Franz Kafka

scrittore e aforista boemo di lingua tedesca (1883-1924)
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Franz Kafka (1883 − 1924), scrittore e aforista boemo di lingua tedesca.

Franz Kafka nel 1906

Citazioni di Franz Kafka

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  • Abbiamo tra noi un nuovo avvocato, il dottor Bucefalo. Nel suo aspetto esteriore ricorda poco il tempo in cui era destriero di Alessandro il Macedone; ma chi è ben al corrente delle circostanze nota qualcosa d'inconsueto. Ho visto anzi, ultimamente, un qualunque usciere del tribunale soffermarsi ammirato sullo scalone a contemplare, con occhio da intenditore di corse, l'avvocato mentre saliva di gradino in gradino, sollevando alti i garretti, coi passi che rimbombavano sul marmo. (da Il nuovo avvocato)
  • C'è molta speranza, ma nessuna per noi. (citato in George Steiner, La tragedia assoluta, in Nessuna passione spenta, p. 78)
  • Chesterton è così felice che si sarebbe quasi tentati di credere che abbia davvero trovato Dio. (citato in Alberto Friso, Chesterton, il formidabile, ne Il Messaggero di Sant'Antonio, Ottobre 2012, p. 68)
  • È difficile dire la verità, perché ne esiste sì una sola, ma è viva e possiede pertanto un volto vivo e mutevole. (citato in Flavio Tranquillo, Mario Conte, I dieci passi. Piccolo breviario sulla legalità, add editore, Torino, 2010, p. 123)
  • Egregio signore, ultimamente Lei mi scrisse che Ottomar Starke avrebbe disegnato la copertina de La metamorfosi. Mi sono preso un piccolo, probabilmente inutile spavento. Inutile stando a ciò che conosco di quell'artista in Napoleone. Mi è venuto in mente, siccome Starke è un vero illustratore, che forse potrebbe voler disegnare l'insetto. Questo no, per favore, questo no! Non voglio limitare la sua libertà d'azione, voglio soltanto avanzare una preghiera derivante dalla mia conoscenza, ovviamente migliore, della storia. L'insetto non può essere disegnato. Ma non può neppure essere mostrato da lontano. Se questa intenzione non sussiste, se, dunque, la mia richiesta è ridicola, tanto meglio. A Lei sarei grato se volesse trasmettere il mio desiderio. Se potessi fare una proposta per una illustrazione, sceglierei scene come: i genitori e il procuratore dinanzi alla porta chiusa o, ancor meglio, i genitori e la sorella nella stanza illuminata, mentre la porta che dà nella stanza attigua, totalmente oscura, è aperta.[1]
  • Io l'amo eppure non le posso parlare, sto sempre in agguato per non incontrarla.[2]
  • Il poeta è sempre più piccolo e più debole della media degli uomini. Per questo sente più intensamente, con più forza degli altri la pesantezza della sua presenza nel mondo. (citato in Corriere della sera, 1 aprile 2008)
  • Il punto di vista dell'arte e quello della vita sono anche nell'artista punti di vista diversi. (da Preparativi di nozze in campagna)
  • Il tempo che ti è assegnato è così breve che se perdi un secondo hai già perduto tutta la vita, perché non dura di più, dura solo quanto il tempo che perdi. Se dunque hai imboccato una via, prosegui per quella, in qualunque circostanza, non puoi che guadagnare, non corri alcun pericolo, alla fine forse precipiterai, ma se ti fossi voltato indietro fin dopo i primi passi e fossi sceso giù per la scala, saresti precipitato fin da principio, e non forse, ma certissimamente. (da Patrocinatori)
  • La mia 'paura' [...] è la mia essenza, e probabilmente la parte migliore di me stesso.
My 'fear' [...] is my substance, and probably the best part of me. (da una lettera a Milena; citato in Margarete Buber-Neumann, Milena, Arcade publishing, 1997, p. 60, anteprima su Google libri)
  • La psicanalisi, come origine delle religioni, non trova altro se non ciò che costituisce le malattie del singolo... e qui si vuol curare? (da Gli otto quaderni in ottavo)
  • La sofferenza è l'elemento positivo di questo mondo, è anzi l'unico legame fra questo mondo e il positivo. (da Preparativi di nozze in campagna)
  • L'arte vola attorno alla verità, ma con una volontà ben precisa di non bruciarsi. Il suo talento consiste nel trovare nel vuoto oscuro un luogo in cui [...] si possano potentemente intercettare i raggi luminosi. (da Preparativi di nozze in campagna)
  • Nudo, esposto al gelo di questa maledettissima epoca, su una carrozza realmente esistente, tirata da cavalli irreali, vado attorno vagando, povero vecchio. (da Un medico di campagna)
  • Praga non ci lascia più andare. Questa piccola madre ha gli artigli. Non c'è altro da fare che cedere. Per potersene liberare bisognerebbe darle fuoco da due lati, il Vyšehrad e il Hradčany. (da Lettera a Oskar Pollak, 1902[3])
  • Prima della morte tutte le nozioni raccolte in quel lungo tempo gli si concentrano nel capo in una domanda che non ha mai posta al guardiano; e gli fa cenno, poiché la rigidità che vince il suo corpo non gli permette più di alzarsi. Il guardiano deve abbassarsi grandemente fino a lui, dato che la differenza delle stature si è modificata a svantaggio dell'uomo. «Che cosa vuoi sapere ancora?» domanda il guardiano, «sei proprio insaziabile.» «Tutti si sforzano di arrivare alla legge,» dice l'uomo, «e come mai allora nessuno in tanti anni, all'infuori di me, ha chiesto di entrare?» Il guardiano si accorge che l'uomo è agli estremi e, per raggiungere il suo udito che già si spegne, gli urla: «Nessun altro poteva ottenere di entrare da questa porta, a te solo era riservato l'ingresso. E adesso vado e la chiudo». (da Davanti alla legge)
  • Tutto è in giuoco. voi vedete più di me. Io sono nelle mie stanze, ma so che il tempo si fa sempre più grigio e torbido. Questa volta abbiamo un autunno più che mai triste. (da Il custode della cripta)
  • Un libro dev'essere un'ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi.
Ein Buch muß die Axt sein für das gefrorene Meer in uns. (da una lettera a Oskar Pollak, novembre 1903; citato in Nicholas Murray, Kafka, Hachette digital, anteprima su Google libri)
  • Uno dei primi segni che cominciamo a capire è il desiderio della morte. Questa vita ci sembra insopportabile, un'altra irraggiungibile. Non ci si vergogna più di voler morire; si prega di venir trasferiti dalla vecchia cella, che odiamo, in una nuova, che dobbiamo ancora imparare ad odiare. C'entra anche un briciolo di fede che, durante il trasferimento, il Signore passi per caso nel corridoio, guardi in faccia il prigioniero e dica: «Costui non rinchiudetelo più. Ora viene con me». (da Considerazioni sul peccato, il dolore, la speranza e la vera via, in Tutti i romanzi, i racconti, pensieri e aforismi)

Colloqui con Kafka

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  • Che cos'è l'amore? È semplicissimo! L'amore è tutto ciò che eleva, amplia e arricchisce la nostra vita. Ci spinge verso le vette più alte e gli abissi più profondi. L'amore quindi è privo di problemi quanto un veicolo. Sono problematici solo il volante, i passeggeri e la strada.[4]
  • Chi mantiene la facoltà di vedere la bellezza non invecchia.[5]
  • [Alla domanda di Gustav Janouch: «E Cristo?». Kafka, chinando il capo, risponde:] È un abisso pieno di luce. Bisogna chiudere gli occhi per non precipitarvi.[6]
  • Dire una cosa è troppo poco, le cose bisogna viverle. (1972)
  • È possibile giungere al bene attraverso il male? La forza che si oppone al destino, in realtà, è debole. L'abbandono e la sopportazione sono molto più forti.[7]
  • Il lavoro intellettuale strappa l'uomo alla comunità umana. Il lavoro materiale, invece, conduce l'uomo verso gli uomini. (1972)
  • Il male conosce il bene, ma il bene non conosce il male. (Zürau, Ungheria, 21 novembre 1917, 1972)
  • La gioventù è felice, perché possiede la facoltà di vedere la bellezza. Quando si perde questa facoltà, comincia la desolata vecchiaia, la decadenza, l'infelicità.[8]
  • La rivoluzione evapora e resta solo il fango di una nuova burocrazia.[9]
  • La vita reale è solo un riflesso dei sogni dei poeti. Le corde della lira dei poeti moderni sono strisce senza fine di celluloide.[10]
  • Non esistono fiabe non cruente. Tutte le fiabe provengono dalla profondità del sangue e dell'angoscia. (1972)
  • Io sono un uccello insopportabile [...]. Sono una cornacchia - una kavka[11]. [...] Le mie ali sono atrofizzate. Così per me non esistono altezza e distanza. Saltello con la mia aria confusa in mezzo agli uomini che mi guardano pieni di sfiducia, perché sono un uccello pericoloso, un ladro, una cornacchia. In realtà non sono attratto dagli oggetti che brillano: non ho nemmeno delle penne nere luccicanti. Sono grigio come la cenere. Una cornacchia che desidera scomparire tra le pietre. Ma questo è solo uno scherzo: non voglio che si accorga di quanto io stia male oggi.[12]

Aforismi di Zürau[13]

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La vera via passa su una corda, che non è tesa in alto, ma rasoterra. Sembra fatta più per far inciampare che per essere percorsa. (1; 1988)

