Victor Hugo

scrittore, poeta, drammaturgo e politico francese (1802-1885)
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Victor-Marie Hugo (1802 – 1885), drammaturgo, poeta e romanziere francese.

Victor Hugo

Citazioni di Victor Hugo

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  • Ah! Non insultate mai la donna che cade! Chissà sotto quale fardello quella povera anima soccombe![1]
Ah! N'insultez jamais une femme qui tombe! Qui sait sous quel fardeau la pauvre âme succombe!
  • Alla zampa di ogni uccello che vola è legato il filo dell'infinito.[2]
  • Amare è la metà di credere.[3]
  • Ammiriamo i maestri, però senza imitarli.[4][5]
  • Bordeaux è una città singolare, originale, forse unica. Prendete Versailles e mescolateci Anversa, avete Bordeaux.
Bordeaux est une ville curieuse, originale, peut-être unique. Prenez Versailles et mêlez-y Anvers, vous avez Bordeaux.[6]
  • Chi dà ai poveri presta a Dio.
Qui donne aux pauvres, prête à Dieu.[7]
  • Ciò che non si può dire e ciò che non si può tacere, la musica lo esprime.[8]
Ce qu'on ne peut dire et ce qu'on ne peut taire, la musique l'exprime.[9]
  • Ciò che Parigi consiglia, l'Europa lo medita; ciò che Parigi comincia, l'Europa lo continua.
Ce que Paris conseille, l'Europe le médite; ce que Paris commence, l'Europe le continue.[10]
  • Date, ricchi! L'elemosina è sorella della preghiera.[11][5]
  • Dio è l'invisibile evidente.[12]
  • Dio s'è fatto uomo. Il diavolo s'è fatto donna.
Dieu s'est fait homme; soit. Le diable s'est fait femme![13]
  • Dite che il poeta è tra le nuvole, ma tra le nuvole è anche la folgore.[14]
  • Dono tutti i miei manoscritti e tutto ciò che si troverà di scritto o di disegnato da me medesimo alla biblioteca nazionale di Parigi che sarà un giorno la Biblioteca degli Stati Uniti d'Europa.[15]
  • Dovette esser lieto Murat quando dal trono ricordava la scuderia e Neuilly, ricordando la botteguccia nel maresciallato di Francia; ma più lieto sono io per questa mia ascensione dalle tenebre alla luce, più lieto di ricordare quelle tenebre quando il passaggio da esse alla luce fu fatto a prezzo di sagrifici e di dolori, lasciando ad ogni passo un brandello di carne, e quando queste parole io le posso scrivere dall'esilio.[16]
  • Ero bambino, ero piccino, ero crudele.[17][5]
  • Garibaldi. Cos'è questo Garibaldi? È un uomo, niente più. Ma un uomo in tutta l'estensione sublime della parola: l'uomo della libertà, l'uomo dell'umanità. «Vir», direbbe il suo compatriota Virgilio.[18]
Garibaldi. Qu'est-ce que c'est que Garibaldi? C'est un homme, rien de plus. Mais un homme dans toute l'acception sublime du mot. Un homme de la liberté; un homme de l'humanité. Vir, dirait son compatriote Virgile.[19]
  • Gli ingenui animali dialogizzano fra loro. E sempre, si tratti del gufo tenebroso, dell'orso che si sente brontolare, dell'asino che si ode ragliare, o dell'oca che apostrofa il dindo, suo fratello maggiore, o della vespa che insulta l'ape sull'Ibla, la loro balordaggine somigliò allo spirito dell'uomo.[20]
  • Grattate il giudice, troverete il boia.[21][5]
  • [Riferendosi a La Palingenesi di Mario Rapisardi] Ho letto, signore, il vostro nobile poema. Siete un precursore...[22]
J'ai lu, monsieur, votre noble pòeme. Vous ètes un prècurseur...
  • I veri grandi scrittori sono quelli il cui pensiero occupa tutti gli angoli e le pieghe del loro stile.[23][24]
  • Il Settecento è Voltaire.[25]
  • Inferno cristiano, di fuoco. Inferno pagano, di fuoco. Inferno musulmano, di fuoco. Inferno hindu, in fiamme. A credere nelle religioni, Dio è un rosticciere.
Enfer chrétien, du feu. Enfer païen, du feu. Enfer mahométan, de feu. Enfer hindou, des flammes. À en croire les religions, Dieu est né rôtisseur.[26]
La popularité, c'est la glorie en gros sous.
  • La religione non è altro che l'ombra gettata dall'universo sull'intelligenza umana.[29][24]
  • Ne lascio e dei migliori.[30]
J'en passe et des meilleurs.
  • Quel che la favola ha inventato, la storia qualche volta lo riproduce.[31][24]
  • Qualche volta ho avuto contemporaneamente nelle mie mani la mano guantata e bianca che sta in alto e la grossa mano nera che è in basso, e vi ho sempre riconosciuto soltanto un uomo. Dopo che tutto questo mi è passato davanti io dico che l'umanità ha un sinonimo: eguaglianza; e che sotto il cielo vi è una cosa soltanto davanti alla quale dobbiamo inchinarci: il genio; ed una soltanto davanti alla quale dobbiamo inginocchiarci: la bontà.[32]
  • Se Dio non avesse fatto la donna, | non avrebbe fatto il fiore.[33]
  • Si nasce due volte? Sì. La prima volta il giorno in cui si nasce alla vita; la seconda volta, il giorno in cui si nasce all'amore.
Naît-on deux fois? Oui. La première fois, le jour où l'on naît à la vie; la seconde fois, le jour où l'on naît à l'amour.[34]
  • Si resiste all'invasione degli eserciti; non si resiste all'invasione delle idee.
On résiste à l'invasion des armées; on ne résiste pas à l'invasion des idées.[35]
  • Siete voi il mio demonio o il mio angelo? Non lo so, ma io sono vostra schiava![36]
  • Signori, l'uomo è divino. Dio non aveva fatto che l'acqua, ma l'uomo ha fatto il vino!
Seigneurs, l'homme est divin. Dieu n'avait fait que l'eau, mais l'homme a fait le vin![37]
  • Sovente muta la donna | e ben pazzo è colui che in lei confida; | sovente la donna | non è che piuma al vento.
Souvent femme varie, | Bien fol est qui s'y fie! | Une femme souvent | N'est qu'une plume au vent![38]
  • Un amico a metà è un mezzo traditore.
La moitié d'un ami, c'est la moitié d'un traître.[39]

Attribuite

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  • Dinanzi al genio non si cavilla.[41]
On ne chicane pas le génie.
  • Nel XX secolo ci sarà una nazione straordinaria. Questa nazione sarà grande e ciò non le impedirà di essere libera. Sarà illustre, ricca, pensante... Avrà la gravità dolce della primogenita... Questa nazione si chiamerà Europa.[42]

Ammasso di pietre

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  • Comunismo. Un'uguaglianza di aquile e di passerotti, di colibrì e di pipistrelli, che consisterebbe nel mettere tutte le ali nella stessa gabbia e tutte le pupille nello stesso crepuscolo. Non ne voglio sapere.[5]
  • La plebaglia può far solo delle sommosse. Per fare una rivoluzione ci vuole il popolo.[5]
  • La ragione del migliore è sempre la più forte.[5]

I miserabili

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Originale

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En 1815, M. Charles-François-Bienvenu Myriel était évêque de Digne. C'était un vieillard d'environ soixante-quinze ans ; il occupait le siège de Digne depuis 1806.

Quoique ce détail ne touche en aucune manière au fond même de ce que nous avons à raconter, il n'est peut-être pas inutile, ne fût-ce que pour être exact en tout, d'indiquer ici les bruits et les propos qui avaient couru sur son compte au moment où il était arrivé dans le diocèse. Vrai ou faux, ce qu'on dit des hommes tient souvent autant de place dans leur vie et souvent dans leur destinée que ce qu'ils font. M. Myriel était fils d'un conseiller au parlement d'Aix ; noblesse de robe. On contait que son père, le réservant pour hériter de sa charge, l'avait marié de fort bonne heure, à dix-huit ou vingt ans, suivant un usage assez répandu dans les familles parlementaires. Charles Myriel, nonobstant ce mariage, avait, disait-on, beaucoup fait parler de lui. Il était bien fait de sa personne, quoique d'assez petite taille, élégant, gracieux, spirituel ; toute la première partie de sa vie avait été donnée au monde et aux galanteries.[43]

I traduzione

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Nell'anno 1815, Carlo Francesco Benvenuto Myriel era vescovo di Digne. Vecchio di settantacinque anni occupava quella sede dal 1806. E quantunque possa sembrare inutile, non essendo un particolare necessario al nostro racconto, per non peccare di precisione, vogliamo ripetere le chiacchiere e i giudizi che correvano sul di lui conto, quando si trovava appunto al governo della sua diocesi. Tanto più che il vero o il falso attribuito agli uomini nella loro vita e nel loro destino, pesa quanto le opere loro. Il signor Myriel era figlio di un consigliere del parlamento di Aix; nobiltà dogata. Parlando di lui dicevano che il padre, tenendolo per erede del proprio ufficio, e seguendo la consuetudine delle famiglie dei membri del parlamento, lo avesse consigliato senz'altro al matrimonio a diciotto anni. Ma Carlo Myriel, nonostante il matrimonio, non aveva potuto evitare certi discorsi sul suo conto. Di persona ben fatta, se bene piuttosto piccola, elegante, gentile, spiritoso, egli aveva speso tutta la prima gioventù nei piaceri del mondo e nelle galanterie.
[Victor Hugo, I miserabili, traduttore non citato, Casa Editrice Esperia, 1862.]

E. De Mattia

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Nel 1815, monsignor Charles-François-Bienvenu Myriel era vescovo di Digne. Era un vecchio di circa settantacinque anni; occupava la sede di Digne dal 1806.
Benché questo particolare non entri affatto in ciò che ci proponiamo di raccontare, tuttavia ci pare utile, non fosse che per amor d'esattezza, accennare qui ai giudizi e alle voci corse sul suo conto quando era arrivato nella diocesi. Vero o falso che sia, ciò che si dice degli uomini ha tanta importanza nella loro vita e soprattutto nel loro destino quanta ne hanno le loro azioni. Myriel era figlio d'un consigliere al parlamento di Aix: nobiltà di toga, dunque. Si diceva di lui che suo padre, contando di lasciargli in eredità la carica, l'avesse ammogliato per tempo, a diciotto o vent'anni al più, seguendo l'usanza invalsa nelle famiglie parlamentari. Charles Myriel, nonostante il matrimonio, aveva fatto molto parlare di sé, a quanto dicevano. Di bell'aspetto sebbene un po' piccolo, elegante, simpatico, intelligente, dedicò tutta la prima parte della sua vita alle galanterie del secolo.
[Victor Hugo, I miserabili, traduzione di E. De Mattia, Newton Compton editori, 2004.]

Gastone Toschi

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Nel 1815, Carlo Francesco Benvenuto Myriel era vescovo di Digne. Era un vecchio di circa settantacinque anni; occupava la sede di Digne dal 1806.
Benché questo particolare non entri affatto in ciò che ci proponiamo di raccontare, tuttavia ci pare utile, non fosse che per amor d'esattezza, far cenno qui del rumore e delle voci che eran corse sul suo conto quando era arrivato nella diocesi.
[Victor Hugo, I miserabili, traduzione di Gastone Toschi, Bietti, 1966.]

Renato Colantuoni

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Nel 1815, era vescovo di Digne monsignor Charles François Bienvenu Myriel, un vecchio di circa settantacinque anni, che occupava quel seggio dal 1806.
Sebbene questo particolare abbia poco a che fare con ciò che racconteremo, non sarà forse inutile, sia pure solo per essere del tutto precisi, accennare qui alle voci ed ai discorsi che correvano sul suo conto, nel momento in cui era arrivato nella diocesi. Vero o falso che sia, quel che si dice degli uomini occupa spesso altrettanto posto nella loro vita, e soprattutto nel loro destino, quanto quello che fanno. Monsignor Myriel era figlio d'un consigliere del parlamento d'Aix: nobiltà di toga, dunque. Si raccontava di lui che suo padre, nell'intenzione di fargli ereditare la propria carica, gli aveva dato moglie prestissimo, secondo una consuetudine abbastanza diffusa tra le famiglie dei membri del parlamento. Malgrado quel matrimonio, si diceva, Charles Myriel aveva fatto molto parlare di sé. Ben fatto nella persona, sebbene di statura alquanto piccola, elegante, simpatico e intelligente, aveva speso tutta la prima parte della sua vita e nel bel mondo e negli intrighi amorosi.
[Victor Hugo, I miserabili, a cura di Renato Colantuoni, Garzanti, 1981.]

