Stendhal

scrittore francese
(Reindirizzamento da San Francesco a Ripa)

Stendhal, nom de plume di Marie-Henri Beyle (1783 – 1842), scrittore e reporter di viaggio francese.

Stendhal nel 1840

Citazioni di Stendhal

modifica
  • Confesso di essermi ricordato i versi di Montesquieu sul piacere di lasciare Genova, e il famoso proverbio italiano: «Mare senza pesce, donna senza bellezza», ecc.[1]
  • Credo che el amor mio per Cimarosa vienne di ciò ch'egli fa nascere delle sensazioni pareilles a quelle che desidero di far nascere un giorno. Quel misto di allegria et tenerezza del "Matrimonio" è affatto congeniale per me.[2]
  • Dio ha una sola scusa, che non esiste.[3]
L'unica scusa di Dio è che non esiste.[4]
  • Gli occhi sono abbagliati, l'anima rapita... non c'è nulla, in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo teatro, ma ne dia la più pallida idea.[5]
  • Gli spinaci e Saint-Simon sono i soli miei gusti durevoli, sempre tuttavia dopo quello di vivere a Parigi con cento luigi di rendita, scrivendo libri.[6][7]
  • Gli uomini si capiscono solo nella misura in cui sono animati dalle stesse passioni.[8][9]
  • Guardare da vicino il proprio dolore è un modo di consolarsi.[10][9]
  • Il papa ama riposarsi in compagnia della moglie di Gaetanino [...] una donna che può avere trentasei anni, non è né bene né male.[11]
  • Il romanticismo è l'arte di presentare ai popoli le opere letterarie che, nello stato attuale delle loro abitudini e delle loro consuetudini, procuri loro il maggior piacere possibile. Il classicismo, al contrario, presenta loro la letteratura che ha procurato il maggior piacere possibile ai loro nonni.[12]
  • Il Talma, che la posterità porrà forse così in alto, aveva l'anima tragica, ma era così sciocco che cadeva nelle affettazioni più ridicole. Ho il sospetto che, oltre l'eclissi totale dello spirito, aveva ancora quella sensibilità indispensabile per attirare i trionfi e che ho ritrovato, con tanto dispiacere, perfino nel mirabile e simpatico Béranger. Il Talma dunque fu probabilmente servile, basso, rettile, adulatore e forse qualcosa di più ancora verso madame de Stäel che, continuamente e stupidamente occupata della sua bruttezza (se una tal parola di stupidità può essere scritta a proposito di quella donna meravigliosa) aveva bisogno, per essere rassicurata, di ragioni palpabili e sempre rinascenti.[13]
  • L'amore è un bellissimo fiore, ma bisogna avere il coraggio di coglierlo sull'orlo di un precipizio.
L'amour est une fleur délicieuse, mais il faut avoir le courage d'aller la cueillir sur les bords d'un précipice affreux.[14]
  • [Sulla città di Varese e il Sacro Monte] L'aspetto del borgo disposto tutt'intorno alla chiesa è singolare. Le montagne grandiose. Insieme magnifico: al calar del sole, noi vedemmo sette laghi. Credetemi, cari amici, ho potuto girare in lungo e in largo Francia e Germania senza ricavare simili sensazioni.[15]
  • L'uomo d'ingegno [...] deve fare il possibile per acquistare quello che gli è strettamente necessario per non dipendere da nessuno [...]; ma se, ottenuta questa sicurezza, perde tempo ad aumentare la sua fortuna, è un miserabile.[16]
  • La perfezione della civiltà sarebbe combinare tutti i piaceri delicati del XIXo con la presenza più frequente del pericolo.
La perfection de la civilisation serait de combiner tous les plaisirs délicats du XIXe siècle avec la présence plus fréquente du danger.[17]
  • La prima necessità di una città è di avere portici dove si possa passeggiare in pace quando tira vento o piove. Varese, in Lombardia, Brescia, eccetera, hanno eccellenti portici a destra e a sinistra del teatro, portici bassi dove la pioggia non può penetrare, qualunque sia la forza del vento.[15]
  • [...] la religione, come quel potere assoluto temperato dalle canzoni che è la monarchia francese, hanno prodotto cose singolari che il mondo non avrebbe mai visto se queste due istituzioni fossero mancate.[18]
  • Le parole sono sempre una forza che si cerca fuori di sé.[19]
  • Mi metterei volentieri una maschera sul volto e con diletto cambierei il mio nome.[20]
  • Noi vediamo le cose quali la nostra testa se le figura. Bisogna quindi conoscere questa nostra testa.[21]
  • Non ci consoliamo dei dolori, ce ne distraiamo.[22][9]
  • Sono convinto che il popolo inglese, sottoposto alle situazioni che dal 1530 avvelenano l'Italia in tutte le maniere e da ogni parte, sarebbe più disprezzabile.[23]

Attribuite

modifica

Epistole

modifica
  • Napoli, 14 gennaio 1832
    Sul cratere c'è un piccolo pan di zucchero, che getta delle pietre rosse ogni cinque minuti. Il Sig. Jousseau ha voluto andarci e si è bellamente scorticato mani e caviglie percorrendo una pianta composta da filigrana di lava che si sbriciola sotto i piedi. La salita è abominevole; mille piedi di ceneri con una pendenza di circa quarantacinque gradi. Il piede sul quale ci si appoggia scivola continuamente indietro. Nella mia ira, ho fatto cinque o sei progetti per rendere il percorso comodo con mille scudi. Per esempio, dei tronchi d'abete messi uno di fianco all'altro ed una poltrona che scivola su questo piano inclinato, rimorchiata, come alle montagne russe, da una piccola macchina a vapore. Il re di Napoli acquisterebbe una fama europea con questa invenzione...[25]
  • Ieri sono salito sul Vesuvio: la più grande fatica che abbia fatto in vita mia. La cosa diabolica è arrampicarsi sul cono di cenere. Forse entro un mese tutto ciò sarà cambiato. Il preteso eremita spesso un bandito, convertito o meno: buona idiozia scritta nel suo libro, firmata da Bigot de Preameneu. Occorrerebbero dieci pagine e il talento di Madame Radcliffe per descrivere la vista che si gode mentre si mangia la frittata preparata dall'eremita. (Stendhal 1832)[26]

