Gwynne Dyer

Giornalista canadese

Gwynne Dyer (1943 – vivente), giornalista canadese.

Gwynne Dyer

Citazioni di Gwynne Dyer

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  Citazioni in ordine temporale.

Internazionale.it, 4 agosto 2014

  • La Prima guerra mondiale fu una tragedia umana, naturalmente, ma fu anche il momento in cui la razza umana iniziò a mettere in discussione l'istituto della guerra in sé: se fosse utile, ma anche se fosse davvero inevitabile. E la risposta a entrambe le domande è: non più di tanto.
  • Ciò che molte persone non capiscono della Prima guerra mondiale è che si trattò di un evento politico perfettamente normale. Sin dalla loro ascesa nel cinquecento, tutti i moderni stati centralizzati si erano combattuti tra loro in due grandi alleanze a intervalli di circa mezzo secolo. Si combatteva praticamente per tutto: confini in Europa, rotte commerciali, colonie in Asia, in Africa e nelle Americhe.
  • Gli eserciti erano dieci volte più grandi che in passato, perché adesso si trattava di paesi ricchi e industrializzati che potevano permettersi di mettere in uniforme la maggioranza della loro popolazione maschile. Questo significava che i soldati che venivano uccisi erano padri, fratelli, mariti e figli: una parte della comunità, non i banditi, gli ubriaconi e gli sbandati che costituivano un'ampia parte dei vecchi eserciti di professione.
  • Le nuove armi come i fucili automatici e l'artiglieria erano macchine di morte molto efficienti, e nel giro di un mese i soldati dovettero rifugiarsi nelle trincee per ripararsi dalla "tempesta d'acciaio". Trascorsero il resto della guerra a cercare di uscire dalle trincee, e alla fine del conflitto ne erano stati uccisi nove milioni. Fu questo a cambiare tutto.

Internazionale.it, 2 settembre 2014

  • Non è raro che i dittatori tendano a identificare i loro interessi con quelli del paese, e nemmeno che facciano uccidere delle persone. Ciò che è davvero strano è un dittatore che ha fatto uccidere parecchie persone, ma viene lodato dagli altri paesi per la sua eccellente amministrazione e ricoperto di aiuti internazionali. In questa fortunata categoria rientra il presidente Paul Kagame.
  • Meno della metà dei 12 milioni di ruandesi hanno vissuto in prima persona il terribile genocidio di vent'anni fa, ma il paese nel suo insieme ne è ancora ossessionato. Kagame ha governato il Ruanda per tutto questo tempo, ed è convinto di essere l'unico in grado di impedire che succeda di nuovo. Da qui alla convinzione che il suo dovere sia restare al potere con ogni mezzo necessario, compreso l'omicidio, il passo è breve.
  • Kagame ha ottenuto uno straordinario tasso di crescita economica in Ruanda (una media dell'otto per cento annuo nel periodo che va dal 2001 al 2012), nella speranza che la prosperità finisse per disinnescare l'ostilità tra tutsi e hutu. Non osa però permettere lo svolgimento di elezioni libere, perché gli hutu, ancora molto attaccati alla loro identità, voterebbero contro di lui. E quasi tutti gli altri accettano il suo comportamento, perché hanno sposato la sua convinzione circa la sua indispensabilità.

Internazionale.it, 26 settembre 2014

  • Gli Stati Uniti non hanno invaso il paese per portare democrazia, ricchezza e femminismo all'insofferente popolo afgano. Lo hanno fatto perché alcuni tra i principali artefici dell'11 settembre sono stati autorizzati a stabilirsi nel paese da esponenti dei taliban, che ne condividevano l'ideologia religiosa.
  • Alla fine il nuovo governo e il nascente sistema democratico afgano potrebbero sopravvivere e dimostrarsi adeguati alla realtà del paese. Dopo trent'anni di occupazione russa e statunitense, qualche milione di afgani ha avuto un assaggio di come si gestisce il potere nelle società post-tribali.
  • L'Afghanistan è tuttora una società tribale, dunque la divisione dei poteri su base etnica potrebbe rappresentare una soluzione migliore rispetto alla politica del "chi vince piglia tutto".
  • Il primo ministro ungherese [Viktor Orbán] è un abile demagogo, e gli ungheresi sono molto suscettibili al fascino degli agitatori nazionalisti.[1]
  • L'intera carriera politica di Netanyahu è stata dedicata al sabotaggio degli accordi di Oslo del 1993 (che prevedevano la convivenza pacifica di uno stato palestinese accanto a quello ebraico) e all'insediamento di un numero talmente elevato di coloni nei territori occupati da rendere la nascita di uno stato palestinese fisicamente impossibile.[2]
  • [Sull'intervento della coalizione internazionale contro l'IS e Al Qaida nello Yemen] L'Arabia Saudita e le altre monarchie del golfo (Giordania, Kuwait, Bahrein, Qatar, Emirati Arabi Uniti e perfino il Marocco) hanno inviato i loro aerei per bombardare lo Yemen. Egitto, Giordania, Sudan e Pakistan hanno offerto truppe di terra. Gli Stati Uniti (che hanno appena allontanato dallo Yemen le loro ultime truppe) hanno promesso "assistenza logistica e d'intelligence". Nella pratica, però, difficilmente la coalizione tra statunitensi e arabi sunniti invierà un numero consistente di soldati nello Yemen, anche perché il paese è da sempre un cimitero di eserciti stranieri, dal tempo dei romani agli ottomani.[3]
  • La maggior parte dei serbi ammetterebbe che la loro parte ha fatto alcune brutte cose durante la guerra nei Balcani degli anni novanta, ma aggiungerebbe che tutte le parti ne hanno commesse. Non accetteranno l'uso della parola "genocidio". Eppure è questa la parola che i musulmani di Bosnia devono sentire prima di poter credere che i serbi hanno finalmente capito la natura e la portata del loro crimine.[4]
  • E infine ci sono i brutti: i paesi che semplicemente non vogliono accogliere i rifugiati perché sono diversi. Come la Slovacchia, che ha dichiarato che potrebbe accogliere qualche centinaia di profughi, ma solo se cristiani, o l'Ungheria e la Repubblica Ceca, che stanno pensando di schierare l'esercito ai loro confini per tenere fuori i migranti. Tutti questi paesi hanno vissuto sotto la dominazione sovietica per due generazioni, il che era più o meno come vivere in una caverna. Non hanno praticamente alcuna esperienza in fatto d'immigrazione, e al loro interno è frequente sentire gente che fa commenti razzisti o antisemiti senza la minima vergogna. In un certo senso, vivono ancora negli anni cinquanta. Non è una scusa, ma è una spiegazione.[5]
  • [Sulla Guerra civile siriana] È facile definire la strategia statunitense in Siria, anche se è più una lista dei desideri che una vera strategia. Si tratta di "contenere" il terribile gruppo Stato islamico che controlla ormai la Siria orientale e l'Iraq occidentale, oltre che rovesciare la brutale dittatura di Bashar al Assad e sostituirla con delle forze ribelli "moderate".[6]
  • Abu Muhammad al Golani è un fanatico islamista, un tagliatore di teste (anche se moderato) e leader del Fronte al nusra, una filiale di Al Qaeda classificata dagli Stati Uniti come organizzazione terroristica. Ha trascorso quasi un decennio a uccidere le truppe d'occupazione statunitensi e i civili sciiti in Iraq quando faceva parte dell'organizzazione estremista sunnita nota oggi come Stato islamico (Is), prima di tornare in Siria nel 2011.[7]

