Vladimiro Caminiti

giornalista, scrittore e poeta italiano

Vladimiro Caminiti (1932 – 1993), giornalista, scrittore e poeta italiano.

Citazioni di Vladimiro Caminiti

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  • [Su Virginio Rosetta] È stato il primo grande stratega difensivo della storia del nostro calcio, suoi palloni, lunghi o brevi, erano messaggi. Il suo grandissimo senso della posizione, il suo elucubrato pragmatismo, la sua tecnica nel difendere l'1-0 evitando inutili sforzi. Il ragioniere insegnava calcio, ed anche comportamenti di vita, a tavola era facile vederlo evitare il bicchiere di vino.[1]
  • [Su Giancarlo Antognoni] L'uomo che gioca guardando le stelle.[2]
  • [Dopo la morte di Gaetano Scirea] Morire giovani capita ai profeti, ai poeti, ai predestinati, ai santi. Ma è una menzogna, morire giovani è solo una porcheria.[3]
  • [Su Giuseppe Furino] Nella sua storia leggendaria la Juve ha avuto eccelsi gregari. Ma nessuno all'altezza di questo nano portentoso, incontrista e cursore, immenso agonista, indomabile nella fatica, i piedi come uncini dolorosi in certe circostanze.[4]
  • [Su Pietro Anastasi] Paragonato ai centravanti tradizionali, è un misto di Gabetto e Lorenzi, ha più estro che tecnica, più possesso fisico dell'azione che senso tattico; caccia il goal come uno stallone la femmina.[5]
  • [Su Renato Cesarini] Parlava con una voce arrochita e addolcita dalle stravaganze. Era tutto meno quello che avrebbe voluto essere. Aveva un cuore grande come una chiesa ma era crudele come un serpente. Sapeva piangere e ridere. Era angelo e diavolo, un clown del pallone, un ciuffo di capelli e un collo, occhi smagati sul precipizio. Era matto davvero e pure savio specialmente bevuto. La sua casa era di tutti e strimpellava dolcemente alla chitarra. Inventò un sacco di cose già inventate, meno una proprio tutta sua: il goal all'ultimissimo. Giocava quando ne aveva voglia e quando non ne poteva più dormiva. Perché dormire se c'è tanto da prendere? E prendeva prendeva. La primavera del 1969 gli fu fatale...[6]
  • [Su Virginio Rosetta] Prima di lui il pallone era inteso solo per assestargli solenni calcioni [...][1]
  • [Su Antonio Cabrini] [Un] Rodolfo Valentino del calcio senza le falsità e le angosce del divo per forza.[7]

Citato in Stefano Bedeschi, tuttojuve.com, 15 maggio 2023.

[Su Čestmír Vycpálek]

  • In pochi mesi di Palermo, Čestmír di Praga diventò Cesto, si fece largo da stretto e giocava con paciosa serenità, esprimendo grazia tecnica e rotondità di anca. Prima di lui al Palermo le mezzeali arronzavano, non avevano dimestichezza con la classe, non avevano garbo, non avevano cultura. Facevano tutto presto e male. Cesto sapeva fare bene e con comodo, per il godimento della plebe, tutti dovendosi beare del suo gioco danzato, stile Slavia di Praga. Da Praga, appunto, arrivava, anzi da Torino, dopo un campionato alla Juventus [...]; da Praga via Dachau, otto mesi di campo di concentramento ansimando in attesa della fine, negli occhi la fame trista di quando si è persa la dignità per le malvagità del prossimo.
  • 1971. La malattia di Picchi ispirò Boniperti di fare uscire dall'ombra il pacioso boemo latte e miele. Era duro anzicchenò per Cesto, alla guida della Juventus, sedersi sulla panchina più illustre d'Italia, con Boniperti alle spalle che tanto si prendeva tutta la gloria facendo tutto lui, con una squadra piena di malandrini, Haller, Causio, Anastasi, Marchetti, ma le esperienze della vita e degli uomini lo avevano cambiato, morì Picchi ma la squadra nomata Juventus aveva l'ideale continuatore, né trascinatore né condottiero, uno stratega sorridente che manovrava le carte in ritiro a Villar Perosa da mafioso siculo, che sapeva usare paroline graziosissime per scuotere o pungolare, grasso roseo ballonzolante davanti alla truppa negli allenamenti condotti con altissimo senso della misura. I ragazzi si divertivano, lo presero in simpatia, Boniperti lo confermò alla guida tecnica della squadra e ne fu compensato: quest'uomo che non rifiutava mai un'intervista e non faceva dramma di niente, era Campione d'Italia con la squadra.
  • La modernità di Vycpálek, apparentemente re travicello, è nella sua cultura tecnica e umana, il suo alato ottimismo, la sua dolcezza dialettica, una squadra di professional negli anni Settanta non potendosi guidare soltanto coi giri di campo. A parte che Cesto anche i giri di campo sapeva dosare con acume. Un allenatore vero.

Guerin Sportivo

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  Citazioni in ordine temporale.

  • [Sul Grande Torino, nel 1989] Mi chiedo se prima dell'undici granata di Erbstein e Copernico, amato da Vittorio Pozzo [...] vi fosse mai stata in Italia una squadra così completa e rispondo che sicuramente l'Ambrosiana di Peppino Meazza, la Juventus di Viri Rosetta e Felice Placido Borel, il Bologna di Andreolo, Sansone e Schiavio, squadroni autentici furono, ma non come il Toro, una squadra impetuosamente italiana, alpina eppur sferzata dai venti marini per vincere le tempeste attorno al suo drammatico piccolo riccioluto gigante, quel Valentino Mazzola che un pure grande calciatore come Boniperti, nello scrigno dei ricordi più gelosi, considera a tutt'oggi il più incredibile fuoriclasse mai esistito.[8]
  • Boniek non è un centravanti secondo i moduli tradizionali e non è un cervello, un regista, piuttosto è un giocatore con la musica del calcio altolocato nelle vene, la zona e il gioco senza palla, la verticalizzazione costante, lo spunto mai fine a se stesso, lo sprint reiterato, travolgente, di gambe e di polmoni, sull'out o al centro, mai un fronzolo fine a se stesso, un senso del gioco materiato di amore per il pallone, gioco di prima innervato nel gioco di squadra.[9]

La centesima di Zoff

Guerin Sportivo nº 24 (392), 17-23 giugno 1982.

  • Nulla meraviglia di Zoff e semmai meraviglia la sua sobrietà.
  • È vero che il tempo passa, ma Zoff ha l'aria di fregarsene. E passato bene, questo tempo. Ha arricchito il campione di esperienza, lo ha reso tetragono perfino alle invidie. Suo padre e sua madre, in quel paesino del Friuli, non hanno mai fatto il passo più lungo della gamba, semmai più corto, come mi diceva il figlio che per parte sua non ha mai fatto stravaganze, si è rispettato e basta. E lo ha fatto come pochi italiani lo sanno fare, se è vero, com'è vero, che oggi il profilo dell'italiano è la pancia.
  • [...] un cognome titanico come la sua classe, col senso della parata istintiva, senza fronzoli, non si capisce facile perché facile è la sua classe, perché semplice è il suo stile.
  • È la mancanza di retorica che rende difficile capire lo stile di Dino, amarlo.
  • Zoff ha materiato il ruolo di portiere di un'essenzialità poco italiana, molto furlana forse, ma molto poco italiana lo stesso. Ma non è cambiato niente, perché Enzo Bearzot, furlan come lui, ad un cronista tedesco, per fissare in una frase chi è Zoff quarantenne, col massimo impegno cerebrale che gli consentono questi giorni tormentati, dice: "Zoff è un uomo di quarant'anni ma è un giocatore di ventanni", forse un po' retorico ma dà il senso.

Nettuno è come lui

Guerin Sportivo nº 25 (393), 23-29 giugno 1982.