Citazioni

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  • Riponete la nostra speranza in colui al quale nessuno succederà.
  • Solo i combattenti della prima ora hanno il diritto di essere gli sterminatori dell'ultima.
  • Coll'animo e il pensiero interamente assorti in quelle grandi cose misteriose che Dio mostra di notte agli occhi che restano aperti.
  • V'è uno spettacolo più grande del cielo, ed è l'interno dell'anima.
  • I popoli sono grandi all'infuori delle tristi avventure della spada [...] spesso la perdita d'una battaglia significa conquista d'un progresso. Meno gloria e più libertà: tace il tamburo e prende la parola la ragione.
  • L'intera società umana: da un lato l'invidia, dall'altro il disprezzo.
  • Cent'anni sono la vecchiaia, per una casa, sebbene siano la gioventù, per una chiesa.
  • Quanto a noi, rispettiamo in qualche punto e risparmiamo il passato, purché acconsenta a esser morto; se vuol essere vivo, l'attacchiamo e cerchiamo d'ucciderlo.
  • La morte gli apparve colle spalle d'ufficiale superiore, le fece quasi il saluto militare.
  • L'anima è il solo uccello che sollevi la gabbia del corpo.
  • Dall'egoismo dell'uomo che soffre, passò alla compassione dell'uomo che medita.
  • Le nostre chimire sono quelle che più ci somigliano, e ciascuna sogna l'ignoto e l'impossibile secondo la propria natura.
  • Chi ha visto la miseria dell'uomo non ha visto nulla, perché bisogna vedere quella della donna; si come chi ha visto la miseria della donna non ha visto nulla, poiché bisogna vedere quella del fanciullo.
  • Sono rari quelli che cadono senza avvilirsi, e v'è un punto del resto, in cui infelici e infami di congiungono e confondono in una sola parola fatale: i Miserabili.
  • Si è voluto, a torto, far della borghesia una classe. La borghesia è semplicemente la parte accontentata del popolo; il borghese è l'uomo che, ora, ha il tempo di sedersi.
  • L'anima che ama e soffre è l'unica sublime.
  • Colui che lo respinge come noia, l'avrà come supplizio; non vuoi essere operaio, sarai schiavo. Il lavoro vi abbandona da una parte, solo per riprendervi dall'altra.
  • Mondo non sono le locomotive, ma le idee: Le idee si faccian tirare dalle locomotive, ma non si scambi il cavallo col cavaliere.
  • Amare sostituisce quasi il pensare. L'amore è ardente oblio del resto; andate a chieder la logica alla passione!
  • Chi è feroce ha paura di chi è sinistro; e i lupi indietreggiano davanti a una gola.
  • Quando si è alla fine della vita, morire significa partire; quando si è al principio di essa, partire vuol dire morire.
  • La prova suprema, o l'unica prova, è la perdita dell'essere amato.
  • Salvarsi con quello che li ha perduti è il capolavoro degli uomini forti.
  • Il presente ha la sua quantità scusabile di egoismo, così come la vita contingente ha il suo diritto e non è tenuta a sacrificarsi continuamente all'avvenire.
  • Il chiasso non risveglia un ubriaco; il silenzio, si.
  • Sul rogo, nel naufragio, si può essere grandi; nella fiamma, come nella schiuma, è possibile un atteggiamento superbo e, sprofondando in essi, ci si trasfigura.
  • Non basta esser felici, bisogna esser soddisfatti.
  • Quando si è legati da sé, si è ben legati.
  • Certe abitudini strane, come giungere nell'ora in cui gli altri se ne vanno, farsi da parte mentre gli altri si mettono in mostra, conservare in ogni occasione quello che chiamiamo il mantello color muro, ricercare i viali solitari, preferire le vie deserte, non introdursi nelle conversazioni, evitare le folle e le foreste, parere agiato e vivere poveramente, aver sempre, per quanto ricchi, la chiave in tasca e la candela in portineria, entrare dalla porta di servizio, salire le scale furtivamente; tutte queste insignificanti singolarità. rughe, bolle d'aria, increspature fuggevoli alla superficie, provengono spesso da una profondità immensa.
  • Talvolta zappava la terra del giardino, talvolta leggeva e scriveva; e queste due specie di occupazione le chiamava con una sola frase «coltivare il giardino». «L'anima è un giardino», diceva. (Parte I, I, V)
  • La collera può essere pazza e assurda e si può essere irritati a torto; ma si è indignati solo quando, in fondo, si ha ragione per qualche aspetto. (I, II, VII; 1981)
  • [...] non vi sono né cattive erbe né cattivi uomini: vi sono soltanto cattivi coltivatori. (I, V, III; 1981)
  • Far il poema della coscienza umana, foss'anco d'un sol uomo, del più infimo fra gli uomini, sarebbe come fondere tutte le epopee in un'epopea superiore e definitiva. La coscienza è il caos delle chimere, delle cupidigie e dei tentativi, la fornace dei sogni, l'antro delle idee di cui si ha vergogna; è il pandemonio dei sofismi, è il campo di battaglia delle passioni. Penetrate, in certe ore, attraverso la faccia livida d'un uomo che sta riflettendo, guardate in quell'anima, in quell'oscurità; sotto il silenzio esteriore, vi sono combattimenti di giganti come in Omero, mischie di dragoni ed idre e nugoli di fantasmi, come in Milton, visioni ultraterrene come in Dante. Oh, qual abisso è mai quest'infinito che ogni uomo porta in sé e col quale confronta disperatamente la volontà del cervello e gli atti della vita! (I, III, VII; 1981)
  • Il matrimonio è un innesto; può attecchire o meno. (I, III, VII; 2013)
  • [...] Ella [Suor Simplice] aveva preso il nome di semplice per scelta speciale. Simplicia di Sicilia, si sa, è quella santa che preferì lasciarsi strappare due mammelle piuttosto che rispondere di esser nata a Segeste, mentre era nata a Siracusa, menzogna che l'avrebbe salvata. (I, Libro VII, cap. I p. 203; 2014)
  • La tirannia segue il tiranno. È una sventura per un uomo lasciar dietro di sé una tenebra che abbia la sua forma. (Parte II, Libro I, Cap. IV)
  • La liberazione non è la libertà; si esce dal carcere, ma non dalla condanna. (II, I, IX; 1981)
  • Dire quella parola e poi morire: cosa v'è di più grande? Poiché voler morire è morire e non fu colpa di quell'uomo se, mitragliato, sopravvisse.
    Colui che ha vinto la battaglia di Waterloo non è Napoleone messo in rotta, non è Wellington, che alle quattro ripiega e alle cinque è disperato, non è Blücher che non ha affatto combattuto; colui che ha vinto la battaglia di Waterloo è Cambronne. Poiché fulminare con una parola simile il nemico che v'uccide, significa vincere.
    Dar questa risposta alla catastrofe, dire siffatta cosa al destino, dare codesta base al futuro leone, gettar codesta ultima battuta in faccia alla pioggia della notte, al muro traditore d'Hougomont, alla strada incassata d'Ohain, al ritardo di Grouchy e all'arrivo di Blücher; esser l'ironia nel sepolcro, fare in modo di restar ritto dopo che si sarà caduti, annegare in due sillabe la coalizione europea, offrire ai re le già note latrine dei cesari, fare dell'ultima delle parole la prima, mescolandovi lo splendore della Francia, chiudere insolentemente Waterloo col martedì grasso, completare Leonida con Rabelais, riassumer questa vittoria in una parola impossibile a pronunciare, perder terreno e conquistare la storia, aver dalla sua, dopo quel macello, la maggioranza, è una cosa che raggiunge la grandezza eschilea.
    La parola di Cambronne fa l'effetto d'una frattura: la frattura d'un petto per lo sdegno, il soverchio dell'agonia che esplode. (II, I, XV; 1981)
  • Waterloo è una battaglia di primo ordine, vinta da un capitano di secondo. (II, I, XVI; 1981)
  • Se volete rendervi conto di quello che è la rivoluzione, chiamatela Progresso; ma se volete rendervi conto di quello che significa progresso, chiamatelo Domani; ora, il Domani compie irresistibilmente l'opera sua, e la comincia oggi, arrivando sempre al suo scopo, nei modi più strani. (II, I, XVII; 1981)
  • Sappiamo che esiste una filosofia che nega l'infinito. C'è anche una filosofia classificata patologicamente, che nega il sole. Questa filosofia si chiama cecità. (Parte II, Libro VII, Cap. VI)
  • L'uomo giusto aggrotta le ciglia, ma non sorride mai d'un sorriso cattivo. Comprendiamo la collera, non la malignità. (Parte II, Libro VII, Cap. VII)
  • Uno scettico che si unisce a un credente, è qualcosa di semplice come la legge dei colori complementari. Quello che ci manca ci attira. Nessuno ama la luce come il cieco. Il nano adora il tamburo maggiore. Il rospo fissa sempre gli occhi al cielo; perché? Per veder volare l'uccello. (Parte III, Libro IV, Cap. I)
  • I vecchi hanno bisogno d'affetto come di sole, come di calore. (III, V, III; 2013)
  • Leggeva ad alta voce, parendole così di capir meglio. Leggere ad alta voce significa affermare a se stessi la propria lettura. Ci sono persone che leggono a voce altissima e sembrano dare a se stessi la parola d'onore di quel che leggono. (Parte III, Libro V, Cap. V)
  • Il complimento è un po' come il bacio attraverso il velo, la voluttà pur nascondendovisi vi mette la sua dolce punta! (III, VIII, I; 1988)
  • Il riso è il sole, che scaccia l'inverno dal volto umano. (II, VIII, IX; 1981)
  • V'era sulla piazza principale di Corinto una statua scolpita da Silanione e catalogata da Plinio: rappresentava Epistato. Chi era Epistato? L'inventore dello sgambetto. Ciò riassume la Grecia e la gloria. (III, IV, IV; 1981)
  • Umanità significa identità: tutti gli uomini sono fatti della stessa argilla; nessuna differenza, almeno quaggiù, nella predestinazione; la medesima ombra prima, la medesima carne durante, la medesima cenere dopo. Ma l'ignoranza mescolata all'impasto umano lo rende nero incurabile penetrando nell'interno dell'uomo vi diventa il male. (III, VII, II; 1981)
  • Sia detto alla sfuggita, il successo è una cosa piuttosto lurida; la sua falsa somiglianza col merito inganna gli uomini. (IV, III, XII; 1981)
  • Così la pigrizia è madre: ha un figlio, il furto, e una figlia, la fame. (IV, VII, II; 1981)
  • [...] se fosse dato ai nostri occhi terreni di vedere nella coscienza altrui, si giudicherebbe molto più sicuramente un uomo da quel che sogna, che da quel che pensa. (III, V, V; 1981)
  • Da queste due cose combinate, potenza pubblica all'esterno e felicità individuale all'interno, risulta la prosperità sociale, la quale significa l'uomo felice, il cittadino libero e la nazione grande. (Parte IV, Libro I, Cap. IV, p. 1323; 1981)
  • Certi pensieri sono preghiere. Vi sono momenti in cui, qualsiasi sia la posizione del corpo, l'anima è in ginocchio. (IV, V, IV; 2013)
  • Non ci sono regressi di idee, come non ci sono regressi di fiumi. Ma coloro che non vogliono avvenire ci pensino bene. Dicendo di no al progresso, non condannano l'avvenire, ma loro stessi. Si procurano una triste malattia; si inoculano nel passato. C'è un modo solo di rifiutare il Domani, è morire. (Parte IV, Libro VII, Cap. IV)
  • Una delle magnanimità delle donne è cedere. L'amore giunto all'altezza in cui è assoluto, si combina con non so quale accecamento del pudore. Ma quanti pericoli correte, o anime nobili! Spesso voi date il cuore, noi prendiamo il corpo. Il cuore vi rimane, e voi lo guardate fremendo nell'ombra. L'amore non ha mezzi termini; o perde, o salva. Tutto il destino umano è questo dilemma. Questo dilemma, perdita o salvezza, non c'è fatalità che lo ponga più inesorabile dell'amore. L'amore è vita, quando non è la morte. Culla e anche sepolcro. Lo stesso sentimento dice sì e no al cuore umano. (Parte IV, Libro VIII, Cap. I)
  • Il diciannovesimo secolo è grande, ma il ventesimo sarà felice. (V, 1, 4)[5]
  • Certe feste malsane indeboliscono il popolo e lo trasformano in plebe, la quale, come il tiranno, vuole dei buffoni. (Parte V, Libro VI, Cap. I)
  • La signora Vergine, pei campi andando e per Dio piangendo, incontra san Giovanni: 'Da dove venite, signor san Giovanni?' 'Vengo dall'Ave Salus.' 'Non avete visto il buon Dio, per caso?' 'È sull'albero della croce, piedi appesi e mani inchiodate, in capo un bianco cappellino di spine.' Chi la dirà tre volte alla sera e tre volte al mattino, guadagnerà alla fine il paradiso. (V; 1981)
  • Morire non è nulla; non vivere è spaventoso. (Jean Valjean; V, IX, V; 1981)
  • I geni, nelle inaudite profondità dell'assurdo e della storia pura, situati per così dire al di sopra dei dogmi propongono le loro idee a Dio. La loro preghiera offre audacemente la discussione. La loro adorazione interroga. Questa è la religione diretta, piena d'ansietà e di responsabilità per chi ne tenta l'erta. (vol. I, 1862, p. 76)
  • La meditazione umana non ha limiti. A suo rischio e pericolo, analizza e misura il suo proprio abbigliamento. Si potrebbe quasi dire che per una specie di reazione splendida, essa abbagli la natura; il mondo misterioso che ne circonda rende ciò che riceve; è probabile che i contemplatori siano contemplati. (vol. I, 1862, p. 76)
  • La natura unisce qualche volta alle nostre azioni effetti e spettacoli con una specie di prefazione cupa e intelligente, come se volesse farci riflettere. (vol. I, 1862, p. 131)
  • Chiacchiere da mensa e discorsi d'amore sono inafferrabili; i discorsi d'amore sono nubi, le chiacchiere da mensa sono fumi. (vol. I, 1862, p. 170
  • L'ostilità è aperta ovunque vi sia una bella donna. (vol. I, 1862, p. 176)
  • Sapete chi era Aspasia, signore?... Quantunque ella vivesse in un'epoca in cui le donne non avevano ancora un'anima, era un'anima; un'anima color rosa e porpora, più ardente del fuoco, più fresca dell'aurora. Aspasia era creatura in cui i due estremi della donna s'univano; era la prostituta dea. Socrate più Manon Lescaut. Aspasia fu creata nel caso fosse necessitata una meretrice a Prometeo. (vol. I, 1862, p. 179)
  • Gli esseri i più feroci, sono disarmati quando s'accarezzano i loro figli. (vol. I, 1862, p. 190)
  • – Amici miei, ricordatevi questo; non vi sono né cattive erbe, né uomini cattivi; ma vi sono dei cattivi coltivatori. (vol. I, 1862, p. 208)
  • – Cento lire, – pensò Fantina, – Ma dove posso trovare un mestiere da guadagnare cento soldi al giorno?... Via vendiamo il resto!...
    E la sventurata divenne prostituta.
    ...
    Che cos'è questa storia di Fantina?
    È la società che compra una schiava.
    Da chi? Dalla miseria, dalla fame, dal freddo, dall'isolamento, dall'abbandono, dall'abbiezione. Mercato doloroso. Un'anima per un pezzo di pane. La miseria offre, la società accetta. La santa legge di Gesù Cristo governa la nostra civiltà, ma non vi entra ancora; si dice che la schiavitù è scomparsa dalla civiltà europea. È un errore. Esiste sempre: ma non gravita più che sulla donna e si chiama prostituzione. Gravita sulla donna, vale a dire sulla grazia, sulla debolezza, sulla bellezza, sulla maternità. E questo non è certo una delle minor vergogne dell'uomo. (vol. I, 1862, p. 236)
  • C'è uno spettacolo più grandioso del mare, ed è il cielo, c'è uno spettacolo più grandioso del cielo, ed è l'interno di un'anima. (vol. I, 1862, p. 274)
  • La vita è una brutta istituzione di non so chi. Non dura nulla e non vale nulla. Ci si rompe il collo a vivere. (2004, p. 452)
  • La felicità è un vecchio fondale dipinto da una sola parte. (2004, p. 452)
  • Lo scontro delle giovani menti fra loro, ha questo di ammirevole, che mai si può prevedere la scintilla né indovinare lo sprazzo di luce! (2004, p. 456)
  • L'anima aiuta il corpo e in certi momenti lo solleva. È l'unico uccello che sostenga la sua gabbia. (2004, p. 464)
  • Il giovane ricco ha cento distrazioni brillanti e grossolane, corse di cavalli, caccia, tabacco, gioco, buoni pranzi e tutto il resto; occupazioni della parte bassa dell'anima a danno della parte alta e delicata. Il giovane povero stenta a procacciarsi il pane ; mangia, e quando ha mangiato non ha più che la meditazione. (2004, p. 466)
  • Le nostre chimere sono quelle che ci assomigliano di più. (2004, p. 471)
  • [...] l'unico pericolo sociale è l'ignoranza. (2004, p. 489)
  • La commiserazione ha e deve avere la sua curiosità. (2004, p. 503)
  • È permesso guardare la sventura a tradimento per soccorrerla. (2004, p. 503)
  • Le città al pari delle foreste, hanno antri in cui si nasconde tutto ciò che esse hanno di più cattivo e di più terribile.
    Solo che, nella città, ciò che si nasconde così è feroce, immondo e misero, cioè brutto; nelle foreste, ciò che si nasconde è feroce, selvaggio e grande, cioè bello. Tana per tana, quella delle bestie è preferibile a quella degli uomini. Le caverne sono meglio dei tuguri. (2004, p. 503)
  • La borghesia è semplicemente quella parte di popolo che è contenta. (2004, p. 559)
  • Fino a quando esisterà, per colpa delle leggi e dei costumi, una condanna sociale che, in piena civiltà, crea artificialmente degli inferni e complica con una fatalità umana il fato ch'è divino; fino a quando non saranno risolti i tre problemi del secolo: la degradazione dell'uomo per colpa dell'estrema povertà, la corruzione della donna per colpa della fame, l'atrofia del fanciullo per colpa delle tenebre; fino a quando, in certi ambienti, sarà possibile l'asfissia sociale; in altre parole, e secondo un punto di vista ancor più esteso, fino a quando vi saranno sulla terra ignoranza e miseria, i libri come questo non potranno non essere inutili. (Hauteville-House, primo gennaio 1862; dalla premessa dell'autore alla prima edizione; 1966)
  • Il ramo, quando una mano si approssima per staccarne un fiore freme e sembra nel medesimo tempo voler sfuggire a volersi offrire. Il corpo umano ha un simile fremito quando arriva l'istante in cui le dita misteriose della morte vogliono cogliere l'anima. (1966, p. 236)
  • Non c'è nulla di più funebre dell'arlecchino in cenci. (1968 p. 253)
  • La spaventosa livellatrice dell'infimo, la vergogna, era passata su quelle fronti; giunti a quel grado d'abbassamento, tutti subivano le ultime trasformazioni nelle ultime profondità; e l'ignoranza, mutata in ebetismo, era identica all'intelligenza mutata in disperazione. Non v'era possibilità di scelta tra quegli uomini che apparivano allo sguardo come l'elite del fango (1968 p. 255)
  • Dove finisce il telescopio, incomincia il microscopio; quale dei due ha la vista più forte? Scegliere. Una muffa è una pleiade di fiori e una nebulosa è un formicaio di stelle; identica promiscuità, e ancor più inaudita, delle cose dell'intelligenza e dei fatti della sostanza. Gli elementi e i principî si congiungono, si combinano, si sposano, si moltiplicano gli uni per mezzo degli altri, al punto di far sì che il mondo morale e il mondo materiale mettano capo alla medesima luce. Il fenomeno si ripiega a spira in se stesso perpetuamente; nei grandi scambi cosmici la vita universale va e viene in quantità sconosciute rotolando tutto negli invisibili misteri degli effluvi, impiegando tutto, non perdendo un solo sogno di un solo sonno, qui seminando un animaletto, là sbriciolando un astro, oscillando e serpeggiando, facendo della luce una forza e del pensiero un elemento, disseminata e indivisibile, tutto dissolvendo, eccettuato nel punto geometrico che è l'io, tutto riconducendo all'anima atomo, facendo sbocciar tutto in Dio, intrecciando fra loro, dalla più alta alla più bassa, tutte le attività nell'oscurità d'un meccanismo vertiginoso, riallacciando il volo d'un insetto al moto della terra, subordinando, chissà? forse soltanto coll'identità della legge, l'evoluzione della cometa nel firmamento alla rotazione dell'infusorio nella goccia di acqua. Macchina fatta di spirito, ingranaggio enorme, il primo motore del quale è il moscerino e di cui l'ultima ruota è lo zodiaco. (parte quarta, libro terzo, cap. III, Foliis ac frondibus; 1981)

