Libro di Giobbe

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Libro di Giobbe, testo contenuto nella Bibbia ebraica e cristiana.

Incipit modifica

C'era nella terra di Uz un uomo chiamato Giobbe: uomo integro e retto, temeva Dio ed era alieno dal male. Gli erano nati sette figli e tre figlie; possedeva settemila pecore e tremila cammelli, cinquecento paia di buoi e cinquecento asine, e molto numerosa era la sua servitù. Quest'uomo era il più grande fra tutti i figli d'oriente. Ora i suoi figli solevano andare a fare banchetti in casa di uno di loro, ciascuno nel suo giorno, e mandavano a invitare anche le loro tre sorelle per mangiare e bere insieme. Quando avevano compiuto il turno dei giorni del banchetto, Giobbe li mandava a chiamare per purificarli; si alzava di buon mattino e offriva olocausti secondo il numero di tutti loro. Giobbe infatti pensava: "Forse i miei figli hanno peccato e hanno offeso Dio nel loro cuore". Così faceva Giobbe ogni volta.

[La sacra Bibbia, edizione CEI, 1974]

Citazioni modifica

  • Un giorno avvenne che i figli di Dio andarono a presentarsi davanti al Signore e tra di essi venne anche Satana. Il Signore disse a Satana: «Da dove vieni?». Satana rispose al Signore: «Dal percorrere la terra e dall'aggirarmi su di essa». (1, 6 – 7; 2010)
  • Il Signore disse a Satana: «Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, timorato di Dio e lontano dal male». Satana rispose al Signore: «Forse che Giobbe teme Dio per nulla? Non sei forse tu che hai messo una siepe intorno a lui e alla sua casa e a tutto quello che è suo? Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani e i suoi possedimenti si espandono sulla terra. Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha, e vedrai come ti maledirà apertamente!». Il Signore disse a Satana: «Ecco, quanto possiede è in tuo potere, ma non stendere la mano su di lui». (1, 8 – 12; 2008)
  • Nudo uscii dal seno di mia madre, | e nudo vi ritornerò. | Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, | sia benedetto il nome del Signore! (1, 21; 1974)
  • Il Signore disse a Satana: «Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, timorato di Dio e lontano dal male. Egli è ancora saldo nella sua integrità; tu mi hai spinto contro di lui per rovinarlo, senza ragione». Satana rispose al Signore: «Pelle per pelle; tutto quello che possiede, l'uomo è pronto a darlo per la sua vita. Ma stendi un poco la mano e colpiscilo nelle ossa e nella carne e vedrai come ti maledirà apertamente!». Il Signore disse a Satana: «Eccolo nelle tue mani! Soltanto risparmia la sua vita». (2, 3 – 6; 2008)
  • Perisca il giorno che io nacqui | e la notte in cui si disse: "È stato concepito un maschio!" (3, 3; 1994)
  • Poiché allo stolto dà morte lo sdegno | e la collera fa morire lo sciocco. | Io ho visto lo stolto metter radici, | ma imputridire la sua dimora all'istante. (5, 2 – 3; 1974)
  • Infatti, la sventura non spunta dalla terra, | né il dolore germina dal suolo; | ma l'uomo nasce per soffrire, | come la favilla per volare in alto. (5, 6 – 7; 1994)
L'uomo nasce al travaglio, | come l'uccello per il volo. (5, 7; 1959)
  • Beato l'uomo che Dio corregge! | Tu non disprezzare la lezione dell'Onnipotente; | perché egli fa la piaga, ma poi la fascia; | egli ferisce, ma le sue mani guariscono. (5, 17 – 18; 1994)
  • A chi è sfinito è dovuta pietà dagli amici, | anche se ha abbandonato il timore di Dio. (6, 14; 1974)
  • Non ha forse un duro lavoro l'uomo sulla terra | e i suoi giorni non sono come quelli d'un mercenario? | Come lo schiavo sospira l'ombra | e come il mercenario aspetta il suo salario, | così a me son toccati mesi d'illusione | e notti di dolore mi sono state assegnate. (7, 1 – 3; 1974)