Dell'amore

modifica
  • Bellezza è una promessa di felicità.[27]
  • Ci sono due disgrazie al mondo: quella della passione contrastata e quella del vuoto assoluto. Con l'amore, sento che esiste a due passi da me una felicità immensa e al di là di tutti i miei desideri, che non dipende che da una parola, da un sorriso. Senza passione come Schiassetti, nei giorni tristi, non vedo la felicità da nessuna parte, arrivo a dubitare che essa esista per me, cado nello spleen. Bisognerebbe essere senza passioni forti e avere solo un po' di curiosità o di vanità.
  • È molto più contrario al pudore andare a letto con un uomo che si è visto solo due volte, dopo tre parole in latino dette in chiesa, che cedere suo malgrado a un uomo che si adora da due anni.[7]
  • Il fluido nervoso negli uomini è consumato dal cervello e nelle donne dal cuore; è per questo ch'esse sono più sensibili. Un intenso lavoro obbligato, e nel mestiere che abbiamo fatto tutta la vita, ci consola, ma per loro niente può consolarle se non la distrazione.
  • In solitudine un uomo può acquisire qualsiasi cosa, ma non un carattere.
On peut tout acquérir dans la solitude, hormis du caractère.
  • L'amore è come la febbre: nasce e si spegne senza che la volontà vi abbia alcuna parte.
L'amour est comme la fièvre, il nait et s'éteint sans que la volonté y ait la moindre part.
  • L'amore è un fiore delizioso, ma bisogna avere il coraggio di andare a coglierlo sui bordi di un precipizio spaventoso. Oltre al ridicolo, l'amore vede sempre al suo fianco la disperazione d'esser lasciato dall'oggetto amato, e non resta più che un dead blank per tutto il resto della vita.
  • L'anima, a sua insaputa annoiata di vivere senz'amare, convinta malgrado se stessa, dall'esempio delle altre donne, dopo aver superato tutti i timori della vita, scontenta della triste soddisfazione dell'orgoglio, s'è fatta, senza accorgersene, un modello ideale. Essa incontra un giorno un essere che assomiglia a questo modello, la cristallizzazione riconosce il suo oggetto dal turbamento che ispira e consacra per sempre al padrone del suo destino ciò che essa sognava da tanto tempo.
  • La più grande gioia che può dare l'amore è la prima stretta di mano della donna amata.[7]
  • La vista di tutto ciò che è estremamente bello, in arte o in natura, richiama con la rapidità del fulmine il ricordo di chi si ama.[28]
  • Lasciate lavorare la testa di un amante per ventiquattr'ore, ed ecco cosa troverete. Alle miniere di sale di Salisburgo, si getta, nelle profondità abbandonate della miniera, un rametto d'albero spoglia a causa dell'inverno; due o tre mesi dopo lo si ritrae coperto di cristallizzazioni brillanti: i rami più piccoli, quelli che non sono più grossi della zampina di una cinciallegra, sono guarniti d'una infinità di diamanti, mobili e abbaglianti; è impossibile riconoscere il rametto primitivo. Quel che chiamo cristallizzazione, è l'operazione dello spirito che trae da tutto ciò che si presenta la scoperta di nuove perfezioni dell'oggetto amato. Un viaggiatore parla della freschezza dei boschi d'aranci a Genova, sulla riva del mare, nei giorni brucianti dell'estate; che piacere gustare questa freschezza con lei! Un vostro amico si rompe un braccio a caccia; com'è dolce ricevere le cure di una donna che si ama! Essere sempre con lei e vederla amarvi continuamente, farebbe quasi benedire il dolore; e partite dal braccio rotto dell'amico, per non dubitare dell'angelica bontà della nostra innamorata. In una parola, basta pensare a una perfezione per vederla in ciò che si ama.
  • Nelle donne tenere che non hanno avuto molti amanti, il pudore è un ostacolo alla disinvoltura dei modi, e ciò le espone a lasciarsi un po' guidare dalle loro amiche che non hanno da rimproverarsi la stessa mancanza, essere prestano attenzione ad ogni caso particolare, invece di rimetterci ciecamente all'abitudine. Il loro pudore delicato comunica alle loro azioni un che di impacciato; a forza di esser naturali esse danno l'impressione di mancare di naturalezza; ma questa goffaggine ha della grazia celeste.
  • Più grande è la noia della vita abituale, più sono attivi i veleni chiamati gratitudine, ammirazione, curiosità. Occorre allora una rapida, pronta ed energetica distrazione.
  • Quel che è forse più saggio, è di farsi confidenti di se stessi. Scrivete stasera sotto falsi nomi, ma con tutti i particolari interessanti, il dialogo che avete appena avuto con la vostra amica, e la difficoltà che vi turba. Tra otto giorni se voi provate l'amore- passione, sarete un altro uomo, e allora, consultando il vostro scritto, voi potrete darvi un buon consiglio.
  • Quello che mi fa credere i Werther più felici, è che Don Giovanni riduce l'amore a essere soltanto un affare ordinario, invece di avere come Werther delle realtà che si modellano sui suoi desideri, ha dei desideri soddisfatti imperfettamente dalla fredda realtà, come nell'ambizione, l'avarizia e le altre passioni. Invece di perdersi nei sogni incantatori della cristallizzazione, egli pensa come un generale al successo delle sue manovre, e in una parola uccide l'amore invece di goderne più di un altro come crede la gente comune.
  • Se c'è naturalezza perfetta, la felicità di due individui arriva a fondersi. A causa della simpatia e di parecchie altre leggi della nostra natura, questa è semplicemente la più grande felicità che possa esistere. È tutt'altro che facile determinare il senso di questa parola: naturalezza, condizione necessaria della felicità che si ottiene con l'amore.
  • Tra uomini, quando si è più di due e l'invidia è possibile, la correttezza obbliga a parlare soltanto di amore fisico; guardate la fine delle cene tra uomini.
  • Un uomo sensibile, dal momento in cui il suo cuore è emozionato, non trova più in sé tracce d'abitudine per guidare le sue azioni; e come potrebbe seguire un cammino di cui non ha più la traccia? Egli sente il peso immenso che si attacca ad ogni parola che egli dice all'oggetto amato, gli sembra che una parola deciderà della sua sorte. Come potrà non cercare di dire bene? O almeno come non avere la sensazione di dir bene? Da quel momento non c'è più candore, questa qualità di un'anima che con fa alcun ritorno su di sé. Si è quel che si può, ma si sente quello che si è.

[Stendhal, Dell'amore, traduzione di Maddalena Bertelà, Aldo Garzanti Editore, 1976]

Il rosso e il nero

modifica

Massimo Bontempelli

modifica

1. Una città piccola.
La cittaduzza di Verriéres può passare per una delle più graziose della Franca Contea. Le sue case bianche con i tetti a punta, di tegole rosse, si stendono sul declivio d'una collina, sulla quale boschi di vigorosi castagni segnano le minime sinuosità. Il Doubs scorre qualche centinaio di piedi al di sotto delle sue fortificazioni, costruite già dagli Spagnuoli, e oggi in rovina.
[Stendhal, Il rosso e il nero, traduzione di Massimo Bontempelli, Newton Compton editori, 1994]

Ugo Dettore

modifica

La cittadina di Verrières può considerarsi una delle più graziose della Franca Contea. Le sue casette bianche dai tetti aguzzi di tegole rosse si stendono sul clivo di una collina segnata in ogni più lieve sinuosità da ciuffi di vigorosi castagni; il Doubs scorre qualche centinaio di piedi sotto i bastioni, costruiti un tempo dagli Spagnoli e oggi in rovina.
[Stendhal, Il rosso e il nero, traduzione di Ugo Dettore, Biblioteca Universale Rizzoli, 1980]

Alfredo Fabietti

modifica

La cittadina di Verrières può esser considerata una delle più graziose della Franca Contea. Le sue case bianche, con tetti aguzzi di embrici rossi, si stendono sul declivio di una collina, dalla quale i folti di vigorosi castagni contrassegnano le più piccole sinuosità. Il Doubs scorre qualche centinaio di piedi in basso delle sue fortificazioni, un tempo edificate dagli Spagnuoli, ed ora in rovina.
[Stendhal, Il rosso e il nero, traduzione Alfredo Fabietti, Vallecchi editore, Firenze]

Fruttero & Lucentini

modifica

La cittadina di Verrière può dirsi una delle più graziose della Franche-Comté. Le sue bianche case dai tetti di tegole rosse sorgono sul fianco d'una collina boscosa ai cui piedi scorre il Doubs. L'alta montagna che la protegge da nord fa parte del sistema del Giura.
[Stendhal, Il rosso e il nero, citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

Diego Valeri

modifica

La piccola città di Verrières può passare per una delle più graziose della Franca Contea. Le sue case bianche, dai tetti aguzzi di tegole rosse, si stendono sul pendio di una collina, le cui minime sinuosità son poste in evidenza da macchie di robusti castagni. Qualche centinaio di piedi sotto le sue fortificazioni, costruite un tempo dagli Spagnoli ed ora in rovina, scorre il Doubs.
[Stendhal, Il rosso e il nero, traduzione di Diego Valeri, G. C. Sansoni, Firenze 1967]

