La Bibbia di Gerusalemme

La Bibbia di Gerusalemme (La Bible de Jérusalem), versione dalla Bibbia a cura dell'École biblique et archéologique française. Di seguito sono raccolte citazioni da introduzioni e note di questa versione; le citazioni dai libri della Bibbia sono raccolte invece in categoria:Antico Testamento e categoria:Nuovo Testamento.

La Bible de Jérusalem, ed. 2014

Citazioni modifica

  • La Genesi si divide in due parti disuguali: la storia primitiva (1-11) è come un portico che precede la storia della salvezza che sarà raccontata da tutta la Bibbia; essa risale alle origini del mondo e stende la prospettiva alla umanità tutta intera. Riferisce la creazione dell'universo e dell'uomo, la caduta originale e le sue conseguenze, la perversità crescente che è punita dal diluvio. A partire da Noè, la terra si ripopola, ma tavole genealogiche sempre più ristrette concentrano finalmente l'interesse su Abramo, padre del popolo eletto. La storia patriarcale (12-50), evoca la figura dei grandi antenati: Abramo è l'uomo della fede, la cui obbedienza è ricompensata da Dio, il quale gli promette anche una posterità e la Terra santa per i suoi discendenti (12,1-25,18). (pp. 21-22)
  • Giacobbe è l'uomo dell'astuzia, che soppianta il fratello Esaù, carpisce la benedizione del padre Isacco, supera in furbizia lo zio Labano. Ma tutte queste abilità non servirebbero a nulla se Dio non lo avesse preferito a Esaù prima della nascita e non gli avesse rinnovato le promesse dell'alleanza concesse ad Abramo (25,19-35,29). Tra Abramo e Giacobbe, Isacco è una figura assai pallida, la cui vita è narrata soprattutto per i rapporti che ha con suo padre o con suo figlio. I dodici figli di Giacobbe sono gli antenati delle dodici tribù di Israele. A uno di loro è consacrata l'ultima parte della Genesi: i cc 37-50 (meno 38 e 49) sono una biografia di Giuseppe, l'uomo saggio per eccellenza. Questo racconto, che differisce dalle narrazioni precedenti, si svolge senza intervento visibile di Dio e senza nuova rivelazione, ma è tutto intero un insegnamento: la virtù del saggio è ricompensata e la Provvidenza divina volge in bene le colpe degli uomini. (p. 22)
  • Gli inizi dello jahvismo sono dominati dalla personalità di Mosè. Egli è stato l'iniziatore religioso del popolo e il suo primo legislatore. Le tradizioni anteriori, che sfociano in lui, e il ricordo degli avvenimenti che egli ha diretti sono diventati l'epopea nazionale; la religione di Mosè ha segnato per sempre la fede e le pratiche del popolo; la legge di Mosè è restata la sua norma. Gli adattamenti imposti dal cambiamento dei tempi avvennero secondo il suo spirito e si coprirono della sua autorità. Importa poco che noi non possiamo attribuirgli con sicurezza la redazione di nessuno dei testi del Pentateuco: egli ne è il personaggio centrale e la tradizione giudaica aveva ragione di chiamare il Pentateuco il libro della legge di Mosè. (p. 28)
  • I primi undici cc della Genesi sono da considerare a parte. Descrivono, in modo popolare, l'origine del genere umano; enunciano con uno stile semplice e figurato, quale conveniva alla mentalità di un popolo poco evoluto, le verità fondamentali presupposte dall'economia della salvezza: la creazione da parte di Dio all'inizio dei tempi, l'intervento speciale di Dio che forma l'uomo e la donna, l'unità del genere umano, la colpa dei nostri progenitori, la decadenza e le pene ereditarie che ne furono la sanzione. Ma queste verità, che riguardano il dogma e sono assicurate dall'autorità della Scrittura, sono nello stesso tempo fatti e, se le verità sono certe, implicano fatti che sono reali, sebbene non possiamo precisarne i contorni sotto il rivestimento mitico che è stato loro dato, secondo la mentalità del tempo e dell'ambiente. (p. 28)