Citazioni da altre edizioni

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  • Al mattino scrivo bigliettini amorosi, la sera scavo fosse: questa è la vita, paesano. (Gribier, il becchino)
  • Dalla conchiglia si può capire il mollusco, dalla casa l'inquilino.
  • Il coraggio non teme il delitto e l'onestà non teme l'autorità.
  • I tempi primitivi sono lirici, i tempi antichi sono epici, i tempi moderni sono drammatici.
  • La giovinezza è la stagione delle pronte suture e delle cicatrici rapide; a quell'età le facce parlano apertamente e la parola è inutile: ci sono giovani di cui si potrebbe dire che la loro fisionomia discorre.
  • La Rivoluzione francese fu il più grande progresso nella storia dell'umanità dopo l'avvento di Cristo.
  • La solitudine crea persone d'ingegno o idioti.
  • La suprema felicità della vita è essere amati per quello che si è o, meglio, di essere amati a dispetto di quello che si è.
  • Nessuno sa mantenere un segreto meglio di un bambino.
  • Ride il bimbo quando ammazza.
  • Sono i libri che un uomo legge, quelli che lo accusano maggiormente.
  • Tutta la storia non è che una lunga ripetizione: un secolo plagia l'altro.
  • Un uomo duramente provato non si volta mai indietro a guardare; sa che la cattiva sorte lo segue sempre, passo passo.
  • Un uomo non è un pigro, se è assorto nei propri pensieri; esistono un lavoro visibile ed uno invisibile.

I lavoratori del mare

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L'Atlantico rode le nostre scogliere. La pressione della corrente del polo deforma la nostra costa occidentale. La muraglia che noi abbiamo sul mare è minata; l'acqua travolge nugoli di sassi; i nostri porti si riempiono di sabbia e di pietre; le foci dei nostri fiumi s'ingorgano. Ogni giorno un lembo di terra normanna si stacca e sparisce nei flutti.

