Pietro Vierchowod
allenatore di calcio e calciatore italiano (1959-)
Pietro Vierchowod (1959 – vivente), ex calciatore e allenatore di calcio italiano.
Citazioni di Pietro Vierchowod
modificaCitazioni in ordine temporale.
- [Su Gianluca Vialli] Oltre ad essere un grande giocatore è un caro ragazzo. È il classico collante da spogliatoio. [...] Soffriva quando le cose giravano storte, non ci sta mai a perdere, è un vincente insomma. Ammirevole nel mascherare ciò che gli ribolle dentro. E così non turba il morale dei compagni di squadra.[1]
- [Su Ronaldo] Forse è il solo giocatore che, sfidandomi in più occasioni quand'ero al massimo della condizione, avrebbe potuto beffarmi. Io, da giovane, ero troppo rapido per chiunque. Anche per i Batistuta, gli Inzaghi, i Del Piero di oggi. Ma Ronaldo ha veramente un altro passo.[2]
- [Su Giampaolo Montesano] Era imprendibile, scattava da una parte all'altra senza che io riuscissi a fermarlo. Uno come Montesano lo incontri una sola volta in una carriera intera. [...] Per la sua categoria, facendo le giuste proporzioni, Montesano è stato il giocatore più forte che abbia affrontato e guardi che io Maradona l'ho marcato più di una volta. Ma uno come Montesano non l'ho più incontrato.[3]
- [Sul campionato mondiale di calcio 1990] Vicini commise un unico, gigantesco errore [...] Una volta giunti a mezz'ora dalla fine al San Paolo, sull'1-0 in semifinale, c'era una sola cosa da fare: inserire me per farmi marcare a uomo Maradona. [...] Avrei seguito il Pibe de oro come un'ombra, non lasciandolo più giocare. [...] Invece Vicini fece dei cambi assurdi e mi lasciò in panchina. Avrebbe potuto inserire pure qualche altro mediano, per dare consistenza al centrocampo. [...] Per assecondare la sua mentalità offensiva scelse di rimanere con l'assetto iniziale... Di fatto, ha buttato via un Mondiale per tenere fede alla sua filosofia.[4]
- Sono juventino da piccolo, quando alla radio sentivo "Grande parata di Anzolin", il mio primo idolo.[5]
- [«L'attaccante più forte?»] Van Basten: per eleganza, tecnica, e anche cattiveria. Però, quando lo marcavo io, non ha mai fatto un gol su azione.[5]
- [Sul campionato di Serie A 2023-2024] È un campionato abbastanza modesto. L'Inter lo ha già vinto un mese fa, vuol dire che dietro la squadra di Inzaghi c'è poca roba. La Juve poteva essere lì a insidiare, nelle partite decisive non ha fatto bene. Lo stesso Milan è molto distante. Non è stato un bel campionato. Tutte le squadre giocano allo stesso modo, è deleterio. Per questo viene a mancare anche il talento, c'è poca fantasia. Mi sembra di vedere il campionato francese, col Psg che è una vita che vince sempre con un distacco di punti enorme. Ai miei tempi, si arrivava sempre con due-tre punti di distacco, erano campionati combattuti fino alla fine. Vengono a mancare talenti perché c'è questo appiattimento sul piano del gioco.[6]
- [Sulla Juventus Football Club 2023-2024] In questa Juve in mezzo al campo non ci sono grandi fantasisti. Vlahovic deve fare da solo. Chiesa gioca da solo, non ha neanche la collaborazione dell'altro attaccante. A Firenze giocavano tutti per lui, a Torino è diverso, tra poca qualità a centrocampo e incompatibilità con Chiesa. [«Come valuta il lavoro di Allegri?»] [...] In mezzo al campo la Juve ha solo incontristi, non sono bravi nella gestione della palla. Il gioco da dove parte? Gli attaccanti sono sempre lasciati soli. Sicuramente è anche colpa dell'allenatore, la gestione è sua.[6]
Intervista di Germano Bovolenta, La Gazzetta dello Sport, 5 marzo 2005.
- [Su Diego Armando Maradona] Che numeri. Una volta gli ero addosso, incollato. L'avevo, come si dice adesso, ingabbiato. Si è girato con una piroetta, un tunnel ed è volato via. Io allora sono scattato e l'ho raggiunto e chiuso in angolo e lui si è messo ridere: "Hanno ragione a dire che sei Hulk: ti manca solo il colore verde".