Citazioni

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  • Da un certo punto in là non c'è più ritorno. È questo il punto da raggiungere. (5; 1988)
  • Come un sentiero d'autunno: appena è tutto spazzato, si copre nuovamente di foglie secche. (15; 2004)
  • Una gabbia andò in cerca di un uccello. (16; 1988)
  • Non lasciare che il male ti faccia credere che tu possa avere dei segreti verso di lui. (19; 1988)
  • C'è una meta, ma non una via; ciò che chiamiamo via è un indugiare. (26; 2004)
  • Le cornacchie affermano che una sola cornacchia potrebbe distruggere il cielo. Questo è indubbio, ma non prova nulla contro il cielo, poiché i cieli significano appunto: impossibilità di cornacchie. (32; 2004)
  • Prima non capivo perché la mia domanda non ottenesse risposta, oggi non capisco come potessi credere di poter domandare. Ma io non credevo affatto, domandavo soltanto. (36; 2004)
  • È ridicolo come ti sei bardato per questo mondo. (44; 2004)
  • Venne data loro la possibilità di scegliere fra diventare re o corrieri del re. Come bambini vollero tutti essere corrieri. Per questo ci sono soltanto corrieri, scorrazzano per il mondo e, poiché di re non ce ne sono, gridano i messaggi ormai privi di senso l'uno all'altro. Volentieri porrebbero fine alla loro miserevole vita, ma non osano farlo per via del giuramento che hanno prestato. (47; 2004)
  • Credere nel progresso non significa credere che un progresso sia già avvenuto. Questa non sarebbe una fede. (48; 1988)
  • Nella lotta fra te e il mondo vedi di secondare il mondo. (52; 1988)
  • Chi, entro il mondo, ama il suo prossimo, commette la stessa ingiustizia, né più né meno, di chi, entro il mondo, ama se stesso. Resta solo da chiedersi se la prima cosa sia possibile. (61; 1988)
  • La nostra arte è un essere abbagliati dalla verità: vera è la luce sul volto che arretra con una smorfia, nient'altro. (63; 2004)
  • In teoria vi è una perfetta possibilità di felicità: credere all'indistruttibile in noi e non aspirare a raggiungerlo. (69; 2004)
  • L'indistruttibile è uno; ogni singolo uomo lo è e al tempo stesso è comune a tutti, da qui il legame fra gli uomini, indissolubile come nessun altro. (70/71; 2004)
  • Se ciò che si dice sia stato distrutto nel paradiso terrestre era distruttibile, non si trattava certo dell'essenziale; ma se era indistruttibile, noi viviamo in una fede errata. (74; 1988)
  • Questa sensazione: «Qui non getto l'ancora» e subito sentirsi trascinati dai flutti ondeggianti. (da 76; 2004)
  • Perché ci lamentiamo del peccato originale? Non è per sua colpa che siamo stati cacciati dal paradiso terrestre, bensì a causa dell'albero della vita, affinché non ne mangiassimo i frutti. (82; 1988)
  • Una fede lieve e pesante come la mannaia di una ghigliottina. (87; 1988)
  • Due compiti per iniziare la vita: restringere il tuo cerchio sempre più e controllare continuamente se tu stesso non ti trovi nascosto da qualche parte al di fuori del tuo cerchio. (94; 2004)
  • Le gioie di questa vita non sono le sue, ma sono la nostra paura di ascendere a una vita superiore; i tormenti di questa vita non sono i suoi, ma sono i tormenti che infliggiamo a noi stessi per via di quella paura. (96; 1988)
  • Tu puoi tenerti lontano dai dolori del mondo, sei libero di farlo e risponde alla tua natura, ma forse proprio questa tua astensione è l'unico dolore che potresti evitare. (103; 1988)
  • Non è necessario che tu esca di casa. Rimani al tuo tavolo e ascolta. Non ascoltare neppure, aspetta soltanto. Non aspettare neppure, resta in perfetto silenzio e solitudine. Il mondo ti si offrirà per essere smascherato, non ne può fare a meno, estasiato si torcerà davanti a te. (109*; 2004)

Citazioni su Aforismi di Zürau

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  • Dobbiamo dunque essere grati a Roberto Calasso per averci restituito in questa forma, che l'autore doveva considerare definitiva, i cosiddetti Aforismi di Zürau, offrendone una nuova traduzione e accompagnandoli con un saggio tratto dal suo libro su Kafka. Nella loro concisione questi frammenti pongono dinanzi al lettore prospettive di abissale profondità, paragonabili soltanto a quelle dischiuse dal Castello del quale, pur precedendolo di alcuni anni, essi costituiscono forse l'unico commento adeguato. (Paola Capriolo)
  • Una teologia senza Dio, che non si aggrappa né alle «declinanti» forze del cristianesimo né all'«ultimo lembo del mantello da preghiera ebraico», eppure conduce in un certo senso agli estremi risultati quella grande corrente della mistica neoplatonica che ha nutrito come una linfa entrambe le religioni. Il presupposto è un monismo assoluto, parmenideo: esiste soltanto un mondo, quello «spirituale», o, come egli afferma altrove, esiste soltanto l'«Uno», rispetto al quale ogni cosa non è che un involucro. Tutto ciò che è fuori di questa unità appartiene necessariamente alla sfera del male e dell'errore, e in primo luogo vi appartiene la conoscenza: la verità infatti, in quanto indivisibile, «non può riconoscere se stessa; chi vuole riconoscerla deve essere menzogna». (Paola Capriolo)
 
Franz Kafka qualche anno prima della morte
  • Anche se la redenzione non viene, voglio però esserne degno ad ogni momento. (25 febbraio 1912)[14]
  • Che cosa ti lega a questi corpi delimitati, parlanti, lampeggianti dagli occhi, più strettamente che a qualunque altra cosa, diciamo, al portapenne che hai in mano? Forse il fatto che sei della loro specie? Ma non sei della loro specie, perciò appunto hai formulato questa domanda.
  • Confessione e bugia sono la stessa cosa. Per poter confessare, si mente. Ciò che si è non lo si può esprimere, appunto perché lo si è; non si può comunicare se non ciò che non siamo, la menzogna.
  • Di tutto esiste un surrogato misero, artificiale: degli antenati, delle nozze e dei discendenti. Lo si crea nelle convulsioni e, quando non si perisce per queste, si perisce per la desolazione del surrogato.
  • I genitori che si aspettano gratitudine dai figli (c'è persino chi la pretende) sono come usurai: rischiano volentieri il capitale pur di incassare gli interessi.
  • L'eterna giovinezza è impossibile. Anche se non ci fossero altri impedimenti, l'osservazione di se stessi la renderebbe impossibile.
  • La maggior parte dei vecchi hanno qualcosa di malfido, di menzognero nel loro modo di comportarsi con le persone più giovani di loro.
  • La paura è l'infelicità, ma non perciò il coraggio è la felicità, è invece mancanza di paura, non coraggio, il quale forse richiede più che energia.
  • La solida delimitazione dei corpi umani è spaventosa.
  • Lamentarsi significa far domande e aspettare la risposta. Le domande però, che non rispondono a se stesse nel nascere, non trovano mai risposta.[15]
  • Lascia dormire il futuro come si merita. Se lo si sveglia prima del tempo, si ottiene un presente assonnato.
  • Non c'è di peggio del disordine quando si hanno esigue capacità. (26 dicembre 1910)[16]
  • Non disperare, neanche del fatto che non disperi. Se anche tutto sembra finito, arrivano pur sempre energie novelle. Ciò significa appunto che sei vivo. Se non arrivano, allora qui tutto è finito, ma definitivamente. (21 luglio 1913)[17]
  • Non esiste altro mondo fuorché il mondo spirituale. Quello che noi chiamiamo mondo sensibile è il Male del mondo spirituale.
  • Non sono la pigrizia, la cattiva volontà, la goffaggine che mi fanno fallire o non fallire in tutto: vita familiare, amicizia, matrimonio, professione, letteratura, ma è l'assenza del suolo, dell'aria, della legge. Crearmi queste cose, ecco il mio compito... il compito più originale.
  • Quando io dico una cosa, essa perde subito e definitivamente la sua importanza; quando la scrivo la perde lo stesso, ma talvolta ne acquista una nuova.
  • Quando uno dice: Che importa a me la vita? Soltanto per la mia famiglia non voglio morire. Ma la famiglia è precisamente la rappresentante della vita, dunque, egli vuol vivere appunto per la vita.
  • Quante fatiche per mantenersi in vita! Nessun monumento richiede un tale impiego di forze per essere eretto.
  • Se esiste la metempsicosi, io non sono ancora neanche sul gradino più basso. La mia vita è l'esitazione prima della nascita. (24 gennaio 1922)[18]
  • Se per loro natura i francesi fossero tedeschi, quanto sarebbero ammirati dai tedeschi! (17 dicembre 1910)[19]
  • Si può ritenere che la meraviglia della vita sia sempre a disposizione di ognuno in tutta la sua pienezza, anche se essa rimane nascosta, profonda, invisibile, decisamente lontana. Tuttavia c'è, e non è né ostile e né ribelle. Se la si chiama con la parola giusta, con il suo giusto nome, essa arriva. Questa è l'essenza dell'incantesimo, che non crea, bensì chiama.
  • Stamane per la prima volta dopo lungo tempo di nuovo la gioia di immaginare un coltello girato nel mio cuore.
  • Tu sei destinato a un grande Lunedì! ben detto, ma la Domenica non finisce mai.
  • Un angelo vestito di panni d'un viola azzurro, cinto di cordoni d'oro, con grandi ali bianche dal fulgore di seta, la spada librata orizzontalmente nella mano sollevata. L'emozione è grande: un angelo, dunque, pensai. Tutto il giorno vola verso di me e io scettico come sono non lo sapevo. Adesso mi parlerà.
  • Un'immagine della mia esistenza sarebbe una pertica inutile, incrostata di brina e neve, infilata obliquamente nel terreno, in un campo profondamente sconvolto, al margine di una grande pianura, in una buia notte invernale.