  • Bruno Conti è l'ala che irride. Irride ai giganti bruti, irride alla stessa forza. Quante volte Liedholm mi ha detto che, se avesse anche forza, vincerebbe ogni partita da solo? E quante volte mi è sembrato moltiplicarsi in campo, essere qui e contemporaneamente altrove? Bruno Conti è un nanetto. Ma ci sono nanetti e nanetti, in fondo le fiabe dei grandi favolieri sono piene di tipi come lui. Tipi usciti dal popolo, da una casa piena di fame, da una vita presa con allegria, con testarda passione, con gioco e con il gioco del calcio con cui si sale in paradiso.
  • Bruno Conti, i capelli neri sulla fronte stretta, occhi neri furbi e piccini, naso e bocca vicinissimi, è il dribbling fatto uomo. È una carezza di velluto al pallone. È l'arte che non si sa da dove arriva, di giocare come un Mumo Orsi ieri, come un Bruno Conti oggi.
  • Era quello il calcio dell'individualista, completamente separato dalla realtà della squadra. Nel dopoguerra, si viveva il pathos del calcio ma, giocatori compresi, non se ne afferravano le autentiche esigenze. Non giocava quasi mai la squadra, ma i campioni singoli, vincevano la Juve di John Hansen e Boniperti, il Milan del Grenoli [contrazione di Gunnar Gren, Gunnar Nordahl e Nils Liedholm], voglio dire che la Juve vinceva quando i suoi fuoriclasse ne avevano voglia, e così il Milan. La nazionale andò a disputare il Mundial brasilero del '50 perdendovi la faccia. Polverizzati tutti gli ideali di Don Vittorio Pozzo, precipitati dall'alto dei palazzi nei giorni della così detta liberazione, assieme ai cimeli del fascismo.
  • Il calcio non può esimersi di essere sempre fatto atletico, ma non potrà mai somigliare al basket, e perciò è anche estro, invenzione, improvvisazione.
  • Bruno Conti non è un atleta, è un soldo di cacio. Ma fisicamente tosto e tatticamente geniale. Col suo sinistro può mettere in crisi anche i giganti. [...] Bruno Conti, dalla fascia, sa fare il cross pennellato ma anche dal centro sa calibrare il passaggio giusto. Non ha ruolo, non ha posizione, a destra o a sinistra è egualmente un diavolo questo figlio di muratore che nella vis proletaria racconta il lunghissimo amore per rendere sapiente il suo sinistro. E, in fondo, con lui è il trionfo dell'intelligenza sulla forza bruta, meno letterariamente la conferma che al calcio si può aver fortuna solo se si sa giocare e, se non si sa giocare, non basta essere belli, forti e puri come Tarzan. Il calcio si esalta, oltre che coi piedi, a livello di carattere. Bruno Conti è un nano che in campo lotta come un gigante.

Supermarc

Guerin Sportivo nº 50 (417), 15-21 dicembre 1982, pp. 16-17.

[Su Marco Tardelli]

  • Il campo d'azione tipicamente italiano è refrattario alle svagatezze, anche alle dolcezze. Il tipico calciatore italiano moderno, anzi contemporaneo, che non si diverte, tutto nervi, tutto improvvisazione, e scampoli, [...] è [...] Tardelli. E, voglio dire, pratico all'ennesima potenza, elettrico sul piano dinamico, conseguenziale su quello tattico. Non c'era uno come Tardelli e l'Italia non poteva riprendere il suo discorso mondiale. Lo aveva interrotto a quella mezz'ala lussuosa e luminosa di Giuànin Ferrari, a giorni di contropiede luciferino, i giorni di Mumo Orsi, o sfolgorante per atletismo, i giorni di Piola e Colaussi. Ma il calcio nostro non aveva ancora per linee interne giocatori in grado di rinnovarsi nel gioco, duttili in tutte le zone del campo, come i Tardelli [...]
  • Questo pratese, ex camerierino, dal fisico smilzo, dalla guancia disossata, dagli occhi smidollati, che non dorme mai, che si rifiuta di parlare da robot, come insegna una certa regola di calcio altolocato da prima pagina, si è arricchito ma conserva una sua linea plebea, è il simbolo dei progressi anche anteriori del calcio italiano. E arrivo a dire, col suo fisico, disossato, egli è il simbolo della Juve bonipertiana per il gusto della lotta e l'asprezza del carattere. Quelli come Tardelli si fanno capire soltanto a chi sa misurare il campione ben oltre lo schermo fallace della partita.
  • Egli è il giocatore senza ruolo per antonomasia. Diventa quello che la partita suggerisce, s'ispira allo spartito. Se c'è il regista, lui non è regista, ma sa battere all'occorrenza nel modo del regista la palla più utile al compagno. Se c'è il terzino, egli non è terzino, ma sa chiudere e contrare da terzino. E così da mediano di spinta. Lui sa fare tutto nella zona di campo dove sta zompando. E zompa rapace alla sua maniera. Vedetelo quando immagazzina aria e parte bruciando avversari in slalom ubriacanti.
  • [Su Michel Platini] [...] se non ci fosse bisognerebbe inventarlo, la testimonianza che la classe a livello pedatorio non è più un fatto... terrestre, occorrono cultura e finezza, Platini sembra essere un acquatico, sembra possedere le ali, si libra sulle miserie quotidiane, il suo calcio rapsodico fa pensare a Hirzer oppure a Sivori, il gol di Platini è la quintessenza di una strabiliante capacità visionaria. Platini prevede le situazioni. È smarcato dove gli altri si affannano a correre. È libero come una rondinella dove gli altri sono gravati da some e faticano a sbrigliare la corsa. Platini ha portato [...] l'eccellenza del fatto virtuosistico ma forse ha ucciso il collettivo.[10]
  • Platini non è né regista né punta, è semplicemente Platini. Sa far bene tutto ma non chiedetegli di fare meglio una cosa.[10]
  • Dicono che ogni epoca ha i suoi assi. Un asso chiamato Sivori non è di un'epoca o di un'altra. Il tunnel che egli inventò sventrava le montagne dei cuori umani nel senso del divertimento massimo che trasmetteva con le sue imprese che volevano essere ridanciane ma forse erano disperate.[11]
  • [...] la figura di Tazio Nuvolari mi ha risvegliato in questi giorni memorie e ricordi di gioventù; l'epoca in cui ventenne frequentavo in piazza Ignazio Florio l'ufficio della Targa Florio e vedevo ogni mattina arrivare, vestito di bianco col baffo elettrico, quell'eccentrico delirante signore che creò l'omonima Targa e portò la civiltà nella desolata giogaia delle Madonie. Per me erano altri tempi. Mi accompagnavo a una ragazza dai capelli rossi nei miei viaggi a Cerda. Sognavo di andare in continente. Perché? L'emigrante nasce col destino di fuggire.[11]
  • [Su Dino Zoff] [...] nella leggenda è entrato con i fatti dei suoi primati: non mi ha mai divertito, ma mi ha sempre appassionato. [...] i primati di Zoff erano espressione del suo carattere, divenuto stile di uomo [...][12]

Il rosso volante

Guerin Sportivo nº 18 (436), 4-10 maggio 1983, pp. 38-41.

  • [...] i valori del calcio della Polonia per i primi cinque posti in una ideale classifica si scrivevano così: 1. Deyna, 2. Deyna, 3. Deyna, 4. Deyna, 5. Deyna.
  • [Su Zbigniew Boniek] [...] pur essendo un possente cavallone del gioco, è un talentuoso, abbina stile e forza, eleganza e potenza, ha tutte le qualità immaginabili per copioni in cui gli spazi vengano conquistati da geometrie elementari, perché in Polonia il singolo inteso come virtuoso non funziona, funziona il singolo che lega con gli altri, che quantifica e vivifica il collettivo.
  • Boniek si può definire il calciatore polacco più originale della storia, è l'anarchico per eccellenza, non ha un ruolo specifico e su di lui può cadere qualsiasi numero di maglia, dal 4 in poi, fungere da centravanti arretrato per trasformarsi poi in centravanti effettivo, folgorante e sfolgorante; fungere da regista classico, da punto di riferimento per i compagni con i suoi piazzamenti senza palla. Un ruolo preciso non gliel'ha ancora trovato nessuno [...]
  • In effetti Boniek non ha ruolo. È buono per tutto, anche per difendere, se appena volesse. Ma nella sua terra polacca ha acquisito di sé un'enorme consapevolezza e il suo modo di essere non è disgiunto da una discontinuità di concetto, di ispirazione. È, voglio dire, vocato al difficile più che al banale. Se avesse anche continuità sarebbe un mostro, io penso.
  • Boniek è il fantasista volante del calcio europeo. Il suo ruolo li contempla quasi tutti, la sua potenza atletica [...] fa in maniera che egli si sappia esaltare come punta pura, se si sente in vena, come superarsi da rifinitore se ne ha voglia. Sa far tutto coi polmoni che ha. [...] È un possente cursore di rabbia e di conquista, è l'ultimo campione chopiniano, cioè melodioso, di un paese dove la fame è realtà quotidiana.

Il tulipano rifiorito

Guerin Sportivo nº 19 (437), 11-17 maggio 1983, pp. 34-35.

  • La Napoli dei poveri e quella dei ricchi sono a contatto di gomito e si ignorano.
  • Ho sempre pensato che il calciatore del nostro campionato migliora, chiunque esso sia.
  • Krol ha riconquistato Napoli tornando a giocare nello spirito dei tempi ruggenti dell'Ajax. È l'ultimo «divino» del calcio mondiale. È l'ultimo difensore marziano. Per il fisico che gli ha dato madre natura [...] e per il concetto che ispira il suo gioco.
  • [Su Ruud Krol] [...] nato per giocare al calcio. In difesa, ma nel concerto e nel concerto totale. Oh già. Quel calcio fortissimo, mai rugginoso, travolgente al di là degli schemi, che modificò tutto il modo di scrivere calcio in Europa.

Cose d'America

Guerin Sportivo nº 34 (452), 24-30 agosto 1983, pp. 17-21.