Citazioni

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  • L'alba ha una sua misteriosa grandezza che si compone d'un residuo di sogno e d'un principio di pensiero.
  • L'inaccessibile aggiunto all'impenetrabile, l'impenetrabile aggiunto all'inespigabile; ecco che cos'è il cielo.
  • La notte – chi scrive queste parole lo ha già detto altrove – è lo stato proprio e normale della creazione di cui facciamo parte. Il giorno, breve nella durata come nello spazio, non è che una misura stellare.
  • Non v'è un posto definito dove appoggiare lo spirito.
  • I pertinaci sono i sublimi. Chi è soltanto audace non ha che un impulso; chi è soltanto valoroso non ha che un temperamento; chi è soltanto coraggioso non ha che una virtù; l'ostinato nel vero ha la grandezza.
  • Quasi tutto il segreto delle anime grandi si racchiude in questa parola: perseverando.
  • La perseveranza è, rispetto al coraggio, ciò che è la ruota rispetto alla leva; il perpetuo rinnovarsi del punto di appoggio.
  • Tutto sta nell'andare alla meta, sia essa sulla terra, sia essa nel cielo: nel primo caso si è Colombo, nel secondo Gesù.
  • La croce è folle; da ciò la sua gloria.
  • Non lasciar discutere la propria coscienza, né disarmare la propria volontà; è così che si ottiene la sofferenza, è così che si ottiene il trionfo.
  • Nell'ambito dei fatti morali, il cadere non esclude il librarsi. Dalla caduta sorge l'ascesa.
  • I mediocri si lasciano sconsigliare dall'ostacolo specioso; i forti no. Morire è la loro alea, conquistare è la loro certezza.
  • Il disdegno delle obiezioni ragionevoli genera quella sublime vittoria sconfitta che si chiama il martirio.
  • Niente eguaglia la timidezza dell'ignoranza se non la sua temerità. Quando l'ignoranza si mette a osare, essa ha in sé una bussola. Quella bussola è l'intuizione del vero, più chiara talvolta in uno spirito semplice che in uno spirito complicato. L'ignoranza è una fantasticheria e la fantasticheria curiosa è una forza. Sapere, a volte sconcerta e spesso sconsiglia. Gama, sapendo, avrebbe indietreggiato di fronte al Capo delle Tempeste. Se Cristoforo Colombo fosse stato buon cosmografo, non avrebbe scoperto l'America. Se Galvani fosse stato un perfetto scienziato e avesse saputo che cos'è il 'movimento di ritorno', senza dubbio il sussulto della rana morta non avrebbe risvegliato la sua curiosità, non sarebbero state inventate quelle leggi meravigliose alle quali si è dato il nome di 'galvanismo'; il secondo uomo che salì sul Monte Bianco fu uno scienziato, Saussure, il primo fu un pastore, Balma. Tali casi, diciamolo sorvolando, sono eccezioni che non menomano affatto la scienza, la quale resta la regola. L'ignorante può trovare; lo scienziato solo inventa.

[Victor Hugo, I Lavoratori del Mare, traduzione, introduzione e note di Giacomo Zanga, BMM, 1954.]

  • La melancolia è la felicità d'essere tristi. (parte III, libro I, cap. I[44])

Citazioni da altre edizioni

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  • Il pensatore vuole, il sognatore subisce. (traduzione Di Vittorio Orazi)
  • Il vero pilota è il marinaio che naviga sul fondo più che alla superficie. (traduzione Di Vittorio Orazi)
  • La solitudine unendosi alle anime semplici, le complica.
  • Un ipocrita è un paziente nel doppio significato della parola. Medita un trionfo e sopporta un supplizio. (2015)
  • Un punto microscopico brilla, poi un altro, poi un altro: è l'impercettibile, è l'enorme. Questo lumicino è un focolare, una stella, un sole, un universo; ma questo universo è niente. Ogni numero è zero di fronte all'infinito. L'inaccessibile unito all'impenetrabile, l'impenetrabile unito all'inesplicabile, l'inesplicabile unito all'incommensurabile: questo è il cielo.

Il Novantatré

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Negli ultimi giorni del maggio 1793, uno dei battaglioni parigini inviati in Bretagna agli ordini di Santerre stava esplorando il temuto bosco della Saudraie, nei pressi di Astillé. Il battaglione non contava più di trecento uomini. La guerra, condotta con tanto accanimento, l'aveva decimato. Dopo i fatti d'armi delle Argonne, di Jemmapes e di Valmy, gli effettivi del primo battaglione parigino erano scesi da seicento volontari a ventisette, quelli del secondo a trentatré e quelli del terzo a cinquantasette. Epico periodo di lotte sanguinose!

[Victor Hugo, Il Novantatré, traduzione di Oete Blatto, Biblioteca Economica Newton, Roma, 2004. ISBN 88-8289-976-4.]

Citazioni

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  • I selvaggi hanno dei vizi. È per mezzo di questi che li conquista più tardi la civiltà. (1973)
  • Lo spirito nutre, l'intelligenza vivifica. Tra la nutrice che allatta e il precettore che insegna vi è analogia. Talvolta, quest'ultimo è padre più del genitore stesso, come la nutrice è madre più della madre vera. (II, I, III, 2004, p. 102)
  • Tale era quella smisurata Convenzione, campo trincerato del genere umano attaccato da tutte le tenebre nello stesso tempo, notturni falò di un esercito di idee assediate, immane bivacco di spiriti su un versante abissale. Nella storia, nulla di paragonabile a questo gruppo, insieme senato e plebaglia, conclave e trivio, areopago e piazza pubblica, tribunale e imputato. (II, III)[45]
  • Storia e leggenda sono accomunate da una stessa finalità: tratteggiare l'uomo eterno attraverso gli uomini caduchi. (III, I, I, 2004, p. 151)
  • Il filosofo è prudente nel muovere una condanna, perché sa che ogni grande problema contiene degli elementi oscuri, perché sa che, al pari delle nuvole, i problemi non si agitano senza proiettare delle ombre. (III, I, I, 2004, p. 152)
  • I vasti orizzonti generano le idee complesse, i piccoli orizzonti le idee ristrette. (III, I, VI, 2004, p. 163)
  • Il silenzio che accompagna un tormento interiore è inesprimibile. Non esiste conforto per una madre che soffre. La maternità non conosce limiti e ragionamenti. La madre è sublime perché è tutta istinto. L'istinto materno è divinamente animale. La madre non è donna, ma femmina. (III, II, VI, 2004, p. 188)
  • Il sentimento non abbisogna di luce come il ragionamento, ma lo supera in potenza. (III, VI, II, 2004, p. 286)
  • «L'armonia cela sempre un'illusione».
    «Quanta ve n'è nella vostra algebra».
    «Io vorrei l'uomo euclideo».
    «E io lo preferirei creato da un Omero».
    Il sorriso severo di Cimourdain volle richiamare il giovane [Gauvain] alla realtà.
    «Poesia. Devi diffidare dai poeti».
    «Conosco questi consigli. Diffida del soffio, del raggio, del profumo, diffida dei fiori, diffida delle costellazioni».
    «Tutto ciò non ci ha mai procurato cibo».
    «E che cosa ne sapete voi? Anche l'idea è nutrimento». (III, VII, V, 2004, p. 303)
  • «L'utopia deve accettare il giogo della realtà, deve essere inquadrata nei fatti. Ogni idea astratta deve trasformarsi in un'idea concreta; ciò che ogni idea perde in bellezza, lo acquista in utilità; viene rimpicciolita, ma è più efficace. Bisogna soprattutto che il diritto si faccia legge e quando il diritto è divenuto legge si palesa assoluto. Per me, questo è ciò che io definisco il possibile».
    «Il possibile è molto più vasto».
    «Eccoti ancora una volta nell'utopia».
    «Il possibile è una creatura alata che volteggia eternamente su di noi».
    «Bisogna catturarla».
    «Sì, ma viva». (III, VII, V, 2004, pp. 305-306)
  • Ecco il mio motto: progresso costante. Se Dio avesse voluto che l'uomo indietreggiasse, gli avrebbe messo un occhio dietro la testa. Noi guardiamo sempre dalla parte dell'aurora, del bocciolo, della nascita. (III, VII, V, 1973)
  • Non si è eroi contro il proprio paese. (p. 56 ed. Mondadori)
  • C'è nel giorno un'ora serena che si potrebbe definire assenza di rumore, è l'ora serena del crepuscolo. (p. 66 ed. Mondadori)
  • Cimourdain apparteneva al novero di coloro che hanno una voce dentro di sé e che l'ascoltano. Sono uomini che paiono distratti; nient'affatto: sono attenti. (p. 102 ed. Mondadori)
  • Al pari del cielo l'uomo può avere una nera serenità; basta che qualcosa dentro di lui faccia notte. [...] Ciò che fa notte dentro può lasciare in noi le stelle. (p. 99 ed. Mondadori)
  • Biasimare o lodare gli uomini a causa dei risultati equivale press'a poco a lodare o biasimare le cifre a causa del totale. Ciò che deve passare passa, ciò che deve spirare spira. L'eterna serenità non è turbata da simili aquiloni. Al di sopra delle rivoluzioni, la verità e la giustizia dimorano come il cielo stellato al di sopra delle tempeste. (p. 154 ed. Mondadori)

L'uomo che ride

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Ursus e Homo erano legati da una stretta amicizia.
Ursus era un uomo, Homo era un lupo. Le loro indoli si erano trovate d'accordo. Era stato l'uomo a battezzare il lupo. Probabilmente egli si era scelto da se stesso anche il proprio nome, e avendo trovato Ursus adatto a se stesso, aveva trovato Homo adatto alla bestia. Questi due associati, l'uomo e il lupo, trovavano il guadagno nelle fiere, nelle feste parrocchiali, e in tutti gli angoli delle strade dove i passanti si aggruppavano, per il bisogno che la gente prova dappertutto di ascoltare delle fandonie e di bearsi della vista del ciarlatano.
Il lupo, docile e sottomesso, riusciva simpatico alla folla. Assistere ad uno spettacolo di addomesticamento è sempre una cosa piacevole, e il vederne sfilare dinanzi tutte le varietà è la nostra suprema gioia. Per questo vi è sempre tanta gente sul passaggio dei cortei reali.
[Victor Hugo, L'uomo che ride, traduzione di L. Rossi, Editrice Lucchi, 1967.]