- [Su Marco van Basten] Alcuni anni fa, l'ho visto [...] e mi ha chiesto: "Ma tu giochi ancora?" Era triste, è stato imbarazzante. Lui si era ritirato a 29 anni, io ne avevo 40 ed ero ancora in pista. È stata una perdita immensa. Noi del calcio, tutti noi, non sappiamo cosa abbiamo perso con l'addio di Marco. Giocatore unico, forse come i nostri duelli. Erano duri e spigolosi, ma leali. Ci siamo battuti e picchiati, non si è mai tirato indietro. Non era cattivo [...] ma il gomito lo alzava anche lui.
- Liedholm era molto superstizioso. Sulle maglie, ad esempio. Non potevamo prenderle, doveva consegnarle lui. Una volta, l'ho strappata dal mucchio, tanto sapevo il numero. Mi ha guardato malissimo: "Se succede qualcosa la colpa è tua. Non farlo più, capito?" Un'altra volta mi metto, per sbaglio, il suo cappotto: nelle tasche c'era di tutto. Ma proprio di tutto: sale, ciondoli, amuleti, boccettine, cornetti. Uomo fine e ironico ma credeva a queste cose.
Intervista di Giuseppe Bagnati, gazzetta.it, 25 aprile 2008.
- Avevo cominciato da ala destra, ero molto veloce, ma sbagliavo tanti gol. Un giorno manca un difensore e l'allenatore mi fa giocare dietro: da allora non ho più smesso.
- [Sul campionato di Serie A 1982-1983] Conquistammo lo scudetto anche se abbiamo perso tutti e due gli incontri con la Juventus. Credo che difficilmente verrà messa su una squadra con tanti grandi giocatori insieme: Falcao, Pruzzo, Conti, Di Bartolomei, Prohaska. C'era una città che attendeva questo scudetto da troppi anni: che sorpresa vedere Roma dipinta di giallorosso.
- [Sull'esperienza alla Sampdoria] Avevo detto a Mantovani: io non vengo, voglio giocare la Coppa dei Campioni. Non ci sentimmo per due mesi. Il presidente mi convinse perché stava costruendo in prospettiva una grande squadra. La forza di quella Samp è stato un gruppo di 7-8 giocatori che sono rimasti insieme a lungo. Fu un successo fondato sull'amicizia e fu uno scudetto anomalo: difficilmente si ripeteranno i fenomeni della Samp o del Verona. Nel 1990 mi chiamò il Milan, riferii a Mantovani che ero sul punto di accettare. Poi andammo in ritiro per una settimana per preparare la finale di Coppa Italia col Napoli. I miei compagni bussavano alla porta della mia stanza e mi dicevano di tutto. Alla fine mi lasciai convincere: va bene, resto fino a quando non vinceremo lo scudetto. E lo vinciamo l'anno dopo: a Genova è molto più difficile che in altri posti.
- Con Van Basten, Careca, Voeller, ho avuto soltanto scontri di gioco, ma mai una lite. Io pensavo soltanto a giocare. E quando ero a posto fisicamente e mentalmente non mi avrebbero messo in difficoltà.
- Io fino a 41 anni ho giocato perché mi piaceva. A Piacenza arrivavo all'allenamento un'ora prima degli altri. Cosa ci può essere di più bello di un mestiere che ti fa stare all'aria aperta e ti fa divertire?
Da un'intervista a Calcio 2000, novembre 2015; citato in Paolo Camedda, goal.com, 6 aprile 2022.
- Come tutti i ragazzi in quel periodo ho cominciato a giocare a calcio in oratorio. Inizialmente però non ero un difensore, ma facevo la punta. Poi una domenica alla squadra mancava un difensore e l'allenatore mi chiese se volevo provare a sostituirlo. Io risposi di sì, e gli chiesi cosa dovevo fare. "Vedi quello lì? Lo devi seguire dappertutto", mi disse. Da quell'episodio è nata la mia carriera da difensore...
- Con i viola sfiorammo lo Scudetto nel 1981-82. All'ultima giornata giocavamo a Cagliari. Avremmo dovuto vincere per andare allo spareggio, ma ci annullarono un goal regolare di Graziani, mentre la Juventus passò a Catanzaro con un rigore molto dubbio trasformato da Brady. Lo spareggio sarebbe stato giusto, evidentemente non c'erano i tempi, visto che c'era da preparare il Mondiale in Spagna...