Citazioni

modifica
  • A Parigi, la condizione di Julien di fronte alla signora Renal sarebbe in breve divenuta molto semplice; ma a Parigi l'amore è figlio dei romanzi. (cap. VII)
  • Ma ciò che non vedeva era l'espressione dei propri occhi: erano così belli e annunciavano un'anima così ardente che, come fanno gli attori ottimi, davano talvolta un sentimento a parole che non ne avevano. (cap. VII)
  • Ogni vera passione non pensa che a se stessa. È questa, mi pare, la ragione per cui le passioni sono così ridicole a Parigi, ove il vicino pretende sempre che si pensi molto a lui. (cap. XXI)
  • La politica (...) è una pietra al collo della letteratura che, in meno di sei mesi, la sommerge. La politica in mezzo agli interessi della fantasia è un colpo di pistola nel bel mezzo di un concerto. (XXII, II)
La politique [...] est une pierre attachée au cou de la littérature, et qui, en moins de six mois, la submerge. La politique au milieu des intérêts d'imagination, c'est un coup de pistolet au milieu d'un concert.[29]
  • Durante il primo atto dell'Opera, Matilde pensò col più schietto ardore di passione all'uomo che amava; ma al secondo atto una massima amorosa cantata, bisogna dirlo, su di una melodia degna di Cimarosa, le andò in fondo al cuore. L'eroina dell'opera diceva: «Debbo punirmi di amarlo troppo!»
    Appena ebbe sentito quel canto sublime, tutto il mondo sparve agli occhi di Matilde. Le parlavano, non rispondeva; la madre la rimproverava, Matilde riusciva appena a guardarla.
    La sua estasi giunse a uno stato di esaltazione e di passione paragonabile ai più violenti dei moti che da qualche giorno agitavano Giuliano per lei. La melodia divinamente bella su cui era cantata la massima che rispondeva così singolarmente alla sua condizione, la perseguitava, in tutti i momenti in cui non pensava direttamente a Giuliano.
    Grazie al suo senso musicale, per tutta quella sera fu com'era sempre Luisa Renal quando pensava a Giuliano. L'amore cerebrale ha certo più spirito che l'amore vero, ma ha solo alcuni momenti d'entusiasmo; conosce troppo sé medesimo, si giudica continuamente; lungi dal liberarci dal pensiero, non è esso stesso costruito d'altro che di pensieri. (cap. XLIX; 1929)
  • Un romanzo è uno specchio che passa per una via maestra e ora riflette al vostro occhio l'azzurro dei cieli ora il fango dei pantani. E l'uomo che porta lo specchio nella sua gerla sarà da voi accusato di essere immorale! Lo specchio mostra il fango e voi accusate lo specchio! Accusate piuttosto la strada in cui è il pantano, e più ancora l'ispettore stradale che lascia ristagnar l'acqua e il formarsi di pozze.
Un romanzo, signori, è uno specchio trasportato lungo una strada maestra. A volte esso riflette ai vostri occhi l'azzurro del cielo, a volte il fango delle pozzanghere sulla via. E l'uomo che porta lo specchio sulla schiena è accusato da voi di immoralità! Il suo specchio mostra il fango e voi maledite lo specchio! (citato in Wendy Griswold, Sociologia della cultura)
  • Guai all'uomo di studio che non appartiene a nessuna consorteria; gli saran rimproverati anche i più piccoli e incerti successi, e l'alta virtù trionferà derubandolo. (cap. XLIX; 1929)
  • La vita d'un uomo era un seguito di pericoli. Ora la civiltà ha cacciato il pericolo, non c'è più imprevisto. Se dell'imprevisto appare nei pensieri, non si hanno abbastanza epigrammi contro di esso; se appare negli avvenimenti, nessuna vigliaccheria è più bassa della nostra paura. Qualunque follia la paura ci faccia commettere, è scusata. Secolo degenerato e noioso! (cap. XLIV; 1929)
  • «Una mosca effimera nasce alle nove d'una mattina di piena estate, per morire alle cinque di sera; come potrebbe comprendere la parola notte? Datele cinque ore di vita di più, vede e intende che cosa è la notte. Così io morirò a ventitré anni. Datemi cinque anni di vita per vivere con Luisa.» (cap. LXIII; 1929)
  • Era in quello stato di stupore e di turbamento inquieto in cui piomba l'anima che ha appena ottenuto ciò che ha desiderato a lungo. Abituata a desiderare, non trova più niente da desiderare, mentre non ha ancora dei ricordi. (1990)
  • Spesso egli rideva di cuore di quel che si diceva in quel gruppetto, ma si sentiva incapace d'inventare qualcosa di simile. Era come una lingua straniera, ch'egli capiva, ma non sapeva parlare. (1990)
  • L'aria malinconica non è di buon gusto; ci vuole l'aria annoiata. Se siete malinconico, è segno che qualcosa vi manca, che non siete riuscito in qualche cosa. È un segno manifesto d'inferiorità. Invece se siete annoiato, è inferiore ciò che ha cercato vanamente di piacervi. (1990)
  • No, le persone che il mondo onora non sono che delle canaglie che hanno avuto la fortuna di non essere colte in flagrante. (1990)

La Certosa di Parma

modifica

Annamaria Laserra

modifica

Il 15 maggio 1796 fece il suo ingresso in Milano il generale Bonaparte a capo del giovane esercito che, varcando il ponte di Lodi, aveva testé annunciato al mondo che dopo tanti secoli Cesare ed Alessandro avevano un successore. I miracoli di valore e di genio a cui assistette l'Italia nel volgere di pochi mesi ridestarono un popolo addormentato; i Milanesi, non più di otto giorni prima che arrivassero i Francesi, li reputavano solo una accozzaglia di briganti, abituati immancabilmente a scappare davanti alle truppe di Sua Imperial Regia Maestà: era comunque quanto si sentivano ripetere tre volte la settimana da un giornaletto grande un palmo, stampato su cartaccia. [Stendhal, La Certosa di Parma, traduzione di Annamaria Laserra, Gruppo Editoriale L'Espresso SpA, Roma, 2004]

Ferdinando Martini

modifica

Il 15 maggio 1796 il general Bonaparte entrò a Milano alla testa del giovine esercito che aveva varcato il ponte di Lodi e mostrato al mondo come dopo tanti secoli Cesare e Alessandro avessero un successore.
I miracoli d'ardimento e d'ingegno che l'Italia vide compiersi in pochi mesi risvegliarono un popolo addormentato: otto giorni avanti che i Francesi giungessero, i Milanesi li credevano un'accozzaglia di briganti usi a scappar di fronte alle truppe di Sua Maestà Imperiale e Reale, che questo diceva e ripeteva tre volte la settimana un giornalucolo grande come il palmo della mano e stampato su una sudicia carta.
[Stendhal, La certosa di Parma, traduzione di Ferdinando Martini, Mondadori, 1930]

Camillo Sbarbaro

modifica

Il 15 maggio 1796 il generale Bonaparte entrò in Milano a capo di quella giovane armata che aveva varcato il ponte di Lodi e annunciato al mondo che dopo tanti secoli Cesare e Alessandro avevano un successore. I prodigi d'ardimento e di genio cui l'Italia assistette nel giro di qualche mese, ridestarono un popolo addormentato; ancora otto giorni prima dell'arrivo dei francesi, i milanesi non vedevano in essi che un'accozzaglia di briganti avvezzi a fuggir sempre davanti alle truppe di Sua Maestà Imperiale e Reale; questo almeno era quanto ripeteva loro tre volte alla settimana un giornaletto, grande come la mano, stampato su cattiva carta.
[Stendhal, La Certosa di Parma, traduzione di Camillo Sbarbaro, Einaudi]