Citazioni

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  • L'indietreggiare nel senso inverso dei nostri vizî, ci conduce ai vizî opposti. (1967, p. 106)
  • Lo star troppo sulla difensiva indica sempre un segreto desiderio d'attacco. (1967, p. 106)
  • Chi è selvaggio non è severo. (1967, p. 106)
  • Non è una cosa facile divenire un gentiluomo perfetto. (1967, p. 107)
  • Gli impieghi di corte sono come le macchie d'olio: tendono sempre ad allargarsi. È così che il portiere è diventato cancelliere e il palafreniere è diventato constabile. (1967, p. 116)
  • A Corte, chi dice fiducia dice intrigo, e chi dice intrigo dice avanzamento. (1967, p. 116)
  • L'invidia è una buona stoffa per confezionare una spia. (1967, p. 117)
  • La spia va a caccia per conto d'altri, come il cane; l'invidioso va a caccia per conto proprio, come il gatto. (1967, p. 117)
  • Un io feroce: ecco l'invidioso. (1967, p. 117)
  • Per la donna il momento in cui non può più contare gli anni a primavere, ma comincia a contarli a inverni, è irritante. È come un sordo rancore contro gli anni che non si possono togliere. (1967, p. 124)
  • L'orrore della legge fa la maestà del giudice. (1967, p. 192)
  • Il silenzio davanti alla giustizia è una specie di ribellione. Lesa giustizia è lesa maestà. (1967, p. 191)
  • Tutti i vizi [...] presuppongono tutti i delitti. Chi non confessa niente confessa tutto. Chi tace alle domande del giudice è di fatto mentitore e parricida. (1967, p. 191)
  • Io sono un giovane girovago che rappresento delle buffonate nelle fiere e nei mercati. Io sono l'Uomo che ride. È corsa a vedermi tutta la gente. Noi stiamo nei Tarrinzeau-field. Sono quindici anni che io esercito la mia professione onestamente. Fatemi la grazia di farmi uscire di qui, signor giudice. Non bisogna abusare della debolezza degli infelici. Abbiate compassione d'un uomo il quale non ha fatto nulla, e ch'è senza protezione e senza difesa. Voi avete dinanzi un povero saltimbanco.
    – Io ho dinanzi a me – disse lo sceriffo – lord Fermain Clancharlie, barone di Clancharlie e Hunkerville, marchese di Corleone in Sicilia, pari d'Inghilterra.
    E dopo essersi alzato indicando a Gwynplaine il suo seggiolone, lo sceriffo aggiunse:
    – Milord, Vostra Signoria voglia avere la degnazione di sedersi. (1967, p. 194).
  • La cosa che in questo mondo può essere più orrida è la gioia. (1967, p. 204)
  • Che un uomo, sia pure dotato della più gran fermezza ed energia, cada in deliquio ad un'improvvisa percossa della fortuna, non deve meravigliare. Si uccide un uomo con l'imprevisto come un bue con la mazza. (1967, p. 206)
  • Il destino, quando apre una porta, ne chiude un'altra. Dati certi passi avanti, non è possibile tornare indietro. (1967, p. 210)
  • Il commettere delitti non toglie che si abbiano dei vizi. (1967, p. 228)
  • La donna nuda è una donna armata. (1967, p. 237)
  • Nel centro della tela, nel posto ove suole stare il ragno, Gwynplaine vide una cosa formidabile e magnifica: una donna nuda.
    Non assolutamente nuda. Questa donna era vestita e vestita dalla testa ai piedi. Indossava una camicia lunghissima, come le stole d'angeli nei quadri di santi, ma così sottile che sembrava bagnata, Donde un incirca di donna nuda, più fervido e pericoloso che la nudità assoluta.
    La tela d'argento trasparente era una tenda. Fermata soltanto in alto, essa poteva essere sollevata. Separava la sala di marmo, ch'era una sala da bagno, da una camera, ch'era una camera da letto. Questa camera, piccolissima, era una specie di grotta tutta specchi. Ovunque cristalli veneziani, aggiustati poliedricamente, congiunti da bacchette dorate, riflettevano il letto ch'era nel centro. Su quel letto, d'argento come la toeletta e il canapè, era sdraitata la donna. Ella dormiva.
    Dormiva col capo supino. Coi piedi respingeva le coltri, come il succubo sopra al quale aleggia il sogno.
    Il suo guanciale di trine era caduto a terra sul tappeto. Fra la sua nudità e lo sguardo dell'uomo, erano due ostacoli: la camicia e la tenda di velo d'argento. Due trasparenze. La camera, più alcova che camera, era illuminata lievemente dal riflesso della sala da bagno.
    Forse la donna non aveva pudore, e la luce invece ne aveva ancora.
    Il letto era senza colonne, né cortinaggio, né cielo, così che la donna, aprendo gli occhi, poteva vedersi riflessa mille volte nuda negli specchi che aveva sopra il capo.
    Una veste da camera di magnifica seta della Cina era gettata sulla sponda del letto.
    Oltre il letto, in fondo all'alcova, era forse una porta, nascosta, segnata da uno specchio piuttosto grande, sul quale eran dipinti pavoni e cigni.
    Al capezzale del letto era fermato un leggio d'argento ad aste girevoli, ed a fiaccole fisse, sul quale si poteva vedere un libro aperto, che in cima alle pagine aveva questo titolo a letteroni rossi: Alcoranus Mahumedis.
    Gwynplaine non scorgeva nessuna di queste cose. La donna: ecco quello che vedeva. (1967, p. 236)
  • Quando straripiamo sul male più che non appoggiamo sul bene, quella parte di noi che è sospesa sulla colpa finisce col vincere e precipita. (1967, p. 238)
  • Regola: Non estirpate i vizi, se volete avere delle belle dame. Altrimenti somiglierete a quegli imbecilli che distruggono i bruchi pur andando pazzi per le farfalle. (1972, p. 155)
  • Lo spirito, come la natura, ha l'orrore del vuoto. Nel vuoto, la natura mette l'amore; lo spirito, spesso, vi mette l'odio. L'odio prende spazio. (1972)
  • L'odio per l'odio esiste. L'arte per l'arte è nella natura, più che non si creda. Si odia. Bisogna pur far qualche cosa. (1972, p. 194)
  • Le azioni riprovevoli hanno luoghi riservati. Come le acquaviti troppo forti, non si bevono d'un sol tratto. Si posa il bicchiere, poi si vedrà, la prima goccia già fa riflettere. (1972, p. 303)
  • Chi non dice nulla fa fronte a tutto. Una parola che vi sfugga, presa nell'ingranaggio sconosciuto, può trascinarvi interamente sotto non si sa quali ruote. (1972, p. 357)
  • Parimente, quando ha esaurito tutte le miserie, le privazioni, le tempeste, i ruggiti, le catastrofi, le agonie, contro un uomo rimasto ancora in piedi, la Fatalità sorride, e l'uomo, divenuto ebbro all'improvviso, barcolla. (1972, p. 365)
  • Se si considerano a fondo le cose, l'infermità e la bruttezza accettate con altera indifferenza, anziché contraddire la grandezza, l'affermano e la provano. (1972, p. 446)
  • Le disillusioni si allentano come l'arco, con una forza sinistra, e scoccano l'uomo, questa freccia, verso il vero. (1972, p. 477)
  • Chi è soddisfatto è inesorabile. Per il satollo, l'affamato non esiste. Le persone felici ignorano e s'isolano. Alla soglia del loro paradiso, come alla soglia del loro inferno, bisogna scrivere: "Lasciate ogni speranza". (1972, p. 487)
  • È dell'inferno dei poveri che è fatto il paradiso dei ricchi. (1999, p. 350)

Citazioni da altre edizioni

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  • Il bambino ha il dono di accettare molto rapidamente la scomparsa di una sensazione. Gli sono risparmiati quei contorni remoti e sfuggenti che costituiscono la vastità del dolore.
  • La disperazione è un contabile. Vuol far tornare i conti. Niente le sfugge. Addiziona tutto. Non molla neppure i centesimi. Rimprovera a Dio i fulmini e i colpi di spillo. Vuole sapere come regolarsi con il destino. Ragiona, pesa e calcola.
  • Nel destino di ogni uomo può esserci una fine del mondo fatta solo per lui. Si chiama disperazione. L'anima è piena di stelle cadenti.

Notre-Dame de Paris

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Chiara Lusignoli

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Son oggi trecentoquarantotto anni sei mesi e diciannove giorni dal dì che i parigini si svegliarono al frastuono di tutte le campane suonanti a distesa nella triplice cinta della Cité, dell'Université e della città intera.
Tuttavia, il 6 gennaio 1482 non fu un di quei giorni che la storia ricorda. Niente di memorabile nell'avvenimento che scuoteva così, fin dal mattino, le campane e i borghesi di Parigi. Non si trattava d'un assalto di piccardi o di borgognoni, non di un reliquiario portato in processione, né di una rivolta di scolari nella vigna di Laas, né di un ingresso del nostro temutissimo sire messer lo re; e neppure di una bella impiccagione di briganti e brigantesse alla Giustizia di Parigi. E nemmeno dell'arrivo, così frequente nel secolo XV, di qualche ambasceria gallonata e impennacchiata. Appena due giorni prima, l'ultima cavalcata di tal genere, quella degli ambasciatori fiamminghi incaricati di concludere il matrimonio tra il delfino e Margherita di Fiandra, aveva fatto il suo ingresso a Parigi, con grande noia dell'eminentissimo cardinale di Borbone il quale, per compiacere il re, aveva dovuto fare buon viso a tutta una rustica folla di borgomastri fiamminghi, e deliziarli, a Palazzo Bourbon, con una molto bella moralità, satira e farsa, mentre una pioggia scrosciante inondava, davanti alla porta, i suoi magnifici arazzi.
[Victor Hugo, Notre-Dame de Paris, traduzione di Clara Lusignoli, Einaudi, 2007. ISBN 9788806177133]

Fabio Scotto

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Sono già oggi trascorsi trecentoquarantotto anni sei mesi e diciannove giorni da che i parigini si svegliarono al frastuono di tutte le campane che suonavano a distesa nella tripla cerchia della Cité, dell'Université e dell'intera città.
Il 6 gennaio 1482 non è però un giorno che la storia ricordi. Nulla di rimarchevole nell'evento che così scuoteva fin dal mattino, le campane e i borghesi di Parigi. Non si trattava né di un assalto di piccardi o di borgognoni, né di un reliquiario portato in processione, né di una rivolta di scolari nella vigna di Laas, né di un ingresso del nostro temutissimo signor Messere il re, nemmeno di una bella impiccagione di briganti e di brigantesse in Place de la Justice a Parigi. Non era neanche l'arrivo, così frequente nel quindicesimo secolo, di qualche ambasciata tutta pennacchi e decorazioni. Erano trascorsi soltanto due giorni da che l'ultima cavalcata del genere, quella degli ambasciatori fiamminghi incaricati di concludere il matrimonio tra il delfino e Margherita di Fiandra, aveva fatto la sua entrata a Parigi, con grande preoccupazione di Sua Eminenza il cardinale di Borbone, il quale, per far piacere al re, aveva dovuto far buon viso a tutta quella rozza ressa di borgomastri fiamminghi, e lusingarli, a Palazzo Borbone con una molto bella moralità, satira e farsa, mentre una pioggia battente inondava alla sua porta i suoi magnifici arazzi.
[Victor Hugo, Notre-Dame de Paris, traduzione di Fabio Scotto, La Biblioteca di Repubblica, 2003.]

Luigi Galeazzo Tenconi

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Trecentoquarantott'anni, sei mesi e diciannove giorni or sono i parigini si svegliarono allo squillo di tutte le campane, che suonavano a distesa nella triplice cerchia della Città Vecchia, dell'Università e della Città.
Eppure, il 6 gennaio 1482 non è affatto un giorno di cui la storia abbia serbato il menomo [sic] ricordo. Nulla di notevole nell'avvenimento che metteva così in moto, fin dall'alba, campane ed abitanti di Parigi. Non si trattava di un assalto di piccardi o di borgognoni, né di un reliquiario portato in processione, né di una sommossa di scolari nel brolo di Laas, né di una entrata del temutissimo signor nostro monsignore il re, e neppure di una bella impiccagione di ladri e di ladre sulla piazza della Giustizia di Parigi. Non si trattava nemmeno dell'improvviso arrivo, cosa tanto frequente nel quindicesimo secolo, di qualche ambasceria infronzolita e impennacchiata. Erano appena due giorni che l'ultima cavalcata del genere, quella degli ambasciatori fiamminghi incaricati di concludere il matrimonio tra il Delfino e Margherita di Fiandra, aveva fatto la sua entrata in Parigi, con grande fastidio del signor cardinale di Borbone, il quale, per compiacere al re, aveva dovuto far buon viso a tutta quella rustica accozzaglia di borgomastri fiamminghi, e far dare in loro onore nel suo palazzo una molto bella moralità, burletta e farsa, mentre un gran rovescione di pioggia gli infradiciava i magnifici addobbi del portone.
[Victor Hugo, Notre-Dame di Parigi, traduzione di Luigi Galeazzo Tenconi, RCS Libri, 2000]