  • La storia patriarcale è una storia di famiglia: raduna i ricordi che si conservano degli antenati, Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe. È una storia popolare che si sofferma sugli aneddoti personali e sui tratti pittoreschi, senza alcuna preoccupazione di unire questi racconti alla storia generale. È, infine, una storia religiosa: tutte le svolte decisive sono segnate da un intervento divino e tutto vi appare come provvidenziale: concezione teologica vera da un punto di vista superiore, ma che trascura l'azione delle cause seconde; inoltre i fatti sono introdotti, spiegati e raggruppati per dimostrare una tesi religiosa: c'è un Dio che ha formato un popolo e gli ha dato un paese; questo Dio è Jahve, questo popolo è Israele, questo paese è la terra santa. Ma questi racconti sono storici nel senso che narrano, alla loro maniera, avvenimenti reali; danno una immagine fedele dell'origine e delle migrazioni degli antenati di Israele, dei loro legami geografici ed etnici, del loro comportamento morale e religioso. I sospetti che hanno circondato questi racconti dovrebbero cedere davanti alla testimonianza favorevole che loro apportano le scoperte recenti della storia e dell'archeologia orientali. (pp. 28-29)
  • Questi temi della promessa, dell'elezione, dell'alleanza e della legge sono i fili d'oro che si incrociano sulla trama del Pentateuco e continuano a percorrere tutto l'AT, poiché il Pentateuco non è completo in se stesso: dice la promessa ma non la realizzazione, e si conclude prima dell'ingresso nella terra santa. Doveva restare aperto come una speranza e un obbligo: speranza nelle promesse, che la conquista di Canaan sembrerà portare a compire (Gs 23), ma che i peccati del popolo comprometteranno e gli esiliati ricorderanno a Babilonia; obbligo di una legge sempre urgente che restava in Israele come un testimonio contro di lui (Dt 31,26). Questo durò fino al Cristo, che è il termine al quale tendeva oscuramente questa storia della salvezza e le dà tutto il significato. (p. 33)
  • Quanto alla legge, essa è stata data per conservare le promesse, come un pedagogo che conduce al Cristo, nel quale queste promesse si realizzano.
    Il cristiano non è più sotto il pedagogo, è liberato dalle osservanze della legge, ma non dal suo insegnamento morale e religioso. Poiché il Cristo non è venuto ad abrogare ma a perfezionare (Mt 5,17), il NT non si oppone all'AT, lo prolunga. Non solo la Chiesa ha riconosciuto, nei grandi avvenimenti dell'epoca patriarcale e mosaica, nelle feste e nei riti del deserto (sacrificio di Isacco, passaggio del Mar Rosso, la pasqua, ecc.), le realtà della legge nuova (sacrificio di Cristo, battesimo, la pasqua cristiana), ma la fede cristiana esige lo stesso atteggiamento che i racconti e i precetti del Pentateuco comandavano agli israeliti. Più ancora: nel suo itinerario verso Dio, ogni uomo attraversa le stesse tappe di distacco, di prova, di purificazione per le quali passò il popolo eletto, e trova un'istruzione nelle lezioni che a quel popolo furono date. (p. 33)
  • Una lettura cristiana del Pentateuco deve rispettare il seguito dei racconti: la Genesi, dopo aver opposto alla bontà di Dio creatore le infedeltà dell'uomo peccatore, mostra, nei patriarchi, la ricompensa accordata alla fede; l'Esodo è l'abbozzo della nostra redenzione; i Numeri rappresentano il tempo della prova in cui Dio istruisce e castiga i suoi figli, preparando l'assemblea degli eletti. Il Levitico sarà letto con più frutto in relazione con gli ultimi cc di Ezechiele o dopo i libri di Esdra e Neemia; l'unico sacrificio di Cristo ha reso caduco il cerimoniale dell'antico tempio, ma le sue esigenze di purità e di santità nel servizio di Dio restano una lezione sempre valida. La lettura del Deuteronomio potrà accompagnare quella di Geremia, il profeta cui è più vicino per il tempo e per lo spirito. (pp. 33-34)
  • [In Gen 4,17] Caino è il costruttore della prima città, l'antenato degli allevatori, dei musicisti, dei fabbriferrai e forse delle figlie del piacere (cf. v 22), che sovvengono alle comodità e ai piaceri della vita urbana. Questi progressi sono attribuiti dall'autore jahvista alla stirpe di Caino il maledetto: la stessa condanna della vita urbana si ritroverà nel racconto jahvista della torre di Babele (11,1-9). [...] Le tre caste degli allevatori di bestiame, dei musicisti e dei fabbriferrai ambulanti sono legate a tre antenati i cui nomi fanno assonanza e richiamano i mestieri dei loro discendenti: Jabal (jbl, «condurre»), Jubal (jôbel, «tromba»), Tubal (nome di un popolo del nord, Gen 10,2, nel paese dei metalli); Caino significa: «fabbroferraio» in altre lingue semitiche. Naama, «la bella», «l'amata», potrebbe essere l'eponima di un'altra «professione» sulla quale il testo tace. (p. 43)