Gli aeroplani a Brescia. Diari di viaggio 1909-1912

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  • Davanti al capannone attiguo c'è Curtiss seduto e isolato. Da uno spiraglio fra le tende si vede il suo apparecchio che è più grande di quanto si dice. Mentre passiamo di lì Curtiss tiene fra le mani il "New York Herald" e legge la prima riga di una pagina; ripassiamo dopo mezz'ora e vediamo che legge a metà della pagina; dopo un'altra mezz'ora ha finito quella pagina e ne incomincia una nuova. Si vede che oggi non ha voglia di volare. (da Gli aeroplani di Brescia [settembre 1909], p. 13)
  • Ora vediamo anche il capannone di Blériot e, accanto, quello del suo allievo Leblanc, costruiti nel campo stesso. Appoggiato a una delle ali dell'apparecchio e subito riconosciuto sta Blériot che, la testa salda sul collo, osserva i suoi meccanici affaccendati intorno al motore. Con quest'inezia pretende di alzarsi nell'aria? Allora è più facile, per esempio, nell'acqua. Si può esercitarsi da principio nelle pozzanghere, poi negli stagni, poi nei fiumi e soltanto dopo arrischiarsi in mare, mentre per costui esiste soltanto il mare. Ed ecco, Blériot è accomodato sul sedile e tiene in mano una leva, ma ancora lascia fare ai meccanici come fossero ragazzi zelanti. Gira gli occhi lentamente verso di noi, li volge poi altrove, ma è sempre padrone del proprio sguardo. Ora volerà, niente di più ovvio. Il senso di naturalezza insieme con quello dell'eccezionalità che non si può tenere lontano da lui gli conferisce questo atteggiamento. (da Gli aeroplani di Brescia [settembre 1909], pp. 14-15)
  • Blériot cede il posto a un meccanico, il meccanico a Leblanc. Ora uno, ora l'altro danno strappi all'elica, ma il motore è spietato come uno scolaro che tutti aiutano, tutta la classe gli suggerisce, ma no, egli non sa, s'impunta continuamente, rimane continuamente incagliato allo stesso punto e non ce la fa. Per un po' Blériot se ne sta quieto sul sedile, i sei collaboratori gli stanno attorno senza muoversi, sembra che tutti sognino. A un certo memento gli spettatori possono tirare un sospiro e guardarsi intorno. Passa la giovane signora Blériot dal viso materno, seguita da due figli. Quando suo marito non può volare non è contenta e quando vola sta in pensiero; oltre a ciò il suo bel vestito è un tantino pesante per questa temperatura. Di nuovo si dà una spinta all'elica, meglio forse di prima, forse anche no; il motore si mette in moto con fracasso, quasi fosse un altro; quattro uomini trattengono l'apparecchio e nella bonaccia tutt'intorno la corrente suscitata dall'elica attraversa a ventate i camiciotti di questi uomini. Non si ode una parola, chi comanda è il rumore dell'elica, otto mani lasciano andare l'apparecchio che scorre a lungo sulle zolle come una persona maldestra su un pavimento cerato. (da Gli aeroplani di Brescia [settembre 1909], pp. 15-16)
  • Gabriele D'Annunzio, piccolo e debole, sgambetta apparentemente timido davanti al conte Oldofredi, una delle persone più importanti del comitato. Dalla tribuna sporge oltre il parapetto il volto energico di Puccini con un naso che si potrebbe definire da bevitore. (da Gli aeroplani di Brescia [settembre 1909], p. 16)
  • Finora fu mostrato soltanto l'apparecchio di Leblanc. Ora viene invece quello col quale Blériot ha volato sopra la Manica; nessuno lo ha detto, tutti lo sanno. Una lunga pausa e Blériot è nell'aria. Si vede il suo busto eretto sopra le ali, le gambe affondate nella macchina ne sono quasi parte. Il sole è sceso verso l'orizzonte e passando sotto il baldacchino delle tribune illumina le ali librate. Tutti guardano in aria con ammirazione, in nessun cuore c'è posto per altri. Egli fa un giro e si presenta quasi a perpendicolo sopra di noi. E tutti torcendo il collo vedono come il monoplano ondeggia, come è afferrato da Blériot e fatto persino salire. Che succede? Quassù, venti metri sopra il suolo, un uomo è imprigionato in una gabbia di legno e si difende da un pericolo invisibile volontariamente assunto. Noi invece siamo respinti quaggiù, ridotti a nulla, e osserviamo quest'uomo. (da Gli aeroplani di Brescia [settembre 1909], p. 17)
  • L'antenna dei segnali indica che il vento è migliorato e Curtiss volerà per conquistare il Gran Premio di Brescia. Ci siamo dunque. Si fa appena in tempo a scambiarsi la notizia che il motore di Curtiss incomincia a rombare, si fa appena in tempo a guardare da quella parte ed egli già si allontana a volo sopra la pianura che si allarga davanti a lui, verso i boschi lontani che appaiono soltanto ora. Il suo volo sosta a lungo sopra quei boschi, egli scompare, noi vediamo i boschi e non lui. Dietro certe case, Dio sa dove, sbuca alla stessa altezza di prima e viene velocemente verso di noi; quando sale vediamo inclinarsi le superfici inferiori del biplano, quando si abbassa le superfici superiori brillano al sole. Egli gira intorno all'antenna indifferente al vocio dei saluti, fila diritto verso il punto donde è venuto e ridiventa piccolo e solitario. Esegue cinque di tali giri e percorrendo cinquanta chilometri in quarantanove minuti e ventiquattro secondi si aggiudica il Gran Premio di Brescia, trentamila lire. (da Gli aeroplani di Brescia [settembre 1909], pp. 17-18)
  • VI. A Milano: direttamente a Parigi (eventualmente Fontainebleu). VII. Scesi a Stresa. Con ciò il viaggio assume la prima volta una buona visione avanti e indietro, è formato e perciò viene preso alla vita. Così piccoli come in Galleria[20]non ho ancora mai visto gli uomini. Max afferma che la Galleria è alta soltanto quanto le case che si vedono all'aperto, e io lo nego con un'obiezione dimenticata, come del resto prenderò sempre le parti di questa Galleria. Essa non ha, si può dire, alcun ornamento superfluo, non trattiene lo sguardo, e per questa ragione, come anche per l'altezza, sembra corta, ma sopporta anche questo. Dal tetto del Duomo le persone sembrano diventare più grandi di fronte alla Galleria. (da Viaggio a Lugano, Parigi, Erlenbach [agosto-settembre 1911], p. 43)
  • La Venere di Milo, il cui aspetto, per chi le gira intorno anche molto adagio, muta velocemente e di sorpresa. Purtroppo ho fatto un'osservazione forzata (circa la vita e il vestito), ma alcune osservazioni vere, a ricordare le quali mi occorrerebbe una riproduzione plastica, specialmente sul modo in cui il ginocchio sinistro piegato determina l'aspetto di tutte le parti, ma talora soltanto debolmente. Ecco l'osservazione forzata: ci si aspetta che, dal punto in cui l'abito cessa, il corpo si assottigli subito, mentre invece diventa più largo. Il vestito ricadente, fermato dal ginocchio. (da Viaggio a Lugano, Parigi, Erlenbach [agosto-settembre 1911], pp. 64-65)

Il castello

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Copertina della prima edizione de Das Schloß ("Il castello"), pubblicato postumo nel 1926.

Era sera tarda quando K. arrivò. Il paese era affondato nella neve. La collina non si vedeva, nebbia e tenebre la nascondevano, e non il più fioco raggio di luce indicava il grande Castello. K. si fermò a lungo sul ponte di legno che conduceva dalla strada maestra al villaggio, e guardò su nel vuoto apparente.
Poi andò a cercarsi un tetto; nell'osteria erano ancora svegli, l'oste non aveva stanze da appigionare, ma, molto sorpreso e sconcertato da quel cliente tardivo, gli propose di farlo dormire nella sala su un pagliericcio. K. accettò. Alcuni contadini erano ancora seduti davanti ai loro boccali di birra, ma egli non volle parlare con nessuno, andò lui stesso a prendersi il pagliericcio in solaio, e si coricò vicino alla stufa. Faceva caldo, i contadini erano silenziosi, K. li guardò ancora per qualche minuto con gli occhi stanchi, poi s'addormentò.
Ma poco dopo lo svegliarono.
[Franz Kafka, Il castello, traduzione di Anita Rho, Oscar Mondadori, 1979]

Es war spät abends, als K. ankam. Das Dorf lag in tiefem Schnee. Vom Schloßberg war nichts zu sehen, Nebel und Finsternis umgaben ihn, auch nicht der schwächste Lichtschein deutete das große Schloß an. Lange stand K. auf der Holzbrücke, die von der Landstraße zum Dorf führte, und blickte in die scheinbare Leere empor.
Dann ging er ein Nachtlager suchen; im Wirtshaus war man noch wach, der Wirt hatte zwar kein Zimmer zu vermieten, aber er wollte, von dem späten Gast äußerst überrascht und verwirrt, K. in der Wirtsstube auf einem Strohsack schlafen lassen. K. war damit einverstanden. Einige Bauern waren noch beim Bier, aber er wollte sich mit niemandem unterhalten, holte selbst den Strohsack vom Dachboden und legte sich in der Nähe des Ofens hin. Warm war es, die Bauern waren still, ein wenig prüfte er sie noch mit den müden Augen, dann schlief er ein. Aber kurze Zeit darauf wurde er schon geweckt.

Citazioni

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  • Continuò dunque il cammino, ma era un cammino assai lungo. La strada infatti, cioè la strada principale del paese, non conduceva alla collina del Castello, ma soltanto nelle vicinanze; poi, come deliberatamente, descriveva una curva e sebbene non si allontanasse dal Castello non gli si avvicinava neppure. (1979, p. 51)
  • Si abbracciarono, il corpo gracile bruciava nelle mani di K.; in un deliquio a cui K. cercava incessantemente ma invano di strapparsi, caddero a terra pochi passi più in là, urtarono con un colpo sordo la porta di Klamm, e rimasero lì distesi fra piccole pozze di birra e altri rifiuti di cui il pavimento era coperto. (1979, p. 78)
  • «Uno dei principi che regolano il lavoro dell'amministrazione è che non si deve mai contemplare la possibilità di uno sbaglio. [...] Errori non se ne commettono e, anche se ciò per eccezione accade, come nel suo caso, chi può dire alla fin fine che sia davvero un errore?» (il sindaco: 1979, p. 99)
  • Nel Castello il telefono funziona in modo perfetto, si capisce; a quel che mi si dice lo usano di continuo, il che naturalmente accelera molto il lavoro. Queste comunicazioni ininterrotte noi le sentiamo al telefono come un canto e un brusìo, che lei certo ha già udito. Ma quel brusìo e quel canto sono l'unica cosa precisa e degna di fede che i nostri telefoni ci trasmettono, tutto il resto è un inganno. (il sindaco: 1979, p. 105)
  • Davvero, io non credo a questa suscettibilità di Klamm. Noi, si capisce, temiamo per lui e cerchiamo di proteggerlo, quindi supponiamo ch'egli sia estremamente sensibile. Ciò è ben fatto, e certo Klamm vuole così. Ma quale sia l'esatta verità non lo sappiamo. (ostessa della Locanda al Ponte: 1979, p. 137)
  • «Non posso andar via», disse K., «sono venuto qui per restarci, e ci resterò». E con una contraddizione che non si diede la pena di spiegare, soggiunse quasi parlando a se stesso: «Che cosa avrebbe potuto attirarmi in questo paese così tetro se non il desiderio di rimanervi?» (1979, p. 162)
  • Quando egli [Klamm] viene in paese ha un aspetto, e un secondo ne ha quando va via, un altro prima di bere la sua birra, e un altro ancora dopo averla bevuta, nella veglia cambia e cambia di nuovo nel sonno, e quando è solo e quando parla; e come ben si comprende dopo tutto ciò, è quasi completamente diverso quando si trova al Castello. (Olga: 1979, p. 195)
  • Il Castello ha molti ingressi. Ora è in voga l'uno, e tutti passano di lì, ora l'altro, e il primo è disertato. Secondo quali regole avvengano questi cambiamenti non s'è ancora potuto scoprire. (Olga: 1979, p. 227)
  • Non deve lasciarsi sgomentare dalle delusioni. Qui certe cose sembrano disposte allo scopo di intimorire, e ad un nuovo venuto gli ostacoli appaiono addirittura insormontabili. Non voglio indagare le ragioni, forse l'apparenza corrisponde davvero alla realtà; nella mia posizione mi manca la distanza necessaria per giudicare, ma stia bene attento: a volte si danno occasioni che non concordano quasi mai con la situazione generale, occasioni nelle quali una parola, uno sguardo, un cenno confidenziale possono ottenere di più che non certi sforzi estenuanti prolungati per tutta la vita. (Bürgel: 1979, p. 262)
  • Gli interrogatori notturni – e qui K. ebbe una nuova spiegazione del loro scopo – eran destinati a udire in fretta di notte, alla luce artificiale, con la possibilità di dimenticar poi subito nel sonno ogni bruttura, quelle parti la cui visita di giorno sarebbe stata insopportbale ai signori. (p. 280)

Citazioni su Il castello

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  • Il conte Westwest e i suoi intermediari, nei quali la critica ha intravisto un riflesso del progressivo deteriorarsi dello spirito nella materia di derivazione cabalistica, non sono depositari né di un ordine soprannaturale, Dio e i suoi angeli, né i detentori del potere su questa terra, ma lasciando impregiudicata qualsiasi distinzione, impersonano quella gerarchia alla quale è oscuramente demandato di decidere del destino dell'uomo al di sopra del suo arbitrio e delle sue aspirazioni. (Roberto Fertonani)
  • L'autore del Castello ha sentito fortemente l'angoscia del vivere privato in una società opprimente, ha esplorato con esiti incerti i possibili spiragli di salvezza, ha meditato con coerenza sui questiti senza risposta della sua generazione, ma ha affermato innanzitutto la sua volontà di scrivere, di sottrarsi all'infelicità con la registrazione attenta di fantasie, incubi, pensieri, confessioni, scaturiti dalla realtà quotidiana. (Roberto Fertonani)
  • Ogni capitolo è un fallimento e anche un ricominciamento. Non si tratta di logica, ma di spirito di connessione. La vastità dell'ostinatezza costituisce la parte tragica dell'opera. (Albert Camus)
  • Questo Castello a cui K. non ottiene il diritto di accedere e nemmeno, inspiegabilmente, di avvicinarsi, è esattamente quello che i teologi chiamono "la grazia", il governo di Dio che regge il destino umano (il villaggio), la virtù dei casi, delle deliberazioni misteriose, i beni e i mali, l'immeritato e l'inacquisibile, il "non liquet" nella vita di tutti. (Max Brod)
  • Il castello è un romanzo nella grande tradizione classica, con un'unità di spazio e di tempo, una incessannte fluidità temporale, un sapiente intreccio sinfonico di motivi, il ritorno dei personaggi, un'attenzione alle figure minori e persino qualche momento di distensione e di ozio.
  • Lui [K.], l'uomo che conta solo sulla propria energia e sul proprio ingegno, ha raggiunto quello che, in apparenza, voleva: l'indipendenza, la libertà, la solitudine, l'invulnerabilità. Niente è più disperato e assurdo di questa solitudine, di questa attesa nel gelo, che nessuna persona, gesto o dono dall'alto verranno a colmare.
  • Nel Castello Kafka è politeista più che nel Processo. Foggia una moltitudine di creature divine, ce le fa incontrare, altre ne evoca sullo sfondo, ne descrive i gradi e le gerarchie, con l'abbondanza fantastica e meticolosa di uno gnostico o di un cinese. (p. 236)

Il processo

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La prima pagina della prima edizione de Der Prozess, Verlag Die Schmiede, 1925.

