sa leggere intorno negli oggetti, nel paesaggio, nell'urbanistica e, soprattutto, negli uomini, vede che i risultati di questa spensierata società dei consumi sono i risultati di una dittatura, di un vero e proprio fascismo. Nel film di Naldini noi abbiamo visto i giovani inquadrati, in divisa... Con una differenza, però. Allora i giovani nel momento stesso in cui si toglievano la divisa e riprendevano la strada verso i loro paesi e i loro campi, ritornavano gli italiani di cento, di cinquant'anni addietro, come prima del fascismo.
    Il fascismo, in realtà, li aveva resi dei pagliacci, dei servi, e forse in parte anche convinti, ma non li aveva toccati sul serio. Nel fondo dell'anima, nel loro modo di essere. Questo nuovo fascismo, questa società dei consumi, invece, ha profondamente trasformato i giovani, li ha toccati nell'intimo, ha dato loro altri sentimenti, altri modi di pensare, di vivere, altri modelli culturali. Non si tratta più, come all'epoca mussoliniana, di un'irregolamentazione superficiale, scenografica, ma di una irregolamentazione reale che ha rubato e cambiato loro l'anima. Il che significa, in definitiva, che questa "civiltà dei consumi" è una civiltà dittatoriale. Insomma, se la parola fascismo significa la prepotenza del potere, la "società dei consumi" ha bene realizzato il fascismo. (da Fascista[62]; pp. 289-290)
  • Gli uomini di questo universo [il mondo contadino] non vivevano un'età dell'oro, come non erano coinvolti, se non formalmente con l'Italietta. Essi vivevano l'età del pane. Erano cioè consumatori di beni estremamente necessari. Ed era questo, forse, che rendeva estremamente necessaria la loro povera e precaria vita. Mentre è chiaro che i beni superflui rendono superflua la vita.[63]

Il coito, l'aborto, la falsa tolleranza del potere, il conformismo dei progressisti, 19 gennaio 1975

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  • Sono però traumatizzato dalla legalizzazione dell'aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell'omicidio. Nei sogni, e nel comportamento quotidiano – cosa comune a tutti gli uomini – io vivo la mia vita prenatale, la mia felice immersione nelle acque materne: so che là io ero esistente. (p. 123)
  • Oggi la libertà sessuale della maggioranza è in realtà una convenzione, un obbligo, un dovere sociale, un'ansia sociale, una caratteristica irrinunciabile della qualità di vita del consumatore. (p. 124)
  • Oggi invece "la specie", se vuole sopravvivere, deve fare in modo che le nascite non superino le morti. [...] Siamo così giunti al paradosso che ciò che si diceva contro natura è naturale, e ciò che si diceva naturale è contro natura. Ricordo che De Marsico (collaboratore del codice Rocco) in una brillante arringa in difesa di un mio film, ha dato del "porco" a Braibanti, dichiarando inammissibile il rapporto omosessuale in quanto inutile alla sopravvivenza della specie: ora, egli, per essere coerente, dovrebbe, in realtà, affermare il contrario: sarebbe il rapporto eterosessuale a configurarsi come un pericolo per la specie, mentre quello omosessuale ne rappresenta una sicurezza. (p. 128)
  • C'è da lottare, prima di tutto contro la "falsa tolleranza" del nuovo potere totalitario dei consumi, distinguendosene con tutta l'indignazione del caso; e poi c'è da imporre alla retroguardia, ancora clerico-fascista, di tale potere, tutta una serie di liberalizzazioni "reali" riguardanti appunto il coito (e dunque i suoi effetti): anticoncezionali, pillole, tecniche amatorie diverse, una moderna moralità dell'onore sessuale. (p. 130)

Trasumanar e organizzar

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  • La solitudine: bisogna essere molto forti | per amare la solitudine [...]. (da Versi del testamento, vv. 1-2; 1997, p. 157)
  • Non c'è cena o pranzo o soddisfazione del mondo, | che valga una camminata senza fine per le strade povere, | dove bisogna essere disgraziati e forti, fratelli dei cani. (da Versi del testamento, vv. 44-46; 1997, p. 159)
  • Una religione cattiva è sempre una religione: | e si scatena contro ciò che non vuol esserlo. | O che lo fu: ma sempre facendo, della mancanza | di carità, il suo fondamento: la sua azione, | ossessa – le sue opere – | furono sempre senza carità – nacquero sempre | dalla volontà, mai dalla grazia. (da L'enigma di Pio XII; 2014)

Incipit di alcune opere

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Ragazzi di vita

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Era una caldissima giornata di luglio. Il Riccetto che doveva farsi la prima comunione e la cresima, s'era alzato già alle cinque; ma mentre scendeva giù per via Donna Olimpia coi calzoni lunghi grigi e la camicetta bianca, piuttosto che un comunicando o un soldato di Gesù pareva un pischello quando se ne va acchittato pei lungoteveri a rimorchiare.