  • Enoch si distingue dagli altri patriarchi per parecchie caratteristiche: la sua vita è più corta, ma raggiunge una cifra perfetta, il numero dei giorni di un anno solare; «camminò con Dio» come Noè (6,9), scomparve misteriosamente, rapito da Dio come Elia (2 Re 2,11s). Diventò una grande figura della tradizione giudaica, che propose a esempio la sua pietà (Sir 44,16; 49,14) e gli attribuì libri apocrifi (cf. Gd 14-15). (p. 45)
  • [...] la Provvidenza ride dei calcoli degli uomini e sa volgere in bene la loro cattiva volontà. Non solo Giuseppe è salvato, ma il delitto dei suoi fratelli diventa lo strumento del disegno di Dio: la venuta dei figli di Giacobbe in Egitto prepara la nascita del popolo eletto. Sempre la stessa prospettiva di salvezza («far vivere un popolo numeroso», [Gen] 50,20) che attraversa tutto l'AT per sfociare allargandosi nel NT. È uno schema della redenzione, come più tardi l'esodo. (p. 102)
  • Le piaghe d'Egitto: espressione consacrata dall'uso, ma che il testo applica veramente solo alla decima piaga: le prime nove sono dette «prodigi» o «segni» come i «segni» e i «prodigi» di Es 4 passim; 7,9. Come quei prodigi erano destinati ad accreditare Mosè davanti agli israeliti e al faraone, così ora le «piaghe» sono destinate ad accreditare Jahve, cioè a far riconoscere il suo potere da parte del faraone. Le prime nove piaghe si distinguono dalla decima per lo schema come per il vocabolario. [...] il racconto stesso di Es 7,14-10,29 è una composizione letteraria. [...] Non bisogna cercare di giustificare questi prodigi con l'astronomia o le scienze naturali; ma il racconto che ne è fatto utilizza fenomeni naturali che sono conosciuti in Egitto e ignoti in Palestina (il Nilo rosso, le rane, lo scirocco nero), o ancora conosciuti in Palestina ma eccezionali in Egitto (la grandine). Si deve ritenere soltanto l'intenzione del racconto, che è di far splendere agli occhi degli israeliti, e del faraone stesso, l'onnipotenza di Jahve. (pp. 139-140)
  • Mentre il Deuteronomio giustifica storicamente la dottrina dell'elezione di Israele e definisce la costituzione teocratica che ne deriva, il libro di Giosuè mostra l'insediamento del popolo eletto nella terra che gli è promessa; quello dei Giudici rielabora la successione delle sue apostasie e dei suoi ritorni a Jahve; quelli di Samuele, dopo la crisi che condusse all'istituzione della monarchia e mise in pericolo l'ideale teocratico, descrivono come questo ideale fu realizzato sotto Davide; quelli dei Re, infine, descrivono la decadenza che cominciò con il regno di Salomone e che, con una serie di infedeltà e malgrado qualche re fedele al suo Dio, condusse alla condanna del popolo da parte di Jahve. (pp. 395-396)
  • Nella loro forma definitiva, questi libri [i profeti anteriori] sono dunque l'opera di una scuola di uomini pii, imbevuti delle idee del Deuteronomio, che meditano sul passato del proprio popolo e ne tirano una lezione religiosa. Contemporaneamente ci hanno conservato anche tradizioni o testi che risalgono alla stessa epoca eroica della conquista, con il racconto degli avvenimenti salienti della storia di Israele. Il fatto che questa sia presentata come «storia sacra» ha due conseguenze: a) non perde il suo interesse agli occhi dello storico; b) acquista valore agli occhi del credente. Quest'ultimo non solo imparerà a scoprire la mano di Dio in tutti gli avvenimenti del mondo, ma riconoscerà, nella sollecitudine esigente di Jahve verso il suo popolo, la lenta preparazione dell'Israele nuovo, la comunità dei fedeli. (p. 396)
  • In lui [Giosuè], i Padri hanno riconosciuto una prefigurazione di Gesù: non solo egli porta lo stesso nome salvifico, ma il passaggio del Giordano, che introduce nella terra promessa, è il tipo del battesimo cristiano che aggrega al popolo di Dio, e la conquista e la divisione del territorio sono diventati l'immagine delle vittorie e dell'espansione della chiesa nel mondo. (p. 398)
  • Il libro [dei Giudici] insegnava agli Israeliti che l'oppressione è un castigo causato dall'infedeltà e che la vittoria è una conseguenza del ritorno a Dio. L'Ecclesiastico loda i Giudici per la loro fedeltà (Sir 46,11-12); la lettera agli Ebrei presenta i loro successi come la ricompensa della loro fede; essi fanno parte di quella «nube di testimoni» che incoraggia il cristiano a respingere il peccato e a sopportare con costanza la prova che gli è imposta (Eb 11,32-34; 12,1). (p. 402)
