Michele Mari

scrittore e filologo italiano (1955-)

Michele Mari (1955 – vivente), scrittore italiano.

Michele Mari

Citazioni di Michele Mari

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  • [Su alcuni racconti di Franz Kafka] Coesione antropologica e diaspora sono i due poli della contraddizione che agita queste pagine dalla prima all'ultima, pagine abitate da sciacalli (Sciacalli e arabi), scimmie (Relazione per un'Accademia), cani (Indagini di un cane), talpe (La costruzione) e topi (Josefine), ma sempre ossessionate dal problema della razza, della tradizione, dell'identità.[1]
  • [...] la mia lettura dell'Isola del tesoro è meno solare [rispetto a quella di Giorgio Manganelli, che ha parlato di «poema della vitalità, tenero e sempre d'una esattezza, d'una lucidità allucinante: ma senza paura, e senza istrionismo»]: penso soprattutto al suo côté nero, a personaggi genuinamente spaventosi come Pew il cieco o Cane Nero con il suo angosciante Bollo Nero, al duello mortale fra Jim e Jordan [recte: Israel] Hands, alla bestialità di Ben Gunn, alla stessa ambiguità di Silver, a quella lugubre canzone Quindici uomini sulla cassa del morto, alla rievocazione del terribile capitano Flint, quasi un morto vivente con le guance blu...[2]

Cento poesie d'amore a Ladyhawke

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  • Come un serial killer | faccio pagare alle altre donne | la colpa | di non essere te
  • Tu non ricordi | ma in un tempo | così lontano che non sembra stato | ci siamo dondolati | su un'altalena sola || Che non finisse mai quel dondolio | fu l'unica preghiera in senso stretto | che in tutta la mia vita | io abbia levato al cielo
  • Verrà la morte e avrà i miei occhi | ma dentro | ci troverà i tuoi

I demoni e la pasta sfoglia

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  • Stevenson è oggettivo perché è soggettivo, è magnanimo perché è autistico, è epico perché è autocentrato, ha una fantasia inesauribile perché parla solo di sé, perché sa parlare solo di sé e perché vuole parlare solo di sé.
  • Racconto di magistrale economia, Markheim è tutto giocato sui toni medi della perplessità, dell'inquietudine, del trasalimento; la truce e favolosa spettacolarità del Jekyll vi è assente, ma la tensione è altissima, e ci dimostra una volta di più che pochi narratori conoscevano come Stevenson l'arte di rendere romanzesca una materia etico-psicologica.
  • [Su Il Master di Ballantrae] [...] a un certo punto (e il lettore dice: finalmente!) Henry reagisce e decide di affrontare James con la forza e con l'ingegno, ma è anche vero che da questo stesso punto Henry incomincia a imitare James, a essere sempre più simile a lui fino ad essergli identico: spietato, astuto, sprezzante, sulfureo. I due fratelli moriranno a poca distanza di tempo dopo la resa dei conti finale, ma James muore come se stesso, Henry muore come James, goccia di mercurio riassunta e annullata nel metallo liquido dell'altro.
  • [Su L'invenzione di Morel] Romanzo algido, geometrico, intimamente loico, popolato di araldici emblemi più ancora che di simboli. L'invenzione di Morel ribadisce un'antica illusione degli umani: che a divenire immortali sia sufficiente conseguire la Forma:la Forma formata e compiuta, definitivamente sottratta dall'arte alla corruttibilità della vita.
  • [Su L'invenzione di Morel] Ricordando l'esilio in villa dell'allegra brigata boccaccesca, l'isolamento di Morel e dei suoi amici (ma più che l'isola la loro villa è la Forma fissa) stabilisce che la morte è fuori, e che ogni possibilità di sopravvivenza è legata al soggiorno dentro i circolari o pentacolari confini dell'artificialità.
  • [Su Spedizione notturna intorno alla mia camera] Pur essendo sempre a Torino la chambre non è più la stessa, così come non ci sono più alcuni comprimari presenti nel Voyage, come il cameriere Joannetti e la cagnetta Rosina. Né ci sono più quelle schizofreniche personificazioni della propria identità che erano nel Voyage l'anima e il corpo, designato come «la bestia» oppure (in opposizione all'anima) «l'altro»: l'abbandono di queste entità è a mio avviso la perdita più grande, che sempre renderà il Voyage di gran lunga superiore alla Expédition [...].
    Xavier è nella Expédition molto più fanciullesco: ad esempio sta a lungo a cavalcioni del davanzale della finestra, descrivendosi come un vero cavaliere che ora vada al passo ora al trotto ora al galoppo. Eppure, nonostante questi e altri bamboleggiamenti, il testo è molto meno adolescenziale e incantato del Voyage.
  • [...] Jekyll e Hyde saranno entrambi felici ognuno a suo modo, e la sola infelicità risiederà nella memoria di Jekyll di essere stato Hyde, e nella paura di tornare ad esserlo.

Incipit di Roderick Duddle

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«In verità... io... mi chiamo Michele Mari».[3]

  1. Dall'articolo Kafka: cani e sciacalli dal volto umano, Corriere della Sera, 27 febbraio 2000.
  2. Dall'intervista di Eloisa Morra, Traduzione: Stevenson è una forma della felicità, Lindiceonline.com, 1 aprile 2013.
  3. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Bibliografia

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