Aleksej Naval'nyj

attivista, politico e blogger russo
(Reindirizzamento da Aleksej Navalnyj)

Aleksej Anatol'evič Naval'nyj (1976 – 2024), avvocato e politico russo.

Naval'nyj nel 2011

Citazioni di Aleksej Naval'nyj

modifica

  Citazioni in ordine temporale.

2007 – 2017

modifica
  • [Parlando dell'immigrazione] Nessuno dovrebbe essere picchiato. [Invece,] tutto ciò che ci infastidisce dovrebbe essere accuratamente, ma inflessibilmente eliminato mediante la deportazione... Un dente senza radice è considerato morto. Un nazionalista è colui che non vuole che la radice "russa" venga cancellata dalla parola "Russia". Abbiamo il diritto di essere russi in Russia e proteggeremo questo diritto.
No one should be beaten. [Instead,] everything that bothers us should be carefully, but unyieldingly eliminated by means of deportation … A tooth without a root is considered dead. A nationalist is he who does not want the root ‘Russian’ to be deleted from the word ‘Russia.’ We have the right to be Russian in Russia and we will protect this right.[1]
  • Abbiamo problemi con l'immigrazione illegale, abbiamo il problema del Caucaso, abbiamo un problema di crimini etnici... il fatto che le nostre autorità fingano ipocritamente che tali problemi non esistano porta le persone a discuterne solo per strada, alla Marcia russa [la marcia dei nazionalisti].
We have problems with illegal migration, we have the problem of the Caucasus, we have a problem of ethnic crimes... the fact that our authorities hypocritically pretend that such problems do not exist leads to people discussing them only in the street, at the Russian March.[2]
  • [Sull'annessione della Crimea alla Russia] La Crimea appartiene alla gente che ci vive [...] La penisola è stata occupata in flagrante violazione di tutte le norme internazionali. E tuttavia la situazione reale è tale che la Crimea ora è parte della Federazione Russa. E non dobbiamo nutrire illusioni. Anche agli ucraini consiglio vivamente di non illudersi. Resterà parte della Russia e nel prossimo futuro non tornerà all'Ucraina.[3]
  • Cos'è la Crimea, un panino al salame che ci si passa l'un l'altro? Io non credo.[3]
  • [Su Robin Williams] Lui, senza alcun dubbio, era una persona davvero in gamba.[4]
  • Aspettarsi che in breve tempo la Crimea torni in Ucraina è assurdo. Di per sé in questo consiste la pesantezza della situazione creata da Putin, ha creato un problema che resterà per anni. La Crimea sta assieme a Cipro del Nord, alle isole Falkland, alle isole Curili, vicende su cui ancora discuteranno i nostri nipoti, per cui ci saranno problemi, sanzioni eccetera. La verità oggi è che di fatto la Crimea è annessa alla Russia; la verità è che per lunghi anni cercheremo di risolvere questo problema e non ci riusciremo perché non si vede una soluzione. Questi problemi nel mondo non si risolvono, purtroppo.[5]
  • [...] visto il modo in cui WikiLeaks sembra essere sincronizzata con la propaganda falsa dei media russi come Russia Today e Sputnik, ci sono ragioni per pensare che questa cooperazione sia in effetti probabile.[6]
  • Dirò in breve la mia posizione. Primo: l'occupazione della Crimea è stata chiaramente illegale. Secondo: non esiste una soluzione semplice di questo problema, né in Russia, né in Ucraina, né da nessuna parte. Terzo: qualsiasi programma a tappe per normalizzare la situazione in Crimea deve cominciare da un vero referendum, onesto e trasparente, perché quello che c'è stato non era un referendum. Quarto, che si collega al secondo punto: ritengo che questa situazione durerà decenni. È un problema simile a quello esistente a Cipro del Nord, nei Territori palestinesi eccetera. Ce ne sono molti sulla carta del mondo, ma in un prossimo futuro non saranno risolti. Così sarà per la Crimea. Purtroppo, è un "regalo" (tra virgolette) che Putin lascerà alla Russia, all'Ucraina e ai crimeani tutti. In tempi brevi non si potrà risolvere.[7]

Da Yale

28 aprile 2010; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.

  • Voglio allargare seriamente lo strumentario del nostro lavoro, e imparare/capire come usare contro i Capaci Manager tutte le leggi estere sulla corruzione, la legislazione antiriciclaggio di USA ed UE, i regolamenti di Borsa eccetera. Noi dobbiamo essere capaci di fregarli per bene là dove non sono protetti dagli avidi truffatori della Procura Generale e dei tribunali russi.
  • Non c'è bisogno di dimostrare, alle riunioni, che il Wi-Fi non è un'invenzione diabolica della CIA per informazioni top secret sulla diminuzione dei capi di bestiame.
  • [...] l'Oscar non l'ho ancora ricevuto, ma di ringraziamenti ne ho molti da fare.

Da Sono un tipico credente post-sovietico

Intervista di Boris Akunin, 4 gennaio 2012; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.

  • La fonte del potere nello Stato nazionale è la nazione, i cittadini e non le élite che invitano a conquistare la metà del mondo e a imporre il dominio globale, ma sotto sotto derubano la popolazione che marcia verso l'oceano Indiano. Lo Stato è indispensabile per garantire una vita confortevole e dignitosa ai cittadini, per difenderne gli interessi individuali e collettivi. Lo Stato nazionale va nella direzione di uno sviluppo europeo per la Russia, la nostra piccola casa europea confortevole e al tempo stesso forte e sicura.
  • Va bene che le persone siano religiose, così come va bene che alcune persone prendano in giro la religione. Le battute sulla religiosità nei Simpson o in South Park vanno benissimo e non mi offendono minimamente.
  • La posizione della Chiesa ortodossa è che ogni potere viene da Dio, perciò qualsiasi potere va sostenuto. Bisogna prenderla con filosofia.
  • Giorni fa ho letto un curioso articolo su «Vedomosti», che descriveva i casi dei dittatori che hanno lasciato il potere in modo pacifico. Curiosamente, quasi ovunque il principale mediatore tra il dittatore e gli oppositori è stata la Chiesa. È possibile che questo avvenga ora nel nostro Paese? Non credo. Ma mi piacerebbe molto che la Chiesa ortodossa russa avesse una posizione tale che tutte le parti in conflitto cercassero e accettassero la sua mediazione.

Da «L'aula del tribunale è la mia tribuna». Ultima parola al primo processo «Kirovles»

5 luglio 2013; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.

  • Noi tutti (me compreso) sappiamo benissimo che lo scopo principale di questo processo è come quello delle serie televisive, fare in modo che nei telegiornali dei canali federali qualcuno possa citare il mio nome come quello della persona che ha rubato il legname nella Regione di Kirov, il delinquente. Come se questo potesse cancellare con un colpo di spugna tutto quello che ho scritto sui delinquenti veri, quelli che rubano miliardi a noi tutti e che hanno preso il potere nel nostro Paese.
  • Comunico che io e i miei colleghi faremo di tutto per distruggere il sistema feudale che stanno costruendo in Russia. Distruggere un sistema di potere nel quale l'83% delle risorse nazionali appartiene allo 0,5% della popolazione.
  • [...] dopo 15 anni che è arrivata una valanga di soldi grazie al gas e al petrolio, agli abitanti non è rimasto nulla. [...] Un solo ed unico prodotto oggi è più disponibile rispetto al periodo sovietico, la vodka. A parità di potere d'acquisto, solo la vodka costa di meno. Questo vuol dire che a noi, cittadini di questo Paese, sono garantiti solo il degrado e l'alcolismo.
  • Se qualcuno ritiene che io, avendo sentito ventilare una condanna a sei anni, scapperò all'estero o mi nasconderò, si sbaglia di grosso, non scapperò da me stesso. Non ho altra via d'uscita e non voglio fare altro che questo, aiutare gli abitanti del mio Paese, lavorare per i miei concittadini.
  • [...] non può continuare all'infinito che un Paese di 140 milioni di abitanti, immenso, il più grande del mondo, uno dei più ricchi al mondo, sia sottomesso a una banda di mostri che in realtà non sono nessuno, neanche negli oligarchi, perché quelli si sono fatti i capitali con il cervello e l'astuzia. Sono semplicemente i bassi ranghi del partito, che poi sono diventati democratici e oggi fanno i patrioti, e hanno ramazzato tutto quanto. Questo equivoco verrà superato col nostro lavoro.

Intervista di Claudio Altarocca, Lastampa.it, 27 agosto 2013.

 
Naval'nyj durante la campagna da sindaco, agosto 2013
  • La mia posizione è basata esclusivamente sulla legge e la Costituzione, dove è scritto che le manifestazioni pacifiche non possono essere vietate. [...] Non intendo dire no ai gay pride, alle "marce russe" [le marce degli ultranazionalisti] o qualsiasi altro evento pubblico. Chiunque voglia uscire e marciare senza violare l'ordine pubblico, potrà farlo quanto gli pare. È la mia posizione più importante.
  • Il Cremlino semplicemente governa con la sociologia: hanno individuato tramite qualche inchiesta un gruppo, che a loro parere suscita reazioni negative nel popolo: gli omosessuali. E di continuo tirano fuori qualche storia, perché i gay disturbano la loro agenda politica.
  • Sarò un ottimo sindaco. Se vinco, il sistema Putin chiaramente non potrà esistere. Voglio cambiare il Paese.
  • Per me [Vladimir Putin] è la persona che ha fondato nel mio Paese un sistema corrotto che ne impedisce lo sviluppo e che voglio distruggere.

Da Buona Pasqua!

20 aprile 2014; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.

  • Contro che cosa si era battuto il Signore? Contro la menzogna, l'ipocrisia, la schiavitù, l'usurpazione del potere da parte di delinquenti e ladri. Contro tutto quello che maggiormente ci disgusta, che ha disgustato molti prima di noi e disgusterà molti dopo di noi.
  • Non aveva chi potesse sostenerlo, cose come i nostri meeting erano proibite, gli OMON lo tormentavano con le lance, i mass media erano sotto il controllo dei farisei, al potere c'erano dei furfanti con proprietà immobiliari all'estero. E dei dodici che componevano il comitato centrale del suo partito, uno era un provocatore, un traditore che si era venduto per soldi e si era messo al servizio della Sezione «E» del tempo.
  • I malvagi distrussero tutto quello che era stato fatto. I discepoli furono costretti a rinnegarlo. Lui stesso fu torturato e ucciso. E tutto crollò e calarono le tenebre.
    Cosa sono tutte le nostre "difficoltà" e i nostri "problemi" in confronto a ciò che ha dovuto provare lui?
    Ma il Bene, la Giustizia, la Fede, la Speranza e la Carità ebbero comunque la meglio.

Da Come nasce un caso politico. Il processo «Yves Rocher»

22 aprile 2014; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.

  • Il caso Yves Rocher è stato proficuamente usato dalla tivù in modo che per due anni di fila al nome Naval'nyj venisse associato «che con suo fratello ha rubato 50 milioni di rubli alla compagnia francese Yves Rocher». Poi un po' per volta la cifra sottratta è scesa a 27 milioni, ma la sostanza non cambiava.
  • Noi siamo centinaia di migliaia. Basta cliccare tre volte e parlare con tre persone che subito qualche milione sarà informato.
  • Ho detto centinaia di volte che noi siamo di più, e la nostra forza è tale da far fuori in un attimo qualsiasi propaganda. Bisogna semplicemente lavorare, e non credere che qualcuno lo farà al posto nostro. Qualcuno che ha più tempo o gli amici di Facebook. Nessuno farà niente, semplicemente il vostro posto sul fronte resterà sguarnito. E in quello spazio si insinueranno il brutto muso di Dmitrij Kiselëv, le varie Margarita Simonian con gli pseudopodi tremanti. E nessuno ne avrà colpa se non voi.

Da Non bisogna fissare il tavolo. Ultima parola al processo «Yves Rocher»

19 dicembre 2014; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.

  • Gli esseri umani sono fatti in maniera diversa. La coscienza umana compensa il senso di colpa, altrimenti le persone si spiaggerebbero come le balene. Non si può tornare a casa e dire ai propri figli e al marito: «Sai, oggi ho fatto condannare una persona chiaramente innocente. Sto male e starò male per sempre». No, noi non facciamo così, siamo fatti in un altro modo. Loro diranno invece: «Aleksej Anatol'evič, lei capisce», oppure: «Non c'è funo senza arrosto». O anche: «Non c'era bisogno di pestare i calli a Putin», come ha detto di recente un rappresentante del Comitato Investigativo. Se non avesse attirato l'attenzione su di sé, se non avesse agitato le braccia e non avesse ostacolato il passaggio dei cittadini, probabilmente tutto sarebbe andato bene.
  • Ci sono moltissime persone che sono costrette a commettere certe bassezze oppure (ancora più spesso) le fanno senza che nessuno le costringa o neanche glielo chieda. Fissano semplicemente il tavolo, cercano di ignorare tutto ciò che accade attorno a loro. E la nostra battaglia per le persone come voi, che guardano il tavolo, è proprio quella di spiegarvi ancora una volta che non dovete farlo, ma dovete ammettere davanti a voi stessi che purtroppo, nel nostro bel Paese, tutto il potere e tutto ciò che accade si basa su menzogne senza fine.
  • Mi raccontano che non occorre difendere gli interessi dei russi in Turkmenistan, ma che per gli interessi dei russi in Ucraina dobbiamo fare la guerra. Mi dicono che nessuno offende i russi in Cecenia. Mi dicono che non ci sono ruberie in Gazprom. Io porto documenti concreti che dimostrano che questi funzionari hanno proprietà e società non registrate, e loro mi rispondono: «Non è vero niente». Dico: «siamo pronti a venire alle urne e a sconfiggervi in queste elezioni: abbiamo registrato un partito, facciamo un sacco di cose» e loro rispondono: «Sciocchezze: vinceremo noi le elezioni, voi non particeperete, non perché non ve lo permettiamo, ma perché non avete compilato correttamente i documenti».
  • Gli unici momenti della nostra vita che hanno un senso sono quelli in cui facciamo qualcosa di giusto. Quando non guardiamo il tavolo ma alziamo lo sguardo e ci guardiamo negli occhi. Tutto il resto non ha senso.
  • Non sarò mai d'accordo con il sistema che è stato costruito nel Paese, perché questo sistema mira a derubare tutti i presenti. Abbiamo fatto in modo da avere una junta al potere. Ci sono 20 persone che sono diventate miliardarie, che hanno preso il controllo di tutto, dagli appalti pubblici alla vendita del petrolio. C'è un migliaio di persone che attinge alla mangiatoia di questa junta. In realtà non sono più di mille: deputati, delinquenti. C'è una piccola percentuale a cui non piace. E ci sono milioni di persone che fissano il tavolo. Non smetterò di lottare contro questa banda, né di scuotere e agitare in ogni modo quelli che fissano il tavolo. Voi compresi. Non la smetterò mai.
  • È una situazione paradossale, quando una dozzina di delinquenti ci deruba tutti, noi e voi, ci deruba ogni giorno e noi lo tolleriamo. Io non intendo tollerarlo.

Repubblica.it, 3 marzo 2015.

  • Ritengo che Nemtsov sia stato ucciso dai servizi segreti o da un'organizzazione pro-governativa su ordine delle autorità politiche del Paese (incluso Putin). Queste organizzazioni si creano direttamente nelle riunioni del Cremlino e non come reazione a una richiesta non bene articolata.
  • [...] a chi conveniva [l'omicidio di Boris Nemcov,] al Papa?
  • Boris era uno dei politici più scomodi per il Cremlino, uno dei pochi che condannava la corruzione di Putin e del suo circolo ristretto.

2020 – 2021

modifica
  • [L'avvelenamento con il novičok] è difficile da descrivere perché non c'è nulla con cui lo posso paragonare. I composti organofosforici attaccano il sistema nervoso come un attacco DDoS attacca il computer: si crea un sovraccarico che ti spezza. Non riesci più a concentrarti. Sento che qualcosa non va. Sono coperto di sudore gelido. [...] Non capisco cosa mi sta succedendo. [...] La consapevolezza principale è che non ho dolore, ma so con sicurezza che sto morendo. Morendo in questo preciso momento, anche se non mi fa male niente. [...] Sono trascorsi forse 30 minuti dal momento in cui ho sentito che qualcosa non andava al momento in cui ho perso conoscenza.[8]
  • Sono sdraiato. Sono già uscito dal coma, ma non riconosco nessuno, non capisco cosa sta succedendo. Non parlo e non so cosa significhi parlare. E tutto il mio tempo lo passo ad aspettare che arrivi Lei. Non è chiaro chi sia Lei. Non so che aspetto abbia. Anche se con uno sguardo sfuocato riesco a vedere qualcosa, non riesco a fissare l'immagine. Ma Lei è diversa, per me questo è chiaro, quindi sto sempre lì ad aspettarla. Lei entra e diventa il centro della stanza. Mi aggiusta il cuscino molto bene. Non ha un tono pacato e comprensivo. Parla allegramente e ride. Mi racconta delle cose. Quando Lei è nei paraggi le stupide allucinazioni se ne vanno. Con Lei sto molto bene. Poi Lei se ne va, io divento triste e ricomincio ad aspettarla. Non ho dubbi che ci sia una spiegazione scientifica per questo.[9]
  • Sono sopravvissuto. E adesso Putin, che aveva dato l'ordine di uccidermi, strilla per il suo bunker e ordina di fare qualsiasi cosa perché io non torni. E i suoi servi agiscono come al solito, fabbricano nuove cause penali contro di me.[10]
  • [Messaggio a Julija per San Valentino] Ti amo.
    E tutte le battute in aula le dico perché tu, seduta in prima fila, ti metta a ridere.[11]
  • Non lasciatevi ingannare dall'illusione della forza e della strafottezza. Ma che forza è se ha bisogno di avvelenare di nascosto le persone e di rinchiuderle illegalmente? Dove sarebbe il sostengo popolare se riescono a vincere le elezioni solo eliminando i candidati indipendenti, e se la paura delle proteste li obbliga a chiudere le stazioni del metro?[12]
  • [...] secondo quello che dicono i giudici, io avrei sottratto tutte le donazioni che avete fatto all'FBK. Il capo d'accusa è riportato su tre foglietti senza la benché minima prova. C'è scritto soltato: «ha rubato». Nient'altro. Che bisogno c'è di fornire prove, avete visto il suo nome? Contro uno così si può muovere qualsiasi accusa.
    Poi sono stato accusato in base all'esoticissimo articolo 239, «Creazione di un'organizzazione non commerciale che viola i diritti della persona e dei cittadini». I giudici mi hanno accusato di «indurre i cittadini a rifiutarsi di compiere i loro doveri civici». Anche questa ordinanza sta tutta su tre pagine, e tra le prove c'è il fatto che ho reso pubblico il film Un palazzo per Putin senza essere autorizzato a farlo. Ahahah![13]
  • La mia potente organizzazione criminale si sta espandendo. E ogni giorno che passa io commetto sempre più crimini. Sempre più giudici istruttori si occupano del mio caso, piuttosto che di bagatelle come omicidi, furti con scasso o rapimenti. Ci abbiamo pensato bene, e questo rientra nelle competenze della Direzione delle Istruttorie e delle sue «indagini su casi particolarmente importanti».[13]
  • Combattere la corruzione e consegnare i delinquenti a un tribunale imparziale è l'elemento chiave del mio programma. Ma quando li incontro, soprattutto quelli per i quali il primo pensiero che mi viene è: «Ti strozzo, pezzo di merda», cerco di scacciare quel primo pensiero; e, come secondo pensiero, cerco invece con tutte le mie forze di capire ognuno di loro, di perdonarlo e persino (non ditemi che sono un degenerato) di volergli un po' bene. Non è facile, ma cerco di sforzarmi il più possibile.[14]
  • Quando la corruzione è il fondamento del potere statale, chi la combatte è un estremista.[15]
  • Dobbiamo organizzarci. Cambiare. Evolvere. Adattarci. Ma non rinunceremo ai nostri obiettivi e alle nostre idee. Questo è il nostro Paese, non ne abbiamo altri.[15]
  • [Su Vladimir Putin] Se non ha appena mentito a qualcuno entra subito in una terribile e dolorosa crisi di astinenza; e allora se la cava così: «Il reddito della popolazione russa è in crescita; in Russia non ci saranno vaccinazioni obbligatorie; Naval'nyj è andato all'estero di sua spontanea volontà; la FBK ha insegnato a fare le molotov». A questo punto riprende a respirare, il dolore si attenua e può finalmente abbracciare teneramente Rotenberg, Timčenko, Roldugin (o chiunque si trovi a passare di lì) e sussurrare affettuosamente nelle loro orecchie: «Oggi non l'abbiamo ancora fatto... non va bene... dai, facciamo in fretta... freghiamoci un altro miliardo dal bilancio...».[16]
  • [Messaggio di buon compleanno a Julija] Ormai odio i vetri.
    Perché negli ultimi sei mesi ho potuto vederti solo attraverso i vetri. In tribunale, attraverso un vetro. Nella sala visite, attraverso un vetro. Se poi capita che ti intraveda in televisione, è di nuovo attraverso un vetro. Naturalmente, durante i nostri appuntamenti, facciamo il gesto che tutti conoscete grazie al cinema (e voglia il cielo che voi possiate conoscerlo solo grazie al cinema), quando ognuno di noi preme il palmo della mano su un lato del vetro e pronuncia parole tenere nella cornetta del telefono. Certo, è carino, ma resta il fatto che si sta toccando solo un vetro.[17]
  • Statemi a sentire: anche per andare a mangiare devo marciare in fila per due, ed è un'eternità ormai che non uso internet. Ma non mi passa neanche lontanamente per la testa che non posso cambiare niente. E non sto qui a rimpiangere di aver perso la possibilità di rivolgermi a milioni di persone attraverso il mio canale YouTube, di fare trasmissioni in diretta, ecc.[18]
  • Una cosa è quando le aziende monopolistiche del Web sono gestite da simpatici nerd amanti della libertà e guidati da solidi principi etici. Una cosa completamente diversa è quando sono gestite da persone vigliacche e al tempo stesso avide.[19]
  • Una delle sfide di questa nuova era sta nel fatto che i falsi profeti si presentano a noi non più camuffati da pecore, ma con felpe col cappuccio e jeans elasticizzati. Davanti a schermi giganti, ci dicono: «Make the world a better place», mentre in realtà sono loro stessi bugiardi e ipocriti.[19]

Intervista di Tikhon Dzyadko, Project-syndicate.org, 16 ottobre 2020.