  • Io ho detto [...] che non vedrò giammai più, finché campo, un altro come Omar Sivori l'inventore del tunnel e il campione che picchiava i terzini per non farsi picchiare lui, con gli stinchi nudi, feroce come un autentico capo Apache sul sentiero di guerra.
  • La Casa Bianca è bianca [...]. Nessuna sovrastruttura necrofora, un candore, una lietezza, un'allegria tutta americana perfino nei due poliziotti che controllavano i passaporti. Un terzo illustrava ai giornalisti in attesa il funzionamento della sua pistola a ripetizione.
  • L'America è sfrontatamente sportiva. Nel calcio è unica e romanzesca. Non ci ha ancora capito molto, ma corrono.
  • Penzo ha personalità. Sa giocare ma di più sa lottare. Tutto il pane duro che ha mangiato per arrivare [...] lo dimostra prendendo sul serio ogni impegno.
  • Tacconi si considera un portiere volante. Mi ha detto: «Io in porta mi diverto». Ha un temperamento guascone come i portieri romantici.
  • Non si è più visto un portiere come Moro. Miracolista del guizzo di reni, la sua presa volante era come un aggettivo di D'Annunzio. Era capace di tutto anche in senso negativo, più che ideali aveva bisogni di soddisfare. Il giocatore uscito dalla guerra viveva una temperie angosciosa per la smania di arricchirsi. Moro aveva fretta, forse presago. Non sempre volò a tempo. Diventò celebre anche per le papere, molte accuse piovvero su di lui. Ma non vedrò più un portiere così. Nella divisa indossata con l'eleganza di Combi, si trasformava in un trapezista che da lassù ci mandava i suoi voli gioiosi e disperati.[13]

Mai troppo Tardelli

Guerin Sportivo nº 15 (484), 11-17 aprile 1984, pp. 14-16.

  • Più volte ho pensato che Marco Tardelli incarni la figura e il destino del calciatore. Sorte e malasorte, felicità e infelicità, orgoglio e debolezze, uno dei pochi ideali rimasti a noi umani [...]. Ma io l'ho pensato e lo penso anche in conseguenza del tipo umano che Tardelli rappresenta: toscanino uscito praticamente dall'Hotel Duomo a Pisa, camerierino cioè a trentamila lire al mese che nel tempo libero correva e schizzava in campo così da farsi notare e stupire dapprima.
  • [...] ancora non era arrivato un calciatore come Tardelli, sì difensore, ma in grado, con una sparata di scatto, un allungo sull'out oppure centrale, insaccando ossigeno e sparendo ai mortali, schizzando insomma, di stravolgere gli schemi e di andare a vincere una partita.
  • [Su Giuseppe Furino] [...] il calciatore della Juventus meno bavoso, meno parlato, più schietto, più plebeo, più sacrificato. L'antidivo per eccellenza.
  • [Su Marco Tardelli] [...] nato da un ceppo povero non si è mai assunto atteggiamenti da caporione, ha vissuto la sua parte con orgoglio, ha testimoniato il suo talento più col sacrificio podistico che con la finezza. Anzi, la finezza non sa proprio cosa sia. Egli è un ragazzo toscano poco portato al compromesso e molto virile. Cioè silenzioso e astuto. Piace a Boniperti per queste sue qualità tutte juventine. È uno che si consuma in campo e che non dorme la notte prima di ogni partita.
  • [Su Adolfo Baloncieri] Balon o il pipistrello. Tipo di calciatore inedito per quei tempi! Una mezzala che copriva il campo e legnava audacissimi gol. Un oriundo con cristallini estri nelle sue giocate spazianti. La prima mezzala tutta fosforo. Il Tardelli Anni Venti aggiungo [...]
  • [...] mediano che sa essere mezzala, incontrista e scattista, un eclettico della fatica e del gioco. Ecco, non era pensabile fino a dieci anni fa che un giocatore uscisse dal ruolo quanto ci è riuscito Tardelli. [...] il [...] giocatore più intrepido nei fatti, la cerniera tattica, il paladino degli slanci più sanguigni, l'uragano di istinti e di volontà primordiali a legare i suoi compagni attorno al suo scatto inviperito, al suo piede aquilino.
  • Qual è il ruolo di Tardelli? La domanda è precisa. Non posso scivolare. Tardelli è un difensore di fascia o un mediano di spinta? Tardelli è un propulsore? Rispondo: Tardelli si attaglia al ruolo in cui gioca. Può essere un terzino definitivo o un mediano definitivo, una mezzala da gol o una mezzala da fatica. [...] Il punto è dunque di prendere Tardelli e staccarlo da ogni frase fatta. Egli è il calcio di oggi assolutamente nuovo [...] rispetto al calcio di ieri. [...] un calciatore che non si arrende mai, che scatta e non rifiata, che si dedica con passione alla causa comune, che corre per il compagno, che rischia per il compagno.
  • Parola era il centromediano della rovesciata più popolare della pizza napoletana, ad ogni modo un musicista del calcio difensivo.
  • Salvadore pur di non «aiutare» deliberatamente un compagno, di non rischiare lui la brutta figura, andava a marcare il palo sinistro della porta di Anzolin.
  • Questa è la Juve che raccontai per anni, squadra superiore a tutte nel momento in cui finivano le chiacchiere e cominciavano i fatti.
  • Tardelli non sa giocare che di corsa, accelera, inventa il guizzo, il raptus, il momento medianico.

Quattro di coppe

Guerin Sportivo nº 23 (492), 6-12 giugno 1984, pp. 7-11.

[Sulla finale della Coppa dei Campioni 1983-1984]

  • Il vezzo di recensire le grandi partite stando seduti davanti al video di casa [...] è ormai una regola, così qualcuno, di regola illustre [...], ha bollato come inerte e bloccata la Roma vista perdere ai calci di rigore, dopo 120 minuti, contro il Liverpool. Chi la partita ha invece vissuto in campo [...] sa come essa fu una cosa serissima, una impestata vicenda di calci, una rissa, in certi punti, sedata in tempo da un arbitro severo ed equanime, in cui fatalmente avrebbe prevalso – mettiamo in una ripetizione, come molti scienziati del senno di poi auspicano – sempre ed esclusivamente il Liverpool.
  • Il Liverpool improgionò la Roma di Liedholm [...] con il suo gioco piratesco, dove l'aggettivo è usato per esprimere l'humus di questi calciatori britannici come sputati da un libro di Stevenson.
  • Il manipolo del Liverpool gioca un calcio perfino originale come calcio inglese. Non è che abolisca il traversone, ma abolisce l'ottimismo. È un calcio eminentemente tattico. È un calcio malandrino. È un calcio che mette in conto tutto. Il Liverpool ha battuto ai punti la Roma, così come Grobbelaar ha battuto ai punti Tancredi; e Neal, Nappi; e via via, ruolo per ruolo. È vero che dopo centoventi minuti il risultato era di 1 a 1, ma non significa niente. la Roma aveva dato tutto, aveva dato il massimo. [...] gli inglesi sono andati in campo ed hanno attaccato [...] in modo furioso, i loro palleggi volteggianti e vorticosi hanno preso in mezzo Falcao e Cerezo; Cerezo si è spremuto e si è via via spento. Per me ha giocato malissimo [...]. Ma è solo uno dei motivi della sconfitta della Roma. Il secondo è Falcao. Paulo Roberto ha rivelato una certa idiosincrasia alle partite-clou. Quando l'aspetti non arriva mai.
  • La storia del calcio europeo è scritta a suon di gol, è risaputo, ma in Coppa dei campioni è scritta all'insegna del collettivo. È qui che la Roma è ancora indietro. Si sapeva a guardar bene, che in una finale con il Liverpool, sarebbe stata sfavorita. Perciò mi meraviglia cosa vadano a recriminare gli spiriti seduti della critica fatta guardando le vendite dei giornali. Il problema è più serio. Il nostro calcio rimane un calcio settoriale, a compartimenti stagni. [...] Il singolo fiorisce da noi più che la squadra. Così la Roma, trovatasi contro un vero collettivo, armato di tutta la giusta «rabies» plebea, forte di intese pluricollaudate, con marpioni al posto giusto, con piedi egregi nella rifinitura, questa squadra di pirati che si aiutano alla voce, che non mollano mai, che corrono e si coprono l'uno con l'altro, ha mostrato le magagne del meccanismo giallorosso. [...] I progressi della Roma sul piano collettivistico sono cospicui, ma non bastano contro squadre ortodossamente unite, orgogliosamente britanniche come il Liverpool.
  • Tancredi ha avuto parate pregevoli, è un portiere bravo e simpatico [...]. Ma il suo dirimpettaio Grobbelaar, senza essere simpatico per niente, anzi un po' sgherro, è un grande portiere. [...] Esiste un solo prototipo di portiere, per il ruolo com'è nato, come deve essere [...], il portiere «matto». Grobbelaar ha vinto la partita, lui. Ha aiutato la sua squadra a vincerla, sostituendosi al libero ed ai terzini esterni, con uscite di travolgente efficacia.

L'ammazzanove

Guerin Sportivo nº 23 (492), 6-12 giugno 1984, pp. 42-46.