Originale

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Jemand mußte Josef K. verleumdet haben, denn ohne daß er etwas Böses getan hätte, wurde er eines Morgens verhaftet. Die Köchin der Frau Grubach, seiner Zimmervermieterin, die ihm jeden Tag gegen acht Uhr früh das Frühstück brachte, kam diesmal nicht. Das war noch niemals geschehen. K. wartete noch ein Weilchen, sah von seinem Kopfkissen aus die alte Frau, die ihm gegenüber wohnte und die ihn mit einer an ihr ganz ungewöhnlichen Neugierde beobachtete, dann aber, gleichzeitig befremdet und hungrig, läutete er. Sofort klopfte es und ein Mann, den er in dieser Wohnung noch niemals gesehen hatte, trat ein.

Giuseppe Landolfi Petrone e Maria Martorelli

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Qualcuno doveva aver diffamato Josef K. perché, senza che avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato. La cuoca della signora Grubach, la sua padrona di casa, che ogni giorno verso le otto gli portava la colazione, quella volta non venne. Ciò non era mai accaduto. K. aspettò ancora un po', guardò dal suo cuscino la vecchia signora che abitava di fronte e che lo osservava con una curiosità del tutto insolita in lei, poi però, meravigliato e affamato a un tempo, suonò. Subito qualcuno bussò e entrò un uomo, che egli non aveva mai visto prima in quella casa.
[Franz Kafka, Il processo, traduzione di Giuseppe Landolfi Petrone e Maria Martorelli, Newton Compton Editori, 1989]

Primo Levi

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Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., poiché un mattino, senza che avesse fatto nulla di male, egli fu arrestato. La cuoca della sua affittacamere, cioè della signora Grubach, che ogni mattino verso le otto gli portava la prima colazione, quel giorno non venne. Era la prima volta che una cosa simile capitava. K. aspettò un poco; col capo appoggiato al guanciale, notò che la vecchietta sua dirimpettaia lo osservava con una curiosità per lei del tutto inconsueta, ma poi, deluso ed affamato ad un tempo, si decise a suonare il campanello. Subito bussarono alla porta, ed entrò un uomo che in quella casa K. non aveva mai visto prima.
[Franz Kafka, Il processo, traduzione di Primo Levi, Einaudi, 1983]

Citazioni

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  • Si sentiva libero, come ci si sente solo quando si è lontani da casa, si parla con gente di condizione inferiore, si tiene per sé tutto ciò che ci riguarda, e si discorre degli affari altrui con indifferenza, fingendoli importanti, ma lasciandoli cadere quando ci garba. (VIII; 1983, p. 183)
  • Se poi lei si ritiene un privilegiato per il fatto di poter stare lí seduto ad ascoltare tranquillo, mentre io, tanto per usare le sue parole, striscio a quattro gambe, allora le ricorderò il vecchio detto: per chi è sospettato, è meglio il moto della quiete, perché chi sta fermo può sempre, anche senza saperlo, stare sul piatto d'una bilancia, ed essere pesato con i suoi peccati. (VIII; 1983, p. 209)
  • A questo proposito i commentatori dicono: «La retta comprensione di un fatto, e il fraintendimento di questo stesso fatto, non si escludono a vicenda per intero». (IX; 1983, p. 237)
  • «Che novità sono queste?» disse K.: saltò dal letto e si infilò rapidamente i pantaloni. «Voglio proprio vedere chi c'è di là, e che scuse troverà la signora Grubach per questa seccatura». Si era bensì accorto subito che non avrebbe dovuto dire quelle cose ad alta voce, perché in certo modo esse comportavano il riconoscimento di un diritto al controllo da parte del nuovo venuto, ma lì per lì la cosa non gli parve importante.
  • In una mattina d'inverno – fuori la neve cadeva nella luce cupa – K. sedeva nel suo ufficio, straordinariamente stanco già nelle prime ore. Per difendersi almeno dagli impiegati di livello inferiore aveva dato al commesso l'ordine di non lasciar passare nessuno di loro perché era occupato in un lavoro importante. Ma invece di lavorare si rigirava sulla sedia, spostava lentamente qualche oggetto sul tavolo, poi senza avvedersene fece cadere il braccio disteso lungo il piano del tavolo e rimase immobile con la testa china.
    Il pensiero del processo non lo lasciava più. Aveva già più volte pensato se non sarebbe stato meglio redigere una difesa e inoltrarla al tribunale. Voleva anteporvi una breve descrizione della sua vita e chiarire, riguardo ad ogni evento in qualche modo più importante, le ragioni del suo comportamento e se, secondo il suo giudizio attuale il suo modo di agire era da riprovare o approvare e quali motivi poteva addurre in un caso o nell'altro. I vantaggi di una tale difesa scritta rispetto alla pura e semplice difesa dell'avvocato, del resto per niente ineccepibile, erano indubbi. K. non sapeva affatto quello che l'avvocato intendesse fare; in ogni caso non doveva essere molto, già da un mese non lo aveva più chiamato, e in nessuna delle conversazioni precedenti K. aveva avuto l'impressione che quell'uomo potesse far molto per lui. (1989)
  • K. la guardò senza espressione, come un'estranea: non voleva farle capire né che era deluso, né che avrebbe potuto superare facilmente la delusione.
  • «No,» disse il sacerdote, «ma temo che finirà male. Sei ritenuto colpevole. Forse il tuo processo non andrà neppure oltre un tribunale di grado inferiore. Almeno per il momento, la tua colpevolezza si dà per dimostrata.» «Ma io non sono colpevole,» disse K., «è un errore. E poi, in generale, come può un uomo essere colpevole? E qui siamo pure tutti uomini, gli uni quanto gli altri.» «È giusto» disse il sacerdote, «ma è proprio così che parlano i colpevoli.»
  • Non aveva più scelta, se accettare o rifiutare il processo, vi era dentro e doveva difendersi. Se era stanco, tanto peggio.
  • Non c'era niente di eroico se anche resisteva, se anche metteva ora in difficoltà i signori, se tentava di gustare l'ultimo barlume della sua vita difendendosi.
  • «Se il cuore non mi regge, almeno avrà una buona occasione per arrendersi del tutto»
  • «Tu fraintendi la situazione,» disse il sacerdote, «la sentenza non viene ad un tratto, è il processo che poco a poco si trasforma in sentenza.» «Ah, è così,» disse K. abbassando il capo.
  • Spesso è più sicuro essere in catene che liberi.
  • Chi era? Un amico? Un uomo di cuore? Uno che provava compassione? Uno che voleva portare aiuto? Era uno solo? Erano tutti?

Giuseppe Landolfi Petrone e Maria Martorelli

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Con gli occhi esterrefatti egli vide ancora il viso dei due al di sopra del suo, guancia contro guancia, che spiavano la fine. «Come un cane!» [Ultime parole] mormorò, e gli parve che la sua vergogna gli sarebbe sopravvissuta.
[Franz Kafka, Il processo, traduzione di Giuseppe Landolfi Petrone e Maria Martorelli, Newton Compton Editori, 1989]

Primo Levi

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[...] – Come un cane! – disse, e fu come se la vergogna gli dovesse sopravvivere.
[Franz Kafka, Il processo, traduzione di Primo Levi, Einaudi, 1983]

Citazioni su Il processo

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  • È la storia simbolica dell'umanità che lotta, fino alla morte, con il senso di un'oscura colpa, di cui non riesce a liberarsi. (Raniero Cantalamessa)
  • Il primo riferimento a Il processo si trova nei Diari, fu scritto il 29 luglio 1914 (la guerra era scoppiata il giorno precedente) e comincia con queste parole: "Una sera, Josef K., figlio di un ricco commerciante, dopo un'accesa discussione che aveva avuto con il padre...". Sappiamo che non è così che prenderà avvio il romanzo. (José Saramago)
  • La frustrazione dell'avere a che fare con i burocrati molte volte deriva dal fatto che non sono loro a prendere le decisioni, e che in effetti tutto quello che possono fare è riferire le decisioni già prese altrove (dal Grande Altro). [...] nel Processo la ricerca della massima autorità in grado di risolvere la situazione legale del protagonista Josef K. non avrà mai fine, perché il Grande Altro non può essere incontrato di persona: esistono solo funzionari più o meno ostili, intenti a interpretare i disegni del Grande Altro. E tutto quello che il Grande Altro è, sono proprio quelle interpretazioni, quel differimento di responsabilità. Il motivo per cui Kafka è un prezioso commentatore del totalitarismo è perché rivela che c'è una dimensione del totalitarismo che non si riduce al dispotismo, e che quindi non può essere compresa come tale. (Mark Fisher)
  • Nel romanzo tutto ha dimensioni ridotte e soffocanti, dal tribunale nel soppalco delle soffitte di un vecchio edificio, dove gli impiegati rischiano di urtare la testa al soffitto, allo studio dell'avvocato di K., piccolo, orrendo appartamento in cui riceve stando a letto. (Paolo Petroni)

Lettera al padre

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La prima pagina autografa da Lettera al padre.

Carissimo padre,
di recente mi hai domandato perché mai sostengo di avere paura di te. Come al solito, non ho saputo risponderti niente, in parte proprio per la paura che ho di te, in parte perché questa paura si fonda su una quantità tale di dettagli che parlando non saprei coordinarli neppure passabilmente. E se anche tento di risponderti per iscritto, il mio tentativo sarà necessariamente assai incompleto, sia perché anche nello scrivere mi sono d'ostacolo la paura che ho di te e le sue conseguenze, sia perché la vastità del materiale supera di gran lunga la mia memoria e il mio intelletto.
[Franz Kafka, Lettera al padre, traduzione di Francesca Ricci, Newton Compton, 1993]

Liebster Vater,
Du hast mich letzthin einmal gefragt, warum ich behaupte, ich hätte Furcht vor Dir. Ich wusste Dir, wie gewöhnlich, nichts zu antworten, zum Teil eben aus der Furcht, die ich vor Dir habe, zum Teil deshalb, weil zur Begründung dieser Furcht zu viele Einzelnheiten gehören, als dass ich sie im Reden halbwegs zusammenhalten könnte. Und wenn ich hier versuche Dir schriftlich zu antworten, so wird es doch nur sehr unvollständig sein, weil auch im Schreiben die Furcht und ihre Folgen mich Dir gegenüber behindern und weil überhaupt die Grösse des Stoffs über mein Gedächtnis und meinen Verstand weit hinausgeht.

