Antonio Cabrini

allenatore di calcio e calciatore italiano (1957-)

Antonio Cabrini (1957 – vivente), ex calciatore e allenatore di calcio italiano.

Antonio Cabrini (2008)

Citazioni di Antonio Cabrini modifica

  • Con la Juventus sono cresciuto, lì ho passato gli anni più belli della mia vita. Ho dato il meglio di me, e a volte sono andato oltre... La Juventus è uno stile, un grande insegnamento di vita.[1]
  • Il coming out è a discrezione personale, ma è chiaro che il mondo del calcio non è proprio quello ideale per dichiararsi, porterebbe di sicuro dei problemi. Negli stadi c'è molta ignoranza sul tema della diversità, basta vedere come vengono trattati i calciatori stranieri, si immagini che cosa accadrebbe se un giocatore in attività si dichiarasse, quale sarebbe la pressione mediatica sulla squadra, i compagni, l'ambiente.[2]
  • Non sono solo un tifoso, mi sento un suo amante. Con la Juve sono cresciuto, lì ho passato gli anni più belli della mia vita. Ho dato il meglio di me e a volte, con grande incoscienza, sono anche andato oltre.[3]

Cabrini, il campione antidivo

Dall'intervista di Giuseppe Bagnati, gazzetta.it, 19 aprile 2008.

  • [Su Gianni Agnelli] Il carisma dell'Avvocato [...] lo percepivi in lontananza. Stava sempre vicino alla squadra [la Juventus], era informatissimo. E quando parlavi con lui ti accorgevi che di calcio ne capiva tantissimo.
  • Nella Juve non ero ancora titolare, ma Bearzot [commissario tecnico della nazionale] volle vedermi all'opera prima del Mondiale in Argentina del '78. Giocai un'amichevole a Verona contro la Scozia (0-0) e dopo la partita Bearzot mi dice: "ti porto ai Mondiali".
  • [Su Michel Platini] Michel era un personaggio anche fuori dal calcio. Noi gli dicevamo che era più italiano di un italiano. Capiva immediatamente la situazione in campo e fuori. E prima degli altri sapeva cosa doveva fare.

"Alleno le donne e ne vado fiero, leverò il sorrisetto da certe facce"

Dall'intervista di Gaia Piccardi, 27esimaora.corriere.it, 17 novembre 2014.

  • [«C'è, forse, anche un problema d'immagine (nel calcio femminile)?»] Ho in squadra 3 o 4 ragazze che non hanno nulla da invidiare alle pallavoliste, certe calciatrici svedesi sono meravigliose, il portiere degli USA è andata in copertina su Playboy [Hope Solo, in realtà su ESPN The Magazine]. [...] Anche nel calcio le donne possono esprimere la loro femminilità.
  • [«Chi era il suo idolo, da bambino (...)?»] Pierino Prati. Mancino come me, guascone, atipico.
  • [«Perché Zoff-Gentile-Cabrini-Scirea è stata la difesa azzurra più forte di sempre?»] Perché eravamo affiatati già nella Juventus, dove ciascuno era leader nel suo ruolo. Il Mundial '82 ci diede un'aura speciale. Ma quella fu un'epoca irripetibile del nostro calcio.
  • [«Il ricordo di Juve più forte»] L'Heysel. Salendo in mezzo ai tifosi per calmarli lessi la disperazione nei loro occhi. Non sapevo ancora niente, c'era una confusione pazzesca. Mi rammarico di non aver capito quegli sguardi, ecco.

"Mi chiamavano Bell'Antonio, ma per amore ho fatto pure il casalingo"

Dall'intervista di Candida Morvillo, corriere.it, 25 settembre 2016.

