Grande Torino

nome dato all'Associazione Calcio Torino negli anni quaranta del XX secolo

Citazioni sul Grande Torino.

Il Grande Torino

Citazioni

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  • Chi è nato a Torino, difficilmente ha in famiglia qualcuno che non abbia raccontato, indipendentemente dall'essere tifoso o meno, cosa rappresentasse il Torino a quel tempo. Era molto di più di una squadra di calcio, era il simbolo di un'Italia che si rialzava in quel momento con le ossa abbastanza rotte. Era un qualcosa che la città sentiva come proprio. I grandi campioni di quella squadra [...] erano a portata di mano delle persone. Il fatto che quella squadra se ne sia andata tutta insieme, in quella maniera così tragica, quando la sua storia non era finita, rende tutto ancora più struggente. Il Grande Torino ha veramente cambiato un paradigma, trasformando una "porzione" in qualcosa di trasversale e comune. Di questo, noi tifosi del Toro siamo ancora profondamente orgogliosi. (Mauro Berruto)
  • Conosco le imprese del grande Torino grazie ai racconti di mio padre, torinese e torinista. È come se fossi stato al Filadelfia: è come se avessi visto Valentino Mazzola rimboccarsi le maniche della sua maglia granata e suonare la carica; è come se fossi ancora stordito dopo la tragedia di Superga. E invece non ero ancora nato. Ma ogni anno il 4 maggio il mio pensiero va a quella squadra che giocava un calcio bellissimo e vinceva con il cuore. (Riccardo Cucchi)
  • [Nel 1959] Era una grande squadra, quella caduta lassù sul colle. Una squadra come ve ne furono poche prima – e nessuna poi – in Italia e nel mondo. Una squadra, tutta di amici, che, quando veniva messa a dura prova, giuocava come diretta dalla bacchetta di un ispiratore. Era forte in quanto a valore dei singoli, ma più forte ancora come assieme, come coesione, come intesa fra uomo e uomo. Faceva blocco su campo di gioco e nella vita civile: volle far blocco nella morte. (Vittorio Pozzo)
  • Forse era troppo meravigliosa questa squadra perché invecchiasse; forse il destino voleva arrestarla nel culmine della sua bellezza. (Carlo Bergoglio)
  • Gli eroi sono sempre immortali, agli occhi di chi in essi crede. E così crederanno, i ragazzi, che il «Torino» non è morto: è soltanto «in trasferta». (Indro Montanelli)
  • Il "Torino", la cui parabola ha ospitato ferite crudeli e successi epici e che il destino ha accarezzato come un fiore e trafitto come una lama saracena. (Sandro Ciotti)
  • [Nel 1989] Mi chiedo se prima dell'undici granata di Erbstein e Copernico, amato da Vittorio Pozzo [...] vi fosse mai stata in Italia una squadra così completa e rispondo che sicuramente l'Ambrosiana di Peppino Meazza, la Juventus di Viri Rosetta e Felice Placido Borel, il Bologna di Andreolo, Sansone e Schiavio, squadroni autentici furono, ma non come il Toro, una squadra impetuosamente italiana, alpina eppur sferzata dai venti marini per vincere le tempeste attorno al suo drammatico piccolo riccioluto gigante, quel Valentino Mazzola che un pure grande calciatore come Boniperti, nello scrigno dei ricordi più gelosi, considera a tutt'oggi il più incredibile fuoriclasse mai esistito. (Vladimiro Caminiti)
  • Non c'era occasione in cui zio, scapolo impenitente, prima di uscire per la sua "notte brava" da play boy, non raccontasse le imprese del Grande Torino, il modo di giocare, entusiasmante e vincente, di Valentino Mazzola e compagni. A me sembravano fiabe bellissime, sempre con un roseo finale. Poi, arrivò la sera in cui lui smise di sorridere, e narrò di un pomeriggio cupo di maggio, di una collina di nome Superga, e dello schianto di un aereo. Io, all'inizio, pensai che zio non avesse voglia di raccontare, o che fosse cominciata un'altra favola più triste, popolata di orchi e di streghe. Poco alla volta, compresi che non era così. Dopo centinaia di partite travolgenti, la fiaba si concludeva con il grande "uccello", in volo da Lisbona a Torino, dalle ali spezzate. "Perché? Perché? Perché?" Per un bambino, non ancora in grado di capire cosa significava "destino", fu difficile accettarlo. Molto difficile. (Carlo Nesti)