  • Questi sono i difensori centrali, che un tempo furono centr'half, poi centromediani, quindi, con un ritorno alla natura del ruolo, stoppers. Lo stop, il tackle sull'attaccante gli competono insieme a poche altre cose: la statura, ad esempio, ed una certa durezza di modi più o meno camuffata che, dove efettivamente manchi, è un guaio, un guaio gosso.
  • Brio si sente molto operaio. [...] Ma mettilo poi contro Pruzzo, Pruzzo di Crocefieschi che gli soffia col baffo insulti anti sud; allora Pruzzo non tocca palla e deve rivolgersi a Casarin. No, Brio è eccentrico. È così serio, così umile, così vero, così intensamente pugliese, così riconoscente ai cronisti per bene, che quasi non penso di avere sbagliato mestiere come mi succede da un pezzo.
  • [Su Pietro Vierchowod] Buonissimo, anche in campo, la sua natura idilliaca lo porta a ragionar meno ed a fidarsi di più, così gli giocano qualche scherzo. [...] Pietro il Russo, Pietro il Gigante che mi ricorda Remondini o Tognon. Saprà diventare il centromediano dando ai suoi piedoni un po' di pulizia? Tutti ce lo auguriamo. Perché amare il calcio significa, per conto mio, considerare importanti quelli come Vierchowod.
  • [Su Fulvio Collovati] Fu il Paron a scoprirlo. Fu uno degli ultimi beniamini di Nereo. Per me, Collovati è ancora lo stopper più in gamba di tutti [...]. Io a Collovati non ho mai visto sbagliare una partita [...] in Nazionale. Collovati sa uscire dall'area come Dio comanda, sa giocare a tutto campo, è uno stopper eclettico, è quasi un centromediano, allora cosa gli manca? Forse un po' di vis autentica, cioè di rabies, di cattiveria.
  • [...] forse, uno come Ciccio Morini, così dedito e votato, così specializzato sull'osso e la rotula (scherzo perché non fece mai male a nessuno) non nascerà più.
  • [...] guardiamo a Manfredonia difensore centrale, un po' troppo appagato, cioè bisognoso di andare avanti soprattutto quando può impostare, ma anche come difensore con tutti gli attributi al posto giusto: potenza nel lungo e nel breve, tackle all'occorrenza ruvido, tempismo. In fondo la carriera gliel'ha fatta il destino. Tutti sanno fare i liberi in un certo modo, pochissimi sanno giocare in tre ruoli come Manfredonia: forte incontrista, forte centrocampista, buono anche sotto porta.
  • Mi pare che Luciano Favero, baffo sulfureo nato in laguna, sia ormai uno stopper assai affidabile. Pur non avendo un gran fisico, è massiccio, ha peso nel contrasto, perché ha fegato, un anticipo squillante, un temperamento irriducibile.
  • [Su Cesare Cattaneo] [...] un armadio, fatalmente lento, ma giocatore di preclara lealtà.
  • Il napoletano adottivo Moreno Ferrario, sa giostrare da libero oltre che da stopper, da segnarti il rigore decisivo oppure sa sbagliartelo, ha tutto per essere un grande, ma rimane un piccolo, mistero. Il giocatore rimpicciolisce d'improvviso all'altezza degli impegni che contano e non è per certo un galvanizzatore. Non riesce in campo come dovrebbe, viste le sue qualità e le sue risorse atletiche. Io dico: un piccolo mistero; volendo dire qualcosa che riguarda esclusivamente questo milanese lindo ma troppo ligio, sempre nel rigo, mai personale e possessivo, su cui tutto passa, anche l'amarezza, come l'acqua tra le mani. I giorni duri del Napule [...] si spiegano anche con tipi come Moreno Ferrario, infallibili ma non insuperabili, tetragoni ma non generosi almeno quanto dovrebbero esserlo [...]. Forse tirando un orecchio a Moreno io esagero. In fondo lui ha fatto sempre il suo dovere. Ma un pizzico più di calore... napoletano non vi pare, fratelli, che in campo deve andare a mostrarlo?

Cavalli da tiro

Guerin Sportivo nº 25 (494), 20-26 giugno 1984, pp. 30-32.

  • Bagni è come dev'essere. È un'ala che va a fare il mediano di spinta ed un mediano di spinta che va a fare l'ala, oscillando tra questo e quello non si sa ancora esattamente cosa sia, anche se con guizzi, scossoni, contrasti ruinosi, rincorse gagliarde, va a dare un contributo, seppur irrazionale, a tutti i reparti.
  • [Su Gabriele Oriali] Ci affascina la sua semplicità seriosa, la sua incantevole modestia, il suo essere uomo e padre anche nel modo di giocare, di correre, di lottare, voglio dire un atleta sano e puntiglioso. Oriali è l'emblema del calcio lombardo come dev'essere, quando da ragazzi si vive per il calcio, uscendo da un salone di barbiere ed andando a conquistare, col sudore e l'umiltà del facchinaggio, il successo.
  • [Su Renato Zaccarelli] Un rompitore elegante però incisivo, un trascinatore all'occorrenza.
  • [Su Massimo Bonini] Se bastasse correre, se li metterebbe tutti in tasca.

I Conti tornano

Guerin Sportivo nº 26 (495), 27 giugno – 3 luglio 1984, pp. 46-48.

  • Il passaggio dall'ala pura al cosiddetto tornante è stato violento e non si è ancora risolto. [...] si mente quando si dice e si scrive, che è peggio, essere il tornante un passo avanti rispetto all'ala pura. Noterete che i tornati di classe richiamano l'ala e fanno perfino tenerezza [...] quando vogliono essere essenziali ed eseguono sull'out la discesa che culminerà nel passaggio gol. Per me è legato al calcio il ruolo dell'ala; uno piccolo e frenetico faceva l'ala per vocazione e per bisogno [...]. L'ala cosidetta tornante, che poi non è un'ala, ma un cursore spesso cieco, è nata in mezzosistema [...], in un calcio ritagliato tra pelandroni grandiosi che bevevano e sgomitavano la domenica, inventando prodigiosi gol. [...] Quel calcio di ruoli distanti l'uno dall'altro, di giocatori chiusi nei ruoli e spesso negati perfino al reparto, è passato. Oggi l'eclettismo ragiona e sragiona [...], si può andare avanti nel ruolo di tornante, tornando appunto indietro, nei sentieri dei passi perduti. E significa che non c'è più bisogno di chi corra anche per chi non ha voglia; ma di chi sappia occupare tutto il terreno, sappia difendere cioè contrare e sappia impostare l'azione. Nonché segnare, la ciliegia sulla torta.
  • Prendi Bruno Conti tecnicamente il più grande e tatticamente il più astruso. Fa tutto meno che l'ala tradizionale da un po' [...]. Il fisico, la privacy, lo sfiancano. Ma ha sempre, nel mezzo di una partita moscia, l'attimo in cui arma il suo sinistro paganiniano azzeccando il tiro mostruoso.
  • [Su Pierino Fanna] Tecnicamente ha tutto, tatticamente sa tutto [...]
  • [...] il critico sportivo per me più che malizioso deve essere ingenuo [...]
  • Zibì Boniek furoreggia negli spazi e diviene un missile lanciato. Zibì Boniek scalcia stranito nelle mischie congenite ad un certo calcio nostro di mezzi che si fingono interi. Boniek può far tutto in campo, anche difendere; ma è vero che molte sue partite nascono e muoiono nello spazio di un palleggio; e che lo intisichisce sentirsi emarginato dal campo libero che egli vive dentro di sé, polacco a caccia di una libertà remota e impossibile. Questo baffo fulvo, questi chiari occhi cilestrini, questa natura portata ad una malinconia che non si compiace; un atleta ed un campione della forza con suggestiva visione del calcio. Unico, irripetibile. Tra i migliori del mondo.
  • [...] Sala smantellava le difese con il suo dribbling ed al momento del cross aveva steso ogni opposizione, Pulici e Graziani intervenivano a completare il capolavoro.
  • [Su Oscar Damiani] [...] il ragazzo ha un lampo di indiscreta furbizia nel suo modo di fare il calciatore; agguerrito nelle forme, smaliziato in tutto però non invadente; è il calciatore che sa trattare le pubbliche relazioni; che sa fare spogliatoio; che sa divertire.
  • [Su Massimo Mauro] Le qualità sono quasi sovrumane. Ha una base tecnica che irride quella di tanti caporioni. Ha tutto nei piedi. Il problema è se ha altrettanto in testa. Se è serio, se è quadrato, se non è meridionaluzzu con strani principi personali; se sa soffrire nel privato; e dunque rinunziare; se è uomo [...]

I fratelli separati

Guerin Sportivo nº 41 (510), 10-16 ottobre 1984, pp. 36-40.