Internazionale.it, 14 aprile 2015

  • C'è stato un genocidio armeno. Certo che c'è stato. Quando quasi ottocentomila membri di una singola comunità etnica e religiosa muoiono di morte violenta, di fame o di assideramento in un breve periodo, mentre sono scortati da uomini armati di etnia e religione diversa, la questione è presto chiarita. Oggi gli armeni sostengono che le vittime furono un milione e mezzo, ma è una cifra troppo alta. Quella corretta potrebbe essere anche di mezzo milione, ma ottocentomila è una stima plausibile.
    D'altra parte, gli armeni vogliono assolutamente che la loro tragedia sia messa sullo stesso piano del tentativo dei nazisti di sterminare gli ebrei europei, e non si accontenteranno di niente di meno. Ma ciò che è accaduto agli armeni non è stato pianificato dal governo turco, e da parte armena effettivamente c'era stata una provocazione. Ciò non significa neanche lontanamente che sia possibile giustificare cosa è accaduto, ma mette i turchi in una posizione un po' differente.
  • Fu un genocidio commesso attraverso il panico, l'incompetenza e l'incuria deliberata, ma non può essere paragonato a quanto successe agli ebrei europei.
  • Se solo i turchi avessero avuto il buon senso di ammettere, cinquanta o settantacinque anni fa, cosa è successo in realtà, oggi non ci sarebbero polemiche. L'unico dovere della nostra generazione è riconoscere il passato, non correggerlo. Invece abbiamo assistito a cento anni di totale negazione, ed è per questo che la questione è ancora d'attualità. E continuerà a esserlo finché i turchi non faranno finalmente i conti con il loro passato.

Internazionale.it, 7 maggio 2015

  • Da quando Suu Kyi ha finito di scontare gli arresti domiciliari, nel 2010, i suoi sostenitori all'estero (tra i quali ci sono la maggior parte dei leader dei paesi democratici) hanno ritenuto che le riforme democratiche fossero ormai pienamente avviate. Per questo hanno cancellato le sanzioni contro il regime militare, facendo sì che i loro cittadini si riversassero in Birmania per investire in un'economia quasi totalmente sottosviluppata.
  • È possibile che Thein Sein, l'attuale presidente, stia davvero cercando di far accettare la democrazia ai suoi colleghi militari più recalcitranti e che stia incontrando una grande resistenza. Dopo tutto, i militari hanno avuto il controllo assoluto della Birmania negli ultimi 35 anni, durante i quali molti di loro si sono considerevolmente arricchiti. Ma la verità è che lo stesso Thein Sein non sembra particolarmente entusiasta all'idea di una vera democrazia.
  • Probabilmente è ormai troppo tardi per reintrodurre le sanzioni: la realtà è che i birmani devono fare da soli. L'unico strumento efficace potrebbero essere delle imponenti manifestazioni non violente, simili a quelle che si svolsero nel 1988 e varie altre volte in seguito. L'unico problema, in questo caso, è che l'esercito birmano non ha mai esitato ad aprire il fuoco sui suoi concittadini.

Internazionale.it, 19 maggio 2015

  • Il limite dei due mandati è diventato uno standard per le nuove democrazie che si sono instaurate in Africa negli anni novanta. Dieci anni fa 34 paesi africani hanno inserito questa clausola nelle loro costituzioni. L'obiettivo era mettere fine al fenomeno dell'"uomo forte" nella politica africana e rendere possibile un cambiamento politico pacifico. Ma non ha sempre funzionato.
  • Tutti i presidenti che hanno cambiato la costituzione hanno poi vinto le elezioni. Emblematico è il caso dell'ugandese Yoweri Museveni, che nel 1986 aveva dichiarato che "nessun presidente africano dovrebbe restare in carica per più di dieci anni". Ventinove anni dopo, Museveni è ancora al potere e si prepara alle prossime elezioni.
  • La sua pace fragile e la sua relativa prosperità dipendono dalla convinzione di tutti nel fatto che i massacri etnici siano ormai alle spalle.

Internazionale.it, 20 ottobre 2015

  • Il Burkina Faso, uno stato dell'Africa occidentale senza sbocchi sul mare, contende alla Somalia il titolo di paese più povero del continente. Forse vi chiederete perché mai qualcuno dovrebbe volere l'ingrato compito di governare un posto del genere, ma il potere politico garantisce l'accesso alle risorse rare (come il denaro) anche nei paesi più poveri. Soprattutto se sei nell'esercito.
  • Le elezioni non risolveranno tutti i problemi del Burkina Faso, ma la democrazia forse sì. Il paese ha ancora il tasso di alfabetizzazione più basso del mondo, è ancora poverissimo e la popolazione (attualmente 17 milioni di persone) sta ancora raddoppiando ogni 25 anni. Ma qualcosa sta davvero cambiando in meglio.
  • Molti burkinabé sono analfabeti ma conoscono i loro diritti e non accettano più gli ordini da delinquenti armati, in uniforme, e senza opporre resistenza. Anche le istituzioni africane sono cambiate e non chiudono più un occhio quando i paesi che ne fanno parte subiscono un colpo di stato militare. Intervengono prontamente e in modo deciso, e in generale con successo.
  • Lasciamo perdere il fatto che la decisione d'invadere l'Iraq sia stata o meno un crimine di guerra (anche se tale fu, stando al diritto internazionale). Lasciamo stare il fatto che i motivi degli invasori fosse buoni o cattivi (come al solito erano un misto delle due cose). La cosa più evidente è l'assoluta arroganza e ignoranza di chi ha inflitto una simile catastrofe agli iracheni, che sono condannati a vivere nella miseria e nel terrore. Grazie, ragazzi.[8]

Internazionale.it, 4 marzo 2016

  • Non è un crimine che Zuma sia nato povero e non sia mai andato a scuola, né che non abbia mai lavorato nel settore privato: da quando aveva 16 anni è sempre stato nel partito oggi al potere, l'African national congress (Anc). Ma è interessante che, date queste premesse, sia comunque riuscito a diventare molto ricco (ha un patrimonio di almeno venti milioni di dollari).
  • È colpa di Zuma se il Sudafrica ha perso la fiducia del resto del mondo, ma non se la sua economia non cresce alla velocità sperata.
  • Il Sudafrica era già un paese sviluppato quando l'apartheid è finito. Era un paese sviluppato molto particolare, con circa dieci milioni di persone che vivevano in un'economia moderna e altri trenta milioni di persone che svolgevano lavori non qualificati o vivevano d'agricoltura di sussistenza. Ma era già un paese urbanizzato e industrializzato, e quindi non poteva beneficiare della fase di crescita sostenuta di cui hanno goduto alcune grandi economie emergenti, fasi che possono presentarsi una volta sola.