Citazioni

modifica
  • La vita fugge, non opporre resistenza alla felicità che ti viene incontro... affrettati a goderne. (2012, cap. II)
  • Quella specie di coraggio ridicolo che si chiama rassegnazione. (Libro Primo – Capitolo II)
  • La contessa tornò con Fabrizio a rivedere i deliziosi dintorni di Grianta, celebrati da tutti i viaggiatori: la villa Melzi dall'altra parte del lago, di fronte al castello, cui fa da prospettiva, più su, il bosco sacro di Sfondrata e l'arduo promontorio che separa i due bracci del lago, quello di Como così voluttuoso, quello che va verso Lecco sì pieno di austerità: aspetti sublimi e graziosi che il luogo per beltà più famoso nel mondo, la baia di Napoli, eguaglia ma non supera. Con vero rapimento la contessa sentiva ravvivarsi i ricordi della sua prima giovinezza e li paragonava alle sue sensazioni presenti. «Il lago di Como — diceva — non è come il lago di Ginevra circondato di grandi campi ben delimitati e coltivati coi migliori sistemi, che fanno pensare ai denari e alla speculazione. Qui da qualunque parte io mi volga veggo colli di ineguali altitudini vestiti di alberi piantati alla ventura che la mano dell'uomo non ancora ha guasti e costretti a fruttar bene. Tra questi poggi dalle linee ammirevoli che precipitano verso il lago per tanto singolari scoscendimenti, mi è consentito serbar le illusioni destate dalle descrizioni dell'Ariosto e del Tasso. Tutto qui nobilmente, squisitamente parla d'amore, nulla v'ha che rammenti le brutture della civiltà. A mezza costa, celate da grandi alberi, si rannicchiano le borgate e oltre le vette degli alberi spunta, si erge la vaghezza architettonica dei loro campanili. Se qualche campicello si intromette qua e là nei gruppi di castagni e di ciliegi salvatici, le piante paion crescervi felicemente più vigorose che altrove e lo sguardo vi si riposa contento. E di là dai colli, le cui sommità offrono eremi che si abiterebbero tutti volentieri, l'occhio attonito scorge il perpetuo niveo candor delle cime delle Alpi che nella lor solenne austerità gli rammentano quel tanto delle avversità della vita, quanto basti a maggiormente pregiare il presente benessere. Il suono della campana di un lontano villaggio sperduto fra le selve stimola la fantasia: le note scorron sulle acque attenuandosi in un tono di malinconia rassegnata e sembrano dire all'uomo: la vita fugge, non opporre resistenza alla felicità che ti viene incontro... affrettati a goderne.» (Libro Primo – Capitolo II, 1930, pp. 38-39)
  • Soprattutto non bisogna formulare obiezioni mediante i vari pezzi della propria ignoranza. (Libro Primo – Capitolo VII)
  • Un individuo anche mezzo scemo, ma che sia accorto, sempre prudente, assapora spesso il piacere di avere la meglio sugli uomini di immaginazione. (Libro Primo – Capitolo X)
  • [Fabrizio] chiedeva perdono a Dio per molte cose; ma, fatto notevole, non pensò neppure ad annoverare tra i suoi peccati il progetto di diventare arcivescovo, per la semplice ragione che il conte Mosca era primo ministro e giudicava quel posto e i suoi svariati privilegi convenienti al nipote della duchessa. Fabrizio l'aveva desiderato senza eccessivo slancio, è vero, però ci aveva pensato spesso, proprio come avrebbe fatto per un posto di ministro o di generale. Non gli era mai passato per la testa che la sua coscienza potesse avere voce in capitolo nel progetto della duchessa: e questo è un esempio concreto della strana forma di religione imparata da Fabrizio presso i gesuiti di Milano. È una religione che toglie il coraggio di pensare alle cose che non rientrano nelle abitudini, e vede nell'esame di coscienza il più grave di tutti i peccati, perché rappresenta un passo avanti verso il protestantesimo. Per sapere di cosa si è colpevoli, bisogna chiederlo al prete, oppure leggere la lista dei peccati così come appare nei libri intitolati "Preparazione al sacramento della Penitenza". Fabrizio sapeva a memoria la lista dei peccati redatta in latino; l'aveva imparata all'Accademia Ecclesiastica di Napoli. Mentre la recitava, arrivato alla voce "delitto", si era accusato davanti a Dio di avere ucciso un uomo, anche se per legittima difesa. Aveva rapidamente elencato, ma senza farci attenzione, i diversi articoli relativi al peccato di simonia (procurarsi attraverso il denaro le dignità ecclesiastiche). Se gli avessero chiesto cento luigi per diventare primo gran vicario dell'arcivescovo di Parma, avrebbe respinto la proposta con sdegno; ma, pur non mancando di intelligenza né di logica, non gli venne mai in mente che impiegare a suo vantaggio l'autorità del conte Mosca fosse una simonia. E qui trionfa l'educazione gesuitica: abituare la gente a non fare attenzione a cose più chiare della luce del sole. Un francese cresciuto all'insegna dell'interesse personale e nutrito di ironia parigina avrebbe facilmente, e in buona fede, accusato Fabrizio di ipocrisia, proprio nel momento in cui il nostro eroe apriva il suo cuore a Dio con la più grande sincerità e la più profonda commozione. (Libro Primo – Capitolo XII)
  • L'amore coglie sfumature invisibili a un occhio indifferente e ne trae conseguenze infinite. (Libro Secondo – Capitolo XVIII)
  • L'amante pensa più spesso a giungere presso la sua diletta che non il marito a custodire la moglie; il prigioniero pensa più spesso a fuggire che non il carceriere a chiudere la porta; quali che siano dunque gli ostacoli, l'amante e il prigioniero debbono riuscire. (Libro Secondo – Capitolo XIX)
  • La sua [di Clelia] profonda fede e la fiducia nell'aiuto della Madonna, erano ormai le sue uniche risorse.
  • Quale insolenza verso me stesso! Perché dovrei credere di essere più intelligente oggi di quando presi la decisione [per cambiarla]? (Libro Secondo – Capitolo XXI)
  • È esatto dire che, in mezzo ai bassi interessi del denaro e alla scolorita freddezza dei pensieri volgari che riempiono la nostra vita, le azioni ispirate da una vera passione mancano raramente di produrre il loro effetto, quasi che una divinità propizia si desse premura di condurle per mano. (Libro Secondo – Capitolo XXII)
  • Il suo sguardo mi rapisce in estasi (Capitolo XXVI)
  • E all'improvviso, molto, molto in alto alla mia destra, ho visto un'aquila, l'uccello di Napoleone, volare verso la Svizzera, dunque verso Parigi. E allora, fulmineamente, mi sono detto: anch'io attraverserò la Svizzera rapido come quell'aquila [...] In quell'istante, vedevo ancora l'aquila in cielo e i miei occhi si sono curiosamente asciugati; e la prova che questa idea mi è stata istigata dall'alto è che in quello stesso momento, senza pensarci due volte, la mia decisione presa, e ho capito in qual modo avrei affrontato il viaggio. (2004, p. 36)

[Stendhal, Romanzi e frammenti (1819 – 1842), traduzione di Renato Pinzhofer, U. Mursia & C., Milano 1965]

Le prigioni di Parma erano vuote, il conte immensamente ricco, Ernesto V adorato dai suoi sudditi, che comparavano il suo governo a quello dei granduchi di Toscana.

