Guido Piovene

scrittore e giornalista italiano (1907-1974)

Guido Piovene (1907 – 1974), scrittore e giornalista italiano.

Guido Piovene

Citazioni di Guido Piovene modifica

  • Chiarire agl italiani che la razza è un dato scientifico, biologico, basato sull'affinità di sangue, è il primo compito che il libro [Contra Judeos] incoraggia; secondo, di dimostrare che l'inferiorità di alcune razze è perpetua; che negli incroci l'inferiore prevale sul superiore; che la razza italiana dev'essere gelosa della sua immunità... Gli ebrei possono essere solo nemici e sopraffattori della nazione che li ospita. Di sangue diverso, e coscienti dei loro vincoli, non possono che collegarsi contro la razza aliena. L'enorme numero di posizioni eminenti occupato in Italia dagli ebrei, è il risultato di una tenace battaglia. Come stranieri, essi tentano di ottenere il trionfo sulla cultura nazionale altrui, portandola a forme «europeistiche», staccandola dalle radici popolari dell'arte, come è avvenuto in Italia.[1]
  • La persecuzione antiebraica è solo uno degli aspetti del razzismo nel mondo, ma ne è stata l'espressione più orribile.[2]
  • [Su Se io fossi onesto] Questi film nei quali una trama ingegnosa, irta di trovate e di equivoci, si svolge in un immaginario paese di case novecento, di milionari, di maggiordomi sono ormai diventati una nostra specialità e difficilmente se ne vede uno veramente cattivo. [...] Il regista Bragaglia ha mostrato anche qui esattezza, misura e sicurezza di taglio, raggiungendo il suo intento, che era di divertire.[3]
  • [Su I 3 aquilotti] Si tratta d'una specie di lungo metraggio sull'Accademia aeronautica di Caserta, nel quale è stata inserita una lieve trama. [...] È un film che corre liscio e di esperta condotta: la recitazione, a cui hanno partecipato giovani della Scuola e giovani della G.I.L., procede senza intoppi; e sotto il buon mestiere resta così dissimulato quanto vi è nella trama di non del tutto originale.[4]
  • Una virtù è sempre un vizio trasformato. Bisogna avere il coraggio di ammettere che ogni virtù si ricava dal vizio.[5]
  • Viaggiare dovrebbe essere sempre un atto di umiltà.[6]
  • [Su Un garibaldino al convento] Vittorio De Sica ha fatto un altro ottimo film, in cui dimostra le sue solite doti, l'accuratezza, la finezza, lo zelo, il giusto orecchio, la compiuta misura, e questa volta qualche cosa di più. [...] Il film è buono per la delicata pittura delle due famiglie avverse, dei familiari, del pietismo conventuale, dei soldati borbonici (se mai ha un difetto è di essere fin troppo bello, troppo finito e levigato); è buono per le figure minori, vivaci e di fresca invenzione; è buono per il dialogo al quale hanno collaborato scrittori, per esempio Adolfo Franci; nelle ultime scene poi, l'assedio, la fuga a cavallo, l'inseguimento e la carica dei garibaldini, incalzanti, piene di ansia, De Sica trova il suo meglio.[7]