Citazioni

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  • Sei stato bambino, lettore, e forse sei abbastanza fortunato da esserlo ancora.
  • Cos'è un bacio? Un lambire di fiamma. (2000)
  • Fatto che si abbia il male, bisogna farlo tutto quanto. È da pazzi sperare di fermarsi ad un punto qualunque del mostruoso! Il delitto spinto agli estremi ha deliri di gioia. (2000)
  • Il destino del saggio ne tiene, vita natural durante, la filosofia in stato d'assedio. (2000)
  • Un guercio è molto più incompleto di un cieco. Sa cosa gli manca. (2000)
  • Tempus edax, homo edacior, che io tradurrei volentieri così: il tempo è cieco, l'uomo è stupido.[46] (2000)
  • I professori, detestabili come sono, fanno, non solo a loro insaputa, ma anche assolutamente loro malgrado, eccellenti discepoli.[47] (2000)
  • Era una di quelle teste mal conformate, in cui l'intelligenza si trova a suo agio suppergiù come la fiamma sotto lo spegnitoio. (2000)
  • I giudici, in generale, si regolano in modo che il loro giorno di udienza coincida con il loro giorno di malumore, allo scopo d'aver sempre qualcuno su cui sfogarsene comodamente, in nome del re, della legge e della giustizia. (2000)
  • – Oh! L'amore! – lei disse, e la sua voce tremava, e il suo occhio brillava. – è essere due e non essere che una persona sola. Un uomo e una donna che si fondono in un angelo, è il cielo.
  • [Gringoire] - Dunque non mi volete per marito? La fanciulla [Esmeralda] lo guardò fisso e disse: - No. - E per amante? - riprese Gringoire. Lei fece la sua smorfia e rispose: - No. - E per amico? - proseguì Gringoire. Lei lo guardò ancora fisso e, dopo aver riflettuto un momento, disse: - Forse. Quel forse, così caro ai filosofi, diede coraggio a Gringoire. (da Notre-Dame de Paris, traduzione di Fabio Scotto, La Biblioteca di Repubblica, 2003, libro secondo, cap. VII)
  • L'invenzione della stampa è il più grande avvenimento della storia. È la rivoluzione madre. È il modo di espressione dell'umanità che si rinnova totalmente, è il pensiero umano che lascia una forma e ne prende un'altra, è il vero mutamento di pelle di quel serpente simbolico che, da Adamo in poi, rappresenta l'intelligenza.
    Sotto forma di stampa il pensiero è imperituro. Diviene volatile, inafferrabile, indistruttibile: si mescola all'aria. Mentre al tempo dell'architettura si faceva montagna e occupava potentemente un secolo e un luogo, ora si fa stuolo d'uccelli, si diffonde ai quattro venti e occupa a un tempo tutti i punti dell'aria e dello spazio.
    Chi non vede che in questa forma è assai più indelebile? Da solido che era, è divenuto vivente, ed è passato così dalla durata all'immortalità. Si può demolire una montagna di pietre, ma come estirpare l'ubiquità?
  • [...] i professori, detestabili come sono, fanno, a loro insaputa non solo, ma anche assolutamente loro malgrado, eccellenti discepoli: tutto l'opposto di quel vasaio di cui parla Orazio, che ideava anfore e produceva pignatte. Currit rota, orceus exit[48]. (da Nota dell'autore aggiunta all'edizione definitiva (1832), in Notre-Dame di Parigi, 2 voll., traduzione di Luigi Galeazzo Tenconi, Rizzoli Editore, Milano, 1951, vol. I, p. 13)
  • Un guercio è molto più incompleto di un cieco. Sa ciò che gli manca. (da Quasimodo, Rizzoli, 1951, vol I, p. 63)
  • [...] il destino del saggio ne tiene, vita natural durante, la filosofia in istato d'assedio. (da Besos para golpes, Rizzoli, 1951, vol. I, p. 78)
  • Tu sei stato fanciullo, lettore; forse hai la fortuna di esserlo ancora. (da Una notte di nozze, Rizzoli, 1951, vol. I, p. 112)
  • – Oh, l'amore! – ella disse. E la sua voce tremava, e l'occhio le raggiava. – L'amore è essere due e non essere che uno. Un uomo e una donna che si fondono in un angelo. L'amore è il cielo! (da Una notte di nozze, Rizzoli, 1951, vol I, p. 116)
  • Sul volto di questa vecchia regina delle nostre cattedrali, accanto a una ruga si scorge sempre una cicatrice. Tempus edax, homo edacior[49], che io tradurrei volentieri così: il tempo è cieco, l'uomo è stupido. (da Notre-Dame, Rizzoli, 1951, vol. I, p. 123)
  • Notre-Dame di Parigi [...] vasta sinfonia in pietra, per così dire; opera colossale di un uomo e di un popolo, una e molteplice a un tempo come le Iliadi e i Romanceros di cui è sorella; prodigioso prodotto del contributo di tutte le forze di un'epoca, dove si scorge, su ciascuna pietra, erompere in cento modi la fantasia dell'operaio disciplinato dal genio dell'artista; specie di creazione umana, per dirla in una parola, potente e feconda come la creazione divina, cui sembra aver sottratto il duplice carattere della varietà e della eternità. (da Notre-Dame, Rizzoli, 1951, vol. I, p. 124)
  • [...] questi edifici appartenenti al periodo di transizione dal romanico al gotico non son meno preziosi da studiarsi dei tipi puri. Esprimono una sfumatura dell'arte che senza essi sarebbe perduta. È l'innesto dell'ogiva sull'arco a tutto sesto.
    Notre-Dame di Parigi, in particolare, è un curioso esemplare di tale varietà. Ogni faccia, ogni pietra del venerabile monumento è una pagina non soltanto della storia del paese, ma anche della storia della scienza e dell'arte. [...] L'abbazia romanica, pertanto, la chiesa filosofale, l'arte gotica, l'arte sassone, il pesante pilastro tondo che ricorda Gregorio VII, il simbolismo ermetico col quale Nicola Flamel preludeva a Lutero, l'unità papale, lo scisma, San Germano dei Prati, San Giacomo al Macello, tutto è fuso, combinato, amalgamato in Notre Dame. Questa chiesa centrale e generatrice è, fra le vecchie chiese di Parigi, una specie di chimera; ha la testa dell'una, le membra di quell'altra, il dorso di quell'altra ancora: qualche cosa di tutte. (da Notre-Dame, Rizzoli, 1951, vol. I, pp. 128-129)
  • Abbiamo veduto con dolore e disdegno che si pensava di ingrandire, di rifare, di rimaneggiare, che è quanto dire distruggere, quello stupendo palazzo. Gli architetti d'oggigiorno hanno la mano troppo pesante per toccare queste delicate opere del rinascimento; e noi continuiamo a sperare che non oseranno farlo. La demolizione delle Tuileries, d'altronde, non sarebbe, ora, soltanto una brutale via di fatto, di cui arrossirebbe un vandalo avvinazzato: sarebbe un tradimento. Le Tuileries non sono soltanto un capolavoro dell'arte del XVI secolo; il palazzo non appartiene più al re, ma al popolo. Lasciamolo com'è. La nostra rivoluzione gli ha impresso due volte il suo segno sulla fronte: su una delle due facciate vi sono i proietti del 10 agosto, sull'altra quelli del 29 luglio. È santo! (da Parigi a volo d'uccello, Rizzoli, 1951, vol. I, nota a p. 151[50])
  • Quando si sa vedere, si ritrova lo spirito di un secolo e la fisionomia di un re perfino in un picchiotto. (da Parigi a volo d'uccello, Rizzoli, 1951, vol. I, p. 152)
  • I nostri padri avevano una Parigi di pietra; i nostri figli ne avranno una di gesso. (da Parigi a volo d'uccello, Rizzoli, 1951, vol. I, p. 152)
  • [Parigi, di mattina, nelle grandi feste] è la città che canta. Prestate orecchio, dunque, a quell'"assieme" di campanili, spandete sul tutto il brusio di un milione d'uomini, l'eterna querela del fiume, gli infiniti aliti del vento, l'"a quattro" grave e lontano delle grandi foreste, disposte sulle colline all'orizzonte come immensi mantici d'organo, spegnetevi come in una mezza tinta quanto lo scampanio centrale avrebbe di eccessivamente rauco o di eccessivamente acuto, e dite se conoscete al mondo alcunché di più ricco, di più festoso, di più dorato, di più splendido di questo tumulto di campane, di questa fornace di musica, di queste diecimila voci di bronzo che cantano assieme in flauti di pietra alti trecento piedi da terra, di questa città che non è più che un'orchestra, di questa sinfonia che ha tutto il clamore di una tempesta. (da Parigi a volo d'uccello, Rizzoli, 1951, vol. I, p. 155)
  • L'invenzione della stampa è il più grande avvenimento della storia. È la rivoluzione madre. È il modo di esprimersi dell'umanità che si rinnova totalmente, è il pensiero umano che depone una forma e ne riveste un'altra, è il completo e definitivo cambiamento di pelle di quel serpente simbolico, che, da Adamo in poi, rappresenta l'intelligenza.
    Sotto forma di stampa il pensiero è più imperituro che mai; è volatilizzabile, inafferrabile, indistruttibile. Si mescola all'aria. Al tempo dell'architettura, si faceva montagna e si impadroniva potentemente di un secolo e di un luogo: Adesso si fa stormo di uccelli, si sparpaglia ai quattro venti, e occupa contemporaneamente tutti i punti dell'aria e dello spazio.
    Chi non vede, ripetiamo, che in questo modo il pensiero è molto più indelebile? Di solido che era, eccolo diventato mobilissimo. Passa dalla durata all'immortalità. Una massa si può demolirla, ma l'ubiquità come si estirpa? (Esmeralda da Questo ucciderà quello, Rizzoli, 1951, vol. I, pp. 202-203)
  • Una borsa nella vostra tasca, Jehan, è come la luna in un secchio d'acqua! Pur se la si vede, non c'è. Ce n'è solo l'ombra. (da Notre-Dame de Paris, traduzione di Fabio Scotto, La Biblioteca di Repubblica, 2003, libro settimo, cap. VI)
  • [...] i giudici, in generale, si regolano in modo che il loro giorno d'udienza coincida col loro giorno di malumore, allo scopo di aver sempre qualcuno su cui sfogarsene comodamente, in nome del re, della legge e della giustizia. (da Sguardo imparziale sull'antica magistratura, Rizzoli, 1951, vol. I, p. 213)
  • La forca è una bilancia che con un braccio porta un uomo e con l'altro tutta la terra. È bello essere l'uomo. (Jehan Frollo, da ’AΝΆΓΚΗ, traduzione di Clara Lusignoli, Einaudi, 1996, p. 283)
  • Fatto che si abbia il male, bisogna farlo tutto quanto. È da pazzi sperare di fermarsi ad un punto qualunque del mostruoso! Il delitto spinto agli estremi ha deliri di gioia. (Claudio Frollo, da Lasciate ogni speranza, Rizzoli, 1951, vol. II, p. 362)
  • Phoebus si mise abbastanza presto l'animo in pace riguardo all'incantatrice Esmeralda, o Similar, come diceva lui, sulla pugnalata della zingara o del monaco-burbero (poco gliene importava), e sull'esito del processo. Ma non appena il suo cuore fu da quel lato libero, vi ritornò l'immagine di Fleur-de-Lys. Il cuore del capitano Phoebus, come la fisica del tempo, aveva orrore del vuoto. (da Notre-Dame de Paris, traduzione di Fabio Scotto, La Biblioteca di Repubblica, 2003, libro ottavo, cap. VI)
  • [...] l'amore è come un albero: spunta da sé, getta profondamente le radici in tutto il nostro essere, e continua a verdeggiare anche sopra un cuore in rovina.
    Inspiegabile si è che, più questa passione è cieca, più è tenace. Non è mai più salda di quando non ha alcuna ragion d'essere. (da Argilla e cristallo, Rizzoli, 1951, vol. II, p. 408)
  • Era una di quelle teste mal conformate, in cui l'intelligenza si trova a suo agio suppergiù come la fiamma sotto lo spegnitoio. (da Il ritiro dove recita le sue orazioni Monsignore Luigi di Francia, Rizzoli, 1951, vol. II, p. 486)
  • Mentre così parlava, il desolato Gringoire baciava le pantofole del re, e Guglielmo Rym bisbigliava in un orecchio al Coppenole:
    – Fa bene a strisciare per terra. I re sono come il Giove di Creta: hanno le orecchie solo nei piedi. (Guglielmo Rym a Coppenole, da Il ritiro dove recita le sue orazioni Monsignore Luigi di Francia, Rizzoli, 1951, vol. II, p. 489)
  • Purtroppo le piccole cose distruggono le grandi: un dente rosicchia un trave, il topo del Nilo uccide il coccodrillo, il pesce spada uccide la balena, il libro ucciderà l'edificio. (2011, p. 172)

Donata Feroldi

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Circa due anni o diciotto mesi dopo gli eventi con cui si chiude questa vicenda, quando si andò a prendere nel sotterraneo di Montflaucon il cadavere di Olivier le Daim, impiccato due giorni prima, e a cui Carlo VIII accordava la grazia di essere seppellito a Saint-Laurent in compagnia migliore, si trovarono fra tutte quelle carcasse orrende due scheletri di cui l'uno teneva l'altro stranamente abbracciato. Uno dei due scheletri, che era di donna, aveva ancora qualche brandello di veste di una stoffa che era stata bianca, e gli si vedeva intorno al collo una collanina di semi di azedarach con un sacchettino di seta, ornato di pietre verdi, aperto e vuoto. Quegli oggetti erano di così scarso valore che il boia probabilmente non aveva saputo che farsene. L'altro, che teneva il primo strettamente abbracciato, era uno scheletro d'uomo. Si notò che aveva la colonna vertebrale deviata, la testa incassata tra le scapole, e una gamba più corta dell'altra. Non presentava d'altronde alcuna frattura vertebrale alla nuca, ed era evidente che non era stato impiccato. L'uomo al quale era appartenuto quello scheletro era dunque venuto in quel luogo, e lì era morto. Quando si volle staccarlo dallo scheletro che stringeva, andò in polvere.
[Victor Hugo, Notre-Dame de Paris, traduzione di Donata Feroldi, Universale Economica Feltrinelli, 2002. ISBN 8807821591]

Luigi Galeazzo Tenconi

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Circa due anni o diciotto mesi dopo gli avvenimenti coi quali si è conclusa questa storia, essendo andati a cercare nel sotterraneo di Montfaucon il cadavere di Oliviero il Daino, che era stato impiccato due giorni prima, e al quale Carlo VIII concedeva la grazia di essere sepolto in San Lorenzo in miglior compagnia, furono trovati, fra tutte quelle ripugnanti carcasse, due scheletri di cui uno teneva stranamente abbracciato l'altro. Uno di quei due scheletri, che era d'una donna, aveva ancora qualche brandello di veste di una stoffa che era stata bianca, e gli si scorgeva intorno al collo una collana di grani turchini, con un sacchetto di seta, ornato di perline di vetro verdi, aperto e vuoto. Erano oggetti di così infimo valore, che certo il boia non aveva voluto saperne. L'altro scheletro, che teneva il primo strettamente abbracciato, era d'un uomo. Si notò che aveva la colonna vertebrale deviata, la testa fra le scapole, e una gamba più corta dell'altra. Quello scheletro, però, non presentava nessuna traccia di rottura di vertebre alla nuca, dal che risultava evidente che non era stato impiccato. L'uomo al quale era appartenuto, dunque, era entrato là dentro da sé, e vi era rimasto. Quando fecero per staccarlo dallo scheletro che abbracciava, si polverizzò.
[Victor Hugo, Notre-Dame di Parigi, traduzione di Luigi Galeazzo Tenconi, RCS Libri, 2000]

L'ultimo giorno di un condannato a morte

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Condannato a morte!