Una vita violenta

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Tommaso, Lello, il Zucabbo e gli altri ragazzini che abitavano nel villaggetto di baracche sulla Via dei Monti di Pietralata, come sempre dopo mangiato, arrivarono davanti alla scuola una mezzoretta prima.
Lì intorno c'erano già però pure altri pipelletti della borgata, che giocavano sulla fanga col coltellino. Tommaso, Lello e gli altri si misero a guardarli, accucciandosi intorno, con le cartelle che strusciavano sulla fanga: poi vennero due o tre con una palla, e gli altri buttarono le cartelle sopra un montarozzetto, e corsero dietro la scuola, nella spianata ch'era la piazza centrale della borgata.

Citazioni su Pier Paolo Pasolini

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Pier Paolo Pasolini nel 1962
  • Alcuni autori hanno fatto uso del dialetto, come Pier Paolo Pasolini, allo scopo di esprimere la vita d'una classe di diseredati dellia periferia di Roma, ma con effetti più luridi che veristi. (Giuseppe Prezzolini)
  • [Pasolini scandalizzava quella] borghesia italiana che in quattro secoli ha creato i due più importanti movimenti conservatori d'Europa, cioè la controriforma e il fascismo. (Alberto Moravia)
  • Caro Pasolini, alla lettera editoriale ufficiale ne allego una personale, perché da tempo volevo scriverti quanto il Canzoniere italiano mi sia piaciuto, quanto lo stimi un libro bello e importante. [...] (Però, porcamiseria, perché scrivi così difficile? State mettendo in voga un gusto dello scrivere difficile che non è quello sfuggente degli ermetici perché è invece sforzo di precisione, ma che ha dietro il divertimento universitario continiano di origine tedesca; però con l'allusività ermetica ci ha quel tanto di parentela da dargli un'aria demodée. Siete una squadra lì a Roma, tu, Citati, Garboli, che dopo il fatto che avete cominciato a pubblicare qualche anno dopo il '45, tac! vi è venuto in mente di riattaccarvi alle Giubbe Rosse, cosa che a nessun altro verrebbe più in mente.) (Italo Calvino)
  • Ci vedemmo in qualche occasione. Un uomo tormentato e intuitivo. Una volta mi disse: tutte le cose che lei coltiva prima o poi si realizzeranno. Ma si ricordi che arrivano anche le cose peggiori e più brutte. Sembrò annunciare la sua fine.(Roberto Capucci)
  • Conobbi Pier Paolo quando lavorava con Bolognini. Era giovanissimo, faceva il professore alle scuole medie e c’era un rapporto alla pari tra noi. In Medea ripiegò su di me dopo il no di Danilo Donati, impegnato, e non ci fu un rapporto vissuto. Aveva il terrore che gli buttassi addosso il mondo di Visconti quando io, invece, rispettavo il pensiero dei registi con cui lavoravo. Ho sempre visto Pier Paolo come una persona priva della possibilità di avere una dialettica con gli altri: poeta gigante, nei rapporti usuali della vita era schivo, con una vocina che gli usciva a malapena. Raramente mostrava sorrisi. Tutt’al più li sfiorava. (Piero Tosi)
  • Credo che su Pasolini si fosse preso un grosso abbaglio: Pasolini è passato per uno scrittore di sinistra perché aveva preso come sfondo dei suoi racconti – bellissimi del resto – il sottoproletariato delle borgate romane, i ragazzi di vita, insomma, la schiuma della società. Ma lo aveva fatto per dei gusti e dei motivi del tutto personali sui quali è inutile tornare a far commenti. Questo l'aveva fatto considerare come uno scrittore, un difensore del proletariato, ma non era una scelta politica quella che aveva fatto Pasolini. Non c'entrava niente, assolutamente nulla. Quindi quello che lui disse era assolutamente vero, cioè dire che nei tafferugli, dove spesso ci scappava il morto, fra quei dilettanti delle barricate che erano [dei borghesi], i veri proletari erano i poliziotti. [...] E questo fu considerato un tradimento all'ideologia di sinistra. (Indro Montanelli)
  • Dirò che Pasolini sta al PCI come don Giuseppe Diana, il prete operaista trucidato dalla camorra a Casal di Principe il 19 Marzo del 1994, sta alla monarchia britannica o alla Chiesa di Roma. (Aldo Busi)
  • E' morto male, tanti non hanno nascosto di essere contenti...Diceva sempre la verità, non si è mai nascosto. La sua fine mi fece soffrire ma non mi stupì. Scriveva e incendiava gli animi, si era fatto tanti nemici. “Tu sei buona”, mi diceva. Alla fine era stanco di difendersi. (Ines Pellegrini)
  • Furono più persone a compiere l'omicidio, Pelosi non poteva essere da solo. (Ninetto Davoli)