TO THE HAPPY FEW

[Stendhal, La Certosa di Parma, traduzione di Annamaria Laserra, Gruppo Editoriale L'Espresso SpA, Roma, 2004]

Memorie di un turista

modifica
  • Ho preso alloggio nel grande albergo di moda, la Croce di Malta, dove, com'era da prevedersi, sono stato servito malissimo. Durante le diciannove ore che mi sono fermato a Genova, mi hanno cambiato di camera tre volte, e alla fine il cameriere[30] non sapeva più dove fossi. (p. 563)
  • La città [Genova] è mirabilmente situata ad anfiteatro sul mare. Fra la montagna, alta quattro volte Montmartre, e il mare, si è trovato giusto il posto per tre vie orizzontali: una, larga otto piedi, è quella del grande commercio, e vi si trova il caffè elegante; l'altra, dietro il muro del porto, è abbandonata ai marinai dell'infima classe; la terza, infine, la più vicina alla montagna e che porta successivamente i nomi di Balbi, Nuova e Nuovissima, è una delle vie più belle del mondo.
    La sua architettura è ardita, piena di vuoti e di colonne, e ricorda quella di Paolo Veronese o le decorazioni della Scala di Milano. (p. 563)
  • Dopo aver errato di palazzo in palazzo, per più d'un'ora, in questa bella via, ho cercato un caffè; sono tutti bruttissimi e meschini qui a Genova, città dedita solo agli affari.
    Dato questo carattere, tutti sono disposti ad esservi utili per guadagnare qualcosa. Che differenza, buon Dio! dai napoletani, così indifferenti ad ogni idea di lucro e così filosofi! (p. 564)
  • La mattina, seguendo all'infinito verso oriente la via del caffè, ho trovato [...] la bella chiesa di Carignano; per giungervi hanno dovuto gettare un ponte sopra una strada, cosa sublime prima dell'invenzione dei ponti sospesi.
    Il ponte Carignano passa dunque su una fila di case, a trenta o quaranta piedi sopra i comignoli. Posso sbagliarmi di qualche piede, non ho avuto il tempo di cercare i libri che dànno le misure esatte. (p. 565)
  • Questa chiesa di Carignano sarebbe un vero capolavoro di grazia e di nobiltà accanto a Nostra Signora di Loreto (in via Lafitten a Parigi): se non sbaglio è una croce greca, con un'altissima cupola in mezzo. Per L'Italia non ha nulla di eccezionale, ma la posizione è stupenda: l'hanno costruita sopra un monticello che interrompe il general digradare di tutto l'anfiteatro di Genova verso il mare, così che la si vede dappertutto, condizione essenziale da queste parti perché una chiesa abbia successo. Bisogna che i marinai a cui la tempesta fa paura la vedano di lontano; allora fanno dei voti a quella Madonna che vedono. (p. 565)
  • Questo municipio, di cui m'è toccato percorrere tutti i piani, è una vasta cava di marmo bianca sprecato; di buono ha solo la mole, per il resto è brutto quasi quanto il Garde-Meuble di Parigi. Dev'essere, la facciata almeno, del 1760, epoca in cui la buona architettura stava morendo in Italia come in Francia. (p. 566)
  • Siccome i proprietari [dei Palazzi dei Rolli] hanno il buon gusto di abitare gli appartamenti dove tengono i quadri, bisogna tornarci più volte prima di trovare l'occasione adatta; la ridicola stizza che mi fanno venire le risposte negative datemi con sussiego dai servi mi toglie ogni facoltà di godere dei quadri. Notate che i ricchi genovesi occupano il terzo piano dei palazzi, per avere la vista del mare; e questo terzo piano equivale ad almeno sei dei nostri. Gli scalini sono magnificamente rivestiti di marmo; ma quando se ne son fatti un centinaio, e un servo, dopo avervi fatto aspettare un quarto d'ora alla porta laccata di bianco, viene a dirvi: – Sua Eccellenza è ancora nei suoi appartamenti, ripassate domani, – è permesso d'avere un po' di malumore [...] (p. 566-567)
  • Sono andato a vedere la statua colossale nel giardino del celebre Doria, poi alla Villetta, delizioso giardino del marchese Di Negro: un uomo d'ingegno che, nonostante il suo blasone, fa buona accoglienza a tutti gli uomini di talento. Il marchese Gian Paolo [in realtà è Gian Carlo] – così lo chiamano – ha un estro non comune, e a dispetto dei suoi settant'anni scrive versi veramente gradevoli; non conosco nessuno in Francia che possa essergli paragonato. Mi ha accolto con ogni cordialità m'ha offerto dell'uva della sua Villetta. (pp. 567-568)
  • Verso sera sono andato alla cattedrale, fatta di pietre bianche e nere disposte a strisce alternate; l'effetto è più bizzarro che gradevole. (p. 568)
  • Questo torrente [il Polcevera] ha un letto largo trecento piedi e, per il momento, neanche una goccia d'acqua; ma dopo una pioggia diventa terribile. (p. 568)
  • Ecco, per esempio, quello che si può dire di Genova. Mi assicurano che c'è scarsa vita di società; una ragazza non legge romanzi e pensa a sposare un uomo ricco. (p. 569)
  • Credevo che i genovesi amassero solo il denaro: mi assicurano che amano anche la loro indipendenza, formalmente promessa dagli inglesi e da Lord Bentinck quando, nel 1814, presero la città; e contano di riacquistarla alla prima convulsione dell'Europa. (pp. 569-570)
  • All'edificio [il teatro Carlo Felice] ho fatto un appunto, quello di non permettere di scendere dalla vettura al coperto. Mi hanno risposto che a Genova ci sono ben poche strade in cui si possa andare in vettura; non importa, è sempre un difetto capitale. [...] Le strade genovesi sono per la maggior parte strettissime, come ognuno sa, e nel mezzo sono pavimentate con mattoni a coltello, per facilitare il cammino ai muli con cui si fanno tutti i trasporti. (p. 570)
  • Gli anni non son che dei giorni nella vita dei popoli. (appendice IV, p. 626)

Passeggiate romane

modifica
  • Venezia, malgrado le inaudite sventure che stanno per annientarla, è una città francamente allegra [...] (p. 84)
  • Torino è piena di aristocrazia biliosa. (p. 84)
  • La bonomia milanese è celebre quanto l'avarizia genovese. Per essere stimati a Genova, bisogna mangiare appena un quarto delle proprie rendite e, se si è vecchi e ricchi, giocare qualche brutto tiro ai propri figli: mettere per esempio clausole insidiose nel testamento. Ma tutto è pieno di eccezioni a questo mondo. La casa italiana in cui gli stranieri sono ricevuti con maggior affabilità è quella del marchese di Negro, a Genova. La posizione della Villetta, il giardino di quest'uomo cortese, è unica per la sua pittoresca bellezza. [...] Genova rimane la città dell'avarizia, sembra una piccola città della Francia meridionale. (p. 84)
  • I Bolognesi sono pieni di fuoco, di passione, di generosità, e talvolta d'imprudenza. (p. 84)
  • A Firenze hanno molta logica, molta prudenza e anche molto spirito; ma non ho mai visto uomini così privi di passioni. Perfino l'amore vi è così poco conosciuto, che il piacere ha usurpato il suo nome. (p. 84)
  • Si potrebbe stabilire che gli allievi che hanno ottenuto il «Grand Prix» vadano in un posto qualsiasi, in Italia, dove vogliono, purché sia oltre il Ticino e la Trebbia. Ad eccezione di Torino e di Genova, ogni soggiorno dovrebbe esser loro consentito. (p. 551)
  • Verso la fine della serata è comparso Savarelli, un nostro amico che viene dal nord d'Italia. È innamorato di Milano; è la città del piacere, niente le può esser messo a confronto, per questo; Torino e Genova sembrano delle prigioni. (p. 562)
  • A Parigi, nel momento in cui si decide di andare a Roma, bisognerebbe stabilire di andare al museo un giorno sì e uno no: si abituerebbe l'anima a sentire la bellezza.    pagina?
  • Per Dio, il Colosseo è quanto di meglio ho visto a Roma. Questo edificio mi piace, sarà magnifico una volta terminato. [Vedendo degli operai ristrutturarne una parte]    pagina?
  • Se ne avessi il potere, sarei tiranno, farei fermare il Colosseo durante i miei soggiorni a Roma!    pagina?
  • Secondo me Roma è più bella in un giorno di temporale. Il bel sole tranquillo d'una giornata di primavera non le si confà. Il suolo sembra creato apposta per l'architettura. Certamente non c'è qui, come a Napoli, un mare delizioso, la voluttà manca; ma Roma è la città delle tombe, e la felicità a cui si può aspirare è quella cupa delle passioni e non la voluttà della stupenda riviera di Posillipo.    pagina?
  • Ci si annoia talvolta a Roma il secondo mese di soggiorno, ma giammai il sesto, e, se si resta sino al dodicesimo, si è afferrati dall'idea di stabilirvisi.    pagina?
  • Un buon clima è il tesoro del povero provvisto di anima.[31]