  • Se ho peccato, che cosa ti ho fatto, | o custode dell'uomo? | Perché m'hai preso a bersaglio | e ti son diventato di peso? | Perché non cancelli il mio peccato | e non dimentichi la mia iniquità? | Ben presto giacerò nella polvere, | mi cercherai, ma più non sarò! (7, 20 – 21; 1974)
  • Dio non ritira la sua collera: | sotto di lui sono fiaccati i sostenitori di Raab. (9, 13; 1974)
  • L'uomo insensato si leva in superbia, | e qual giovane onagro si stima nato indipendente. (11, 12; 1959)
  • Le tende dei ladri sono tranquille, | c'è sicurezza per chi provoca Dio, | per chi vuol ridurre Dio in suo potere. | Ma interroga pure le bestie, perché ti ammaestrino, | gli uccelli del cielo, perché ti informino, | o i rettili della terra, perché ti istruiscano | o i pesci del mare perché te lo faccian sapere. | Chi non sa, fra tutti questi esseri, | che la mano del Signore ha fatto questo? | Egli ha in mano l'anima di ogni vivente | e il soffio d'ogni carne umana. (12, 6 – 10; 1974)
  • Ma io all'Onnipotente vorrei parlare, | a Dio vorrei fare rimostranze. (13, 3; 1974)
  • Ma io so che il mio Redentore vive | e che alla fine si alzerà sulla polvere. | E quando, dopo la mia pelle, sarà distrutto questo corpo, | senza la mia carne, vedrò Dio. | Io lo vedrò a me favorevole; | lo contempleranno i miei occhi, | non quelli d'un altro; | il cuore, dal desiderio, mi si consuma! (19, 25 – 27; 1994)
  • Se ti rivolgerai all'Onnipotente con umiltà, | se allontanerai l'iniquità dalla tua tenda, | se stimerai come polvere l'oro | e come ciottoli dei fiumi l'oro di Ofir, | allora sarà l'Onnipotente il tuo oro | e sarà per te argento a mucchi. (22, 23 – 25; 1974)
  • Come può giustificarsi un uomo davanti a Dio | e apparire puro un nato di donna? | Ecco, la luna stessa manca di chiarore | e le stelle non sono pure ai suoi occhi: | quanto meno l'uomo, questo verme, | l'essere umano, questo bruco! (25, 4 – 6; 1974)
  • Con forza agita il mare | e con intelligenza doma Raab. | Al suo soffio si rasserenano i cieli, | la sua mano trafigge il serpente tortuoso. (26, 12-13; 1974)
  • Ma la saggezza, dove trovarla? | Dov'è il luogo dell'intelligenza? | L'uomo non ne sa la via, | non la si trova sulla terra dei viventi. | L'abisso dice: "Non è in me"; | il mare dice: "Non sta da me". | Non la si ottiene in cambio d'oro, | né la si compra a peso d'argento. (28, 12 – 15; 1994)
  • Ecco, temere Dio, questo è sapienza | e schivare il male, questo è intelligenza. (28, 28; 1974)
  • Sono divenuto fratello degli sciacalli | e compagno degli struzzi. (30, 29; 1974)
  • La mia cetra non dà più che accenti di lutto, | e la mia zampogna voce di pianto. (30, 31; 1994)
  • Chi ha chiuso tra due porte il mare, | quando erompeva uscendo dal seno materno, | quando lo circondavo di nubi per veste | e per fasce di caligine folta? | Poi gli ho fissato un limite | e gli ho messo chiavistello e porte | e ho detto: "Fin qui giungerai e non oltre | e qui s'infrangerà l'orgoglio delle tue onde". (38, 8 – 11; 1974)
  • Da quando vivi, hai mai comandato al mattino | e assegnato il posto all'aurora, | perché essa afferri i lembi della terra | e ne scuota i malvagi? | Si trasforma come creta da sigillo | e si colora come un vestito. (38, 12 – 14; 1974)
  • Sai tu quando figliano le camozze | e assisti al parto delle cerve? | Conti tu i mesi della loro gravidanza | e sai tu quando devono figliare? | Si curvano e depongono i figli, | metton fine alle loro doglie. | Robusti sono i loro figli, crescono in campagna, | partono e non tornano più da esse. (39, 1 – 4; 1974)