Viaggio in Italia modifica

  • [Bolzano] È opulenta, moderna. Ma la sua bellezza è gotica: le lunghe vie fiancheggiate di portici, abbellite non tanto da questa o quella costruzione, quanto dal movimento degli angoli e delle sporgenze, che crea fondali di teatro, giochi di luce. (p. 9)
  • [...] conoscere Palladio, la Basilica, la Loggia del Capitanio, la Rotonda, il teatro Olimpico, il palazzo Chiericati e gli altri attraverso gli studi è una conoscenza imperfetta. Bisogna vederlo a Vicenza. (p. 49)
  • È fantasia dei friulani che la loro terra, con le montagne della Carnia, le colline dell'Udinese, la pianura, i paesaggi lagunari lungo la costa, le diverse razze e i colori vivaci di un tempo più antico del nostro, sia per se stessa un universo nella sua varietà. Aquileia romana, Udine veneziana e Cividale longobarda... (p. 60)
  • Verona fu romana, gota, poi bizantina e longobarda. La tennero i Carolingi e gli imperatori tedeschi; fu un glorioso Comune e una gloriosa Signoria. Fu scaligera, viscontea, veneziana; l'avvicendamento fu rapido, ed ogni fase sovrappose all'altra il suo segno. In ogni fase storica ebbe una parte dominante, per l'importanza strategica e mercantile, grande fortezza ed incrocio di arterie tra l'Italia e il mondo germanico. Per varietà di stili, nessuno dei quali prevale, Verona non ha pari tra le città italiane se si eccettua Roma. (p. 78)
  • Tra l'azzurro ed il bianco, sul fondo dei colli di un verde opaco, Genova è misteriosa al modo di Londra, l'altra città europea fatta a compartimenti stagni. La fantasia, dice Stevenson, è stimolata a Londra, perché Londra è un incastro di ambienti segreti l'uno all'altro. L'animo può così giocare al mistero, compiacersi in acrobazie che oggi si direbbero metafisiche, immaginando qui un cinese, qui un baro, una vecchia duchessa, un commerciante di caucciù, un dinamitardo, accostandoli, mescolandoli, ponendoli in rapporti occulti. Congerie di misteri simili non s'incontrano mai nelle semplici città italiane, ma Genova è forse l'unica che susciti la fantasia di retroscena clandestini. Un libro giallo che si svolga a Roma, a Venezia o a Firenze ha qualche cosa di incredibile, ma se si svolge a Genova si riesce a credervi (o quasi). E, proprio come Londra, Genova ha la speciale teatralità degli esseri e delle vicende su cui si sente pendere qualche cosa di occulto. (p. 220)
  • Ma l'affetto indugia ancora su Genova vecchia, che resta la più vera, viva e in fondo moderna. Appoggiata a terrazze che digradano sulle pendici, le case sembrano erette l'una sull'altra; tutte sembrano spingersi in lato più che possono, come le piante d'una selva, in cerca di luce; si direbbe che una sola scaletta a chiocciola, nell'interno di esse, ci possa condurre dal porto alla cima delle colline. Al sommo, i nuovi grattacieli s'intonano con l'aspetto verticale della città. Nella calca s'incuneano giardinetti da casba, oleandri, magnolie. (p. 221)
  • Quasi tutte le città italiane furono fatte e rifatte attraverso i secoli. Ma le case di Genova vecchia, in modo speciale. Più che portare i segni delle trasformazioni, li nascondono con avarizia. I loro muri sono ossari di stili, forzieri di vestigia; basta bucare un muro per trovare sotto l'intonaco qui una finestra di cotto, qui un bassorilievo o un affresco. Sono muri pieni di spettri tra sciami di gente vivace. (p. 222)
  • Parallela a via Gramsci, più in alto, ma in continua simbiosi col porto, corre via Prè, stretta, lunga, la più popolare di Genova, e forse la più genovese. Benché si stenda vicino ai mercati e alla Borsa, molti dei suoi abitanti non ne escono mai, avendo fin troppo da fare sul posto. Fritture, torte, contrabbando al minuto, argomento troppo importante per passarlo sotto silenzio. (p. 222-223)
  • I genovesi sono risparmiatori, lavoratori, produttori e prudenti. Non produttori al modo dei milanesi, troppo giocatori per Genova e propensi a confondere l'affare con l'avventura. Predomina in questo porto un'idea moralistica del lavoro; perciò, almeno in alcuni, si avverte lo spavento di guadagnare troppo, cioè di essere giocatori, gente, secondo i moralisti, esposta a sicura rovina. Nascondono la ricchezza ancor più dei piemontesi; conosco ricchi che hanno un numero elevato di dipendenti, ma sembrano vergognarsene, e li fanno vedere poco. La ricchezza si riversa in casa. (p. 224)
  • Genova è una città dura che si compiace d'essere sentimentale. Immagina se stessa rude, ma dolce nel segreto. Il misantropo di buon cuore è un personaggio importante della commedia dialettale che essa recita nella vita. Un buon genovese non deve mai mostrarsi commosso, ma voltate le spalle deve sempre asciugare una lagrima di soppiatto. (p. 225)
  • Si è parlato del culto genovese dei morti, che talvolta palesa un grandioso concetto della classe. La visita a Staglieno, il più famoso cimitero d'Italia, mostra come quel concetto sia stato tramandato dall'aristocrazia alla borghesia filantropica. Nemmeno il Cimitero Monumentale di Milano offre una tale antologia di autocelebrazioni mediante il sepolcro. Qui vedi il finanziere in panciotto di marmo bianco, che si congeda dalla moglie piangente; ma si congeda in un palazzo; e morire significa andare di là di un tendaggio di broccato dalle ricche pieghe. Un altro defunto appare nella veste di un angelo che versa da una ciotola una pioggia di monete d'oro; ed un altro, dice l'epigrafe, «cessò di vivere ma non di beneficare – legando a pietosi istituti – parte non umile del ricco suo censo». (pp. 227-228)