  • [Sulle calciatrici] Le donne, in allenamento, se le convinci, sono più concentrate e danno più degli uomini.
  • Quel soprannome [il Bell'Antonio]... Quello... mi imbarazzava. [...] Si era diffuso con i Mondiali del 1978, io ero un ragazzino sconosciuto. Volevo nascondermi.
  • [«Le prime scene isteriche delle donne per un calciatore sono state per lei»] Me le trovavo ovunque. La ressa era tale che ne uscivo con i vestiti strappati. [...] Al Sud, dove la folla era ancora più calorosa, non potevo scendere neanche dal pullman. Bloccavo tutta la squadra. Allora, Marco Tardelli, Paolo Rossi, Roberto Tavola, Cesare Prandelli, Domenico Marocchino mi scaraventavano fuori e se ne uscivano dietro di me tranquilli. Però qualcosa "raccoglievano" anche loro.
  • [Su Sônia Braga] Ero con la squadra a New York, primi anni alla Juve, la vidi a una cena di gala. Era bellissima, ma a tavola quasi non parlammo [...]. Rientrato in hotel, dove dividevo la camera con Prandelli, all'una di notte, squilla il telefono e lui risponde mezzo addormentato. Era Sonia, per me. Io, da pischello, non potevo immaginare che volesse. E lei: "Ho voglia di vederti, vorrei venire da te". [Prandelli] Non voleva saperne [di lasciarmi la stanza]. Per fortuna, Tardelli dormiva da solo e accettò di prestarmi la camera e andare da Cesare. [...] Davvero non mi capacitavo che avesse scelto me. Continuavo a chiedermi: perché io?
  • [Sugli inizi] [Da bambino] passavo le giornate a tirare il pallone contro un muro. Il muro mi restituiva sempre la palla e quello che succedeva dipendeva solo da me. Ho capito, anni dopo, che quel muro si comportava come la vita. Comunque, feci il provino per le giovanili della Cremonese. A casa mia ne sapevano così poco di calcio che mamma, per l'occasione, mi comprò un completo da basket. Scesi in campo e tutti gli altri ragazzini ridevano.
  • [La] Juve [...] ti inculcava nel DNA la necessità di essere il più forte e di vincere. [...] T'insegnava che l'avversario è il tuo nemico e che, se facevi una scelta, non dovevi girarti indietro, ma andare per la tua strada. [...] Quando ho lasciato la Juve, non ho fatto neanche un giro di campo. Sono uscito e sono andato via. Senza un saluto, una festa, niente. Lo stile Juve include anche questa freddezza dei rapporti. La Juve non si lega agli atleti.
  • [«Che pensava leggendo di Calciopoli e della Juve di Luciano Moggi e Antonio Giraudo?»] Mi ha colpito quanto quella fosse una guerra non per vincere o far soldi ma per avere potere.
  • [«Che cosa ha imparato da Trapattoni?»] A non cullarmi sugli allori. Era uno che, se vincevi una partita importante, ti faceva esultare cinque minuti e subito ti ricordava che la domenica successiva ce n'era un'altra. E poi, era bravo a gestire il gruppo. Aveva giocatori che erano stati suoi avversari in campo e sapeva calibrare il peso dei senatori della squadra.

Cabrini, i 60 anni del Bell'Antonio: "Le donne mi tiravano l'oro, io non mi sarei fatto neanche un selfie"

Intervista di Maurizio Crosetti, repubblica.it, 6 ottobre 2017.

  • A vent'anni fai le cose e basta. A trenta, conti fino a 10 e le fai lo stesso. A quaranta conti fino a 100 e ovviamente le rifai. A cinquanta ti guardi indietro e ti chiedi: sarà stato giusto farle? A sessanta non ci pensi più.
  • [«Cos'è stata, tutta questa bellezza?»] Qualcosa di ricevuto senza alcun merito. Ogni mattina, lo specchio non mi diceva proprio niente, non mi accorgevo, non mi sarei mai fatto un selfie, che stupidaggine. Poi ti abitui, ci credi perché migliaia di ragazzine te lo ripetono. E alla fine, essere bello mi è pure servito.
  • [«Una volta, Paolo Rossi ha raccontato che le ragazze ti lanciavano reggiseni e catenine»] Mi tiravano l'oro come se fossi un santo. Un pomeriggio a Campobasso, nei 50 metri tra il pullman della Juve e l'albergo mi hanno levato quasi tutti i vestiti di dosso, ci saranno state tremila persone. Le donne lanciavano pure gli slip. Paolo dice che a terra c'erano manciate d'oro.
  • Noi calciatori siamo bambini dentro, mica per niente passiamo la vita a giocare.
  • [«Mai pensato: se fossi nato trent'anni dopo, sarei stramiliardario?»] Ogni tanto me lo dicono, però rispondo che non ho guadagnato poco neppure così. Noi della Juve ci allenavamo davanti allo stadio Comunale, per tornare negli spogliatoi dovevamo attraversare la strada in mezzo alla gente, eravamo persone, non popstar. Questo, i soldi non lo pagano. E siamo stati giovani, campioni e felici in un tempo migliore.
  • Io vengo da un'Italia in cui tutti i bambini giocavano a pallone, per strada, nei cortili, nei campetti, all'oratorio. Se eri Cabrini non potevi non scoprirlo. Adesso, per giocare bisogna iscriversi e pagare la quota. Era tutto più facile, alla mano. La nostalgia non c'entra proprio.

Dall'intervista a Radio VS, puntata 62, 9 novembre 2017

Audio disponibile su spreaker.com.

  • La mia Juve era prima di tutto una squadra unita, le uniche differenze erano dettate dalle età. Avevamo tutti lo stesso DNA vincente.
  • Il giocatore che mi metteva più in difficoltà era Bruno Conti, dovevo adattarmi al suo modo di giocare per fermarlo.
  • Il più forte con cui ho giocato è Laudrup, lo stesso Platini lo invidiava.

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Note modifica

  1. Citato in Agnelli 100, juventus.com, 24 luglio 2023.
  2. Citato in Di Natale replica al ct. "Sbagliato fare coming out", repubblica.it, 2 maggio 2012.
  3. Citato in Giancarlo Emmanuel, Cabrini: sogno ventuno sorpassi, lastampa.it, 9 settembre 2006. [collegamento interrotto]

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