- [Sull'esperienza alla Roma] I grandi giocatori furono molto accoglienti con me, mi trattavano molto bene. Ricordo un aneddoto con Pruzzo. L'anno prima lo marcai quando giocavo con la Fiorentina, e gli diedi una gomitata. Quando arrivai alla Roma lui non perse l'occasione di ricordarmelo...
- Ci mancò solo la Coppa dei Campioni, che perdemmo in finale ai supplementari contro il Barcellona nel 1992. Quello resta l'unico rammarico. Perché sapevamo di essere i più forti, e di fronte avevamo uno dei Barcellona più modesti della storia recente. Invece sbagliammo tanti goal, e nei supplementari Koeman ci punì su punizione dalla distanza... Forse anche Pagliuca ha le sue responsabilità, perché il tiro era sul suo palo e lui non riuscì a prendere il pallone... Ma era una conclusione molto potente.
- La Juventus è una grande società, che ti mette in condizione di pensare al calcio. Forse in quegli anni era ancora più grande di oggi: in quella squadra c'era gente come Vialli, Del Piero, Ferrara, Paulo Sousa... Curiosamente la finale del 1996 contro l'Ajax si giocava a Roma, la stessa città dove 13 anni prima avevo vinto il mio primo Scudetto. Per me fu una notte bellissima, a 37 anni giocare una finale di Champions League e vincerla è il massimo per un calciatore. Ricordo che potevamo chiudere prima la partita, ma avremmo potuto anche perderla. Una volta tanto una squadra italiana vinse ai calci di rigore. È stato incredibile.
- Avevo 38 anni e decisi di accettare la proposta biancorossa. Piacenza era una città piacevole in cui vivere. Quell'esperienza mi ricordò i primi anni con il Como. C'erano tanti problemi, e bisognava fare sempre i conti con una certa sudditanza psicologica degli arbitri verso le grandi squadre. Cercavamo di sbagliare il meno possibile, ma qualche errore si faceva. Nonostante tutto, però, conquistammo due salvezze consecutive e mi tolsi delle belle soddisfazioni, come il goal salvezza nel 1998-99 contro la Salernitana.
Lorenzo Nicoletti, radioblackandwhite1897.wordpress.com, 14 giugno 2020.
- Io capisco che la marcatura a uomo sia oramai lontana dalla direzione che ha preso il calcio attuale, ma ci sono situazioni particolari come quando sei in area di rigore o in porzioni di campo potenzialmente critiche in cui il pericolo non è più la palla, bensì l'uomo. In quei frangenti devi necessariamente stare più vicino all'uomo della tua zona di competenza, devi marcarlo più stretto, è lui il pericolo numero uno in quel momento. Troppo spesso oggigiorno vedo invece l'attaccante staccato 10 metri rispetto al difensore e questo gli dà la possibilità di ricevere palla e puntarlo. E il difensore che fa a quel punto? Scappa all'indietro, non lo affronta più come una volta. [...] Ma facendo così si fa peggio a mio parere, perché in questo modo quando l'attaccante arriva a 18-20 metri dalla porta se tu non sei lì addosso a lui ma gli sei distante qualche metro, ha tutto il tempo di pensare, guardare, prendere la mira e tirare bene a rete. Se invece lo marchi da vicino può anche calciare si, ma magari ti tira addosso, o comunque hai la possibilità di rimpallare la conclusione e contrastarlo col piede. Inoltre se sei più vicino al tuo rivale, forse anche il suo compagno di squadra non gli passa la palla perché lo vede marcato, e si perde un tempo di gioco che per la squadra che difende potrebbe essere essenziale.
- Il presidente della Sampdoria Mantovani mi aveva ceduto ad Agnelli nell'estate del 1990, quella dei mondiali italiani. Oltretutto che con la nazionale avevamo come capo delegazione Boniperti, il quale per un mese ogni mezz'ora passava nella mia stanza a chiedermi quando sarei passato alla Juventus. Nel frattempo però Mantovani, che già mi aveva venduto come detto dando la sua parola, fece un clamoroso dietrofront ripensandoci e mi chiamò dicendo: "Guarda Pietro, io ho dovuto cederti perché non potevo dire di no ad Agnelli, però tu dì che non te la senti di andare a Torino e che per ora preferisci rimanere a Genova, insomma... prenditi la colpa!". E così avvenne.