Internazionale.it, 25 aprile 2016

  • È difficile dire qualcosa di positivo sull'ex presidente della Fifa Sepp Blatter. Ma l'Africa gli sarebbe stata molto riconoscente se fosse riuscito a convincere il presidente del Burundi Pierre Nkurunziza a non presentarsi per un terzo mandato e ad accettare invece il ruolo di "ambasciatore del calcio" per la Fifa.
  • Nkurunziza è un appassionato di calcio e ha già messo da parte abbastanza denaro per la sua pensione. Ma ha deciso di restare al potere e presentarsi per un terzo mandato, rimettendo il Burundi in marcia verso l'inferno.
  • I presidenti africani hanno due gravi difetti. Il primo è che sono convinti di essere insostituibili: nel 2000 quasi due terzi dei paesi africani prevedevano un massimo di due mandati presidenziali nelle loro costituzioni, ma da allora in dieci di questi stati i presidenti hanno cercato di abolire tale limite. [...] Purtroppo l'altro grave difetto dei presidenti africani, è che se appartengano al gruppo dominante (come spesso accade) quando sono in difficoltà la loro soluzione predefinita è rispolverare le alleanze tribali. Ed è proprio quello che sta facendo Nkurunziza. I tutsi vengono epurati dall'esercito, e i sostenitori hutu del presidente stanno cominciando a usare la stessa retorica che si sentiva prima del genocidio in Ruanda.
  • Nkurunziza sta cercando di trasformare uno scontro politico che rischiava di perdere in un conflitto etnico che potrebbe vincere. Il prezzo da pagare sarebbe però un nuovo genocidio. Il futuro di tutto un paese potrebbe essere sacrificato alla sua ambizione personale.

Internazionale.it, 14 luglio 2016

  • A parte un po' di petrolio, il paese non può contare su praticamente nessuna esportazione, e lo scorso anno ha sofferto duramente per il crollo del prezzo del greggio. Il vero motivo della sua povertà, tuttavia, è la guerra: il paese oggi noto come Sud Sudan è stato in guerra per 42 degli ultimi 60 anni. I colonialisti britannici l'avevano accorpato al Sudan per convenienza amministrativa, ma al nord la popolazione era in maggioranza musulmana e parlava arabo, mentre a sud era perlopiù cristiana e di cultura, etnia e lingua africana.
  • Quando il Sud Sudan ha ottenuto l'indipendenza, nel 2011, era ormai una società completamente militarizzata.
  • È improbabile che il Sud Sudan riesca a raggiungere un accordo di pace duraturo nel prossimo futuro. Ma il Sud Sudan non è rappresentativo di tutta l'Africa subsahariana. Dei 48 paesi a sud del Sahara solo la Somalia, il Burundi e il Sud Sudan sono attualmente afflitti da una violenza interna su larga scala.
  • Il Sud Sudan è stato sfortunato con la sua storia e i suoi leader, ma non rappresenta l'Africa più di quanto l'Ucraina rappresenti l'Europa.
  • La verità è più strana della finzione, perché la finzione deve essere plausibile. La realtà non ha questo tipo di vincoli e produce spesso eventi che in un romanzo non sarebbero mai credibili.[9]

Internazionale.it, 2 marzo 2017

  • La caratteristica principale che distingue l'Africa dal resto del mondo è la sua popolazione in rapida crescita: nel continente il tasso medio di fertilità è di 4,6 figli per donna. Era il tasso medio di fertilità dell'intera umanità nel 1960, in pieno boom della popolazione mondiale. Ma da allora il tasso globale si è dimezzato, mentre quello africano è rimasto più o meno uguale.
  • Il punto non è che l'Africa è cresciuta troppo rispetto alla sua disponibilità di cibo. Nel continente ci sono abbastanza terreni fertili per nutrire più del doppio della popolazione attuale. Il riscaldamento globale danneggerà la produttività dell'agricoltura africana a lungo termine, ma non siamo ancora arrivati a tanto.
    Negli ultimi cinquant'anni, però, la popolazione dell'Africa è cresciuta alla stessa velocità, o più rapidamente, della sua economia. La maggior parte degli africani è ancora povera e i poveri, soprattutto quelli nelle aree rurali, tendono ad avere tassi di natalità più alti. E siccome non possono permettersi d'investire molto denaro nelle coltivazioni e negli allevamenti, nell'istruzione dei figli o in qualunque altra cosa, i problemi e i conflitti peggiorano e s'inaspriscono.
  • All'origine delle sue guerre c'è quasi sempre la spartizione delle risorse (come in Sud Sudan) in economie dove semplicemente non c'è abbastanza ricchezza per tutti. Se l'Africa non troverà il modo di fermare la crescita della sua popolazione, le cose potranno solo peggiorare.

Internazionale.it, 14 agosto 2017

  • Il Pakistan non è uno "stato fallito". Offre una vita piena di agi a circa cinque milioni di persone privilegiate, compresa la ricchissima famiglia Sharif (il fratello di Nawaz Sharif, Shahbaz, subentrerà alla carica di primo ministro non appena potrà lasciare il posto di governatore dello stato del Punjab ed essere eletto dal parlamento). Altri 30 o 40 milioni di persone conducono una vita modesta, ma tutto sommato tollerabile e altre 150 milioni di persone vivono nella povertà.
  • La proporzione di musulmani nella popolazione di un'India non divisa sarebbe stata talmente alta da non poter essere ignorata dal punto di vista politico. Se il Pakistan e il Bangladesh, che si è separato dal Pakistan nel 1971, facessero ancora parte dell'India, i musulmani non rappresenterebbero il 13 per cento di quell'India non divisa. Sarebbero più del 30 per cento.
  • Senza la partizione con ogni probabilità il subcontinente non avrebbe subìto colpi di stato militari. L'India è da settant'anni la più grande democrazia del mondo, mentre il Pakistan e il Bangladesh sono stati governati da generali per quasi la metà delle loro storie indipendenti.
  • Le Filippine hanno ancora la forma di una democrazia, ma il presidente Rodrigo Duterte è un pagliaccio assassino.[10]

Internazionale.it, 22 maggio 2018

  • Dal punto di vista dell'Unione europea, la Brexit è un peccato, ma non un disastro. I britannici non hanno mai voluto adottare l'euro, e hanno sempre frenato la marcia dell'Europa verso "un'unione più stretta". Un'eventuale defezione dell'Italia, invece, potrebbe minacciare la sopravvivenza dell'Europa unita.
  • La vittoria risicata dei sostenitori della Brexit (52 per cento favorevoli, 48 per cento contrari) è stata determinata soprattutto dalla generazione degli inglesi nazionalisti (i cosiddetti little englanders) che però sta rapidamente scomparendo per motivi di età, mentre la maggioranza di chi ha meno di 35 anni ha votato per l'adesione.
  • La maggior parte degli italiani vuole restare nell'Unione europea, però il malcontento generale ha spinto tanti a votare per partiti che, tra le altre cose, sono euroscettici. Tra l'altro, alcuni stati dell'Unione, come la Polonia e l'Ungheria, che hanno passato oltre mezzo secolo sotto il giogo del comunismo e pochi anni in democrazia sono tornati al vecchio autoritarismo, e la malattia sembra diffondersi rapidamente.