  • Il porto di Genova è uno dei più perfetti d'Europa; non vi è merce che non possa essere rapidamente sbarcata e imbarcata. (p. 232)
  • Una reazione tipica del produttore genovese di fronte alla crisi è quella moralistica: «Io lavoro da mattina a sera». Adriano Olivetti a Ivrea mi parlava di questo moralismo-dolorismo dell'industria italiana, di questo feticismo nazionale per la fatica, il lavoro domenicale ed il dormire poco; in nessuna città è maggiore che a Genova; esso viene opposto alla crisi, che è subìta perciò come un'ingiustizia. Mai come a Genova ho accolto tante testimonianze di gente che lavora sempre e non dorme mai. (p. 235)
  • [Cesena] Questa graziosa cittadina, circondata di bei frutteti, e perciò a primavera ravvolta di una nuvola d'alberi bianchi e rosa, addossata a un colle e dominata da una rocca che la include in parte, è nota anche nella cronaca delle ultime guerre, perché diede un buon numero di aviatori medaglia d'oro. Ivi ho raccolto molto di quel colore romagnolo, che ho poi versato in queste pagine solo in minima parte. (pp. 318-319)
  • La splendida biblioteca malatestiana di Cesena è il cuore della cultura della Romagna. Costituita, a metà Quattrocento, per ordine di Novello Malatesta sul fondo di una più antica biblioteca conventuale, nella scia di quella di San Marco a Firenze, è una perfetta creazione del genio del Rinascimento. Non solamente per i codici corali miniati, incunaboli di gran pregio ch'essa con­tiene, ma per la stupenda sala, opera di Matteo Nuti, scolaro dell'Alberti. Col tempio malatestiano di Rimini, con il Palazzo Ducale di Urbino e con i più tardi palazzi degli Estensi a Ferrara è quanto di più puro ci abbia dato quel secolo in cui la cultura toccò l'estremo punto della raffinatezza. [...] Appare, la meravigliosa sala, con due file di colonne in fuga prospettica e i muri cui il tempo ha dato sfumature verdi e rosee. Difficile associare più distillata purezza a più slancio di fantasia. (p. 319)
  • La Toscana è tra le regioni del mondo più famose per la loro bellezza. È un luogo comune parlare della dolcezza e della grazia dei suoi paesaggi. Le valli intorno a Firenze, nel Pistoiese, in Lucchesia e altrove, con i loro giochi d’olivi chiari e di cipressi scuri, hanno una veste incantevole che sa di pittura e di prospettiva artistica, Pure, ad osservarla bene, la dolcezza non è la più intima caratteristica della terra toscana, come invece dell’Umbria. Anche nelle parti più amene, quali la valle del Mugello ed il Chianti, sotto l’involucro grazioso si scopre una precisione, una purezza di contorni, uno scarno rigore di disegno: mentre l’occhio si incanta sulla dolcezza delle prime apparenze scivola dentro l’animo una lezione più severa. La bellezza toscana è una bellezza di rigore, di perfezione, talvolta di ascetismo sotto l’aspetto della grazia. (pp. 359-360)
  • Il rigore del paesaggio toscano emerge in plaghe dove, come intorno a Siena e a Volterra, la creta biancastra traluce tra le vegetazioni, fissando come nel diamante i contorni di un paesaggio netto, duro e supremamente perfetto. Dunque un paesaggio intellettivo, imbevuto d’intelligenza, che sembra pensare esso stesso intorno all’uomo e nella maniera più alta. (p. 360)
  • L'attaccamento alla contrada non ha nulla a che fare con le idee, col partito politico, con gli interessi. Dipende in modo esclusivo dal luogo di nascita, dall'atavicità, da tutto quello insomma che è prenatale; non è pensiero, ma passione contratta con il semplice venire al mondo. L'uomo di Siena sente, più profondo di tutto, di fronte alla propria Contrada, quello che fu chiamato «il demone dell'appartenenza». (p. 387)
  • [A Siena] Nei giorni della corsa tutto è sospeso, l'appetito come l'amore e l'amministrazione pubblica. [...] La sera [dopo il Palio], vi sono due Siene. Luce, vino e tripudio nella contrada vincitrice e nelle alleate. Ma se si sbircia dentro la contrada nemica, si crede d'essere in una città abbandonata; le finestre e gli usci sprangati, buio, silenzio e lutto. (pp. 387-388)
  • La bellezza di Napoli cresce di giorno in giorno, di settimana in settimana, via via che scopre i suoi segreti. Finché si giunge a intendere che veramente è questo il più bel golfo della terra. (p. 430)
  • L'orario a Napoli può essere una necessità pratica, mai una necessità intima. Lo si abbandona quando non occorre più. (p. 430)
  • I bambini, le «creature» brulicano. Anche nei ristoranti medi, pochi sono gli avventori senza i bambini intorno. Napoli è una città allattante e poppante, perpetuamente gravida. Un semidio napoletano è l'amore; nella coscienza popolare, l'amore si redime con la creazione. (p. 432)
  • Napoli non è una città per puristi. Vedo una chiesetta barocca, che porta a metà altezza la statua di un angelo, e si prolunga sul medesimo piano con la finestra e il balconcino di una casa senza pretese. Al balconcino sta una donna, gomito a gomito con la statua dell'angelo; questa è veramente Napoli; si abbatta la casa e il balcone, e anche la chiesa sarà divenuta scipita. In tutte le città, ma a Napoli specialmente, risulta evidente che l'arte non è fatta soltanto di quelle che chiamiamo opere d'arte. (p. 433)
  • È un accento che spesso ho udito risuonare a Napoli in diversa forma. Un incanto nel vivere, unito però al sottinteso che il vivere ha per se stesso qualche cosa di doloroso. Si ha una specie di pendolo tra quell'incanto e quel sottinteso riposto: non si sa mai quale prevalga. (p. 437)