- Paradossalmente [...] non era quando incontravo [...] campioni che ero preoccupato perché alla fine se avessero segnato avrebbero tutto sommato fatto il loro e io non avrei avuto molte responsabilità, mentre se li avessi marcati bene avrei avuto soltanto meriti e inoltre tenere la concentrazione alta contro di loro veniva naturale; quando invece incontravo squadre inferiori e attaccanti meno quotati passavo settimane di preparazione alle partite meno tranquille, sapevo che se avesse segnato il mio uomo avrei avuto critiche dure.
- [Sulla finale della UEFA Champions League 1995-1996] [...] aver rigiocato e vinto la Coppa dei Campioni dopo 4 anni dalla sconfitta di Wembley, a 37 anni, ritengo sia stato qualcosa di sensazionale, emozionante, appagante. Quell'Ajax oltretutto era una grande squadra, erano i campioni in carica, avevano un allenatore in quel momento tra i migliori che era van Gaal e giocatori di grandissima qualità, da van Der Sar a Kanu, da Blind ad Overmars, da Davids a Kluivert, dai fratelli de Boer a Litmanen, passando per Finidi. Ma noi giocammo una stupenda partita, meritando di vincere ben prima dei rigori.
- [Su Gaetano Scirea] Ci ho giocato insieme solo alcune partite in Nazionale ma mi sarebbe piaciuto davvero avere molte più possibilità di essere accanto a lui. Era un grande, grandissimo giocatore. Di suprema intelligenza, sempre al posto giusto pur non essendo velocissimo. Per le caratteristiche opposte e complementari che avevamo saremmo stati proprio una grande coppia di centrali difensivi. Scirea era eleganza applicata al calcio, una lettura della palla e di come si sarebbe svolta l’azione semplicemente perfette.
Citazioni su Pietro Vierchowod
modifica- Buonissimo, anche in campo, la sua natura idilliaca lo porta a ragionar meno ed a fidarsi di più, così gli giocano qualche scherzo. [...] Pietro il Russo, Pietro il Gigante che mi ricorda Remondini o Tognon. Saprà diventare il centromediano dando ai suoi piedoni un po' di pulizia? Tutti ce lo auguriamo. Perché amare il calcio significa, per conto mio, considerare importanti quelli come Vierchowod. (Vladimiro Caminiti)
- Pietro Vierchowod. La sua faccia da rettile estinto, il suo fisico da bronzo di Riace, i suoi gol di puro odio. (Sandro Veronesi)
- Vierchowod: indiscutibile la sua sampdorianità. Attacca adesivi blucerchiati in via Venti Settembre. (Paolo Mantovani)
- Vierchowod, in assoluto, il peggiore difensore da affrontare. Fisico e veloce. Non lo sovrastavi. Non lo dribblavi, mi metteva sempre in grande difficoltà. (Fabrizio Ravanelli)
Note
modifica- ↑ Dall'intervista di Angelo Caroli, Vierchowod: giovani, fatemi largo, La Stampa, 3 giugno 1996, p. 32.
- ↑ Dall'intervista di Stefano Petrucci, Vierchowod: E adesso mi dedico a Balbo, Corriere della Sera, 15 gennaio 1998, p. 47.
- ↑ Citato in Massimo Norrito, Maradona, Pelè o Montesano?, la Repubblica, 4 ottobre 2003.
- ↑ Da Matteo Bordiga, Italia '90 – Il sogno mancato, Leone Edizioni, 2018; citato in Massimo Moscardi, Vierchowod: «Italia 1990: Vicini buttò il Mondiale per seguire la sua filosofia», corrieredicomo.it, 11 giugno 2018.
- ↑ a b Dall'intervista di Alberto Cerruti, «Marcai Ronaldo a 41 anni: a 60 datemi Cristiano», La Gazzetta dello Sport, 6 aprile 2019, p. 21.
- ↑ a b Da un'intervista a Radio Anch'io Sport, Rai Radio 1; citato in Simone Bernabei, Vierchowod: "Campionato modesto. Vlahovic gioca da solo, Juve senza centrocampisti di qualità", tuttomercatoweb.com, 8 aprile 2024.
Altri progetti
modifica- Wikipedia contiene una voce riguardante Pietro Vierchowod
- Commons contiene immagini o altri file su Pietro Vierchowod