Internazionale.it, 8 giugno 2018

  • Al di fuori del partito al governo nessuno sa molto di Abiy Ahmed, a parte quello che recita la biografia ufficiale di partito. Al momento però il nuovo primo ministro dell'Etiopia somiglia molto a un mago. Tre anni di proteste sempre più forti si sono concluse all'improvviso, lo stato di emergenza è stato revocato e con un solo annuncio a effetto ha messo fine a vent'anni di guerra calda e fredda con la vicina Eritrea.
  • Almeno ottantamila tra soldati e civili sono stati uccisi nella guerra con l'Eritrea (1998-2000) e diversi milioni di solati hanno sprecato anni delle loro vite sul confine nella successiva guerra fredda (che si è brevemente surriscaldata di nuovo nel 2016). Abiy Ahmed ha messo fine a tutto ciò con un semplice cenno della mano.
  • [...] era stata l'Eritrea a cominciare la guerra occupando Badme. È stata una vera e propria stupidaggine, tenuto conto del fatto che l'Etiopia è venti volte più popolosa dell'Eritrea, ma le stupidaggini capitano.
  • L'Etiopia è l'unico dei tre giganti economici dell'Africa subsahariana a non essere democratico. A differenza del Sudafrica e della Nigeria, ha un unico partito al potere che controlla qualsiasi cosa. L'Eprdf è una coalizione permanente di quattro partiti che, pur rappresentando i quattro principali gruppi etnici del paese (oromo, amhara, tigrino e somalo), compone un insieme fortemente disciplinato il cui stile di governo è quasi sovietico. Non è ostacolato da ossessioni specificamente comuniste o anche socialiste, ma le elezioni non sono più significative di quanto non lo fossero quelle sovietiche di un tempo.
  • Nel breve periodo la politica autoritaria può portare a risultati migliori rispetto alla democrazia. Gli ordini sono impartiti ed eseguiti e le cose vengono fatte. Nel lungo periodo però cresce l'opposizione e non esiste una valvola di sicurezza democratica che le consenta di sfogarsi. Quando alla fine gli argini si rompono, molto può andare perduto. Pensiamo al quarto di secolo di crescita che la Russia ha perso dopo il crollo dell'Unione Sovietica. L'Eprdf non durerà per sempre, perché nessun sistema di questo tipo dura per sempre, e quando sparirà potrebbe farlo con uno schianto fortissimo.

Internazionale.it, 22 novembre 2018

  • [Sul genocidio dei rohingya] Le Nazioni Unite hanno definito le azioni dell'esercito birmano "pulizia etnica", "crimini contro l'umanità" e "genocidio", ma l'esercito birmano nega qualsiasi illecito. Lo stesso vale per la loro alleata politica, la "consigliera speciale" Aung San Suu Kyi (vi ricordate di lei? Una volta era una santa laica).
  • I rohingya non torneranno indietro perché piuttosto comprensibilmente temono per le loro vite. Non è stato solo l'esercito ad accanirsi contro di loro prendendo parte al massacro, ma anche i loro vicini non musulmani. Se vi tornano alla mente le immagini dei massacri e delle espulsioni dei musulmani bosniaci da parte dei serbo-bosniaci negli anni novanta, non avete tutti i torti. Sta accadendo di nuovo, e di nuovo nessuno sta facendo niente di davvero efficace per fermarlo.
  • Perché proprio loro? Rappresentavano solo il 2 per cento della popolazione birmana, erano una minoranza persino nello stato del Rakhine (ex Arakan), dove vivevano quasi tutti senza arrecare alcun danno alla maggioranza. Però sono musulmani, e la maggioranza buddista in Birmania è paranoica riguardo i musulmani.
  • I conquistatori islamizzati dell'Asia centrale hanno contribuito a diffondere l'islam verso est fino al Bengala e alla fine i commercianti malesi lo hanno portato in tutto l'arcipelago indonesiano. Oggi i soli paesi a maggioranza buddista rimasti in Asia sono la Birmania, la Thailandia e lo Sri Lanka. Non c'è da stupirsi quindi se agli occhi dei buddisti birmani la loro fede è minacciata dalla presenza anche solo di un milione di musulmani, soprattutto se i demagogici monaci buddisti fanno carriera predicando la paura e l'odio.
  • [Su Aung San Suu Kyi] Sì, stava cercando di proteggere un'apertura democratica conquistata a caro prezzo che si potrebbe chiudere se lei criticasse esplicitamente l'esercito. Oltretutto il birmano medio approva con convinzione quello che ha fatto l'esercito (altre sfumature di Serbia). Ma lei sta tollerando e coprendo un genocidio. Dovrebbe vergognarsi.
  • Osservare un teppista della politica mentre il suo stesso petardo gli scoppia in mano è gratificante. Matteo Salvini, populista di estrema destra che sciogliendo la coalizione di governo pensava di poter forzare le elezioni anticipate e diventare l'uomo forte dell'Italia, ha fatto pubblicamente harakiri. E tutti, o quasi si sono goduti lo spettacolo.[11]

Internazionale.it, 24 giugno 2019

  • Il primo ministro etiope Abiy Ahmed è un uomo molto fortunato. Nell'ultimo anno è sopravvissuto a tre tentativi di ucciderlo o di deporlo.
  • Abiy Ahmed è la migliore possibilità per l'Etiopia di rompere il ciclo di tirannie che ha rovinato la sua storia moderna.
  • La giunta Derg ha assassinato l'imperatore e mezzo milione di altri etiopi – per lo più quelli più istruiti – durante il Terrore rosso, che quasi raggiunge il livello dei campi di sterminio dei Khmer rossi.
  • L'Etiopia è un paese molto complicato: ci sono quattro grandi gruppi etnici, che si sono combattuti l'un l'altro nel corso della lunga storia del paese, e una miriade di piccoli gruppi etnici. Il paese è anche diviso tra una maggioranza cristiana e un'importante minoranza musulmana.
    A peggiorare le cose c'è il fatto che uno dei più grandi gruppi etnici, quello dei tigrini, dominava i servizi militari e di intelligence – e quindi il regime nel suo insieme – senza lasciare alcun brandello di democrazia in nessuna parte del sistema.
  • Abiy è certamente un "figlio del partito", al quale si è unito a 15 anni, ma è un riformatore che può andare bene a tutti. Suo padre era musulmano, sua madre era cristiana. Essendo un oromo, appartiene ai più bassi gradini dell'ordine gerarchico etnico etiopico (nessun oromo ha mai ricoperto un incarico così elevato). Parla fluentemente afaan oromo, amarico, tigrino e inglese. Ed è un uomo molto moderno.
  • Ha fatto pace e riaperto il confine con l'Eritrea dopo vent'anni di guerra calda e fredda. Ha fatto piuttosto bene tutto ciò che gli veniva in mente, e lo ha fatto in poco più di un anno. Eppure la sua posizione è ancora molto precaria.