  • A Napoli, come a Parigi, è difficile udire, almeno in conversazione, quei giudizi assoluti, radicalmente negativi che si odono altrove; come a Parigi, la tendenza è piuttosto verso l'assoluzione, naturalmente con un sottinteso un po' scettico, e senza approfondire troppo; vi è sempre, nei giudizi, un umorismo e un garbo di capitale anche mondana. (p. 443)
  • Come ha trovato modo di convivere con i santi, con i miracoli, con la scienza e la tecnica, questo popolo vive in confidenza con le forze occulte e la potenze cosmiche. Dovunque si destreggia con la sua malizia, come la piccola barca sulle onde del mare. Anche per questo credo che il vulcano di Napoli, come gli scavi archeologici del Napoletano, non abbiano equivalenti in nessuna parte del mondo: tutto a Napoli, è umanizzato due volte. (pp. 464-465)
  • Splendida eredità del dominio borbonico, il museo Nazionale è dentro l'anima di Napoli, e un forestiero se ne avvede più di un napoletano stesso. [...] La vita romana qui perde ogni solennità accademica, e si avvicina con un realismo loquace; la confidenza subentra alla riverenza; non si potrebbe pensare un museo come questo se non a Napoli [...] (pp. 465-466)
  • Può darsi che la cucina napoletana, come un gastronomo mi disse, sia cucina di città povera; una cucina primordiale, nata dai tre prodotti elementari della terra e delle acque, il grano, gli ortaggi e il pesce; giocata sulle variazioni di tre cibi, la pasta, il pesce e l'antichissima pizza. Molti forestieri non amano la cucina di Napoli perché, condotti da diverse abitudini, non la scoprono mai. Ma, quand'è buona, essa contiene, nel tempo stesso, l'antichità e la natura; porta alla comunione con la natura e con un passato remoto; è semplice e mitologica. (p. 473)
  • Vi fu chi mi disse che i due giardini di Ravello, a villa Rufolo e al Cimbrone, sono i giardini più straordinari del mondo insieme con quelli di Charleston nella Carolina del Sud; ed è giusto nel senso che né gli uni né gli altri hanno equivalenti altrove. Forse i giardinieri a Ravello hanno subìto un'influenza britannica. Certo hanno acquistato l'arte di intonare colori diversissimi gettandoli alla rinfusa, come su una tavolozza, astenendosi dalle aiole troppo disegnate. Sono giardini, quelli di Ravello, romantici, di una scapigliatura geniale. (p. 477)
  • Salerno è diversa da Napoli, nell'apparenza e nello spirito. Qui veramente cadono molti luoghi comuni sull'Italia meridionale. L'aspetto è infatti quasi settentrionale, e la pulizia quasi svizzera. I discorsi sono secchi, brevi, propri di persone attive. [...] Coloro che conoscono la vita salernitana nell'intimo mi dicono ch'essa è un miscuglio, tipico dell'Italia meridionale in questa fase di passaggio, e nei luoghi di punta, di usanze ancora patriarcali e di modernismi talvolta anche strani ed eccessivi. [...] Osservando bene Salerno, si ha dunque l'impressione di un centro abbastanza tipico della fase di trasformazione dell'Italia meridionale. L'industrializzazione e il benessere sono in progresso, anche se le antiche passività gravino ancora fortemente. (pp. 477-478)
  • [La Reggia di Caserta] Il fascino di questa Versailles del Napoletano [...] viene per me soprattutto da un certo che di gratuito e di favoloso che emana da questo palazzo di grandezza sproporzionata sorgente in mezzo a una piatta pianura: esiste, lo abbiamo già detto, un surrealismo napoletano avant-lettre, che nacque dal fasto teatrale di Napoli: e che consiste nel campare grandi fantasie architettoniche dove meno si aspettano. Lo stesso parco, attraversato dalle acque ricadenti da un monticello, poi scorrenti in lieve pendìo di bacino in bacino, interrotte da gruppi bianchi di grandi statue, animali, divinità, venti che gonfiano le gote, Atteone mutato in cervo e sbranato dai cani, è una fantasia macroscopica, in cui tutto sembra essere un po' più grande del giusto; questo genera un turbamento dell'immaginazione, che i barocchi chiamavano la meraviglia. È chiaro il desiderio di superare in fasto le grandi regge europee e le grandi metropoli; il contrasto tra questo sogno e la realtà dell'ambiente fa sì che quella di Caserta, ben più di quella di Versailles, sia una reggia di fantasia. (pp. 493-494)
  • Si sale sulla costa del monte d'un giallo fulvo; ai piedi si ha la pianura, l'immenso quadrilatero della reggia; poi ci si interna, e la pianura sparisce. Esiste in Provenza una splendida ed illustre città abbandonata tra le rocce, Les Beaux; Caserta vecchia, longobarda, sorta nell'ottavo secolo, già sede di vescovi e conti, è il suo equivalente italiano. Soltanto Les Beaux è di due stili, medievale e Rinascimento, Caserta tutta medievale; e Les Beaux è celebrata in Francia, mentre Caserta vecchia è quasi ignota da noi. Capace di alloggiare molte migliaia di persone, ne racchiude duecento circa. È un nodo di case e viuzze morto e monocromo, del colore giallastro del travertino; intorno un paesaggio di colli brulli, sassosi, seminati di spunzoni di torri; un paesaggio fermo e perfetto. (p. 494)
  • Si trova a Benevento un orgoglio civico e storico maggiore che nelle altre città provinciali campane. (p. 496)
