Nikita Sergeevič Chruščёv

politico e militare sovietico (1894-1971)
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Nikita Sergeevič Chruščёv (1894 – 1971), politico e militare sovietico.

Chruščёv nel 1963

Citazioni di Nikita Chruščёv

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  • [Su Jawaharlal Nehru] Non soltanto il popolo indiano perde in lui un provato dirigente della lotta per l'indipendenza dei popoli, lo piangono tutti gli uomini progressisti, rattristati della scomparsa di una personalità che fino alle ultime ore della sua vita ha lavorato per i più alti ideali umani, per la causa della pace e del progresso.[1]
  • Gli uomini politici sono uguali dappertutto. Promettono di costruire ponti anche dove non ci sono fiumi. (dalla conferenza stampa tenuta a Glen Cove (USA) nell'ottobre 1960[2])
  • In contrasto con il periodo prebellico, la maggior parte dei paesi asiatici agiscono oggi nell'arena mondiale come Stati indipendenti o Stati che sostengono risolutamente il loro diritto di svolgere una politica estera indipendente. Le relazioni internazionali si sono estese al di là dei confini delle relazioni fra paesi abitati soprattutto da popolazioni di razza bianca incomincio ad acquistare il loro carattere di relazioni effettivamente globali.[3]
  • La guerra non è fatalmente inevitabile. Oggi esistono poderose forze sociali e politiche che hanno mezzi formidabili per impedire agli imperialisti di scatenare una guerra e, se effettivamente essi cercassero di scatenarne una, anche per dare una sonora lezione agli aggressori e frustrare i loro piani avventuristici.[4]
  • Nei suoi ultimi anni di vita Stalin era psicopatico, PSI-CO-PA-TI-CO, te lo dico io. Un pazzo sul trono. Riesci ad immaginarlo? [...] E pensi fosse facile? I nostri nervi erano tesi allo spasimo, e dovevamo bere vodka tutto il tempo. E dovevamo essere sempre sul chi vive.[5]
  • [Parlando di Stalin] Non possiamo dare in pasto al pubblico questo problema, né, soprattutto, lasciarlo alla stampa. È per questo motivo che ne parliamo qui, a porte chiuse. Non possiamo superare certi limiti. Non dobbiamo fornire munizioni e nemico, non dobbiamo lavare i nostri panni sporchi sotto i suoi occhi.[6]
  • Sapete benissimo che potremmo radere al suolo l'Inghilterra con sette bombe atomiche e la Turchia con dodici.[7]

Da Sul culto della personalità e le sue conseguenze

25 febbraio 1956, da Il rapporto segreto di Kruscev, riportato in Kruscev ricorda, a cura di Strobe Talbott, traduzione a cura di P. Marcogliano, M. Orsi e L. Vezzoli, Sugar editore, 1970

  • Ci preoccupiamo [...] di come si sia venuto gradualmente sviluppando il culto della persona di Stalin, quel culto che in un certo dato momento è divenuto la fonte di tutta una serie di gravissime perversioni dei princìpi del partito, della democrazia di partito e della legalità rivoluzionaria.
  • Lenin non impose mai con la forza la sua opinione ai collaboratori. Egli cercava di convincerli e spiegava pazientemente le proprie opinioni agli altri.
  • Stalin non operava mediante una chiara spiegazione e una paziente collaborazione con gli altri, ma imponendo le proprie vedute ed esigendo un'assoluta sottomissione ai suoi voleri. Chiunque si opponesse a tali vedute o cercasse di far valere il proprio punto di vista e la validità della propria posizione era destinato ad essere eliminato dagli organi collegiali direttivi e, di conseguenza, ad essere annientato moralmente e fisicamente.
  • Fu Stalin a formulare il concetto di «nemico del popolo». Questo termine rese automaticamente superfluo che gli errori ideologici di uno o più uomini implicati in una controversia venissero provati. Questo termine rese possibile l'uso della repressione più crudele, in violazione di tutte le norme della legalità rivoluzionaria, contro chiunque che in qualsiasi modo fosse in disaccordo con Stalin, contro coloro che fossero appena sospettati di intenzioni ostili, contro coloro che non godessero di buona fama.
  • Le caratteristiche di Lenin - un paziente lavoro sugli individui, un tenace e faticoso sforzo per educarli, la capacità di indurre gli altri a seguirlo senza ricorrere alla coercizione, ma piuttosto attraverso l'influenza ideologica esercitata su di essi da tutta la collettività - rimasero sempre del tutto estranee a Stalin. Questi ripudiò il metodo leninista della persuasione e dell'educazione, abbandonò il metodo della lotta ideologica sostituendolo con quello della violenza statale, della repressione in massa e del terrore. Egli agì, su scala sempre più vasta e con sempre maggiore arbitrio, attraverso gli organi repressivi, violando spesso, nello stesso tempo, tutte le norme esistenti della morale e della legge sovietica.
  • Stalin era un uomo assai diffidente, morbosamente sospettoso; lo sappiamo per l'esperienza fatta lavorando con lui. Gli capitava di guardare qualcuno e dirgli: «Perché i tuoi occhi sono oggi così sfuggenti?» ; oppure: «Perché ti agiti tanto oggi ed eviti di guardarmi direttamente negli occhi?» Il morboso sospetto creava in lui una diffidenza verso tutti in genere, anche verso eminenti lavoratori del partito che egli conosceva da anni. Ovunque e in tutto egli vedeva «nemici», «doppiogiochisti» e «spie».
  • Neppure gli zar crearono dei premi intitolati al loro nome.

Dal colloquio con Norman Cousins

13 dicembre 1962, da Giulio Andreotti, L'URSS vista da vicino, Rizzoli, Milano, 1988, pp. 310-319

  • Il partito è il cervello e l'occhio della nazione. Il partito deve vedere, deve capire, e deve fare in modo che anche gli altri capiscano, che tutta la nazione capisca. Ma il partito è divenuto una burocrazia pesante. È cresciuta, è un enorme burocrazia che interferisce con la produzione.
  • Dobbiamo avere a disposizione più alimenti. Per questo dobbiamo diminuire gli armamenti.
  • Lenin perdonava ai nemici, Stalin ammazzava gli amici.
  • [Su Papa Giovanni XXIII] Il Papa e io possiamo essere divergenti su molte questioni, ma siamo uniti nel desiderio della pace.
  • In generale gli americani dicono che possono distruggere tutti i russi. Lo sappiamo; possono ucciderne molti, e forse pochi sopravvivrebbero. Anche noi possiamo fare questo.
  • Io non cerco di convertire il Papa, e il Papa non cerca di convertire me!
  • Devo riconoscere che ho un passato religioso. Perfino Stalin era stato educato in seminario. Adesso non siamo più cristiani perché abbiamo combattuto contro un regime nel quale la religione era al servizio dello Stato. La cosa contro la quale abbiamo reagito non era la religione come tale, ma una situazione specifica nella quale c'era molta politica e altre cose; una situazione molto complicata. La Chiesa non era veramente una Chiesa e i preti non erano uomini di Dio ma gendarmi dello Zar. Adesso sembra che la vera separazione tra Stato e Chiesa sia stata capita. Non abbiamo più difficolta con la Chiesa e possiamo perfino proteggerla, se si tiene fuori dalla politica. Adesso rispettiamo la Chiesa e abbiamo un ufficio speciale per le relazioni con la Chiesa.
  • Io credo che il Papa e io abbiamo caratteristiche comuni perché ambedue proveniamo da origini umili, abbiamo lavorato, nella gioventù, la terra, e sappiamo che cosa è lottare per ricavare dalla terra i frutti necessari per vivere.
  • Noi non siamo contro la religione, contro le chiese, contro gli ebrei, quando questi non fanno politica e non utilizzano la religione come strumento di politica. Se agisco qualche volta contro un ebreo non è perché è ebreo ma perché ha commesso dei crimini.