Internazionale.it, 9 luglio 2019

  • Un no deal rappresenterebbe una catastrofe economica. Il commercio con l'estero del Regno Unito è attualmente regolato da una miriade di accordi negoziati dall'Unione nel corso dei decenni a nome degli stati che ne fanno parte, dunque una volta abbandonato il club, il Regno Unito non avrebbe più alcun accordo commerciale, nemmeno con l'Europa.
  • Il partito è diventato un veicolo del più rabbioso nazionalismo inglese, per poi trasformarsi in un culto laico che considera la Brexit come una sorta di Santo Graal.
  • Secondo un recente sondaggio di YouGov il 63 per cento dei conservatori sarebbe disposto a perdere la Scozia pur di ottenere la Brexit. Il 59 per cento accetterebbe di separarsi anche dall'Irlanda del Nord. Più del 60 per cento è pronto a subire "danni pesanti all'economia britannica". Insomma Brexit dev'essere a ogni costo, più dura e dannosa possibile.
    Quindi sì, è innegabile che il Partito conservatore sia sostanzialmente impazzito.
  • Paragonata al parlamento britannico, la Casa Bianca di Donald Trump è un esempio di efficienza e lungimiranza.

Internazionale.it, 23 luglio 2019

  • Esiste una cosa chiamata stile nazionale, e i trucchetti di Trump fallirebbero nel Regno Unito in maniera tanto spettacolare quanto quelli di Johnson fallirebbero negli Stati Uniti. Ma a parte le questioni di stile, i due uomini sono quasi identici.
    Sono entrambi dei bugiardi inveterati e senza vergogna. Sono entrambi quello che le persone normali e gli esperti definiscono "sociopatici": uomini (perlopiù sono di sesso maschile) che accumulano mogli, fidanzate e figli nel corso della loro vita, ma non stringono mai veri legami affettivi con nessuno. E nessuno di loro ha un vero obiettivo politico.
  • La determinazione di Trump nell'eliminare ogni traccia dell'eredità di Obama (sanità pubblica, accordo con l'Iran, e così via) fa sì che abbia una sorta di programma politico, ma tutto in chiave negativa. Boris Johnson non ha neanche questo. Il suo unico ruolo nella politica britannica è salvare il Partito conservatore rendendo possibile la Brexit.
  • Certo, è pigro, inetto, follemente ambizioso, senza princìpi e propenso a fare grandi errori, ma è assolutamente necessario motivare le truppe ed è lui il più amato.
  • Se un governo perlopiù inglese porterà il Regno Unito fuori dell'Unione europea e nella miseria economica, allora gli scozzesi decideranno probabilmente di lasciare il regno e rimanere nell'Ue.
  • Quel che accadrà in Irlanda del Nord con un'uscita senza accordo dall'Ue e un "confine duro" tra il nord e la Repubblica irlandese è più difficile da prevedere. Potrebbe ricominciare l'epoca delle bombe e della violenza, oppure potrebbe esserci un referendum dall'esito incerto su un'Irlanda unita. Oppure, come è auspicabile, accadrà qualcosa di meno drammatico. Ma di sicuro le cose cambieranno.

Internazionale.it, 15 agosto 2019

  • Tutto questo porterà a una guerra. Di sicuro a un'altra guerra in Kashmir, dove decine di migliaia di persone sono state uccise durante l'ultima rivolta contro il governo indiano (1989- 2007). E forse a un'altra guerra tra l'India e il Pakistan. Ce ne sono già state tre, naturalmente, quindi forse non c'è niente di così grave, ma questa sarebbe la prima da quando entrambi i paesi si sono dotati di armi atomiche.
  • L'India avrebbe probabilmente dovuto stringere un accordo con il Pakistan per la divisione dello stato, cedendo il Kashmir (popolazione attuale: sette milioni, quasi tutti musulmani) al Pakistan e tenendosi il Jammu (popolazione attuale: cinque milioni, due terzi dei quali indù). Invece ha cercato di tenersi tutto, finendo per entrare in guerra con il paese vicino.
  • Ogni movimento nazionalista coltiva il vittimismo, e per i nazionalisti indù pieni di risentimento uno stato indiano a maggioranza musulmana dotato di diritti speciali è un insulto permanente. Abolire tali diritti era una delle principali promesse elettorali di Modi, e oggi la sta mantenendo. Cascasse il mondo.