  • Il Toro, dico, della primavera 1947, in una Torino asserragliata dai bisogni e di nuovo luminosa di serenate, i tramonti sul Po erano veri tramonti, le partite del Torino erano veri capolavori e come le suonava il Torino non le suonava nessuno. [...] Il Torino sbaragliò la concorrenza in quel torneo a 20, 104 gol fatti, 35 subiti, 63 punti. A dieci lunghezze l'odiata Juve. Che Torino era quello! Io me lo mangiavo a pranzo e cena, ricompariva finalmente la carne in mezzo al piatto, il pane era di nuovo bianco [...]
  • Non esiste uno stadio più bello di San Siro quando è bello, cioè apparecchiato coi suoi colori, cioè allegro e fragoroso da cima a fondo. Che piroscafo galleggiante, immenso e misterioso.
  • [Su Nereo Rocco] La sua bazza circonfusa da antico pelo, gli occhi cespugliosi ed un po' malandrini nonché cilestrini mi intrigano ancora. [...] Nereo era un tecnico naturale, istintivo, il suo calcio era lo stesso di Saba, masticato e bevuto in compagnia degli amici. I giocatori diventavano amici suoi nel momento stesso in cui decidevano la sua conferma e le sue vittorie. Fu il compagnone più entusiasmante, un uomo terribilmente solo senza il calcio, superfluo senza lo spogliatoio, povero senza le ciacole dette ai calciatori, spalancandosi l'eterno verde mistero della pedata davanti al suo cespuglioso malandrino cilestrino sguardo.
  • [La] Fiorentina di Julio Botelho detto Julinho, uno squadrone col felpato e imaginoso guizzo di quest'ala destra insuperata. [...] Giuliano Sarti è il portiere, metodico quasi magnetico, con spostamenti minimi para quasi tutto, Magnini e Cervato sono terzini, due catapulte, Cervato anche un artista sui tiri piazzati, Chiappella è un mastino laborioso e labbruto, Orzan si alterna a Francesco Rosetta come stopper quasi libero, poi ci sono Gratton che spoleggia accanito, Virgili che molla rabbiose, inimitabili e rozze stangate, Montuori che ricama e castiga, Prini che corre e difende. E andiamo a congratularci col Professor Pedata, al secolo Fulvio Bernardini. [...] Che bella straordinaria squadra, nella forza e nell'eleganza, quella!
  • In Italia, solo a ventisette anni, Carlo Parola uscì devastato dal confronto puramente atletico con il centrattacco del Milan, Gunnar Nordahl [...]. La forza fisica di Nordahl deflagrava in gol per i quali è arduo trovare aggettivi adeguati. Era novanta chili di muscoli, 1 e 80 di fisico ben modellato con 104 centimetri di torace. E aveva l'olimpismo degli assi nordici, affrontava lealmente ogni tipo di contrasto, e una volta ne uscì con un fianco sbrecciato da una scarpata di quell'uccellaccio di Nay. "Perché giocare così?", si lamentava grondando sangue dalla ferita. [...] Due volte nel Resto d'Europa contro l'Inghilterra, era lui l'asso più temuto del GreNoLi che illustrava il Milan a tutto campo, aveva una natura confidente, uno spirito fanciullo, orgoglioso.[14]
  • Parola andava a disegnare eterni capolavori. Il suo anticipo e il suo rilancio, i suoi inserimenti provvidi per il gioco corale, anticipavano il libero come sarebbe stato soltanto Scirea negli anni Settanta. Con qualcosa di meno. Nessuno come Parola sul piano dello stile e della classe conseguente.[15]

La frusta di Heriberto

Guerin Sportivo nº 2 (522), 9-15 gennaio 1985, pp. 28-31.

  • [Sul miracolo economico italiano] [...] quando l'Italia scoprì d'improvviso di essere ricca, fortunata e felice. E non era vero niente.
  • [Su Renato Dall'Ara] [...] presidente espanso, pieno di bonomia e di arguzia, il quale conosceva come pochi il suo mestiere. Mecenate sì ma fesso no. Ad ogni modo precursore. Cioè organizzatore e manager. Cioè competente.
  • [Su Aldo Olivieri] È il tormento fatto portiere.
  • Sono i giorni dell'italouruguaiano Petrone, compare imbrillantinato, dal dribbling ubriacante e il tiro sconvolgente. In 44 partite giocate tra i viola [...] segnerà 38 gol. Nessuno di testa, perché la testa gli serve per pensare. Il calcio lo risolve con i suoi due piedi, che calzano un paio di scarpe alle quali è affezionatissimo. Proprio prendendo lo spunto da una di queste scarpe che, perso un bullone, non gli era stato rimesso in tempo, Petrone che di nome fa Pedro, faccia larga, colorito olivastro, barzelletta pronta per gli amici, impudico compare, ne approfitterà per tornare ai patri lidi, insalutato ospite.
  • Campionato '73-74. Il mio amico Cestmir Vycpalek non ne azzeccherà una e perderà la panchina. La Lazio-Lazietta pistolettara intrepida di Giorgione Chinaglia, allenata con immensa passione da Zio Tom Maestrelli (distribuiva pure i biglietti ai giocatori, agli amici dei giocatori, agli amici degli amici dei giocatori), riuscirà a fregare la potentissima Juventus di Boniperti, per la soddisfazione immensa di papà Nerone-Lenzini e delle schiere di suoi amiconi in marcia verso il ristorante. Il calcio è come la vita. Chi si distrae è perduto.
  • [...] mai mi pentirò di una riga scritta pro Heriberto [Herrera]. Il paraguaiano, pur con le aberrazioni di una natura fanatica, creò una Juve-squadra seria, consapevole; abiurata la Juve dei rodomonte, i quali si allenavano quando volevano, con il vecchio Monzeglio dalle tasche piene di cioccolatini per i figli dei giocatori. La frusta adoperò Heriberto. La sua fu un'epoca di figli di papà delusi e mortificati; non riconoscevano la «vera» Juve in quella di cursori che si mordevano la coda nel così detto movimento. [...] La Juve prima di Heriberto era una manica di scapestrati. Costui li mise in riga e li allenò, li torchiò, li ammonì. [...] Era una squadra con meno estro dell'Inter, ma disciplinata, con vigore furente. La Juventus che vinse il tredicesimo scudetto, a mio modo di vedere, avviò anche la successiva Juve, quel repulisti generale che portò Boniperti a creare la «sua» Juventus, la prima della storia «collettivo in campo e fuori», tutti pedine, compreso l'allenatore [...]. Nei giorni di Heriberto, la società viveva staccata dalla squadra. Il presidente [...] era un bell'oratore. Quel campionato [1966-1967] fu un continuo arrovellarsi di Heriberto perché la squadra si esprimesse secondo i suoi schemi, che insegnava per ore ed ore, illudendosi che dei calciatori si potessero ricordare tutte quelle astruserie che lui verificava correndo attorno, il pallone abbrancato a quel rostro di petto infossato nella figura di spilungone dagli occhietti neri spiritati.
  • [Sulla Serie A 1966-1967] Ultima giornata di campionato, l'Inter ha quarantotto punti e gioca a Mantova. La Juve ha quarantasette punti ed ospita la Lazio. È la grandissima Inter pluriscudettata. Che debba perdere tutto da questo momento, 1 giugno 1967, nessuno lo può prevedere. [...] Il fatto è che l'Inter campione d'Italia non è ancora guarita psicologicamente dalla sconfitta di Lisbona in Coppa Campioni dove ha ceduto il trofeo continentale al Celtic, prima squadra britannica della storia. Così cade anche a Mantova, gialla foglia autunnale quel rinfacciarsi a vicenda colpe e difetti; quel non essersi ancora recuperati «dentro» all'umiltà che fa più grande il campione e la squadra sono fatali; l'umiltà invece è il carattere della squadra di Heriberto [Herrera]; agli uomini l'ha insegnata lui; non mollare mai. L'Inter è più forte ma nel calcio ci sta tutto. Basta volere, volere, volere, correre, correre. Ho amato la Juve di Heriberto, coi suoi giocatori non straordinari ma generosi, veri. [...] La Juventus batte la Lazio per 2 a 1 nella frenesia di momenti irripetibili. [...] All'Inter sarebbe bastato uno zero a zero miserello, ma un pallone qualsiasi scappò alla presa dei guantoni di Giuliano Sarti che l'anno successivo, pensata non certamente sublime [...], avrebbe giocato – male – nella Juve.
  • [Sulla Serie A 1984-1985] Oggi il Verona è squadra da scudetto per la sua organizzazione a livello di vera azienda, meriti congiunti di dirigenti (Mascetti), tecnici (Bagnoli) e giornalisti. Verona è nata per il calcio. Presto o tardi doveva sbocciare.

Roberto benigno

Guerin Sportivo nº 2 (522), 9-15 gennaio 1985, p. 32.

  • [Su Roberto Bettega] Il coacervo di emozioni di cui ha fatto dono alle folle col suo colpo di testa sonante come il battacchio di una giovane, lucente campana. [...] Il suo gol ruggiva e ruzzolava dall'alto, potente e sapiente.
  • Bodini tanto solo tanto vero. Un portiere non gigante, ma un portiere. La predisposizione al tuffo, al volo, all'uscita. Naturalezza, soprattutto eleganza. Cerco di far capire agli addetti ai lavori che il futuro del ruolo è del portiere non del corazziere. [...] Intanto seguiamo Bodini, erede di Pizzaballa [...]. Merita successo il calciatore e l'uomo.
  • Ammiro Andreotti, lo scrittore e lo statista. Lucidità, ironia, taglio della sua prosa mi sono cari. Quel suo saper scrivere tra le righe terribili verità. [...] Io che non faccio politica ho sempre saputo perché Andreotti dura e convince gli onesti.