Kruscev ricorda

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Incipit

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Adesso vivo come un eremita nei sobborghi di Mosca. In pratica non posso comunicare con altre persone, se non con quelli che mi tengono lontano gli altri e tengono gli altri lontano da me. Debbo supporre che quelli che mi circondano impieghino la maggior parte del loro tempo a tener lontano gli altri da me.
Riandando indietro negli anni, ho dato rilievo ai casi più notevoli in cui il regime di Stalin ha danneggiato l'edificazione della nostra società sovietica. Non aveva molto senso insistere sugli aspetti positivi del regime di Stalin, dal momento che ciò è già stato ampiamente trattato in riunioni di governo, dalla stampa, dalla nostra letteratura. Si può perfino dire che l'immagine di Stalin è stata ripulita ed abbellita. In effetti se tutto quanto di positivo è stato detto su Stalin venisse diminuito dell'ottanta per cento, ne avanzerebbe abbastanza di che lodare un migliaio di grandi uomini. D'altra parte la vera storia del nostro Stato sovietico e la vittoria del partito comunista sono testimonianze sufficienti delle nostre virtù e delle nostre conquiste. Se si considera il cammino percorso in questi cinquant'anni, si può vedere da dove siamo partiti e quanto lontano siamo giunti. Abbiamo stupito persino i nostri nemici.