Internazionale.it, 4 settembre 2019

  • È diventato chiaro che la Lega, di estrema destra, è stata completamente emarginata. Ai tempi in cui si chiamava Lega Nord era un partito apertamente razzista e voleva separarsi dall'Italia per allontanarsi dai presunti pigri e corrotti italiani del sud. "A sud di Roma c'è l'Africa", dice la parte più maligna degli italiani settentrionali.
  • Boris – "Al" per gli amici, i familiari e le molte amanti, ma è passato a Boris da giovane perché pensava che fosse più memorabile – non è un neofascista. Non è affatto ideologico, è solo un opportunista pronto a indossare qualunque identità lo porti dove vuole arrivare.
  • Il futuro politico di Boris non è chiaro. Attualmente è un contendente per il titolo di primo ministro meno longevo nella storia britannica, perché la sua sconfitta in parlamento e la defezione di così tanti parlamentari conservatori moderati significano che ci dovrà essere un'elezione – che Johnson potrebbe perdere.
  • I paesi dell'Asia orientale che hanno recentemente conosciuto virus simili, come la Sars, hanno immediatamente risposto con una strategia di tipo "test, tracciamento e isolamento", più un blocco immediato delle attività se il virus si era già diffuso nella popolazione. Altri paesi, con gli stessi alti livelli di ricchezza e istruzione, possedevano le stesse informazioni, ma hanno comunque atteso vari mesi prima di adottare misure d'emergenza che hanno stravolto la comoda routine delle loro esistenze. E così Stati Uniti, Regno Unito e Francia hanno tutte finito per avere tassi di mortalità per abitante oltre cinquanta volte più elevati di quelli di Cina, Corea e Giappone. Lo stesso vale per il riscaldamento globale, salvo che in questo caso siamo tutti statunitensi.[12]
  • "Smettetela di chiamarmi scarafaggio baffuto, sono ancora il presidente di questo paese", ha tuonato Aleksandr Lukašenko. Ma le sue parole non suonano particolarmente presidenziali. [...] I baffi del presidente sono un chiaro rimando al modello del dittatore dell'Europa dell'est degli anni trenta, e proprio come gli scarafaggi, anche Lukašenko non è facile da eliminare.[13]
  • Il presidente non può fare affidamento sul nazionalismo che sorregge Viktor Orbán in Ungheria. Prima del 1991, infatti, la Bielorussia non è mai stata indipendente. Per due secoli il paese ha fatto parte della confederazione polacco-lituana, prima di trascorrerne altrettanti all'interno dell'impero russo e poi sovietico. I bielorussi non odiano né temono i loro vicini.
    Lukašenko non può nemmeno sfruttare il fervore religioso che regala stabilmente la metà dei voti ai partiti ultracattolici in Polonia e a quelli islamici in Turchia. I bielororussi non sono particolarmente devoti. Il quaranta per cento della popolazione dichiara di non seguire alcuna religione.
    Inoltre il presidente non ha molti successi da vantare sul fronte economico: il prodotto interno lordo pro capite della Bielorussia è appena la metà di quello della Russia (con cui confina a est) e un terzo di quello della Polonia (con cui confina a ovest). Lukašenko ha definito una "psicosi" la pandemia di covid-19, ma oggi il paese registra il doppio dei casi rispetto alla Polonia, nonostante abbia un quarto degli abitanti.[13]
  • [Sul conflitto del Nagorno Karabakh] Nel Caucaso i paesi confinanti possono essere estremamente diversi: l'Azerbaigian è un paese musulmano sciita e parla quello che è in realtà un dialetto orientale del turco, mentre l'Armenia è cristiano-ortodossa e parla una lingua che non ha parenti noti nella famiglia indoeuropea. Ma i due paesi condividono una lunga storia d’oppressione. Entrambi avevano trascorso quasi un secolo sotto l'impero della Russia zarista, ritrovando brevemente l'indipendenza durante la rivoluzione, per poi passare altri settant’anni nell'Unione Sovietica. Quando entrambi hanno recuperato nuovamente l'indipendenza nel 1991, tuttavia, si sono dichiarati quasi immediatamente guerra. La colpa è di Iosif Stalin. [...] All'Azerbaigian Stalin attribuì la provincia del Nagorno-Karabakh (Karabakh “montuoso”), anche se la popolazione di quell'area era per quattro quinti armena. Quando l'Unione Sovietica cominciò a sgretolarsi, settant'anni dopo, le minoranze locali di entrambi i paesi cominciarono a fuggire verso le zone dove erano in maggioranza per mettersi al sicuro, anche prima che scoppiasse la guerra.
    La guerra vera e propria è andata avanti dal 1992 al 1994, ed è stata un conflitto brutale con pulizie etniche: seicentomila azeri e trecentomila armeni sono fuggiti dalle loro case. Sulla carta, l'Armenia avrebbe dovuto perdere, perché ha una popolazione di soli tre milioni di persone rispetto ai nove milioni di quella dell'Azerbaigian, ma in realtà ha vinto la maggior parte delle battaglie.[14]
  • Il fatto che gli statunitensi abbiano quasi rieletto Donald Trump dopo averne potuto osservare il comportamento ogni giorno (letteralmente) per quattro anni non lascia ben sperare sul buon senso dell’opinione pubblica. Se metà degli statunitensi non riesce a riconoscere un ciarlatano così sfacciato, forse queste persone non dovrebbero avere la possibilità di uscire di casa senza la supervisione di un adulto.[15]

Internazionale.it, 27 marzo 2020

  • Quando (per salvargli la vita) si chiudono in casa le persone, inevitabilmente si blocca anche gran parte dell'economia. E nella maggior parte dei paesi la serrata durerà sicuramente fino a maggio o giugno. La promessa di Donald Trump di riaprire l'economia statunitense tra due settimane è un'illusione.
  • La Svezia ha garantito di pagare ai lavoratori inattivi il 90 per cento del loro reddito finché l'emergenza sanitaria sarà finita. La Francia offre "sussidi parziali di disoccupazione" pari all'84 per cento del reddito dei lavoratori. Il Regno Unito garantisce l'80 per cento. In ognuno di questi casi i datori di lavoro (che a loro volta ricevono aiuti statali) devono mantenere i posti di lavoro e riprendere i loro dipendenti quando l'attività tornerà normale. [...] Il governo statunitense è meno generoso, naturalmente, e lo sarebbe anche con un'amministrazione democratica: l'ideologia del libero mercato è la vera religione nazionale. Trump parla di 1.200 dollari a persona (la stessa cifra data da Hong Kong ai suoi cittadini), ma solo per un mese o due.
  • Quando il virus sarà domato, torneremo all'economia del tutti contro tutti e del chi si ferma è perduto, che tutti conosciamo e amiamo. Davvero? Pensate che dopo sei mesi o un anno in queste condizioni torneremo docilmente alle vecchie regole economiche? Ne dubito fortemente.

Internazionale.it, 19 maggio 2020

  • La prima guerra mondiale ha accelerato l'emancipazione delle donne. La seconda ha portato alla creazione di uno stato sociale in tutti i paesi industrializzati. Quali grandi cambiamenti ci riserverà la crisi del coronavirus? La pandemia non ha ancora ucciso decine di milioni di persone, e probabilmente non lo farà mai. Nessun grande impero è caduto, e non c'è nessun cattivo a cui dare la colpa. Eppure i cambiamenti che ci aspettano saranno altrettanto grandi di quelli venuti dopo le due guerre mondiali. Uno di questi grandi cambiamenti sarà la velocità con cui si diffonderà l'automazione.
  • Gli attuali livelli di sostegno al reddito non sono mantenibili a lungo termine senza alzare significativamente le tasse. Inoltre servirebbe un'ampia condivisione dei posti di lavoro per evitare di creare una sottoclasse permanente di disoccupati, e per mantenere le persone connesse tra loro. Non ci sono formule magiche.
  • I servizi riprenderanno in maniera più o meno normale tra pochi mesi, o nel peggiore dei casi tra un anno, ma l'automazione sta ricevendo una grossa spinta e d'ora in poi sarà sempre con noi. Ma l'esperienza che stiamo vivendo in questo momento la rende molto meno spaventosa.
  • Il rifiuto di Trump di adottare misure contro la pandemia, come il confinamento, è stato motivato più da preoccupazioni elettorali che ideologiche: se l’economia si fosse fermata, lui avrebbe rischiato di perdere le elezioni. Ma naturalmente anche una serie di decessi di massa finisce per bloccare l’economia. Per Trump l’anno è terminato con un’economia in rovina, quattrocentomila vittime a causa del covid-19 e una sconfitta elettorale.[16]
  • Trump è ormai discreditato anche da un modesto ma significativo gruppo della sua base, e un numero crescente di funzionari repubblicani si sta ribellando all’asservimento del partito a questo tiranno. Gli anni del mandato presidenziale di Biden saranno ravvivati da una dura guerra civile repubblicana, che probabilmente finirà con una frattura permanente nella destra statunitense.
    Il che darà al fortunato Biden il tempo di fare qualcosa di utile.[16]