  • [Il libro di Rut] È una storia edificante, il cui intento principale è di mostrare come viene ricompensata la fiducia che uno pone in Dio, la cui misericordia si estende anche su una straniera (2,12). Questa fede nella Provvidenza e questo spirito universalista sono l'insegnamento duraturo di questo racconto. (p. 402)
  • Questi libri [di Samuele] contengono un messaggio religioso: le condizioni e le difficoltà di un regno di Dio sulla terra. L'ideale non è stato raggiunto che sotto Davide; questa realizzazione è stata preceduta dallo scacco di Saul e sarà seguita da tutte le infedeltà della monarchia, che meriteranno la condanna di Dio e saranno la rovina della nazione. A partire dalla profezia di Natan, la speranza messianica si è alimentata alle promesse fatte alla casa di Davide. Il NT vi si riferisce tre volte (At 2,30; 2Cor 6,18; Eb 1,5). Gesù è discendente di Davide e il nome «figlio di Davide», che il popolo gli dà, è un riconoscimento dei suoi titoli messianici. I Padri hanno stabilito un parallelo tra la vita di Davide e quella di Gesù, il Cristo, l'eletto per la salvezza di tutti, re del popolo spirituale di Dio e tuttavia perseguitato dai suoi. (p. 404)
  • I libri dei Re devono essere letti nello spirito con cui sono stati scritti, come una storia di salvezza. L'ingratitudine del popolo eletto, la rovina successiva delle due frazioni della nazione sembrano mettere in scacco il piano di Dio; ma c'è sempre, a salvare l'avvenire, un gruppo di fedeli che non hanno piegato il ginocchio davanti a Baal, un resto di Sion che si mantiene fedele all'alleanza. La stabilità delle risoluzioni divine si manifesta nella sorprendente permanenza della discendenza davidica, depositaria delle promesse messianiche, e il libro, nella sua forma ultima, si chiude con la grazia fatta a Joiachìn, come con l'aurora di una redenzione. (p. 406)
  • La storia di Sansone è differente da tutti gli altri racconti del libro [dei Giudici]. Narra, dalla nascita alla morte, la vita di un eroe locale. Egli è forte come un gigante e debole come un bambino: seduce le donne ed è ingannato da esse; gioca brutti scherzi ai filistei ma non libera il paese da essi. La storia ha l'humor piccante dei racconti popolari coi quali la gente si vendica di un oppressore che ha dovuto subire, ma che poi finalmente può esporre alla derisione. (p. 480)
  • L'importanza di Samuele sta nell'aver fatto prevalere una monarchia che rispettasse i diritti di Dio sul popolo. Dopo il fallimento del regno di Saul, ciò si attuerà sotto Davide. La sua grande personalità sarà capace di conciliare l'aspetto religioso e l'aspetto profano della monarchia di Israele e, in lui, il capo politico non verrà mai meno ai doveri dell'unto di Jahve. Questo ideale non sarà più raggiunto dai suoi successori e Davide resterà la figura del re futuro, l'unto di Jahve, il Messia, attraverso il quale Dio opererà la salvezza del suo popolo. (p. 518)
  • È il dramma del regno di Saul: egli ha salvato il suo popolo ([1Sam] cc 11 e 14), nondimeno è ripudiato da Jahve (cc 13 e 15). Dalla preferenza accordata a Giacobbe su Esaù [...] fino alla chiamata degli apostoli [...] tutta la storia santa proclama la gratuità delle scelte divine. Essa proclama pure che il perdurare della grazia dipende dalla fedeltà dell'eletto: Saul si è dimostrato infedele alla sua vocazione. (p. 527)
  • Saul si è comportato in buona fede e qui sta il dramma: la sua colpa sta nel fatto di avere scelto, per fare piacere al popolo, una maniera diversa di onorare Dio. Tra Jahve che l'ha eletto e il popolo che l'ha acclamato e riconosciuto, Saul ha cercato un compromesso, egli non si è impegnato esclusivamente per Jahve. (p. 532)
  • Gli otto versi di ogni strofa [del salmo 119] cominciano con una delle 22 lettere dell'alfabeto ebraico, e contengono ognuno, salvo una sola eccezione (v 122), uno dei termini che designano la legge: testimonianza, precetto, volontà, comando, promessa, parola, giudizio, via. La parola legge e i suoi sinonimi devono essere presi qui nel senso più largo di insegnamento rivelato, come lo hanno trasmesso i profeti. Si ha, in questo salmo, uno dei momenti più caratteristici della pietà israelita alla rivelazione divina. (pp. 1256-1257)