Citazioni

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  • Naturalmente fra i comunisti vi sono ancora persone di principio, ma vi sono anche molti individui privi di principi, funzionari leccapiedi e meschini attivisti. Al giorno d'oggi la tessera del partito non rappresenta per il suo possessore nient'altro che la speranza di assicurarsi una comoda nicchia nella nostra società socialista. Gente astuta di questi tempi riesce ad ottenere da questa nostra società socialista molto di più di quanto non dia. (p. 37)
  • In pratica la Nuova Politica Economica significava la restaurazione della proprietà privata e la rinascita della classe media, inclusi i kulaki. L'elemento commerciale venne rimesso saldamente in piedi nella nostra società. Naturalmente tutto questo rappresentava, in una certa misura, una ritirata sul fronte ideologico, ma ci aiutò a riprenderci dagli effetti della guerra civile. Non appena la NEP fu lanciata, presero a diminuire il disordine e la carestia, le città tornarono alla vita, i produttori riapparvero sui banchi dei mercati e i prezzi calarono. (p. 40)
  • Nadezhda Sergeyevna si preoccupava di non abusare del suo legame con Stalin, tanto che solo poche persone sapevano che era sua moglie. Era Allelujeva e basta. [...] Non sfruttò mai i privilegi che le derivavano dall'essere la moglie di Stalin; non si spostava mai in macchina dall'Accademia al Cremlino, ma andava e veniva sempre in tram. Niente la distingueva dalla massa degli studenti. Era molto saggio da parte sua non mostrarsi così vicina a colui che sia i suoi amici che i suoi nemici nel mondo politico consideravano un grande uomo. (p. 63)
  • Spesso mi sono chiesto come mai io sia stato risparmiato. Il fatto che io fossi sinceramente devoto al partito era fuori dubbio. Ma anche i compagni che perirono erano devoti al partito ed essi pure avevano partecipato alla lotta per la linea generale di Stalin. Perché ero sfuggito al destino che aveva colpito gli altri? Penso che parte della risposta vada ricercata nel fatto che i rapporti di Nadya contribuirono a determinare l'atteggiamento di Stalin verso di me. Fu il mio biglietto della lotteria. (p. 63)
  • Penso che l'atteggiamento di Stalin nei confronti della Krupskaya fosse ancora un altro esempio della sua mancanza di rispetto nei riguardi di Lenin. Nulla era sacro per Stalin, neppure il nome di Lenin. Stalin non si permise mai neanche un sussurro contro la Krupskaya in pubblico, ma nella sua cerchia ristretta si lasciava andare a ogni genere di oltraggi contro di lei. (p. 66)
  • [Su Lazar' Moiseevič Kaganovič] Era soltanto un lacché! Stalin non aveva che da grattargli dietro le orecchie e Kaganovic correva ringhiando al partito. (p. 66)
  • Nella sua immoralità Kaganovic era insuperabile. Stalin continuava a presentarcelo come esempio di uomo «risoluto nella sua coscienza di classe» e «implacabile verso i nemici di classe». Più tardi scoprimmo fin troppo bene quanto risoluto e implacabile Kaganovic fosse realmente. Era il tipo d'uomo che non disse una sola parola a favore del suo stesso fratello, Mikail Kaganovic, accusato d'essere una spia tedesca, pagata da Hitler per formare un governo fantoccio in Russia dopo la conquista di Mosca. Cosa di più assurdo? (p. 67)
  • Molotov fu il braccio destro di Stalin nella lotta contro le opposizioni e fu chiamato dai suoi avversari «il randello di Stalin». Stalin usava Molotov per estromettere ogni membro del Politburo che gli si opponesse. (p. 73)
  • Ho sempre avuto una grande stima per Anastas Ivanovic Mikoyan. Tutti abbiamo i nostri difetti e Anastas Ivanovic certamente ha i suoi, ma è un compagno onesto, intelligente e capace che ha dato un notevole contributo al partito e alla nazione. (p. 88)
  • [Sulle Grandi purghe] Il nostro partito porta ancora i segni delle dannose conseguenze delle purghe. L'atteggiamento inculcato da Stalin nella mente di numerosi membri del partito ha lasciato una specie di incrostazione nella coscienza di molte persone, specialmente di persone ottuse e dalle vedute limitate. Ancora oggi si possono trovare degli individui che ritengono che i metodi di Stalin fossero i soli capaci di portare all'edificazione del socialismo e alla realizzazione degli scopi prefissi nel nostro paese. Per quanto mi riguarda, affermare che si può far lavorare la gente solo se qualcuno la sovrasta facendo schioccare una frusta sulla sua testa riflette una mentalità affatto primitiva e servile. (p. 90)
  • In quei giorni era abbastanza facile liberarsi di qualcuno che non vi andasse a genio. Bastava presentare un rapporto in cui lo si denunciava come nemico del popolo; l'organizzazione locale del partito avrebbe dato un'occhiata al vostro rapporto, si sarebbe gonfiata il petto in un respiro di giusta indignazione e avrebbe preso i necessari provvedimenti. (p. 96)
  • [Sull'Holodomor] Forse non sapremo mai quante persone sono morte come diretta conseguenza della collettivizzazione o come indiretta conseguenza dell'abitudine di Stalin di far ricadere la colpa dei propri insuccessi su altri. Ma due cose sono certe: primo, che il modo infame con cui Stalin ha condotto la collettivizzazione non ci ha portato altro che miseria e brutalità; secondo, che a quei tempi era Stalin a giocare un ruolo decisivo nel governo del nostro paese. (p. 89)
  • Nonostante il suo temperamento esplosivo, Sergo era un uomo cavalleresco, molto amato per la sua accessibilità, la sua umanità e il suo senso di giustizia. Sergo non approvò mai gli eccidi che stavano avvenendo nel partito. (p. 97)
  • [Su Michail Nikolaevič Tuchačevskij] Aveva una profonda conoscenza di ogni innovazione in campo militare e un'alta considerazione delle stesse. Sono convinto che, se non fosse stato fucilato, il nostro esercito sarebbe stato assai meglio guidato e meglio equipaggiato quando Hitler ci attaccò. (p. 99)
  • [Su Lavrentij Pavlovič Berija] Da principio mi riuscì simpatico. Per un bel po' facemmo chiacchierate amichevoli e scherzammo perfino insieme, ma gradualmente riuscii a mettere bene a fuoco i suoi connotati politici. Mi colpì la sua ipocrisia sinistra, bifronte, calcolatrice. (p. 111)
  • [Su Lavrentij Pavlovič Berija] La sua arroganza e la sua perfidia crescevano in diretta proporzione col crescere continuo della sua potenza. (p. 114)
  • [Su Georgij Maksimilianovič Malenkov] Essenzialmente egli era il tipico impiegato amministrativo imbrattacarte. Questo tipo di gente può diventare molto pericolosa se viene investita di un determinato potere e può bloccare e uccidere ogni essere vivente che oltrepassi i limiti burocraticamente assegnatigli. (p. 267)
  • Malenkov, nella sua veste di segretario del Comitato centrale, aveva accesso a tutte le informazioni destinate a Stalin. Egli poteva quindi manipolare i fatti in modo da suscitare il sospetto e l'ira di Stalin. (pp. 269-270)
  • Anche se un uomo aveva sbagliato, Lenin si sforzava di aiutarlo a ritrovare le giuste posizioni: prima neutralizzando le sue componenti negative e reinserendolo poi nella lotta attiva per l'edificazione del nuovo sistema socialista. Ma la lezione di Lenin fu dimenticata: entrati nell'epoca stalinista, ci lasciammo tutti terrorizzare dalla politica irrazionale di un uomo malato. (pp. 301-302)
  • Il temperamento di Stalin era brutale e l'indole dura; ma la sua brutalità non sempre implicava cattiva disposizione verso quelli che trattava così rudemente. La sua era una sorta di brutalità innata. Era rozzo e prepotente con chiunque. (p. 305)
  • [Su Vjačeslav Michajlovič Molotov] Era, tra noi, il ballerino più disinvolto. Era cresciuto in una famiglia intellettuale e quand'era studente universitario andava a molte feste; sapeva ballare come sapevano farlo gli studenti. Amava la musica e sapeva perfino suonare il violino. Nell'insieme possedeva il senso della musica. Io non me ne intendevo molto, ed in realtà non sono un buon giudice, ma ai miei occhi Molotov era un ballerino di prima classe. (p. 306)
  • [Su Svetlana Allilueva] Le ero molto affezionato e mi sentivo quasi un padre nei suoi confronti. Provavo per lei quel senso di umana pietà, che potrei sentire per un'orfana. Stalin era brutale e non si prendeva cura di lei, non aveva mai mostrato affetto paterno. Quando non era decisamente prepotente con lei, era freddo e distante. (p. 308)
  • Tutte le creature hanno bisogno di affetto, e un essere umano, che ne è privo, ne risente nel carattere. È quello che accadde a Svetlanka. (p. 309)
  • Il pensiero di Svetlanka mi fa venire le lacrime agli occhi. Fin dall'inizio la sua vita fu molto difficile e le cose per lei non furono mai semplici. Naturalmente questo non giustifica quanto ha fatto, eppure se penso a lei, provo più tristezza che rabbia.
    Non ho letto il suo libro, ma ne ho sentiti leggere alcuni brani alla radio. L'Occidente trasmette i passi che gli fanno comodo. Forse le parti che ho ascoltato non rispecchiavano l'intero libero, ma quanto veniva trasmesso suonava, a dir poco, strano. Sembrava scritto sotto l'effetto di un qualche sconvolgimento mentale o emotivo. Per esempio, nel suo libro Svetlanka scrive che era solita farsi il segno della croce e che era molto religiosa. Non credo sia mai stata davvero religiosa. C'è qualcosa di strano e perfino di malato nel suo libro. Non riesco a capacitarmene. Come può un cittadino sovietico, cresciuto nella nostra società, scrivere roba simile? (p. 311)
  • La Georgia è l'angolo di paradiso nell'Unione Sovietica. Ha un clima caldo, ideale per la coltivazione degli agrumi e dei vignetti. Anche da un punto di vista umano vi sono numerose attrattive. Naturalmente è difficile per un georgiano di scarse risorse abbandonare la sua terra, e molte sono le tentazioni per i profittatori. I vizi così diffusi tra gli elementi instabili della Georgia sarebbero presenti in qualsiasi altro gruppo etnico che vivesse nelle stesse condizioni. Ho perfino sentito le mie guardie lamentarsi: «I georgiani sono dappertutto, e dovunque si vada li si trova a fare i profittatori». A ciò rispondo sempre che se i russi vivessero in Georgia farebbero esattamente lo stesso. (pp. 323-324)
  • Tutti noi intorno a Stalin vivevamo in un clima di provvisorietà. Fintanto ch'egli nutriva un certo grado di fiducia in noi ci lasciava vivere e lavorare. Ma, nel momento in cui avesse cessato di aver fiducia egli avrebbe cominciato a spiarci fin quando la coppa della sua sfiducia sarebbe traboccata. Allora sarebbe stato il nostro turno di seguire quelli che non erano più nel novero dei vivi. (p. 325)
  • Kaganovic era meno attraente di Voroscilov, ma come capacità di lavoro era un vero turbine, lavorava al di là del possibile. Si trattava senza riguardi e non si concesse mai un momento di riposo. Tutto il suo tempo era dedicato al partito. Era sì un arrampicatore, ma questo è un altro discorso. (p. 327)
  • Non appena Stalin si era ammalato, Beria cominciò a vomitare odio contro di lui, a schernirlo alla presenza di tutti. Starlo a sentire era semplicemente intollerabile. Ma, cosa abbastanza interessante, appena Stalin mostrò di aver ripreso conoscenza, facendo così pensare a una possibile guarnigione, Beria si gettò in ginocchio accanto a lui, gli prese la mano e cominciò a baciarla. Quando Stalin perse di nuovo conoscenza e chiuse gli occhi, Beria si alzò in piedi sputando. Ecco il vero Beria, traditore anche verso Stalin, che tutti pensavamo ammirasse e perfino adorasse, e su cui ora sputava. (p. 338)
  • Avevo cominciato a considerarlo uno che si era scavato la sua via nel partito come un verme. [...] Beria era un lupo travestito d'agnello, che si era conquistato astutamente la fiducia di Stalin ed era riuscito ad assicurarsi, con l'inganno e il tradimento, un'elevata posizione. (p. 339)
  • Sapevo che Malenkov non aveva mai avuto una posizione o un ruolo autonomi e non era altro che un fattorino. Stalin nelle sue conversazioni con la cerchia intima, soleva dire: «Questo Malenkov è un buon impiegato. Può trascrivere un ordine rapidamente, gli si possono affidare delle responsabilità, ma non è capace di iniziative personali.» (pp. 344-345)
  • [Su Lavrentij Pavlovič Berija] Già da molto tempo avrei dovuto sapere che egli non era comunista. Lo consideravo uno sleale opportunista che non si sarebbe fermato di fronte a nulla pur di ottenere ciò che voleva. Dal punto di vista ideologico la sua non era una posizione da comunista. Era un macellaio ed un assassino. (p. 345)
  • Consideravo Molotov un esperto di politica internazionale. Spesso trattava in mia presenza problemi di politica estera, dimostrando sempre competenza, logica e vigore. (p. 328)
  • Difficilmente Stalin si sarebbe affidato a lui. Kaganovic era talmene accondiscendente, che avrebbe tagliato la gola anche a suo padre se Stalin glielo avesse ordinato in nome della causa, cioè della causa stalinista. Ma Stalin non ebbe mai bisogno di stringere le briglie a Kaganovic; egli è sempre stato un detestabile adulatore, pronto a denunciare nemici e a far arrestare un sacco di gente a destra e a sinistra. (p. 368)
  • [Su Harry S. Truman] Non aveva neppure un briciolo di capacità politica o di apertura mentale ed aveva fin dal primo momento assunto un atteggiamento ostile ed aggressivo nei confronti dell'Unione Sovietica. Non riesco a credere che qualcuno abbia potuto considerare Truman degno della vice presidenza e, meno ancora, della presidenza. Il mondo intero ha saputo attraverso i giornali ch'egli schiaffeggiò addirittura una giornalista perché s'era permesso di giudicare sua figlia una cantante di poco valore. Basta un incidente del genere per darci la misura delle capacità di Truman come uomo di stato, per non parlare di quanto fosse inadatto a ricoprire una carica importante come quella di presidente degli Stati Uniti. (p. 385)
  • [Su Antonín Novotný] Penso tutt'ora ch'egli sia un buon comunista, dedito alla causa del marxismo-leninismo ed alla classe lavoratrice. Su questo non ho mai avuto alcun dubbio. Quando lo vidi in azione, mi resi conto che si trattava d'un uomo la cui intera vita era votata la partito comunista cecoslovacco. In breve, stabilii con lui ottime relazioni. (p. 387)
  • [Sulla guerra di Corea] Voglio sottolineare che l'idea della guerra non fu di Stalin, ma di Kim che ne fu appunto il promotore. Stalin certamente non tentò di dissuaderlo. A mio avviso nessun vero comunista avrebbe tentato di distogliere Kim Il-sung dal suo intento di liberare la Corea del Sud da Sygman Rhee e dall'influenza reazionaria dell'America. Fare una cosa del genere sarebbe stato contraddire i principi del mondo comunista. (p. 392)
  • Credo che nessuno possa offendersi se dico che il più formidabile movimento di resistenza contro gli occupanti nazisti in un paese europeo nella prima fase della guerra fu il movimento partigiano organizzato su scala nazionale dal partito comunista jugoslavo. Ci furono grandi movimenti di resistenza in Francia, in Italia e in altri paesi europei, ma quello jugoslavo fu il primo in ordine di tempo e quello che più d'ogni altro assunse carattere di massa. (p. 399)
  • Tito mi piacque. Aveva un carattere vivace ed era un uomo semplice. Anche Kardelj mi riuscì simpatico. Quando conobbi Gilas, mi impressionò il suo umorismo svelto e sottile. Mi sembrò un uomo degno di rispetto. (p. 399)
  • Naturalmente la Jugoslavia ha il vantaggio di possedere bellissime risorse naturali. È uno dei più belli fra i paesi socialisti europei. Credevo che le nostre riviere, come quella della Crimea e quella caucasica, offrissero paesaggi fra i più meravigliosi del mondo, e certamente esse sono di una bellezza da togliere il fiato. Ma quando vidi Dubrovnik e altre località turistiche jugoslave rimasi umiliato. Mi resi conto che il nostro non era l'unico paese socialista che potesse vantare tali bellezze naturali. Forse la Jugoslavia, per il clima, i paesaggi costieri e la ricchezza di monumenti storici, supera anche le attrattive del nostro paese. (p. 414)
  • [Su Iosif Stalin] Egli attribuiva un'importanza esagerata alla potenza militare, tanto per dirne una, e di conseguenza aveva una fiducia eccessiva nelle nostre forze armate. Viveva nel terrore di un attacco nemico. Per lui politica estera significava tenere in allarme per ventiquattr'ore su ventiquattro i reparti antiaerei intorno a Mosca. (p. 419)
  • [Su Dwight D. Eisenhower] Era un brav'uomo, ma non molto energico. C'era qualcosa di molle nel suo carattere. Come mi accorsi a Ginevra, si affidava troppo ai suoi consiglieri. Ebbi sempre la chiara impressione che fare il presidente degli Stati Uniti fosse per lui un gran peso. (p. 422)
  • [Su Jawaharlal Nehru] Sorrideva sempre e il suo volto aveva un'espressione estremamente cortese. (p. 423)
  • Dulles dichiarava spesso che l'obiettivo degli Stati Uniti era di ricacciare indietro il socialismo in Europa sino ai confini dell'Unione Sovietica, e sembrava ossessionato dall'idea dell'accerchiamento. Estese l'embargo americano contro l'Unione Sovietica, includendovi perfino gli scambi culturali. Nemmeno ai turisti e ai giocatori di scacchi sovietici era permesso di visitare gli Stati Uniti. (p. 423)
  • Quando Dulles morì, dissi ai miei amici che sebbene fosse stato un uomo che spirava da tutti i pori odio per il comunismo ed era ostile al progresso, non aveva mai oltrepassato quell'orlo della guerra di cui parlava sempre nei suoi discorsi, e per questo solo motivo dovevamo dolerci della sua morte. (p. 424)
  • [Su Nelson Rockefeller] Per quanto potevo dire, non c'era in lui niente di straordinario. Vestiva abbastanza democraticamente ed era il tipo d'uomo che non faceva una grande impressione, né positiva né negativa. (p. 425)
  • [Su Elisabetta II del Regno Unito] La regina mi fece una grande impressione. Aveva una voce gentile, calma. Era assolutamente priva di pretese e di quell'alterigia che uno si aspetta di trovare in un monarca. Poteva essere la regina d'Inghilterra, ma ai nostri occhi era prima di tutto e soprattutto la moglie di suo marito e la madre dei suoi figli. (p. 434)
  • [Sulla rivoluzione ungherese del 1956] Ricorrendo all'inganno e all'intimidazione, Imre Nagy trascinò il popolo alla rivolta e a una guerra fratricida. Fece parlare alla radio cittadini autorevoli, costringendoli a dichiararsi favorevoli alla sua guida e a denunciare il regime di Rakosi. Alcuni cedettero alle richieste di Nagy per paura, altri perché non si resero conto di quanto stava accadendo. Agli attivisti del partito e in particolare ai membri della polizia politica veniva data la caccia per le strade. I comitati di partito e le organizzazioni della polizia politica venivano fatti a pezzi. Si assassinava la gente impiccandola per i piedi ai lampioni. Si commettevano atrocità di ogni genere. In un primo tempo al movimento controrivoluzionario parteciparono soprattutto ragazzi. Erano bene armati perché avevano saccheggiato magazzini militari e depositi di munizioni. Poi ad essi si unirono reparti militari e nelle strade di Budapest cominciarono gli scontri. Alcuni reparti militari si impadronirono di pezzi d'artiglieria, per lo più cannoni antiaerei, e aprirono il fuoco sulla città. A Budapest cominciarono a tornare gli emigrati politici che erano stati costretti a fuggire dopo la sconfitta di Hitler e l'instaurazione del regime socialista. I paesi della NATO cominciavano già a mettere il naso nella faccenda. Versavano olio sul fuoco della guerra civile nella speranza che fosse rovesciato il governo rivoluzionario, liquidate le conquiste della rivoluzione e restaurato il capitalismo. (p. 445)
  • Pur essendo comunista, Nagy non parlava più a nome del Partito comunista ungherese. Parlava solo a nome di se stesso e di una piccola cerchia di emigrati che erano tornati in Ungheria per sostenere la controrivoluzione. (p. 446)
  • Era un momento storico. Dinanzi a noi stava una scelta cruciale: dovevamo far rientrare le nostre truppe nella capitale e schiacciare la rivolta, o dovevamo stare a vedere se le forze progressiste ungheresi sarebbero riuscite a liberarsi da sole sventando la controrivoluzione? Se decidevamo per quest'ultima linea di condotta, c'era il pericolo di un temporaneo prevalere della controrivoluzione, il che avrebbe provocato lo spargimento di molto sangue proletario. Inoltre, se la controrivoluzione avesse vinto e la NATO avesse messo radici nel cuore del campo socialista, una seria minaccia si sarebbe profilata per la Cecoslovacchia, la Jugoslavia e la Romania, per non parlare dell'Unione Sovietica. (pp. 446-447)
  • Noi, l'Unione Sovietica, appoggiamo le forze rivoluzionarie di tutto il mondo. Lo facciamo in virtù del nostro impegno internazionalista. Partecipiamo di tutto cuore alla lotta condotta dalle classi lavoratrici all'insegna della bandiera rossa sulla quale è iscritto il motto: «Proletari di tutto il mondo, unitevi!» Siamo contrari all'esportazione della rivoluzione, ma siamo anche contrari all'esportazione della controrivoluzione. Per questo sarebbe impensabile e imperdonabile che noi rifiutassimo il nostro aiuto alla classe operaia di un qualunque paese in lotta contro le forze del capitalismo. (p. 458)
  • Aiutando il popolo ungherese a schiacciare l'insurrezione controrivoluzionaria impedimmo al nemico di incrinare l'unità dell'intero campo socialista, messa a dura prova durante gli avvenimenti d'Ungheria. Sapevamo che aiutando l'Ungheria a reprimere l'insurrezione e a liquidare il più rapidamente possibile le sue conseguenze aiutavamo anche tutti gli altri paesi del campo socialista. L'aiuto che prestammo al popolo ungherese per soffocare la controrivoluzione fu unanimemente approvato dai lavoratori dei paesi socialisti e dai progressisti di tutto il mondo. (p. 458)
  • [Su Ahmed Ben Bella] Era uno degli uomini più importanti che avevo incontrato in Egitto. Mi impressionò la sua cultura che lo rendeva consapevole di tutti i problemi connessi al socialismo. (p. 474)
  • Aref sembra voler suggerire che tutti gli arabi hanno gli stessi interessi, che non sono divisi in classi e che i capi arabi hanno col loro popolo un unico incarico. Bene, qualche anno fa ebbi una disputa con Nasser su questo stesso argomento, ma Nasser ha superato quello stadio sviluppando il suo pensiero. Evidentemente Aref deve ancora vincere un comune malinteso sulla natura della società araba. (p. 475)
 
