Secondo libro dei Maccabei

libro deuterocanonico della Bibbia
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Secondo libro dei Maccabei, testo deuterocanonico della Bibbia.

Incipit modifica

Ai fratelli giudei sparsi nell'Egitto salute. I fratelli giudei che sono in Gerusalemme e nella regione della Giudea augurano buona pace. Dio voglia concedervi i suoi benefici e ricordarsi della sua alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe suoi servi fedeli; conceda a tutti voi volontà di adorarlo e di compiere i suoi desideri con cuore generoso e animo pronto; vi dia una mente aperta ad intender la sua legge e i suoi comandi, e volontà di pace. Esaudisca le vostre preghiere e vi sia propizio e non vi abbandoni nell'ora dell'avversità.
[La sacra Bibbia, edizione CEI, 1974]

Citazioni modifica

  • Si trova scritto nei documenti che il profeta Geremia ordinò ai deportati di prendere del fuoco, come si è detto, e che il medesimo profeta, dando agli stessi deportati la legge, raccomandò loro di non dimenticarsi dei precetti del Signore e di non lasciarsi traviare nei loro pensieri, vedendo i simulacri d'oro e d'argento e il fasto di cui erano circondati, e che con altre simili espressioni li esortava a non ripudiare la legge nel loro cuore. Si diceva anche nello scritto che il profeta, avuto un oracolo, ordinò che lo seguissero con la tenda e l'arca. Quando giunse presso il monte, dove Mosè era salito e aveva contemplato l'eredità di Dio, Geremia salì e trovò un vano a forma di caverna e vi introdusse la tenda, l'arca e l'altare dell'incenso e sbarrò l'ingresso. Alcuni di quelli che lo seguivano tornarono poi per segnare la strada, ma non riuscirono a trovarla. Geremia, quando venne a saperlo, li rimproverò dicendo: «Il luogo deve restare ignoto, finché Dio non avrà riunito la totalità del popolo e si sarà mostrato propizio. Allora il Signore mostrerà queste cose e si rivelerà la gloria del Signore e la nube, come appariva sopra Mosè, come già avvenne quando Salomone chiese che il luogo fosse solennemente santificato». (2, 1 – 8; 2008)
  • Nel periodo in cui la città santa godeva completa pace e le leggi erano osservate perfettamente per la pietà del sommo sacerdote Onia e la sua avversione al male, gli stessi re avevano preso ad onorare il luogo santo e a glorificare il tempio con doni insigni, al punto che Selèuco, re dell'Asia, provvedeva con le proprie entrate a tutte le spese riguardanti il servizio dei sacrifici. (3, 1 – 3; 1974)
  • Un tale Eleàzaro, uno degli scribi più stimati, uomo già avanti negli anni e molto dignitoso nell'aspetto della persona, veniva costretto ad aprire la bocca e ad ingoiare carne suina. Ma egli, preferendo una morte gloriosa a una vita ignominiosa, s'incamminò volontariamente al supplizio, sputando il boccone e comportandosi come conviene a coloro che sono pronti ad allontanarsi da quanto non è lecito gustare per brama di sopravvivere. (6, 18 – 20; 1974)
  • [A chi gli consigliava, per evitare il martirio, di fingere di mangiare la carne suina imposta dal re] Non è affatto degno della nostra età fingere con il pericolo che molti giovani, pensando che a novant'anni Eleàzaro sia passato agli usi stranieri, a loro volta, per colpa della mia finzione, durante pochi e brevissimi giorni di vita, si perdano per causa mia e io procuri così disonore e macchia alla mia vecchiaia. Infatti anche se ora mi sottraessi al castigo degli uomini, non potrei sfuggire né da vivo né da morto alle mani dell'Onnipontente. Perciò, abbandonando ora da forte questa vita, mi mostrerò degno della mia età e lascerò ai giovani nobile esempio, perché sappiano affrontare la morte prontamente e generosamente per le sante e venerande leggi. (Eleàzaro: 6, 24 – 28; 1974)
  • Il Signore, cui appartiene la sacra scienza, sa bene che, potendo sfuggire alla morte, soffro nel corpo atroci dolori sotto i flagelli, ma nell'anima sopporto volentieri tutto questo per il timore di lui. (Eleàzaro, ultime parole: 6, 30; 1974)
  • Costoro confidano nelle armi e insieme nel loro ardire; noi confidiamo nel Dio onnipotente, capace di abbattere quanti vengono contro di lui e il mondo intero con un sol cenno. (Giuda: 8, 18; 1974)
  • Il tristissimo Nicànore, colui che aveva convocato mille mercanti per la vendita dei Giudei, umiliato, con l'aiuto di Dio, da coloro che erano da lui ritenuti insignificanti, deposta la splendida veste, fuggiasco come uno schiavo attraverso la campagna e ormai privo di tutto, arrivò ad Antiochia, già troppo fortunato di essere sopravvissuto alla rovina dell'esercito. Così chi si riprometteva di assicurare il tributo per i Romani con la vendita dei prigionieri in Gerusalemme, confessava ora che i Giudei avevano un difensore, che i Giudei erano per questa ragione invincibili, perché obbedivano alle leggi stabilite da lui. (8, 34 – 36; 1974)