  • Il timore del Signore: nella Bibbia (cf. Es 20,20+; Dt 6,2+) corrisponde quasi a ciò che noi chiamiamo religione o pietà verso Dio. Esso è, nello stesso tempo, l'inizio ([Pr] 9,10; 15,33; Gb 28,28; Sal 111,10; Sir 1,14.20) e il coronamento (Sir 1,18; 19,20; 25,10-11; 40,25-27) di una saggezza profondamente religiosa, in cui si sviluppa una relazione interpersonale con il Dio dell'alleanza, in modo tale che timore e amore, sottomissione e confidenza coincidono (cf. Sal 25,12-14; 112,1; 128,1; Qo 12,13; Sir 1,27-28; 2,7-9.15-18, ecc.). (p. 1291)
  • [Qoelet rende] cosciente l'uomo della sua miseria, ma anche della sua grandezza, mostrandogli che questo mondo non è degno di lui. Spinge l'uomo a una religione disinteressata, a una preghiera che sia l'adorazione della creatura cosciente del suo nulla, in presenza del mistero di Dio (cf. Sal 39). (p. 1355)
  • Questa partecipazione attiva alle vicende del suo paese fa di Isaia un eroe nazionale. Egli è anche un poeta di genio. Lo splendore del suo stile, la novità delle sue immagini fanno di lui il grande «classico» della Bibbia. Le sue composizioni hanno una forza concisa, una maestà, un'armonia che non saranno mai più raggiunte. Ma la sua grandezza è soprattutto religiosa. Isaia è stato segnato per sempre dalla scena della sua vocazione nel tempio, dove ha avuto la rivelazione della trascendenza di Dio e dell'indegnità dell'uomo. La sua idea di Dio ha qualche cosa di trionfale e anche di terrificante: Dio è il santo, il forte, il potente, il re. L'uomo è un essere contaminato dal peccato, per il quale Dio domanda riparazione. Dio esige la giustizia nelle relazioni sociali e anche la sincerità nel culto che gli si rende. Vuole che si sia fedeli. Isaia è il profeta della fede e, nelle crisi gravi che attraversa la sua nazione, domanda che si confidi in Dio solo: è l'unica possibilità di salvezza. Sa che la prova sarà severa, ma spera che un «resto» sarà risparmiato, di cui il Messia sarà il re. Isaia è il più grande dei profeti messianici. (p. 1525)
  • La missione di Geremia ha subìto uno scacco mentre ancora viveva, ma la sua figura non ha cessato di ingrandirsi dopo la sua morte. Per la sua dottrina di una nuova alleanza, fondata sulla religione del cuore, è stato il padre del giudaismo nella sua linea più pura, e si mette in risalto il suo influsso su Ezechiele, sulla seconda parte di Isaia e su parecchi salmi. L'epoca maccabea lo enumera tra i protettori del popolo (2Mac 2,1-8; 15,12-16). Mettendo i valori spirituali in primo piano, svelando i rapporti intimi che l'anima deve avere con Dio, egli ha preparato la nuova alleanza cristiana, e la sua vita di abnegazione e di sofferenza al servizio di Dio, dopo aver fornito forse elementi all'immagine del servo in Is 53, fa di Geremia una figura del Cristo. (p. 1529)
  • [...] da questi lamenti addolorati, scaturisce un sentimento di fiducia invincibile in Dio e di pentimento profondo che costituisce il valore permanente del libro [delle Lamentazioni]. (p. 1531)
  • L'interesse della raccolta composita, che porta il nome di Baruc, sta nel fatto che ci introduce nella comunità della dispersione e ci mostra come la vita religiosa vi era mantenuta dai rapporti con Gerusalemme, dalla preghiera, dal culto della legge, dallo spirito di rivincita e dai sogni messianici. (p. 1532)
  • In contrasto con questa potenza di visioni, forse come suo riscatto e come se l'intensità delle immagini soffocasse l'espressione, lo stile di Ezechiele è monotono e grigio, freddo e diluito, di una indigenza rara quando lo si confronti con quello dei grandi classici, con la purezza vigorosa di Isaia, col calore commovente di Geremia. L'arte di Ezechiele vale per le sue dimensioni e per il suo rilievo, che creano come un'atmosfera di orrore sacro davanti al mistero del divino. (p. 1534)
  • Questa spiritualizzazione di tutti i dati religiosi è il grande apporto di Ezechiele. Quando lo si chiama il padre del giudaismo, ci si riferisce spesso alla sua cura di separazione dal profano, di purità legale, alle sue minuzie rituali, e si pensa ai farisei. Ciò è del tutto ingiusto: Ezechiele, come Geremia ma in altro modo, è all'origine della corrente spirituale purissima che ha attraversato il giudaismo e sfocia nel NT. Gesù è il buon pastore che Ezechiele aveva annunziato e ha inaugurato il culto in spirito che questi aveva invocato. (p. 1535)