Roma, Napoli e Firenze

modifica

Berlino, 4 ottobre 1816. Apro la lettera che mi accorda quattro mesi di licenza. Trasporti di gioia e batticuori. Vedrò finalmente la bella Italia![32]

Citazioni

modifica
  • Esco ora dalla Scala. Parola d'onore, la mia ammirazione non diminuisce. È per me il primo teatro del mondo, perché è quello che procura dalla musica i maggiori piaceri. Non una lampada in sala; la illumina solo la luce riflessa dalle scene. Per quanto riguarda l'architettura, è impossibile immaginare nulla di più grande, di più magnifico, di più solenne e nuovo. Ci sono stati stasera undici cambiamenti di scene. Con ciò, mi trovo condannato a ripugnanza eterna nei confronti dei nostri teatri: è l'inconveniente serio di un viaggio in Italia.[33]
  • I pedanti, che trovavano nella Roma moderna l'occasione di sfoggiare il loro latino, ci hanno persuaso che essa è bella: ecco il segreto della reputazione della Città Eterna... Regna per le strade di Roma un tanfo di cavoli marci. Attraverso le belle finestre dei palazzi del Corso si scorge la povertà degli interni. Roma in realtà è un agglomerato di sublimi rovine e di brutte chiese e case moderne; sarebbe stato meglio se non fosse sopravvissuta alla fine dell'età antica, se si fosse trasformata in un deserto popolato solo dai resti dei suoi monumenti, come avvenne ad altre grandi capitali; la conversione al cristianesimo ha segnato l'inizio della sua decadenza. Della patria di Cicerone, Cesare e Virgilio rimangono solo le spoglie esteriori; il suo spirito è morto per sempre e sono i preti e le superstizioni cristiane che l'hanno ucciso...[34]
  • Ingresso solenne: si discende per un'ora verso il mare seguendo una strada larga scavata nella roccia tenera, sulla quale è costruita la città. – Solidità delle mura – 'Albergo dei poveri', primo edificio. Fa un'impressione molto più forte di quella bomboniera tanto celebrata, che a Roma si chiama la Porta del Popolo. Eccoci al palazzo degli Studj, si volta a destra, è la via Toledo. Ecco una delle grandi mete del mio viaggio, la strada più popolosa e allegra del mondo.[35]
  • La vera patria è quella in cui incontriamo più persone che ci somigliano.[36]
  • [Il Teatro di San Carlo] 13 gennaio 1817. [..] Non c'è niente in Europa, non direi di simile, ma che possa anche lontanamente dare un'idea di ciò.[37]
  • Parto. Non dimenticherò né la via Toledo né tutti gli altri quartieri di Napoli; ai miei occhi è, senza nessun paragone, la città più bella dell'universo.[38]
  • Per l'orrore ch'egli sentiva dell'ideale sciocco, il Caravaggio non correggeva nessuno dei difetti dei modelli ch'egli fermava nella strada per farli posare. Ho veduto a Berlino alcuni suoi quadri che furono rifiutati dalle persone che li avevano ordinati perché troppo brutti. Il regno del brutto non era ancora arrivato.[39]
  • Poiché l'Italia offrisse tutti i suoi contrasti, il cielo ha voluto che avesse un luogo assolutamente senza passioni: Firenze.[40]
  • Quale scienza del colore nel modo come sono distribuiti i costumi! Ho visto i più bei quadri di Paolo Veronese. [...] Magnificenza e ricchezza si dispiegano sulla scena: vi si vedono ad ogni tratto almeno cento coristi o comparse, tutti vestiti come in Francia i protagonisti. Per uno degli ultimi balletti, hanno fatto centottantacinque costumi di velluto o di raso. Le spese sono enormi. Il teatro della Scala è il salotto della città. Ci si riunisce soltanto lì; non si riceve in nessuna casa. Ci vedremo alla Scala, è frase corrente per ogni genere d'affari. Il primo colpo d'occhio fa venire le vertigini. Sono in estasi mentre scrivo queste righe.[33]
  • Questa sala, ricostruita in trecento giorni, è un colpo di stato. Lega il popolo al re più della migliore delle leggi. Tutta Napoli è ebbra di patriottismo. Un modo sicuro di farsi lapidare sarebbe quello di trovarvi un difetto. Appena si parla di Ferdinando: «Ha ricostruito il San Carlo», vi si dice: com'è facile farsi amare dal popolo! C'è una fibra adorante nel cuore umano. Io stesso, quando penso alla meschinità e alla pudica povertà delle repubbliche che ho visitato, mi ritrovo completamente monarchico.[37]

Viaggio in Italia

modifica
  • Assaporo completamente il piacere della mia solitudine; la partenza da Genova mi ha tolto un peso enorme che mi schiacciava. Questa città sarà sempre per me di sbadigliante memoria[41]. Quale noia è la mia in un ambiente obbligato! Non sono fatto davvero per il matrimonio![42]
  • Portare la lettera alla signora Mojon, in contrada Balbi; è questo uno dei tre nomi[43] dell'unica grande via, che è anche la più bella d'Italia.[44]
  • Si prende un ragazzino, gli si dànno 4 soldi e vi guida al porto e alla chiesa Carignano; è anche una delle più belle vedute d'Italia: il mare e la costa fino a Savona.[44]

Incipit di alcune opere

modifica

Armance

modifica

A soli vent'anni, Octave usciva già dal Politecnico. Suo padre, il marchese di Malivert, desiderava che il suo unico figlio rimanesse a Parigi. Appena Octave si convinse che era quello il desiderio di un padre che rispettava e di una madre che amava quasi con passione, rinunciò al progetto di entrare in artiglieria. Avrebbe voluto passare qualche anno in un reggimento per dare poi le dimissioni subito dopo la prima guerra, che gli era del tutto indifferente fare da luogotenente o col grado di colonnello. Un esempio delle singolarità che lo rendevano odioso agli uomini volgari.

I Cenci

modifica

Il don Giovanni di Molière è senza dubbio un libertino, ma è soprattutto un uomo di mondo; prima di cedere all'irresistibile inclinazione che lo trascina verso le donne, egli vuole conformarsi ad un suo modello ideale, quello dell'uomo che sarebbe supremamente ammirato alla corte di un giovane re galante e spiritoso.
Il don Giovanni di Mozart è già più vicino alla natura, e, meno francese, non si preoccupa molto dell' opinione altrui; né il suo primo pensiero è di "apparire" come dice il barone di Foeneste nel romanzo di Agrippa d'Aubigné. Due soli ritratti ci sono rimasti del don Giovanni italiano quale dovette mostrarsi in questo paese nel sedicesimo secolo, all'inizio della rinascente civiltà.

