Mario Corso

allenatore di calcio e calciatore italiano (1941-2020)

Mario Corso (1941 – 2020), calciatore e allenatore di calcio italiano.

Mario Corso (2008)

Citazioni di Mario Corso

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  • [Sulla Grande Inter] L'Inter di quel periodo era un gruppo compatto, valido e coeso, con tanti campioni a disposizione. Il presidente, Angelo Moratti, fu molto bravo ad amalgamare la nostra compagine. Abbiamo vinto tutto e non poteva che andare così, eravamo fortissimi.[1]
  • Meglio un piede solo che due scarsi, è il mio motto.[2]
  • Quando Frustalupi venne ingaggiato dalla Lazio, io ho sostenuto che quello sarebbe stato, a lungo andare, il più importante colpo del mercato. Adesso credo che siano tutti a darmi ragione. Ma io non sono un indovino, sono uno che il calcio lo conosce abbastanza per poter definire Frustalupi un campione.[3]
  • Tanti ma se devo fare una classifica dubbi non ne ho: Pelé è stato il più grande giocatore di tutti i tempi. Inimitabile. Fortissimo di piede e di testa. Classe e fisico. Corsa e resistenza. Sostanza e fantasia. Che roba, ragazzi. A quei tempi capitava di incontrarlo in amichevole perché Inter e Santos erano il massimo e in tanti pagavano il biglietto per vederle. Lo incrociai anche con la Nazionale. Pelé aveva molta simpatia per me, avevamo un buon rapporto, era simpatico, sempre sorridente. Della mia epoca, il più grande calciatore con cui mi sia confrontato. E non credete a chi dice che avrebbe fatto male in Europa: uno così fa bene ovunque.[2]
  • [Sulle sue punizioni] Tutta colpa del mio primo allenatore, Nereo Marini da San Michele Extra, il paese dove sono nato. Si fissò sulle mie qualità di tiratore da fermo e mi costrinse, giovanissimo, a esercitarmi quotidianamente per 40 minuti alla fine di ogni allenamento. Tiri su tiri. Così nacque la foglia morta.[2]

Citazioni su Mario Corso

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  • Corso gioca un calcio in poesia, ma non è un «poeta realista»: è un poeta un po' maudit, extravagante. (Pier Paolo Pasolini)
  • La mia prima espulsione di grido è stata a Corso, il capitano dell'Inter. Era la seconda volta che andavo a San Siro, e quando succede un arbitro si sente importante, è po' come essere Muti sul palco della Scala. Era un Inter - Verona, partita che sulla carta l'Inter doveva vincere 3 o 4 a 0. E invece non riusciva a segnare. Allora c'era molta sudditanza psicologica, ma a me non importava, e quando l'Inter faceva fallo io lo fischiavo. Così, all'ennesimo fallo, mi si avvicina Corso e dice: "Lei pensa di andare avanti ancora un po'? se continua così lei non mette più piede a San Siro!", "A io no? Pedala, vai fuori!", "Come! Ma lei non sa chi sono io!", "Non mi importa, vai fuori, il numero 10, pedala!". San Siro era fuori di testa! E Corso ha preso 5 domeniche! (Alberto Michelotti)

  Citazioni in ordine temporale.