  • Ora mi chiedo quando è nata in Italia la passione vera, spesso accanita, per il calcio. E rispondo che è nata col Grande Torino. (Vladimiro Caminiti)
  • Quando il Torino non riusciva a sbloccare il risultato, oppure giochicchiava, scherzava con l'avversario come un gattone pigro, i tifosi lo richiamavano all'ordine. L'incitamento saliva al diapason, poi si acquetava di colpo: nel silenzio un trombettiere, dalla gradinata di sinistra, suonava la carica. Allora Valentino Mazzola faceva il gesto di rimboccarsi le maniche, dava il «la» ai compagni e il Toro s'avventava mugghiando sull'avversario. Era quasi impossibile resistergli: sembrava un tornado. Bastavano pochi minuti di furore per chiudere la partita. C'era un che di tribale e misterioso in quella esibizione di potenza; come se l'invocazione dei fedeli avesse svegliato un dio dormiente, come se la loro preghiera potesse evocare forze sconosciute, trasformare i guerrieri in giganti. Per i tifosi, il Filadelfia era un immenso altare pagano [...]. Mazzola e gli altri non erano calciatori, ma eroi mitologici, stregoni, semidei. (Giorgio Tosatti)
  • Quel Grande Torino non era solo una squadra di calcio, era la voglia di Torino di vivere, di tornare bella e forte; i giocatori del Torino non erano solo dei professionisti o dei divi, erano degli amici. (Giorgio Bocca)
  • Quel Grande Torino non era solo una squadra di calcio, era la voglia di vivere, di sentirsi di nuovo cittadini di una città viva e concorde che ci prendeva alla gola quando passavamo davanti alle macerie di piazza San Carlo, di fronte agli edifici sventrati. (Giorgio Bocca)
  • Russ cume 'l sang | fort cume 'l Barbera | veuj ricurdete adess, me grand Turin. | En cui ani 'd sagrin | unica e sula la tua blessa jera. [1] (Giovanni Arpino)
  • Sarei potuto tornare anche in nazionale nel '48, nella famosa partita contro l'Inghilterra a Torino. Maroso era infortunato, come gli capitava spesso, ma Pozzo non volle chiamarmi, preferì il fiorentino Eliani. La spiegazione fu questa: avrei dovuto essere capitano, togliendo la fascia a Valentino Mazzola. Non si poteva negli anni del Grande Torino. (Pietro Rava)
  • Vandone, Motto, Mari, Macchi, Ferrari, Lussu, Giuliano, Francone, Marchetto, Giammarinaro, Balbiano. È questa la formazione che il 15 maggio 1949, in uno stadio Filadelfia stracolmo, salì le scale che dagli spogliatoi portavano in campo. Undici ragazzi, la maggior parte poco più che diciottenni, cui il destino aveva affidato un compito immenso: portare a termine il campionato 1948/49 e sostituire quella squadra leggendaria che era il Grande Torino. Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola: undici cognomi già entrati nella storia del calcio. Che avevano infiammato Torino e il Filadelfia e che la tragedia di Superga, il 4 maggio, aveva portato via...[2]
  • Erano però per me, e non soltanto per me, come una luce in un tempo buio. Io non so se lei si ricorda il dopoguerra, l'Italia in ginocchio, distrutta. Questi ragazzi erano armonia.... in tutti questi contrasti. Loro come altri campioni, Coppi, Bartali o gli olimpionici del '48, avevano dato una speranza al nostro Paese. Una speranza di ricostruire. Erano lievi ma invincibili. Un sogno erano.
  • – Signor Mazzola, le posso chiedere una cosa?
    – Dimmi!
    – Che cos'è il quarto d'ora granata?
    – Questa è proprio una bella domanda, Angelo. Vedi, è quando le cose succedono, tutto qui. Hai capito? [Angelo scuote la testa] Non so se si può spiegare meglio di così ma vedrai che un giorno lo capirai da solo.
  • E poi avevo... avevo finalmente capito qual era il segreto di Valentino Mazzola, quel famoso "quarto d'ora" non esiste soltanto sui campi di calcio. Vede, esiste anche nella vita ed è quando ti devi rimboccare le maniche, quando... proprio come faceva lui, il capitano... quando capisci che tutto quello che fai deve andare nella direzione giusta.
  1. «Rosso come il sangue | forte come il Barbera | voglio ricordarti adesso, mio Grande Torino. | In quegli anni di patimenti | unica e sola la tua bellezza era.»
  2. Citato in Fabio Dalmasso, Noi del piccolo Grande Torino, in SportWeek (Milano), nº 47 (811), La Gazzetta dello Sport, 10 dicembre 2016, p. 43.

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