Chruščёv con Mao nel 1958
  • La politica è un giuoco, e Mao Tse-tung ha giocato nel far politica con asiatica astuzia, ricorrendo volta a volta all'adulazione, al tradimento, alla vendetta selvaggia ed all'inganno. Ci ha preso in giro per molti anni prima che scoprissimo i suoi trucchi. Talleyrand disse, una volta, che ad un diplomatico è data la parola per nascondere i pensieri. Lo stesso vale per un politico, e Mao Tse-tung è sempre stato un maestro nel dissimulare i suoi veri pensieri ed intenzioni. (p. 494)
  • Trovai del tutto incredibile che Mao potesse liquidare l'imperialismo americano come una tigre di carta quando, in effetti, esso è un pericoloso animale predatore. (p. 500)
  • Non potete più valutare i rapporti di forza sulla base di chi ha più uomini. In passato, quando una battaglia era risolta con i pugni o le baionette, era decisivo il numero di uomini o di baionette che ciascuna parte poteva schierare. Poi, quando apparve il cannone, non aveva necessariamente il sopravvento il contendente con più truppe. Ed ora con la comparsa della bomba atomica, il numero di truppe ciascuna parte non determina né variazioni tra i rapporti effettivi di forza né l'esito d'una guerra. Più truppe su un lato, più vittime per le bombe dell'altro. (pp. 500-501)
  • L'esercito sovietico ha schiacciato le forze migliori dell'esercito tedesco, mentre gli uomini di Mao hanno trascorso venti, venticinque anni a punzecchiarsi il sedere con la punta dei coltelli e delle baionette. (p. 502)
  • Mao è un nazionalista e, almeno quando lo conobbi, bruciava dall'impaziente desiderio di governare il mondo. Il suo piano era di governare prima la Cina, poi l'Asia, poi... cosa? (p. 504)
  • Abbiamo vinto la guerra civile, e mai ho avuto spalline e galloni di cui fare sfoggio, neppure quando raggiunsi il rango di commissario. I soldati non avevano bisogno di vedere stupide strisce per riconoscere il loro commissario e il loro comandante. Allora eravamo capaci di abbattere i nostri nemici senza spalline. Oggi i nostri militari sono impiumati come canarini. (p. 506)
  • L'incrinatura che si determinò tra l'Unione Sovietica e l'Albania fu causata soprattutto dalla paura che gli albanesi nutrono per la democrazia. (p. 507)
  • Un leader democratico deve essere dotato di giudizio e deve saper accettare i consigli degli altri. Deve rendersi conto che la sua posizione di comando dipende dalla volontà del popolo di averlo come guida, e non dalla sua volontà di guidare il popolo. E il popolo accetterà qualcuno come capo, solo se questi saprà dimostrare d'essere della stessa carne e dello stesso sangue del partito. Un leader deve essere stimolato dall'interesse del popolo, e non dalla cupidigia o dalla vanità; deve avere conoscenze profonde, umiltà, e la capacità di vivere come parte integrante della collettività. Ripeto, occupa la sua posizione di comando per volontà del partito. In altre parole egli non è al di sopra del partito, ma è il servo del partito; e può mantenere la sua posizione solo finché godrà della stima e dell'appoggio del partito. (p. 507)
  • Diventiamo nazionalisti nel momento in cui crediamo che ad una nazione competano diritti speciali e superiorità nei confronti delle altre. Da questo è cominciato il nazismo. (p. 508)
  • Ho incontrato molti uomini nel corso della mia carriera politica, ma Ho Chi Minh mi impressionò in modo particolare. Le persone religiose parlano dei santi apostoli. Bene, nel modo in cui visse e nel modo in cui impressionò le altre persone, Ho Chi Minh rassomigliò a uno di quei «santi apostoli». Era un apostolo della rivoluzione. (p. 511)
  • Vorrei credere che il Vietnam desideri realmente buone relazioni con l'Unione Sovietica, ma non penso che la Cina si lascerà scappare dalle mani il Vietnam e le forze favorevoli alla Cina rimarranno potenti nel Vietnam. Faranno di tutto perché il Vietnam sia divorato dalle mani cinesi. (p. 516)
  • Nel testamento di Ho Chi Minh non si fa menzione dell'enorme, altruistico aiuto che l'Unione Sovietica dà al Vietnam. La nostra assistenza è stata decisiva perché, senza l'aiuto materiale dell'Unione Sovietica, sarebbe stato impossibile per il Vietnam sopravvivere alle condizioni della guerra moderna e resistere a un aggressore ricco e potente come gli Stati Uniti. Per ricevere armi ed equipaggiamenti adeguati, il Vietnam non ha altra scelta se non appoggiarsi all'Unione Sovietica. Per ottenere la vittoria i vietnamiti devono avere armi appropriate, e queste le possono ricevere solo dall'Unione Sovietica. La Cina non può dare al Vietnam ciò di cui ha bisogno. La stampa mondiale, includendo i nemici dei comunisti, sa che il Vietnam non potrebbe condurre la sua politica di resistenza militare contro l'aggressione americana, se non fosse per l'aiuto economico e materiale dell'Unione Sovietica. (p. 517)
  • In questa guerra è in giuoco molto più che non il solo futuro del popolo vietnamita. I vietnamiti versano il loro sangue e perdono la vita nell'interesse del movimento comunista internazionale. Mostreremo i successori di Ho Chi Minh sufficiente saggezza per la lotta che devono vincere? Solo il tempo lo dirà. (p. 518)
 
