Cucina napoletana
tradizione culinaria di Napoli
Citazioni sulla cucina napoletana.
- Abbiamo detto che la cucina napoletana è l'arte di una regale plebe. È un'arte che è arrivata alla reggia. Sì, certo, ma risalendo dal popolo, nata, inventata dalla miseria. Per intendere questo spirito, che rimane evidente, anche nelle sue manifestazioni più complesse e più impegnative, bisogna studiare analiticamente le sue forme essenziali.
Non per audacia paradossale abbiamo detto che l'arte gastronomica napoletana nasce dalla plebe e dalla miseria. (Alberto Consiglio) - I gelati napoletani, «les glaces à la napolitaine», acquistarono reputazione e diffusione mondiale, sicché qualche dotto tedesco non dubiterebbe d'includerli (come è stato fatto per altre cose simili, per esempio la birra nei rispetti dell'influsso germanico) tra i maggiori Kultureinflüsse, esercitati da Napoli. (Benedetto Croce)
- La cucina di Napoli. E dopo aver mangiato un piatto di spaghetti con le vongole (e aver bevuto alquanto vino di Capri e d'Ischia) che Tristan Corbière, il più simpatico dei maudits di Francia, scrisse il "Sonetto a Napoli | all'sole, all'luna, | all'sabato, all'canonico | e tutti quanti con Pulcinella".
Il n'est pas de samedi | qui n'ait soleil à midi; | femme ou fille soleillant, | qui n'ait midi sans amant!... || Lune, Bouc, Curé cafard | qui n'ait tricorne cornard; | – corne au front et corde au seuil | préserve au mauvais oeil. || ...L'ombilic du jour filant | son macaroni brulant, | avec la tarantela: || Lucia, Maz'Aniello, Santo Pia, Diavolo, | – CON PULCINELLA –[1]
Mangia, lunghi filanti, serpeggianti, gli spaghetti, marezzati dai molluschi gonfi e teneri, ancora saporosi di mare, delle vongole veraci; bevi quei vini; te lo trovi addosso lo spirito maudit. Maledetto? Benedetto, mille volte benedetto da che ti riempie di sole, di desiderio di cantare anche tu con Pulcinella. (Luigi Veronelli) - La nostra cucina risente, in parte, per ragioni di storia, di quella degli antichi greci, degli spagnuoli e dei francesi. Infatti già fra le ricette trascritte nel De re coquinaria di Apicio troviamo la salsa all'aceto (scapece) e di «verzure» (verde) tramandate poi dal Boccaccio, dal marchese Giovan Battista del Tufo, dalla Lucerna de' corteggiani (1765), dal Cuoco Galante (1765) e dal Cibo Pitagorico di Vincenzo Corrado. [...]
Abbiamo dei piatti nella nostra cucina che indubbiamente negli altri posti del mondo non solo non si mangiano, ma non se ne ha neanche l'idea. Ma «vuie veramente pazziate?». Vi sembrerebbe mai possibile, gustare a Guastalla o a Cefalù o a Chiavari, o che so io! a Rovigo, una minestra maritata o un soffritto, due peperoni imbottiti, una parmigiana di melenzane, o zucchine alla scapece? senza parlare del pesce, che oggi congelato o surgelato si mangia ovunque male, ma un ragù o una genovese, che a Genova non conoscono, o «'na pasta e cocozza» o «'na pasta e fagioli» si mangiano solo qui, da noi, purtroppo oggi, per ragioni non so se di spesa o di pazienza, sempre di meno e solo nelle nostre case! (Vittorio Gleijeses) - Lo stile dominante della cucina napoletana è, viceversa, il naturismo. Nella ricerca un po' macchinosa della mano bolognese che elabora, compone, inventa sapori, noi riconosciamo le volute e i cartocci dello stile barocco. La mano napoletana si sforza, invece, di mantenere ben distinti i sapori naturali, per esaltarne la freschezza e la genuinità. (Alberto Consiglio)
- Può darsi che la cucina napoletana, come un gastronomo mi disse, sia cucina di città povera; una cucina primordiale, nata dai tre prodotti elementari della terra e delle acque, il grano, gli ortaggi e il pesce; giocata sulle variazioni di tre cibi, la pasta, il pesce e l'antichissima pizza. Molti forestieri non amano la cucina di Napoli perché, condotti da diverse abitudini, non la scoprono mai. Ma, quand'è buona, essa contiene, nel tempo stesso, l'antichità e la natura; porta alla comunione con la natura e con un passato remoto; è semplice e mitologica. (Guido Piovene)