Gran Mole di gioco

Guerin Sportivo nº 13 (533), 27 marzo – 2 aprile 1985, pp. 34-37.

  • Il giornalismo sportivo, io penso, deve molto a Ghirelli nel senso di una partecipazione emotiva e pur razionale che ne allargò i confini popolari [...]. Il giornalismo sportivo con Ghirelli fu cultura.
  • Ora mi chiedo quando è nata in Italia la passione vera, spesso accanita, per il calcio. E rispondo che è nata col Grande Torino.
  • Il calcio non è solo divismo, non è tifo alquanto cretino con richiesta di autografo, è resoconto della vita. Questo gioco è emblematico del resto. Uno stortignaccolo può vincere nel calcio come un Adone. Contano le qualità dello spirito, il nerbo, la tempra.
  • [Sul derby di Torino] Il derby era allora una cosa violenta. Parola odiava Mazzola. Si consideravano di due razze. [...] «Era come mettere contro undici cani ed undici gatti».
  • [Su Michel Platini] Il fuoriclasse freddo e sublime, che sa far tutto, che può dominare tutto, divertendosi nella sofferenza generale.
  • Gli schemi standardizzati non esistono nel calcio. Esiste un costume tecnico che via via si evolve.
  • Galassi di nome Alberto, perugino di Todi. [...] Un piè veloce. Io lo apparentavo ad Achille.
  • [Su Sven-Göran Eriksson] Non è il tecnico tradizionale. Non si atteggia, non gonfia il petto. Ha questo visino diremmo mite, non brillasse il suo occhio, a guardar bene, di una certa luce e non spuntasse sul suo labbro, quando meno te l'aspetti, un risino diabolico.[16]
  • [...] all'allenatore in Italia non basta allenare, deve essere un personaggio, deve allenare i giornalisti. Se non allena bene i giornalisti non gli basta allenare bene la sua squadra...[16]
  • Nel calcio succedono, a ben guardare, le stesse cose che accadono nella vita: alla lunga vince chi è più tenace, chi è serio, chi si applica; non vince l'estro sregolato [...]. Vince Arrigo Sacchi che sembra uscito da una pagina di Bellow, con questa sua paradossale, inverosimile pelatina da sacrestano invaso dalle folgorazioni mistiche.[17]
  • [...] Zoff è come uno di quegli alberi centenari sempre verdeggianti dalle profondissime radici e dalle tante anime. Definirlo l'uomo dei silenzi è ridicolo, perché quest'uomo è piuttosto difficile, rancoroso, scorbutico, cioè malcontento per natura, scettico su tutto, titubante, bisognoso di certezze assolute in ogni istante [...] giovanissimo e vecchissimo, arido e saturo di linfe segrete. Riuscì a fare il portiere di calcio nel Paese di tutti i voli, veri e fittizi, non volando quasi mai, e giocando non soltanto in porta, facendo avanzare il ruolo in tutti i sensi come coscienza e come scienza del calciatore. [...] Non è che non avesse difetti. Gli è sempre mancato, diciamocelo, quel pizzico di fantasia traducibile in colpo di reni che invece aveva un Albertosi; ma a parte questo, cosa gli mancava? Proprio nulla. In porta non andava soltanto un portiere, andava un grande uomo [...][18]

La lettera – rubrica

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  Citazioni in ordine temporale.

  • [...] il Ghirelli è stato il rigeneratore del giornalismo sportivo, propugnatore di un mestiere oggi scaduto a robetta da cicisbei, medriocri servitori dell'asso di turno, ripetitori di frasi fatte, incolti seminatori di zizzania, svirgolettatori avulsi della riga. Ghirelli creò il più bel Tuttosport, a misura di lettore per quei tempi [...], aprendolo alla vista del mondo, cioè alla cultura. Perché prima di Ghirelli, il giornalismo sportivo faceva i vocalizzi con la penna [...]. Ghirelli ha lasciato qualcosa di se stesso in tutti quelli che lo hanno capito. È stato un valido maestro [...], non soltanto un grande giornalista o uno scrittore dalla pagina attanagliante [...][19]
  • Ho sempre creduto, lo credo fortissimamente ancora oggi, che sia indispensabile la sincerità per un vero giornalista di sport. Lo sport è gioventù, lealtà, onestà [...]. Cosa impedisce a un cronista di scrivere pane al pane e vino al vino; di dire [...] sempre tutto quello che pensa? Glielo impediscono i vizi degli uomini, le mode, la corruzione dilagante, per cui il giornalista è quel desso che chiede permesso, si avvoltola nei dubbi, ciò che è nero diventa grigio, ciò che è rosso sfuma in un colore neutro, il cinque diventa sei, nessuno è colpevole, sono tutti innocenti. Invece siamo tutti colpevoli.[20]
  • Per me la furbizia personificata è di chi riesca a fare il calciatore a grossi livelli; Boniperti non è più furbo di tanti che ho conosciuto quanto più accreditato da un'intera vita di calciatore appplicato a non seguire quasi mai l'istinto, anche in campo, a giocare con un certo geniaccio, arrivando ad essere un eclettico pur faticando la metà [...][21]
  • Arrigo Sacchi dice che il gioco paga, sarà vero, ma in Italia paga il contropiede, l'arlecchinata nazionale del calcio sparagnino; paga, e fa crescere, la comparsata televisiva che può tramutare in poche settimane chiunque di noi in un genio nazionale, purché si sappia gestire, e gestisca l'argomento con parola elegantuccia e ornata. Negli ultimi anni, il calcio è mutato e sono arrivati gli sponsor a cavallo dell'asso di turno, il personaggio ha soppiantato il campione: e i titoli impazzato sui quotidiani sportivi, i direttori sguinzagliano i loro cronisti a caccia delle ultimissime [...]: dove mangi, dove acquisti i vestiti, che dentifricio usi [...]. Il personaggio alimenta i gusti e la moda. Non riusciamo più a farne a meno. Il campione è declinato, sorpassato, angustiato, rimminchionito. [...] Oggi contano gli sponsor e i procuratori, ma io insisto e dico che conta solo la classe.[22]
  • [...] Napule non è più la stessa quando piove; la provvisorietà bellissima dei suoi palazzi ottocenteschi merlati, delle sue sponde rivolte al mare infinito, si moltiplica. Tutto sembra galleggiare dentro penombre diavolesche e alle quattro del pomeriggio spunta l'atmosfera di certi racconti di Edgar Allan Poe.[23]
  • Boniperti è come Richelieu, non hai mai finito di conoscerlo.[24]
  • [Sul giornalismo sportivo] Amerò sempre [...] tutti quelli che sanno essere sinceri. Ma odio e odierò sempre i superficiali, i vanotisi, i mediocri puttaneschi belli fuori e vuoti dentro, i ritaglieri, che dopo lustri di ritaglieria esibiscono sul quotidiano sportivo quella loro prosa di aria fritta al cubo con continue citazioni statistiche di cacio sui maccheroni, senza mai uno scampolo di originalità, un aggettivo verace, in perenne orgasmo e mai liberati da un'immagine catturante.[25]
  • Da sempre combatto il fuoriclasse idolo-divo-dio. Sono per i gregari, nerbo e cuore della squadra; sono per gli umili.[25]
  • La mia «idea» sul giornalismo sportivo è che deve partecipare all'acculturamento delle masse [...]. Il giornalismo sportivo deve partecipare a mandare sugli spalti tifosi che siano anche sportivi, non dementi che tirino petardi sui giocatori. Per me il giornalismo sportivo è questo. Ed è anche genere letterario. [...] I gerghi e i tecnicismi di tanti miei colleghi che gremiscono i loro resoconti [...] di frasi fatte non mi hanno mai riguardato, e me ne vanto.[26]
  • [Sul secondo dopoguerra in Italia] Appartengo a una generazione tardivamente derubata dal destino di ideali e sogni che parevano marciare al sole e invece marciavano nel fango e nel sangue. Nel precipizio di tutti quei busti del così detto duce, nella polvere precipitammo anche noi adolescenti che la guerra non aveva risparmiato; poveri in canna e disperati ricominciammo come tutti, dove tutti avevano lasciato orme di se stessi; e già i fascisti erano spariti, non se ne trovava più uno nemmeno a cercarlo con fanatismo. I democratici cristiani con in testa il malinconico trentino De Gasperi e i comunisti col molosso dal cuore allegro Togliatti che nemmeno una pallottola ben piazzata riuscì ad accoppare, si spartivano il paese che oggi è ridotto a tocchi. Non si sa se esiste più l'Italia che così tanto amiamo o se sia, come era suo destino da sempre, tanti staterelli superficialmente radunati sotto una bandiera dai tre colori.[27]
  • [Su Gianluca Vialli] [...] guerriero contemporaneo scanzonato e risolutivo, un cremonense fuori da ogni tradizione e divertito dal voler essere principalmente se stesso, un uomo libero, in niente egoista ma tutto considerato nemmeno altruista.[27]
  • Per me il calcio è una parte della vita che conta, porta avanti la salute e il benessere, dà ai diseredati tanta illusione.[28]
  • Mi pare assurdo un giornalismo sportivo sempre così virgolettato e spoglio di idee, di pensieri, di catturanti fantasie, di storia, di contenuti.[28]

Il portiere logora chi non ce l'ha

Guerin Sportivo nº 50 (672), 9-15 dicembre 1987, p. 23.