  • Un pezzo fondamentale della Grande Inter, se vogliamo l'irregolare di quella squadra. Era diverso da tutti gli altri. Aveva un suo pubblico di devoti e fedelissimi, c'era una sorta di grande chiesa che lo seguiva. È stato un giocatore divisivo: c'era chi lo amava tantissimo, pendeva dalle giocate di sinistro e dalle punizioni a 'foglia morta' ovvero una sorta di copyright. Altri come il "Mago" Herrera oppure Mazzola, dal rapporto abbastanza dinamico, [...] non lo accolsero sempre così.
  • Un calciatore straordinario [...]. Estroso, creativo, istintivo. Un rapporto unico con l'Inter [...]. Per i più giovani, con le proporzioni dovute, fu un po' Recoba per Massimo Moratti. Per papà Angelo era così: genio, passione e protezione. Ogni estate Herrera lo metteva tra i partenti ma Angelo Moratti lo toglieva, non si poteva toccare.
  • È stato uno dei più grandi calciatori italiani degli anni '60 e in parte dei '70. [...] Aveva caratteristiche di fantasista puro: giocava con maglia numero 11, trequartista, partiva da destra per colpire col sinistro. Il suo idolo era Sivori: portava i calzettoni abbassati come omaggio, diventò una rappresentazione di sé. Quel sinistro era figlio della sensibilità nel piede. Corso era inoltre cosciente che dal punto di vista fisico era inferiore [...]. Suppliva a questa carenza con colpi e invenzioni uniche. Nell'immaginario è diventato il più fantasioso di quell'Inter nonostante la presenza di Mazzola e Suarez [...]. Era la fantasia allo stato puro, ecco perché i Moratti da intenditori lo hanno sempre amato. Un grandissimo protagonista, di grande rilievo. Nella storia del calcio uno spazio importante è suo.
  • Corso era il più diverso, ancora, per questi motivi: vocina chioccia, occhi di chi s'è appena alzato dal letto, numero 11 sulla schiena ma non era un'ala sinistra, anzi spesso giocava sulla destra per avere più porta davanti con l'unico piede buono, il sinistro. «Meglio uno buono che due scarsi». Centrocampista non era di sicuro, punta nemmeno. Oggi lo chiameremmo trequartista. Difficile trovare chi gli somigli. In parte Giggs. Non aveva un ruolo definito ma valeva il prezzo del biglietto. Era un 10 targato da 11. Coi giornalisti parlava pochissimo, in spogliatoio molto, e stava terribilmente sulle scatole al Mago [Helenio Herrera]. Che ogni anno lo metteva in testa all'elenco di quelli da cedere e ogni anno Angelo Moratti gli diceva che non era il caso.
  • E bisogna essere grati a Corso, perché la foglia morta sopravvive ancora in un mucchio di cannonate, spingardate, siluri, missili, fucilate. È una presenza gentile e lieve, va dove la porta il vento così come Corso andava dove lo portava l'estro. Insofferente agli schemi, anarchico, imprevedibile, lunatico, geniale, per noi Mario Corso era la libertà, ma non lo sapevamo.
  • Era fatto così: indisponente quando, sotto il sole, in campo giocava nella zona d' ombra. Ma sempre con un colpo a sorpresa nascosto da qualche parte, da vero prestipedatore.
  • Mai stato bugiardo, Corso ha ammesso di non averlo letto tutto, ma, con grande piacere, solo le parti che lo riguardavano. Ora si può discutere se sia più importante ispirare un libro o leggerlo. Oppure si possono rivedere dei gol di Corso (nell'Inter, 94 in 502 partite), belli e beffardi anche a distanza di mezzo secolo. O, ancora, ricordare che a Milano un paio di generazioni pendenti a sinistra ha affiancato la bandiera nerazzurra a quella rossa solo perché nell'Inter c'era Corso. Tanti campioni, ma Corso era il più diverso, nel senso che tutto sembrava tranne un grande giocatore. Un fil di ferro con le orecchie a sventola, pochi capelli, un'aria ciondolona, i calzettoni abbassati sulle caviglie (a cacaiola, avrebbe chiosato Brera). Era il suo omaggio a Sivori, che con dribbling e tunnel lo entusiasmava. Quando Corso se lo trovò di fronte, gli fece un tunnel.
  1. Da un'intervista a inter.it; citato in Alessandro Caltabiano, Corso: "Grande Inter? Squadra unica, doveva vincere. Vi racconto la prima Champions", interlive.it, 27 maggio 2014.
  2. a b c Dall'intervista di Giovanni Marino, La vita mancina di Mario Corso: "Io, tra Herrera, Pelè e Berselli", repubblica.it, 21 aprile 2010.
  3. Citato in FRUSTALUPI Mario: l'uomo di un altro calcio, storiedicalcio.altervista.org.

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