  • Gli assassini e coloro che hanno dato loro l’ordine devono essere perseguiti penalmente. Ma ciò che è veramente necessario è cacciare dall’Europa tutti gli oligarchi: gli Usmanov, gli Abramovich, gli Shuvalov, i Peskov e tutti questi propagandisti che si arricchiscono e inviano denaro in Europa mentre i russi sono tenuti in povertà e degrado. Queste sono le persone che devono essere combattute.
  • Non so quali misure prenderanno i paesi europei in risposta al mio avvelenamento, ma vorrei che si concentrassero sulla punizione non solo dei lacchè che eseguono gli ordini, ma anche dei criminali di alto profilo che nascondono i loro soldi rubati a Berlino, Londra e Parigi.
  • La Russia ha i miei vestiti, che dovrebbero essere esaminati. La Russia ha il mio sangue, che dovrebbe essere testato. L’ospedale di Omsk è dove si trovano le mie cartelle cliniche e tutto il necessario per un’indagine adeguata. Ma, per qualche motivo, non ne vediamo traccia. Invece, assistiamo a una sorta di schermaglia tra Russia e Germania.
  • Supponevo che almeno avrebbero finto di svolgere un’indagine. Ma, finora, non c’è nemmeno un’indagine fittizia. Questa, per me, è un’ulteriore conferma del fatto che sia stato il presidente russo Vladimir Putin ad emettere l’ordine. Altrimenti avremmo visto qualcosa di simile alle investigazioni sull’omicidio di Boris Nemtsov.
  • [...] questo non è stato un incidente “canaglia”. Non c’è un generale pazzo che abbia ordinato a un gruppo di misteriosi assassini di eliminare qualcuno. Era il progetto personale di Putin ed è fallito. Adesso sta cercando di proteggersi, anche con questa bugia completamente mostruosa. L’uomo è stato sorpreso con una pistola fumante puntata alla mia nuca e, dopo essere scomparso, dice: “Non è colpa mia. È stato un tentativo di suicidio”.
  • Fissare la morte in faccia è un’esperienza gratificante. Ovviamente ho forti sentimenti per le persone che mi hanno fatto questo. Ma non mi sorprendo a pensare che mi piacerebbe strangolarli con le mie stesse mani. Desidero ardentemente giustizia per me e per tutti quelli che mi circondano, ma questo perché è impossibile considerare un paese normale se un simile sfacciato tentativo di omicidio non viene nemmeno indagato.
  • Prima avevamo capito di avere a che fare con mascalzoni ossessionati dal potere e dal denaro e che apparentemente non si fermeranno davanti a nulla. Ma adesso siamo consapevoli più che mai che la “cassetta degli attrezzi” include assassini politici e intimidazioni attraverso metodi straordinariamente pericolosi. Le armi chimiche sono armi chimiche, dopotutto. L’unica domanda che rimane è fino a che punto siano disposti ad applicare tali metodi.
  • Non voglio impegnarmi in attività da emigrato. Le mie attuali priorità sono il recupero, la riabilitazione e il ritorno in Russia.
  • Cerco di comportarmi nel modo più ragionevole e responsabile possibile, ma mi rendo conto che è semplicemente impossibile competere con l’intera macchina statale. Il mio atteggiamento è probabilmente diventato più fatalista di prima. Faccio solo quello che penso sia la cosa giusta da fare.

Discorso in tribunale, 2 febbraio 2021; riportato in Linkiesta.it, 5 febbraio 2021.

  • [...] il punto di questo processo è mettermi dentro per un caso su cui sono già stato scagionato. Un caso che, è già stato riconosciuto, era una montatura.
  • Sono stato condannato nel 2014 con un periodo di libertà vigilata di tre anni e mezzo. Adesso è il 2021 e sono ancora perseguito per questo [...]. Perché proprio per questo caso? [...] Il motivo per cui è accaduto tutto questo sono l'odio e la paura di un solo uomo – uno che si nasconde in un bunker [...]. Io l'ho offeso mortalmente sopravvivendo a un attentato alla mia vita ordinato da lui [...]. L'ho offeso mortalmente sopravvivendo, grazie a persone buone, grazie ai piloti e ai medici. E a quel punto gli ho provocato un'offesa ancora più grave: non mi sono andato a nascondere, non ho cominciato a vivere sotto protezione in un bunker – più piccolo – che mi potessi permettere.
  • Ho preso parte alle indagini sul mio stesso avvelenamento e abbiamo dimostrato, con tanto di prove, che è stato Putin, impiegando i Servizi di sicurezza federali russi, a mettere in piedi questo tentativo [...]. E questo sta facendo impazzire quel ladruncolo chiuso nel suo bunker: il fatto che tutto questo sia venuto alla luce.
  • [Su Vladimir Putin] Non ha mai partecipato a un dibattito, non ha mai fatto una campagna elettorale. L'omicidio è il solo modo che conosce per combattere [...]. Resterà nella storia soltanto come un avvelenatore. E tutti ricorderemo Alessandro il Liberatore e Jaroslav il Saggio. Bene, adesso avremo Vladimir l'Avvelenatore di mutande. È così che rimarrà alla storia [...].
  • Io sono qui in piedi, controllato dalla polizia, e lì fuori c'è la Guardia nazionale, mentre mezza Mosca è transennata. Tutto questo perché quell'ometto nel bunker sta uscendo di testa. Sta uscendo di testa perché abbiamo dimostrato e provato che non è tutto preso da questioni geopolitiche. Al contrario, è tutto preso in incontri in cui decide il modo in cui rubare le mutande agli oppositori e di spalmarle con qualche arma chimica.
  • Abbiamo 20 milioni di persone che vivono sotto la linea della povertà. Decine di milioni che vivono senza la minima prospettiva per il futuro [...]. A Mosca la vita è sopportabile, ma basta spostarsi di 100 chilometri in qualsiasi direzione e tutto è in uno stato disastroso.
  • Spero molto che le persone non vedano questo processo come la prova che devono avere paura. Tutto ciò – la Guardia nazionale, la gabbia – non è una dimostrazione di forza. È uno spettacolo di debolezza: nient'altro che debolezza.
  • L'unica cosa che in Russia continua a crescere è il numero dei miliardari. Tutto il resto è in declino.
  • La mia vita non vale più di due centesimi, ma ciò nonostante, anche da dove mi trovo ora, vi dico che combatterò contro di voi. E chiedo a tutti di non avere paura di voi e di fare tutto ciò che possono perché la legge prevalga su questi pagliacci in toga e uniforme [...].
  • Ci sono molte cose buone in Russia, adesso. Quella migliore di tutte è costituita dalle persone che non hanno paura. Persone che non abbassano gli occhi, che non girano lo sguardo, che non consegneranno mai il nostro Paese a una manica di agenti corrotti che lo vogliono svendere in cambio di palazzi, vigne e piscine.

Da La Russia sarà felice. Ultima parola al processo dell'appello per il caso Yves Rocher

20 febbraio 2021; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.

 
Naval'nyj in tribunale, 20 febbraio 2021
  • Se qualcuno volesse pubblicare tutte le mie ultime parole, credo che verrebbe fuori un grosso volume.
  • Il fatto è che sono un uomo di fede, il che mi sottopone a continue prese in giro alla FBK, dove la maggior parte della gente è atea, io stesso una volta ero ateo militante. Ma ora sono un uomo di fede e questo mi aiuta moltissimo nella mia attività, perché fa diventare tutto molto più semplice. Ho meno esitazioni, meno dilemmi nella vita, perché esiste un libro in cui è scritto più o meno a chiare lettere cosa bisogna fare in ogni situazione. Certo, non è sempre facile seguire questo libro, ma in generale io ci provo. Ed è per questo che, come ho detto, per me è probabilmente più facile che per molti altri fare politica.
  • È improbabile, credo, che la gente scelga di studiare legge e diventi procuratore per fabbricare casi penali e falsificare firme per conto di qualcuno. [...] Non c'è mai stato uno che sin dalle elementari abbia detto con gli occhi lucidi: Da grande andro all'FSB, e mi manderanno a lavare le mutando di un oppositore, dopo che qualcuno ci avrà spalmato il veleno. Non c'è gente così. Nessuno vuole fare cose del genere. Tutti vogliono essere persone normali e rispettabili, catturare terroristi, banditi, spie, combattere contro queste cose. Insomma, non bisogna aver paura delle persone che cercano la verità, e anzi bisogna sostenerle in qualche modo, direttamente, indirettamente. O magari non sostenerle, ma almeno non contribuire alla menzogna, non rendere peggiore il mondo intorno a noi. Chiaro, comporta un certo rischio ma, in primo luogo, è un rischio piccolo e, in secondo luogo, come ha detto un altro importante filosofo del nostro tempo, Rick Sanchez: «La vita è un rischio. E se non corri rischi sei solo un insulso agglomerato di molecole assemblate in modo casuale, che galleggia nell'universo».
  • Se leggete la letteratura russa, la grande letteratura russa, rimarrete allibiti: mio Dio, solo descrizioni di miseria e sofferenza. Siamo un Paese molto infelice. Siamo come in un circolo di miseria e non riusciamo a uscirne. Ma naturalmente vorremmo farlo. Ed è per questo che propongo di cambiare lo slogan: non solo la Russia deve essere libera, ma deve essere felice. La Russia sarà felice.

Da Chi umilia i veterani. Ultima parola al processo per calunnia

20 febbraio 2021; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.

  • Quando lei, Vostro Onore, ha detto: «Non osi. I veterani sono la cosa che ci sta più a cuore. Tutto in Russia è per i veterani»,... ho tirato fuori di nuovo il mio foglietto, dove avevo ricopiato un certificato della Previdenza sociale in cui si elencano tutti i sussidi ricevuti dal suddetto veterano Artemenko.
    Da lì si vede che negli ultimi quattro anni ha ricevuto sette sussidi alimentari (l'ultimo dei quali il 6 luglio) sotto forma di un pacco e sette buoni pasto. Se il mio calcolo è giusto, e lo è, il valore totale dei buoni è di 10 mila rubli. Questa è la grande cura dei veterani, capite, voi mascalzoni e ipocriti! In questo si esprime il trattamento reale dei veterani. Degli anziani, di tutti, nel nostro Paese.
  • La cosa più disgustosa, vile e ignobile di questo regime è che esiste per rapinare le persone più sfortunate, come veterani e pensionati. Sono a loro che succhiano i soldi. Da dove credete che venga il denaro per i palazzi e gli scopini da bagno che costano 50 mila rubli cadauno? I soldi devono ben venire da qualche parte: li rubano al nostro veterano. Ora non lo curano, ora non gli fanno gli esami di controllo, ora gli negano la sedia a rotelle, ora non gli danno le medicine, e tutto per potersi costruire un palazzo, per comprare un appartamento alle suocere di Putin, per assicurare a Medvedev i suoi quattro palazzi.
  • Rispetto ai Paesi che hanno perso la guerra, Italia, Giappone, Germania, la Russia paga molto meno le pensioni ai suoi soldati che pure sono usciti vincitori. E voi non volete aumentarle! Io ho scritto un progetto di legge per aumentare le pensioni ai soldati... ma niente! Altrimenti non gli bastano i soldi per il palazzo. [...] E voi alzate il grugno e dite: «Ehi, non permetteremo che vengano offesi i veterani!». E se qualcuno dice: «Magari basta rubare?», voi alzate ancora il vostro muso e dite: «Ehi? Non permetteremo revisionismo storici sull'esito della Seconda Guerra Mondiale!».
  • Ma cosa c'entrate voi, il vostro Putin e la vostra «Russia Unita» con quella guerra? [...] Voi la usate perché è molto imbarazzante parlare di qualsiasi problema corrente. Se no qualcuno farà domande su corruzione, povertà, disuguaglianza, sfascio della sanità, e voi non avete niente da dire.

Da Il re è nudo. Ultima parola al processo d'appello per calunnia

29 aprile 2021; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.

  • Voglio dire, cara Corte, che il vostro re è nudo e ormai non è solo un ragazzino a gridarlo, lo vedono tutti. Vent'anni di governo assolutamente incompetente ha portato a questo bel risultato: la corona che gli scivola giù sulle orecchie; un sacco di bugie alla televisione; immense ricchezze personali.
  • Siamo nel XXI secolo, in un Paese ricco di gas e petrolio, che aspira ad essere leader mondiale. Il vostro re nudo e ladro vuole continuare a governare sino alla fine, a lui non gliene frega niente del Paese, ci si è attaccato e vuole tenere il potere all'infinito.
  • Siccome tutti lo capiscono e sempre più gente vede che il re è nudo, il re nudo deve riconoscere che non ci può fare nulla. Nulla per far stare meglio il Paese. E allora cerca freneticamente dei pezzi di sacralità e se ne appropria per i suoi scopi personali. Così avviene da molti anni con la vittoria nella Grande guerra patriottica. Cerca di farne cosa sua, dichiara che lui ha vinto la guerra, e fa commercio della vittoria a destra e a manca. Questo processo viene proprio di qui: il vostro re nudo ha rubato la bandiera della vittoria e cerca di farsene un perizoma.
  • [...] il vostro regime è un regime di occupanti e traditori, infatti considero voi tutti dei traditori poiché, al seguito del vostro re nudo, realizzate il piano che trovate scritto nei manuali di storia: che la Russia sarà occupata, i russi trasformati in schiavi, spogliati di ogni avere, dell'istruzione, della sanità, di qualsiasi prospettiva. Siete stati voi a realizzare questo piano. Ogni anno 200 mila persona se ne vanno all'estero. La popolazione diminuisce di milioni, la gente non vede nessuna prospettiva.
  • Molte volte i regimi d'occupazione con la loro amministrazione hanno cercato di prendere la Russia. Il vostro regime ha avuto un certo successo, giacché siete riusciti a rapinare il nostro popolo per 20 anni, a togliergli il futuro e portar fuori le sue ricchezze. Ma presto o tardi questo finirà.

Da Intervista al «New York Times»

25 agosto 2021; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.

  • Quelli che hanno la disgrazia di sentirsi dire che finiranno a Pokrov, arrivano qui depressi e spaventati. Questa zona è specializzata nella violenza psicologica. [...] Non ti picchiano, al contrario, provocandoti di continuo spingono te a picchiare qualcun altro, a colpirlo, a minacciarlo. E allora sei fritto, ci sono videocamere dappertutto, e l'amministrazione aprirà con soddisfazione un nuovo fascicolo contro di te con l'accusa di aggressione, aggiungendo qualche anno alla tua condanna. La cosa principale da imparare qui è non cedere alle provocazioni.
  • Non dimentichiamo che abbiamo chiaramente a che fare con una persona, Putin, che ha perso la testa. Un bugiardo patologico, megalomane e con delirio di persecuzione. Ventidue anni al potere ridurrebbero così chiunque, e noi stiamo assistendo alla classica situazione dello zar mezzo matto.
  • Come sappiamo, i killer dell'FSB hanno cominciato a seguirmi nei miei viaggi per il Paese letteralmente il giorno dopo che ho reso pubblica la mia decisione di correre per la presidenza. È stata una mossa intelligente? Ordinare ai tuoi servizi di sicurezza di uccidere il tuo oppositore con un'arma chimica? Un'idea tutt'altro che geniale. Ma Putin lo ha fatto perché è ossessionato dalle sue paure e idee fisse.
  • Putin non è eterno, fisicamente o politicamente. La cosa importante è che il regime di Putin è un incidente storico, non una fatalità. È stato la scelta della famiglia El'cin e della sua corruzione. Presto o tardi questo errore verrà corretto e la Russia procederà su una via di sviluppo democratico europeo. Semplicemente perché è questo che la gente vuole.
  • Continuo a credere che la corruzione sia il problema principale della Russia, che corrode il Paese, toglie il futuro alla gente e ostacola qualsiasi riforma. Ed è il fondamento del governo attuale.
  • Il mio Paese potrebbe diventare già oggi uno Stato ricco e di successo, che segue uno sviluppo di tipo europeo. Noi siamo particolari, come ogni nazione, ma siamo Europa. Siamo Occidente. La nostra struttura politica fondamentale dovrebbe essere la democrazia parlamentare; nella nuova Russia le elezioni oneste, i tribunali indipendenti e la piena libertà di stampa dovrebbero essere sacri. L'obiettivo principale del nuovo governo dovrebbe essere aumentare i redditi dei cittadini. I russi sono troppo poveri. Cittadini poveri di un Paese ricco.
  • [Sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022] Eccellentissima corte, voglio dichiarare ufficialmente e far mettere a verbale che sono contro questa guerra. La ritengo immorale, fratricida e criminale. È stata scatenata dalla banda che siede al Cremlino, per poter rubare meglio. Uccidono per rubare.[20]
  • La guerra in Ucraina è stata scatenata da Putin per coprire la corruzione, il furto ai cittadini russi.[21]
  • Putin ci ha ricordato la famosa «legge della papera». Ricordate? Se cammina come una papera, se ha l'aspetto e fa il verso della papera, vuol dire che è una papera. Allo stesso modo: se uno ha annientato la stampa, se organizza omicidi politici e vaneggia di illusioni imperialiste vuol dire che è un folle, capace di provocare un bagno di sangue nel centro d'Europa nel XXI secolo. Uno così non lo si deve abbracciare ai forum internazionali.[22]
  • [Messaggio di buon compleanno a Julija] Mi è facile stare in carcere, perché ci sei tu.
    Qui a tutti capita di essere tristi e malinconici. Ma io, non appena la tristezza si insinua, mi metto a pensare a te.
    A quanto sei buffa, elegante e bellissima. Al fatto che ha una voce come i personaggi dei cartoni animati e a quanto ti dia fastidio che ti prenda in giro per questo.
    A qualsiasi cosa che c'entri con te. E la tristezza si allontana prima ancora di arrivare.[23]

Da Nel primo anniversario del ritorno in Russia. Un'intervista sottobanco a «Time»

19 gennaio 2022; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.

  • Io preferirei che, nel caso mio e della mia organizzazione, l'Occidente difendesse non noi ma se stesso, per prima cosa ottenendo l'attuazione delle decisioni della Corte Europea dei diritti dell'uomo; e secondariamente opponendosi all'esportazione della corruzione, al fatto che Putin compra i leader stranieri (offrendo poltrone nei Consigli d'amministrazione), alla guerra ibrida che si attua provocando disordinatamente il caos e premendo sui punti deboli delle società occidentali, dalla migrazione in Europa alla frattura nella società americana.
  • Putin mi ha sorpreso quando ho constatato quanto male è disposto a infliggere all'intero Paese, al suo futuro, pur di risolvere un suo problema politico, sia pure importante. La Russia dell'autunno 2020 e la Russia di oggi sono due Paesi molto diversi, con regimi politici molto diversi. Già allora era un regime pienamente autoritario, ma nessuno si sarebbe immaginato l'eliminazione così massiccia e totale degli altri candidati alle elezioni, l'estensione a tutti i giornalisti indipendenti dell'accusa di «agente straniero», e a migliaia di persone l'accusa di estremismo. In pochi mesi la Russia ha percorso il cammino che la Bielorussia ha impiegato anni a fare.
  • Putin ha scritto sui suoi programmi di governo lo slogan «stabilità», e usa questa parola per giustificare qualsiasi cosa: dalla censura alla repressione delle manifestazioni, fino ai brogli elettorali.
  • È in corso la lotta sotterranea per impadronirsi del potere «dopo Putin». Praticamente tutti quelli che non fanno parte della cerchia ristretta di Putin considerano degli idioti quelli che ne fanno parte perché non sanno neppure rubare come si deve. E non aspettano altro che il momento per sottrargli i bocconi più ricchi.
  • [«Le sue dichiarazioni precedenti contro gli immigrati clandestini, soprattutto il video del 2007 dove lei li paragona agli scarafaggi, continuano a segnare la sua immagine pubblica. Cosa pensa oggi di quelle dichiarazioni e di quel video? La pensa ancora così?»]
    Mi pento di aver girato un video con quel testo. Ma d'altro canto, sono un politico di internet, ogni mia parola degli ultimi 15 anni o quasi è stata registrata e discussa. Se siamo ancora fermi a criticare questo video del 2007, vuol dire che dopo non ho più detto o fatto molte altre stupidaggini. Anche se ho fatto e detto molte cose di cui mi sono scusato. Non sono uno di quelli che fanno fatica a riconoscere i propri errori e a scusarsi.
  • [...] l'ideale di Putin è Singapore o la Cina. Zero libertà ma crescita economica, tecnologia e stranieri che si mettono in coda per investire.
    Ma invece di ottenere un enorme Singapore con l'atomica, o almeno un URSS 2.0 con yacht e Mercedes, se ne sta sulla tribuna delle parate e il suo unico ospite straniero è il presidente del Tadžikistan. E invece delle tecnologie e della crescita fa vedere un'animazione digitale sulla mitica nuova arma.

Da Intervento al doppio processo

15 febbraio 2022; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.

  • Dopo aver scritto a destra e a manca che avevo rubato un miliardo ad uso personale, che avevo rubato 300 milioni e li avevo usati per me stesso, cosa siete riusciti a raccogliere per il processo? Avete portato quattro testimoni. Di 300 mila donatori in tutti questi anni, quattro che abbiano scritto una denuncia. [...] Avete dovuto cercare dei falsi testimoni che mi devolvessero dei soldi per poi fare denuncia, perché degli altri 300 mila nessuno lo ha mai fatto. Loro sono i migliori. Ed esulto anche pensando al nostro sistema, per cui mai abbiamo scavalcato la "muraglia cinese" che separa i soldi delle donazioni dai nostri soldi personali, e neanche un copeco è mai stato usato per scopi estranei alla nostra attività.
  • Dopo che degli agenti dell'FSB mi hanno seguito per due anni e mi hanno avvelenato con un agente chimico, dopo che sono stato in coma 20 giorni e altri 20 ho avuto le allucinazioni, sarebbe stupido da parte mia temere il vostro giudizio. Non lo temevo prima, adesso ancor meno.
  • Continuo [...] a pensare che la mia attività, quella dei miei colleghi, sia più importante del destino di una singola persona. E penso anche che la cosa peggiore che potrei fare, il vero delitto che potrei compiere sarebbe quello di avere paura di voi tutti che siete qui, e di quelli che stanno dietro di voi. Ve lo dico ancora una volta, non ho paura e invito ancora gli altri a non averne, perché qui non c'è niente da temere.

Sulla crisi russo-ucraina del 2021-2022, Adnkronos.it, 22 febbraio 2022.

  • Il risultato di questa decisione era stato quello di avere centinaia di migliaia di vittime, ferite all'intero paese. E le conseguenze, sia noi russi che l'Afghanistan non le abbiamo superate. L'emergenza è stata una delle ragioni chiave nel collasso dell'Urss.
  • La propaganda non è più sufficiente a questi anziani ladri. Vogliono il sangue. Vogliono spostare le figurine dei carri armati su una mappa di ostilità. Quindi, "il capo del Politburo del 21esimo secolo" pronuncia questo discorso da pazzo, "come mio nonno ubriaco a una riunione di famiglia che annoia tutti con le sue storie su come funziona davvero la politica". Sarebbe divertente se il nonno ubriaco non fosse un uomo di 69 anni con il potere in un paese con armi nucleari. Sostituisci nel suo discorso "Ucraina" con "Azerbaigian", "Kazakistan", "Bielorussia", "Paesi Baltici", "Uzbekistan" e così via, o anche includi la Finlandia, pensa a dove il flusso del pensiero geopolitico di questo nonno ubriaco può portarlo. Tutto questo è finito molto male per tutti nel 1979. E finirà male anche ora.
  • Sì, Putin non consentirà all'ucraina di svilupparsi, la trascinerà in una palude, ma la Russia pagherà lo stesso un prezzo.

Da È il momento della responsabilità

4 marzo 2022; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.

  • Non è stata la Russia ad attaccare l'Ucraina, ma Putin, sono anni che intimidisce, arresta, uccide i russi; ha rubato elezioni e miliardi. È stato Putin a voler bombardare città pacifiche, uccidere i bambini e distruggere la vita. Ai russi non hanno chiesto se volevano la guerra. Nella Russia che amiamo e di cui andiamo fieri, milioni di persone sono contro questa follia. E adesso il loro aiuto è più necessario che mai. Non solo all'Ucraina e neanche alla Russia, l'aiuto serve a tutto il mondo. L'aiuto per combattere Putin e la sua guerra.
  • Potete avere paura, ma cedere a questa paura significa mettersi dalla parte dei fascisti e degli assassini. Putin ha già tolto alla Russia l'economia, i rapporti col mondo e la speranza nel futuro. Il che è infinitamente peggio di una multa per aver partecipato a una manifestazione (multa che, fra l'altro, qualcuno vi aiuterebbe a pagare). Mentre stare nei rifugi antiaerei e sulla linea del fronte è molto peggio che stare ventiquattr'ore in cella al commissariato di polizia. Non cedete alla paura, scendete in strada perché il mondo veda che Putin non è la Russia. Solo così possiamo restituire l'onore alla nostra patria. Solo così ciascuno di noi potrà conservare la propria dignità. E potrà dire: in questi giorni tremendi sono rimasto un uomo e non ho taciuto.
  • Sapete, spesso prima di un meeting chiedono: «ma questa manifestazione cosa può cambiare?». Questa manifestazione cambierà noi. Questa manifestazione cambierà quello che direte ai vostri figli e nipoti quando vi chiederanno di questo periodo tremendo. Dobbiamo scendere in strada per amore di noi stessi.