Chruščёv con Kennedy nel 1961
  • [Su John Fitzgerald Kennedy] Era dotato dell'abilità di risolvere i conflitti internazionali con negoziati, come il mondo capì durante la cosiddetta crisi cubana. Quantunque giovane era un grande statista. Credo che se Kennedy fosse vissuto le relazioni tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica sarebbero state migliori delle attuali. Perché dico ciò? Perché Kennedy non avrebbe mai permesso che il suo paese si impantanasse nel Vietnam. (p. 534)
  • Con gli anni l'Unione Sovietica ha guadagnato un grande prestigio agli occhi di tutti i popoli che combattono per la pace, per il progresso e per la liberazione dal colonialismo. Lo scopo della nostra politica estera non è stato quella d'arricchire il nostro paese sulla pelle degli altri; non abbiamo mai creduto nello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, di uno stato su un altro stato. Al contrario, sia con la nostra politica di stato, sia con le nostre azioni, abbiamo sempre incoraggiato i paesi a godere dei frutti del loro lavoro. Abbiamo aiutato questi paesi non soltanto con consigli e con l'esempio che abbiamo fornito, ma abbiamo anche dato loro aiuti materiali o venduto merci e prodotti d'ogni tipo a prezzi ridotti. La nostra politica estera si basa sulla convinzione che il cammino indicatoci da Lenin è il cammino del futuro non solo per l'Unione Sovietica, ma per tutti i paesi ed i popoli del mondo. (p. 537)
  • Noi comunisti, noi marxisti-leninisti, pensiamo che il futuro giochi in nostro favore e che la vittoria sarà inevitabilmente nostra. Eppure i capitalisti non vogliono cedere su nulla e continuano a giurare che combatteranno fino alla fine. Perciò come si può parlare di coesistenza pacifica con l'ideologia capitalista? La coesistenza pacifica è possibile tra differenti sistemi di governo, ma non tra differenti ideologie. Sarebbe un tradimento dei principi fondamentali del nostro partito credere che possa esistere una coesistenza pacifica tra l'ideologia marxista-leninista da una parte e quella borghese dall'altra. (p. 539)
  • La classe dirigente degli Stati Uniti pone il cosiddetto modo americano di vita come modello per un «mondo libero». Ma che specie di libertà è quella? È la libertà di sfruttare, di derubare, di morir di fame da una parte quando dall'altra ci sono sprechi, è la libertà di rimanere disoccupati mentre le risorse economiche non vengono sfruttate per intero. La libertà degli Stati Uniti è la libertà del capitale monopolistico di opprimere il proletariato, di ingannare il popolo col sistema bipartitico, di imporre agli altri la propria volontà con i blocchi militari. Questa è la società che fornisce i pretesti per far scoppiare la guerra tra i popoli perché la tendenza alla reazione all'interno del proprio paese e all'aggressione e all'espansione all'esterno, è la caratteristica del capitalismo e dell'imperialismo. (p. 540)
  • Non potete dare al popolo il paradiso e poi imprigionarvelo dentro. (p. 542)