Internazionale.it, 13 aprile 2021

  • Dura da 23 anni la pace in Irlanda del Nord, raggiunta dopo una guerra civile lunga trent’anni e nella quale sono morte 3.700 persone: ma niente dura per sempre. Dal 2 aprile per le strade di Belfast folle violente di giovani si attaccano a vicenda, protestanti contro cattolici. Ed è tutta colpa di Boris Johnson. Il primo ministro britannico all’epoca non ne aveva parlato, ma la sua campagna per liberare il Regno Unito dalle grinfie dell’Unione europea (la Brexit) è stata solo la prima fase del suo piano. La fase due è liberare l’Inghilterra dalle grinfie del Regno Unito.
  • Molti scozzesi sono profondamente risentiti per essere stati trascinati fuori dall’Ue dagli inglesi, ma molti sarebbero anche scontenti di trovarsi una frontiera con l’Inghilterra. Qualunque cosa accada, sarebbe tuttavia un processo del tutto pacifico.
    Non così per l’Irlanda del Nord.
    La "Norn Iron", come la chiamano lì, è stata creata esattamente un secolo fa su richiesta della maggioranza protestante locale, mentre il resto dell’isola ottenne la sua indipendenza come Repubblica d’Irlanda (principalmente cattolica). Da allora l’Irlanda del Nord è stata una nota dolente, con la sua minoranza cattolica che ha sempre aspirato a riunirsi con la repubblica.
  • L’ultimo round dei troubles (le violenze cominciate alla fine degli anni sessanta) si è concluso il 10 aprile 1998 con l’accordo di pace del venerdì santo. Sfortunatamente, la Brexit e Johnson lo hanno reso vano.
  • Prima che tutto sia finito molte persone potrebbero morire, ma la scivolata probabilmente ora è inarrestabile. E Johnson non si getterà certamente in un fosso per fermarla.
    Resta solo il Galles. È difficile immaginare che si dilegui 750 anni dopo che gli inglesi l’hanno conquistato, ma Boris Johnson è un solvente universale.

Sulla pandemia di COVID-19 nel Regno Unito, Internazionale.it, 22 luglio 2021

  • "Lasciate che i cadaveri si accatastino a migliaia", aveva detto sbottando Boris Johnson nel suo ufficio privato, ma la porta era aperta e molti testimoni l’hanno sentito.
  • I cadaveri si sono accatastati fino a raggiungere altezze notevoli: a decine di migliaia, per essere precisi. Nel cinque mesi tra il novembre 2020 e il marzo 2021, il covid-19 ha ucciso 86.049 cittadini britannici, la maggior parte dei quali sarebbe probabilmente ancora viva se il governo di Johnson avesse adottato un approccio più corrente sui lockdown.
  • Sarebbe davvero interessante sapere quanti altri decessi sono necessari per ottenere l'"immunità di gregge" in una popolazione che è già stata pesantemente vaccinata. Ed ecco che arriva un tizio che è pronto a prendersi il rischio con la sua stessa popolazione. Osserviamo attentamente e prendiamo appunti.
  • [Su Boris Johnson] È disposto a usare i cittadini britannici come cavia da laboratorio. È plausibile immaginare che simili pensieri abbiano attraversato la mente dei leader francese, statunitense o coreano, ma è piuttosto improbabile che lo stesso sia accaduto a quella di Johnson. Non è un uomo attento ai dettagli, ed è più probabile che si sia semplicemente ritrovato in questa posizione a forza di disattenzione e pie illusioni.
  • Nessun vaccino garantisce una totale immunità, e se le infezioni quotidiane raggiungessero o superassero le centomila, anche un tasso di ricovero ospedaliero di uno su mille può significare cento ricoveri al giorno. Johnson sta scommettendo con le vite delle persone, anche se non è chiaro se è davvero conscio di questo rischio.

Sulla guerra del Tigrè, Internazionale.it, 7 settembre 2021

  • I combattimenti sono stati violenti perché l’esercito etiope è più numeroso, mentre quello tigrino è più professionale e determinato. Non solo ha preso il controllo di quasi tutto il Tigrai, a parte l’estremità occidentale, ma anche di un terzo della confinante regione dell’Amhara, storicamente il cuore dell’impero etiope.
  • Può sembrare strano che le forze di una regione di sette milioni di abitanti abbiano sconfitto l’esercito di uno stato federale con 110 milioni di cittadini. Ma bisogna ricordare che l’Etiopia è un mosaico di gruppi etnici, lingue e religioni, che nel passato è stato tenuto insieme da una monarchia accentratrice o da una dittatura sostenuta da una spietata forza militare. Fino a pochi anni fa era il Tigrai a fornire quella forza.
  • Va ricordato che truppe ben addestrate ed esperte come quelle tigrine di solito sconfiggono volontari inesperti e addestrati in fretta e furia, non importa quanto numerosi. Perciò se Abiy non vince, cosa accadrà?
  • Se Abiy stringe in tempi brevi un accordo con i tigrini per mettere fine al blocco e riconoscere la loro indipendenza e i loro confini, alla fine potrebbe avere ancora abbastanza truppe e credibilità per affrontare gli oromo e altri gruppi etnici ribelli, che si faranno presto sentire. In caso contrario, l’Etiopia probabilmente si spaccherà e assisteremo a quello che è accaduto in Jugoslavia.

Sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, Internazionale.it, 18 maggio 2022

  • Un vicino che prima consideravano pericoloso ma razionale si è improvvisamente rivelato uno scommettitore aggressivo e probabilmente irrazionale. Nessun capo di stato russo completamente sano di mente e competente avrebbe attaccato l’Ucraina con le truppe inadeguate e la strategia arrogante e pressappochista impiegata da Putin.
  • Si poteva pensare che l’incapacità dimostrata da Putin fosse rassicurante per svedesi e finlandesi, ma così non è stato. Al contrario li spaventa, perché sotto il profilo militare si trovano in una situazione molto simile a quella dell’Ucraina: paesi relativamente piccoli (la Svezia ha dieci milioni di abitanti, la Finlandia cinque) con ottime forze militari.
  • L’unica risposta efficace a una minaccia di questo tipo è una promessa credibile di ritorsione nucleare. La Svezia e la Finlandia non hanno armi nucleari e l’unico modo per disporre di un deterrente nucleare che garantisca la loro sicurezza è entrare nella Nato. Ed è quello che stanno facendo.

Sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, Theportugalnews.com, 20 maggio 2022

  • La Russia non è uno Stato fascista, ma solo una cleptocrazia in cui i ladri e i delinquenti hanno preso il potere, ma il comportamento personale di Putin comincia ad assomigliare a quello di Hitler nel suo bunker negli ultimi giorni, e anche Hitler era molto malato.
  • [Sulla dissoluzione dell'Unione Sovietica] Il crollo del 1991 è stato in realtà l'ultima fase del processo di decolonizzazione che ha posto fine a tutti gli imperi europei nella seconda metà del XX secolo.
  • Non possiamo ancora sapere come sarebbe una Russia veramente post-comunista. Anche se sono passati 31 anni dal crollo dell'Unione Sovietica, quasi tutte le persone che occupano posizioni politiche di rilievo hanno iniziato la loro carriera nel Partito Comunista. L'ideologia è stata abbandonata, ma lo stile amministrativo e le lotte tra fazioni rimangono.
  • La posizione predefinita è quella di dire che i russi sono in qualche modo fondamentalmente diversi dagli altri slavi. Dopo tutto, i polacchi e i cechi hanno ottenuto una vera democrazia e un'autentica prosperità dopo il 1991, mentre i russi hanno avuto Putin, le guerre di confine e (per la maggior parte della gente) un'ordinaria povertà.
  • [...] tutti gli ex "Paesi satelliti" dell'Europa orientale si sono immediatamente liberati dei loro collaboratori comunisti locali e hanno avuto una serie di politici completamente nuovi, mentre la Russia è rimasta sostanzialmente bloccata con i vecchi comunisti che indossavano nuovi cappelli.