Da Nessuno qui rispetta i tribunali

Ultima parola all'udienza del tribunale di Mosca che conferma la condanna a 9 anni, 24 maggio 2022; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.

  • Basta accendere la televisione e si sente dire che qualcuno opprime i russi. Ma siete voi e il vostro Putin i nemici della Russia ora, traditori e assassini del popolo russo. Negli ultimi anni nessuno ha ammazzato più russi del vostro Putin. Non vi piace che parli della guerra? Ma adesso questo è più importante della mia sentenza. Userò la guerra come metafora dei vostri processi, anch'essa è costruita sulla menzogna, la più spudorata menzogna. Come nella mia sentenza, non c'è una sola parola di verità. Qualche mese fa in tutti i reportage del telegiornale dicevano che noi non avremmo mai mandato le truppe in Ucraina. Mesi di bugie, e poi con un clic hanno mandato le truppe.
  • Il regime cerca di fare in modo che il popolo diventi come i pesci rossi, che non ricordano niente di quel che è successo ieri, per questo riscrivete le leggi ogni giorno.
    Ma io non sono un pesce rosso, mi ricordo che nel 2013 la Russia ha aperto una base NATO a Ul'janovsk, e tutti erano contenti. [...] E adesso questi stessi personaggi dicono che dobbiamo fare un bagno di sangue perché la NATO è il nostro nemico. Bugie spudorate ad ogni parola, far finta di non ricordare quel che si è detto ieri...
  • Avete preso un popolo di 40 milioni di persone e avete dichiarato che è nazista. [...] Sono pronto a restare in prigione pur di mostrare a tutto il mondo e a me stesso che non tutti in Russia sono dei matti pervertiti e sanguisughe.
  • La citazione che più vi si addice è: «Questa è la vostra ora, è l'impero delle tenebre» [Lc 22,53]. Curioso che la cosa neanche vi tocca, anzi vi ispira. Quando sentite la verità, pensate: «Siamo forti, siamo l'impero delle tenebre». Ma il vostro tempo finirà. E quando brucerete all'inferno, saranno i vostri nonni ad aggiungere legna, perché loro non volevano che faceste nuove guerre nel XXI secolo.

Da È morto Gorbačëv

31 agosto 2022; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.

  • È stato proprio sotto Gorbačëv che vennero liberato gli ultimi prigionieri politici dell'URSS. Il fatto che oggi gente come me venga a sapere della sua morte da "radio-galera" è la perfetta illustrazione della capriola che il mio Paese ha compiuto e che questo grande uomo ha iniziato.
  • I miei sentimenti nei confronti di Gorbačëv sono passati da una feroce irritazione – stava ostacolando i «democratici radicali», che io idolatravo – a un amaro rispetto. Quando fu chiaro che i «democratici radicali» erano in gran parte un gruppo di ladri e ipocriti, Gorbačëv rimase uno dei pochi a non usare il potere, e le opportunità che offriva, per l'arricchimento personale. Ha lasciato il potere pacificamente, di sua spontanea volontà, rispettando la volontà degli elettori. Già solo questo era un enorme successo per gli standard dell'ex URSS.
  • Sono certo che la sua vita e la sua storia, che hanno avuto un significato cruciale per quanto è accaduto alla fine del XX secolo, saranno giudicate più favorevolmente dai posteri che dai suoi contemporanei.

Da Arruolare i delinquenti per la guerra?

20 settembre 2022; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.

  • Permettetemi, come detenuto di un carcere di rigore, di esprimere la mia opinione sul reclutamento di criminali per la guerra. [...] Si sostiene che per partecipare alla guerra sono necessari assassini, ladri, rapinatori e gente condannata per lesioni personali gravi.
    Per qualche motivo, molti hanno l'impressione che queste categorie di cittadini finiti in prigione siano dei combattenti micidiali. Tipo la Suicide Squad.
  • [...] non è un caso che i detenuti non venissero reclutati nell'esercito né in URSS né oggi in Russia. Quasi tutta la gente di questo tipo ha seri problemi di disciplina e ha problemi ancora più grandi con l'alcool e la droga.
  • Quella dei disciplinati zek-d'assalto è una favola per idioti, proprio come quella delle «decine di guerre vittoriose combattute dalla compagnia militare privata Wagner». Dove son queste guerre? Esistono solo nei sogni di Prigožin.

Sulla mobilitazione russa del 2022, Ilfoglio.it, 22 settembre 2022.

  • Non capisco una cosa. L'esercito russo conta un milione di persone, la Guardia russa ne ha 350 mila, il ministero dell'Interno ne ha un altro milione e mezzo o due, e il servizio penitenziario federale conta così tante persone. Perché arruolare dei civili? Cinque milioni di persone che cercheranno di evitare la leva correranno avanti e indietro per il paese. E ci sarà un milione di poliziotti che cercherà di rincorrerli per mobilitarli da qualche parte.
  • Penso che non chiameranno giovani da Mosca. Provate a convocare 50 mila ragazzi da Mosca: domani vi ritroverete 150 mila parenti a protestare per le strade.
  • Per estendere il proprio potere personale, Putin sta tormentando un paese vicino, uccidendo persone, e ora sta gettando in questo tritacarne di guerra un'enorme quantità di cittadini russi che vorrebbero semplicemente vivere nella normalità e prendersi cura delle proprie famiglie. Certo, questo crimine c'è sempre stato, ma ora è diventato un crimine su scala molto più ampia.

Da Bare in saldo

23 novembre 2022; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.

  • Riuscite a immaginarvi quante persone debbano essere morte nella guerra con l'Ucraina, quante bare arrivino qui, se persino a Kovrov, con i suoi 134.000 abitanti, la concorrenza nel mercato in piena espansione dei servizi funerari è diventata così agguerrita da indurre le imprese di pompe funebri ad acquistare spazi pubblicitari? E non ovunque, ma sulla popolarissima Russkoe Radio, dove indubbiamente costano più che altrove.
  • Ecco a voi quello che si chiama il ruolo dell'individuo nella storia. Siamo stati trascinati in questo incubo da un singolo nonnetto demente, che si immagina di essere un condottiero straordinariamente popolare in Ucraina.
  • Il nucleo decisionale – Putin, 70 anni, Patrušev, 71, Bortnikov, 71 – insieme totalizza 212 anni. Ok, quindi non si tratta di un solo nonnetto che vive delle sue fantasie, ma di tre. Questo però non cambia l'essenza della questione. Loro si sono immaginati di essere tanti Napoleone, ma il prezzo lo pagano coloro che vengono seppelliti nelle bare con lo sconto.

2023 – 2024

modifica
  • La nostra patria misera e tormentata ha bisogno di salvezza. È depredata, ferita, coinvolta in una guerra d'aggressione e trasformata in una prigione governata dai mascalzoni più impenitenti e bugiardi. Qualsiasi opposizione a questa banda, anche simbolica, com'è per me oggi viste le mie limitate possibilità, è importante.[24]
  • Come due anni fa dico che la Russia è il mio Paese. Qui sono nato e cresciuto, qui vivono i miei genitori, e qui ho messo su famiglia, ho trovato l'amore e ho avuto due figli. Sono un cittadino a pieno titolo, e ho diritto di unirmi a quelli che la pensano come me, e di fare attività politica. E siamo in molti, sicuramente più dei giudici corrotti, dei propagandisti bugiardi e dei ladri al Cremlino. Non ho intenzione di cedere loro il mio Paese, e credo che le tenebre si dissolveranno. Ma finché ci sono, io farò quel che posso, cercherò di agire in modo giusto e di esortare tutti a non cedere allo sconforto.
    La Russia sarà felice![24]
  • Quali confini ha l'Ucraina? Gli stessi che ha la Russia, riconosciuti dal consesso internazionale e definiti nel 1991. Anche la Russia li aveva riconosciuti. E la Russia deve riconoscerli anche oggi. Qui non c'è nulla da discutere. Quasi tutti i confini nel mondo sono casuali e scontentano molti. Ma combattere per cambiarli, nel XXI secolo, non si può. Altrimenti il mondo sprofonderebbe nel caos.[25]
  • Molto tempo fa, ho letto in un romanzo di spionaggio che, per torturare i prigionieri, gli facevano ascoltare le poesie di Mao Tse-tung a tutto volume. A quanto pare, qualcuno dell'amministrazione carceraria deve aver letto lo stesso libro. [...] la loro punizione più creativa è quella di farmi ascoltare ogni sera i discorsi di Putin a tutto volume. Cioè, i vari discorsi e allocuzioni che ha tenuto dall'inizio della guerra con l'Ucraina. [...] C'è una sorta di giustizia nel fatto che le autorità carcerarie abbiano messo sullo stesso piano i discorsi di Putin e la puzza.[26]
  • Oggi, nel 2023, Memorial non c'è più, è stata chiusa ufficialmente dalle autorità. Ma di prigionieri politici ce ne sono di nuovo, e molti. Il potere in Russia sta tornando alle sue radici: arresti, repressioni, processi a porte chiuse, illegalità ostentata sotto l'insegna «tribunale».[27]
  • Sono contro Vladimir Putin. Credo che si sia impossessato illegalmente del potere. Credo che sia un usurpatore e un corrotto. Tutta la sua squadra non è composta da uomini di Stato ma da scagnozzi e banditi, truffatori e ladri.[28]
  • Non abbiate nostalgia: né terribile, né forte, né tanta. Non abbiatene per niente e non lasciate che i vostri cari abbiano nostalgia di voi. Rimanete persone buone e oneste, e il prossimo anno cercate di esserlo un po' di più. Del resto, è proprio quello che auguro anche a me. Non ammalatevi, riguardatevi.[29]
  • [Messaggio a Julija per San Valentino] Piccola, tra noi è come nella canzone: ci separano città, le luci di decollo degli aeroporti, bufere azzurre e migliaia di chilometri. Ma io ti sento vicina ogni secondo, e ti amo sempre di più.[30]

Da Coscienza e raziocinio. Ultima parola al processo per estremismo

21 luglio 2023; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.

  • Chiunque in Russia sa che chi cerca giustizia davanti a un tribunale è totalmente inerme. La sua causa è senza speranza. Infatti, se il suo caso è arrivato in tribunale vuol dire che questa persona non ha alcun potere. Perché in un Paese governato da un criminale, le questioni controverse si risolvono con la compravendita, il potere, la corruzione, l'inganno, il tradimento e altri meccanismi della vita reale, e non certo a norma di legge.
  • Come agire è il problema principale dell'umanità. Perché è tutto così complicato e indecifrabile, intorno. La gente si consuma a cercare la formula per fare la scelta giusta. Cercando il punto fermo cui appoggiarsi nel prendere le decisioni.
  • Non volendo poggiare sulla gamba della coscienza, la mia Russia ha fatto alcuni grossi salti, facendo perdere l'equilibrio a tutti attorno a sé, ma poi è scivolata ed è rovinata al suolo con uno schianto, mandando in frantumi tutto ciò che la circondava. Ed ora sta annaspando in una pozza di fango, o di sangue, con le ossa rotte, con una popolazione miserabile e derubata, e intorno ha decine di migliaia di morti nella guerra più stupida e assurda del XXI secolo.
  • Io amo la Russia. Il mio raziocinio mi dice che vivere in un Paese libero e prospero è meglio che vivere in uno corrotto e povero. E quando sto qui e guardo questa Corte, la coscienza mi dice che in questo tribunale non ci sarà giustizia né per me né per chiunque altro. Un Paese dove non c'è un sistema giudiziario libero non sarà mai prospero. E dunque – qui torna a parlare il raziocinio – sarà ragionevole e giusto da parte mia lottare per una giustizia indipendente, per elezioni oneste, e osteggiare la corruzione, perché così raggiungerò il mio scopo e potrò vivere nella mia Russia libera e prospera.
  • Vengo accusato di fomentare l'odio verso i rappresentanti del potere e dei Servizi, verso i giudici e i membri del partito «Russia Unita». Ma non è vero, non fomento l'odio. Semplicemente ricordo che l'uomo ha due gambe, coscienza e raziocinio. E quando sarete stufi di barcollare assieme a uesto governo, rompendovi la fronte e il futuro, quando finalmente capirete che rinunciare alla coscienza alla fine dei conti porta a cancellare il raziocinio, allora forse tornerete a mettervi sulle due gambe su cui deve reggersi un uomo, e insieme potremo approssimarci alla Bellissima Russia del Futuro.

Da Il giorno prima della sentenza

3 agosto 2023; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.

  • Per favore, pensate e ricordate che, sbattendone dentro centinaia, Putin cerca di intimidirne milioni. Viviamo in un Paese in cui decine di milioni di persone in questo stesso istante sono contrarie alla corruzione, alla guerra e all'illegalità. In questo preciso istante decine di milioni di persone sono a favore di elezioni oneste, della democrazia, della possibilità di cambiare governo, e vogliono che Putin se ne vada. Sappiamo bene che, se una persona su dieci di coloro che sono scandalizzati dalla corruzione di Putin e dei suoi burocrati scendesse in piazza, il governo cadrebbe domani. Sappiamo bene che, se coloro che sono scontenti della guerra scendessero in piazza, la fermerebbero all'istante.
  • Chi è semplicemente scontento nei Paesi a regime dittatoriale non scende in piazza fin quasi alla fine del regime: né da noi, né in URSS, né in Iran, né a Cuba, né nella Germania Est. A ottenere tutti i cambiamenti è il 10% dei cittadini, i più attivi. Cioè voi. Reprimere, nel senso di gettare in carcere, punire, multare anche solo il 10% di loro, ossia un milione e mezzo di persone, oggi sarebbe impossibile, sia dal punto di vista politico che organizzativo. Allora bisogna sgomentare e impaurire, per far passare la voglia di fare qualcosa.
  • Non bisogna vergognarsi di scegliere il modo meno pericoloso di opporsi. Bisogna vergognarsi di non fare niente, di lasciarsi spaventare. Qualsiasi condanna abbiano programmato lassù in alto, non raggiungerà il suo scopo se capirete perché succede tutto questo e risponderete «Io non ho paura», dando tutti i giorni, a sangue freddo, un contributo anche piccolo alla libertà della Russia.

Messaggio dopo la condanna a 19 anni di reclusione, 11 agosto 2023; riportato in valigiablu.it, 14 agosto 2023.

  • [...] ho detto tante volte che l'odio è la cosa più importante da vincere in prigione, qui vi sono tante ragioni per esso, e la tua impotenza è il più potente catalizzatore di questo processo, perché se si dà all'odio la libertà, ti ucciderà e divorerà.
  • Non vi è stato nel nostro paese nessun colpo di Stato, né strisciante né aperto, con a capo gente dei servizi segreti, non sono andati loro al potere, togliendolo ai democratici–riformatori. Son stati loro, i democratici-riformatori, a chiamarli, a invitarli, loro gli hanno insegnato come falsificare le elezioni, come rubare la proprietà di interi settori economici, come mentire sui media, come cambiare le leggi a proprio piacimento, come reprimere con la forza l'opposizione e addirittura come cominciare guerre idiote e inutili.
  • Odio Eltsin e "Tania e Valia", Chubais e tutto il resto della famiglia di venduti che ha messo Putin al potere. Odio gli affaristi che chissà perché chiamiamo riformatori, adesso è chiaro come il giorno che oltre agli intrighi e al proprio benessere non si sono occupati di nulla. In quale altro paese così tanti ministri del "governo delle riforme" son diventati milionari e miliardari? Odio gli autori della più stupida e autoritaria costituzione che ci hanno venduto a noi idioti come democratica, costituzione che già allora dava al presidente le prerogative di un monarca assoluto.
    Specialmente odio tutti perché non vi è stato nemmeno un serio tentativo di eliminare le basi della mancanza di legge, ovvero implementare la riforma giudiziaria, senza la quale tutte le restanti riforme sono condannate al fallimento.
  • [Sulle elezioni presidenziali in Russia del 1996] Odio i "media indipendenti" e "l'opinione pubblica democratica" che hanno garantito ampio sostegno a uno degli avvenimenti più drammatici di svolta nella nostra storia recente – la falsificazione delle elezioni presidenziali del '96. [...] Adesso paghiamo perché nel '96 abbiamo pensato che falsificare i risultati delle elezioni non è sempre un male: il fine ha giustificato i mezzi.
  • Odio tutta la leadership della Russia, che ha avuto nel '91 (dopo il putsch) e nel '93 (dopo il bombardamento del Parlamento) tutto il potere possibile ma non ha nemmeno provato a fare le riforme democratiche più banali, quello che è stato fatto nella Repubblica Ceca (dove oggi c'è la democrazia e il salario medio è di 181.000 rubli), in Polonia (democrazia e 179.000 rubli), Estonia (democrazia e 192.000 rubli), Lituania (democrazia e 208.000 rubli) e in altri paesi dell'Europa orientale. Certo, allora vi erano persone diverse al potere, tanto buone, oneste, sincere, ma questa minuscola minoranza, la cui lotta ostinata e fallimentare ci mostra ancora meglio la corruzione e l'incoscienza dell'allora élite al potere.
  • Le falsificazioni del voto elettronico sono state dimostrate accuratamente e non presentano dubbi, ed ecco, mi son meravigliato che si è trovata una quantità considerevole di gente per cui né alcuni elementi de "i soldi dal bilancio statale e la falsificazione delle elezioni", né tutto insieme "i soldi dal bilancio durante la falsificazione delle elezioni" sembrano essere vergognosi o significativi. Eh sì, una fesseria, sì, hanno combinato qualcosa, ma non ci sono prove che lo hanno pagato per la falsificazione, è stato al tempo dei mammuth, è iniziato nel 2019, nessuno se ne ricorda. Tutto questo non importa, adesso importa che è "contro la guerra". Come era scritto in uno dei tweet sul tema: "Embé?" come idea nazionale.
  • [...] la lealtà ai principi da noi viene messa in dubbio e viene vista da molti come qualcosa di ingenuo, romantico, come far la mosca bianca. La lealtà personale, l'appartenenza a una corporazione, una vecchia amicizia vengono considerate da molti come più importanti.
  • La vita reale è complicata, difficile e piena di compromessi con persone spiacevoli, ma noi dovremmo almeno evitare di diventare spiacevoli e di accogliere la corruzione con macchinazioni ciniche prima ancora che le condizioni esigano compromessi.
  • Soltanto quando la stragande maggioranza dell'opposizione russa sarà composta da chi in nessun modo accetta elezioni truffa, processi farsa e corruzione, soltanto allora noi potremo davvero adoperare la possibilità che di nuovo, sicuramente, verrà, così che nessuno nel 2055 debba leggere il libro di Sharansky in cella d'isolamento pensando: ma è come adesso con me.

Da In cosa credo

Intervista di Boris Akunin, 30 ottobre 2023; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.

  • Credo che viviamo in un universo non deterministico e possediamo il libero arbitrio. Credo che in questo universo non siamo soli. Credo che le nostre azioni e le nostre scelte saranno giudicate. Credo nel vero amore. Credo che la Russia sarà felice e libera. Non credo nella morte.
  • L'evoluzione ci ha resi tali da non stare a riflettere a lungo vedendo un serpente nel letto. Ma non prenderemo decisioni improvvise su come costruire una casa in cui i serpenti non possano entrare.
  • [«Che cosa l'amareggia di più?»] Il fatto che la gente non voglia pensare, che non voglia capire i più elementari nessi causa-effetto. Ogni volta che mi dicono: «La corruzione non ha nessun effetto sulla mia vita», oppure «Questi hanno rubato, ma quelli che verranno dopo cominceranno a rubare daccapo». E penso: possibile che centinaia di milioni di anni di evoluzione hanno fornite a quest'uomo un cervello straordinario e lui non lo usa?
  • [«Secondo lei cosa fa più male all'uomo e all'umanità?»] [...] L'ipocrisia della neutralità, dell'"apoliticità", il tirarsi fuori che nasconde la pigrizia, la codardia e la meschinità sono il motivo principale per cui un gruppo di delinquenti ben organizzati ha potuto dominare su milioni nel corso di tutta la storia umana.

Da Perché sono tornato

17 gennaio 2024; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.

  • Ho il mio Paese e ho le mie convinzioni. E non voglio rinunciare né al mio Paese né alle mie convinzioni. Non posso tradire né il primo né le seconde. Se le tue convinzioni valgono qualcosa devi essere pronto a difenderle. E, se necessario, devi essere disposto ad accettare dei sacrifici.
  • Le persone al potere devono cambiare. Il modo migliore per scegliere chi deve avere il potere sono elezioni giuste e libere. Tutti hanno bisogno di tribunali equi. La corruzione distrugge lo Stato. Non ci dev'essere nessuna forma di censura.
  • [...] adesso al potere ci sono settari e marginali. E, generalmente parlando, non hanno nessun tipo di ideale. Perseguono un unico scopo: tenersi strette le loro poltrone. E un'ipocrisia spinta alla perfezione permette loro di voltar gabbana ad ogni piè sospinto. E così, dei tipi che hanno donne a destra e a manca sono diventati dei conservatori. Membri del Partito Comunista Sovietica si sono trasformati in ortodossi devoti. Titolari di "passaporti d'oro" e conti offshore sono diventati dei patrioti aggressivi.

Patriot

modifica

In realtà, morire non è stato doloroso. Se non fossi stato sul punto di esalare il mio ultimo respiro, non mi sarei mai sdraiato sul pavimento accanto alla toilette dell'aereo. Come potete immaginare, non era esattamente pulito.