  • Benevento non è Napoli, e ci tiene a farlo sapere. Già la loro indole, mi fanno notare i beneventani, differisce molto da quella del resto della Campania: più dura, più chiusa, più alpina. Salerno ha qualcosa di milanese per quanto è possibile nel Mezzogiorno; ho ritrovato ad Avellino esemplari perfetti di un certo tipo d'intellettuale del Sud, intelligente, pessimista, che contempla se stesso e i suoi malanni come un capitolo di storia. I beneventani invece trasportano se mai nel Sud qualche caratteristica dei trentini. Lo stesso clima è freddo, poco campano; gli splendidi panorami della provincia sono alpestri. (p. 496)
  • Dopo la caduta di Roma, Benevento ebbe un'altra epoca di splendore sotto il dominio longobardo, e fu il più importante feudo longobardo del Sud. Sotto Roma, e nel Medio Evo, fu grande centro di traffico commerciale fra Tirreno e Adriatico. I beneventani tengono a quello sfondo lontano di internazionalismo. Gli stessi nomi, mi dicono gli studiosi, nei documenti degli archivi, dimostrano che le famiglie provenivano da ogni parte; la popolazione aveva una composizione internazionale, e Benevento qualche cosa della metropoli. (p. 496)
  • Oggi Benevento è in gran parte una città nuova di zecca con oasi di splendidi monumenti.
    Pure negli avanzi di quella che fu l'aristocrazia intellettuale del Sud, viva sebbene numericamente ristretta, ho qui notato una passione per l'arte, una difesa del patrimonio artistico ed archeologico, che nel Nord dell'Italia sono meno comuni. È quella passione umanistica che nel Mezzogiorno d'Italia minaccia ormai di naufragare, ma che qui è tenuta desta, come dicevo, anche dall'orgoglio civico. (pp. 496-497)
  • [...] l'Arco di Traiano, forse il più bello e armonioso degli archi romani esistenti, più bello di quelli di Roma. Ed è anche un arco stranamente moderno, poiché si vede nei bassorilievi Traiano dedito ad opere sociali ed assistenziali. (p. 497)
  • L'Italia, con i suoi paesaggi, è un distillato del mondo, le Marche dell'Italia. (p. 508)
  • Un viaggio nelle Marche, non frettoloso, porta a vedere meraviglie. (p. 513)
  • Ascoli Piceno [...] è una tra le più belle piccole città d'Italia, e non ne vedo altra che le assomigli. Gide la prediligeva [...] bella come alcune città della Francia del sud, non tanto per questo o quel monumento in modo speciale, ma per il suo complesso, per la qualità antologica, per un incanto che viene da nulla e da tutto. Più di qualsiasi altra dev'essere difesa da stupidi sventramenti. Bisogna avervi passeggiato, a cominciare dalla piazza del Popolo, la piazza italiana che insieme con quella di San Marco a Venezia dà più un'impressione di sala, cinta da porticati, chiusa dalla stupenda abside di San Francesco; o costeggiando il Battistero del Duomo; o lungo le rive scoscese del Tronto; e per le strade strette, chiamate «rue», dove i palazzi non si contano; e che si allargano in piazzette [...] Ascoli è città di torri, antologica come si è detto, perché vi si succedono molti stili, il romanico, il gotico, il rinascimentale, il barocco. Ma il romanico resta il fondo costante, il colore; chiese dalle pareti di pietra, senza finestre; un travertino d'un grigio caldo, uniforme, senza intonaco [...] Quel marmo grigio è tutto ornato, lavorato, istoriato [...] qui, su ogni porta e finestra, vedi frutta, fogliami, cariatidi femminili, fiori, animali, stelle, o anche semplicemente proverbi e sentenze scolpite. (p. 534)
  • Dovunque si sente lo spazio. Perciò L'Aquila è gaia. Posta ad oltre 700 metri, il più alto, se non erro, tra i capoluoghi di provincia italiani dopo Enna e Potenza, è una città che respira. Lo sguardo, appena trova un varco, subito va lontano, con l'immediatezza di un corpo sommerso che viene a galla, fino al Gran Sasso ed al Sirente, dominanti la vasta conca. (pp. 557-558)
  • [Sulla Calabria] È certo la più strana delle nostre regioni. Nelle sue vaste plaghe montane talvolta non sembra d'essere nel Mezzogiorno, ma in Svizzera, nell'Alto Adige, nei paesi scandinavi. Da questo Nord immaginario si salta a foreste d'olivi, lungo coste del classico tipo mediterraneo. Vi si incuneano canyons che ricordano gli Stati Uniti, tratti di deserto africano ed angoli in cui gli edifici conservano qualche ricordo di Bisanzio. Si direbbe che qui siano franati insieme i detriti di diversi mondi; che una divinità arbitraria, dopo aver creato i continenti e le stagioni, si sia divertita a romperli per mescolarne i lucenti frantumi. (pp. 559-660)
  • [...] a proposito dei comuni alpini, dirò di sfuggita che uno, Capracotta, è il più alto dei comuni appenninici, e perciò l'inverno è chiuso dalle nevi e dai ghiacci. (p. 575)
  • [Palermo] Il disegno dei monti e degli scogli che circondano il porto, tendenti all'ocra ed al violetto, sulle acque d'un azzurro carico, quale lo si contempla dal Pellegrino, è meno dolce, meno tenero, ma più puro di quello dei monti circondanti Napoli. Come in Grecia, in Sicilia la natura è rimasta ferma a modelli eterni, e hanno mutato invece gli uomini. Il contrasto fa la natura anche più alta e più lontana; l'animo di chi guarda è costretto a una specie di altalena perpetua. (p. 585)
  • L'incontro con l'arte nuragica si ha prima a Cagliari, nel museo Archeologico Nazionale. Qui si può meglio confrontarla con le civiltà estranee. Anche il reparto romano infatti è importante, ed ancora di più di quello punico, con le sue divinità sensuali e crudeli. Ma il reparto nuragico si stacca dal resto e contrassegna meglio la Sardegna. Si ha il caso raro di un museo senza ripetizioni altrove, incorporato in questa terra come la natura e i costumi. (p. 707)