Sono cinque settimane che abito con questo pensiero, sempre solo con lui, sempre agghiacciato dalla sua presenza, sempre curvo sotto il suo peso!

[Victor Hugo,L'ultimo giorno di un condannato a morte,Oscar Mondadori, Milano, 1998]

Citazioni

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  • Gli uomini che giudicano e che condannano proclamano la pena di morte necessaria, prima di tutto:
    perché è importante scindere dalla comunità sociale un membro che le ha già nuociuto e che potrebbe nuocere ancora. Si trattasse solo di questo, il carcere a vita basterebbe. Perché la morte? Voi mi obiettate che da una prigione si può scappare? Fate meglio la guardia... Niente carnefici dove bastano carcerieri. (1956)
  • Ma mi si risponde, la società deve vendicarsi, la società deve punire. Né una cosa né l'altra: vendicarsi è un atto dell'uomo, punire appartiene a Dio. (1956)
  • Resta la terza e ultima ragione, la teoria dell'esempio. Bisogna dare esempi... allora ridateci il XVI secolo, siate veramente formidabili: ridateci la varietà dei supplizi, ridateci i tormentatori giurati, ridateci la forca, la ruota, il rogo, i tratti di corda, il taglio delle orecchie, lo squartamento... ecco l'esempio in grande; ecco la pena di morte ben intesa; ecco un sistema di supplizi che ha una certa proporzione... ma dite un po', siete davvero seriamente convinti di dare un esempio quando scannucchiate miserabilmente un povero diavolo nel punto più deserto dei boulevards esterni? (1956)
  • ... pensano senza dubbio che, per il condannato non ci sia niente né prima né dopo. Questi fogli li trarranno d'inganno. Pubblicati, forse, un giorno, costringeranno il loro spirito ad arrestarsi sulle sofferenze dello spirito; perché proprio di queste non hanno la minima idea. Trionfano al pensiero di poter uccidere senza far quasi soffrire il corpo. Ah, ma non di questo si tratta!
  • Che cos'è il dolore fisico paragonato al dolore morale? Leggi così fatte dovrebbero ispirare orrore e pietà. (1956)
  • Il ricorso è una corda che vi tiene sospeso al di sopra dell'abisso, e che si sente cedere a ogni momento sino a che si spezza; è come se il coltello della ghigliottina impiegasse sei settimane a cadere.
  • Il secondino è entrato in cella, si è tolto il berretto, mi ha salutato, si è scusato perché mi disturbava e, addolcendo il meglio che poteva la voce rude, mi ha chiesto che cosa desiderassi da colazione... ho avuto un brivido. Che sia per oggi? (1956)
  • Oh povera bambina mia, ancora sei ore e sarò morto... mi uccideranno. Capisci ciò, Maria? Mi uccideranno a sangue freddo, in grande cerimonia, per il bene della società. (1956)
  • Si dice che sia cosa da nulla, che non si soffre, ch'è una fine dolce, che in questo modo la morte è molto semplificata. Eh, che cosa sono allora questa agonia di sei settimane e questo rantolare di un intero giorno? Che cosa sono le angosce di questa giornata irreparabile, che passa così lentamente e così in fretta? Che cos'è questa scala di torture che termina sul patibolo? (1956)

[Victor Hugo, L'ultimo giorno di un condannato a morte,1956, Rizzoli Editore, Milano]

Contro la pena di morte

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  • La pena di morte è il segno caratteristico ed eterno della barbarie.[51]
  • Che idea si fanno dunque gli uomini dell'assassinio? Come! In giacca non posso uccidere, in toga posso! Come la tonaca di Richelieu, la toga copre tutto. Vindicta pubblica? Oh, ve ne prego, non mi vendicate. Assassinio, assassinio! Vi dico. All'infuori del caso di legittima difesa, inteso nel suo senso più ristretto (perché una volta che il vostro aggressore ferito da voi sia caduto, voi dovete soccorrerlo), l'omicidio è forse permesso? Ciò che è vietato all'individuo è dunque lecito alla comunità?
  • Il carnefice quale sinistra specie d'assassino, l'assassino ufficiale, l'assassino patentato, mantenuto, fornito di rendita, chiamato in certi giorni, che lavora in pubblico, uccide in pieno sole, avendo tra i propri arnesi "la spada della giustizia", riconosciuto assassino dallo Stato; l'assassino funzionario, l'assassino che ha la sua nicchia nella legge, l'assassino in nome di tutti! Esso ha la mia procura e la vostra per uccidere. Strangola o scanna, poi batte la mano sulla spalla della società e dice: "Io lavoro per te, pagami". È l'assassino cum privilegio legis, l'assassino il cui crimine è decretato dal legislatore, deliberato dal giurato, ordinato dal giudice, permesso dal prete, protetto dal soldato, contemplato dal popolo.
  • La civiltà rifletta a ciò: essa risponde del carnefice. Ah, voi odiate il crimine sino a uccidere il criminale? Ebbene, io odio l'assassinio sino a impedirvi di diventare assassini. Tutti contro uno, la potenza sociale condensata in ghigliottina, la forza collettiva impiegata per un'agonia, che cosa vi è di più odioso? Un uomo ucciso da un uomo spaventa il pensiero, un uomo ucciso dagli uomini lo costerna.
  • Bisognerà ripeterlo continuamente? Quest'uomo, per riconoscere se stesso ed emendarsi, per liberarsi dalla schiacciante responsabilità che gli pesa sull'anima, aveva bisogno di tutto quanto gli rimaneva di vita voi gli concedete pochi minuti; con che diritto? Come osate accollarvi questa temibile abbreviazione dei diversi fenomeni del pentimento? Vi rendete conto di questa responsabilità dannata da voi, e che si svolge contro di voi, e diventa vostra? Voi fate qualche cosa di peggio che uccidere un uomo, uccidete una coscienza.
  • Di due cose l'una: o siete credente, o non lo siete. Se siete credente, come osate gettare un'immortalità nell'eternità? Se non lo siete, come osate gettare un essere nel nulla?

Incipit di alcune opere

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Napoleone il piccolo

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Giovedì, 20 dicembre 1848, mentre l'Assemblea Costituente si trovava in seduta, circondata in quel momento da un imponente spiegamento di forze, conseguenza di un rapporto del rappresentante Waldeck-Rosseau, compilato a nome della commissione incaricata di fare lo spoglio dello scrutinio per l'elezione della presidenza della Repubblica, rapporto in cui era stata notata questa frase che ne riassumeva tutto il significato: «Con tale ammirevole esecuzione data alla legge fondamentale, la nazione stessa imprime sulla Costituzione il suggello della sua inviolabile autorità, per renderla santa e inviolabile»; in mezzo al profondo silenzio dei novecento costituenti riuniti in folla e, quasi al completo, il presidente dell'Assemblea nazionale costituente, Armand Marrast, si alzò e disse:
«A nome del popolo francese
«visto che il cittadino Carlo Luigi Napoleone Bonaparte, nato a Parigi, soddisfa pienamente le condizioni di eleggibilità prescritte dall'articolo 44 della Costituzione;
«visto che, nello scrutinio indetto in ogni parte del territorio della Repubblica per eleggere il presidente, egli ottenne la maggioranza assoluta dei suffragi;
«in forza degli articoli 47 e 48 della Costituzione, l'Assemblea nazionale lo proclama presidente della Repubblica, da oggi fino alla seconda domenica del maggio maggio 1852».
[Victor Hugo, Napoleone il piccolo, a cura di Enrica Grasso, Universale Economica, Milano, 1952.]

Leggenda medioevale

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Il leggiadro Pecopino amava, riamato, la bella Baldura. Pecopino era figliuolo del burgravio di Sonneck; Baldura, figlia del re del Falkenburg; il primo aveva la foresta, la seconda la montagna. Cosa di più semplice d'uno sposalizio fra la foresta e la montagna?
I genitori si accordarono e Baldura fu fidanzata con Pecopino.
[Victor Hugo, Leggenda medioevale, a cura di Anna Maria Salsano, Liguori Editore, Napoli, 1998.]

Lotte sociali

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Quando arrivai alla Camera dei pari, erano le tre precise, il generale Rapatel uscendo dal vestibolo mi disse:
— La seduta è finita.
Andai alla Camera dei deputati. Nel momento in cui la mia carrozza passava dalla via di Lilla una colonna serrata ed interminabile di uomini in borghese, in blouse ed in berretto, camminando l'uno a braccetto dell'altro, tre per tre, sboccava dalla via Bellechasse e si dirigeva verso la Camera. Vedevo l'altra estremità della strada chiusa da una fitta fila di fanteria di linea, l'arma al braccio. Sorpassai la gente in blouse che era confusa a delle donne e che gridava: — Viva la Riforma! — Viva la linea! — Abbasso Guizot! — Costoro si fermarono ad un tiro di fucile circa dalla fanteria. I soldati aprirono i ranghi per lasciarmi passare. I soldati discutevano e ridevano. Uno di essi, molto giovane, alzava le spalle.