Citazioni

modifica
  • La possibilità di candidarmi alle elezioni mi era preclusa da molto tempo. Lo Stato non riconosceva il partito politico che guidavo e ne aveva appena rifiutata la registrazione per la nona volta in otto anni. Per qualche strana ragione, succedeva sempre che non riuscissimo a «compilare correttamente i moduli» e, nelle rarissime occasioni in cui un nostro candidato entrava nelle liste elettorali, spuntavano i pretesti più fantasiosi per negargli l'eleggibilità. (p. 5)
  • In un paese autoritario, dove per oltre due decenni il regime si era dato la priorità di inculcare nell'elettorato l'idea che le persone sono impotenti e non possono cambiare le cose, convincere la gente a uscire di casa e andare a votare non è mai stato un compito facile. Era pur vero, però, che i redditi erano calati per sette anni di fila, quindi se anche solo un terzo dei cittadini stufi del regime si fosse convinto ad andare ai seggi, nessun candidato di Putin avrebbe avuto una chance. A questo punto, come indurre gli elettori a votare? Con la persuasione? Offrendo in cambio qualcosa? Noi scegliemmo di farli arrabbiare. Di farli arrabbiare sul serio. (p. 6)
  • Considerando la realtà della Russia, scartammo fin dall'inizio l'idea di un approccio giornalistico prudente, fatto degli infiniti giri di parole – presunto, possibile, cosiddetto – tanto amati dai consulenti legali. Chiamavamo le cose col loro nome: ladro, corruzione. Se qualcuno aveva una proprietà sontuosa, non ci limitavamo a menzionarne l'esistenza, ma effettuavamo riprese con i droni e la mostravamo al pubblico in tutta la sua magnificenza. Dopodiché ne scoprivamo il valore e lo raffrontavamo con il modesto reddito che il burocrate suo proprietario dichiarava. (p. 6)
  • Quello che facevamo era intrattenere e al contempo scatenare indignazione con immagini della vita condotta dagli «umili patrioti che governano la nostra terra», spiegando come funzionano i meccanismi della corruzione e incitando a intraprendere azioni pratiche per causare il massimo danno al sistema di Putin. Il materiale non mancava mai. (p. 7)
  • In genere parlo volentieri con la gente, ma non in aereo: troppo rumore di sottofondo e non gradisco molto avere qualcuno che, a venti centimetri da me per farsi sentire, urla: «Lei indaga sulla corruzione in Russia, giusto? Be', senta cosa mi è capitato».
    La Russia è fondata sulla corruzione e a tutti è capitato qualcosa. (p. 12)
  • Provate a toccarvi il polso con un dito della mano opposta. Sentite qualcosa perché il vostro corpo rilascia acetilcolina e un segnale nervoso informa il vostro cervello di questa azione, che vedete con gli occhi e identificate con il senso del tatto. Adesso fate la stessa cosa con gli occhi chiusi: non vedete il dito, ma siete perfettamente in grado di stabilire quando toccate il polso e quando non lo fate. Questo perché, dopo che l'acetilcolina trasmette un segnale tra le cellule nervose, il vostro corpo secerne colineterasi, un enzima che arresta il segnale a lavoro terminato. Per farlo, «distruggere» l'acetilcolina «usata» e, con essa, ogni traccia del segnale inviato al cervello. In assenza di questo meccanismo, il cervello riceverebbe di continuo il messaggio del dito che tocca il polso, ripetuto milioni di volte. Sarebbe simile al cosiddetto DDoS, un Distributed Denial of Service (ovvero un attacco distribuito di negazione del servizio), ai danni di un sito web: clicca una volta e il sito si apre, clicca un milione di volte al secondo e il sito va in crash.
    In caso di DDoS, puoi ricaricare il server o installarne uno più potente. Con gli esseri umani, però, non è così semplice. Bombardato da miliardi di falsi segnali, il cervello si disorienta, non è in grado di elaborare quanto succede e alla fine va in blocco. Dopo un po' di tempo, la persona smette di respirare, visto che anche questa è una funzione controllata dal cervello.
    È così che agiscono le sostanze nervine. (pp. 14-15)
  • Quando la gente mi chiede com'è morire a causa di un'arma chimica, faccio due associazioni mentali: i Dissennatori di Harry Potter e i Nazgûl del Signore degli Anelli. Il bacio di un Dissennatore non fa male: la vittima sente solo la vita che la lascia. L'arma principale di un Nazgûl è la spaventosa capacità di farti perdere la volontà e la forza. Lì in quel corridoio, un Dissennatore mi bacia mentre un Nazgûl si mette al mio fianco. (pp. 15-16)
  • Se immaginate che uscire dal coma sia una faccenda più o meno istantanea, come vorrebbero farci credere i film, mi tocca deludervi. Sarei fin troppo lieto di affermare che un attimo prima stavo morendo a bordo di un aereo e un'attimo dopo ho aperto gli occhi scoprendo che mi trovavo all'ospedale e davanti a me c'era la mia amata moglie, o perlomeno una squadra di medici che mi scrutavano ansiosi. Non è andata così. Tornare alla vita normale ha comportato diverse settimane di visioni molto sgradevoli e persistenti. L'intero processo è assomigliato a un viaggio interminabile e altamente realistico all'inferno. Anzi, non mi sorprenderebbe se l'idea dei suoi gironi fosse venuta proprio a persone che sono state in coma e hanno visto ciò che ho visto io. C'è stata una sequenza ininterrotta di allucinazioni, in mezzo alle quali di tanto in tanto intravedevo un barlume di realtà. Con il passare del tempo, la realtà aumentava e le allucinazioni diminuivano. (p. 17)
  • Un giorno, quando ormai avevo una migliore connessione con la realtà e stavo addirittura cominciando pian piano a ricordare qualche parola d'inglese, chiesi all'infermiere un bicchier d'acqua. Lei disse che me l'avrebbe data solo se avessi scritto quella parola, e mi porse una penna. Ricordavo come si dice «acqua» in inglese, ma proprio non sapevo come scriverlo, per quanto mi sforzassi. Cominciai ad arrabbiarmi e chiesi di nuovo, con stizza, di darmi l'acqua. «Prova un'ultima volta a scriverlo» mi disse l'infermiera con fermezza. Io feci qualche scarabocchio sul foglio, andai su tutte le furie e in un attacco di collera scrissi la parola che di colpo mi era emersa dall'inconscio: fuck. Con un sottile senso di vendetta, ma soprattutto orgoglio, porsi il foglio all'infermiera. Lei mi guardò con commiserazione. Avevo scritto fkuc. (p. 20)
  • Yulia e Leonid provarono più volte a raccontarmi quello che mi era capitato. Per un po' ebbero sarso successo. Sembrava che stessero bussando a una porta chiusa dietro cui si celava il mio cervello, che però non rispondeva. Mi dissero dell'avvelenamento; di come mi ero sentito male sull'aereo; dell'ospedale di Omsk, pieno di agenti dell'FSB; di come per un sacco di tempo il regime non avesse accettato di trasferirmi; del viaggio in Germania... ma io mi limitavo a fissarli con lo sguardo vitreo. Mi raccontarono profusamente e nei dettagli che Putin aveva cercato di assassinarmi mentre ero in visita in Siberia; che laboratori indipendenti avevano confermato che ero stato avvelenato e, per giunta, con lo stesso agente chimico che i servizi segreti russi avevano usato per avvelenare Sergei Skripal' e sua figlia a Salisbury. Poi, quando per l'ennesima volta pronunciarono la parola «novičok», di colpo li guardai dritto negli occhi e dissi: «Ma che cazzo? È una tale idiozia!». (pp. 21-22)
 
Civili evacuati dopo il disastro di Černobyl'
  • [Sul disastro di Černobyl'] Per strada i soldati erano inguainati da capo a piedi in insolite tute bianche. Indossavano maschere antigas che li facevano assomigliare a una qualche strana specie animale. Io vengo da una famiglia di militari, e ovviamente a casa avevamo delle maschere antigas, ma la loro unica funzione era essere indossate dai figli degli amici dei miei che venivano a trovarci: si mettevano a correre per l'appartamento, fingendo di essere elefanti e strillando di gioia. Il gioco poteva durare due o tre minuti al massimo, perché sotto le maschere antigas si moriva di caldo. I soldati in strada non stavano giocando e non si divertivano affatto. Fermavano le automobili e le lasciavano procedere solo dopo aver esaminato le loro ruote con una speciale asta metallica: un comportamento piuttosto bizzarro. (p. 29)
  • Quando per l'ennesima volta mi sentivo chiedere se fossi ucraino o russo, mi sforzavo di non dare una risposta netta. Era come se mi avessero chiesto a chi volevo più bene, a mio padre o a mia madre, e per quella domanda non esisteva una risposta valida. (p. 31)
  • [Sul disastro di Černobyl'] Per il resto del mondo fu un enorme disastro nucleare. Per l'Unione Sovietica, uno dei fattori scatenanti del crollo di un paese già colpito dalla crisi economica del suo «socialismo pienamente sviluppato». Per il ramo ucraino della nostra famiglia fu un'immane tragedia che spazzò via la vita di un tempo. Per me rappresentò il primo evento, la prima lezione di vita, che ebbe un impatto formativo sul mio modo di vedere le cose. Le radiazioni potevano essere lontane, ma l'ipocrisia e le bugie inondarono la nazione intera. (p. 32)
  • La risposta standard, e in tutto e per tutto demenziale, delle autorità sovietiche – e in seguito russe – a qualsiasi crisi è decidere che è nell'interesse della popolazione ascoltare un flusso incessante di bugie. Altrimenti, dice il ragionamento, le persone senza dubbio scapperanno di casa e si metteranno a scorrazzare in uno stato di anarchia totale, appiccando il fuoco ai palazzi e ammazzandosi a vicenda.
    La verità è che non è mai successo niente del genere. Nella maggior parte delle emergenze, la gente è preparata a comportarsi in modo razionale e disciplinato, soprattutto se la situazione viene spiegata e viene illustrato cosa occorre fare. Eppure, come ho potuto constatare più volte in circostanze meno drammatiche, la prima reazione ufficiale è invariabilmente quella di mentire. I funzionari non traggono alcun beneficio pratico dal farlo, è semplicemente una regola: in una situazione di imbarazzo, menti. Sminuisci i danni, nega sempre e comunque, bleffa. Più tardi si potrà sistemare ogni cosa, ma adesso, nel momento dell'emergenza, i funzionari non hanno altra alternativa che mentire, perché la popolazione considerata idiota non è pronta per la verità. (p. 33)
  • Ero solo un bambino, ma la domanda che più mi tormentava era perché le autorità stessero mentendo quando tutti attorno a me sapevano la verità. Quanto era patetico quel tentativo di ingannarci? Se devi mentire, dovresti almeno aspettarti di trarne qualche beneficio. Dici di essere malato e non sei costretto ad andare a scuola. Perlomeno ha un senso. Ma loro dove volevano andare a parare? [...] Se il disastro di Černobyl' non fosse mai avvenuto, probabilmente avrei sentito parlare meno di politica. Senza dubbio non mi avrebbe toccato così da vicino, e le mie opinioni politiche sarebbero state un po' diverse. Ma le cose andarono come andarono, e molti anni dopo, quando ero un uomo adulto, mentre guardavo in tivù l'appena nominato presidente ad interim della Russia, il quarantasettenne Vladimir Putin, lungi dal condividere l'entusiasmo per il nuovo, «energico leader» del paese, continuavo a pensare: «Questo mente in continuazione, proprio come succedeva quando ero bambino». (pp. 37-38)
  • [Sulla dedovščina] Inutile dire che una pratica così idiota non migliorava affatto la disciplina, e in realtà il nonnismo non faceva che minare il rispetto per l'esercito. I soldati che tornavano a casa dopo due anni di servizio alla patria descrivevano in termini piuttosto scabrosi le violenze ai futuri coscritti. Le loro rivelazioni ricordavano da vicino quelle delle persone che escono dal carcere. Le madri ascoltavano inorridite, dopodiché non avevano il minimo desiderio di mandare i figli a fare la leva. Periodicamente, dopo che l'ennesimo giovane sfortunato, incapace di sopportare oltre i maltrattamenti, si era suicidato o aveva sparato ai suoi aguzzini, l'esercito lanciava l'ennesima campagna antinonnismo, che non serviva mai a niente. La pratica è istituzionalizzata e si può combattere solo cambiando l'istituzione, nello specifico creando un esercito in cui militari di professione, uomini e donne, ricevono uno stipendio per difendere il paese. Quello che non serve è un esercito che dipende da poveri scalognati prelevati dalle loro famiglie (nell'Unione Sovietica per due anni, oggi per uno) e costretti a passare il tempo in un'istituzione che costituisce una forma bislacca di scuola di sopravvivenza. (pp. 43-44)
  • Non sopporto la parola «mentalità», perché mi sembra un concetto del tutto artificiale, ma una cosa è indiscutibile: esiste un certo tipo di carattere nazionale russo, e la spacconeria nel resistere a privazioni che potrebbero tranquillamente essere evitate ne rappresenta un aspetto significativo. Sopportiamo condizioni atroci, critichiamo le autorità, ce ne lamentiamo, eppure al tempo stesso riusciamo a vantarci di essere in grado di sopravvivere a queste circostanze orribili, e lo consideriamo un notevole vantaggio competitivo in un confronto ipotetico tra nazioni. [...] Non serve essere grandi psicologi per capire che cosa c'è alla radice di questo: noi russi aneliamo a una vita normale, ben consapevoli che siamo stati noi stessi a inventare tutti i nostri problemi attuali. Proprio non riusciamo ad ammettere, però, di essere idioti, quindi cerchiamo qualcosa per cui andare fieri, mentre in realtà non c'è proprio niente di cui vantarsi. (pp. 44-45)
  • Tutti i sovietici amavano criticare le autorità, ma avevano il terrore dell'onnipotente KGB (nelle basi militari si parlare di osobisty, «agenti speciali»). La preoccupazione più grande erano le intercettazioni telefoniche. Non era certo credibile che il KGB avesse abbastanza personale per origliare le conversazioni in ogni appartamento. Eppure, quando gli amici venivano a trovare mio padre e, dopo qualche vodka in cucina, cominciavano a bersagliare il governo, mia madre metteva il telefono sotto un cuscino. Pensavo che fosse bizzarro, e quando chiesi perché lo faceva, lei liquidò la mia domanda affermando che non si poteva sapere che cosa sarebbe stato detto e chi lo avrebbe sentito. A me sembrava assurdo. Quelli erano adulti che parlavano di questioni del tutto ordinarie, come l'impossibilità di trovare ketchup bulgaro nei negozi e la necessità di mettersi in fila per la carne alle cinque del mattino. Io davvero non riuscivo a capire di cosa si dovesse aver paura. Qualsiasi ragazzo in età scolare era stato nei negozi e aveva visto le code interminabili, e sapeva che la parola più usata nel lessico sovietico era defitsìt (carenza). Significava che c'erano persone che non ti permettevano di dire una cosa risaputa. Inoltre, sembrava che assoldassero altra gente per origliare dal telefono di casa tua, al punto che avevamo bisogno di usare un cuscino per proteggerci. Ironico che il mio primo ricordo dell'uso di quel cuscino risalga al 1984. (pp. 46-47)
  • Quando Sasha, mio cugino, venne a fare una gita a Mosca, fu portato, com'è ovvio, al Mausoleo di Lenin, una classica destinazione turistica per un bambino sovietico. Quando tornò in Ucraina, corse dalla nonna urlando esaltato: «Ho visto Lenin!». E lei rispose, secca: «Be', non gli hai sputato in faccia?». La parte ucraina della nostra famiglia si piegava in due dal ridere, ma io ero inorridito. [...] Mi ci volle qualche tempo per racimolare il coraggio di chiedere perché la mia amata nonna disprezzasse tanto «il migliore fra gli uomini». Risultò che il sentimento era radicato nella storia della sua famiglia. Lei era l'undicesima figlia, l'ultima, e l'unica femmina. La loro terra, con undici uomini che ci lavoravano da mattina a sera, era molto prospera. La loro casa era stata la prima in paese a sfoggiare un tetto di ferro, e avevano persino costruito un mulino, segno di inaudito benessere. Poi erano state introdotte le fattorie collettive. Pur essendo riuscita a evitare la deportazione in Siberia toccata a migliaia di altri kulaki (contadini ricchi), la famiglia della nonna fu espulsa dalla propria abitazione e costretta a trasferirsi nel fienile. Il tetto di ferro, che era stato l'invidia del paese intero, era stato portato in città, dove lo avevano venduto, per poi spendere i soldi, secondo la leggenda famigliare, «in alcol per il consiglio del paese». All'epoca quel particolare mi parve poco credibile, ma oggi non ho dubbi che fosse vero. (pp. 48-49)
  • La nostalgia per l'Unione Sovietica è un elemento importante della Russia di oggi, e un fattore politico da non sottovalutare. Molto prima dell'appello di Trump, «Make America Great Again», Vladimir Putin aveva pronunciato lo slogan ufficioso del suo regno: «Ci devono rispettare e temere quanto l'Unione Sovietica», cavalcando questa retorica fin dai primi passi che ha compiuto per arrivare al potere. A me sembrava ridicolo ed ero certo che non avrebbe funzionato, però mi sbagliavo. È un pensiero banale, ma il cervello umano è davvero strutturato in modo da tornare con il ricordo solo a quanto c'era di buono nel passato. Coloro che hanno nostalgia dell'Unione Sovietica in realtà hanno nostalgia della loro giovinezza, un'epoca in cui tutto doveva ancora succedere, in cui giocavi a pallavolo sulla spiaggia con i tuoi amici e di sera bevevi vino, grigliavi spiedini di carne e non ti preoccupavi della criminalità, della disoccupazione e delle incerte prospettive per il futuro. Anche le tipiche assurdità sovietiche come essere spediti a «raccogliere patate», il lavoro obbligatorio nei campi in cui venivano mandati allievi delle scuole, studenti universitari e lavoratori delle aziende cittadine negli ultimi anni dell'Unione Sovietica, sono ricordate come nient'altro che un simpatico diversivo. All'epoca, smuovere il terreno congelato per «aiutare i lavoratori delle fattorie collettive a salvare il raccolto» era una gran scocciatura e stava solo a dimostrare il fallimento totale del sistema agricolo sovietico. Ma chi si ricorda gli stivali di gomma che pizzicavano, lo sporco sotto le unghie e il senso di totale inutilità di quelle fatiche, quando è tutto eclissato dall'immagine mentale di una compagna di classe che ti rivolgeva un sorriso smagliante dal lotto di terra vicino? (pp. 52-53)
  • Quando sei un bambino o un adolescente, tutto sembra andare bene, e i politici spesso sfruttano questa legge della vita per oscurare la nostra immagine del futuro presentando una falsa immagine del passato. È importante, però, che ci comportiamo come esseri umani e non come pesci rossi, la cui memoria è notoriamente limitata agli ultimi tre secondi. Bersagliare di patate i tuoi amici nei campi era divertente, non c'è dubbio, ma il ricordo più durevole dell'Unione Sovietica della mia infanzia è comunque la coda per il latte. Mio fratello era nato nel 1983. Una casa con un bambino piccolo ha bisogno di un costante rifornimento di latte e per diversi anni io sono stato responsabile del suo acquisto. Ogni giorno, dopo la scuola, andavo al negozio e facevo la fila per almeno quaranta minuti per comprare quel maledettissimo latte. Spesso non era ancora stato consegnato, e tu te ne stavi lì ad aspettare che arrivasse, in compagnia di decine di adulti ingrugniti. Se eri un po' in ritardo, era possibile che tutto il latte fosse già venduto, e quella sera i tuoi genitori non sarebbero stati contenti. Per questo non ho alcun desiderio di tornare all'Unione Sovietica. Uno Stato che non riesce a produrre abbastanza latte per i suoi cittadini non merita la mia nostalgia. (pp. 53-54)
  • Il maggiore problema di Gorbačëv, che alla fine lo diventò anche per l'URSS, era l'incertezza delle azioni, sempre poco convinte. Voleva essere un riformatore, ma temeva le conseguenze di una vera riforma; annunciava grandi cambiamenti solo per cercare poi di evitarli; aprì uno spiraglio alla libertà, ma quando tutti vollero sfruttarlo, cercò di richiudere la porta in fretta e furia. Il fatto era che la gente voleva quella porta spalancata, non una fessura dalla quale sbirciare. (p. 59)
  • Gorbačëv, e in seguito la prima generazione di riformatori sotto Boris Eltsin, hanno subito la tragedia di essere costretti a introdurre riforme perché l'economia che avevano ereditato era stata distrutta dal regime comunista, solo per sentirsi poi accusare di averla distrutta loro. La pianificazione economica sovietica stava crollando: non circolavano merci a sufficienza e, a conferma che avevi il diritto di acquistare beni che scarseggiavano, vennero introdotte le tessere per le razioni da presentare nei negozi. [...] L'unico rimedio a quella situazione era una riforma politica ed economica, ma l'opinione pubblica scambiò la causa per l'effetto. La gente credeva che non fossero stati il PCUS, il Comitato statale per la pianificazione (Gosplan) e il KGB ad aver portato il paese al punto in cui perestrojka e riforme erano diventate necessarie per salvarlo, ma l'opposto. Si pensava infatti che le riforme avessero distrutto il vecchio e stabile modo di vivere e avessero distrutto il vecchio e stabile modo di vivere e avessero acuito le carenze, introdotto la necessità delle tessere e peggiorato la povertà. Il termine «riforma» era, e rimane ancora oggi, offensivo: «Sappiamo tutto delle vostre riforme. Ci ricordiamo delle tessere e di come siamo diventati tutti mendicanti!». Lo stesso destino che sarebbe toccato in seguito alle parole «democrazia», «economia di mercato» e «capitalismo». (pp. 61-62)
  • Più diventavo grande, meno tolleravo Gorbačëv, ma adesso lo vedo sotto una luce positiva, se non altro perché si è dimostrato del tutto incorruttibile. In questo era unico. Chiunque abbia avuto potere nel periodo di transizione dal socialismo al capitalismo ha cercato di accaparrarsi una fetta di torta il più grande possibile, e quasi tutti ci sono riusciti. [...] Quando Gorbačëv diede le dimissioni, non portò niente con sé, anche se aveva avuto enormi opportunità per diventare ricco. [...] L'opinione pubblica può pensare quanto vuole che non ne abbia avuto l'opportunità, ma resta il fatto che non ci provò nemmeno. A mio parere era semplicemente un diverso tipo di persona e non era avido. (pp. 63-64)
  • [Sulla dissoluzione dell'Unione Sovietica] Non ho avuto rimpianti. Dopotutto, che cosa avevo perso? La Russia, il mio paese, era ancora lì. Avevo ancora la mia lingua, Tolstoj e Dostoevskij, Mosca e Kazan' e Rostov. L'esercito era ancora lì e lo Stato pure. Persino i burocrati erano ancora al loro posto. Kiev, Tallinn e Riga non erano svanite nell'aria. Tutto era come prima e potevi visitare quelle città, se volevi. La differenza stava nel fatto che adesso avevi una scelta, avevi la libertà. Ciò che resta di quella libertà nell'odierna Russia di Putin che finge di essere l'URSS è in realtà molto più di quanto c'era allora. Adesso puoi scegliere che lavoro fare, dove vivere e quale stile di vita adottare. Non sei più obbligato a gareggiare con gli altri per stabilire chi sia il più ipocrita e quindi si possa guadagnare il permesso di andare all'estero. Adesso puoi semplicemente comprare un biglietto e partire.
    A questo punto c'è sempre qualcuno che dice: «Solo che adesso devi avere abbastanza soldi», e poi si mette a ricordare le garanzie sociali e l'uguaglianza dell'URSS. In realtà non esisteva niente di simile. Il divario sociale che c'era all'epoca tra un contadino di un colletivo agricolo e un membro di un comitato di un collettivo agricolo e un membro di un comitato regionale del Partito comunista è pari a quello che oggi separa un oligarca e un operaio. Ai tempi dell'URSS, case e automobili erano di gran lunga meno accessibili rispetto a ora. Certo, la gente riceveva un alloggio gratuito, ma dopo una lista d'attesa di vent'anni. Senza dubbio il tetto del lusso e della ricchezza è molto cambiato: con l'URSS era al primo piano di una dacia nel «villaggio degli scrittori» nelle campagne attorno a Mosca, mentre oggi non c'è proprio, è schizzato lontanissimo, superando quelli degli chalet francesi e dei grattacieli ai bordi di Central Park a New York. (p. 67)
 