- Questa nostra cucina è povera, è vero, ma è ad un tempo ghiottissima. Essa è semplice ma geniale, ed il rosso fiammante della salsa di pomodoro ne è il suo colore di fondo. (Salvatore Gaetani)
- Se dovessi sottolineare la cucina di Napoli, anzi sintetizzarla con un solo aggerrivo, unico, esclusivo, totale: solare esclamerei. Raggi di sole i serpeggianti vermicelli, raggi di sole i fili fragili della mozzarella (di bufala, non delle vaccheplastiche lombarde) nel sartù; raggi di sole i tentacoli dei purpietielli 'e scoglie[2] ravvivati, ce ne fosse bisogno, da aglio e pepacchio (peperoncino). Solare tutta questa cucina: cecenielli e peperoni gravidi, minestre maritate e cianfotta, strangolaprièvete[3] e maruzze. E solare, imitazione del sole, sole fatto piatto per le tue illuminazioni notturne: la pizza. (Luigi Veronelli)
- Se il cavallo rampante è l'araldico emblema della nobile generosa e lirica sfrenatezza sentimentale dei napoletani, il domenicale "odor di ragù" è il vaghissimo simbolo della più alta mitologia culinaria. L'odor di ragù festeggia le felici nozze fra il pomodoro, distrutto nel tegame con la cipolla soffritta e il bel "filetto" di carne di manzo, lievemente lardellato, e i maccheroni sui quali pioverà la bianca cascata di pecorino piccante o del parmigiano robusto. Ogni casa napoletana lo esala, quest'odore che si leva come una bandiera, non appena da una comune salsa rossa per condirvi alla meno peggio i maccheroni ma da una raffinatissima, lentissima, perfetta invenzione gastronomica; e a sorvegliare il tegame di creta che su esiguo fuoco sobolle e crepita è chiamato di solito il membro più anziano della famiglia, dalla lunga esperienza e dalla perfettissima calma, chi sa attendere ore e ore che la carne, ben cotta e benissimo insaporita, ceda al suo sugo ogni sua più lieve e segreta fragranza, rosolandosi, braciandosi, cuocendosi fino a diventar tenerissima mentre la salsa si raddensa, si scurisce, perde ogni asprezza e ogni crudezza, si fa ricca, vellutata, morbida, pingue: tale insomma da poter sovranamente condire i maccheroni che ora, appena tolti dall’acqua dove hanno acquistato la loro elastica mollezza, di quel sugo si bagnano, s’intridono, si nutrono e di quel sublime odore - l’odor delle mattinate domenicali di Napoli! – si vestono. Una fogliolina di basilico, tolta appena dal vaso sul balcone, su quel rosso fumante piatto di ragù, sui grossi ziti, sui più esili perciatielli, sui bocconcini soffici che sono gli strozzapreti di quaggiù (non gnocchi, se pure somigliano, ma più lievi e insieme più consistenti, con più semola).
Son trecento anni, saranno trecento secoli che l'odor di ragù offre e offrirà il benvenuto odoroso di Napoli all'appetito di ogni forestiero. (Mario Stefanile)
Note
modifica- ↑ Non c'è sabato | che non ci sia il sole a mezzogiorno; | donna o ragazza soleggiante, | che non ha fatto mezzogiorno senza amante!... || Luna, Caprone, Curato scarafaggio | che un [(non)] abbia tricorno cornuto! | – Corna in fronte e corna all'uscio | preservano dal malocchio. - || L'Ombelico del giorno filante | i suoi maccheroni brucianti | con la tarantella: || Lucia, Masaniello, | Santa-Pia, Diavolo, | – CON PULCINELLA – | Mergellina-Venerdì 15 aprile. (SONETTO A NAPOLI | AL SOLE ALL'UNA | AL SABATO AL CANONICO | E TUTTI QUANTI | CON PULCINELLA), in Tristan Corbière, Gli Amori Gialli, poesie, vol. 2, cura e traduzione di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo, Acquaviva, 2006, pp. 232-233
- ↑ Polipetti di scoglio.
- ↑ Strangulaprievete, strangolapreti: gnocchi.
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