  • Il libro di Daniele non rappresenta più la vera corrente profetica. Non contiene la predicazione di un profeta inviato da Dio in missione presso i suoi contemporanei; è stato composto e scritto immediatamente da un autore che si nasconde dietro uno pseudonimo, come già il libretto di Giona. Le storie edificanti della prima parte si collegano con una classe di scritti sapienziali di cui si ha un esempio antico nella storia di Giuseppe della Genesi, un esempio recente nel libro di Tobia, scritto poco prima di Daniele. Le visioni della seconda parte apportano la rivelazione di un segreto divino, spiegato dagli angeli, per i tempi futuri, in uno stile volutamente enigmatico; questo «libro sigillato» (12,4) inaugura pienamente il genere apocalittico, che era stato preparato da Ezechiele e che si svilupperà nella letteratura giudaica. (p. 1538)
  • [Amos] Predica sotto il regno di Geroboamo II (783-743), epoca umanamente gloriosa, in cui il regno del nord si estende e si arricchisce, ma in cui il lusso dei grandi è un insulto alla miseria degli oppressi e in cui lo splendore del culto maschera l'assenza di una religione vera. Con la rudezza semplice e fiera e con la ricchezza di immagini di un uomo della campagna, Amos condanna in nome di Dio la vita corrotta delle città, le ingiustizie sociali, la falsa sicurezza che si pone in riti in cui l'anima non si impegna (5,21-22). Jahve, sovrano Signore del mondo, che punisce tutte le nazioni (1-2), castigherà duramente Israele, la cui elezione obbliga a una più grande giustizia morale (3,2). [...] Tuttavia Amos apre una piccola speranza, la prospettiva di una salvezza [...]. Questa profonda dottrina su Dio, Signore universale e onnipotente, difensore della giustizia, è espressa con una sicurezza assoluta, senza che mai il profeta abbia l'aria di innovare: la sua novità è nella forza con la quale richiama le esigenze del puro jahvismo. (p. 1539)
  • Con un'audacia che sorprende e una passione che sconvolge, l'anima delicata e violenta di Osea ha espresso per la prima volta i rapporti di Jahve e di Israele nei termini di un matrimonio. Tutto il suo messaggio ha per tema fondamentale l'amore di Dio misconosciuto dal suo popolo. Salvo un corto idillio nel deserto, Israele ha risposto agli inviti di Jahve solo con il tradimento. Osea se la prende soprattutto con le classi dirigenti della società. I re, scelti contro la volontà di Jahve, hanno, con la loro politica «laica», degradato il popolo eletto al rango degli altri popoli. I sacerdoti, ignoranti e rapaci, conducono il popolo alla rovina. Come Amos, Osea condanna le ingiustizie e le violenze, ma si fa più pesante di lui sull'infedeltà religiosa [...]. Il castigo è dunque inevitabile: però, Dio non castiga che per salvare. Israele, spogliato e umiliato, ricorderà il tempo in cui era fedele e Jahve accoglierà il suo popolo pentito, che godrà felicità e pace. (p. 1540)
  • Il libro di Osea ha avuto risonanze profonde nell'AT; la sua eco si ritrova nelle esortazioni degli altri profeti a una religione del cuore, ispirata dall'amore di Dio. Geremia è stato influenzato profondamente da lui. Non fa meraviglia che il NT citi Osea o se ne ispiri molto spesso. L'immagine matrimoniale delle relazioni tra Jahve e il suo popolo è stata ripresa da Geremia, Ezechiele e la seconda parte di Isaia. Il NT e la prima comunità cristiana l'hanno applicata ai rapporti tra Gesù e la sua chiesa. I mistici cristiani l'hanno estesa a tutte le anime fedeli. (p. 1541)
  • [Michea] Per la sua origine campagnola, si collega ad Amos, di cui divide l'avversione alle grandi città, il linguaggio concreto e talvolta brutale, il gusto delle immagini rapide e dei giuochi di parole. (p. 1541)
  • Il messaggio di Sofonia si riassume in un annunzio del giorno di Jahve (vedere Amos), una catastrofe che raggiungerà le nazioni e anche Giuda. Questo è condannato per le sue colpe religiose e morali, che sono ispirate dall'orgoglio e dalla rivolta (3,1.11). Sofonia ha del peccato una nozione profonda, che annunzia quella di Geremia: è un'offesa personale al Dio vivente. Il castigo delle nazioni è un avvertimento (3,7), che dovrebbe ricondurre il popolo all'obbedienza e all'umiltà (2,3); la salvezza è promessa solo a un «resto» umile e modesto (3,12-13). Il messianismo di Sofonia si riduce a questo orizzonte, che è forse limitato, ma che scopre il contenuto spirituale delle promesse. (p. 1543)