Explicit

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Se dovessimo aprire i confini è mai possibile che la nostra fiducia negli individui sarebbe tradita? Forse sì. Su duecentoquaranta milioni di persone quasi sicuramente si possono trovare elementi impuri. E gli impuri verranno alla superficie. Perciò lasciamo che i rifiuti, la feccia venga a galla e lasciamo che le onde li portino lontano dalle nostre spiagge. Quello che dico coincide con la politica di Lenin nei primi anni della rivoluzione, quando mandavamo i nemici dell'Unione Sovietica all'estero in esilio. Tutti quelli che desiderano lasciarci non devono trovare ostacoli. «Vuoi andartene?» dicevamo. «Bene fai le valigie e vattene!» Ed essi partivano. Ora, dopo cinquant'anni, cerchiamo in ogni persona il potenziale disertore. Abbiamo dovuto inventare la politica dei confini per tenerci i rifiuti e la feccia. Dobbiamo cominciare a pensare alle persone che non meritano di essere chiamate feccia, persone che potrebbero avere temporanei vacillamenti nelle loro convinzioni o che potrebbero voler provare l'inferno capitalista, alcuni aspetti del quale possono attirare i nostri elementi meno decisi. Non dobbiamo trattenere queste persone. Dobbiamo dar loro la possibilità di scoprire da soli che cos'è il mondo.
Se non cambieremo a tale proposito la nostra politica, temo che screditeremo gli ideali del marxismo-leninismo sui quali è fondato il nostro modo di vita.