Citazioni

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  • Tu hai influito su di me come dovevi influire; soltanto devi smettere di considerare come una particolare malvagità da parte mia il fatto che sotto questo influsso io abbia finito per soccombere (p. 6; 1988)
  • Tu sei, in fondo, un uomo benigno e mansueto [...] ma non tutti i bambini hanno la perseveranza e l'intrepidezza di cercare la bontà finché la trovano. (p. 6; 1988)
  • In questo modo il mondo per me risultò diviso in tre parti: una in cui vivevo io, lo schiavo, sotto leggi che erano state escogitate soltanto per me e che inoltre, non sapevo perché, non ero mai in grado di rispettare completamente; poi un secondo mondo, infinitamente distante dal mio, in cui vivevi tu, impegnato a governare, impartire ordini e andare in collera se non erano eseguiti; e infine un terzo mondo, dove il resto degli uomini vivevano felici, liberi da ordini e obbedienza. Io ero costantemente in preda alla vergogna: o seguivo i tuoi ordini, ed era una vergogna perché valevano soltanto per me, o recalcitravo, e anche questa era una vergogna, perché non si poteva recalcitrare davanti a te. (pp. 35-36; 1993)
  • È vero che la mamma era infinitamente buona con me, ma per me tutto era in relazione con te, in una relazione quindi non buona. La mamma svolgeva inconsapevolmente il ruolo del battitore durante una partita di caccia. (p. 44; 1993)
  • Di fronte a te avevo perduto ogni fiducia in me stesso e conseguito in cambio uno sconfinato senso di colpa. (In memoria di questa sconfinatezza, una volta ho giustamente scritto di qualcuno: «Teme che la vergogna possa sopravvivere anche a lui».)[21] (p. 57; 1993)
  • Altrettanto poco mi sono salvato da te nell'ebraismo. Qui sì che la salvezza di per sé sarebbe stata pensabile, ma ancor più sarebbe stato pensabile che nell'ebraismo noi due ci ritrovassimo o che addirittura esso costituisse il nostro comune punto di partenza. Ma quale mai fu l'ebraismo che mi trasmettesti! Nel corso degli anni mi sono posto in tre modi diversi nei confronti dell'ebraismo. (p. 58; 1993)
  • Ho già accennato che con lo scrivere e con tutto quello a esso collegato ho compiuto piccoli tentativi di indipendenza, tentativi di fuga dal successo minimo, non mi porteranno molto avanti, molte cose me lo confermano. Tuttavia è mio dovere, o forse questa è proprio l'essenza della mia vita, vegliare su di essi, per non lasciare che si avvicinino loro pericoli da cui debba difendermi o anche solo la possibilità di tali pericoli. Il matrimonio è la possibilità di un tale pericolo. (p. 79; 1993)

Citazioni su Lettera al padre

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  • La Lettera assume, per così dire, la forma e il tono di un libello accusatorio, si pone come un regolamento di conti finale, è un bilancio tra il dovere e l'avere di due esistenze che si scontrano, di due reciproche ripugnanze, per cui non si può respingere l'ipotesi che vi si trovino esagerazioni e deformazioni dei fatti reali, soprattutto quando Kafka, nell'epilogo del testo, passa improvvisamente a usare la voce del padre per accusare se stesso... Ne Il processo, Kafka può disfarsi della figura paterna, oggettivamente considerata, ma non della sua legge. (José Saramago)

Lettere a Milena

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Merano-Maia Bassa, Pensione Ottoburg
Cara signora Milena,
da Praga Le scrissi un biglietto e un altro da Merano. Non ho avuto alcuna risposta. I biglietti, è vero, non richiedevano una risposta particolarmente rapida, e se il Suo silenzio non è che un indizio di condizioni di salute relativamente buone, le quali, si sa, trovano spesso la loro espressione nella ripugnanza a scrivere, sono ben contento. Ma può anche darsi – e per questo scrivo – che nei miei biglietti io L'abbia in qualche modo urtata (quale mano involontariamente grossolana avrei, se fosse così!) o, cosa ancora molto peggiore, che quel momento di respiro tranquillo e sollevato, del quale mi ha scritto, sia già passato e di nuovo sia giunto per Lei un periodo cattivo. Nella prima eventualità non saprei che dire, tanto la cosa mi è lontana e tanto vicino tutto il resto, nella seconda eventualità non do consigli – come potrei consigliare? – ma domando soltanto: Perché non si allontana un poco da Vienna? Lei non è senza patria come altre persone. Un soggiorno in Boemia non Le darebbe nuova energia? E se per qualche ragione, andare altrove, forse Merano stessa andrebbe bene. La conosce? Aspetto dunque due cose. O ancora silenzio che vorrebbe dire: "Niente apprensioni, sto proprio bene" . O invece alcune righe.
Cordialmente
Kafka
[Franz Kafka, Lettere a Milena, traduzione di Ervino Pocar, Oscar Mondadori 1979]

Citazioni

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  • Domani Le manderò le osservazioni che del resto saranno pochissime, per parecchie pagine niente, la ovvia verità della traduzione, se scrollo da me ciò che è ovvio, mi appare sempre stupefacente; quasi mai un malinteso, che poi non sarebbe gran cosa, ma sempre una comprensione energica e decisa. Non so però se i cechi non Le rinfacceranno la fedeltà, che è per me la cosa più amabile nella traduzione (e neanche per amor del racconto, ma per me); il mio senso della lingua ceca (anch'io ce l'ho a modo mio), è pienamente soddisfatto, ma estremamente prevenuto. In ogni caso, se qualcuno glielo dovesse rimproverare, cerchi di equilibrare la mortificazione con la gratitudine. (1979)
  • Domenica saremo insieme, cinque, sei ore, troppo poco per parlare, abbastanza per tacere, per tenerci per mano, per guardarci negli occhi.
  • Ciò che temo, che temo con gli occhi spalancati e follemente sprofondato nell'angoscia (se potessi dormire come sprofondo nell'angoscia, non vivrei più), è soltanto questa intima congiura dentro di me (che capirai meglio dalla lettera a mio padre, benché non interamente, poiché la lettera è troppo costruita per lo scopo a cui tende) che si fonda, diciamo, sul fatto che io, non essendo nel grande giuoco degli scacchi neanche pedina di una pedina, anzi tutt'altro, ora, contro le regole del giuoco e per confonderlo, pretendo di occupare persino il posto della regina – io, pedina della pedina, dunque pezzo che non esiste neanche, che non prende neanche parte al giuoco – e poi forse anche il posto del re stesso o magari di tutta la scacchiera, e che, se lo volessi davvero, ciò dovrebbe avvenire in un modo diverso, più disumano.

Quaderni in ottavo

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  • 18 ottobre 1917. Paura della notte. Paura della non-notte. (da III quaderno; 1988)
  • La disgrazia di Don Chisciotte non è la sua fantasia, è Sancho Pancia. (da III quaderno; 1988)
  • La storia degli uomini è un attimo fra due passi di un viandante. (da III quaderno; 2010)
  • Conosci te stesso non significa: Ossèrvati. Ossèrvati è la parola del serpente. Significa: Fàtti padrone delle tue azioni. Ma tu lo sei già, sei padrone delle tue azioni. Questa frase, pertanto, significa: Ignòrati! Distruggiti! Dunque una cosa cattiva. E solo chi si china profondamente ne ode anche il messaggio buono, che dice: "Per fare di te stesso quello che sei". (da III quaderno; 2010)
  • L'unica capace di giudicare è la parte in causa, ma essa, come tale, non può giudicare. Perciò nel mondo non esiste la vera possibilità di giudizio, ma solo un riflesso. (da III quaderno; 2010)
  • Credere significa liberare in se stessi l'indistruttibile, o meglio: liberarsi, o meglio ancora: essere. (da III quaderno; 2010)
  • L'ozio è il padre di tutti i vizi, ed è il coronamento di tutte le virtù. (da III quaderno; 1988)
  • 8 dicembre. A letto, costipazione, dolori alla schiena, serata nervosa, gatto in camera, dissidio interiore. (da III quaderno; 1988)
  • Non tutti possono vedere la verità, ma possono esserla. (da III quaderno; 2010)
  • Esamina te stesso a contatto con l'umanità. Essa fa dubitare chi è scettico, fa credere chi è credente. (da III quaderno; 2010)
  • Il suicida è un carcerato che, nel cortile della prigione, vede una forca, crede erroneamente che sia destinata a lui, evade nottetempo dalla sua cella, scende giù e s'impicca da sé. (da III quaderno; 2010)
  • Noi abbiamo lume di conoscenza. Chi si dà molto da fare per acquistarla fa sospettare di volerla invece respingere. (da III quaderno; 2010)
  • A ogni uomo, in questo mondo, vengono proposte due domande di fede, la prima circa la credibilità di questa vita, la seconda circa la credibilità del suo fine. A entrambe queste domande il semplice fatto della vita di ciascuno di noi risponde con un «sì» così forte ed esplicito, che potrebbe sorgere il dubbio se le domande siano state intese a dovere. Ad ogni modo, ora bisogna che ognuno vada conquistando pian piano questo suo «sì» fondamentale, perché, molto al di sotto della sua superficie, le risposte, aggredite da una tempesta di domande, sono confuse ed evasive. (da IV quaderno; 1988)
  • Dove ci spinge il desiderio? ottenere questo? perdere quello? [...] dove ci spinge il desiderio? ci spinge via di casa. (da IV quaderno; 1988)
  • La via che arriva al prossimo è, per me, lunghissima. (da IV quaderno; 1988)
  • Era una sera di tempesta, vidi il piccolo spirito strisciar fuori dai cespugli.
    Il portone si chiuse, mi trovai dinanzi a lui, faccia a faccia. (da VIII quaderno; 1988)

Racconti

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Il silenzio delle sirene

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Giulio Schiavoni

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Dimostrazione del fatto che anche i mezzi inadeguati o magari puerili possono giovare ai fini della salvezza:
[Franz Kafka, Il silenzio delle sirene, in Racconti, traduzione di Giulio Schiavoni, BUR, 1985]

Ervino Pocar

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Per dimostrare che anche mezzi insufficienti, persino puerili, possono procurare la salvezza:
[Franz Kafka, Il silenzio delle sirene, in Tutti i racconti, a cura di Ervino Pocar, Mondadori, 1970]

Citazioni

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  • D'altra parte, in aggiunta a questa leggenda, si tramanda ancora un'appendice. Si dice che Ulisse fosse così astuto, che egli fosse una volpe talmente scaltra che neppure la dea del destino riusciva a penetrare nel suo animo. Forse egli (sebbene questo non sia più afferrabile dell'intelletto umano) si è veramente accorto che le Sirene tacevano, e non ha fatto altro che opporre, sia a loro che agli dèi, per così dire a guisa di scudo la finzione precedentemente riferita. (1985)

La metamorfosi

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Copertina della prima edizione de La metamorfosi, Leipzig: Kurt Wolff, 1915
Originale
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Als Gregor Samsa eines Morgens aus unruhigen Träumen erwachte, fand er sich in seinem Bett zu einem ungeheueren Ungeziefer verwandelt. Er lag auf seinem panzerartig harten Rücken und sah, wenn er den Kopf ein wenig hob, seinen gewölbten, braunen, von bogenförmigen Versteifungen geteilten Bauch, auf dessen Höhe sich die Bettdecke, zum gänzlichen Niedergleiten bereit, kaum noch erhalten konnte. Seine vielen, im Vergleich zu seinem sonstigen Umfang kläglich dünnen Beine flimmerten ihm hilflos vor den Augen.