  • Ho ammirato [...] la moralità di Pasolini. Il quale scrisse cose notevolissime, ma non certo nei suoi romanzi. Fu un impasto singolare di contraddizioni: un narciso terribile, affetto da masochismo eroico, ma anche dotato di un coraggio morale raro in Italia. (Vittorio Sermonti)
  • Il Pasolini di Teorema ha una prospettiva spirituale che può essere accettata come la profonda riflessione di un cristiano. (Krzysztof Zanussi)
  • L'incontro con Pasolini [...] è del primissimo dopoguerra e segnò, nella stagione d'avvio, una dimensione nuova, un'apertura a problematiche e realtà poetiche, di largo respiro, dense di spinte e sollecitazioni. L'amicizia con Pasolini "il ragazzo di Casarsa" dei miei diari 1945, gli incontri, gli scontri, le lunghe discussioni non s'interruppero nel 1949 quand'egli lasciò il Friuli ma continuarono a Roma dove io finivo l'Università e si trasferirono poi sulla carta diradandosi. (Novella Cantarutti)
  • La morte di una persona, così come il suo percorso vitale, sono sempre inintellegibili dall'esterno, un fatto privato, non decifrabile attraverso l'analisi dei comportamenti pubblici. Sempre? No, quasi sempre. Salvo cioè alcune eccezioni. A queste appartiene quell'artista, quanti, che come lui, scavalcano la «muraglia cinese» che divide la fantasia dalla realtà, la poesia dalla vita, la teoria dall'azione.
    Per molti questi due mondi restano separati, distinti, lungo l'intero percorso dell'esistenza. Nei migliori tra noi, alimentano una cronica schizofrenia, tragicamente vissuta, in silenzio. (Bruno Amoroso)
  • Nella polemica sollevata da Pasolini il ricorso alla parola «fascismo» non ha né vuole avere esattezza storica o politologica. Si tratta al tempo stesso di una metafora e di una metonimia: «fascismo» sta per dittatura, tirannide, potere totalitario par excellence. Pasolini non è certo l’unico a usare il vocabolo in questo modo: per lui e per molti altri, i termini «fascismo» e «fascista» sono parametri di negatività e orrore, e vi ricorrono per definire ciò che vedono di negativo e orrendo nel presente e nel futuro prossimo. (Wu Ming)
  • Non imiterò che me stesso, Pasolini. | Più morta di un inno sacro | la sublime lingua borghese è la mia lingua. | Non conoscerò che me stesso. La mia prigione | vede più della tua libertà. (Franco Fortini)
  • Ormai se ti dico buongiorno ho paura dell'eco, | tu, disperato teatro, sontuosa rovina. || Eppure t'aveva lasciata, il mio verso, una spina. | Ma va' senza ritorno, perfetto e cieco. (Franco Fortini)
  • Pasolini è morto per te, | morto a bastonate per te. (Baustelle)
  • Pasolini conosceva – di più, ne era specialista – un segreto che noi intravedemmo solo grazie al femminismo: il segreto dei corpi. Che noi non abbiamo, ma siamo un corpo. Che quando facciamo l'amore, mangiamo, giochiamo a pallone, pensiamo pensieri e scriviamo poesie e articoli di giornale, è il nostro corpo che lo fa. Pasolini riconosceva il proprio corpo, e dunque quelli degli altri. Sapeva che esistono i popoli, le nazioni, le classi, le generazioni, e una quantità di altri vasti ingredienti della vicenda sociale, ma li guardava al dettaglio nel modo di camminare e di pettinarsi, di urtarsi per gioco o di ghignare per minaccia. Si sentiva in dovere di essere marxista, ma il suo era un marxismo delle fisionomie, dei gesti, dei comportamenti e dei dialetti. (Adriano Sofri)
  • Pasolini e la sua critica della modernità mi hanno fatto riflettere su un progresso che alla fine diventa regresso, perché elimina ogni diversità sia linguistica che nel modo di vivere. Questo scrittore italiano diceva una frase che io amo molto. Il più moderno è sempre il popolo. È vero. E comprenderlo costituisce una sfida importante per tutti noi. (José Tolentino de Mendonça)
  • Pasolini non è mai stato un grande scrittore, non è stato un grande regista. (Tommaso Labranca)
  • Pasolini vuol soltanto morire in odore di pubblicità. (Ennio Flaiano)
  • Pier Paolo è tuttora una figura altissima e scomoda, dotata di una straordinaria capacità di veggenza. Come Shakespeare continua a parlarci a distanza di tempo. (Giuseppe Battiston)
  • Pier Paolo è un simbolo di lotta e di cultura, Pier Paolo è portatore di valori profondi; il senso di giustizia, di riscatto, di comunità e di aspirazione rivoluzionaria. Nel mondo di oggi omologato alla triste religione del consumismo le sue parole sono ancora più importanti. (Jorit Agoch)
  • Pino Pelosi, detto la Rana, abitava dietro piazza Giovanni Winckelmann, il celebre storico dell’arte, il primo omosessuale formalmente accettato in Vaticano, ucciso a Trieste da un ragazzo. Pasolini portò Pelosi con sé, perché il ragazzo aveva dimenticato le chiavi di casa. E, naturalmente, Pasolini conosceva Winckelmann e la sua storia. Inquietante, non trova? Quello di Pasolini è stato l’ultimo grande delitto di Roma – con quello di Aldo Moro, naturalmente. (Enrico Deaglio)