Soldati sovietici in Afghanistan
  • La guerra in Afghanistan incombe minacciosa sui miei ricordi d'infanzia, ma pesava ancoa di più sul destino della nazione. La tomba dell'URSS è stata scavata da Černobyl', dalla crisi economica, dall'invio di truppe in Afghanistan nel 1979 e dai successivi dieci anni di inutile guerra. Per me era rappresentata soprattutto dalle pompose stelle di un rosso brillante all'ingresso dei condomini. Erano invariabilmente accompagnate da un'iscrizione che diceva: «Qui ha vissuto Tizio, caduto eroicamente nell'adempimento del proprio dovere internazionale nella Repubblica democratica dell'Afghanistan». Ricordo anche quando venne ucciso il figlio di un'insegnante della nostra scuola. La notizia si diffuse come un lampo e inizialmente tutti noi alunni rimanemmo silenziosi in maniera consona al momento. Ma i bambini sono bambini e, all'intervallo, stavamo urlando e lanciandoci oggetti come sempre. Uscì la nostra professoressa più composta: non l'avevo mai sentita alzare la voce, ma si mise a urlare definendoci spudorati. (p. 68)
  • In quegli anni, i genitori dei ragazzi in età di leva erano terrorizzati all'idea che i figli venissero mandati in Afghanistan a combattere: era una lotteria spaventosa alla quale tutto il paese doveva prendere parte. L'orrore non fece che accrescersi quando tornarono a casa sempre più «200», in gergo militare le bare di zinco sigillate nelle quali arrivavano i cadaveri, le Cargo 200. Mio cugino fu arruolato nell'esercito, e ricordo i miei parenti preoccupatissimi che venisse mandato in Afghanistan, soprattutto perché, da ragazzo patriottico ma non molto saggio qual era, aveva chiesto di essere assegnato proprio là. Per fortuna non accadde. (pp. 68-69)
  • La guerra in Afghanistan ebbe un peso cruciale non solo per noi, ma anche per il resto del mondo, e ancora oggi ne subiamo le dirette conseguenze. L'attuale estremismo islamico è nato in misura significativa da lì. Il governo degli Stati Uniti, rispondendo alla criminale idiozia dei leader sovietici, si è comportato in maniera altrettanto stupida facendo del suo meglio per trasformare la guerra dei mujaheddin afghani contro l'URSS in una jihad islamica. All'epoca, negli anni Ottanta, arrivarono nella regione frotte di volontari da tutto il Medio Oriente e da un confronto tra socialismo e capitalismo – come insisteva a intenderlo l'URSS – il conflitto si trasformò in una guerra santa contro gli infedeli. Il disastroso errore di valutazione, però, fu credere che quanti avevano imbracciato le armi in difesa della propria religione potessero essere fermati da una decisione politica dicendo semplicemente: «Ok, ragazzi, adesso basta: abbiamo vinto, torniamo tutti a casa». Coloro che erano insorti sotto le bandiere verdi dell'Islam non si accontetarono di scacciare le truppe sovietiche: credevano davvero agli slogan che li avevano ispirati, quindi adesso chiedevano che l'Afghanistan si trasformasse in un paese guidato dalla sharia. Osama bin Laden, al quale gli americani avevano donato denaro e armi, si stava già trasformando nel loro nemico perché i reciproci obiettivi stavano cominciando a divergere. Gli Stati Uniti stavano perdendo interesse e non desideravano più finanziare la jihad. Nella visione di un fanatico religioso, tuttavia, chi non è con noi è contro di noi. Ed è stato in Afghanistan, dove erano andati a scatenare una guerra santa, che i leader dello Stato islamico come Abu Bakr al-Baghdadi divennero ciò che erano. Quella guerra continua ancora oggi. (pp. 70-71)
  • Si scoprì che essere poveri era più sopportabile quando lo erano tutti, ma era intollerabile se vedevi il tuo vicino molto più ricco di te. Si sente spesso parlare dell'invidia del popolo russo o sovietico verso i primi imprenditori, e per questo motivo gli anni Ottanta furono un periodo tanto odiato. Credo tuttavia che la causa fosse l'ineguaglianza delle opportunità. Se Gorbačëv avesse potuto rendere agevole per tutti diventare imprenditori, se lo avessero fatto milioni di persone e non qualche decina di migliaia tra i più intelligenti, o i più furbi, oppure tra coloro che godevano di una buona posizione, le cose sarebbero potute andare diversamente. E invece fondare una cooperativa, e in seguito un'azienda, era un calvario burocratico di stampo sovietico. Volendo avviare un'attività, dovevi pagare tangenti oppure avere i contatti giusti, o almeno possedere carisma da vendere. Tutto questo creò la durevole immagine dell'uomo d'affari scaltro e subdolo, diventato tale con mezzi meno che legali. (p. 76)
 
Carri armati a Mosca durante il putsch di agosto
  • [Sul putsch di agosto] Nella nostra cittadina nessuno batteva ciglio alla vista dei carri armati. I visitatori amavano essere fotografati accanto al cartello «Attenzione, carri armati» che era un po' il nostro simbolo. Quel giorno, però, sembrava tutto diverso. Anzitutto, percorrevano la strada asfaltata, cosa che abitualmente non facevano perché l'avrebbero distrutta. Poi sembrava che stessero andando in guerra o fossero impegnati in un'operazione speciale di qualche tipo. La scena aveva un che di caotico. Ma l'aspetto più importante era che si stavano dirigendo verso Mosca. Felice di avere una scusa per non andare alla dacia, tornai a casa e accesi il televisore per capire cosa stesse succedendo. Stavano trasmettendo Il lago dei cigni, e per qualsiasi sovietico questo significava che stava accadendo qualcosa di grave. Fin da piccolo avevo imparato che, se invece dei cartoni animati trasmettevano un concerto di musica classica, con ogni probabilità era morto un leader e sarebbe cominciato un diluvio di cordoglio pubblico. Questa volta, però, non era affatto chiaro chi fosse deceduto. (p. 77)
  • [...] venne letto alla radio un lunghissimo discorso al popolo sovietico. Era incredibilmente prolisso, con frasi che sembravano tratte da un editoriale della «Pravda» (e nel 1991 gli editoriali della «Pravda» erano sinonimo di cliché, idiozia e disonestà). Rammento solo che veniva condannato con forza il fiorire della «speculazione». Il monito non poteva essere più chiaro: la nosra futura vita di agi grazie a capitalismo ed economia di mercato era a rischio. Ricordo anche la frase: «Mai nella storia del paese la propaganda di sesso e violenza ha assunto simili proporzioni, mettendo in pericolo la vita e la salute delle generazioni future». Un attacco vero e proprio alle migliori conquiste della nostra epoca. Le immagini di donne nude non avevano fatto in tempo ad apparire su giornali e periodici, e queste persone le volevano bandire con il pretesto che erano una minaccia per la nostra salute. Per aggiungere il danno alla beffa, era una replica di quegli stessi programmi che anni prima avevano condannato la musica rock perché conteneva «una propaganda sfrenata di sesso e violenza». Era chiaro come gli autori della dichiarazione l'avessero scritta con il sottile intento di toccare le più profonde corde del cuore del popolo sovietico. Nell'ascoltare le parole che vietavano il sesso e il profitto, e parlavano della necessità di rifornire i villaggi di carburante e lubrificanti (altro argomento dei golpisti), i sovietici avrebbero picchiato i pugni sul tavolo dicendo: «Ehi, i compagni del Comitato di emergenza stanno facendo proprio la cosa giusta! Era ora di aiutare i contadini e bandire il sesso!». (p. 79)
  • Sono stato fortunato a essere tra coloro che non hanno subito onde d'urto dal crollo dell'URSS. Se mio padre fosse stato un ufficiale dell'esercito non nella regione di Mosca, ma a Baku, nel Nagorno Karabakh, in Abcasia o negli Stati baltici, le cose sarebbero andate molto diversamente. Tutti i rancori accumulati negli anni divamparono infatti in conflitti e persino guerre. Scoprimmo da un momento all'altro che armeni e azerbaigiani si odiavano al punto che già stavano combattendo. Georgiani e abcasiani non erano certo vicini amichevoli che pranzavano insieme, anzi, si sarebbero reciprocamente scacciati dalle rispettive case. Le ragioni sottese a ciò che stava accadendo venivano spiegate in maniera dettagliata, e ogni paese aveva le proprie. Visto da Mosca tutto questo sembrava una pura e semplice follia. Perché si facevano guerra tra loro? Per anni avevano convissuto «nella famiglia unita e multietnica dei popoli sovietici», e adesso si massacravano per questioni territoriali e interetniche?
    Si trattava senza dubbio della visione egocentrica e certamente ignorante di qualcuno che, per un colpo di fortuna, si era trovato in un posto dove non erano in corso guerre o conflitti nazionali, ma soltanto una caccia molto metropolitana al denaro. Non riuscivo a immaginarmi nei panni degli armeni o degli azerbaigiani, e in ogni caso non avevo il minimo desiderio di farlo. Per motivi altrettanto egocentrici, il solo problema interetnico che mi interessasse era la difficile situazione dei russi: d'un tratto, la nostra era diventata la diaspora più grande in Europa. Per me era abbastanza semplice fare un esperimento mentale. Immaginavo che mio padre fosse stato mandato a servire nella XIV Armata, di stanza in Moldavia, e io fossi diventato improvvisamente parte della «minoranza di lingua russa». Sarei stato quantomeno molto insoddisfatto di quell'istantaneo cambiamento e del mio status di «minoranza». (p. 85)
  • I nuovi leader saliti al potere in Russia – tra i quali Putin e tipi come lui erano di terza o quarta categoria – ignorarono il problema dei russi bloccati fuori dal paese. Si sarebbe potuto evitare un gran numero di conflitti, e si sarebbero salvate vite, se il governo dell'epoca avesse proposto anche solo un programma basilare per il rientro dei russi in uno qualsiasi dei territori ancora appartenenti a Mosca. Com'è ovvio, nessuno si sarebbe affrettato a tornare dai prosperi Stati baltici, e in quel caso sarebbero serviti approcci diversi. Eppure le domande confuse di chi viveva in Uzbekistan, Kirghizistan e in molte altre repubbliche – Qual è adesso il nostro posto? Che cosa dobbiamo fare? – avrebbero dovuto trovare risposta. È straordinario come, anche adesso che il problema della «russofobia» e la violazione dei diritti dei russi sono diventati in pratica la massima priorità nell'agenda del Cremlino, tutto resti a livello di una demagogia spudorata e ipocrita dietro alla quale manca qualsiasi provvedimento costruttivo. [...] L'attuale regime preferisce parlare senza sosta di russi oppressi senza far nulla per aiutarli. (pp. 86-87)
  • Quelli come Putin sono nostalgici dell'URSS perché per loro equivaleva a uno status di superiorità inaccessibile a chiunque. Oggi, a dispetto di tutte le storture del sistema, uno specialista informatico di un paesino siberiano può diventare miliardario senza bisogno del permesso o del sostegno dello Stato, e andarsene in Costa Azzurra a bordo del suo jet privato. All'epoca c'era una barriera che valeva per tutti tranne che per quelli come Putin, il cui unico scopo era di impedire agli altri di fare qualunque cosa. (p. 89)
  • Con tutta la sua ipocrita esaltazione dei lavoratori, la società sovietica in realtà tracciava un confine molto netto: chi proseguiva gli studi era al vertice, mentre gli altri erano di seconda categoria. Molto probabilmente questo avvenne per incentivare tutti, qualsiasi fossero le loro origini, a tentare la strada degli studi universitari, il che non era una brutta idea. [...] Nella pratica, però, la cosa non funzionò bene. La conseguenza a lungo termine fu una catastrofica caduta del prestigio di qualsiasi professione associata al lavoro manuale, anche la più specializzata. Essere un PTUšnik, ovvero lo studente di una scuola professionale, divenne sinonimo di asino. Era normale che un professore dicesse a un ragazzo: «Petrov, tu sei un idiota e puoi aspirare solo alle professionali». L'implicazione era che, dopo essere diventato idraulico, elettricista o operaio, Petrov sarebbe entrato nell'esercito dei perdenti e degli alcolizzati privi di prospettive nella vita. (p. 90)
  • [...] in URSS era praticamente contro la legge ammettere gli ebrei alle facoltà di matematica. [...] Secondo una barzelletta tipica dell'epoca, alle selezioni per l'ingresso all'Università statale di Mosca gli esaminatori non vogliono ammettere un candidato ebreo, quindi lo bersagliano di domande sempre più difficili, ma lui riesce a rispondere a tutte, quindi alla fine la commissione si riduce a chiedere: «Come spiega il fatto che Lev Tolstoj fosse capace di ricordare cose accadute quando aveva solo quaranta giorni?». «La cosa non mi sorprende. Io ricordo cose successe quando avevo otto giorni.» «E cosa ricorda?» «Ricordo un anziano ebreo con la barba e i peot che è arrivato e mi ha tagliato via la possibilità di fare l'università.» (pp. 102-103)
  • Ho già menzionato il decennio che passò alla storia come «i maledetti anni Novanta», un'espressione che vorrei spiegare, perché rappresenta una delle principali ragioni per le quali Putin continua a essere popolare in una fetta della società e perché il suo nome è associato alla «restaurazione dell'ordine» anche se, con lui al potere, l'amministrazione dello Stato è in totale degrado. [...] Ciò che rendeva «maledetti» gli anni Novanta era il fatto che in ogni centro abitato tutti sapessero esattamente chi fosse a capo della criminalità e quali gang fossero operative. In qualche modo, il crimine organizzato compariva dal giorno alla notte e assumeva all'istante un ruolo cruciale nella vita pubblica. [...] Nell'esatto istante in cui l'Unione Sovietica era crollata, lasciando il paese senza un unico centro di potere noto e accettato da tutti, le persone avevano scoperto all'improvviso che a comandare adesso erano le gang che stazionavano ogni sera al chiosco degli spiedini in fondo alla strada. [...] All'improvviso venne fuori che aver trascorso un periodo in carcere era qualcosa di positivo. In precedenza si sarebbe detto: «È stato sette anni in prigione. È una causa persa. Stagli lontano». Adesso, per qualche imperscrutabile ragione, la frase era diventata: «È stato sette anni in prigione, quindi ha contatti giusti e risolverà i nostri problemi». (pp. 106-107)
  • Sono convinto che prima o poi ogni cosa andrà al suo posto e tutto finirà bene, ma dobbiamo guardare in faccia la realtà che dai primi anni Novanta ai Venti del Duemila la vita di una nazione è stata stoltamente sprecata in un'epoca di degenerazione e di incapacità di stare al passo. C'è una buona ragione se le persone come me, e quelle di cinque o dieci anni più vecchie, sono chiamate la generazione maledetta o perduta. Noi siamo quelli che avrebbero dovuto beneficiare della libertà politica e di mercato, ci saremmo potuti adattare in fretta a un nuovo mondo, in una maniera del tutto fuori dalla portata delle generazioni precedenti. Il 15 per cento di noi sarebbe dovuto diventare imprenditore, «come in America». Solo che la Russia non ce l'ha fatta. Nessuno dubita che adesso viviamo meglio che negli anni Novanta, ma, perdonatemi, sono passati trent'anni. Anche in Core del Nord le persone vivono meglio oggi che trent'anni fa. [...] Il confronto non dovrebbe essere tra come eravamo negli anni Novanta e come siamo adesso, ma tra come siamo adesso e come avremmo potuto essere al tasso di crescita medio globale. Avremmo ottenuto senza fatica quello che abbiamo visto ottenere da Cecoslovacchia, Germania dell'Est, Cina e Corea del Sud. Questo confronto non può che deprimerci. [...] Perché non ha funzionato? Perché i polacchi e i cechi la sfangano e noi no? Ho una risposta semplice, che, per quanto tecnicamente significhi rispondere a una domanda ponendone altre, aiuta ogni pezzo del rompicapo ad andare al suo posto: Leszek Balcerowicz, l'architetto delle riforme polacche, è forse diventato un multimilionario come il nostro Anatolij Čubajs? La famiglia di Václav Havel, il leader post-comunista ceco, ha forse comprato una villa da 15 milioni di dollari a Saint-Barthélemy, l'«isola dei milionari», e possiede altri beni per un totale di centinaia di milioni? Come mai in Russia quasi tutti i giovani democratici, riformatori e sostenitori del libero mercato degli anni Novanta sono diventati favolosamente ricchi e oggi hanno cambiato le loro posizioni diventando pilastri conservatori dello Stato? In Estonia o Ungheria, Slovacchia o Germania non è successo niente del genere. [...] Dovremmo ammettere che in Russia non c'è mai stato al potere un democratico, nel senso di una persona con una mentalità genuinamente liberale e democratica. (pp. 123-124)
  • Eltsin era privo di una sincera motivazione ideologica e spinto unicamente dalla sete di potere. Era senz'altro un individuo dal grande talento, un politico di enorme intuito che percepiva l'umore popolare e sapeva come sfruttarlo. Era pronto, all'occasione, ad agire con decisione e audacia, ma sempre negli interessi di se stesso e del proprio potere più che in quelli del popolo o della nazione. (p. 126)
  • Dall'inizio alla metà degli anni Novanta non ero solo un sostenitore di Eltsin, ma uno di quelli che appoggiava senza riserve il leader in ogni sua iniziativa. Strano a dirsi, non ero tanto infatuato della sua persona o dei membri della sua squadra. Semplicemente non potevo soffrire nessuno degli altri politici. Il mondo senza chiaroscuri della politica dell'epoca comportava il fatto che o eri a favore di Eltsin e guardavi avanti, a dispetto degli errori, delle difficoltà e delle decisioni impopolari, oppure puntavi su quelle teste di rapa, rimasugli dell'Unione Sovietica, la cui unica idea era: «Torniamo indietro. Quelli erano bei tempi». Ebbene, per me non erano bei tempi, e mi faceva impazzire che le persone cercassero di convincermi che così era. Mi fa impazzire tuttora. Negli anni Novanta, certi cretini cercavano di convincermi che mia madre non aveva dovuto alzarsi alle cinque del mattino per comprare la carne, e che io non avevo dovuto fare un'ora di fila per acquistare il latte. (p. 127)
  • In realtà, è probabile che ciò che provo per Eltsin non sia il genere di odio che si può nutrire verso un vivo, ma piuttosto una complessa mescolanza di avversione, rimpianto e sgomento. Rimpianto per la meravigliosa occasione che il mio paese e i miei connazionali si sono lasciati scappare di vivere la normale e civile vita europea che meritiamo. Le aspirazioni, le speranze, la fiducia, compresa la fiducia cieca di persone ingenue e confuse com'ero io in gioventù, sono state tradite e cinicamente svendute. Sono state barattate con le trame patetiche e corrotte – e i guadagni occulti – della famiglia Eltsin, con le garanzie della loro sicurezza. Il primo decreto di Putin riguardava aiuti materiali e garanzie di immunità legale per «la famiglia del primo presidente della Russia». A questo furono ridotti i grandi eventi storici che andarano dalla metà degli anni Ottanta all'inizio dei Novanta. (pp. 130-131)
  • Un'occhiata fredda e obiettiva all'era Eltsin ci pone di fronte a una verità triste e sgradevole, che spiega l'ascesa di Putin al potere: nel governo della Russia post-sovietica non ci sono mai stati democratici, e tanto meno liberali che sostenessero la libertà e si opponessero ai conservatori desiderosi di resuscitare l'Unione Sovietica. Tutti loro – con rare eccezioni come Egor Gajdar e Boris Nemcov, che si sono mostrati incorruttibili e hanno trovato la forza di ritirarsi (Gajdar) o di resistere alla reincarnazione dell'autoritarismo (Nemcov) – sono stati un'orda scellerata di ladri e mascalzoni. Per un certo periodo sono stati stimolati dalla retorica democratica, ma sempre nell'ottica di stare, nella cornice delle battaglie politiche dell'epoca, dalla parte del Cremlino, delle autorità. Per loro contava solo questo. Questo e, soprattutto, le opportunità di arricchirsi. (pp. 131-132)
  • [...] il regno di Eltsin non aveva nulla a che fare con le riforme. Era inutile aspettarsi da lui una qualsiasi visione o una crescita economica. Era solo un vecchio alcolizzato con attorno una manica di cinici imbroglioni che si dedicavano alla loro consueta attività di riempirsi le tasche. [...] L'entourage di Eltsin era una banda di farabutti, alcuni dei quali si definivano statisti patriottici, mentre altri si descrivevano come riformatori. I riformatori rubavano di più, ma avevano un aspetto più presentabile. (pp. 138-139)
  • Durante la mia convalescenza in Germania, inizialmente avevo deciso di tornare a Mosca il 15 dicembre, in tempo per festeggiare il nuovo anno e il Natale ortodosso a casa. Lo avevo dichiarato nel corso di una delle prime interviste dopo essere uscito dall'ospedale. In realtà, uno pseudoannuncio sul mio rientro in Russia dopo che mi fossi rimesso dall'avvelenamento era già stato fatto mentre ero in terapia intensiva: in occasione di una visita, Yulia mi stava leggendo ogni sorta di richieste urgenti da parte dei miei colleghi e io, dal letto e agghindato com'ero di cavi e tubi, rispondevo.
    «Kira vuole sapere se dobbiamo rispondere al "New York Times". Chiedono se tornerai.»
    «Che domanda stupida. Certo che tornerò.»
    «Quindi deve rispondere?»
    «Sì, ma senza dire che l'ho definita una domanda stupida.» (p. 141)
  • L'esperienza mi ha insegnato che i problemi più gravi sorgono da cose alle quali non hai pensato: credenziali per accedere al conto corrente online, autorizzazioni e password per le varie applicazioni e i dispositivi che usi tutti i giorni. Quando sei in carcere, sapere che la tua famiglia sta bene rappresenta il 99 per cento della tua pace mentale e non voglio dovermi preoccupare che mi moglie non possa ritirare soldi dal mio conto a causa di una stupida regola bancaria che prevede che io dia il permesso scritto via e-mail. I giornali di tutto il mondo potranno anche riportare la notizia del mio arresto e della mia detenzione, ma il direttore della banca risponderà sempre: «Sono desolato, non c'è nulla che possiamo fare. Il titolare ci deve inviare un'e-mail o usare la nostra comoda app.» (p. 147)
  • Ormai da molto tempo ho smesso di tentare di analizzare e prevedere il comportamento di Putin e del Cremlino: c'è in gioco troppa irrazionalità. Putin è al potere da oltre vent'anni e, come accade a qualunque altro leader della storia che abbia governato così a lungo, ha la testa piena di ossessioni messianiche, tutta quella roba in stile «Niente Putin, niente Russia» proclamata dal podio della Duma. A dispetto di ciò che gli analisti poltici scelgono di scrivere, poi, anche il vero equilibrio di potere fra i più assortiti gruppi del Cremlino è ignoto, quindi è inutile cercare di calcolare quale potrebbe essere la «loro» prossima mossa. Possiamo fare solo quello che riteniamo giusto. (p. 149)
  • Facevo l'avvocato per una grande società moscovita di sviluppo immobiliare. Per concludere qualcosa nel settore edilizio nella Mosca del sindaco Lužkov alla fine degli anni Novanta, bisognava prima rimunerare lui, poi il suo vice, il leggendario Vladimir Resin, che ogni persona onesta stava chiedendo di sbattere in carcere, tanto era sfacciata e cinica la sua abitudine di accettare mazzette. Per ironia della sorte, io che ho indagato con tanto rigore sugli squallidi maneggi di Regin in ogni fase della sua carriera adesso sto scrivendo queste parole dal carcere mentre lui, a ottantacinque anni, siede bello comodo nella Duma statale come rappresentante del partito Russia Unita di Putin. (p. 178)
  • [...] poche cose meritano l'incenerimento con un lanciafiamme più di un gruppo di avvocati ubriachi consapevole che qualche scappatoia legale permetterà loro di passarla lisca dopo aver fatto i gradassi e aver spadroneggiato sulla gente comune che non conosce la legge ma ha il diritto dalla sua parte. (p. 183)
  • È un logoro cliché parlare della chimica tra le persone, ma credo davvero che esista. Così come l'amore a prima vista, e io ne sono la prova vivente. Adesso, mentre sto scrivendo queste parole, io e Yulia siamo insieme da ventiquattro anni. Di tanto in tanto, persone più giovani, o giornalisti ansiosi di trovare una domanda originale per la loro intervista, mi chiedono qual è il segreto di un matrimonio riuscito. Io davvero non ne ho idea. Una grossa parte del successo è pura fortuna. Sono stato fortunato a incontrare Yulia. Altrimenti, forse adesso sarei una persona molto diversa: divorziato tre volte, single e ancora in cerca di qualcuno. (p. 187)
  • In Russia, se sei attivo in politica, e tanto più se non supporti il regime, possono arrestarti in qualsiasi momento. Ti perquisiranno la casa, ti confischeranno beni. Requisiranno i telefoni dei tuoi figli e il computer di tua moglie. Durante una perquisizione avevano una gran voglia di filarsela con il nostro televisore. Ma da Yulia non ho mai sentito una parola di rimprovero. Anzi, tra noi due, è lei ad avere le opinioni più radicali. È sempre stata immersa nella politica. Odia le persone che hanno preso il potere nel nostro paese, probabilmente ancor più di me. E questo mi incoraggia a fare quello che faccio. (pp. 187-188)
 