Citazioni su Nikita Chruščёv

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  • Chruščёv era senza dubbio un reazionario, è riuscito a infiltrarsi nel Partito. Sicuramente non credeva in alcun genere di comunismo. (Vjačeslav Michajlovič Molotov)
  • Disorganizzazione, fallimento dei piani agricoli, scacchi diplomatici, ed in più una profonda impreparazione accompagnata da una grande stima di sé: si sentiva che aveva imparato a leggere solo a vent'anni. (Enzo Biagi)
  • È più pericoloso di Mao Tse-dun perché è più furbo. (Trần Lệ Xuân)
  • Kruscev era rozzo e maleducato, d'intelligenza pronta e con un senso dell'umorismo di grandissimo effetto. (Richard Nixon)
  • Kruscev fu, come egli stesso riconobbe pienamente, un sostenitore non deviazionista di Stalin. Se così non fosse stato, non si sarebbe mantenuto in buona salute. (John Kenneth Galbraith)
  • Krusciov fu l’esito di numerosi intrighi, una figura di compromesso sottovalutata. (Ksenija Sobčak)
  • Il decennio che vide Nikita Sergeevič Cruščev a capo del partito e dello Stato fu soltanto un interregno, una parentesi. Non si può parlare di una «èra crusceviana» da contrapporre all'èra staliniana, e non soltanto perché il suo governo durò un terzo di quello di Stalin e il suo potere non arrivò nemmeno a tanto. Il cruscevismo non ha rappresentato alcuna grande idea (o politica) positiva sua propria. (Isaac Deutscher)
  • La prepotenza di Krusciov fu una delle ragioni principali per il suo allontanamento dal Comitato Centrale nel 1964. (Grover Furr)
  • Nikita Kruscev era un interlocutore difficile, talvolta assai duro e sempre molto ostinato. Ciò nonostante, il suo lato contadino, la sua furbizia mista a bonarietà, lo rendevano simpatico. (Mohammad Reza Pahlavi)
  • [Sull'annessione della Crimea alla Russia] Nikita Krusciov, allora al Cremlino, nel 1954 trasferì la Crimea da una repubblica all'altra. A quei tempi l'Urss contava quindici repubbliche ed essere nell'una o nell'altra non era poi tanto importante, poiché si restava sovietici. Umoristi e malelingue dicono che Krusciov quel giorno fosse ubriaco. Certo non poteva prevedere quel che sarebbe accaduto quasi settant'anni dopo, senza più l'Unione Sovietica e con l'Ucraina indipendente. (Bernardo Valli)
  • Se Kruscev fu incapace di portare a termine riforme radicali fu perché era stato troppo profondamente plasmato dalla cultura stalinista. Benché il suo potere non si fondasse più sul terrore poliziesco, adottò ben presto lo stile di comando fortemente personalizzato, capriccioso e autocratico che aveva caratterizzato l'epoca staliniana e non si occupò mai veramente dei problemi istituzionali di fondo. In questi ultimi anni il successore di Stalin è stato «riabilitato», emergendo dal giudizio storico come un leader il cui operato fu sostanzialmente positivo. Ma per certi aspetti tale riabilitazione è immeritata. (Amy Knight)
  • Sempre a fare lo smargiasso, a urlare, a puntare il dito contro gli ambasciatori, a bere... E sempre pronto ad arrendersi agli americani. Ha fatto tanto male all'Asia, Krusciov. (Zulfiqar Ali Bhutto)
  • Simpatico ma imprevedibile, irascibile, testardo, convinto di sapere anche cose di cui non aveva la minima idea: siccome era capo del partito credeva di intendersi di tutto. (Sergo Anastasi Mikojan)
  • Sotto Stalin il potere aveva un'immagine religiosa, con Krusciov si è abbassato alla gente semplice. Su di lui hanno cominciato a circolare barzellette, segno che la mistica del potere era sparita. (Sergo Anastasi Mikojan)
  • Un contadino ucraino che giocò il sopravvalutato Kennedy. Gli eresse il Muro sotto il naso ed evitò la guerra nucleare, nonostante Castro la sollecitasse: era pronto a vedere distrutta Cuba pur di distruggere l'America. (Enzo Bettiza)
  • Una delle tattiche preferite dai russi è la fanfaronata. Anche quando erano immensamente inferiori a noi come potenza, Nikita Kruscev voleva snocciolare le sue minacce nucleari sperando di infondere nell'Occidente la paura della forza sovietica. I nostri capi di allora non si lasciarono ingannare; sapevano che Kruscev non aveva intenzione di commettere un suicidio nazionale, ma l'opinione pubblica fu fortemente scossa. (Richard Nixon)
  • Da una parte, Nikita Krusciov era un autocrate sovietico, quindi avrebbe trovato normale invadere la Crimea. Dall'altra, credeva nel diritto di autodeterminazione dei popoli, soprattutto negli anni precedenti la sua morte. Quando i carri armati sovietici furono inviati in Cecoslovacchia nel 1968, si arrabbiò nel vedere che la mentalità non era cambiata in 12 anni. Si era pentito della sua invasione dell'Ungheria nel 1956. Oggi, direbbe: "Dopo sessant'anni fa non abbiamo imparato niente".
  • Mio nonno cercava di decentralizzare l'Urss, cedere la Crimea all'Ucraina andava in questa direzione. [...] Aveva un forte legame con questo paese, dove aveva lavorato. Voleva ricompensare questa regione, il cui frumento aveva nutrito l'Unione Sovietica dopo la seconda guerra mondiale, e scusarsi per l'Holodomor, la grande carestia degli anni Trenta.
  • Prima della sua morte, con tutto il tempo per riflettere sul passato, il mio bisnonno era giunto alla conclusione che il suo più grande risultato non era stato la politica del "disgelo" – la denuncia dei crimini di Stalin, assieme a qualche liberalizzazione politica e culturale – ma, di fatto, le sue stesse dimissioni a seguito di una semplice votazione. Egli non fu neanche dichiarato un "nemico del popolo" né messo al bando in un gulag; semplicemente venne costretto ad "un pensionamento di merito" nella sua dacia. A seguito della sua caduta politica, egli non venne liquidato fisicamente, come certamente sarebbe accaduto negli anni '30. Ciononostante, Kruscev si pentì della sua mancanza di coraggio e avrebbe voluto utilizzare il suo tempo per spingere ulteriormente il suo "disgelo", in modo tale che la sua morte politica sarebbe stata facoltativa.
  • Kruscev era un emotivo, e se la prendeva perché i suoi sforzi sinceri e le sue proposte specifiche per il miglioramento della situazione internazionale urtavano contro un muro d'incomprensione e di resistenza.
  • Malgrado tutte le contraddizioni del suo carattere, Chruščёv rimane per me un leader del tutto coerente con le linee principali del suo operato politico. Certo, non voleva appropriarsi della leadership del partito, intendeva semplicemente modernizzarlo, indebolendo il suo monopolio su ogni cosa. E qui si scontrò con una potente resistenza che alla fine determinò la sua sconfitta.
  • Mi fece l'impressione di un uomo aperto, schietto. Mi colpì il suo atteggiamento democratico, la sua disponibilità verso tutti. [...] Lo stile di Chruščёv era una sorta di marchio personale e molti dirigenti di rango inferiore si sforzavano di imitarlo.
    Il guaio era che, essendo un'imitazione, e per di più fatta da politici di cultura limitata, un simile stile di leadership assumeva spesso forme volgari. La sua genuinità e il suo tratto popolare, per non parlare poi del turpiloquio e dell'ubriachezza, si trasformavano a volte in autentica cafoneria.
  • Ora si levano spesso critiche contro Chruščёv, si scrivono articoli e libri sui suoi errori. Indubbiamente ne commise, ma penso che i suoi meriti siano talmente rilevanti da superare gli errori. Fu l'iniziatore della lotta contro lo stalinismo, promosse con energia una politica di pace, consentì la riabilitazione di milioni di persone innocenti che erano state perseguitate, annullò le disposizioni di Stalin sulla deportazione in Siberia di interi popoli tra cui balkari, karačai, ingusci, ceceni, calmucchi e tatari di Crimea.
  • Krusciov ed i suoi complici adottarono un atteggiamento ipocrita davanti al feretro di Stalin, affrettandosi a terminare la cerimonia funebre e a chiudersi di nuovo al Cremlino, al fine di proseguire il processo di spartizione e di ripartizione delle cariche.
  • Krusciov era al corrente delle nostre riserve riguardo al 20° Congresso e alla politica da lui seguita con i titisti, con l’imperialismo ecc., ma la sua tattica consisteva nel non affrettarsi ad acutizzare la situazione con noi, albanesi. Egli sperava di trarre profitto dall’amicizia che noi nutrivamo per l’Unione Sovietica, per impadronirsi della fortezza albanese dall’interno e metterci nel sacco con sorrisi e minacce, con alcuni crediti, del resto assai ridotti, ed anche con pressioni e blocchi.
  • Parlava ad alta voce, gesticolando con le mani e la testa, muovendo gli occhi da tutte le parti senza fissarli mai su un punto; ogni tanto s’interrompeva, rivolgeva domande e poi, spesso senza aspettare la risposta, continuava a parlare saltando di palo in frasca.
  • Uno dei principali indirizzi della strategia e della tattica di Krusciov consisteva nell’impadronirsi completamente del potere politico e ideologico all’interno dell’Unione Sovietica, e nel mettere al suo servizio l’esercito sovietico e gli organi di Sicurezza dello Stato.
  • Voi compagno Krusciov, avete levato la mano contro il nostro piccolo popolo e il suo Partito, ma noi siamo convinti che il popolo sovietico che ha versato il proprio sangue anche per la libertà del nostro popolo, che il grande Partito di Lenin, non approveranno questo vostro modo di agire.
 