  • Poeta maledetto perché vissuto in un'epoca in cui la poesia e la religione sono maledette. (Rodolfo Quadrelli)
  • Prendiamo Pasolini, di cui conosciamo la durezza nelle analisi sociali e di cui sappiamo tutti quanto sia stato un intellettuale scomodo. Be', in anni caldissime scrive "Supplica a mia madre", una poesia di un'intensità straordinaria. La mamma ovviamente era un argomento controcorrente per i suoi anni, era totalmente avulso da un periodo così politicizzato. Però in quella poesia Pasolini c'era tutto: era il suo linguaggio, la sua storia, e diceva anche di quegli anni. (Luca Barbarossa)
  • Pur avendo sempre apprezzato il linguaggio scorrevole e penetrante del Pasolini, provammo un senso di repulsione anche per i suoi scritti quando lo sentimmo vantarsi, con quella sua voce di intellettuale raffinato, quasi di giovane studente, di essersi stancato il braccio per procurare piacere a decine di giovani – i quali, per lo più, accettavano queste premure per compenso in denaro. E la sua tragica fine ci parve l'adeguato sigillo alla sua condotta di vita, una nemesi implacabile per chi troppo apertamente sfida quelle che, forse per retorica, forse per consuetudine, sono chiamate leggi di natura. (Valentino Brosio)
  • Quando ho sentito la notizia alla radio ho avuto un primo moto di rimorso: mesi fa, a proposito del suo articolo sull'aborto, lo avevo attaccato con cosciente cattiveria, e lui se ne era molto risentito, contrattaccando (una sola battuta nel corso di un'intervista) con altrettanta cattiveria. E al saperlo morto ammazzato, così bruttamente, ho avuto un sentimento di colpa, come se quei segni sul suo corpo fossero le tracce di un lungo linciaggio, a cui anch'io avevo preso parte. (Umberto Eco)
  • Quando penso a Pasolini, a come agiva rispetto alla società, alle cose, mi stimo molto poco. (Massimo Troisi)
  • Seppi la notizia dal telegiornale delle 13 e 30, una domenica di novembre, mentre ero a pranzo da amici. Molti di noi piangevano, tutti rimanemmo sconvolti come raramente mi ricordo mi sia capitato di cogliere, considerando quanto munita fosse già allora la crosta di indifferenza con la quale ci difendevamo dal mondo. Per quanto mi riguarda (per quanto sento) la morte di Pier Paolo Pasolini è uno degli avvenimenti più significativi e commoventi di questo secolo. E giusto o sbagliato fosse il suo populismo, corretta o esagerata la sua percezione del moderno come catastrofe antropologica, credo che nessun intellettuale o artista italiano contemporaneo abbia così fortemente affrontato l'epoca fino a farsene divorare, fino a distruggersi. Per queste ragioni, e per la nostalgia struggente che ho per la sua scrittura acuminata e accesa e perfino per il suo viso e la sua voce, mi chiedo se il vero e grande scandalo sia la sciatta negligenza con la quale si è indagato sulla sua fine, e non piuttosto il fatto che non esista una piazza o una strada o una scuola d'Italia dedicata al suo poeta, vissuto per le sue strade, anzi nel punto indeterminato, annichilente nel quale tutte le strade, perfino quelle di periferia, si interrompono. (Michele Serra)
  • Solo per i cattolici un martire è anche automaticamente un santo. Noi possiamo averti come martire senza l'obbligo di santificarti. (Piergiorgio Paterlini)
  • Sono cinquanta, quasi sessant'anni che io provo ammirazione ed interesse per tutto ciò che è nuovo, per ogni manifestazione di avanguardia. Beh, non credo davvero mi si possa accusare di conservatorismo o altro se dico che certe volte questo Pasolini non mi convince proprio, mi dà l'idea d'un De Amicis dell'era atomica. (Aldo Palazzeschi)
  • Storie da Pasolini nelle macchine strette | con dietro i sedili dei bambini e le sigarette (Enrico Ruggeri)