Boris El'cin consegna l'emblema presidenziale a Vladimir Putin
  • Nel 1999, quando Vladimir Putin salì al potere, molti lo trovarono fantastico: era giovane, a differenza di Eltsin non beveva e sembrava dire tutte le cose giuste. Questo non fece che consolidare la speranza che, finalmente, tutto sarebbe andato a posto. Tale narrazione mi irritava davvero tanto. Non mi piaceva affatto l'idea di Putin come «successore»: io volevo un'autentica elezione presidenziale, con candidati in competizione tra loro. Se Putin fosse stato un comunista che aveva fatto campagna elettorale e aveva vinto onestamente, mi sarei arrabbiato molto ma avrei accettato il risultato. Invece, Putin era stato imposto alla Russia per ricompensarlo della sua fedeltà e disponibilità a fornire immunità legale all'ex presidente e alla sua famiglia. (p. 191)
  • La maggior parte delle persone si iscriveva a Jabloko perché ne ammirava il leader, Grigorij Javlinskij. Io non condividevo la profondità di quei sentimenti. Se durante il mio precedente entusiasmo per Eltsin non sopportavo Javlinskij e lo consideravo uno che gli toglieva voti, adesso il mio atteggiamento era più sfumato e avevo iniziato a rispettarlo. Lo ritenevo un politico perbene e onesto. Gli ex burocrati del Partito comunista che si erano allontanati di soppiatto dagli uffici del Soviet e si erano insinuati in quelli della Federazione Russa erano un manipolo di ladri, mentre Javlinskij era un uomo con dei valori. Aveva un'idea, che difendeva, e nel complesso il partito agiva in modo coerente; non c'era un gran desiderio di fare qualcosa di decisivo, quindi si preferiva lanciarsi in dibattiti intellettuali, ma almeno i militanti credevano davvero in ciò che dicevano. (p. 193)
  • Con il tempo iniziai a capire che l'unanime ammirazione per Javlinskij era così forte da assumere talvolta le sembianze del culto della personalità. I leader del partito e lui stesso erano incontestabili e la gerarchia osservata con rigore. Guardavano ai nuovi venuti con circospezione, nell'eventualità che qualcuno arrivasse e cercasse di impadronirsi del partito! Quanto a me, ero considerato con particolare sospetto perché non corrispondevo alla loro immagine del classico attivista politico: facevo la doccia tutte le mattine e avevo un lavoro. Mi avranno chiesto forse cento volte per quale motivo stessi lì sebbene loro avessero pochissimi soldi (o non ne avessero affatto). Tuttora non riesco a scrollarmi di dosso questo pregiudizio. Le persone pensano sempre ci sia una trappola. Dopotutto, se hai una buona istruzione e un buon lavoro, perché dovresti metterti contro Putin? Perché fai quelle inchieste? Forse ricevi le soffiate dalle stanze del Cremlino in concorrenza tra loro o magari sei proprio un tirapiede del Cremlino? O forse sei un lacchè dell'Occidente? Da sempre la gente inventa teorie cospirazioniste su di me per cercare in qualche modo di spiegare il mio inspiegabile interesse per la politica. Se oggi lo trovo divertente, ai tempi di Jabloko era seccante. Il fatto che mi considerassero un enigma indicava che non avevano fiducia nella propria forza. (pp. 193-194)
  • Nel 2001 nacque Dasha. Diventare padre ha trasformato la mia vita in modi inaspettati. Io e Yulia volevamo avere figli e io fui felicissimo quando nacque la nostra bambina, però accadde anche altro. Come chiunque fosse cresciuto in Unione Sovietica, non avevo mai creduto in Dio, ma guardando Dasha e osservandola crescere non riuscivo a fare pace con il pensiero che fosse solo una questione di biologia. Questo non toglieva niente al fatto che ero e resto un grande sostenitore della scienza, ma in quel momento capii che, da sola, l'evoluzione non era sufficiente. Doveva esserci di più. Da ateo irriducibile, diventai gradualmente una persona religiosa. (p. 196)
  • Immaginiamo che, in un universo parallelo, tutte le peggiori paure dei leader di Jabloko fossero diventate realtà e, all'inizio degli anni Duemila, io avessi assunto la guida del partito. In quel caso, Jabloko avrebbe cambiato volto. I suoi iscritti sarebbero rimasti i simpatici secchioni di sempre, ma sarebbero stati anche molto coraggiosi, perché io credo fermamente che le cose migliori sulla Terra siano state create da secchioni coraggiosi. [...] I secchioni di Jabloko erano vigliacchi e restii alla sperimentazione. Il mondo era cambiato, ma loro erano rimasti fermi. C'era stato un tempo in cui Jabloko era una fazione all'interno della Duma e il partito non riusciva a vedersi in modo diverso. Quando non superarono lo sbarramento del 5 per cento, mossero accuse di abuso di potere e brogli elettorali. Erano indignati e affermavano che gli era stata rubata la vittoria, perché in realtà avevano ottenuto molti più voti. Che le elezioni fossero clamorosamente truccate già allora era vero, ma Jabloko – dal canto suo – non aveva mosso un dito per farsi votare. Pian piano si rassegnarono all'idea che non avrebbero mai potuto vincere. Si convinsero ce la loro fosse una lotta impari contro la gigantesca, ostile Russia in cui i secchioni non piacevano a nessuno; iniziarono a temere i loro elettori e mascherarono la paura con un esagerato elitarismo con connotazioni intellettuali. Inutile dire che alla gente non importava di questo e il partito iniziò a perdere il poco sostegno che gli era rimasto. (p. 198)
  • Io ero convinto che, per contrastare Putin, fosse necessario un'ampia coalizione. All'epoca questi nazionalisti organizzavano dimostrazioni annuali a Mosca, le cosiddette «Marce russe», che erano autorizzate solo alla periferia della città ma richiamavano comunque diverse migliaia di persone. I dimostranti venivano dispersi senza pietà dalla polizia e i primi arresti di massa si verificarono in quelle occasioni, non durante le proteste dei liberali o dei democratici. Stabilii che se io, con i miei valori democratici, sostenevo il diritto di libera assemblea, allora per coerenza dovevo supportare anche quello degli altri. Iniziai dunque ad aiutarli a organizzare le loro parate e, per solidarietà, vi presi parte in diverse occasioni. Su internet potete trovare foto di me in piedi davanti a una bandiera nera, bianca e gialla, che viene spesso usata come sfondo per le interviste in cui mi chiedono: «Lei si considera un nazionalista?». [...] In qualunque normale sistema politico svilupato, io ovviamente non avrei aderito al partito nazionalista, ma considero folli e controproducenti i tentativi di screditare il movimento nel suo complesso. Chiunque organizzi veri e propri pogrom deve essere chiamato a risponderne, questo è certo, ma la gente deve poter manifestare ed esprimere le proprie opinioni, seppure sgradite. Queste persone esistono e, per quanto si decida di ignorarle, non se ne andranno. E non se ne andranno i loro sostenitori. A dirla tutta, indebolire i nazionalisti non farà che rafforzare Putin. (pp. 199-200)
  • Quando parlo dei partiti politici russi con gli occidentali, suscito sempre perplessità. Loro sono abituati a muoversi in uno spettro politico chiaro: destra, sinistra, socialdemocrazia, liberali. Queste categorie, però, non si applicano alla Russia. I nostri comunisti non sono «di sinistra» in senso classico: non sostengono le minoranze e non mettono un grammo di energia nelle lotte per aumentare i salari minimi. I comunisti russi sono di gran lunga più conservatori persino della destra americana. Il nostro paese ha un panorama politico del tutto diverso. Argomenti come la legalizzazione delle armi o il divieto di aborto, che suscitano accesi dibattiti nel mondo occidentale, sono pressoché privi di interesse per gli elettori russi. La nostra prima priorità deve essere la libertà di parola, la trasparenza elettorale e il rispetto dei diritto umani. (p. 201)
 
Grigorij Javlinskij
  • Senza dubbio ho imparato tanto e sono anche grato a Grigorij Javlinskij per avermi insegnato svariate importanti lezioni. Però non riuscivo ad accettare il fatto che Jabloko stesse scegliendo di autoghettizzarsi dalla vita pubblica russa. Io sognavo che il nostro sarebbe diventato il partito di maggioranza. Volevo veder apparire un politico che intraprendesse tutti i progetti necessari e interessanti, e collaborasse direttamente con il popolo russo. Se si fosse presentata una persona così, sarei corso a offrirgli la mia collaborazione. Attesi a lungo, poi un giorno capii che quella persona potevo essere io. (p. 203)
  • Sembra vigere la regola per cui, se al comando c'è un ex procuratore o un funzionario dell'FSB, la corruzione sarà due volte più diffusa. (p. 219)
  • La Russia è strutturata in modo che i rappresentanti di diversi ministeri federali sono letteralmente ovunque. Oltre al governatore, una regione ha un «ispettore capo federale» e rappresentanti di diversi ministeri federali. Qualsiasi decisione il governatore prenda può essere cassata da un funzionario che risponde direttamente a Mosca. La cosa può raggiungere picchi di assurdità. Per esempio, negli uffici del governo regionale di Kirov non c'era il wi-fi. Io proposi di metterlo. La saga meriterebbe un capitolo a parte, per un intermezzo comico. Solo ottenere che la mia proposta fosse discussa richiese cinque riunioni molto partecipate con il governatore, e anche allora il wi-fi non fu installato. (p. 219)
  • Lavorare a Kirov rappresentò nel complesso un'esperienza istruttiva, ma sconfortante. Ne ricavai una discreta consapevolezza di come funzionano le cose. Scoprii che non c'è modernizzazione possibile in una nazione autoritaria, che non c'è modernizzazione possibile neanche in una sola regione di una nazione del genere. Le persone giovani, attive, ambiziose arrivano con la voglia di sistemare e far funzionare tutto, ma vengono risucchiate nella palude del sistema. Mi resi conto che in un ambiente corrotto ti trovi tu stesso obbligato a comportarti in modo corrotto, anche se vorresti solo essere d'aiuto. (pp. 219-220)
  • [Sull'Università Yale] In Russia ero stato impegnato a combattere la corruzione nelle aziende statali. Ora, di colpo, mi trovavo seduto di fianco a una sudafricana che stava combattendo l'AIDS e l'HIV. Si chiamava Thembi Xulu, e faceva discorsi così interessanti sul suo lavoro che mi chiedevo se non fosse più importante del mio.
    C'era anche un tipo indonesiano che era a capo di un'organizzazione giovanile musulmana. Una volta gli chiesi: «Quanti membri avete?» aspettandomi che dicesse tipo «duecento persone». Lui invece rispose: «Be', non siamo l'organizzazione giovanile più grande del mondo. Più o meno dodici milioni».
    Un borsista proveniente dalla Tunisia non faceva che lamentarsi con me del fatto che stare all'opposizione era terribilmente difficile. «In Russia» diceva «avete YouTube, Facebook e Twitter, ma da noi in Tunisia è tutto bloccato.» Lavorare dalla Francia era l'unico modo in cui poteva condurre la sua militanza.
    Erano gli ultimi giorni del 2010, e nel giro di un mese scoppoà la Primavera araba e il regime dittatoriale tunisino cadde. Per quanto potesse essere vista come un'esperienza limitata al popolo tunisino, considerai comunque importante e utile avere qualche nozione in materia. (pp. 222-223)
  • La Transneft è la più grande società al mondo di gestione di gasdotti e oleodotti, e sposta il petrolio in tutta la Russia. Inutile dire che è di proprietà dello Stato. A metà del primo decennio del Duemila, intraprese l'enorme progetto di costruire un oleodotto che andava dalla Siberia orientale all'oceano Pacifico. È garantito che qualsiasi cantiere di quelle dimensioni comporterà prima di tutto dosi massicce di appropriazione indebita. Anche se verà completato, un megaprogetto del genere non si concluderà in tempo; la realizzazione sarà scadente e sprezzante dei regolamenti; e una grossa getta del budget finirà nelle tasche di qualcuno. Ed è proprio ciò che accadde. La cosa era evidente a tutti, governo compreso, tanto che nel 2008 la Transneft fu sottoposta a un controllo della Corte dei conti, l'organo statale di revisione contabile: scandalosamente, i risultati furono tenuti segreti su richiesta della stessa Transneft.
    Smossi mari e monti per mettere le mani su quel rapporto segreto e alla fine ci riuscii. Rimasi sconcertato. Le sue 150 pagine esponevano chiaro e tondo, con tanto di cifre e analisi, il fatto che poteva essere stato saccheggiato tutto il saccheggiabile. I costi di costruzione erano stati gonfiati più volte, inaffidabili società offshore erano state scelte come appaltatrici, gare e aste erano state condotte con irregolarità che avevano dell'incredibile, e la relativa documentazione era stata distrutta l fine di occultare l'accaduto. Non si trattava di una teoria di esperti o di una serie di post su un blog, ma di un rapporto ufficiale della Corte dei conti. La somma totale intascata nel corso del progetto dell'oleodotto si aggirava attorno ai 4 miliardi di dollari, «1100 rubli sottratti a ogni adulto di Russia», come scrissi all'epoca su LiveJournal. (pp. 223-224)
  • [Sulla Fondazione Anti-corruzione] Il principio cardine della nostra organizzazione era la trasparenza, che per me era importante fin dall'inizio per due ragioni. La prima, perché le persone sarebbero state più disponibili a donare se avessero saputo come venivano spesi i loro soldi; la seconda, perché volevo con tutto me stesso essere diverso dallo Stato. Il governo spendeva le nostre tasse senza darci spiegazioni, noi cittadini non avevamo voce in capitolo sulle priorità di bilancio e non sapevamo nemmeno come venissero distribuiti esattamente i soldi. [...] Io volevo fare le cose in modo diverso. Pubblicavo i dettagli del mio reddito personale. Pubblicavo la fonte dei finanziamenti dell'organizzazione. Tutti conoscevano l'aspetto di mia moglie e dei miei figli. Mandandomi soldi, le persone inviavano anche un chiaro segnale alle autorità: avevano deciso di farmi una donazione perché vedevano quello che facevo e sapevano come spendevo il denaro, mentre i funzionari governativi tenevano tutto nascosto e spesso rubavano. [...] Il secondo importante principio era la «normalità». Il Cremlino tenta da anni di marginalizzare il nostro movimento e relegarlo nel sottobosco, trasformandoci nell'equivalente moderno dei dissidenti sovietici. Io nutro un profondo rispetto per quei dissidenti, che sono stati degli eroi; nel 2012, però, la gente comune non voleva essere un eroico dissidente, perché è pericoloso e spaventoso. Tutti noi volevamo solo essere normali. E normali lo eravamo: persone normali con una normale vita lavorativa. (pp. 228-230)
  • Una delle cose peggiori della detenzione è essere tagliati fuori da tutto: la vita va avanti a pieno regime, mentre tu sei bloccato tra quattro mura e non ricevi nemmeno le notizie in tempo reale. (p. 234)
  • L'anno 2012 segnò l'avvento nella mia vita di uno schema preciso, un inarrestabile circolo vizioso che mi avrebbe accompagnato per molti anni a venire: manifestazione di protesta, arresto, manifestazione di protesta, arresto. Era sgradevole, certo, ma non mi avrebbe fermato. Il Cremlino se ne rese presto conto, per cui in dicembre istruì contro di me quattro nuovi procedimenti penali in una volta sola. Le accuse erano furto di legname nella regione di Kirov; appropriazione indebita di fondi dell'azienda francese Yves Rocher; furto di 100 milioni di rubli al partito Unione delle forze di destra; e, la mia preferita, appropriazione indebita dei fondi di una distilleria a Kirov. A quel punto correvo il rischio di passare in prigione diversi anni. Le ultime due accuse non erano troppo preoccupanti e non arrivarono nemmeno a processo. Le prime due erano inquietanti perché oltre a me venivano implicate altre persone innocenti. La causa legata alla Yves Rocher mi turbava particolarmente perché il coimputato era Oleg, il mio fratello minore. (p. 236)
  • I processi contro di me rappresentano un esempio perfetto di come funziona il sistema giudiziario in Russia. In pratica, architettano accuse e disegnano vittime strada facendo. Di solito è difficile spiegarlo a persone che vivono in paesi rispettosi del diritto. Non è possibile, dicono, inventarsi di sana pianta trenta faldoni di documenti. Ecco, gli investigatori russi ci riescono. (p. 237)
  • Intentando cause contro di me, il Cremlino aveva due obiettivi. Il primo era impedirmi di essere attivo in politica. Non è per niente facile comportarsi come al solito se sei in carcere, e anche una sospensione della pena rende la vita molto più complicata. Se hai una condanna penale, non puoi candidarti a una posizione politica. Il secondo obiettivo era danneggiare la mia reputazione. Avevano bisogno di rivolgermi accuse non legate alla politica ma alla criminalità comune: «Ah, sì? Pensa di poter combattere la nostra corruzione? Be', basta dire che lui stesso è corrotto!». (p. 237)
  • Per anni il regime si era dato da fare per creare l'illusione che esistesse solo Russia Unita e i partiti di opposizione sistemici, mentre l'opposizione non sistemica languiva ai margini della politica senza rappresentare nessuno. Anche se non diventai sindaco, la nostra campagna dimostrò che erano tutte bugie. In Russia c'è un sacco di gente che non appoggia Putin e i suoi candidati, che desidera una vera politica e delle vere elezioni. Se mobilitate in modo efficace, queste persone sono pronte a partecipare attivamente alle campagne elettorali, a lavorare per le sedi dei candidati, a fare volontariato. Era ovvio che, se ci fosse stato permesso di partecipare liberamente alle elezioni, saremmo diventati un partito grande e potente, e avremmo potuto competere con Russia Unita per la maggioranza in Parlamento. Io ne ero la prova vivente: una persona normale senza soldi, senza il sostegno dei media o degli oligarchi, che era stata persino rinchiusa in carcere per parte della campagna. In televisione, nel corso di un processo, ero stato accusato di appropriazione indebita e nessuno ci aveva creduto. A dispetto di tutte queste falsificazioni, avevo guadagnato il secondo posto nella corsa a sindaco della città più grande della Russia. E sapevo per certo che ce n'erano altri come me. Molti altri.
    Lo sapeva anche il Cremlino. Non mi permise mai più di partecipare a un'elezione. (pp. 247-248)
  • L'accusa contro di noi era persino più ridicola di quella del primo processo, ma nel 2014 il sistema giudiziario era ormai stato perfettamente oliato da Putin e ubbidiva a ogni suo ordine. I pubblici ministeri accusavano me e Oleg di aver rubato 26 milioni di rubli alla società di cosmetica francese Yves Rocher con un presunto sistema di costi gonfiati per i servizi di logistica. L'analogia con il precedente caso montato ai miei danni e riguardante la Kirovles era evidente. Di nuovo veniva depinto come frode quello che era un normale accordo commerciale, però, mentre l'ultima volta la polizia aveva estratto dal cilindro una presunta vittima – ovvero Vjačeslav Opalev, direttore di Kirovles, che era stato ben felice di sfidarmi in tribunale –, qui di vittime non ce n'erano. [...] Il rappresentante di Yves Rocher chiamato a testimoniare (dalla procura!) affermò di non aver alcuna accusa da muovere nei nostri confronti, il che però lasciò indifferente la corte. Gli ordini erano chiari: dovevamo essere dichiarati colpevoli, quindi la macchina di Putin fece del suo meglio. (pp. 249-250)
  • Gli arresti domiciliari sono una forma di punizione particolarmente insidiosa: non sei in carcere, quindi nessuno simpatizza per te, ma in realtà non puoi fare quasi nulla. (p. 250)
  • Acquisimmo la totale padronanza di YouTube con il nostro rapporto sul procuratore generale Jurij Čajka. Quella era una storia che non parlava solo di corruzione, ma anche dei legami tra la procura e il crimine organizzato.
    La prima cosa che scoprimmo fu che il figlio maggiore del procuratore generale, Artëm, viveva (per usare un eufimismo) al di sopra dei propri mezzi. Cose come queste erano piuttosto comuni. Scoprimmo che possedeva un enorme hotel di lusso e qualche villa in Grecia nonché una casa in Svizzera, e aveva una serie di conti in banche estere. Più avanti venimmo a sapere che attorno al procuratore girava tutta una mafia. Artëm era proprietario dell'albergo insieme alla moglie del vice di suo padre. Lei, a sua volta, aveva investito in affari con le mogli di due criminali di primo piano della regione di Krasnodar, appartenenti alla cosiddetta «banda degli Tsapki». Quest'ultima aveva tenuto l'intera città nella morsa del terrore per decenni commettendo furti, estorsioni, stupri e omicidi. Degli omicidi si parlava in tutto il paese: sui notiziari veniva raccontato come la gang avesse fatto irruzione nella casa di un uomo d'affari locale, uccidendo le quattordici persone che vi aveva trovato, compreso un neonato, per poi bruciare i corpi. Per anni la procura aveva protetto la banda, rifiutando di perseguirla.
    Quando scoprimmo tutte queste cose, restammo a dir poco scioccati. Ma poi venne fuori che lo stesso figlio del procuratore generale era implicato in un omicidio. Aveva voluto impossessarsi del sistema di trasporto fluviale siberiano e portarlo sotto il suo controllo. Il direttore del trasporto fluviale aveva dichiarato in un'intervista che Artëm aveva cercato di ricattarlo e spaventarlo; due giorni dopo, era stato trovato impiccato nel suo garage. Non era stato aperto alcun procedimeno penale. Era stato liquidato come suicidio, anche se l'autopsia aveva dimostrato che le mani dell'uomo erano legate e i segni sul collo potevano essere stati causati solo da una morte violenta. (pp. 263-264)
  • [Su Igor' Šuvalov] Non c'è assolutamente nulla di normale nel suo stile di vita. Avevamo già scoperto che era proprietario di un palazzo a Mosca, il genere di residenza in cui ti aspetteresti di veder vivere un conte; dieci appartamenti in uno sfarzoso grattacielo di epoca staliniana con vista sul Cremlino; un enorme appartamento a Londra del costo di 11 milioni di sterline situato sulle rive del Tamigi; una villa in Austria; e una quantità di Rolls-Royce.
    Eppure, quella nuova indagine lasciò di sasso perfino noi. Sembrava che Šuvalov amasse allevare corgi, e che anche loro vivessero nel lusso. Scoprimmo il jet con cui si spostava per affari, ne studiammo i piani di volo e ci rendemmo conto che non lo usava solo il vice primo ministro, ma anche i suoi cuccioli che andavano a partecipare a concorsi canini internazionali. (p. 264)
 