La badessa di Castro

modifica

Il melodramma italiano ci ha mostrato così spesso i briganti del Cinquecento, e tanta gente ne ha parlato, senza conoscerli, che noi abbiamo intorno ad essi le idee più false.
Si può dire, in generale, che i briganti costituirono l'"opposizione" contro gli atroci governi che in Italia succedettero alle repubbliche del Medioevo. Il nuovo tiranno fu di solito il più ricco cittadino della defunta repubblica, il quale, per accattivarsi il favore del basso popolo, ornava la città di splendide chiese e di bei quadri.

La duchessa di Paliano

modifica

Palermo, 20 luglio 1838

Non sono un naturalista, e conosco mediocremente il greco; il mio principale fine, venendo in Sicilia, non è stato dunque di osservare i fenomeni dell'Etna o chiarire in qualche modo a me stesso e agli altri quanto gli antichi scrittori greci hanno detto sulla Sicilia. Ho cercato innanzi tutto il piacere degli occhi che in questo singolare paese è assai vivo. Dicono che la Sicilia somigli all'Africa; certo, somiglia all'Italia solo per l'intensità delle sue passioni. Per i siciliani si può dire davvero che non esiste parola impossibile quando l'amore e l'odio li accendono; e l'odio, in questa terra felice, non nasce mai da questioni di denaro.

Lucien Leuwen

modifica

Lucien Leuwen era stato espulso dal Politecnico per essere intempestivamente uscito a passeggio un giorno in cui lui e i suoi compagni erano consegnati, e ciò durante una delle celebri giornate di giugno, aprile e febbraio del 1832 o del 1834.[45]

San Francesco a Ripa

modifica

Ariste e Dorante avendo trattato
questo argomento, hanno dato
a Erarte l'idea di trattarlo

30 settembre
Traduco da un cronista italiano i particolari degli amori tra una principessa italiana e un giovane francese. Si era nel 1726, al principio del secolo scorso. Tutti gli abusi del nepotismo fiorivano allora a Roma; e mai questa corte era stata più brillante: Regnava Benedetto XIII (Orsini) o meglio suo nipote il principe di Campobasso che conduceva in suo nome ogni affare sia grande che piccolo.

Vanina Vanini

modifica

Particolari sull'ultima "Vendita" di Carbonari
scoperta negli Stati Pontifici

Una sera di primavera del 182*, Roma intera era in movimento: il famoso banchiere, duca di B***, dava un ballo nel suo nuovo palazzo di piazza Venezia. Tutto ciò che l'arte in Italia e il lusso a Parigi e a Londra possono inventare di più sontuoso era stato riunito per adornare questo palazzo. La folla era immensa. Le bellezze bionde e riservate della nobile Inghiltterra avevano chiesto come un onore di poter assistere al ballo e vi affluivano a gruppi. Le più belle donne di Roma disputavano loro la palma della bellezza. Una giovinetta che per il fulgore degli occhi e per i capelli d'ebano si rivelava romana entrò al braccio del padre seguita da tutti gli sguardi. Un singolare orgoglio splendeva in ogni suo moto.

Vita di Rossini

modifica

Il 29 febbraio 1792, Joachim Rossini nacque a Pesaro, piccola città dello Stato del papa, sul golfo di Venezia.[46]

Vittoria Accoramboni

modifica

Sventuratamente per me e per il lettore, questo non è un romanzo, ma l'esatta traduzione di un racconto impressionante scritto a Padova nel dicembre del 1585.

A Mantova, qualche anno fa, andavo cercando bozzetti e piccoli quadri quali mi consentivano le mie modeste sostanze; esigevo però che i pittori fossero anteriori al 1600, perché verso quest'epoca si spense del tutto l'originalità italiana messa in pericolo sin dalla caduta di Firenze nel 1530.
Invece di quadri, un vecchio patrizio molto ricco e molto avaro mi fece offrire a caro prezzo certi vecchi manoscritti ingialliti dal tempo: chiesi di poterli scorrere ed egli acconsentì, aggiungendo che si fidava della mia probità perché nel caso che non li avessi acquistati dimenticassi gli aneddoti piccanti che mi era stato concesso di leggere.