  • Sull'atroce morte di Pasolini s'è scritto tutto; ma sulle ragioni per cui egli non ha potuto non andarle incontro, penso quasi nulla. Cosa lo spingeva, la sera o la notte, a volere e a cercare quegli incontri? La risposta è complessa, ma può agglomerarsi, credo, in un solo nodo e in un solo nome: la coscienza e l'angoscia dell'essere diviso, dell'essere soltanto una parte di un'unità che, dal momento del concepimento, non è più esistita; insomma, la coscienza e l'angoscia dell'essere nati e della solitudine che fatalmente ne deriva. La solitudine, questa cagna orrenda e famelica che ci portiamo addosso da quando diventiamo cellula individua e vivente e che pare privilegiare coloro che, con un aggettivo turpe e razzista, si ha l'abitudine di chiamare "diversi". Allora, quando il lavoro è finito (e, magari, sembra averci ammazzati per non lasciarci più spazio altro che per il sonno e magari neppure per quello); quando ci si alza dai tavoli delle cene perché gli amici non bastano più; quando non basta più nemmeno la figura della madre (con cui, magari, s'è ingaggiata, scientemente o incoscientemente, una silenziosa lotta o intrico d'odio e d'amore) e si resta lì, soli, prigionieri senza scampo, dentro la notte che è negra come il grembo da cui veniamo e come il nulla verso cui andiamo, comincia a crescere dentro di noi un bisogno infinito e disperante di trovare un appoggio, un riscontro; di trovare un "qualcuno"; quel "qualcuno" che ci illuda, fosse pure per un solo momento, di poter distruggere e annientare quella solitudine; di poter ricomporre quell'unità lacerata e perduta. (Giovanni Testori)
  • Una delle ragioni che mi incuriosiva con lui e che mi metteva contemporaneamente in soggezione, era che avvertivo in lui una certa duplicità di sentimenti e di idee. Si sentiva molto attratto dal mondo dei ragazzotti di strada senza casa, ma aveva avuto e aveva un rapporto forte con la madre e un'educazione di media borghesia. Era un essere alla ricerca di risposte per sé stesso, più che per gli altri: degli altri gli importava veramente molto poco. (Marina Cicogna)
  • Una figura lo aveva sempre ossessionato: Cristo deriso, sputato, colpito, lapidato, inchiodato, ucciso sulla croce. Facendo film, scrivendo e vivendo, egli cercava soltanto di venire lapidato ed ucciso, come la pietra dello scandalo, la pietra d'inciampo, che viene respinta dalla società umana. Ma Cristo morì per salvare gli uomini. Lui sapeva di non potere salvare nessuno, tanto meno se stesso. Voleva soltanto conoscere la morte atroce, immotivata, vergognosa – la vera morte, non quella lenta e pacifica che noi sopportiamo nei nostri letti educati –: la morte che aveva sempre reso terribile la sua dolcezza. (Pietro Citati)
  • Uno col suo coraggio e la sua sfacciataggine non l'ho mai incontrato. Purtroppo il mondo è cambiato. Odiava borghesia e consumismo, diceva che saremmo tornati al baratto. (Ninetto Davoli)
  • Aveva capito come e perché Teorema dovevo farlo soltanto io. Perché c'era un rapporto molto preciso tra me e la terra, che io ignoravo. Io gli dissi di no. Siamo andati avanti a litigare quasi un mese. Lui era incazzato duro. Avrebbe rinunciato al film. Era furioso. Era così convinto. Non lo potevi schiodare da quell'idea. Poi era molto riottoso nel dare spiegazioni. Non voleva spiegarmi. Io gli chiedevo che cazzo c'entrassi con questa serva, con la fronte bassa e le sopracciglia folte... Esistevano delle idee molto chiare al di sotto, nitide e profonde. È stata un'esperienza molto strana. Mi ha molto turbata.
  • In Italia, nei primi anni, le istituzioni non ne volevano sapere di Pier Paolo: io le aggiravo e le raggiravo grazie ad una sapiente recitazione.
  • Non è mai stato un regista, ma è stato qualcosa di più. Quel di più andava conosciuto.
  • Non potevo neanche prendere in considerazione il fatto di avere una reale storia con Pier Paolo, no, mi faceva in qualche modo orrore. La sua omosessualità mi dava un disagio interiore che... un senso di grande disagio.
  • Il tormento nasceva dall'inestricabile intreccio dentro di lui di spiritualità, omosessualità, bisogno di fede, angoscia del peccato.
  • Moravia mi raccontò che quando erano andati insieme a Bombay, Pasolini usciva ogni sera in cerca di ragazzini prostituti: si può immaginare quali pericoli questo comportasse, in una metropoli come Bombay. Io lo chiamo coraggio, anzi eroismo.
  • Pasolini mi colpiva come un grande personaggio da tragedia. Non aveva paura della morte, viveva della morte.
  • Pensai a un personaggio uscito dall'Inferno di Dante: era magrissimo, il viso ossuto, gli occhi immensi, la bocca vuota quasi da morto; indossava un incongruo completo gessato da quattro soldi. Il tormento era già espresso lì, nella sua presenza.
  • [Sul periodo di maggiore interesse delle opere pasoliniane] Senza dubbio il primo periodo, il periodo friulano, quando la sua freschezza, la sua forza e autenticità non sono ancora intaccate da certe sovrastrutture culturali e manieriste che vennero più tardi.
  • Una comunione di tipo quasi mistico. È stata la persona che mi ha dato di più. Non sul piano intellettuale: su quello emozionale.