  • La Lucania è una parte del Sud, che soffrì in modo acuto l'isolamento, la lunghissima decadenza, la terra ingrata. [...] Numerosi paesi ricevettero l'acqua e la luce solo dopo il 1945, ed altri solo negli ultimi anni la strada; statistiche recenti indicavano come analfabeta una buona metà della popolazione. Tuttavia la Lucania produce numerosi ingegni, alcuni di grande rilievo. Possiede in abbondanza le virtù che diremo antiche, essendo laboriosa, volitiva, tranquilla, con un profondo sentimento della famiglia. (pp. 737-738)
  • Vi si giunge da plaghe nude, e d'un tratto si vede sorgere una fungaia di alti caseggiati moderni. Potenza cresce a vista d'occhio, presa dalla febbre edilizia. Questo rivestimento di caseggiati [...] circonda il vecchio nucleo della cittadina borbonica, la quale però è tutt'altro che morta. Appena vi si penetra la si ritrova, con la via principale stretta, e con le viuzze disposte in modo da tagliare il vento; Potenza infatti è città di mezza montagna, d'aria fine e ventosa. Le strade ampie e moderne sono in periferia. La parte interna ha la sua grazia, e alcune belle chiese, come la cattedrale, San Francesco, San Michele Arcangelo. (p. 738)
  • Sembra che Matera si affacci a un sottosuolo scoperchiato e abitato, che nell'insieme forma una città maggiore. Una tale adunanza di semicavernicoli, in cui si prolunga senza soluzione di continuità l'esistenza della preistoria, non ha paragone in Europa, ed è tra i paesaggi italiani che generano più stupore. Spaccata da valli rupestri, Matera è una specie di Siena del Sud, più remota nel tempo [...] (p. 747)
  • La Puglia è la nostra regione in cui più si avverte l'Oriente. I baresi ricordano come una favola recente gli anni in cui gli albanesi traversavano il mare carichi di monete d'oro; giacché gli albanesi allora consideravano Bari il proprio mercato e vi scendevano anche a comprare un cappello. (p. 767)
  • Bari smentisce i luoghi comuni sul Mezzogiorno. Commerciale e borghese, ha scarse tradizioni di aristocrazia baronale e terriera, a differenza, per esempio di Lecce e Brindisi. Il tipico barese medio è parco, esatto, dedito ai propri affari, affezionato ai vecchi metodi amministrativi e al risparmio. Lo si vede in bottega, fino a ora tarda, attraverso l'uscio socchiuso, concentrato sui conti. (p. 768)
  • Nell'insieme Bari somiglia non a Milano, come si afferma, ma piuttosto a Genova; e, tra le due città, Bari è d'aspetto più composto e più nordico. Pochi infatti sono i caffè; la vita stradale non ha né l'importanza, né il colore, né l'estro consueto nel Mezzogiorno. La strada di Bari è un passaggio, con funzione soltanto pratica, non un salotto o un palcoscenico; con l'eccezione dei quartieri popolari di Bari vecchia. Il barese, e il pugliese in genere, specie di discendenza sveva, hanno un gusto della pulizia che non si avverte nemmeno nella val Padana. Anche nelle vie più povere gli abitanti non cessano mai di strofinare le case, lucidarle, dare la calce. (pp. 768-769)
  • Rieti è una bella città, viva e di struttura aristocratica. Al Medio Evo della Cattedrale romanica, sebbene rifatta all'interno, del Palazzo dei Papi, che è della fine del Duecento, con i suoi potenti archi gotici, e di alcuni quartieri con viuzze, scalinate esterne, torri mozze, archivolti, si sovrappone l'opera di secoli più tardi, la loggia del Vignola, molti palazzi nobiliari. [...] Come s'è detto, Rieti aduna un nucleo di aristocrazia romana, e ne porta l'impronta. (p. 809)
  • [Ninfa] Quel parco è uno dei luoghi più belli del Lazio; così sperduto e segregato che, pensando alle ville pompose del patriziato romano, sembra di aver cambiato mondo. Si direbbe piuttosto di essere stati portati d'un tratto in Oriente; o in quel giardino d'una novella del Boccaccio, che un negromante fa sorgere in una notte. (p. 817)
  • [...] un viaggio per l'Italia ci porta davanti alla società più mobile, più fluida e più distruttrice d'Europa. [...] Pochi altri paesi sembrano meno legati al loro passato. In nessun altro paese sarebbe permesso assalire come da noi, deturpare città e campagne, secondo gli interessi e i capricci di un giorno. Gli italiani non temano di essere poco «futuristi». Lo sono più degli altri, senza avvedersene; sebbene questo non significhi sempre essere più avanzati. (p. 860)
  • Il nostro paese non è inferiore a nessuno per il numero degli ingegni e per la qualità dell'intelligenza allo sgorgo. Ma quell'intelligenza riesce difficilmente a prendere un valore politico e un prestigio politico, e raramente emette voci che trascinano seco un interesse universale. In nessun altro paese come da noi tutto il campo sembra occupato dagli attivisti d'ogni specie; in nessun altro, quasi per un tacito accordo di affaristi e sociologhi, è così radicata la convinzione che contino solo i problemi di denaro e di cibo. (p. 863)
  • Il maggiore strumento che rimane per farsi valere ai paesi europei è la loro vecchia cultura. La nostra classe politica non mostra d'esserne convinta. [...] Il rischio dell'Italia è di entrare nel numero dei popoli di cultura bassa, giacché è possibile essere intelligenti e di cultura bassa. (p. 865)
  • Sotto un involucro di sorriso e di bonomia, l'Italia è diventata il paese d'Europa più duro da vivere, quello in cui più violenta e più assillante è diventata la lotta per il denaro e per il successo. (p. 872)