Citazioni su Victor Hugo

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  • Così edificò egli | nella luce e nell'ombra | l'opera d'eterne parole | che ingombra l'orizzonte | umano con la sua mole | immensa... | Ma il tutto è in lui. Nel suo petto | concluso è il mondo. (Gabriele D'Annunzio)
  • Fu come una cateratta sempre aperta, donde precipitò esuberante e sonora la fiumana delle visioni e dei simboli. Il lirismo lo scosse fanciullo e lo turbò vecchio, dopo oltre sessant'anni di inni, di entusiasmi, di febbri, di sacri terrori e di epiche ire. (Paolo Orano)
  • Hugo non era Népomucène Lemercier[52], ma non era nemmeno Shakespeare. Pensandosi autentica rappresentazione della vita il suo «grottesco» resta per lo più nel convenzionale delle antitesi che non raggiungono il punto d'incontro in cui l'arte si fonde con la vita ed in cui l'immaginazione risolve in poesia i contrasti della realtà e la dialettica dei contrari: onde volgare perizia e linguaggio sontuoso procedono di conserva e in discordia fra umorismo e involontario ridicolo, fra la ricerca del sublime e la goffa trovata, fra il volo lirico e la caduta nella prosa. Hugo non era Shakespeare, ma non era nemmeno Népomucène Lemercier, E il puerile colpo di scena si accompagna volentieri alla sorpresa del verso felice e della rima ricca, la fantasia vagabonda scopre a volte il vago paesaggio della fiaba, mentre l'assurdo intreccio si riscatta nel frammento e nelle gratuità del bel canto. Il poeta delle luci e delle ombre ha fatto anche del teatro uno di quei suoi amati mostri ai quali carenze ed eccessi impediscono di raggiungere il miracolo. (Italo Siciliano)
  • Il dono di creare esseri umani manca a questo genio. Se avesse questo dono, Hugo avrebbe sorpassato Shakespeare. (Gustave Flaubert)
  • I romanzi di Hugo sono poderosi, zeppi di personaggi che balzano al vivo fuori della pagina, figurine di un presepio laico, di una rappresentazione profana sulla sacralità della vita terrena, l'infanzia, il male, la giustizia, l'amore, gli uomini di Dio. (Corrado Augias)
  • Quando l'arte di Carlo Baudelaire fu detta, prima ancora che dal Nordau, oscura ed immorale, una voce potente sorse a difenderla: la voce di Vittor Hugo. Il gran poeta affermò che l'autore dei Fleurs du mal aveva arricchito il campo delle commozioni artistiche di un frisson nouveau. (Federico De Roberto)
  • Quando si pensa a cos'era la poesia francese prima della sua comparsa, e quale ringiovanimento essa abbia avuto dopo di lui, quando si ponga mente un poco a quello che sarebbe stata senza la sua venuta; quanti sentimenti misteriosi e profondi che sono stati espressi sarebbero rimasti muti... Nessun artista è più adatto a mettersi in contatto con le forze della vita universale, più disposto a prendere incessantemente un bagno di natura. (Charles Baudelaire)
  • Ricordo un pomeriggio con un bel sole limpido e chiaro: José Lupin ed io leggevamo a voce alta, nel cortile centrale, dandoci il cambio di quando in quando, Dieu e La fin de Satan. Nonostante tutto, ridevamo come matti, come ai tempi del «Luigi il Grande»; improvvisamente, questi versi, qualche frase stupefacente, misteriosa, fiammeggiante, in cui il vecchio Hugo si rinchiude in altra solitudine, in segreto rapporto con gli astri, cavalli alati, chimere, in un fruscio d'oro, tutto si cristallizzava, in un silenzio immoto e sospeso: e Hugo guardava Dio. Ci fermavamo, scossi e commossi. (Robert Brasillach)
  • Se mi venisse chiesto di indicare nell'arte moderna dei [...] modelli dell'arte superiore, religiosa, proveniente dall'amore di Dio e del prossimo, indicherei nella sfera della letteratura [...] fra i più recenti Les pauvres gens di V. Hugo e i suoi Misérables [...]. (Lev Tolstoj)
  • Solamente Victor Hugo ha parlato: gli altri uomini balbettano. Qualcuno può assomigliargli nella barba, nella lunghezza della fronte, nei duri capelli che sfidano le forbici e che sono il terrore dei barbieri: e si può assomigliargli nella preoccupazione di recitare una parte come nonno o come uomo politico. Ma, se apro a casa un libro di Victor Hugo, vedo una montagna, un mare, quello che volete voi, eccettuato qualche cosa a cui possano paragonarsi gli altri uomini. (Jules Renard)
  • Dall'arsenale romantico Hugo trae quanto può impressionare l'uditorio, produrre effetto. Tutto a questo deve concorrere; tempestoso deve essere il cielo, quando l'anima umana mostrasi agitata e sconvolta.
  • Elemento perturbatore del teatro di Hugo è l'allusione politica. L'autore, vuole che i personaggi da lui creati, esprimano non già i concetti, le aspirazioni del tempo in cui vivono, bensì le sue, e quelle del XIX sec., sicché il pubblico applaude ad allusioni, a "tirate", umanitarie e democratiche assolutamente fuori di posto.
  • Il malessere fisico che proviamo quando, oppressi da un incubo, crediamo, nel sonno, di precipitare da spaventosa altezza – con gli occhi scrutiamo l'abisso, con le mani ci afferriamo a una sporgenza, e un grido di spavento esce da petto e ci risveglia – tutto ciò Hugo ha trasformato in concezione artistica.
  • Tutti i drammi del poeta francese hanno pretese storiche dal "Cromwell" ai "Burgravi". Ma in nessuno la storia e neppur quello che chiamasi ambiente storico appaiono rispettati.
  1. Da Chants du crépuscule, XIV.
  2. Citato in Luca Goldoni, Vita da bestie, ed. BUR, 2001.
  3. Da Que nous avons le dout en nouns, in Canti del crepuscolo; citato in Dammi mille baci, e ancora cento. Le più belle citazioni sull'amore, a cura delle Redazioni Garzanti, Garzanti, 2013.
  4. Da Odi e ballate.
  5. a b c d e f g h i Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  6. (FR) Da En voyage: Alpes et Pyrénées, J. Hetzel & Cie-Maison Quantin, Parigi, 1890, p. 101.
  7. Da Pour les pauvres, in Feuilles d'automne.
  8. Citato in Gaia Gigante, I giorni del monsone, p. 36
  9. Da William Shakespeare, Parigi, Libreria internazionale, A. Lacroix, Verboeckhofen & C. Editori, Bruxelles, Lipsia, Livorno, 18672, p. 76.
  10. (FR) Da Discours à l'Assemblée constituante, 1848; (FR) citato in Jean-Yves Dournon, Dictionnaire des citations françaises, Solar, Parigi, 1997, p. 641. ISBN 2-263-02458-1
  11. Da Le foglie d'autunno.
  12. Da William Shakespeare, I, 2, I.
  13. Da Ruy Blas, atto II, scena V, 1838.
  14. Citato in G.K. Chesterton, L'etè vittoriana nella letteratura, traduzione di Paolo Dilonardo, Adelphi, 2017, p. 27.
  15. Dal testamento olografo, codicillo del 31 agosto 1881. Cfr. Giuseppe Passarello, Voci del tempo nostro. Antologia di letture moderne e contemporanee, Società Editrice Internazionale, Torino, stampa 1968, p. 7. Citato in Jessy Simonini, Archivi letterari alla Bibliothèque Nationale de France
  16. Da Odi e ballate; citato da Salvatore Barzilai nella Tornata del 30 gennaio 1906 della Camera dei Deputati (Regno d'Italia).
  17. a b Da La leggenda dei secoli.
  18. Citato in Mario Isnenghi, Dieci lezioni sull'Italia contemporanea, Donzelli, Roma, 2011, p. 3. ISBN 9788860367921
  19. Dal discorso a Jersey, 18 giugno 1860, in Actes et paroles, vol. 3.
  20. Da Il linguaggio delle bestie; citato in Domenico Ciampoli, Dizionari di citazioni italiane e tradotte: citazioni francesi, § 4219, Carabba, Lanciano, 1912, p. 385.
  21. Da Letteratura e filosofia insieme.
  22. Citato in Poemi Liriche e Traduzioni, Volume unico, Palermo, Sandron, 1912.
  23. Da Pietre.
  24. a b c d Citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  25. Citato in Indro Montanelli, Roberto Gervaso, L'Italia del Settecento, Rizzoli, Milano, 1971, cap. 9, p. 116.
  26. Da Œuvres complètes, vol. 12, Le club français du livre, p. 1552.
  27. Da Le voci interiori.
  28. Da Ruy Blas, atto II, scena 5.
  29. Da Préface philosophique.
  30. Da Hernani, III, 6, citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 722.
  31. Da I burgravi, prefazione.
  32. Da Cose viste.
  33. Da L'anima in fiore, in Contemplazioni; citato in Luigi Lepri, Diciamolo in bolognese, Pendragon, 2005, p. 51.
  34. Dalla lettera a Juliette Drouet del 26 febbraio 1874, in (FR) Victor Hugo e Juliette Drouet, 50 ans de lettres d'amour 1833-1883. Lettres de l'anniversaire, presentazione di Gérard Pouchain, prefazione di Marie Hugo, Ouest-France, Rennes, 2005, p. 190.
  35. Da Histoire d'un crime, 2 voll., parte V, Conclusion, cap. X, La chute, Calmann Lévy, Paris, 1877, vol. II, p. 300.
  36. Da Hernani, atto I, scena II.
  37. Da La fête chez Thérèse, in Les Contemplations.
  38. Da Le roi s'amuse, IV, 2.
  39. Da La Légende des siècles, Booz endormi, éd. Édition Hetzel, 1859, XI.
  40. Citato in Emil Ludwig, Napoleone, quarta di copertina.
  41. Citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 239.
  42. Citato in Sergio Bernacconi, Da testimone: uomini, fatti e memorie fra la cronaca e la storia, SATE, Ferrara, 1984, p. 112.
  43. Vai al testo completo.
  44. Citato in Philippe Daverio, Il secolo lungo della modernità, Rizzoli, Milano, 2012, p. 392. ISBN 978-88-17-06011-0
  45. Citato in Umberto Eco, Costruire il nemico, Bompiani, Milano, 2011, p. 196.
  46. Critica alla decadenza dei monumenti di Parigi.
  47. Riferito alle scuole d'architettura parigine.
  48. La ruota (il tornio) gira, e il vaso è fatto. La traduzione è in Rizzoli, 1951, vol I, p. 13.
  49. Il tempo è vorace, l'uomo lo è ancor più. La traduzione è in Rizzoli, 1951, p. 123.
  50. Nota alla quinta edizione, Parigi, 7 aprile 1831. Cfr. Notre-Dame di Parigi, nota a p. 151.
  51. Estratto da un discorso all'Assemblea Costituente, 15 settembre 1848
  52. Louis Jean Népomucène Lemercier (1771 – 1840), poeta e drammaturgo francese.

Bibliografia

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  • Victor Hugo, Contro la pena di morte, antologia da opere e discorsi, BUR, collana Pillole BUR, 2009.
  • Victor Hugo, I Lavoratori del Mare, traduzione, introduzione e note di Giacomo Zanga, BMM, 1954.
  • Victor Hugo, I lavoratori del mare, traduzione di Giacomo Zanga, Mondadori, 2015. ISBN 9788852061271
  • Victor Hugo, I miserabili, traduttore non citato, Casa Editrice Esperia, 1862.
  • Victor Hugo, I miserabili, traduzione di Renato Colantuoni, U. Mursia & C., Milano, 1958.
  • Victor Hugo, I miserabili, traduzione di Gastone Toschi, Bietti, 1966.
  • Victor Hugo, I miserabili, a cura di Renato Colantuoni, Garzanti, 1981.
  • Victor Hugo, I miserabili, traduzione di Marisa Zini, introduzione di Marc Le Cannu, A. Mondadori, Milano, 1988.
  • Victor Hugo, I miserabili, traduzione di E. De Mattia, Newton Compton editori, 2004.
  • Victor Hugo, I miserabili, traduzione di Liù Saraz, Garzanti, Milano, 2013. ISBN 978-88-11-13775-7
  • Victor Hugo, I miserabili, traduzione di Mario Picchi, Einaudi, 2014
  • Victor Hugo, Il Novantatré, a cura di Aldo Alessandro Mola, MEB, 1973.
  • Victor Hugo, Il Novantatré, traduzione di Oete Blatto, Biblioteca Economica Newton, Roma, 2004. ISBN 88-8289-976-4.
  • Victor Hugo, L'uomo che ride, traduzione di L. Rossi, Editrice Lucchi, 1967.
  • Victor Hugo, L'uomo che ride, traduzione di di Renato Mucci, Gherardo Casini Editore, Roma, 1972.
  • Victor Hugo, L'uomo che ride traduzione di L. Rossi, Editrice Lucchi, Milano, 1967.
  • Victor Hugo, Leggenda medioevale, a cura di Anna Maria Salsano, Liguori Editore, Napoli, 1998.
  • Victor Hugo, Lotte sociali, traduzione di Augusto Novelli, Firenze, Ditta Tip. Edit. L'elzeviriana, 1902.
  • Victor Hugo, Notre-Dame de Paris, traduzione di L. G. Tenconi, BUR, 2000.
  • Victor Hugo, Notre-Dame de Paris, traduzione di Donata Feroldi, Universale Economica Feltrinelli, 2002. ISBN 8807821591
  • Victor Hugo, Notre-Dame de Paris, traduzione di Fabio Scotto, La Biblioteca di Repubblica, 2003.
  • Victor Hugo, Notre-Dame de Paris, traduzione di Clara Lusignoli, Einaudi, 2007. ISBN 9788806177133
  • Victor Hugo, Notre-Dame de Paris, traduzione di Ercole Luigi Morselli, Newton Compton, Roma, 2011.

Filmografia

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