  1. Citato in Valeria Merlini, Fulvio Abbate, "Pier Paolo Pasolini raccontato ai ragazzi", Panorama.it.
  2. Da una lettera inviata nel 1975 al direttore de Il Mondo Antonio Ghirelli e riportata in Bisognerebbe processare i gerarchi Dc, Il Mondo, 28 agosto 1975; citato in Saggi sulla politica e sulla società, Mondadori, Milano, 1999.
  3. a b c Citato in Wu Ming 1, La polizia contro Pasolini, Pasolini contro la polizia Internazionale.it, 29 ottobre 2017.
  4. Da una lettera a Silvana Mangano, protagonista del suo film Teorema, per chiederle perdono dello scandalo che il film aveva suscitato, pubblicata su Il Tempo Illustrato nel 1968; citata in Adele Cambria, Mangano Silvana, in AA.VV., Italiane. Dagli anni Cinquanta ad oggi (1951-2011), www.150anni.it
  5. Citato in I Trulli di Alberobello, tesori Unesco nel cuore della Puglia, adnkronos.com, 7 steembre 2017.
  6. Da Lettera accompagnatoria a Scheiwiller (e ai lettori); in Biagio Marin, Solitàe, poesie scelte a cura di Pier Paolo Pasolini, Scheiwiller, Milano, 1961.
  7. Da un'intervista con Oriana Fallaci, L'Europeo, 13 ottobre 1966.
  8. Citato più estesamente in Andrea Geremicca, Oltre la città, Napoli angoscia e speranza, Guida Editori, Napoli, , 1977, p. 52.
  9. Da Empirismo eretico, citato in Thomas Jefferson Kline, I film di Bernardo Bertolucci: cinema e psicanalisi, traduzione di Marcello Cavagna, Gremese, Roma, 1994, p. 29. ISBN 88-7605-797-8
  10. Per le riprese del Decamerone.
  11. Da Piero Spila, Pier Paolo Pasolini, Gremese Editore, Roma, 19991. ISBN 88-7742-195-9, p. 99
  12. Citato in Valerio Piccioni, Quando giocava Pasolini, p. 26.
  13. Da Saggi sulla letteratura e sull'arte; citato in Cesare Prandelli, Giuseppe Calabrese, Il calcio fa bene, Giunti, Firenze, 2012, p. 7. ISBN 88-0977-801-6
  14. Citato in Riccardo Nencini, Il giallo e il rosa. Gastone Nencini e il ciclismo negli anni della leggenda, Giunti, Firenze, 1998, p. 16. ISBN 88-0921-397-1
  15. Dall'intervista di Furio Colombo, Siamo tutti in pericolo: l'ultima intervista, poche ore prima della tragica fine, Tuttolibri, 8 novembre 1975, p. 3.
  16. Da un'intervista rilasciata al mensile Leggere nel 1960; citato in Pierluigi Battista, Pasolini contro la tv di Veltroni, La Stampa, 5 dicembre 1995.
  17. Da Che fare col «buon selvaggio», L'illustrazione italiana; citato in Francesco Cataluccio, Ripensando Pasolini, ilPost.it, 30 ottobre 2015.
  18. 8 marzo 1960; citato in Strategia di una rapina - Rassegna stampa, mymovies.it.
  19. Citato in Paolo Conti, Mare & amore a Ischia. Un mito da Boccaccio alle due amiche geniali, Corriere della Sera, 23 agosto 2017, p. 10.
  20. Dall'intervista di Enzo Biagi nella puntata del 27 luglio 1971 (che non andò mai in onda) del programma televisivo Terza B, facciamo l'appello.
  21. a b Da un'intervista televisiva citata in un cartello museale della mostra Parlami, Terra! tenutasi all’Open Air Museum di Göreme nel castello di Uçhisar, in Cappadocia. Fonti su Commons: #1 e #2.
  22. Da una trasmissione televisiva del 1971 condotta da Enzo Biagi. Citato in Giuseppe Mariuz. La meglio gioventù di Pasolini, Campanotto Editore, Udine, 1993. ISBN 88-456-1480-8. In "La meglio gioventù di PPP" in un libro-documento di Giuseppe Mariuz (1993), centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it
  23. Da Le belle bandiere. Dialoghi 1960–1965, a cura di Gian Carlo Ferretti, Editori Riuniti, Roma, 1996, p. 137.
  24. Da un'intervista; presente in un video su RaiNews.it.
  25. Citato in Enzo Siciliano, Il mio corpo nella lotta, Corriere della Sera, 22 ottobre 1992.
  26. Citato in Giulio Sapelli, Modernizzazione senza sviluppo. Il capitalismo secondo Pasolini, goWare, Firenze, 2015, p. 41. ISBN 88-6797-336-1
  27. Dall'intervista di Dacia Maraini, I ricordi come i sogni, Vogue Italia, maggio 1971; citato in Povera Italia. Interviste e interventi, 1949-1975, a cura di Angela Molteni, Kaos, Milano, 2013. Citato anche in Francesco Cataluccio, Ripensando Pasolini, ilPost.it, 30 ottobre 2015.
  28. Da Abiura dalla Trilogia della vita, Corriere della Sera, 9 novembre 1975; citato in Trilogia della vita. Le sceneggiature originali de Il Decameron, I racconti di Canterbury, Il Fiore delle Mille e una notte, Garzanti, Milano, 1995, p. 773.
  29. Citato in Angelo Perrone, Alla Galleria Nazionale di Roma, le vibrazioni del Sessantotto in mostra, La Voce di New York, 5 novembre 2017.
  30. Dall'intervista di Dacia Maraini, Ma la donna non è una slot machine, l'Espresso, 22 ottobre 1972.
  31. Da Corpi e luoghi.
  32. Da Dialoghi con Pasolini, Vie Nuove, n. 42, 28 ottobre 1961.