Luigi Coppé
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Quando Gregor Samsa si risvegliò una mattina da sogni tormentosi si ritrovò nel suo letto trasformato in un insetto gigantesco. Giaceva sulla schiena dura come una corazza e sollevando un poco il capo poteva vedere la sua pancia convessa, color marrone, suddivisa in grosse scaglie ricurve; sulla cima la coperta, pronta a scivolar via, si reggeva appena. Le sue numerose zampe, pietosamente esili se paragonate alle sue dimensioni, gli tremolavano disperate davanti agli occhi.
[Franz Kafka, La metamorfosi e Nella colonia penale, traduzione di Luigi Coppé, Newton Compton, 1991]

Henry Furst
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Quando Gregor Samsa si svegliò un mattino da sogni inquieti, si trovò trasformato, nel proprio letto, in un immenso insetto. Giaceva sulla schiena corazzata e dura, e se alzava un tantino la testa, si vedeva la pancia marrone, convessa, divisa da ricurve nervature. La coperta del letto, pronta a scivolare giù, era trattenuta appena in cima. Le sue molte zampe, pietosamente sottili in rapporto alla sua solita mole, gli tremolavano inermi davanti agli occhi.
[Franz Kafka, I racconti di Kafka, traduzione di Henry Furst, Longanesi, 1966]

Andreina Lavagetto
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Quando Gregor Samsa si svegliò una mattina da sogni inquieti, si trovò trasformato nel suo letto in un immenso insetto. Era disteso sul dorso duro come una corazza e, se sollevava un poco il capo, scorgeva il proprio ventre convesso, bruno, diviso da indurimenti arcuati, sulla cui sommità la coperta, sul punto di scivolare del tutto, si tratteneva ancora a stento. Le numerose zampe, miserevolmente sottili in confronto alle dimensioni del corpo, gli tremolavano incerte dinanzi agli occhi.
[Franz Kafka, La metamorfosi e tutti i racconti pubblicati in vita, traduzione di Andreina Lavagetto, Feltrinelli, 1991]

Rodolfo Paoli
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Gregorio Samsa, svegliatosi una mattina da sogni agitati, si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto immondo. Riposava sulla schiena, dura come una corazza, e sollevando un poco il capo vedeva il suo ventre arcuato, bruno e diviso in tanti segmenti ricurvi, in cima a cui la coperta del letto, vicina a scivolar giù tutta, si manteneva a fatica. Le gambe, numerose e sottili da far pietà, rispetto alla sua corporatura normale, tremolavano senza tregua in un confuso luccichio dinanzi ai suoi occhi.
[Franz Kafka, La metamorfosi, traduzione di Rodolfo Paoli, Oscar Mondadori, 1979]

Anita Rho
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Una mattina Gregorio Samsa, destandosi da sogni inquieti, si trovò mutato, nel suo letto, in un insetto mostruoso. Era disteso sul dorso, duro come una corazza, e alzando un poco il capo poteva vedere il suo ventre bruno convesso, solcato da nervature arcuate, sul quale si manteneva a stento la coperta, prossima a scivolare a terra. Una quantità di gambe, compassionevolmente sottili in confronto alla sua mole, gli si agitava dinanzi agli occhi.
[Franz Kafka, La metamorfosi, traduzione di Anita Rho, Adelphi, 1981]

Citazioni

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  • Le zampine di Gregorio ronzavano quasi, quando si avviò a mangiare. Le sue ferite dovevano del resto esser già rimarginate poiché non sentiva più nessun impedimento; n'era anzi stupito, e si ricordò che un mese prima si era fatto col coltello un piccolo taglio al dito, e che ancora due giorni innanzi la ferita gli doleva abbastanza. Sarei dunque ora meno sensibile? pensò, e già stava succhiando ingordamente il formaggio, verso il quale s'era sentito attrarre con violenza più che verso tutti gli altri cibi. A rapide boccate e con lacrime di soddisfazione divorò i legumi e la salsa; i cibi freschi invece non gli piacevano: non poteva neppure sopportarne l'odore e anzi trascinava un po' lontano quelli che preferiva. (1979)
  • Specialmente nei primi tempi non c'era discorso che in qualche maniera, anche nascosta, non lo riguardasse.[22]

Citazioni su La metamorfosi

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  • A rendere memorabile La metamorfosi di Kafka non è tanto lo shock della trasformazione di Gregor in scarafaggio, ma il lento processo con cui egli (e la sorella Grete) imparano a convivere con la mostruosità, tramutandola in un tran-tran domestico. Alla camera del repellente insetto vengono tolti i mobili per consentirgli di scorrazzare sulle pareti, e ogni sera gli vengono serviti gli avanzi del cibo di casa, come si farebbe con un cagnolino, salvo poi rabbrividire ogni volta che lo scarafaggio si torna a guardarlo con gli occhi oggettivi di un terzo. (Stefano Massini)
  • Con la maschera della sollecitudine per i propri cari, con la risoluta decisione che il fallimento del padre non può intaccare il processo di riabilitazione della vita familiare, Gregor finisce (consapevolmente o meno) per asservire a sé la famiglia. In effetti, malgrado sia un agente di commercio, Gregor non pare minimamente interessato al mondo esterno, e sono proprio i suoi frequenti viaggi a esprimere il profondo legame libidico che intrattiene con la famiglia. Il suo vero interesse emotivo è rivolto esclusivamente verso la casa. (Abraham Yehoshua)
  • Gregorio Samsa è il personaggio che ha il coraggio di diventare davvero un immondo e gigantesco insetto per urlare l'ingiustizia che è perpetrata quotidianamente nei confronti di milioni di persone, le quali vengono costrette per comprare, avere il necessario... stavo dicendo per vivere, ma è più giusto dire per 'esistere', sono costrette a spendere l'intera giornata, o alla ricerca di un lavoro, o alla realizzazione di un lavoro, o alla sottomissione a un lavoro, o alla malattia dovuta ad un eccesso di lavoro. Insomma, l'inquietudine è il sentimento portante di tutte le società che non tengono conto della grandezza e della preziosità di ogni singolo essere umano. (Silvano Agosti)
  • Uno dei momenti di irrealtà che amo di più nella letteratura europea è La metamorfosi di Kafka. Un uomo si sveglia dopo un incubo e si ritrova trasformato in un insetto gigantesco: lì c'è la linea da attraversare. Ma cosa pensa Gregor Samsa? Che farà tardi al lavoro. (Ian McEwan)

Undici figli

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Ho undici figli.
Il primo è fisicamente poco appariscente, ma serio e intelligente, pure non ho molta stima di lui, benché, come figlio, lo ami come tutti gli altri. Il suo modo di pensare mi sembra troppo semplice. Non guarda né a destra né a sinistra, né in lontananza, compie continuamente il periplo della ristretta cerchia delle sue idee o meglio vi si aggira dentro.
[Franz Kafka, Undici figli, in Tutti i racconti, traduzione di Ervino Pocar, Oscar Mondadori, 1979]

Citazioni

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  • Il mio undicesimo figlio è gracile, certo è il più debole di tutti; ma la sua debolezza inganna, perché a volte sa esser forte e risoluto; ma anche allora la sua debolezza è in qualche modo determinante. Non è però una debolezza di cui s'abbia a vergognare, ma qualcosa che sembra tale soltanto su questa nostra terra. Non è per esempio anche la disposizione al volo la debolezza, trattandosi di un vacillare incerto, di uno svolazzare a caso? Qualcosa di simile appare nel mio figliuolo. Il padre, di tali qualità non può certo rallegrarsi, perché tendono evidentemente alla disgregazione della famiglia. A volte mi guarda quasi mi volesse dire: Ti prenderò con me, babbo. Ed io, penso allora: Saresti l'ultimo a cui mi affiderei. E il suo sguardo sembra rispondere: Ebbene, ch'io sia almeno l'ultimo:
    questi sono i miei undici figli. (1979)

Nella colonia penale

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Luigi Coppé
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«È un apparecchio singolare», disse l'ufficiale all'esploratore, contemplando con uno sguardo quasi ammirato l'apparecchio a lui ben noto. L'esploratore doveva aver accettato soltanto per cortesia l'invito del comandante, che gli aveva proposto di assistere all'esecuzione di un soldato, condannato per insubordinazione e oltraggio a un superiore. Anche nella colonia penale l'interesse per quell'esecuzione non era certo notevole. Pe lo meno lì in quella piccola valle profonda e sabbiosa, chiusa all'intorno da calvi pendii, oltre all'ufficiale e all'esploratore, erano presenti solo il condannato, un uomo ottuso con una bocca enorme, i capelli e il volto in disordine e un soldato, che teneva la pesante catena, dalla quale si dipartivano le catene più piccole che serravano le caviglie, i polsi e il collo del condannato e che erano unite tra loro da anelli di congiunzione. D'altronde il condannato aveva un'aria così acquiescente, che si poteva sicuramente lasciarlo scorrazzare in piena libertà per i pendii e fischiargli al momento dell'esecuzione, perché accorresse docile docile come un cagnolino.
[Franz Kafka, La metamorfosi e Nella colonia penale, traduzione di Luigi Coppé, Newton Compton, 1991]

Henry Furst
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«È un apparecchio singolare», disse l'ufficiale all'esploratore osservando con sguardo in certo qual modo ammirato l'apparecchio che doveva conoscere benissimo. L'esploratore sembrava aver seguito l'invito del comandante soltanto per cortesia, quando questi gli aveva suggerito di assistere all'esecuzione capitale di un soldato condannato per disobbedienza e per oltraggi a un superiore. Anche nella colonia penale l'interesse per questa esecuzione non era molto grande. Almeno lì nella piccola valle sabbiosa chiusa tutt'intorno da nudi precipizi, oltre all'ufficiale e all'esploratore, erano presenti soltanto il condannato, uomo ottuso dalla bocca larga con volto e capelli trascurati, e un soldato che teneva in mano la pesante catena alla quale si allacciavano le piccole catene che tenevano il condannato ai polsi e alle caviglie collegate anche fra loro da altre catene di congiungimento. Del resto il condannato aveva l'aspetto talmente canino e ossequiente, che poteva sembrare possibile lasciarlo liberamente sui pendii, bastando all'inizio dell'esecuzione fischiare perché fosse venuto.
[Franz Kafka, I racconti di Kafka, traduzione di Henry Furst, Longanesi, 1966]