  • [...] i portieri sono satanassi, e diavoli scatenati. I portieri sono angeli spretati che si inventano ali che non hanno.
  • Un portiere è perfin quel furbone da novantasei chili di Garella l'armadio, che in un paese di furbi ha inventato il portiere mattacchione senza presa. Però questo Garella dimostra che c'è posto per tutti, in questo mondo. [...] Evidentemente, anche un armadio può volare.
  • Non è detto [...] che un portiere, per essere bravo, debba volare. Zoff non volava, eppure è stato, secondo i critici che si accontentano dei numeri [...], l'unico portiere anche calciatore. [...] Io dico che Zoff come portiere è stato inferiore sia a Olivieri che a Sentimenti IV, però superiore ad ambedue come grana, grossa sopportazione dell'utile e misero quotidiano, diviso e condiviso dai compagni, buono e inalterabile, ma in fondo al cuore suo, nel nodo della sua terra furlàn, inconsolabile, tormentato e rompiballe. Questo è stato Zoff per chi non è superficiale, altro che un tranquillo.
  • Zenga è un commediante [...]. Zenga è bello con due tagli cinesi per occhi, mentisce a se stesso mille volte nello spazio di un minuto [...]. Zenga è bellissimo e ardito sempre, l'ultimo briciolo di fantasia rimastoci è lui. [...] Il ruolo di portiere come lo intendiamo noi italiani, qualcosa di inseparabile dagli aeroplani e dal corsaro nero sopravvive soltanto in Zenga.
  • [Su Giovanni Galli] [...] nato fatalmente portiere, ma non portiere nato.
  • Oggi il portiere è divenuto un carattere vincente nella partita. Esce dai pali, avanza a centrocampo se è il caso. Non lo facevano Zamora o Planicka. Ma, a guardar bene, nell'area di porta, oggi il portiere è prigioniero di mille cavilli che solo quando ha vera classe riesce a superare.

L'ho amato, ma a modo mio

Guerin Sportivo nº 51 (673), 16-22 dicembre 1987, p. 42.

  • [Su Tuttosport] [...] il quotidiano sportivo certamente più nobile quanto a origini: creato da un salernitano umanista mentre Torino viveva la straripante avventura del Torino.
  • Pier Cesare Baretti come notista di calcio fu sovrabbondante e particolaristico; era il manager che lo agitava e fremeva in lui; quelle scansioni nette della giornata; quel desiderio di impegnarsi oltre la pagina bianca, che martirizza ogni scrivano elettivo, ma era troppo angusta per lui. Non aveva proprio la vocazione del giornalista, questo voglio dire, amava il calcio con tutte le vene, la costruzione, l'organizzazione, la modernizzazione del calcio; amava dirigere uomini, stabilire regole; lui che si spartiva la giornata trovandola alla fine troppo breve.
  • Egli ha dato lezioni di vita a tanti pseudo grandi presidenti dalle sceneggiate facili e impuniti affaristi. Baretti amava parlare ai tifosi a testa alta e chiaro, come parlava ai colleghi consiglieri; non negava un'intervista, spiegava ogni cosa [...], parlava in modo che tutti potessero capire. Non era astruso, non era confuso, non era levantino come Ferlaino o inestricabile come Rossi, aveva la modernità di Berlusconi e i modi garbati di Gerbi. [...] Dove sarebbe arrivato come dirigente senza quello schianto nel mattino annevato?

Uomini e pupi

Guerin Sportivo nº 9 (683), 2-8 marzo 1988, p. 73.

  • [...] Maradona è insuperabile. È la fantasia.
  • Luca Vialli ci tiene ad essere ritenuto prima di tutto un bravo ragazzo, ma perché, mi domando? [...] Ma mi faccia il piacere, lasci, abbandoni questa teoria del bravo ragazzo; si lasci, si abbandoni al suo istinto infallibile, i gol che va a segnare la dicono molto più lunga delle sue studiate borghesi viziate parole di aspirante conformista o ipocrita di stato. Dice: gli anticonformisti non durano. Io voglio entrare nella storia del calcio. Ma che significa?! Forse non dire mai quel che si pensa, abundare in frasi fatte, affermare e negare al contempo [...] significa entrare nella storia?! Solo gli ipocriti e i conformisti hanno successo?
  • Io mi tengo stretto Zenga coi suoi umani difetti e la sua sincerità totale. Zenga bauscia mi ricorda l'italiano come deve essere; in un contesto di sorrisi finti, benedico questo sorriso sgherro, di ragazzo-uomo che cerca la felicità impossibile e intanto si parla addosso, si confida, si sente attore e lo dice, non se lo tiene per sé tra quattro mura, dei suoi sfoghi, della sua verità, brutta o bella che sia, ma la sua, non si vergogna, è orgoglioso. [...] Zenga può sbagliare il congiuntivo, ma non sbaglia altro.
  • I bravi ragazzi interessano solo tra i banchi di scuola, e nemmeno.

A modo mio – rubrica

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  Citazioni in ordine temporale.

  • [Sulla Juventus Football Club 1989-1990, riferito a Dino Zoff] Nella Juve si è passati dall'esercizio tecnico esplicito ed estroverso di Giovanni Trapattoni, alla tua direzione tecnica assolutistica, che apre spiragli di verità nel rapporto coi giocatori, nel senso di una capacità anche interiore di esaltarne le qualità migliori, da monumento a calciatore normale, da campionissimo a campione (il tuo rapporto con Tacconi che ti adora), sfruttando quello che si definisce carisma. Il tuo carisma di campionissimo del calcio, ha fatto di te, Dino, un allenatore senza scuola, e senza testi, senza teorie, e senza dialogo: può bastare un'occhiata o un sorriso. Io so che tutto ciò è dolcissimo ed è la tua forza. Io so che tutto ciò è la tua grandezza, ed anche la tua infallibilità. [...] E so pure che tutto questo ha saputo creare [...] un magnifico gruppo di calciatori seri, di calciatori veri, di calciatori interi. La tua Juve ha giocato bene, anzi benissimo. Come abbia fatto, non lo sai nemmeno tu. Ha improvvisato sui suoi bassotti, ha sbrigliato il suo calcio di possesso controtempo, ma con partecipazione di tutti al gioco: ecco la novità del tuo istinto di ex portierone, tutti avanti, tutti all'attacco, il gol scovato dagli inserimenti eccellenti, dalle variazioni incessanti del movimento senza pallone. Una Juve nuova, in certo modo nuovissima [...][29]
  • [Sulla Serie A 1989-1990] Il più ipocrita gioco delle parti [...] regge le sorti del calcio nostro. Io non mi stanco di divertirmi e sollazzarmi alle letture, varie e istruttive, secondo le quali il Napule ha trionfato perché più «fresco» del Milan, logoro dall'uso; tesi confortata dal santone in seggiolone, Giannibrerafucarlo, il quale ha esultato in tutte le guise del suo stile colto; io scrivo semplicemente, per chi legge: la vittoria del Napoli in campionato è un passo indietro della cultura sportiva in Italia. La cultura sportiva del paese non è Brera. Lo è stato in altri momenti, ma non lo è oggi. Il calcio, in Italia, ha saltato il fosso della «difesa e contropiede» e guarda al futuro con prospettive di reale progresso se l'esempio di Berlusconi e company sarà raccolto. [...] abbiamo tanto amato le idee nuove (e rivoluzionarie) di un calcio finalmente aperto alla gloria del gregariato, il calcio collettivo, delle barriere... architettoniche divelte, il calcio veramente europeo, dell'asso che sgobba come il gregario: è stato solo un sogno, la vittoria del Napule dimostra che almeno in Italia il calcio non sarà mai una cosa seria.[30]

Il mito nell'occhio

Guerin Sportivo nº 12 (787), 21-27 marzo 1990, pp. 26-27.