Citazioni su Stendhal

modifica
  • In Rome, Naples, et Florence en 1817 dice di trovarsi ad Ancona il 27 maggio e a Loreto il 30. In Rome, Naples, et Florence en 1817 del 1826, alla data 29 maggio 1817, dice di trovarsi a Reggio Calabria. La verità è che dai primi di maggio alla fine di luglio di quel 1817 se ne stette a Parigi. A Reggio Calabria non andò quell'anno, né mai andrà. La sua visione, dalle finestre dell'albergo di Reggio, delle case di Messina; il suo desiderio di attraversare quel braccio di mare e di arrivare in Sicilia – l'ottica, insomma, e lo stato d'animo, sembrano provenire da una lettera, che probabilmente non gli era ignota, di Paul Louis Courier (del 15 aprile 1806, appunto da Reggio): "Noi la vediamo come dalle Tuileries voi vedete il faubourg Saint-Germain; il canale non è, in fede mia, più largo; e tuttavia abbiamo difficoltà ad attraversarlo. Lo credereste? Se soltanto mancasse il vento, noi faremmo come Agamennone: sacrificheremmo una fanciulla. Grazie a Dio, ne abbiamo in abbondanza. Ma non abbiamo una sola barca, ecco il guaio. Ci dicono che arriveranno; e fino a quando avrò questa speranza, credetemi, signora, che non volgerò lo sguardo indietro, verso i luoghi dove voi abitate, anche se tanto mi piacciono. Voglio vedere la patria di Proserpina, e sapere perché il diavolo ha preso moglie proprio in quel paese". (Leonardo Sciascia)
  • Io più di chiunque altro sono debitore di molte cose a Stendhal. Egli mi ha insegnato a capire la guerra. (Lev Tolstoj)
  • Nessun uomo può scrivere versi veramente buoni se non conosce Stendhal o Flaubert. (Ezra Pound)
  • Scrittore completo se mai ce ne fu uno, Stendhal era riuscito a rendere poetico, con il suo stile magicamente economico ed estroso di cronachista europeo, tutto ciò che di solito nei romanzi è irriducibilmente ribelle a siffatte trasmutazioni. (Alberto Moravia)
  • È noto l'adagio: litterae non dant panem e specialmente quando la gloria attesa con tanta impazienza tarda a coronar d'alloro la fronte del candidato. Dopo tre anni di lavoro apparentemente vano, Stendhal si stanca di vivere nell'ombra e per giunta povero. È tempo di ambizioni, l'avvenire appartiene ai Julien Sorel il cui ardimento forza le porte e li fa salire di grado in grado le classi.
  • Nessuno quanto lui avrà il diritto di dire: Sum qualis eram. Una fedeltà allo scopo che s'era imposto prestissimo, senza ancora ben sapere come l'avrebbe raggiunto, l'incrollabile fermezza del suo procedere sotto i multiformi e cangianti aspetti della vita sono il più bel paradosso che ci propone quest'uomo stupefacente.
  • Non sapeva bene per la verità in che cosa d'altro impegnarsi: «Debbo diventare compositore, si domandava, o fare delle commedie come Molière?». Quello che sapeva non era poco, è che in un modo o nell'altro aspirava prima di tutto e più che tutto alla gloria.
  1. Da Il viaggio in Francia, a cura di Alberto Cento, Neri Pozza, Venezia, 1956, p. 407. ISBN 8873052207
  2. Citato in Vittorio Del Litto, Stendhal
  3. Citato in Albert Camus, L'uomo in rivolta, traduzione di Liliana Magrini, Bompiani, Milano, 2018. ISBN 9788858703861
  4. Citato in Gino e Michele, Matteo Molinari, Le Formiche: anno terzo, Zelig Editore, 1995, § 1178
  5. Citato in Lucio Aiello, Tasselli. La storia nascosta e ritrovata, Luigi Pellegrini Editore, Cosenza, Anteprima Google ISBN 978-88-6822-427-1
  6. Da Vie de Henry Brulard.
  7. a b c Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  8. Da Commentaires sur quelques pièces de Molière
  9. a b c Citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  10. Da Diario
  11. Citato in Claudio Rendina, I peccati del Vaticano, Newton Compton, 2009, p. 151
  12. Da Racine et Shakespeare, p. 106
  13. Da Ricordi di egotismo, prefazione e traduzione di G. Gallavresi, Facchi Editore, Milano, 1890, pp. 129-130.
  14. In Charles-Augustin Sainte-Beuve, Le siècle du progrès — Anthologie établie et présentée par Pierre Berès, (Stendhal, 9 gennaio 1854, "Causeries du lundi", t. IX, p. 153), éd. Hermann, coll. «Collection savoir: lettres», 1992. ISBN 2-7056-6179-4
  15. a b Citato in Mario Chiodetti, Il magico Sacro Monte di Stendhal, Laprovinciadivarese.it, 6 luglio 2016.
  16. Citato in Charles Baudelaire, L'opera e la vita di Eugène Delacroix (1863), in Scritti di estetica, a cura di Giovanni Macchia, Sansoni, Firenze, 1948, p. 182.
  17. (FR) Da Pensées et Impressions: choisies et précedées d'une introduction par Jules Bertaut, Bibliothèque Internationale d'Édition, Parigi, 1905, p. 23.
  18. Da I cenci
  19. Da La duchessa di Palliano
  20. Da Vanina Vanini, citato in prefazione a Peccatori di provincia di Gabriel Chevallier
  21. Da Pensées diverses, citato in François Grégoire, I grandi problemi metafisici, traduzione dal francese di Giulia Vecchi, terza edizione, Garzanti, Milano, 1960, p. 23
  22. Da Armance.
  23. Citato in Giordano Bruno Guerri, Gli italiani sotto la chiesa
  24. Benché citata spesso a proposito di Napoli, sotto varie forme, ed a volte con l'aggiunta di Londra (ad esempio: Esposito: Parigi e Napoli); De Seta: Parigi, Londra e Napoli), questa frase non sembra reperibile nelle opere di Stendhal. La citazione che più si avvicina è nell'introduzione ad una sua opera teatrale (L'éteignoir), in cui, parlando del personaggio del calunniatore, Stendhal dice che è un personaggio tipico delle grandi città, e a questo punto fa un inciso: "ve ne sono solo tre, Parigi, Londra e Napoli" ("vous verrez que c'est là le défaut des grandes villes (il n'y en a que trois : Paris, Londres et Naples)"). Cfr. il testo in facsimile sul sito Gallica (Stendhal, Théâtre, établissement du texte et préfaces par Henri Martineau. Paris, Le Divan, 1931, pag. 269).
  25. Citato in: Il Vesuvio, Pierro Gruppo Editori Campani, Napoli 2000
  26. Citato in Il Vesuvio, Pierro Grupo Editori Campani, Napoli 2000
  27. Citato in Enzo Biagi, Quante storie, Rizzoli, Milano, 1989, p. 22. ISBN 88-17-85322-4
  28. Da De l'amour. Considerazioni sull'amore, traduzione di Massimo Bontempelli, Mondadori, Milano, 1952.
  29. Le Rouge et le Noir, éd. Flammarion, coll. «GF», 1964, p. 419. ISBN 2-08-070011-1
  30. in italiano nel testo originale
  31. Da Stendhal, Passeggiate romane, traduzione di Donata Feroldi, Feltrinelli, 2019. ISBN 9788858836491
  32. Il luogo e la data d'inizio di questo preteso «diario» sono di fantasia. Stendhal non fu a Berlino, per pochi giorni, che nel 1811 e nel 1813; e la licenza di cui parla gli fu accordata a Parigi nel 1805. Citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993.
  33. a b Traduzione di Bruno Schacherl, Laterza, Roma-Bari, 1990, tomo I, p. 5. ISBN 978-88-420-3645-6; citato in tecalibri.info.
  34. Da Roma, Napoli e Firenze, 1817
  35. Da Roma, Napoli e Firenze, Mondadori, 1990.
  36. Da Rome, Naples, Florence 1817.
  37. a b Da Roma, Napoli, Firenze, Roma-Bari, 1974; citato in Il San Carlo e i Teatri della Campania, (Monumenti e Miti della campania Felix, Il Mattino), 1997, Pierro, p. 87.
  38. Da Rome, Naples et Florence, a cura di Henri Martineau, Paris, Le divan, 1927 vol III, p. 22, annotazione dell'8 marzo 1817
  39. Da Rome, 1806; citato in Francesca Marini, Caravaggio, presentazione di Renato Guttuso, pag. 185, Rizzoli/Skira, Milano, 2003, ISBN 8817008087
  40. Da Roma, Napoli e Firenze, citato in Pietro Citati, L'armonia del mondo. Miti d'oggi, Superpocket, su licenza RCS Libri, 1999, p. 113. ISBN 88-462-0122-1
  41. in italiano nel testo originale
  42. Da Viaggio in Italia (1801-1818), traduzione di Luigi Diemoz, Rizzoli, 1942, p. 314
  43. Stendhal considera via Balbi, via Cairoli e via Garibaldi come un'unica via
  44. a b Da Viaggio italiano 1828, Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1961, p. 10
  45. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937
  46. Citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993.

Bibliografia

modifica
  • Stendhal, Armance, traduzione di Franco Cordelli, Garzanti, 1978.
  • Stendhal. La badessa di Castro, Freebook, Edizioni LibroLibero, Piazza S. Maria del Suffragio, 6, 20135 Milano.
  • Stendhal, La certosa di Parma, traduzione di Ferdinando Martini, Milano-Verona, Mondadori, 1930.
  • Stendhal, La Certosa di Parma, traduzione di Annamaria Laserra, Gruppo Editoriale L'Espresso, Roma, 2004.
  • Stendhal, Il rosso e il nero, traduzione di Diego Valeri, G. C. Sansoni, Firenze, 1967.
  • Stendhal, Il rosso e il nero (Cronaca del 1830), traduzione di Massimo Bontempelli, Istituto Editoriale Italiano, Milano, 1929.
  • Stendhal, Il rosso e il nero (Cronaca del 1830), traduzione di Alfredo Fabietti, Mondadori, Milano, 1990.
  • Stendhal, Il rosso e il nero, traduzione di Massimo Bontempelli, Newton Compton editori, 1994.
  • Stendhal, Il rosso e il nero e La Certosa di Parma, traduzione di Massimo Bontempelli e Ferdinando Martini, Newton Compton editori, Roma, 2012.
  • Stendhal, Dell'amore, traduzione di Maddalena Bertelà, Aldo Garzanti Editore, 1976
  • Stendhal, Memorie di un turista, volume II, traduzione di Alberto Cento, Einaudi, Torino, 1977
  • Stendhal, Passeggiate romane, traduzione di Massimo Colesanti, Garzanti, Milano, 2004. ISBN 88-11-36652-6
  • Stendhal, Vanina Vanini e altre "Cronache italiane", traduzione di Maria Bellonci, BMM 1961.
  • Vittorio Del Litto, Stendhal, traduzione di Mirella Brini, CEI, Milano, 1967.
  • Wendy Grisworld, Sociologia della cultura (Cultures and Societes in a Changing World, 1994), traduzione di Marco Santoro, Il Mulino, Bologna, 1997.

Filmografia

modifica

Altri progetti

modifica