  33. Da I nitidi trulli di Alberobello, Il Quotidiano, 18 marzo del 1951, citato in Antonio Castronovi, L'illusione del progresso è finita, comune-info.net, 3 marzo 2016; riportato in Progresso e sviluppo secondo PPP, una riflessione di Antonio Castronovi, centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it, 18 luglio 2016.
  34. a b Da Autobiografia, l'Unità, 4 novembre 1975.
  35. Dalla rubrica Il Caos, Lettera al Presidente del Consiglio, Tempo, anno XXX, n. 39, 21 settembre 1968; citato in Wu Ming 1, La polizia contro Pasolini, Pasolini contro la polizia Internazionale.it, 29 ottobre 2017.
  36. Da Affabulazione, Einaudi, Torino, 1992.
  37. Dalla rubrica su Vie Nuove del 31 dicembre 1960; in Le belle bandiere, a cura di Gian Carlo Ferretti, l'Unità/Editori Riuniti, Roma, 1991, p. 77.
  38. Citato in Ivan Carozzi, Pasolini contro Sanremo, IlTascabile.com, 7 febbraio 2023.
  39. Citato in Valerio Piccioni, Quando giocava Pasolini.
  40. Da Appunti per un saggio su Biagio Marin; prefazione a Biagio Marin, La vita xe fiama, a cura di Claudio Magris, Einaudi, Torino, 1982. ISBN 88-06-05365-5
  41. Citato meno estesamente in Marco Antonio Bazzocchi, Pier Paolo Pasolini, Bruno Mondadori, Milano, 1998, p. 34. ISBN 88-424-9460-7; citato anche in Francesco Cataluccio, Ripensando Pasolini, ilPost.it, 30 ottobre 2015.
  42. Citato in Marco Antonio Bazzocchi, Pier Paolo Pasolini, Bruno Mondadori, Milano, 1998, p. 34. ISBN 88-424-9460-7
  43. Dal processo per oscenità presenti nel film Teorema; citato in Stefano Rodotà, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Feltrinelli, Milano, p. 272.
  44. Citato nel film del 2006 Pasolini prossimo nostro.
  45. Da Poeta delle ceneri.
  46. Da Saluto e augurio, in La nuova gioventù; in Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 2003, p. 517.
  47. Da Luisella Re, Pasolini: Il nudo e la rabbia, Stampa sera, 9 gennaio 1975.
  48. Da La lunga strada di sabbia, Mondadori, 1998, edito successivamente da Contrasto. Citato in Il viaggio di Pasolini in Sicilia. Non c'è dubbio, non c'è il minimo dubbio che vorrei vivere qui: di gioia; ragusanews.com, 2 novembre 2010.
  49. Da Nuove questioni linguistiche, Rinascita, 26 dicembre 1964, p. 19.
  50. Da Enzo Biagi intervista Pier Paolo Pasolini, La Stampa, 4 gennaio 1973; citato in Valerio Piccioni, Quando giocava Pasolini, p. 3.
  51. Citato in Giulio Nascimbeni, Compagna di viaggio del figlio poeta, Corriere della Sera, 3 febbraio 1981, riprodotto in Susanna Colussi, la madre del poeta Pasolini, cittapasolini.com.
  52. Dalla risposta a un lettore, Vie Nuove, 15 luglio 1961.
  53. Dichiarazione rilasciata nel programma Rai Anteprima settimanale dello spettacolo, 21 marzo 1966; citato in Erminia Passannanti, Singolo e comunità nel film Uccellacci e uccellini di Pier Paolo Pasolini, Joker Edizioni, Novi Ligure, 202o, p. 13. ISBN 9798552856947
  54. Citato in Marco Pastonesi e Giorgio Terruzzi, Palla lunga e pedalare, Dalai Editore, 1992, p. 99. ISBN 88-8598-826-2.
  55. Da un'intervista rilasciata a Il Giorno, 3 gennaio 1971; citato in Il portiere caduto alla difesa. Il calcio e il ciclismo nella letteratura italiana del Novecento, a cura di Folco Portinari, Manni, Lecce, 2005, pp. 53–58. ISBN 88-8176-643-4
  56. (EN) Citato in The Selected Poetry of Pier Paolo Pasolini: A Bilingual Edition, traduzione e cura di Stephen Sartarelli, con una prefazione di James Ivory, The University of Chicago Press, Chicago, 2014, p. 242. ISBN 978-0-226-12-116-1
  57. Da Lettere luterane, in Saggi sulla politica e sulla società, Mondadori, Milano, 1999; citato in Gennariello e i miei "amici-scugnizzi".
  58. Da Lo scandalo radicale, intervento preparato per il Congresso del Partito Radicale del novembre 1975, ma che non fu mai letto a causa dell'uccisione di Pasolini due giorni prima dell'evento.
  59. Citato in Tuttavia il fondo del mio insegnamento..., Gliscritti.it.
  60. Citato in Pier Paolo Pasolini: In Living Memory, a cura di Benjamin Lawton e Maura Bergonzoni, New Academia Publishing, Washington, 2014, p. 254. ISBN 978-0-9818654-1-6
  61. Citato in Giovanni Casoli, Novecento letterario italiano ed europeo: autori e testi scelti, Città Nuova, Roma, 2002, vol. 2, p. 114. ISBN 88-311-9264-7
  62. Dall'intervista di Massimo Fini, L'Europeo, 26 dicembre 1974.
  63. Citato in Roberto Carnero, Pier Paolo Pasolini: le "profezie" di un corsaro apocalittico, l'Unità, 25 settembre 2010; citato anche in Enzo Bianchi, Spezzare il pane. Gesù a tavola e la sapienza del vivere, Einaudi, Torino, 2015.