  • Un giornalismo sportivo succube all'asso, che giornalismo è? [...] Che motivo ha di esistere, dico, un giornalista sportivo reclamato dal direttore per recensire l'unghia del fuoriclasse, la finezza, la pigrizia, la Ferrari Testarossa, la testolina di divo, di dio degli stadi, la moglie un po' matta, i guadagni, le civetterie, le bizze [...]? Ha un senso vivere per fare il segugio di niente?
  • Le storie dicono che Ferruccio Novo pagava il doppio di tutti Valentino Mazzola, ma i primi ad essere contenti erano i suoi compagni, perché Valentino Mazzola sgobbava e rendeva proprio il doppio dei suoi compagni. Voi credete che esista oggi, nel panorama orbe terracqueocalcistico, un fuoriclasse di quella possa? Se sì, fatemene il nome [...]
  • Io credo che il calcio stia finendo a schifìo, mentre il giornalismo sportivo [...] esalta il calcio televisivo che è tutt'altra cosa del calcio per chi sia sportivo e competente [...], io scrivo che il calcio si salva soltanto tenendo a bada la televisione. Essa è tutto, ma anche il contrario di tutto. È giornalismo in cui le apparenze sovrastano la realtà (la moviola); è giornalismo per chi ha fatto carriera nel sistema e spedisce in giro poveri cristi armati di fede nella pagina bianca, illusi di avere un seguito, di contare qualcosa in un mondo che mercifica prima di tutto il pensiero, così che sono nati giornalisti da pagella pontificanti sul vuoto delle immagini più bolse, peraltro rubate al video facile, così che Bruno Roghi si rivolta nella tomba e Giannibrerafucarlo ordina un rosso di annata per annegare la malinconia di una vita sprecata ad insegnare a leggere, a furbastri scopiazzatori, a italiani senza midollo.
  • Non escludo che [...] prima o poi vengano aboliti anche gli allenatori. Mi chiedo, infatti, a cosa serva una categoria per la quale, essendoci i risultati, sono tutti maghi, e mancando i risultati sono tutti asini.
  • Esaltare a spron battuto sempre i soliti, considerare il calciatore un divo e non un campione è l'errore storico del nostro tempo.

Hurrà Juventus

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  • [Su Romeo Benetti] È un veneto poco snob e molta polenta.[31]
  • La Juventus per un poveraccio è qualcosa di più di un hobby domenicale, di una ragione di tifo, ma può ipostatizzare un'intera vita, l'illusione di una vita.[32]
  • Qualunque sia la situazione sociale, storica, il ruolo della Juventus non può cambiare. Ruolo perennemente vincente, ruolo glorioso.[33]
  • Tokyo, 8 dicembre 1985. Di questa partita ricordo tutto, è stata sicuramente una delle più belle – tenuto conto del valore che aveva – alle quali abbia avuto la fortuna di assistere. Una sorta di godimento assoluto, anche per gli juventini che l'avranno vissuta con il cuore in gola, com'è comprensibile. Una partita da riproporre spesso a scopo didattico, una sintesi di tutto quello che il calcio può offrire: goal, emozioni, finezze tecniche, errori, tensioni. Una di quelle partite che non si vorrebbero mai veder concluse.[34]
  • [Su Luciano Favero] Vedo un uomo nella sua semplicità, nel suo nero baffo si possono scorgere piccole immense cose del carattere umano; quella consapevolezza di vivere la parte con umiltà in ogni istante, anche facendo i giocatori di successo.[...] Un giocatore adatto alla difesa ma in grado di discese snelle e convergenti. Un difensore tattico mai statico e sempre ricco di slancio. Un campione dell'impegno morale anche la domenica, imperlato di serenità, [...] un campione come ne vorremmo molti, e invece ahimè ne abbiamo pochi così compenetrati nella professione da farne qualcosa di limpido, di vero, prima che qualcosa di tecnico. Prima lo spirito insomma, poi la tecnica. [...] Io penso che Luciano Favero sia il massimo oggi, con pochi altri esemplari, di professionalità.[32]

Citazioni su Vladimiro Caminiti

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  • Al giornalismo sportivo di oggi, così prevedibile, così senz'anima, così inutilmente presuntuoso, mancano le immagini e gli aggettivi di Camin, il suo sguardo attento e pulito, il suo entusiasmo, la sua cultura. (Darwin Pastorin)
  • Caminiti aveva cuore grande e competenza calcistica, uniti a un caratterino niente male. La sua penna sapeva essere tagliente: se non entravi nelle sue grazie, ogni domenica erano bacchettate. Aveva capacità non comuni come giornalista, i suoi erano pezzi da incorniciare. Un poeta prestato al mondo del calcio. (Sergio Brio)
  • Scrivere era il suo essere, il suo cappotto, la sua nuvola, il suo giardino dei ricordi. Fu il mio maestro, giusto e severo. "Ricordati: comincia sempre il racconto della partita dal verde del prato e dall'azzurro del cielo". Maneggiava gli aggettivi con maradoniana abilità. Sapeva svelare, con due domande, l'anima segreta di ogni personaggio. Fu tenero e feroce, ingenuo e astuto: soprattutto, per noi giovani avvolti di sogni, un esempio. (Darwin Pastorin)
  1. a b Citato in Stefano Bedeschi, Gli eroi in bianconero: Virginio Rosetta, tuttojuve.com, 25 febbraio 2022.
  2. Da Tuttosport, 16 ottobre 1972; citato in Auguri Antognoni, l'uomo che giocava guardando le stelle, sport.sky.it, 1º aprile 2014.
  3. Da Tuttosport, 1989; citato in Francesco Moroni, L'Italia che resiste: storie e ritratti di cittadini controcorrente, Effepi Libri, 2010, p. 114. ISBN 8860020166
  4. Citato in Giuseppe Furino, il mediano con due cuoriche spegneva i campioni: «Ma a Sivori feci un tunnel», repubblica.it, 10 febbraio 2014.
  5. Citato in Stefano Bedeschi, Gli eroi in bianconero: Pietro ANASTASI, tuttojuve.com, 5 aprile 2011.
  6. Citato in Stefano Bedeschi, Renato CESARINI, ilpalloneracconta.blogspot.com, 11 aprile 2022.
  7. Citato in Giuseppe Bagnati, Cabrini, il campione antidivo, gazzetta.it, 19 aprile 2008.
  8. Da Giocava anche per noi, Guerin Sportivo, 1989.
  9. Da Scatto matto, Guerin Sportivo nº 27 (395), 7-13 luglio 1982.
  10. a b Da La sfida di Michel, Guerin Sportivo nº 32 (450), 10-17 agosto 1983, pp. 7-11.
  11. a b Dalla rubrica Tecnica e sentimento; Guerin Sportivo nº 34 (452), 24-30 agosto 1983, p. 21.
  12. Da Al casinò esce l'uno, Guerin Sportivo nº 37 (455), 14-20 settembre 1983, p. 14.
  13. Un Moro di volare, dalla rubrica Tecnica e fantasia; Guerin Sportivo nº 41 (510), 10-16 ottobre 1984, p. 43.
  14. Da Un quintale di gol, Guerin Sportivo nº 4 (524), 23-29 gennaio 1985, p. 38.
  15. Da Basta la Parola, Guerin Sportivo nº 9 (529), 27 febbraio – 5 marzo 1985, p. 37.
  16. a b Da Schiavo senza catenaccio, Guerin Sportivo nº 5 (679), 3-9 febbraio 1988, pp. 20-22.
  17. Da Rosso Nero e Virdis, Guerin Sportivo nº 9 (683), 2-8 marzo 1988, pp. 12-15.
  18. Da Dinomito, Guerin Sportivo nº 23 (697), 8-14 giugno 1988, pp. 24-25.
  19. Trent'anni di direttori, dalla rubrica La lettera; Guerin Sportivo nº 47 (669), 18-24 novembre 1987, p. 54.
  20. La verità ci fa male, lo so, dalla rubrica La lettera; Guerin Sportivo nº 48 (670), 25 novembre – 1º dicembre 1987, p. 54.
  21. Evitiamoci: resteremo amici, dalla rubrica La lettera; Guerin Sportivo nº 49 (671), 2-8 dicembre 1987, p. 38.
  22. Il meglio e il Pecci, dalla rubrica La lettera; Guerin Sportivo nº 5 (679), 3-9 febbraio 1988, p. 38.
  23. Sfracelli d'Italia, dalla rubrica La lettera; Guerin Sportivo nº 10 (684), 9-15 marzo 1988, p. 41.
  24. Il Fininvest giustifica i mezzi, dalla rubrica La lettera; Guerin Sportivo nº 21 (695), 25-31 maggio 1988, p. 90.
  25. a b Libero di non essere un merlo, dalla rubrica La lettera; Guerin Sportivo nº 22 (696), 1º-7 giugno 1988, p. 49.
  26. Gli spazza Camin, dalla rubrica La lettera; Guerin Sportivo nº 23 (697), 8-14 giugno 1988, pp. 18-19.
  27. a b Faccia di Luca, dalla rubrica La lettera; Guerin Sportivo nº 24 (698), 15-21 giugno 1988, p. 16.
  28. a b Emigrand'Italia, dalla rubrica La lettera; Guerin Sportivo nº 25 (699), 22-28 giugno 1988, p. 24.
  29. Caro Dino, hai ragione tu, dalla rubrica A modo mio; Guerin Sportivo nº 19 (794), 9-15 maggio 1990, pp. 18-19.
  30. Napoli, ringrazia il Mondiale, dalla rubrica A modo mio; Guerin Sportivo nº 20 (795), 16-22 maggio 1990, p. 18.
  31. Da Hurrà Juventus, 1968; citato in Black&White Stories Summer: il ritorno di Romeo, juventus.com, 4 settembre 2020.
  32. a b Da Hurrà Juventus, gennaio 1986.
  33. Citato in Hurrà Juventus nº 7 (55), luglio 1993, p. 70.
  34. Da La Juventus nella storia, prima puntata: Juventus-Argentinos Jrs. 6-4 (d.r.): Il capolavoro di Platini, Hurrà Juventus nº 10 (46), ottobre 1992, p. 26.

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