Dmitrij Medvedev
  • Tutti prendevano in giro Medvedev quando era presidente. Si fingeva un liberale, pronto ad accogliere ogni nuova tecnologia, i quotidiani, internet. Apriva profili su Twitter e Instagram, una cosa che, per un funzionario russo, era come volare sulla Luna. [...] L'unica «conquista» rimasta dopo i quattro anni di Medvedev al potere è stata che la milizia ha cambiato nome in «polizia». (p. 280)
  • Venne fuori che Medvedev non era solo uno stupido sempliciotto, ma un individuo corrotto fino al midollo. Usava reti di associazioni benefiche per spillare soldi agli oligarchi e intestarsi case di lusso. Noi le perlustrammo tutte lanciando il nostro drone da un nascondiglio, e poi mostrammo nei minimi dettagli come viveva Medvedev. Scoprimmo che aveva un'enorme tenuta sul Volga, nell'antica città di Plës. Al centro del laghetto di questa proprietà aveva fatto costuire una casetta per le anatre. Non so perché il nostro pubblico si affezionò tanto a questo dettaglio, ma da allora la papera diventò il simbolo sia dell'indagine sia delle proteste anticorruzione. (pp. 280-281)
  • Sono molto orgoglioso di quello che abbiamo ottenuto. Abbiamo aiutato un'intera nuova generazione a interessarsi alla politica. Sono giovani arditi, che sanno mostrare iniziativa e sono capaci di organizzarsi: sono gravemente insoddisfatti di quello che sta succedendo nel paese e pronti a manifestare per ciò in cui credono. (p. 282)
  • Nell'estate del 2019 mettemmo alla prova l'idea del voto strategico con le elezioni della Duma di Mosca. Io non potei candidarmi, ma molti miei colleghi e sostenitori sì. Annunciammo il nostro piano qualche mese prima delle votazioni e la cosa fu accolta con grande favore. Certo, non tutti erano entusiasti: «Ho sempre votato per Jabloko e continuerò a farlo senza se e senza ma!», «Votare per i comunisti? Per quei cannibali? Mai!». Io spiegavo con calma che, per come eravamo messi, avremmo potuto persino votare per una sedia, anche quella sarebbe stata meglio del candidato di Russia Unita. (p. 287)
  • Non dimenticherò mai una conversazione che ebbi con Boris Nemcov dieci giorni prima che venisse assassinato. Eravamo in tre: Nemcov, un suo collega e io. Nemcov mi spiegò che ero in pericolo, che il Cremlino avrebbe potuto uccidermi perché ero un battitore libero, mentre lui era invulnerabile, perché si muoveva all'interno del sistema: era stato vice primo ministro e, soprattutto, conosceva Putin personalmente e aveva lavorato con lui per anni. Tre giorni più tardi venni arrestato e appena una settimana dopo Nemcov cadde sotto colpi d'arma da fuoco a duecento metri dal Cremlino. A quel punto capii che tutte le discussioni su chi fosse in pericolo o al sicuro non avevano senso. Non possiamo sapere cosa accadrà. Là fuori c'è un pazzo di nome Vladimir Putin e, quando gli salta il ticchio, scrive un nome su un biglietto e ordina: «Uccidetelo». (p. 290)
 
Memoriale a Boris Nemcov
  • L'assassinio di Nemcov fu un duro colpo per tutti e molti si spaventarono. Persino Yulia, che è una persona incredibilmente coraggiosa, in seguito mi disse di essersi sentita molto a disagio, quella notte, a casa da sola con i ragazzi. Aveva pensato: «Quindi è cominciata? Adesso uccidono gli oppositori? Faranno irruzione armati qui da noi?». Conoscevo Boris e rimasi inorridito come tutti, ma nemmeno in quel momento pensai che la mia vita fosse più a rischio di prima. (pp. 290-291)
  • Ho sempre cercato di ignorare l'idea di poter essere aggredito, arrestato o persino ucciso. Non ho controllo su quanto può accadere e sarebbe masochista trastullarsi in questi pensieri. Dovrei domandarmi: «Quante possibilità ho di sopravvivere fino a sera? Sei su dieci? Otto su dieci? O forse dieci su dieci?». Non è che cerchi di non pensarci, magari chiudendo gli occhi e fingendo che il pericolo non esista. È solo che un giorno ho deciso di non avere paura. Ho soppesato tutto, ho capito qual è la mia posizione e ho lasciato andare. Sono un politico dell'opposizione e so perfettamente chi sono i miei nemici, ma se dovessi temere di continuo che mi ammazzino, non varrebbe la pena vivere in Russia. Dovrei emigrare o smettere di fare ciò che faccio. (p. 291)
  • Sono un cittadino russo e ho determinati diritti. E non sono disposto a vivere nella paura. Se devo combattere, combatterò, perché so di essere nel giusto, so che loro hanno torto. Perché sono dalla parte del bene e loro da quella del male. Perché ci sono tantissime persone che mi sostengono. (p. 292)
  • Detesto stare in prigione. Non mi piace affatto. È orribile ed è un'inutile perdita di tempo, ma le cose stanno così, quindi mi adeguo. Io dico apertamente che, quando sarò al governo, porterò queste persone del Cremlino davanti alla giustizia, perché stanno derubando la nazione russa. A loro l'idea non piace, è ovvio, ecco perché stanno cercando di fermarmi in tutti i modi possibili. Io li combatto e loro mi vedono come il nemico. (p. 292)
  • So per certo una cosa: io appartengo all'uno per cento delle persone più felici al mondo, quelle che adorano incondizionatamente il proprio lavoro. Mi godo ogni istante. Le persone mi danno un enorme sostegno. Ho incontrato la donna della mia vita, ci amiamo e condividiamo gli stessi valori: lei si oppone quanto me a ciò che sta accadendo in Russia. Il nostro paese merita di meglio. Il popolo russo potrebbe vivere una vita venti volte più ricca di questa. Per me e Yulia non sono solo parole, noi vogliamo fare qualcosa. Almeno ci stiamo provando, perché è chiaro che ne vale la pena. Forse non ci riusciremo, forse tutto cambierà dopo di noi, ma dobbiamo provare. Voglio che i nostri figli e i nostri nipoti sappiano che i loro genitori erano brave persone e che hanno passato la vita a tentare di creare qualcosa di positivo. (p. 293)
  • Il popolo russo è meraviglioso. Di primo acchito non è molto accogliente, ma devo ammettere che questo mi piace. Sono persone complicate che amano filosofare. E anche a me piace farlo. Trasformano qualsiasi sciocchezza in una questione esistenziale e cominciano a discutere del futuro del paese. Io faccio lo stesso. Una volta ho descritto la Meravigliosa Russia del Futuro come un Canada metafisico: un ricco paese del nord a bassa densità di popolazione dove tutti vivono bene e sono ossessionati dai dibattiti filosofici. (p. 294)
  • Il più grosso errore degli occidentali è di mettere sullo stesso piano lo Stato e la gente russa. In realtà non hanno niente in comune, e la nostra peggiore sfortuna è che, tra i diversi milioni di persone che vivono qui, molto spesso il potere finisce nelle mani dei peggiori e più cinici bugiardi. Secondo un detto popolare, ogni paese ha il governo che merita, e molti credono che questo valga anche per la Russia. In caso contrario, di certo il popolo russo sarebbe insorto rovesciando il regime. Io non penso che sia vero. Un gran numero di miei connazionali non approva quello che sta succedendo e non lo ha scelto. Tuttavia, se non ti ribelli, la responsabilità è sulle spalle di ciascuno di noi, quindi anche sulle mie. E spetta a me lottare con maggior decisione per cambiare le cose. (p. 294)
  • Se mi chiedeste se odio Vladimir Putin, la risposta sarebbe: sì, lo odio, ma non perché ha cercato di uccidermi o perché ha sbattuto mio fratello in prigione. Odio Putin perché ha rubato alla Russia gli ultimi vent'anni. Avrebbero potuto essere anni incredibili, un periodo mai vissuto nella nostra storia. Non avevamo nemici. La pace regnava lungo tutte le nostre frontiere. I prezzi di petrolio, gas e di tutte le nostre altre risorse naturali erano incredibilmente alti. I ricavi delle esportazioni erano enormi. Putin avrebbe potuto usare quegli anni per trasformare la Russia in un paese prospero. E tutti noi avremmo potuto vivere meglio.
    E invece, venti milioni di persone campano al di sotto della soglia di povertà. Una parte del denaro è stata semplicemente sottratta da Putin e dai suoi compari. Una parte è stata scialacquata. Non hanno fatto nulla di buono per il nostro paese, e questo è il loro peggior crimine contro i nostri figli e contro il futuro di tutta la Russia. (p. 295)
  • Nel corso della storia, la Russia ha avuto dapprima gli zar, poi gli imperatori, poi i segretari generali, poi i presidenti, e tutti sono stati autoritari. Non possiamo andare avanti così.
    Il nostro compito è spezzare questo infinito circolo vizioso grazie al quale, ciclicamente, chi assume il potere lo trasforma in autoritarismo. (p. 295)
 
Manifestazione a sostegno di Naval'nyj, 23 gennaio 2021
  • La televisione di Stato ha detto che i partecipanti alla manifestazione del 23 sono bioterroristi che diffondono deliberatamente il COVID.
    E questo lo affermano le stesse persone che, nel pieno della pandemia, hanno organizzato una parata e un'elezione nazionale. (p. 311)
  • Me lo sono chiesto con franchezza centinaia di volte: «Ho dei rimpianti? Sono triste?».
    Niente affatto. La certezza di essere nel giusto e la sensazione di far parte di una causa più grande pesano un milione per cento in più di qualsiasi timore. E poi, tutto questo era ampiamente prevedibile. Ci ho pensato e ripensato, ben sapendo che la crescente efficacia del nostro team avrebbe indotto Putin a ordinare la mia carcerazione. D'altronde, non aveva altro modo per risolvere il problema. O meglio, l'avrebbe avuto, ma non avrebbe funzionato. (p. 320)
  • Un sottopancia di Euronews dice: «Grigorij Javlinskij afferma in un articolo che una Russia democratica e Navalny sono incompatibili». Questo è il Cremlino che ridicolizza il vecchio codardo, costringendolo a scrivere una cosa del genere proprio in questo momento. L'umiliazione pubblica è il dazio da pagare per aver potuto registrare il proprio partito e aver ricevuto finanziamenti. Che orrore trasformarsi in una cosa del genere. [...] Poveretto. Posso solo immaginare il tormento che ha provato nello scrivere quella roba. Mettendo da parte il fatto che il Cremlino lo ha costretto a scrivere di me, doveva sapere che lo avrebbero fatto a pezzi, il che probabilmente è accaduto. E questo non perché sono io in particolare, ma perché viene da chiedersi: per l'amor di Dio, come gli è venuto in mente di scrivere un articolo su qualcuno che è appena stato sbattuto in prigione? Come si dice: ha perso un'occasione per tacere.
    Non so cos'abbia su di lui la lunga mano del Cremlino, ma di certo lo tiene in pugno. Difficile dire che la sua carriera sia finita, perché, tanto per cominciare, non ne ha mai avuta una. Più precisamente, si è alienato anche lo zoccolo duro dei suoi sostenitori e ha mandato in fumo le chance che molti membri del suo partito avevano di essere eletti. I più sconvolti sono i suoi compagni di partito. Eccola qui, la tanto attesa marea politica, giusto alla vigilia delle elezioni. Dovevano solo cavalcare l'onda. (pp. 329-330, 332-333)
  • Ho finito di leggere Madame Bovary. Molto deludente. Stavo per scrivere che si tratta della versione semplificata di Anna Karenina, ma non c'è confronto. (p. 330)
  • [Su Guy de Maupassant] Lui sì, che è un vero scrittore. I suoi racconti fanno sostanzialmente schifo, ma i romanzi sono buoni. Mi sono imbattuto in qualche frase davvero ficcante. Sono appena sceso dalla brandina per annotarmene una, che in sostanza dice qualcosa come: «Aveva quel fortunato aspetto che le donne sognano e gli uomini trovano repellente». Non è fantastica? (p. 330)
  • Qui in carcere, ovviamente, uno psicologo si divertirebbe un mondo. Si potrebbero scrivere centinaia di libri sulla straordinaria capacità umana di adattarsi e di trarre piacere dalle cose più banali. (p. 332)
  • Un atteggiamento tipicamente russo: siamo orgogliosi di quelli che abbiamo messo in galera. (p. 387)
  • Ecco un frammento di informazione dal miglior campo di prigionia della Russia. Nel giro di tre settimane, ben tre detenuti della mia unità sono stati portati in ospedale con la tubercolosi. (p. 408)
  • Non si può dire che in questo ospedale curino davvero i pazienti. E non è un'esagerazione. Nel mio reparto ci sono altri due tizi. Sono persone gravemente malate. Uno ha l'HIV e soffre tanto. Li trattano come me: controllo della pressione e della temperatura, e una pastiglia al giorno. Questi sono tutti i loro farmaci. Il personale non sa fare altro. Non c'è da meravigliarsi se quelli che vengono curati in carcere muoiono come mosche.
    Se ne fregano tutti. Misurano la pressione di un paziente al mattino, annotano che non c'è più battito e passano a quello successivo. (p. 418)
  • Da un lato, fare lo sciopero della fame e uscirne ti insegna perseveranza, ascetismo e forza di volontà. Dall'altro, ti rende ossessionato dal cibo. Non fai che pensarci e parlarne tutto il tempo. Pianifichi quello che mangerai dopo. Lo sogni persino. In attesa che arrivasse questo giorno ho fatto vividi sogni di caffè, pane bianco e burro. Non ho bevuto caffè per almeno quarantasei giorni. Niente pane e burro per, boh... non saprei. Per due mesi come minimo, forse di più... (p. 421)
  • Chiariamo le cose, non ho fissa di segni e simboli, e non sono nemmeno troppo superstizioso. È vero, non mi piace passare oggetti oltre una soglia, e non mi piace che io e Yulia aggiriamo un palo da lati diversi quando andiamo a fare una passeggiata. È vero, mi faccio il segno della croce ogni volta che passo davanti a una chiesa, cosa che per i «veri cristiani» è una palese superstizione. In realtà lo faccio più che altro per irrobustire in me un senso di fortezza cristiana, perché quando lo faccio mi deridono tutti. Ho deciso che questa è la mia versione semplificata di sofferenza per la fede, un momento di tribolazione per il fatto di essere un credente. Per fortuna non comporta essere smembrati, lapidati a morte o farsi sguinzagliare contro i leoni.
    Razionalizzo questa recente propensione a cercare segni come se fosse dovuta ai tanti mesi passati da solo in un ambiente ostile. A nessuno è concesso frequentarmi, a parte quelli che hanno ordini di ficcare il naso nel mio umore e nei miei piani. Non ho nessuno a cui chiedere consiglio, o con cui fare anche solo una piacevole chiacchierata. In tutto questo tempo ho avuto una sola occasione di farlo, quando Yulia è venuta per quella visita lunga e siamo potuti uscire in corridoio e bisbigliarci all'orecchio senza che ci sentissero i microfoni installati nelle telecamere presenti ogni tre metri. Dunque è così: la mente cerca un sostegno per le sue decisioni e cerca di verificarle attraverso coincidenze o qualcosa fuori dall'ordinario che possa considerare un segno. In ogni caso ricevere un segno è molto confortante, e anche questa è senza dubbio una naturale realzione psicologica allo stress della vita in un ambiente ostile. (pp. 433-434)
  • Nel periodo che ho passato dentro, è scoppiato uno scandalo di grande risonanza. Le amministrazioni carcerarie di diverse regioni non solo avevano organizzato un sistema per torturare e stuprare i detenuti, ma registravano tutto su video. In seguito i filmati venivano caricati su un server centrale così che le stesse amministrazioni o gli agenti dell'FSB potessero accedere alla registrazione, in modo da poter intimidire qualcuno mostrandogli quello che rischiava di accadergli. In alternativa (e, per come lo interpreto io, lo scopo principale era questo), dopo aver stuprato un detenuto, potevano reclutarlo con il ricatto, minacciando di diffondere il video. In quel caso i suoi compagni di prigionia lo avrebbero relegato nella casta dei «degradati».
    Gli stupratori erano perlopiù «attivisti» che registravano tutto su videocamere fornite dal personale. Poi, però, qualche furbacchione del Servizio penitenziario federale aveva ordinato a un carcerato specializzato in informatica di caricare le registrazioni. Lo sventurato era stato a sua volta reclutato come attivista dopo un'analoga tortura. Non sorprende sapere che, alla prima occasione, avesse scaricato una piccola parte era stata resa pubblica prima che cominciassero le trattative e, deduco io, il sistema aveva stretto un patto con il subdolo specialista informatico per lasciar cadere alcune accuse contro di lui, o forse lo avevano semplicemente corrotto. Comunque sia andata, le diverse decine di video pubblicate erano state sufficienti a causare le dimissioni del direttore del Servizio penitenziario federale e l'apertura di un procedimento penale. Tutto questo era successo pur essendo chiaro che Putin in persona avrebbe voluto insabbiare lo scandalo. Quando gliene avevano chiesto conto a un paio di conferenze stampa, aveva risposto con riluttanza che stavano indagando sul problema. Questo non sorprende, perché era emerso che l'FSB era il principale istigatore delle torture. Non c'era alcun «eccesso all'interno del servizio carcerario», ma un sistematica tortura organizzata dall'alto. [...] Quasi tutti i video comprendevano la scena di un uomo che veniva violentato con il manico di uno spazzettone. Non so perché. Forse è solo lo «stile della casa». O forse qualche patologico pervertito del Servizio penitenziario federale o dell'FSB ha di queste fantasie e ha deciso di ordinare che tutti vengano torturati così. (pp. 458-459)
  • I regimi come questo sono resistenti, e la cosa più folle che potrei fare è dare ascolto alle persone che dicono: «Ljoš, certo, il regime durerà almeno un altro anno, ma l'anno dopo, massimo due, crollerà e tu sarai un uomo libero». O cose su questa falsariga. Le persone me lo scrivono spesso.
    L'Unione Sovietica è durata settant'anni. I regime repressivi in Corea del Nord e a Cuba sopravvivono tuttora. La Cina, con una vasta gamme di prigionieri politici, è durata tanto che quei prigionieri invecchiano e muoiono in carcere. Il regime cinese non dà segni di cedimento. Non rilascia nessuno, malgrado la pressione internazionale.
    La verità è che sottovalutiamo la resilienza delle autocrazie nel mondo moderno. Con rare, rarissime eccezioni, sono protette dall'invasione esterna dall'ONU, dal diritto internazionale, dai diritti di sovranità. La Russia, che al momento sta combattendo una classica guerra di aggressione contro l'Ucraina (che ha aumentato di dieci volte le predizioni sull'imminente crollo del regime), è ulteriormente protetta in qualità di membro del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e dalle sue armi nucleari.
    La crisi economica e l'impoverimento, con ogni probabilità, ci attendono. Ma è lontano dall'essere scontato che il regime crolli in modo che i detriti sfondino le porte delle sue prigioni. (p. 496)
  • [...] immagina la cosa peggiore che potrebbe accadere e accettala. [...] Pensateci seriamente, e l'immaginazione crudele vi farà sfrecciare così veloci tra le vostre paure che arriverete in men che non si dica alla destinazione «occhi pieni di lacrime». La cosa importante è non tormentarsi con la rabbia, l'odio, le fantasie di vendetta, ma spostarsi subito verso l'accettazione. Può essere dura. (pp. 497-498)
  • Ho quarantacinque anni. Ho una famiglia, dei figli. Ho avuto una vita da vivere, ho lavorato ad alcune cose interessanti, fatto alcune cose utili. Ma adesso c'è una guerra in corso. Immaginate che un diciannovenne stia guidando un carro armato e si becchi uno shrapnel in testa, e giù il sipario. Non ha avuto famiglia, né figli, né una vita. In questo stesso momento, civili morti giacciono sulle strade di Mariupol', i corpi divorati dai cani, e molti di loro saranno fortunati se finiranno in una fossa comune, senza che ne abbiano alcuna colpa. Io ho fatto le mie scelte, ma queste persone stavano solo vivendo le loro vite. Avevano un lavoro. Mantenevano la famiglia. Poi, una sera come un'altra, un delirio livoroso alla televisione: il presidente di un paese confinante annuncia che siete tutti «nazisti» e dovete morire perché l'Ucraina è stata inventata da Lenin. Il giorno dopo una granata entra dalla finestra e non hai più una moglie, un marito o dei figli... e magari nemmeno tu sei sopravvissuto. (p. 499)
  • Ho sempre pensato, e detto apertamente, che essere credente ti rende più facile vivere e, in misura ancora maggiore, impegnarti in una politica di opposizione. La fede rende la vita più semplice. (pp. 500-501)

Il mio compito è cercare il Regno di Dio e la sua rettitudine, e lasciare che il buon vecchio Gesù e la sua famiglia si occupino del resto. Loro non mi abbandoneranno e risolveranno tutti i miei grattacapi.
Come si dice qui in prigione: «Si prenderanno i pugni al posto mio».