La coda di paglia modifica

  • Aborro le coerenze false e la finzione delle conclusioni raggiunte.
  • Amo i morti trasmessi al ricordo poetico, non i cadaveri insepolti.
  • I problemi della cultura passano oggi in primo piano, portandosi a reagire su questo terreno dove l'infiltrazione lenta, servita dalla folla degli intelligenti mediocri, sostituisce l'attacco frontale massiccio.
  • L'autocritica che mi piace è svelta, secca, volta subito pagina.
  • L'uomo riuscito, tra i muri della propria casa, è spesso fallito ed infelice.
  • Lo scrittore deve darsi intero, soltanto a traiettoria conclusa si potrà giudicare in che punto di essa si è messo meglio a fuoco.
  • Ritengo che lo scrittore moderno debba vivere tutto in pubblico, in compagnia dialogata con gli altri, fuori del mito del ritegno.
  • Uno degli uffici dell'arte è convogliare i rimpianti ed i rimorsi.

La gazzetta nera modifica

Incipit modifica

La parte avuta da Giovanni Dorigo in alcuni fatti che accaddero anni fa in Inghilterra si può capire solo se si conoscono certe sue angosce del passato. Ora ha raggiunto la pace della coscienza, e abita in un piccolo appartamento a Milano, dove ha trovato un impiego modesto, rinunciando a certe ambizioni che l'hanno perseguitato negli anni giovanili. Il suo carattere si è anche mutato di molto, si è fatto più affabile e lieto, e certo meno solitario. Egli dice talvolta che un disperato attaccamento alla vita, un egoismo spinto a fondo, sono proprio i difetti che trasformandosi possono meglio degli altri aprirci l'animo a sentimenti d'amore. Ma la breve avventura del suo soggiorno in Inghilterra ha una parte tanto notevole in quella trasformazione, che bisognerà raccontarla, anche se la sua origine è una triste pazzia.

Citazioni modifica

  • «Ora capisco che cosa può dare di bene l'orrore per la rinuncia ed il terrore di morire. Ecco, ora mi dico: vi è un solo modo di non incontrare la morte, quello di morire prima. Io dovrò avere paura, molta paura, e grazie ad essa non rinuncerò a nulla, non romperò nessun vincolo, non ammetterò l'abbandono: mi chiuderò vivo in un mondo assoluto, che sia già l'aldilà. Allora il vizio di viltà e d'egoismo, l'avarizia e l'orgoglio, diverranno una fedeltà non mortale, in cui la morte non potrà avere effetto, perché il suo passaggio sarà un momento qualsiasi della nostra vita assoluta. Questo è il motivo per cui non ti lascio morire allontanandoti da me.»
  • Ogni attimo nuovo di vita è un diritto di più di rifiuto alla morte.
  • Ogni piacere umano trova dentro di sé il suo contrario e la sua distruzione.

Romanzo americano modifica

Incipit modifica

Michele era sbarcato, anni prima, nel porto di New York. Gli venne incontro il nuovo zio e, non conoscendosi ancora, si guardarono bene in faccia. Michele vide un uomo di mezza età, alto, con i capelli grigiastri un po' trascurati, come del resto anche il vestito; le sopracciglia folte, e gli occhi intelligenti bene aperti dietro gli occhiali; la bocca ripiegata in giù; sottile, il naso lungo, de un po' curvo, e la punta del mento un po' alzata verso esso. La lieve tendenza del naso e del mento ad andarsi incontro gli dava qualche anno di più, e ricordava che era nato lombardo; come anche una certa amarezza, che si scorgeva in quella faccia, un'amarezza un po' scorbutica, soprattutto guardinga.
John esaminò il nipote con attenzione maggiore. Essendo un uomo di gran cuore, spronato anche dalla moglie aveva risposto di sì, senza pensarci un attimo, quando gli era stato richiesto di occuparsi di lui.