Sulla guerra del Tigrè, Internazionale.it, 25 ottobre 2022

  • I tigrini potrebbero essere definiti gli "spartani" etiopi: contadini tenaci, abituati ai sacrifici, forti di una disciplina e di un senso d’appartenenza etnica che li hanno resi dei temibili avversari. Furono in prima fila nella lunga battaglia per rovesciare il Derg, il violento regime socialista che governò il paese tra il 1974 e il 1991, e in seguito hanno dominato la coalizione che ha guidato l’Etiopia fino al 2018.
  • Non c’è nulla di particolarmente "africano" in questo conflitto. Ci sono paralleli con la storia del Giappone del cinquecento (il periodo degli stati belligeranti), della Francia del seicento (otto guerre civili a sfondo religioso) e degli Stati Uniti dell’ottocento (la guerra civile, la "conquista" del west, e le guerre espansionistiche con Regno Unito, Messico e Spagna). Sono guerre che fanno parte del processo di formazione di uno stato, nel quale vari gruppi religiosi, etnici e linguistici, clan e tribù sono gradualmente spinti a ottenere qualcosa di simile a un’identità comune. È un processo spesso violento, mai completamente terminato, e in molti casi ancora in corso.
  • C’è una particolarità che contraddistingue le guerre africane: la scarsa attenzione che ricevono. La guerra in Etiopia è molto più sanguinosa di quella in Ucraina eppure è praticamente ignorata dai mezzi d’informazione occidentali e asiatici.

Su Javier Milei, Theportugalnews.com, 15 novembre 2023

  • L'Argentina è realmente democratica da quando il regime militare omicida è crollato dopo aver iniziato e perso la guerra delle Falkland quarant'anni fa. Ci sono stati intervalli di governo democratico anche prima nella sua storia. Eppure il Paese ha una capacità quasi unica di fare la peggiore scelta possibile alle elezioni.
  • [Javier Milei] è un prodotto dello stesso bioreattore che ha incubato Donald Trump, Jair Bolsonaro e altri luminari assortiti dell'hard right populista.
  • Il [...] movimento peronista combinava il socialismo vecchio stile con l'ultranazionalismo in una forma che non ha mai funzionato dal punto di vista economico, ma che è ancora lo stile "peronista" cinquant'anni dopo la sua morte.
  • Perón ammirava anche Hitler, ma di questo non si parla più.
  • [Su Javier Milei] Come Trump, è entrato in politica grazie all'esibizione in televisione (allenatore di sesso tantrico, non finto uomo d'affari). Milei è a favore delle armi, contro l'aborto, ha una pettinatura fantastica e dice che il cambiamento climatico è "una bugia socialista".
  • [...] Milei va ben oltre Trump. Definisce Papa Francesco uno "stronzo comunista" e "il rappresentante del Maligno sulla Terra".
    Promette di far saltare in aria la banca centrale, di sostituire il peso con il dollaro USA, di chiudere i servizi sanitari pubblici gratuiti e di abolire le scuole pubbliche gratuite. A volte agita una motosega mentre parla.
  • [...] dopo un paio d'anni, come tutti gli aspiranti salvatori nazionali prima di lui, si schianterà e brucerà, portando con sé un'altra fetta dell'economia del Paese e del suo amor proprio. Il circolo vizioso in cui si trova l'Argentina dovrà essere spezzato un giorno, ma non sarà così questa volta.

Sulla morte di Aleksej Naval'nyj, Theportugalnews.com, 19 febbraio 2024

  • [...] non c'è motivo di dubitare che sia stato ucciso su ordine di Putin. In Russia non succede nulla di così importante senza l'ordine di Putin.
  • Non importa se Navalny sia morto per avvelenamento, per i postumi di un pestaggio o per malnutrizione ed esposizione. Se Putin non lo avesse voluto morto, sarebbe ancora vivo. QED [Quod erat demonstrandum, come volevasi dimostrare].
  • Gli uomini forti odiano essere presi in giro e la specialità di Navalny erano i video sarcastici che ritraevano il Grande Leader e i suoi compari come dei nullatenenti corrotti e incompetenti che erano incappati in un grande potere quasi per caso, ma erano determinati a mantenerlo.
  • Ci sarà un'altra occasione per la Russia prima o poi, e un'altra ancora se la sbaglieranno di nuovo. E un giorno ci saranno statue di Alexei Navalny a Mosca.
  1. Da La democrazia illiberale di Viktor Orbán, Internazionale.it, traduzione di Andrea Sparacino, 24 febbraio 2015.
  2. Da Il prezzo della vittoria di Netanyahu, Internazionale.it, traduzione di Andrea Sparacino, 19 marzo 2015.
  3. Da Le conseguenze indesiderate dei bombardamenti sullo Yemen, Internazionale.it, traduzione di Andrea Sparacino, 27 marzo 2015.
  4. Da La parola che i serbi non vogliono sentire, Internazionale.it, traduzione di Federico Ferrone, 15 luglio 2015.
  5. Da La crisi dei profughi è solo all'inizio, Internazionale.it, traduzione di Federico Ferrone, 4 settembre 2015.
  6. Da Il futuro della Siria secondo la Russia, Internazionale.it, traduzione di Federico Ferrone, 28 ottobre 2015.
  7. Da In Siria un cessate il fuoco è meglio di niente, Internazionale.it, traduzione di Federico Ferrone, 18 dicembre 2015.
  8. Da La rovina dell'Iraq si poteva evitare, Internazionale.it, traduzione di Federico Ferrone, 8 luglio 2016.
  9. Da Mugabe non può rappresentare la buona volontà dell'Oms, Internazionale.it, traduzione di Giusy Muzzopappa, 25 ottobre 2017.
  10. Da La primavera asiatica è rimasta incompiuta, Internazionale.it; traduzione di Andrea Sparacino, 3 agosto 2018.
  11. Da Lo spettacolo di Salvini, Internazionale.it, 3 settembre 2019
  12. Da La lezione del coronavirus sulla crisi climatica, Internazionale.it, 29 maggio 2020.
  13. a b Da La Bielorussia va al voto in un clima di repressione, Internazionale.it, 7 agosto 2020.
  14. Da Cosa c'è dietro gli scontri nel Nagorno-Karabakh, Internazionale.it, 29 settembre 2020.
  15. Da Ci si può fidare di questi Stati Uniti?, Internazionale.it, 5 novembre 2020.
  16. a b Da Joe Biden è un presidente fortunato|2=Internazionale.it, 22 gennaio 2021.

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