Chruščёv sulla copertina di Time
  • Assaporò la grandezza dell'autorità suprema dalla metà degli anni cinquanta ed era deliziato quando suo nipote gli chiedeva: «Nonno, chi sei? Lo zar?». Gli piacevano anche la vodka e le barzellette volgari e scoppiava in rozzi scatti d'ira. Un segretario del partito più attento non avrebbe detto ai politici occidentali: «Vi seppelliremo!». E nessun leader sovietico del 1960 avrebbe battuto una scarpa sul proprio banco alle Nazioni Unite per interrompere un discorso del primo ministro Harold Macmillan. Durante il suo periodo al potere, si divertiva moltissimo. Adorava i regali e riceveva scienziati nella sua dacia. Pur non essendo mai stato un grande lettore, chiedeva ad autori famosi di leggergli le loro opere ad alta voce. Si riteneva un pensatore con inclinazioni pratiche.
  • Aveva una personalità eccentrica e autoritario. Eppure le sue parziali riforme dell'ordine sovietico erano probabilmente il massimo che i suoi stretti collaboratori e il resto dei gruppi dirigenti avrebbero allora tollerato. I sostenitori dell'ordine esistente erano troppo potenti, abili e sicuri per qualsiasi altra trasformazione più radicale.
  • Era un leader complesso. Era al tempo stesso stalinista e antistalinista, un comunista convinto e un cinico, un pusillanime dedito all'autoincensamento e uno scontroso filantropo, un guastafeste e un pacificatore, un collega stimolante e un fastidioso tiranno, un uomo di Stato e un politico privo di spessore intellettuale. Le sue contraddizioni erano il risultato di una personalità straordinaria e di una vita di esperienze fuori dal comune.
    Eppure si deve anche riconoscere che le sue eccentricità erano anche dovute alle enormi e conflittuali pressioni su di lui. Contrariamente ai suoi successori, voleva cercare una risposta con soluzioni a lungo termine. Ma le soluzioni tentate non bastavano a rinnovare il tipo di Stato e di società che aveva abbracciato. Le riforme erano attese da lungo tempo. I suoi successi politici, economici e culturali erano un grande miglioramento rispetto a Stalin. Ma non rispondevano più alle necessità del paese.
  • I suoi colleghi notarono il paradosso che il politico che denunciava il culto dell'individuo fosse all'incessante ricerca di prestigio personale. Non passava giorno senza che la sua foto apparisse sui giornali.
  • Questo fautore del comunismo in realtà non avrebbe mai accettato l'egualitarismo comunista ed era così abituato ai lussi della sua carica che era incapace di riconoscere la propria ipocrisia.
  1. Da Kruscev alla tv dice: «È morto un amico», La Stampa, 28 maggio 1964
  2. Citato in Roberto Gervaso, Peste e corna.
  3. Citato in Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali. Dal 1918 ai giorni nostri, Editori Laterza, Roma, 2008, pp. 1000-1001. ISBN 978-88-420-8734-2
  4. Citato in Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali. Dal 1918 ai giorni nostri, Editori Laterza, Roma, 2008, p. 816. ISBN 978-88-420-8734-2
  5. Citato in Taubman, Khrushchev; citato in Andrea Graziosi, L'Unione Sovietica in 209 citazioni, Ed. Il Mulino, Bologna, 2006, ISBN 88-15-11282-0
  6. Citato in Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali. Dal 1918 ai giorni nostri, Editori Laterza, Roma, 2008, p. 852. ISBN 978-88-420-8734-2
  7. Mohammad Reza Pahlavi, Risposta alla storia, traduzione di Maria Gallone, Adriana Crespi Bortolini e Ada Traversi, Editoriale Nuova, p. 185, 1979.

Bibliografia

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  • Nikita S. Kruscev, Kruscev ricorda, a cura di Strobe Talbott, traduzione a cura di P. Marcogliano, M. Orsi e L. Vezzoli, Sugar editore, 1970

Voci correlate

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