  • Nella dottrina dei profeti, Abacuc apporta una nota nuova: osa domandare conto a Dio del suo governo del mondo. Sì, Giuda ha peccato; ma perché Dio, che è santo (1,12), che ha occhi troppo puri per vedere il male (1,13), sceglie i barbari caldei per esercitare la sua vendetta? Perché fa punire il cattivo da uno più cattivo di lui? Perché sembra voler sostenere il trionfo di una forza ingiusta? È il problema del male, posto sul piano delle nazioni. Lo scandalo di Abacuc è anche quello di molte anime moderne. A lui e ad esse va la risposta divina: per vie paradossali, il Dio onnipotente prepara la vittoria finale del diritto, e «il giusto vivrà per la sua fede» (2,4): perla di questo piccolo libro, che san Paolo inserirà nella sua dottrina sulla fede (Rm 1,17; Gal 3,11; Eb 10,38). (pp. 1544-1545)
  • Il libro di Naum si apre con un salmo sulla collera di Jahve contro i cattivi e con sentenze profetiche che oppongono il castigo di Assur e la salvezza di Giuda (1,2-2,3); ma il soggetto principale, indicato dal titolo, è la rovina di Ninive, annunziata e descritta con una potenza di evocazione che fa di Naum uno dei più grandi poeti di Israele (2,4-3,19). Non c'è ragione per negargli il salmo e gli oracoli dell'inizio, che formano una buona introduzione a questo terribile quadro. [...] Vi si sente fremere tutta la passione di Israele contro il nemico ereditario, il popolo di Assur; con essa si intendono cantare le speranze che risveglia la sua caduta. Ma, attraverso questo nazionalismo violento, che non sospetta neppur lontanamente le esigenze del vangelo e nemmeno l'universalismo della seconda parte di Isaia, si esprime un ideale di giustizia e di fede: la rovina di Ninive è un giudizio di Dio, che punisce il nemico del piano divino (1,11; 2,1), l'oppressore di Israele (1,12-13) e di tutti i popoli (3,1-7). (p. 1543)
  • Con Aggeo inizia l'ultimo periodo profetico, quello dopo l'esilio. Prima dell'esilio, la parola d'ordine dei profeti era stata «punizione». Durante l'esilio, è diventata «consolazione». Ora è «restaurazione». (p. 1545)
  • Come Aggeo, Zaccaria si preoccupa della ricostruzione del tempio. Ma dedica una parte più larga alla restaurazione nazionale e alle sue esigenze di moralità e di purità; e l'attesa escatologica è più urgente. Questa restaurazione deve aprire un'èra messianica in cui sarà esaltato il sacerdozio rappresentato da Giosuè (3,1-7), ma in cui la regalità sarà esercitata dal «germoglio» (3,8), termine messianico che 6,12 applica a Zorobabele. I due unti (4,14) governeranno in perfetto accordo (6,13). Così Zaccaria fa rinascere la vecchia idea del messianismo regale, ma la associa alle preoccupazioni sacerdotali di Ezechiele, il cui influsso si fa sentire in molti punti: funzione preponderante delle visioni, tendenza apocalittica, cura della purità. Le stesse caratteristiche e la parte dedicata agli angeli preludono a Daniele. (p. 1546)
  • Lo slancio che Aggeo e Zaccaria avevano suscitato è spezzato e la comunità si lascia andare. Ispirandosi al Deuteronomio, e anche a Ezechiele, il profeta [Malachia] afferma che non ci si burla di Dio, il quale esige dal suo popolo religione interiore e purità. (p. 1547)
  • L'effusione dello spirito profetico su tutto il popolo di Dio nell'era escatologica ([Gl] 3,1-5) risponde all'augurio di Mosè in Nm 11,29. Il NT afferma che l'annunzio si è realizzato al momento della venuta dello Spirito sugli apostoli di Cristo; san Pietro citerà tutto questo passo (At 2,16-21): Gioele è il profeta della pentecoste. È anche il profeta della penitenza: i suoi inviti al digiuno e alla preghiera, desunti dalle cerimonie del tempio o redatti sul loro modello, entreranno naturalmente nella liturgia cristiana della quaresima. (p. 1548)
  • Il libro [di Giona] è destinato a piacere e anche a istruire: è un racconto didattico. Il suo insegnamento segna uno dei vertici dell'AT. Rompendo con una interpretazione stretta della profezia, afferma che le minacce, anche le più categoriche, sono l'espressione di una volontà misericordiosa di Dio, il quale non attende che la manifestazione del pentimento per accordare il suo perdono. (p. 1549)