  • Chi ha mandato libero l'onagro, | e i suoi legami chi li ha sciolti? | Ad esso io diedi il deserto quale casa | e qual sua dimora la terra di salsuggine. | Disprezza egli il tumulto della città, | e urla di mandriano non ascolta; | visita torno torno i monti del suo pascolo, | e ogni verde zolla egli ricerca. (39, 5 – 8; 1959)
  • Il bufalo si lascerà piegare a servirti | o a passar la notte presso la tua greppia? | Potrai legarlo con la corda per fare il solco | o fargli erpicare le valli dietro a te? | Ti fiderai di lui, perché la sua forza è grande | e a lui affiderai le tue fatiche? | Conterai su di lui, che torni | e raduni la tua messe sulla tua aia? (39, 9 – 12; 1974)
  • L'ala dello struzzo batte festante, | ma è forse penna e piuma di cicogna? | Abbandona infatti alla terra le uova | e sulla polvere le lascia riscaldare. | Dimentica che un piede può schiacciarle, | una bestia selvatica calpestarle. | Tratta duramente i figli, come se non fossero suoi, | della sua inutile fatica non si affanna, | perché Dio gli ha negato la saggezza | e non gli ha dato in sorte discernimento. | Ma quando giunge il saettatore, fugge agitando le ali: | si beffa del cavallo e del suo cavaliere. (39, 13 – 18; 1974)
  • È forse al tuo comando che l'aquila si alza in alto | e fa il suo nido nei luoghi elevati? | Abita nelle rocce e vi pernotta; | sta sulla punta delle rupi, sulle vette scoscese; | di là spia la preda | e i suoi occhi mirano lontano. | I suoi piccini si abbeverano di sangue, | e dove sono i corpi morti, là essa si trova. (39, 27 – 30; 1994)
  • Ecco, l'ippopotamo, che io ho creato al pari di te, | mangia l'erba come il bue. | Guarda, la sua forza è nei fianchi | e il suo vigore nel ventre. | Rizza la coda come un cedro, | i nervi delle sue cosce s'intrecciano saldi, | le sue vertebre, tubi di bronzo, | le sue ossa come spranghe di ferro. | Esso è la prima delle opere di Dio; | il suo creatore lo ha fornito di difesa. | I monti gli offrono i loro prodotti | e là tutte le bestie della campagna si trastullano. | Sotto le piante di loto si sdraia, | nel folto del canneto della palude. | Lo ricoprono d'ombra i loti selvatici, | lo circondano i salici del torrente. | Ecco, si gonfi pure il fiume: egli non trema, | è calmo, anche se il Giordano gli salisse fino alla bocca. | Chi potrà afferrarlo per gli occhi, | prenderlo con lacci e forargli le narici? (40, 15 – 24; 1974)
  • Puoi tu pescare il Leviatan con l'amo | e tener ferma la sua lingua con una corda, | ficcargli un giunco nelle narici | e forargli la mascella con un uncino? | Ti farà forse molte suppliche | e ti rivolgerà dolci parole? | Stipulerà forse con te un'alleanza, | perché tu lo prenda come servo per sempre? | Scherzerai con lui come un passero, | legandolo per le tue fanciulle? | Lo metteranno in vendita le compagnie di pesca, | se lo divideranno i commercianti? | Crivellerai di dardi la sua pelle | e con la fiocina la sua testa? | Metti su di lui la mano: | al ricordo della lotta, non rimproverai! (40, 25 – 32; 1974)
  • Prenderai forse il coccodrillo all'amo? | Gli assicurerai la lingua con la corda? | Gli passerai un giunco per le narici? | Gli forerai le mascelle con l'uncino? | Ti rivolgerà esso molte suppliche? | Ti dirà delle parole dolci? | Farà esso alleanza con te, | perché tu lo prenda per sempre al tuo servizio? | Scherzerai con lui come fosse un uccello? | Lo attaccherai a un filo per divertire le tue ragazze? | Ne trafficheranno forse i pescatori? | Lo spartiranno essi fra i negozianti? | Gli coprirai la pelle di frecce | e la testa di ramponi? | Mettigli un po' le mani addosso! | Ti ricorderai del combattimento e non ci tornerai! (40, 25 – 32; 1994)