Anita Rho
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«È veramente una macchina curiosa» disse l'ufficiale all'esploratore, e avvolse con uno sguardo quasi ammirativo l'apparecchio, a lui tuttavia ben noto. A quanto pareva il viaggiatore aveva accettato soltanto per pura cortesia l'invito del comandante ad assistere all'esecuzione di un soldato, condannato per insubordinazione e offese al suo superiore. Nemmeno nella colonia vi era grande interesse per questa esecuzione. Almeno, qui nella piccola valle profonda, sabbiosa, cinta da pendii brulli, non c'erano, oltre all'ufficiale e al viaggiatore, che il condannato, un individuo dall'aspetto ottuso, con un largo muso schiacciato e i capelli e la barba incòlti, e un soldato che teneva la pesante catena cui mettevano capo le catene, collegate anche tra di loro, che avvincevano le caviglie, i polsi e il collo del condannato. Costui d'altronde aveva un aspetto di così bestiale sottomissione da far pensare che lo si sarebbe potuto lasciar correre su e giù per il pendio e sarebbe poi bastato fischiare, venuto il momento dell'esecuzione, perché egli accorresse.
[Franz Kafka, Nella colonia penale, traduzione di Anita Rho, Adelphi, 1981]

Citazioni

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  • Qui giace il vecchio comandante. I suoi seguaci, che ora non possono avere alcun nome, gli hanno scavato la tomba e posto questa pietra. Una profezia afferma che fra un certo numero di anni il comandante risusciterà e da questa casa guiderà i suoi seguaci alla riconquista della colonia. Credete e aspettate![23]

Incipit di altri racconti

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Davanti alla Legge

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Davanti alla Legge sta un guardiano. A questo guardiano si presenta un uomo venuto dalla campagna e chiede di poter accedere alla Legge. Ma il guardiano sostiene che per adesso non gli può consentire alcun accesso.
[Franz Kafka, Davanti alla Legge, in Racconti, traduzione di Giulio Schiavoni, BUR, 1985]

Il prossimo villaggio

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Mio nonno soleva dire: «La vita è straordinariamente corta. Ora, nel ricordo, mi si contrae a tal punto che, per esempio, non riesco quasi a comprendere come un giovane possa decidersi ad andare a cavallo sino al prossimo villaggio senza temere (prescindendo da una disgrazia) che perfino lo spazio di tempo, in cui si svolge felicemente e comunemente una vita, possa bastar anche lontanamente a una simile cavalcata.»
[Franz Kafka, Il prossimo villaggio, in Tutti i racconti, traduzione di Ervino Pocar, Oscar Mondadori, 1979]

La tana

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Ho provveduto ad allestire la tana, e pare ben riuscita. Dall'esterno, a dire il vero, non si vede altro che un gran buco, che di fatto non porta da nessuna parte, dato che già dopo qualche passo si cozza contro la roccia naturale, dura e compatta.
[Franz Kafka, La tana, in Racconti, traduzione di Giulio Schiavoni, BUR, 1985]

Un medico condotto

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Ero in un bel impiccio: avevo un viaggio da fare, un ammalato grave mi aspettava in un villaggio dieci miglia lontano; un nevischio fitto riempiva lo spazio fra me e lui; avevo una carrozza, leggera, a grandi ruote, proprio adatta per le nostre strade maestre; avvolto nella pelliccia, la borsa degli strumenti sotto il braccio, stavo in mezzo al cortile, pronto a partire; ma il cavallo, il cavallo non c’era. Il mio cavallo era morto la notte prima, esaurito dalle fatiche di quel gelido inverno; la mia domestica stava correndo su e giù pel villaggio per cercare un cavallo in prestito; ma era inutile, lo sapevo, e me ne stavo lì, sempre più ricoperto di neve, sempre più immobile.
[Franz Kafka, Un medico condotto, in Il messaggio dell'imperatore : racconti, traduzione di Anita Rho, Frassinelli, 1946]

Incipit di America (Il disperso)

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Quando il sedicenne Karl Rossmann, mandato in America dai suoi poveri genitori perché una donna di servizio l'aveva sedotto e aveva avuto un bambino da lui, entrò nel porto di New York sulla nave che ormai procedeva lenta, la statua della Libertà già osservata da un pezzo gli apparve come una luce di un sole divenuto di colpo intenso. Il braccio con la spada sporgeva come appena sollevato e attorno alla figura spiravano libere brezze.
"Quant'è alta" si disse, e poiché ad andarsene non pensava affatto, a poco a poco fu sospinto fino al parapetto dalla moltitudine crescente dei facchini che gli passavano davanti.
[Franz Kafka, America (Il disperso), traduzione di Elena Franchetti, Fabbri Editori, 1996]

Citazioni su America

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  • Dopo aver letto America di Kafka mi chiedo come si possa "interpretare" un libro di cui manca la conclusione. C'è chi s'è dato pena di mettere quest'opera al centro di sottilissime indagini. Qualcosa di incredibile. O io sono stupido, o c'è un malinteso. Un libro interessante, lo è. Ma come vadano a finire le avventure di Rossmann, io non lo so, e, se il libro è tutto lì, chi altri può capirlo? (Giorgio Manganelli)