  • Rompendo con il particolarismo nel quale la comunità postesilica era tentata di chiudersi, questo libro [di Giona] predica un universalismo straordinariamente aperto. Qui, ognuno è simpatico, i marinai pagani del naufragio, il re, gli abitanti e perfino gli animali di Ninive, ognuno, salvo il solo israelita che sia in scena – ed è profeta – Giona! Dio sarà indulgente verso il profeta ribelle, ma, soprattutto, la sua misericordia si estende anche alla nemica più vituperata di Israele, la città di Ninive. (p. 1549)
  • Mentre le profezie antiche erano soprattutto indirizzi morali riguardanti il presente, cui si aggiungeva qua o là la prospettiva di un avvenire migliore, di solito l'apocalisse è uno scritto o un discorso di consolazione, in cui un profeta racconta le visioni di cui è stato testimone. Queste visioni svelano un avvenire che farà dimenticare le sofferenze presenti. Spesso manifestano il trionfo del giudizio e aprono prospettive escatologiche, mentre rivelano anche i misteri dell'aldilà. (p. 1892)
  • Il quarto Vangelo, come si vede, è un'opera complessa: imparentato alla forma più primitiva della predicazione cristiana, è anche il punto d'arrivo di uno sforzo, perseguito sotto la guida dello Spirito santo, per un'intelligenza più profonda e luminosa del mistero di Cristo. (p. 2258)
  • [Negli Atti degli Apostoli] tutto è segnato, diretto, trascinato dal soffio irresistibile dello Spirito santo. Questo Spirito, del quale Luca aveva ripetutamente trattato nel Vangelo (Lc 4,1+), è descritto continuamente in azione nell'espansione della chiesa (At 1,8+) e in tale maniera che gli Atti sono stati chiamati «il Vangelo dello Spirito santo». Ecco ciò che conferisce a quest'opera tanto profumo di gioia spirituale, di meraviglioso soprannaturale, di cui restano sorpresi solo quanti non comprendono questo fenomeno unico al mondo, la nascita del cristianesimo. (p. 2322)
  • Questo biglietto [a Filemone] autografo (v 19) getta una luce preziosa sul cuore delicato di Paolo; esso riveste anche l'interesse di confermarci la sua soluzione al problema della schiavitù (Rm 6,15+): anche se conservano le relazioni sociali di prima, il padrone e lo schiavo, diventati cristiani, devono ormai vivere come due fratelli al servizio dello stesso Signore (v 16; cf. Col 3,22-4,1). (p. 2410)
  • [Nella Lettera agli Ebrei] Le fila dei temi principali si compenetrano con una sottigliezza che sconcerta la nostra logica occidentale, e il modo con cui vengono utilizzati i testi della Scrittura a volte ci sorprende. Ma proprio in queste pagine abbiamo una lezione di tipologia che illumina in maniera unica il procedimento con cui i primi cristiani hanno concepito l'armonia dei due Testamenti e compreso l'opera del Cristo in funzione di tutta l'economia della salvezza. Questo fatto, congiunto a sintesi di primario valore sugli articoli più importanti della fede, fa del nostro scritto anonimo, in cui passa ancora il soffio di san Paolo, uno dei documenti essenziali della rivelazione del NT. (p. 2413)
  • [Nella Lettera di Giacomo] l'autore nelle sue argomentazioni procede meno per citazioni esplicite [...] che per reminescenze spontanee e allusioni che soggiaciono ovunque. Si ispira particolarmente alla letteratura sapienziale per derivarne lezioni di morale pratica. Ma dipende anche profondamente dagli insegnamenti del Vangelo; [...] vi si ritrovano continuamente il pensiero e le espressioni preferite di Gesù e, anche in questo caso, meno come citazioni esplicite, prese da una tradizione scritta, che come utilizzazione di una tradizione orale viva. In conclusione, è un saggio giudeo-cristiano che ripensa in modo originale le massime della sapienza giudaica in funzione del compimento che esse hanno ricevuto sulla bocca del Maestro. (p. 2585)
  • Di portata essenzialmente pratica, questo scritto [la Prima lettera di Pietro] contiene anche una apprezzabile ricchezza dottrinale. Vi si trova un meraviglioso riassunto della teologia cristiana comune all'epoca apostolica, un calore commovente nella sua semplicità. (p. 2588)
  • L'Apocalisse è la grande epopea della speranza cristiana, il canto di trionfo della chiesa, perseguitata. (p. 2625)

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