Bibliografia

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  • Pier Paolo Pasolini, I film degli altri, a cura di Tullio Kezich, Guanda, Parma, 1996. ISBN 88-7746-860-2
  • Pier Paolo Pasolini, Il caos. L'«orrendo universo» del consumo e del potere, a cura di Gian Carlo Ferretti, Editori Riuniti, Roma, 1998. ISBN 88-3594-014-1
  • Pier Paolo Pasolini, L'odore dell'India, Garzanti Libri s.r.l., Milano, edizione digitale, 2014, ISBN 978-88-11-14024-5
  • Pier Paolo Pasolini, L'usignolo della Chiesa Cattolica, in Poesie scelte, a cura di Nico Naldini e Francesco Zambon, TEA, Milano, 1997. ISBN 88-7818-113-7
  • Pier Paolo Pasolini, La Divina Mimesis, Mondadori, Milano, 2006.
  • Pier Paolo Pasolini, La meglio gioventù: poesie friulane, Sansoni, Firenze, 1954.
  • Pier Paolo Pasolini, La religione del mio tempo, in Poesie scelte, a cura di Nico Naldini e Francesco Zambon, TEA, Milano, 1997. ISBN 88-7818-113-7
  • Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci, in Poesie scelte, a cura di Nico Naldini e Francesco Zambon, TEA, Milano, 1997. ISBN 88-7818-113-7
  • Pier Paolo Pasolini, Lettere luterane, l'Unità-Einaudi, Roma, 1991.
  • Pier Paolo Pasolini, Poesia in forma di rosa, in Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 2003, vol. I.
  • Valerio Piccioni, Quando giocava Pasolini. Calci, corse e parole di un poeta, Limina, Arezzo, 1996. ISBN 88-8671-303-7
  • Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, Garzanti, Milano, 1955.
  • Pier Paolo Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, Mondadori, Milano.
  • Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, Garzanti, Milano, 1973.
  • Pier Paolo Pasolini, Trasumanar e organizzar, in Poesie scelte, a cura di Nico Naldini e Francesco Zambon, TEA, Milano, 1997. ISBN 88-7818-113-7
  • Pier Paolo Pasolini, Trasumanar e organizzar, Garzanti, Milano, 2014. ISBN 978-88-11-14020-7
  • Pier Paolo Pasolini, Una vita violenta, prefazione di Giuseppe De Robertis, Garzanti, Milano, 2014. ISBN 978-88-11-13990-4

Filmografia

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Voci correlate

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