  • Colui che poco prima pensava di comandare ai flutti del mare, arrogandosi di essere un superuomo e di pesare sulla bilancia le cime dei monti, ora gettato a terra doveva farsi portare in lettiga, rendendo a tutti manifesta la potenza di Dio, a tal punto che nel corpo di quell'empio si formavano i vermi e, mentre era ancora vivo, le sue carni fra spasimi e dolori cadevano a brandelli e l'esercito era tutto nauseato dal fetore e dal marciume di lui. (9, 8 – 9; 1974)
  • Quest'omicida e bestemmiatore dunque, soffrendo crudeli tormenti, come li aveva fatti subire agli altri, finì così la sua vita in terra straniera, in una zona montuosa, con una sorte misera. (9, 28; 1974)
  • Infatti Tolomeo, chiamato Macrone, che aveva cominciato a praticare la giustizia verso i Giudei, a causa dei torti che erano stati fatti loro, cercava di trattare con loro pacificamente. Per questo motivo fu accusato dagli amici presso l'Eupàtore. Sentendosi poi chiamare spesso traditore per aver abbandonato Cipro, a lui affidata dal Filomètore, ed essere passato dalla parte di Antioco Epìfane, non potendo esercitare con onore la carica, datosi il veleno, pose fine alla propria vita. (10, 12 – 13; 2008)
  • Gli abitanti di Giaffa perpetrarono un'empietà di questo genere: invitarono i Giudei che abitavano con loro a salire con le mogli e con i figli su barche allestite da loro, come se non ci fosse alcuna cattiva intenzione a loro riguardo, ma fosse un'iniziativa di tutta la cittadinanza. Essi accettarono, desiderosi di rinsaldare la pace, e lontani da ogni sospetto. Ma quando furono al largo, li fecero affondare in numero non inferiore a duecento. Quando Giuda fu informato di questa crudeltà compiuta contro i suoi connazionali, diede ordini ai suoi uomini e, invocando Dio, giusto giudice, mosse contro gli assassini dei suoi fratelli e nella notte incendiò il porto, bruciò le navi e uccise di spada quanti vi si erano rifugiati. Poi, dato che il luogo era sbarrato, abbandonò l'impresa con l'idea di tornare un'altra volta e di estirpare tutta la cittadinanza di Giaffa. Avendo poi appreso che anche i cittadini di Iàmnia volevano usare lo stesso sistema con i Giudei che abitavano con loro, piombando di notte sui cittadini di Iàmnia, incendiò il porto con la flotta, così che si vedeva il bagliore delle fiamme fino a Gerusalemme, che è distante duecentoquaranta stadi. (12, 3 – 9; 2008)
  • Giuda mosse poi contro Carnion e l'Atergatèo e uccise venticinquemila uomini. Dopo la sconfitta e lo sterminio di questi, marciò contro la fortezza di Efron, nella quale era stanziato Lisia con una moltitudine di gente di ogni razza; davanti alle mura erano schierati i giovani più forti e combattevano vigorosamente, mentre nella città stavano pronte molte riserve di macchine e di proiettili. Avendo invocato il Signore che distrugge con la sua potenza le forze dei nemici, i Giudei fecero cadere la città nelle proprie mani e uccisero venticinquemila di coloro che vi stavano dentro. (12, 26 – 28; 1974)
  • [...] gli uomini di Giuda andarono a raccogliere i cadaveri per deporli con i loro parenti nei sepolcri di famiglia. Ma trovarono sotto la tunica di ciascun morto oggetti sacri agli idoli di Iamnia, che la legge proibisce ai Giudei [...]. Perciò tutti [...] ricorsero alla preghiera, supplicando che il peccato commesso fosse pienamente perdonato. [...] Poi fatta una colletta, con tanto a testa, per circa duemila dramme d'argento, le inviò a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio espiatorio, agendo così in modo molto buono e nobile, suggerito dal pensiero della risurrezione. Perché se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti. Ma se egli considerava la magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella morte con sentimenti di pietà, la sua considerazione era santa e devota. Perciò egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato. (12, 39 – 45; 1974)

Explicit modifica

Così andarono le cose riguardo a Nicànore e, poiché da quel tempo la città è rimasta in mano agli Ebrei, anch'io chiudo qui la mia narrazione. Se la disposizione dei fatti è riuscita scritta bene e ben composta, era quello che volevo; se invece è riuscita di poco valore e mediocre, questo solo ho potuto fare. Come il bere solo vino e anche il bere solo acqua è dannoso e viceversa come il vino mescolato con acqua è amabile e procura un delizioso piacere, così l'arte di ben disporre l'argomento delizia gli orecchi di coloro a cui capita di leggere la composizione. E qui sia la fine.
[La sacra Bibbia, edizione CEI, 1974]

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