Darwin Pastorin
giornalista italiano
Darwin Pastorin (1955 – vivente), giornalista italiano-brasiliano.
Citazioni di Darwin Pastorin
modifica- Al giornalismo sportivo di oggi, così prevedibile, così senz'anima, così inutilmente presuntuoso, mancano le immagini e gli aggettivi di Camin, il suo sguardo attento e pulito, il suo entusiasmo, la sua cultura.[1]
- [Sul derby di Torino] C'era una volta il derby, verrebbe da dire. Una sfida che raccoglieva furori non soltanto calcistici, ma sociali ed economici, culturali. Già, che giorni e che emozioni! Gli anni settanta, ad esempio. La Juventus dominava l'Italia, ma spesso cadeva davanti ai cugini, che facevano di quell'appuntamento una ragione di vita e d'orgoglio. Da una parte, lo stile di Bettega e Capello, l'eleganza di Zoff, le acrobazie di Anastasi (idolo dei lavoratori della Fiat Mirafiori), la mutria severa di Beppe Furino, il palleggiare ironico di Causio, dall'altra l'agonismo e il ferro e il fuoco di Fossati, Cereser, Agroppi, capitan Ferrini, e là davanti i dioscuri Graziani&Pulici, ispirati da Claudio Sala, pronti a colpire. Il derby diventava, recuperando Jean-Paul Sartre, una metafora della vita. La Juve degli Agnelli, ma anche degli immigrati siciliani e calabresi, il Toro di Pianelli e degli impiegati piemontesi, di quelli che parlavano il dialetto duro e puro. La Juve dei tanti scudetti e il Toro che portava nelle vene, e porterà per sempre, il mito di capitan Valentino e degli altri eroi scomparsi nel rogo di Superga, e il rimpianto per la farfalla granata, Gigi Meroni. Due modi di essere.[2]
- Il più grande campione che ho visto giocare è Diego Armando Maradona. Credimi, figlio mio, non esisterà mai più, nei secoli dei secoli, un altro come lui. Ha fatto dell'imperfezione la perfezione. Piccolo, gonfio, dedito ad albe stanche, svogliate e sbagliate, vittima di falsi amici e della volontà di andare oltre ogni regola, Maradona ha trasformato un semplicissimo pallone di cuoio in uno scrigno di bellezza. (da Lettera a mio figlio sul calcio)
- In terza media, la professoressa [...] ci diede un tema: "Parlate del vostro personaggio preferito del Novecento". I miei compagni scrissero di Kennedy e di Papa Giovanni, io di Anastasi. La prof mi disse, con un sorriso lieve: "Ero indecisa se darti 4 o 9. La scelta mi sembrava decisamente fuori tema, ma lo hai scritto con così tanta passione che ti sei meritato il 9. Bravo, comunque". Proprio come il numero sulla maglia del mio beniamino![3]
- Io proverò sempre tenerezza per quei giovani che ancora oggi vanno ad arbitrare. Giovani che rinunciano alla gita fuoriporta o al cinema per dare inizio, in perfetto orario, a quel rito laico, che ci fa gioire o essere tristi. Senza arbitro non avrebbe senso la pallavolo: è possibile giocare senza libero o senza un titolare, non senza quell'uomo sempre lì impalato senza mai poter toccare la palla. Senza schiacciare. E poter ricevere, almeno una volta, un applauso sincero. Un applauso lungo. Un applauso da far venire i brividi. Ad Andrea Onori.[4]
- La Juventus è universale, un patrimonio non soltanto calcistico, ma culturale e sociale. La Juventus è una storia infinita, sempre sospesa tra mito e modernità. La Juventus è il caleidoscopio dei suoi assi e delle sue conquiste, i presidenti e gli allenatori, le donne e gli uomini che, giorno dopo giorno, lavorano per costruirne i trionfi. La Juventus è il cuore dei suoi milioni di tifosi, sparsi in Italia e nel mondo.[5]
- La Juventus è uno stadio moderno e lo splendore dell'ultimo gioiello: Juventus Museum, la casa dei ricordi, dei sogni, delle imprese, di tutte le coppe, di tutti i protagonisti.[5]
- Lo stile Juventus è una filosofia calcistica, una filosofia di vita. Ma stile Juve non significa essere compassati o non esternare le proprie emozioni.[6]
- [Su Antonio Conte] [...] Perché il nostro football ha bisogno di bandiere, di punti di riferimento. Sei l'anti-Mourinho, e proprio per questo ti preferisco allo spocchioso portoghese. E chissà perché le sue polemiche devono essere per forza diverse dalle tue: da una parte l'eccellente comunicatore (così coccolato per aver citato una volta Sartre), dall'altra uno che dovrebbe stare sempre zitto, così per principio, a priori. [...] Spero, dunque, di vederti ancora alla Juventus. Sentirti urlare, rimproverare il tuo giocatore che, a pochi minuti dalla fine, sul 4-0 a vostro favore, sbaglia un passaggio elementare, infine provare a rispondere alle domande senza più un filo di voce, perché per tutto il match "giochi" anche tu, non ti risparmi, sei fuoco e rabbia, grinta e furore. Sei la sintesi perfetta di Trapattoni e Lippi. Meglio: sei tu, e basta. Lo stesso Antonio Conte che, sul campo, mordeva zolle e futuro.[7]
- [Su Vladimiro Caminiti] Scrivere era il suo essere, il suo cappotto, la sua nuvola, il suo giardino dei ricordi. Fu il mio maestro, giusto e severo. "Ricordati: comincia sempre il racconto della partita dal verde del prato e dall'azzurro del cielo". Maneggiava gli aggettivi con maradoniana abilità. Sapeva svelare, con due domande, l'anima segreta di ogni personaggio. Fu tenero e feroce, ingenuo e astuto: soprattutto, per noi giovani avvolti di sogni, un esempio.[8]
Note
modifica- ↑ Da Quando Furino marcava Mazzola, l'Unità, 28 novembre 2004, p. 18.
- ↑ Da Juve-Toro, il derby smarrito, l'Unità, 25 ottobre 2008, p. 54
- ↑ Da Darwin Pastorin e la Juventus degli anni settanta, isbn-atlante70.tumblr.com, 5 aprile 2011.
- ↑ Frase scritta in ricordo di Andrea Onori, Arbitro Federale di Ruolo Nazionale di pallavolo, scomparso nel 2003.
- ↑ a b Da (IT) (EN) Darwin Pastorin, Juventus Museum, Priuli & Verlucca, 2017 [2012], ISBN 88-80-68590-2.
- ↑ Dall'intervista Inter-Juventus, D. Pastorin: "La differenza tra le due squadre è netta", juvelive.it, 29 marzo 2013.
- ↑ Da Caro Conte ti scrivo, Tuttosport, 4 maggio 2014, p. 6.
- ↑ Da un post sul profilo ufficiale facebook.com, 5 settembre 2019; citato in Darwin Pastorin ricorda Vladimiro Caminiti a 26 anni dalla sua scomparsa, glieroidelcalcio.com.
Bibliografia
modifica- Darwin Pastorin, Lettera a mio figlio sul calcio, Mondadori, 2002.
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