Citazioni su Franz Kafka

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Fotografia da un documento
  • Adesso, in questo preciso momento, ho tra le mani una scatola di fiammiferi con il ritratto di Franz Kafka. Mi ci sono appena acceso da fumare. Cosa ci fa Kafka su una scatola di fiammiferi? Niente, è un souvenir di Praga. [...] Anche uno sprovveduto che si trovi per le mani quella scatola di fiammiferi con la faccia di Kafka la prima cosa che gli viene in mente è: quel ragazzo ha dei problemi. Infatti aveva dei grossi problemi, e prima di tutto li aveva con suo padre. (Maurizio Maggiani)
  • Avendo un lavoro impiegatizio che gli consente molto tempo libero, va al cinema ogni pomeriggio. In sala però le sensazioni non sono proprio buone. Anche nelle scene più innocue Kafka subisce il fenomeno precipuamente fisico della loro percezione, ne riceve un'impressione violenta, vive in piena coscienza il piacere panico di un rapimento. La cosa lo attira e nello stesso tempo lo disturba. (Mauro Covacich)
  • [È] altamente improbabile che Kafka abbia mai preso in considerazione la possibilità di relazioni omosessuali. (Saul Friedländer)
  • Coesione antropologica e diaspora sono i due poli della contraddizione che agita queste pagine dalla prima all'ultima, pagine abitate da sciacalli (Sciacalli e arabi), scimmie (Relazione per un'Accademia), cani (Indagini di un cane), talpe (La costruzione) e topi (Josefine), ma sempre ossessionate dal problema della razza, della tradizione, dell'identità. (Michele Mari)
  • Era troppo perspicace, troppo saggio per poter vivere, troppo debole per lottare, debole come lo sono le creature nobili, belle, che non sono capaci di accettare la lotta contro la loro paura dell' incomprensione, della mancanza di bontà, della menzogna intellettuale. (Milena Jesenská)
  • I lettori di Kafka | prima o poi | si sentono coleotteri. (Alberto Casiraghi)
  • Il creatore della lucidità più oscura nella storia della letteratura. (Erich Heller)
  • Il fascino della sua narrativa, lontano sia dall'automatismo naturalistico, sia dal turgore espressionista, si impone soprattutto per il suo carattere di linearità e di chiarezza. Nella monocromia del suo stile è racchiuso il segreto della sua arte. (Roberto Fertonani)
  • Il mondo del capitalismo odierno come inferno e l'impotenza di tutto ciò che è umano davanti alla potenza di questo inferno, costituisce il contenuto dell'opera di Kafka. (György Lukács)
  • Il più grande pornomane, pornografo, è Franz Kafka, non è Sade. (Carmelo Bene)
  • Includere questo scrittore profondamente metafisico, a momenti addirittura mistico, nella categoria degli "atei ostinati" (come fece Kolakowski) e' un non senso imperdonabile. (Gustaw Herling-Grudziński)
  • Informato su testi ebraici più o meno esoterici, Kafka, non avendo trovato risposta alle sue interrogazioni su Dio, usa le invenzioni e le metafore di quei testi per abbozzare una teologia negativa. Dio non appare più circonfuso di assurdo, ma s'identifica con l'assurdo stesso. In questo senso è non solo un padre terribile, ma una specie di terribile dittatore. Kafka però descrive l'assurdo in termini burocratici e giuridici. (Cesare Segre)
  • Instancabile, diligente e ambizioso, il dottor Kafka è un lavoratore molto zelante, di non comune talento e straordinariamente ligio al dovere.[24]
  • Janouch fa di Kafka un uomo saggio e serafico, acuto e imprevedibile, ma, alla fine, ripetitivo. La sua ammirazione di ragazzo con aspirazioni letterarie trasforma le parole dello scrittore in un dettato oracolare. Nulla di meno kafkiano: la leggendaria mitezza di Kafka, con il quale era impossibile litigare, sconfina in una altrettanto leggendaria bontà. Il Kafka che ci viene incontro dalle pagine di Janouch, insomma, è quasi un santo laico: altruista ma riservato, sofferente ma sereno. Dobbiamo certo essere grati a Janouch e alla sua ingenuità. La nostra gratitudine, però, non va tanto a ciò che Kafka ha detto a Janouch secondo Janouch, ma a ciò che Janouch ha visto. (Giorgio Manacorda)
  • Kafka comprende il mondo (il suo, e anche meglio il nostro d'oggi) con una chiaroveggenza che stupisce, e che ferisce come una luce troppo intensa. (Primo Levi)
  • Kafka è, almeno fra i non cattolici, una mosca bianca nel cielo del Novecento letterario e culturale postcristiano illuministico. (Guido Sommavilla)
  • Kafka è stato una lettura di giovinezza, e ancora oggi credo che si rivolga o parli soprattutto ai giovani, vale a dire a quelli che hanno una vitalità talmente forte da accettare e da ricercare la distruzione. (Franco Fortini)
  • Kafka nega al suo dio la grandezza morale, la bontà, la coerenza, ma solo per gettarsi più facilmente nelle sue braccia. L'Assurdo è riconosciuto, accettato, l'uomo vi si rassegna e, da quel momento, sappiamo che non è più l'assurdo. (Albert Camus)
  • Kafka senza dubbio si portava qualche oscuro turbamento nel profondo dell'animo. (John Banville)
  • L'ho sempre considerato un mago, come Beckett e Bellow: quando lo leggi cerchi di entrare nella sua scrittura e nel suo mondo per capirne i segreti, senza tuttavia riuscirvi. C'è qualcosa di magico, anzi di miracoloso nel suo universo letterario. Le prime cose che ho letto sono stati i racconti. (Philip Roth)
  • Lo scrittore di Praga raccontava lo smarrimento davanti alla macchina della burocrazia austroungarica; ma quella italiana e repubblicana, se s'impegna, non è da meno. (Beppe Severgnini)
  • Mi pare di vedere in Kafka da un lato un mondo che chiamerei di stemmi, stemma, un labirinto, un disegno estremamente severo, molto preciso, molto astratto, duro, arcaico; ma questo disegno non riesce, non può, gli si vieta, direi, di diventare un disegno fisico, carnale e quotidiano perché il mondo su cui si proietta è un mondo totalmente deforme, infimo, losco, sordido. La intensità di Kafka nasce proprio da questa sproporzione eroica e tragica tra l'esattezza labirintica del disegno originario e la povertà industriosamente patologica del mondo su cui questa immagine si esercita. (Giorgio Manganelli)
  • Nei libri di Kafka e in varie altre opere si esprime intensamente il sentimento, immanente nel tardo mondo borghese, dell'angoscia e della solitudine, della disperata sottomissione a potenze impenetrabili, che si oggettivano e si personalizzano nei loro apparati. Kafka conosceva le sofferenze della classe operaia, ma non comprendeva la sue lotte, e questo è il suo limite, dal quale nasce il suo senso di disperazione. Ma la sua opera non è mistificazione totale: è invece una sinistra intensificazione della realtà, e non va confusa con le vacue e noiose mistificazioni che si fabbricano spesso oggi. (Ernst Fischer)
  • Nonostante la particolarità delle sue opere – quale altro scrittore ha modellato un panorama letterario così istantaneamente riconoscibile come il suo? – come artista Kafka generalmente viene visto come un foglio bianco. (John Banville)
  • Ognuno di noi convive con una propria immagine di Kafka, e lo dico anche perché le edizioni delle sue opere sono state spesso approssimative e discutibili (a cominciare, come è noto, dalle prime edizioni a cura di Max Brod). Abbiamo vissuto con un'immagine deformata, fantasmatica, dell'opera di Kafka. (Giorgio Manacorda)
  • Tutta l'arte di Kafka sta nell'obbligare il lettore a rileggere. I suoi scioglimenti o la mancanza di scioglimento suggeriscono spiegazioni, che non vengono, però, chiaramente manifestate e che richiedono, per apparir fondate, che la storia sia riletta sotto un nuovo punto di vista. A volte, vi è una possibilità di doppia interpretazione, da cui risulta la necessità di una seconda lettura. È quello che l'autore cercava. (Albert Camus)
  • Una mia grande frustrazione quando cerco di leggere Kafka con gli studenti è che mi è impossibile far loro capire che Kafka è comico. Né tantomeno apprezzare il modo in cui questa comicità è intimamente legata alla potenza dei suoi racconti. (David Foster Wallace)
  • [Franz Kafka, all'acquario di Berlino,] vedendo i pesci nelle vasche luminose disse [...]: «Adesso posso guardarvi tranquillamente, non vi mangio più». Era il periodo in cui era diventato rigorosamente vegetariano. Chi non ha udito siffatte parole dalle labbra stesse di Kafka difficilmente potrà farsi un'idea del modo semplice e lieve, senza ombra di affettazione, senza tono patetico (che del resto gli era del tutto estraneo) con cui diceva queste cose. (Max Brod)
  • Capì che la letteratura gli rifiutava la soddisfazione attesa, e questo egli voleva: ma non cessò di scrivere. Sarebbe anzi impossibile dire che la letteratura lo deluse.
  • Insomma, [Kafka] volle essere infelice per appagarsi: il punto più segreto di questa infelicità era una gioia così intensa, che egli dice di morirne.
  • La forza silenziosa e disperata di Kafka fu questo non voler contestare l'autorità che gli negava la possibilità di vivere, fu l'allontanarsi dall'errore comune che, di fronte all'autorità, implica il gioco della rivalità. Se colui che rifiutava la costrizione alla fine è vincitore, diviene a sua volta, per se stesso e per gli altri, simile a coloro che ha combattuto, a coloro che si incaricano di esercitare la costrizione.
  • C'è sempre da eccepire su qualunque cosa, anche egregia, quando si scriva su Kafka, tanto quest'autore è poliedrico, ossimorico, chimerico, facilmente trascrivibile in mitologie private che vengono contestate da chiunque ne abbia una diversa.
  • Cantoni, approdato all'esistenzialismo e poi all'antropologia sempre in chiave scettico-critica (ma non fu mai una scepsi immota e sogghignante, anzi fervidamente in collaborazione con la vita) bada a depurare Kafka da ideologismi sia religiosi che politici, enucleando un pensatore immerso nel negativo, nel nichilismo, nell'assurdo. Vero anche questo, ma non del tutto, come sempre quando è in ballo Kafka.
  • Kafka invece fu scrittore di lettere invasato, maniaco. Usava la lettera senza credere al messaggio, alla comunicazione, sapendo benissimo di scrivere solo a fantasmi della nostalgia, di moltiplicare le incomprensioni e i fraintendimenti, di torturare e avvilire se stesso, di denudarsi fino alla vergogna ma col risultato di scomparire sempre più dentro una cortina fumogena.
  • Ma c'è, in Kafka, una nota più peculare. Forse il dono di una speranza tanto più efficace quanto più accuratamente sepolta, di una pulizia morale che abbaglia proprio perché operata con voce spenta e in assoluta umiltà, di un'intelligenza tesa fin quasi a spezzarsi, ma in questo rischio vibrante e lucida come acciaio.
  • La scrittura di Kafka è un colpo di dadi lanciato nel vuoto, che azzarda contemporaneamente delle ipotesi opposte.
  • Non condivideva le pietanze comuni. Mentre gli altri mangiavano carne – quella carne risvegliava alla sua memoria piena d'odio e di disgusto tutta la violenza che gli uomini avevano sparso sulla terra, e le minuscole filamenta tra un dente e l'altro gli sembravano germi di putredine e di fermentazione come quelli di un topo morto fra due pietre –, lui rovesciava sulla tavola la ricca cornucopia della natura.
  • Tutte le persone che incontrarono Franz Kafka nella giovinezza o nella maturità, ebbero l'impressione che lo circondasse una «parete di vetro». Stava là, dietro il vetro trasparentissimo, camminava con grazia, gestiva, parlava: sorridendo come un angelo meticoloso e leggero; e il suo sorriso era l'ultimo fiore nato da una gentilezza che si donava e si tirava subito indietro, si spendeva e si chiudeva gelosamente in sé stessa. Sembrava dire: «Sono come voi. Sono uno come voi, soffro e gioisco come voi fate».
  1. Da una lettera all'editore Kurt Wolff, in merito alla copertina del racconto La metamorfosi, in corso di pubblicazione; citato in Abraham Yehoshua, Kafka e il suo doppio, Corriere della Sera, 6 luglio 2007.
  2. Citato in L'amore è tutto di Dino Basili, p. 30, Tascabili economici newton, Febbraio 1996
  3. Citato in Christian Norberg-Schulz, Genius Loci, Electa, p. 78. ISBN 88-435-4263-X
  4. Da Gustav Janouch, Conversazioni con Kafka, p. 207.
  5. Da Gustav Janouch, Conversazioni con Kafka, p. 36.
  6. Da Gustav Janouch, Conversazioni con Kafka, p. 193.
  7. Da Gustav Janouch, Conversazioni con Kafka, p. 153.
  8. Da Gustav Janouch, Conversazioni con Kafka, p. 35.
  9. Da Gustav Janouch, Conversazioni con Kafka, p. 140.
  10. Da Gustav Janouch, Conversazioni con Kafka, p. 187.
  11. Kavka in ceco significa appunto "cornacchia"
  12. Da Gustav Janouch, Conversazioni con Kafka, p. 20.
  13. Numerati da 1 a 109, questi aforismi furono estratti da Kafka stesso, con lievi modifiche, dai Quaderni in ottavo. Il titolo Considerazioni sul peccato, il dolore, la speranza e la vera via (in Lettera al padre. Gli otto quaderni in ottavo) è di Max Brod. Il titolo Aforismi di Zürau è di Roberto Calasso.
  14. Da Diari 1910-1923, vol. I, p. 232.
  15. Citato in Giovanni Moretto, Giustificazione e interrogazione: Giobbe nella filosofia, Guida Editori, 1991, p. 108.
  16. Da Diari 1910-1923, vol. I, p. 27.
  17. Da Diari 1910-1923, vol. I, p. 289.
  18. Da Diari 1910-1923, vol. II, p. 212.
  19. Da Diari 1910-1923, vol. I, p. 22.
  20. Nota del curatore del volume: S'intende la Galleria Vittorio Emanuele di Milano.
  21. Probabile allusione all'explicit de Il processo.
  22. Citato in AA.VV., Il libro della letteratura, traduzione di Daniele Ballarini, Gribaudo, 2019, p. 210. ISBN 9788858024416
  23. Da Nella colonia penale, traduzione di Luigi Coppé, Newton Compton.
  24. Dalle liste di qualificazione dell'Istituto di assicurazioni contro gli infortuni del regno di Boemia, 10 settembre 1909; citato nell'introduzione di Roberto Fertonani a Franz Kafka, Il castello, traduzione di Anita Rho, Oscar Mondadori, 1979, p. 9.

Bibliografia

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  • Franz Kafka, Aforismi di Zürau, a cura di Roberto Calasso, Adelphi, Milano 2004.
  • Franz Kafka, America (Il disperso) (Amerika (Der Verschollene)), traduzione di Elena Franchetti, Fabbri Editori, 1996.
  • Franz Kafka, Confessioni e Diari, a cura di Ervino Pocar, Mondadori, Milano 1972.
    • Diari, traduzione di Ervino Pocar.
    • Gli otto quaderni in ottavo, traduzione di Italo A. Chiusano.
    • Gustav Janouch, Colloqui con Kafka, traduzione di Ervino Pocar.
  • Franz Kafka, Diari 1910-1923, a cura di Max Brod, traduzione di Ervino Pocar, Mondadori, Milano, 1959.
  • Franz Kafka, Gli otto quaderni in ottavo, traduzione di Italo Alighiero Chiusano, in Tutti i romanzi, i racconti, pensieri e aforismi, Newton, Roma, 2010. ISBN 978-88-541-1709-9
  • Franz Kafka, Il castello, traduzione di Anita Rho, Oscar Mondadori, 1979.
  • Franz Kafka, Il processo (Der Prozess), traduzione di Giuseppe Landolfi Petrone e Maria Martorelli, Newton Compton Editori, 1989.
  • Franz Kafka, Il processo, traduzione di Primo Levi, Einaudi, 1983.
  • Franz Kafka, La metamorfosi (Die Verwandlung, 1912), traduzione di Rodolfo Paoli, Oscar Mondadori, 1979.
  • Franz Kafka, La metamorfosi, traduzione di Anita Rho, Adelphi, 1981.
  • Franz Kafka, La metamorfosi e Nella colonia penale, traduzione di Luigi Coppé, Newton Compton Tascabili Economici, 1991. ISBN 88-7983-039-2
  • Franz Kafka, Lettera al padre, traduzione di Francesca Ricci, Newton Compton, 1993.
  • Franz Kafka, Lettera al padre. Gli otto quaderni in ottavo, traduzioni di Anita Rho e Italo Alighiero Chiusano, Oscar Mondadori, 1988.
    • Lettera al padre
    • Gli otto quaderni in ottavo
    • Considerazioni sul peccato, il dolore, la speranza e la vera via
  • Franz Kafka, Lettere a Milena, traduzione di Ervino Pocar, Oscar Mondadori 1979.
  • Franz Kafka, Gli aeroplani a Brescia. Diari di viaggio 1909-1912, a cura di Ervino Pocar, Robin Edizioni, Roma, 2001. ISBN 88-86312-72-5
  • Franz Kafka, Nella colonia penale, traduzione di Anita Rho, Adelphi, 1981.
  • Franz Kafka, I racconti di Kafka, traduzione di Henry Furst, Longanesi, 1966.
  • Franz Kafka, Racconti, traduzione di Giulio Schiavoni, BUR, 1985.
  • Franz Kafka, Tutti i racconti, traduzione di Ervino Pocar, Oscar Mondadori, 1979.
  • Franz Kafka, Tutti i romanzi, i racconti, pensieri e aforismi, traduzione di Aa. Vv., Newton Compton, 2010.
  • Gustav Janouch, Conversazioni con Kafka, traduzione di Maria Grazia Galli, Guanda, Parma, 2005.

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