Citazioni modifica

  • Io detesto i rimorsi, che legano l'uomo al passato. Ritengo giusto rivoltarsi davanti all'ingiustizia ed infatti ci sono i martiri, ma detesto i collezionisti di rivolte, che amano la rivolta in sé: è una tremenda catena. (p. 53)
  • L'anima è quello che si fa, ed i legami sono buoni se vi entrano, cattivi se rimangono contro o fuori, anche se li chiamano santi. (p. 59)
  • Non esistono leggi sante, nel mondo fisico e nel mondo morale; però tutte le leggi, man mano che si scoprono, sono sante. (p. 61)
  • Vi sono uomini il cui carattere è dato in maniera quasi esclusiva dal loro modo di pensare, ma anch'essi esistono in natura, non meno degli attivi e degli avventurieri. (p. 69)
  • L'anima vive per l'opera, solo per l'opera. Senza l'opera non si è anime. (p. 124)
  • Il cielo si divide in tre, la luna vicina, le stelle che bruciano e scappano, ed in mezzo, metà dell'uomo e metà del mondo, i pianeti tranquilli, grandi esseri ancora affettuosi che conciliano l'amore e il sonno. (p. 129)

I burattini e il drago volante modifica

Incipit modifica

Uno dei miei primi ricordi teatrali sono alcuni spettacoli di marionette, in una città di provincia, in una sala che poteva essere una ex-scuderia o una ex-legnaia, dove si recitavano adattamenti dalle fiabe di Carlo Gozzi. Uno dei punti culminanti di non ricordo quale fiaba era l'entrata in scena di un enorme drago volante, il quale navigava nell'aria orizzontale come un pesce nell'acqua, e giunto all'altezza d'un cavaliere spalancava la bocca e l'inghiottiva tutto intero continuando il suo movimento dalla parte opposta.

Citazioni modifica

  • La voga di James Bond è in declino. Il favore del grosso pubblico non è più quello di una volta. L'agente 007 ha rappresentato un momento, per me non privo d'interesse, nella storia del film-racconto d'avventura. Chi farà la storia del genere non lo potrà dimenticare.
  • L'industria culturale è in gran parte un mito, un bersaglio di comodo, com'erano in altri tempi il diavolo e le streghe. Se mai, l'industria e umori del pubblico vanno sulla stessa barca: l'insieme dei prodotti finisce per corrispondere regolarmente a una richiesta genuina.
  • I film di James Bond, al miscuglio abituale di violenza, sesso, tecnologia, aggiungono qualcosa di più, che segnava il momento: un estetismo delle immagini, una punta di dandysmo, una preziosità dell'orrido, in cui motivi tipici fine Ottocento sembravano filtrare tra le macchine avveniristiche e fantascientifiche.
  • Il genere film, o romanzo, di spionaggio sta oggi muovendo verso nuove formule. All'eroe trionfante, invincibile, tutto gesto, senza anima, subentra un'altra formula, la spia meditativa, psicologizzante, che sente la meschinità, la tristezza, la sporcizia del suo mestiere, l'eroe deluso e disgustato.
  • In Si vive solo due volte il regista (Lewis Gilbert) non porta un'invenzione fresca. L'attore, Sean Connery, è invecchiato. I «cattivi» sono scipiti, non prendono rilievo, non fanno nessuna paura. Le scene d'amore si direbbero avvolte nel cellophane

Explicit modifica

Il film [Si vive solo due volte] sta a mezzo tra la favola di magia e il balletto Folies Bergères
Non so che farci; lo confesso; mi divertono la sigaretta che spara e l'elicottero-ippogrifo. Mi piacciono le fiabe, anche se gli elementi che combinano insieme sono sempre gli stessi. Domando scusa, ma non posso cambiarmi, e se James Bond finirà, andrò sempre a vedere quello che prenderà il suo posto.

Incipit di alcune opere modifica

Le furie modifica

Sono a Vicenza, in una camera d'albergo, una sera d'ottobre.
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

Le stelle fredde modifica

Il medico mi chiese:
«Peggio dal destro o dal sinistro?»
«Non saprei fare distinzioni tra un orecchio e l'altro.»

Citazioni su Guido Piovene modifica

Note modifica

  1. Da una recensione del novembre 1938 per il Corriere della Sera del libro Contra Judeos di Telesio Interlandi; citato in Rosetta Loy, La parola ebreo, Giulio Einaudi editore, Torino, 1997, p. 30. ISBN 88-06-14542-8
  2. Da un articolo pubblicato sul Corriere della sera, 1961; da La coda di paglia, Mondadori, 1962.
  3. Da Corriere della Sera, 4 marzo 1942; citato in Se io fossi onesto, cinematografo.it.
  4. Da Corriere della Sera, 31 agosto 1942; citato in Francesco Savio, Ma l'amore no, Sonzogno, Milano, 1975, p. 361.
  5. Dalla prefazione a La gazzetta nera, Mondadori, Milano, 1953.
  6. Da De America
  7. Da Corriere della Sera, 14 marzo 1942; citato in Roberto Chiti e Enrico Lancia, Dizionario del cinema italiano: i film, Gremese Editore, Roma, 2005, p. 158. ISBN 88-8440-351-0

Bibliografia modifica

  • Guido Piovene, De America, Garzanti, Milano, 1961.
  • Guido Piovene, I burattini e il drago volante, La Fiera Letteraria, 19 ottobre 1967
  • Guido Piovene, La coda di paglia, Baldini Castoldi Dalai, 2001.
  • Guido Piovene, La gazzetta nera, Oscar Mondadori, 1968.
  • Guido Piovene, Le furie, 1958.
  • Guido Piovene, Le stelle fredde, Mondadori, 1976.
  • Guido Piovene, Romanzo americano, CDE, 1980.
  • Guido Piovene, Viaggio in Italia, Baldini & Castoldi, Milano, 2013. ISBN 978-88-6852-019-9

Filmografia modifica

Altri progetti modifica