Citazioni su Aleksej Naval'nyj

modifica
  • Alexey è morto in una lontana colonia siberiana chiamata "Lupo polare". Per sua natura, lui era proprio un lupo polare: coraggioso, indipendente, con un cuore pieno di affetto e anche di odio per il potere di funzionari corrotti e autocrati. Ha combattuto per la giustizia. E rimarrà nella memoria delle persone come un vero eroe. In un paragone letterario, Navalny mi ricorda gli eroi di Jack London. (Vladimir Georgievič Sorokin)
  • [«Alla vigilia, tra i favoriti al Nobel, circolava anche il nome dell'oppositore in carcere Aleksej Navalny. Lo avrebbe meritato?»]
    Bisognerebbe chiederlo al Comitato dei Nobel. I loro criteri non sono sempre chiari. Non c'è dubbio però che il coraggio di Navalny meriti grande rispetto, benché ci possano essere opinioni diverse su quanto fosse costruttiva o meno la sua attività. Ma io non voglio né criticarlo né lodarlo. Ne stimo il coraggio. Non dobbiamo dimenticare né Navalny né tutti gli altri detenuti politici. (Jan Račinskij)
  • È un personaggio che non ha nessun appoggio popolare, se si escludono una parte della gioventù e della popolazione delle grandi città che sono a favore dell’Occidente e sono liberali, la cui massa critica dal punto di vista elettorale non è assolutamente percettibile. Questa gente rappresenta più o meno lo zero per cento nelle elezioni. Si tratta di uno zero statistico. Non è paragonabile alla situazione in Armenia dove esiste un’opposizione consistente. In Russia, statisticamente parlando, non c’è opposizione. (Aleksandr Gel'evič Dugin)
  • Gli uomini forti odiano essere presi in giro e la specialità di Navalny erano i video sarcastici che ritraevano il Grande Leader e i suoi compari come dei nullatenenti corrotti e incompetenti che erano incappati in un grande potere quasi per caso, ma erano determinati a mantenerlo. (Gwynne Dyer)
  • I russi non hanno saputo eguagliare il coraggio di Alexei nel porre fine alla dittatura di Putin. (Garri Kasparov)
  • I russi onorano sempre il ricordo delle persone per bene disposte a correre rischi e a sacrificarsi. E penso che Navalny sarà ricordato. Continuerà a ispirare la gente. Paradossalmente, è ciò che anche Putin vuole: essere ricordato per sempre. Ma ho l'impressione che tra 50 anni si parlerà dell'attuale presidente in un modo che a lui proprio non piacerebbe. Mentre Navalny resterà un eroe della Russia. (Timothy Snyder)
  • Il fatto è che, a differenza degli oppositori del passato, come Boris Nemtzov, che aveva tutte le doti del politico, Aleksey Navalny è invece un uomo lontano dalla politica seriamente strutturata e non è in grado di rappresentare un modello alternativo al governo in carica. È senz'altro un bravo comunicatore, che abilmente sfrutta la rete e denuncia coraggiosamente alcuni scandalosi casi di corruzione all'interno dell'apparato governativo. A volte riesce a stuzzicare qualche pezzo grosso, suscitandone l'ira, ma il suo lessico politico è costruito in gran parte su concetti fondamentalmente populisti, riduttivi dal punto di vista intellettuale, limitati soprattutto per quello che riguarda le implicazioni relative agli aspetti amministrativi. La sua visione è poi totalmente carente di linee guida nella politica estera, nemmeno un accenno. E la politica estera, per un paese come la Russia, specialmente nell'attuale situazione geopoilitica, è di importanza vitale, per non dire assoluta. (Nicolai Lilin)
  • Il punto è che Navalny non dovrebbe essere in prigione: è ancora illegalmente, ingiustamente, per motivi politici, incarcerato dal regime del Cremlino. Non è colpevole di nulla se non di essere un avversario politico di Putin, che sta violando non solo la legislazione russa, ma anche gli impegni internazionali assunti dalla Russia come Stato membro del Consiglio d'Europa, che ha aderito alla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo. Navalny, va ricordato, è solo uno dei quasi 400 prigionieri politici oggi in Russia, in carcere per aver osato intralciare il cammino di Putin. (Vladimir Kara-Murza)
  • Il suo solo errore è quello di opporsi a Vladimir Putin. Evidentemente non è un errore, lo fa apposta. (Vladimir Kara-Murza)
  • [L'ambasciatore russo Vasilij Nebenzja] ha affermato che l'Ucraina è infestata dalla corruzione. Ricordo a tutti che Alexei Navalny aveva documentato quale fosse il livello di onestà e correttezza nel suo stesso Paese. (Radosław Sikorski)
  • L'Occidente ha bisogno di questa "figura" per destabilizzare la situazione in Russia, per creare disordini sociali, scioperi e nuovi "Maidan". [...] Possiamo vedere a cosa questo può portare sull'esempio dell'Ucraina, che ha sostanzialmente perso la sua indipendenza. (Nikolaj Patrušev)
  • [«Che cosa aveva di speciale Navalny rispetto ad altri?»] La sua risata, il suo senso dell'umorismo, la sua volontà di ferro. Era finito a terra tante volte e si era sempre rialzato. Dal punto di vista mentale era estremamente sano e questo è decisivo per un oppositore politico in Russia. Io soffro di attacchi di panico e depressione. Navalny sembrava sempre padrone di sé e allo stesso tempo capace di gioia. Ha scherzato con i giudici fino al giorno prima di morire, pur sapendo che rischiava la vita ogni secondo. Emanava un senso di positività. Abbiamo un leader sociopatico da così tanto tempo, che la differenza si nota. Putin è un tipo che non mostra emozioni umane, uno di cui non sappiamo niente. Passa il tempo a nascondersi. Navalny era un libro aperto. La storia d'amore con sua moglie è una delle più belle che abbia mai visto. Sono arrabbiata non solo perché hanno ucciso una speranza per la Russia, ma perché hanno spezzato una storia d'amore bellissima. (Nadežda Tolokonnikova)
  • Oppositore coraggioso al di là delle idee xenofobe e fascistoidi, che in Italia l'avrebbero portato in carcere per istigazione al razzismo in base alla legge Mancino. (Marco Travaglio)
  • Non ha storia politica, né un programma chiaro. Non ha mai ricoperto cariche pubbliche. Si muove su Internet. Parla ai giovani ma puoi conoscerlo solo se se usi la Rete: io non lo faccio e quindi non lo conosco a fondo. Sono stati i giornali occidentali a renderlo leader dell'opposizione. In realtà è una figura illusoria, artificiale, senza seguito. (Roj Aleksandrovič Medvedev)
  • Non vedo nessuno simile a lui. Navalny era ancora forte perché era un politico reale, che sapeva parlare con la gente, che sapeva trascinare. Proprio per questo lo stavano uccidendo. Era capace di attrarre non solo una cerchia ristretta di seguaci, ma anche masse molto più larghe e popolari. Una perdita al momento incolmabile. (Oleg Orlov)
  • Quell'uomo non è accettabile. Naval'nyj non è accettabile. [...] Non dovrebbe far parte della politica russa. I tedeschi lo adorano, lasciatelo eleggere al Bundestag... Possono dargli un passaporto tedesco. (Vladislav Surkov)
  • Quella di Navalny era una strategia peculiare e intelligente: fingeva che la Russia fosse un Paese democratico e agiva di conseguenza. (John Sweeney)
  • Un blogger anti-Putin, venduto come leader dell’opposizione. Ma che secondo le stime avrebbe solo il 3%. Insomma, è uno dei tanti che si oppone a Putin. È come se in Italia Nicola Fratoianni fosse considerato l’anti Renzi. (Matteo Salvini)
  • Un uomo brillante e, ora come ora, l'uomo più coraggioso che io abbia mai incontrato. È un grande esempio di dignità e libertà. È in prigione ed è stato condannato a nove anni di carcere duro. Eppure scherza. Si prende gioco di quegli idioti che lo hanno messo dietro le sbarre. (Galina Timčenko)

  Citazioni in ordine temporale.

  • Non sono più il nemico numero uno in assoluto di Putin, adesso lo è sicuramente Navalny. Diciamo che sono il suo nemico numero uno all’estero.
  • Penso che lo ucciderebbero in un batter d’occhio se pensassero che non ci fossero conseguenze, motivo per cui le sanzioni sono così importanti.
  • Lo conosco per il suo lavoro contro la corruzione e abbiamo fatto cose insieme in passato e lo considero un’alternativa di molto migliore rispetto a Vladimir Putin. Ci sono tanti punti su cui sono d’accordo con lui, e altre su cui non ci troviamo affatto d’accordo, ma se l’alternativa è lasciare che sia un criminale a gestire il Paese, penso che la scelta sia ovvia.
  • In un certo senso la sua storia è quasi una favola: un uomo sfida il dittatore, il dittatore cerca di ucciderlo, e lui sopravvive. Allora il dittatore cerca di esiliarlo, e lui riesce a tornare. Ha rischiato la vita, e adesso ha messo in gioco la sua libertà. Non c’è un’espressione di leadership più potente di questa: il messaggio che sta trasmettendo ai cittadini russi è che, se lui è disposto a rischiare la sua vita, dovrebbero esserlo anche loro. E molte persone stanno ascoltando questo messaggio.
  • La Russia è un grande Paese, ma attualmente è occupato da un clan criminale. Se Alexei Navalny diventasse presidente e Vladimir Kara-Murza premier, avrei grandi speranze.
  • [«Perché, dopo il tentativo di avvelenamento ordinato dal Cremlino, Navalny decise di tornare in Russia, dove poi è morto?»] Perché credeva che sarebbe sopravvissuto alla detenzione. E che, come Nelson Mandela in Sudafrica, avrebbe poi avuto ragione, conquistando il popolo russo. Invece, sarà un nuovo Martin Luther King.
  • Ora è a tutti gli effetti un martire e la gente continuerà a guardare a lui come speranza per la democrazia, contro la corruzione.
  • I molti procedimenti legali erano processi di stile staliniano – allo scopo di dare illusione della giustizia, nel mentre si escludeva un oppositore di alto profilo dalle votazioni e dagli schermi televisivi. Ma mentre i processi dell'epoca staliniana facevano un uso abbondante della pena di morte (così come dei gulag), questo non è avvenuto nel caso di Navalny, a prescindere da quanto inventato e giustificato fosse – almeno non ufficialmente.
  • La gente non ama Navalny, lo ritiene un megalomane. Tutti i politici sono megalomani ma il problema è che con Navalny il gap tra il suo messaggio e come viene percepito è troppo forte. Mi spiego. Ho parlato con alcuni manifestanti. Non è stato facile, la gente è venuta a gruppi e si è limitata a parlare con quelli del proprio gruppo, ma ho chiacchierato con tre quattro persone, gente sui 30-40 anni. Uno mi ha detto: è la prima protesta alla quale partecipo, sono qui perché il trattamento subito da Navalny alla stazione di polizia è incomprensibile, lo trovo inaccettabile. È questo sentimento, più che la causa contro la corruzione, a muovere i dimostranti. Diciamo che la gente vede Navalny non come uno che lotta contro la corruzione, ma come uno che lotta per un posto al sole nel sistema politico russo, per essere importante come Putin. Per tornare al gap di cui parlavo prima: Navalny dice "sono contro Putin" e la gente capisce "come osate non considerarmi importante come Putin"?
  • Navalny in questo senso è un simbolo, ha rivelato come sia ridicolo lo stato russo, che gli cambia aeroporto, lo arresta, svolge la prima udienza non in tribunale ma nella stazione di polizia… Insomma, davvero imbarazzante. Non menzionano neanche il nome, come se facendo così, come per magia, scomparisse. Si comportano come se fossero terrorizzati da lui e infatti per il sistema russo sarebbe meglio che rimanesse in esilio, così potrebbero dire, vedete è scappato. Navalny ha capito invece che doveva tornare.
  • Supponiamo che diventi presidente, un'eventualità praticamente impossibile, ma diciamo che lo diventi: la Russia non diventerebbe democratica all'improvviso come sogna Bugajski e quelli come lui. Non funziona cosí in Russia.
  • Anno dopo anno, ha tenuto testa alla potenza di uno degli Stati più crudeli del mondo e alla vendetta di uno degli uomini più crudeli del mondo.
  • Il lavoro di Navalny ha dato vita a un’intera generazione di media investigativi russi indipendenti, molti dei quali continuano a lavorare in esilio, documentando non solo le ricchezze provenienti da attività criminali ma anche i crimini di guerra e le attività degli assassini della Russia in patria e all’estero.
  • Inizialmente era collocato su posizioni etno-nazionaliste, a volte apertamente xenofobe e liberali. Ha sostenuto il diritto a possedere armi e la repressione dei migranti. Ma ha trovato la sua agenda e la sua voce politica nel documentare la corruzione. Ha costruito un movimento basato sulla premessa che i cittadini, anche in Russia, potrebbero e dovrebbero esercitare il controllo sul modo in cui viene speso il denaro pubblico. Negli anni successivi ha abbandonato il nazionalismo etnico in favore di un nazionalismo civico, evolvendo da liberale a socialdemocratico.
  • Naval'nyj si sbagliava: la brutalità, il dominio, il potere illimitato sono gli obiettivi finali di Putin; le ricchezze rappresentano solamente il bottino e lo strumento.
  • Nel corso degli anni avevamo discusso in più di un’occasione della natura sostanziale di Putin e del suo regime. Lui diceva che erano «truffatori e ladri», io ribattevo che erano assassini e terroristi. Quando uscì dal coma gli chiesi se si fosse finalmente convinto che si trattava di assassini. Mi rispose di no. Uccidono per proteggere la loro ricchezza. Sono semplicemente avidi. Ne aveva una considerazione troppo alta. In realtà sono assassini.
  • Putin era da tempo terrorizzato dalle proteste di massa. Ora doveva avere altrettanta paura di Navalny, un uomo la cui sola esistenza sembrava infondere alle persone le energie per superare le proprie paure.
  • Putin non poteva che provare invidia per la capacità di Navalny di mobilitare i russi.
  • Si immaginava come il Nelson Mandela della Russia: sarebbe sopravvissuto al regno di Putin e sarebbe diventato presidente. Forse era convinto che gli uomini con cui stava combattendo fossero capaci di provare imbarazzo e non avrebbero osato ucciderlo dopo aver dimostrato di averci provato.
  • Navalny era un leader, perché era in prigione. Altre persone si trovano in carcere: loro sono i veri leader.
  • Non è l'unico ad essere così in Russia, ne conosco tanti fin dalla mia stessa esperienza in prigione. Pensano che la dignità sia più importante della stessa vita. Lui era un eroe, un eroe di tipo antico.
  • Se Navalny non fosse andato incontro alla morte, nessuno ora si curerebbe di lui.
  • Alexei è percepito come un combattente, le persone credono che lui sia un uomo coraggioso e basta. In realtà è una persona pacifica e un fine pensatore [...]. Riflette molto su che fare per la Russia e il mondo e nonostante sia in prigione sembra molto ben informato. Non è un accademico, ma è impressionante come elabori idee profonde, io lo rispetto anche per questo.
  • Dieci anni fa era percepito solo come il rappresentante della upper class di Mosca e quindi presumibilmente poteva raggiungere il 15%. Lo scenario è cambiato dal 2017 quando cominciò a viaggiare di città in città: uscì dalla capitale e raggiunse i ceti che soffrono perché vivono con stipendi bassissimi.
  • [«Da quanto tempo Aleksei Navalny sapeva che la sua vita era in pericolo?»] Dodici anni fa l'aveva già capito. Ricordo che era venuto a parlare alla mia università, e gli studenti gli chiesero già perché Putin non lo avesse ancora ucciso. Era il 2012. Lui a quel tempo era già molto allenato a rispondere a domande del genere. Yulia era in sala e, quando sentì quella domanda, non era contenta.
  • Lui non è un opportunista. Ha dimostrato semplicemente di essere fedele a sé stesso. Da quando è diventato un personaggio pubblico si è scusato ripetutamente delle sue frasi razziste che peraltro risalgono a 15 anni fa. Ma su tutto il resto è rimasto coerente ai suoi ideali nel tempo. È servito? Beh, ha dimostrato una tale superiorità morale rispetto ai suoi avversari che penso sia stato utile, a discapito di costi molto alti per lui e la sua famiglia. Nel breve periodo ha anche alzato la posta in gioco che ha determinato una maggior repressione politica per cui la società civile patirà tempi duri. Ma nel corso del tempo la gente capirà che Navalny è una vittima colpevolizzata: come se si punisse la vittima di uno stupro invece dello stupratore. È la dimostrazione che Putin teme la competizione politica, che fa affidamento sulla repressione e che la sua popolarità non è così alta.
 
Naval'nyj con sua moglie Julija e Il'ja Jašin
  • Aleksej è un amico e un alleato, e io sono sinceramente in pena per la sua sorte. [...] Parlare di competizione fra me e lui è quantomeno strano. Per cosa dovremmo competere? Per il posto in cella? Oppure per una dose di Novičok? Non esiste nessun oppositore «principale». Esistono persone che si contrappongono ai ladri e agli assassini che si sono impadroniti del potere in Russia. Ciascuno lo fa in base alle proprie forze e al coraggio personale.
  • Aleksej Naval'nyj rappresentava un pericolo per Putin, soprattutto perché proponeva alla società russa una politica fondamentalmente diversa. Invece di volgare cinismo, ha mostrato ai suoi compatrioti un sogno idealistico.
  • Alexei rimarrà nella storia come un uomo di eccezionale coraggio che è andato avanti fino alla fine per ciò in cui credeva. Ha sfidato la paura e la morte. Ha camminato con un sorriso e una testa orgogliosamente alzata. Ed è morto da eroe.
  • Posso attestare che era veramente un uomo di fede, per il quale i comandamenti "non uccidere" e "non rubare", e i precetti etici del Discorso della Montagna, non erano meri orpelli religiosi, ma divenne una stella polare per la sua vita e la sua politica. Posso dire con certezza che, a differenza di Putin, anche Aleksej era un vero uomo di famiglia: un figlio, marito e padre amorevole. La sua vita familiare, basata sull'amore e sul rispetto reciproco, è sempre stata per me motivo di ammirazione.
 
Julija con Aleksej dopo il suo rilascio, luglio 2013
  • Aleksej più di tutto al mondo amava la Russia, amava il nostro Paese, voi, credeva in noi, nella nostra forza, nel nostro futuro, nel fatto che meritiamo una vita migliore. Ci credeva non a parole, ma coi fatti. Ci credeva in modo così profondo e sincero che era pronto a sacrificare per questo la propria vita. E il suo grande amore ci basterà per continuare la sua causa per tutto il tempo che ci vorrà, nello stesso modo accanito e coraggioso di Aleksej.
  • Ci risollevava il morale, rideva, scherzava, incoraggiava, non dubitava nemmeno per un attimo per che cosa stava lottando e per che cosa stava soffrendo. Era impossibile sottomettere mio marito e proprio per questo Putin l'ha ammazzato in modo vergognoso e codardo, senza mai decidere di guardarlo negli occhi o semplicemente citare il suo nome.
  • Da dieci anni sapevo bene quanto fossero pericolosi i nemici di mio marito. Quanto fossero disposti a qualsiasi cosa per silenziarlo. Era così ovvio che tra noi non ne avevamo mai parlato in modo serio. In uno dei nostri ultimi incontri lui iniziò questa conversazione molto diretta, in cui disse: penso ci sia un'alta probabilità che da qui non uscirò mai, accettiamolo. Io risposi solo: lo so.
  • Mio marito non vedrà la Russia del futuro, ma noi sì. E io farò tutto il possibile per realizzare il suo sogno, per accelerare la caduta del male e spianare la strada a un domani luminoso.
  • Non è mai stato di umore depresso. Ma penso che abbia avuto momenti molto difficili. Negli ultimi due anni lo stavano davvero torturando. Stava morendo di fame. Non gli permettevano di comprare il cibo allo spaccio.
  • Non smetteva mai di congetturare, immaginare e sperimentare. Non ti vogliono in televisione? Impariamo a girare i video su YouTube, in modo da farci conoscere dal Paese intero. Non ti permettono di votare? Escogitiamo una strategia di voto tattico per sottrarre seggi al partito al potere. Persino nel gulag di Putin, Aleksei era riuscito a trasmettere le sue idee su progetti che avrebbero gettato nel panico il Cremlino. Aleksei era l’antitesi della noia e della mediocrità.
  • A differenza di tutte le figure dell'opposizione attive negli ultimi vent'anni, Navalnyj era stato in grado di costruirsi un seguito che andava ben oltre le élite urbane della Russia. Aveva raggiunto persone provenienti da ogni angolo del paese, dagli operai agli ingegneri informatici, dai liberali ai professionisti. Aveva sostenitori devoti tanto in patria quanto all'estero. Ed era riuscito a far appassionare alla politica anche i giovani, che altrimenti ne sarebbero rimasti del tutto esclusi.
  • Dagli anni novanta in poi i liberali russi sembravano condannati a trovare un pubblico pronto ad appoggiare le loro proposte democratiche esclusivamente nelle città più grandi, come Mosca e San Pietroburgo. Solo in quei contesti urbani c'erano persone con una mentalità aperta, interessate alla costruzione d'istituzioni liberali e di uno stato di diritto. Il resto del paese non capiva in cosa consistesse la democrazia. Come praticamente ogni autocrate russo, dagli zar a Stalin, Putin ha alimentato questa spaccatura. Nell'immagine promossa dal Cremlino, "la vera Russia", cioè il paese al di là delle grandi città, non capiva le libertà occidentali: per questi cittadini liberalismo significava anarchia, cosa che rendeva sempre troppo prematura la concessione di diritti politici di stampo occidentale. I liberali russi erano scollati dal loro stesso paese, diceva il regime. [...] Navalnyj è stata la prima figura dell'opposizione capace di demolire questa narrazione. Mettendo insieme la sua bravura con i social network, innate doti di comunicatore, un'acuta sensibilità per i problemi che i russi hanno più a cuore e la sua abilità di avvocato nel portare alla luce prove precise e circostanziate, Navalnyj ha saputo attaccare il regime di Putin in modi impensabili per i democratici più convenzionali.
  • Navalnyj non solo ha costruito un'organizzazione politica di opposizione su scala nazionale per la prima volta nella storia della Russia postsovietica, con un ampio seguito e in grado di parlare a strati diversi della società russa. Ha anche affascinato i giovani russi come il Cremlino non è mai riuscito a fare, rappresentando quindi una reale minaccia per la continuità del regime. E tutto ciò è stato ottenuto nonostante la repressione sempre più serrata.
  • Naval'nyj è un giovane El'cin, solo sobrio. Conosco questa razza a memoria.
  • Non lo considero un oppositore. Rappresenta il capitale finanziario americano. [...] Lo presentano come una grande figura, ma questo non è altro che un tentativo di denigrare la realtà russa. [...] Non è il capo di sé stesso. Lavora con specialisti esperti che hanno promosso altre persone prima di lui.
  • Se noi o uno dei nostri si "incollasse" a Naval'nyj - questo giocattolo americano, inventato, preparato, che si trovava all'Università di Washington accanto a Saak'ashvili, che era preparato per continuare a strangolarci e organizzare una "rivoluzione colorata" - allora la sconfitta politica sarà al cento per cento.
  1. Citato in Putin crafts spectacle for re-election landslide, cambridgeglobalist.org, 18 marzo 2018. Dal video originale Diventa un nazionalista!, 17 ottobre 2007
  2. Citato in Moscow nationalist rally hears attack on Putin party, Bbc.com, 4 novembre 2011.
  3. a b Da La Crimea è nostra?, intervento su Radio Echo Moskvy, 15 ottobre 2014; citato in Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.
  4. Da un tweet del 12 agosto 2014; citato in La Russia piange Robin Williams, Rbth.com, 13 agosto 2014.
  5. Da Ancora la Crimea, intervento su Radio Echo Moskvy, 14 gennaio 2015; citato in Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.
  6. Citato in Anche la Russia ha il suo Julian Assange, Ilpost.it, 29 ottobre 2016.
  7. Da La Crimea è un "regalo" di Putin, intervento durante una conferenza di Solidarnost, 13 febbraio 2017; citato in Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.
  8. Da Sapevo che stavo morendo. Dall'intervista a «Der Spiegel», 23 settembre 2020; citato in Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.
  9. Da Amore e coma, dicembre 2020; citato in Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.
  10. Da Ho deciso di tornare, 13 gennaio 2021; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.
  11. Da San Valentino, 14 febbraio 2021; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.
  12. Da Rimanete liberi, 4 febbraio 2021; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.
  13. a b Da Sempre più reati, 25 maggio 2021; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.
  14. Da Bilancio di un anno, 4 giugno 2021; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.
  15. a b Da Siamo degli estremisti, 9 giugno 2021; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.
  16. Da Maestri della menzogna, 17 giugno 2021; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.
  17. Da Buon compleanno senza vetri di mezzo, 24 luglio 2021; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.
  18. Da Provate il voto intelligente, 15 settembre 2021; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.
  19. a b Da La viltà di Big Tech, 23 settembre 2021; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.
  20. Da Guerra!, 24 febbraio 2022; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.
  21. Citato in Navalny: «Guerra in Ucraina scatenata da Putin per coprire la corruzione, il furto ai cittadini russi», Ilmessaggero.it, 24 febbraio 2022.
  22. Da Putin sale in cattedra, 24 maggio 2022; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.
  23. Da Di nuovo sull'amore, 24 luglio 2022; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.
  24. a b Da Quanti anniversari ancora?, 17 gennaio 2023; citato in Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.
  25. Da L'ultima presa di posizione sulla Crimea, 20 febbraio 2023; citato in Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.
  26. Da Ascoltare i discorsi di Putin, 3 maggio 2023; citato in Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.
  27. Da La giornata del detenuto politico, 5 ottobre 2023; citato in Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.
  28. Da I miei eroici avvocati, 19 ottobre 2023; citato in Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.
  29. Da L'ultima foto di Capodanno, 31 dicembre 2023; citato in Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.
  30. Da L'ultimo post due giorni prima della morte, 14 febbraio 2024; Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.

Bibliografia

modifica
  • Aleksej Naval'nyj, Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé, 2024, ISBN 978-88-284-0649-5.
  • Alexei Navalny, Patriot, traduzione di Teresa Albanese, Sara Crimi e Laura Tasso, Mondadori, Milano, 2024, ISBN 978-88-04-75686-6.

Voci correlate

modifica

Altri progetti

modifica