Explicit modifica

Il Signore benedisse la nuova condizione di Giobbe più della prima ed egli possedette quattordicimila pecore e seimila cammelli, mille paia di buoi e mille asine. Ebbe anche sette figli e tre figlie. A una mise nome Colomba, alla seconda Cassia e alla terza Fiala di stibio. In tutta la terra non si trovarono donne così belle come le figlie di Giobbe e il loro padre le mise a parte dell'eredità insieme con i loro fratelli. Dopo tutto questo, Giobbe visse ancora centoquarant'anni e vide figli e nipoti di quattro generazioni. Poi Giobbe morì, vecchio e sazio di giorni.

[La sacra Bibbia, edizione CEI, 1974]

Citazioni sul Libro di Giobbe modifica

  • Animato da ansiosa ricerca di verità e da umanità profonda, è giudicato concordemente un vero capolavoro di tutti i tempi e di tutti i paesi, ed è cosparso di sublimi bellezze letterarie. [...] Il poema fu sempre di conforto agli afflitti dalle miserie della vita. (Giuseppe Ricciotti)
  • Giobbe è un'opera formidabile della letteratura ebraica. Con la sola eccezione di Isaia, nessun altro libro della Bibbia è scritto con un tale altissimo livello di potente eloquenza, come del resto si addice al suo argomento, la giustizia di Dio. Come opera di teologia morale, il libro è un fallimento perché l'autore, come tutti gli altri, è sconcertato dal problema della teodicea. (Paul Johnson)
  • Giobbe sopportò tutto – ma quando vennero i suoi amici... a consolarlo, allora perse la pazienza. (Søren Kierkegaard)
  • Il Libro di Giobbe è ricco di storia naturale in forma poetica: presenta un catalogo affascinante di fenomeni organici, cosmici e meteorologici. Nel capitolo 28, per esempio, c'è una straordinaria descrizione di una miniera. Attraverso questa immagine, ci viene presentata una visione del potenziale scientifico e tecnologico quasi illimitato del genere umano, in contrasto con le capacità morali incorreggibilmente deboli dell'uomo. (Paul Johnson)
  • Interessante [...] il fatto che Dio alla fine premia Giobbe, che pure si era ribellato, e redarguisce invece i tre amici di Giobbe, che avevano cercato di convincerlo che la punizione divina cui era sottoposto era probabilmente dovuta a qualche suo cattivo comportamento. Ma Dio sapeva che questa non era la ragione e con la punizione dei tre amici voleva sottolineare che il potere di Dio è assolutamente imperscrutabile. (Umberto Veronesi e Mario Pappagallo)

Antonio Girlanda modifica

  • Giobbe: il poema grandioso dell'innocente oppresso dalla sofferenza immeritata, ma che non cessa di cercare Dio.
  • Il libro di Giobbe è un capolavoro della letteratura universale, sia per l'eterno problema che agita, il dolore dell'innocente, ma anche per la smagliante veste letteraria che l'anonimo autore ebreo del V secolo ha saputo dargli.
  • L'autore di Giobbe non accetta un Dio automa che garantisce disgrazie ai malvagi e successo ai buoni. Egli ha assunto il problema del dolore innocente come il caso limite per scuotere certezze che non rispondono alla realtà né stimolano quella fede che si affida a Dio, certa che la sua ultima volontà è la felicità della creatura che lo cerca. L'epilogo lo dimostra.

Simone Weil modifica

  • È necessario che l'anima continui ad amare a vuoto, o per lo meno a voler amare, anche soltanto con una parte infinitamente piccola di se stessa. Allora un giorno Dio stesso viene a rivelarsi a lei e a mostrarle la bellezza del mondo, come avvenne per Giobbe.
  • Giobbe grida la propria sventura con tale accento di disperazione proprio perché lui stesso non riesce a credervi, perché nel fondo dell'anima parteggia per i suoi amici. Egli implora la testimonianza di Dio stesso, perché non sente più quella della propria coscienza.
  • La sventura ha costretto Cristo a supplicare di essere risparmiato, a cercare conforto fra gli uomini, a credersi abbandonato dal Padre. Ha costretto un giusto a imprecare contro Dio, un giusto perfetto, quanto almeno può esserlo una natura soltanto umana, e forse anche di più, se Giobbe non è tanto un personaggio storico quanto una immagine di Cristo. «Egli si fa gioco della sventura degli innocenti». Non è una bestemmia, è un autentico grido strappato al dolore. Il libro di Giobbe è dall'inizio alla fine una pura meraviglia di verità e di autenticità. Se si parla di sventura, tutto ciò che si discosta da quell'esempio è, più o meno, macchiato di menzogna.

Bibliografia modifica

  • La sacra Bibbia, traduzione di G. Bonaccorsi, G. Castoldi, G. Giovannozzi, G. Mezzacasa, F. Ramorino, G. Ricciotti, G. M. Zampini, Salani Editore, Firenze, 1959.
  • La sacra Bibbia, edizione CEI, 1974.
  • Giobbe, edizione Nuova Riveduta, 1994.
  • La sacra Bibbia, edizione CEI, 2008.
  • La Bibbia, Edizioni San Paolo, 2010. ISBN 978-88-215-6777-3

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