Giorgio Candeloro
storico italiano (1909-1988)
Giorgio Candeloro (1909 – 1988), storico italiano.
Storia dell'Italia moderna
modificaVol. I Le origini del Risorgimento 1700-1815
modifica- Lo Stato unitario nazionale sorto dal Risorgimento fu senza dubbio un fatto nuovo, tipicamente moderno, non somigliante ad alcuna formazione politica italiana medioevale o antica. (cap. I, p. 11)
- È necessario [...] tener presente, quando si parla della penetrazione in Italia dell'illuminismo, che questo è nel complesso l'espressione di una società assai più evoluta in senso borghese di quella italiana, sicché gli effetti pratici dell'ideologia illuministica furono in Italia assai più limitati che in Francia e furono di varia entità a seconda del grado di sviluppo sociale delle varie parti dell'Italia stessa. (cap. II, p. 71)
- [Quando nel 1759 Carlo Emanuele III di Savoia gli affidò il ministero per la Sardegna] Il Bogino volle allora attuare alcune riforme, limitando anzitutto il potere dei baroni, liberando i contadini da alcune più opprimenti prestazioni personali (conservando però le prestazioni per i lavori di pubblica utilità), limitando i fedecommessi e la manomorta e cercando di favorire la formazione e lo sviluppo della libera proprietà terriera nelle mani della borghesia. Egli riformò inoltre le Università di Cagliari e di Sassari. Si delineò allora un certo sviluppo delle due principali città e si accrebbero notevolmente i legami commerciali e culturali dell'isola col Piemonte e con tutto il resto d'Italia. (cap. II, p. 96)
- Il Du Tillot, che era uomo di non grande coltura ma assai energico, svolse anzitutto una decisa politica antiecclesiastica (resa necessaria anche dal fatto che la Santa Sede considerava il Ducato come un suo feudo e rifiutava di riconoscere l'avvento della nuova dinastia), attuando una legislazione giurisdizionalistica di tipo gallico, abolendo l'Inquisizione, riducendo grandemente la proprietà ecclesiastica mediante soprattutto una forte restrizione della manomorta, partecipando attivamente a fianco degli altri governi borbonici alla lotta che portò alla soppressione della Compagnia di Gesù. (cap. II, p. 107)
- Gli elementi dirigenti, o comunque politicamente attivi, della Repubblica romana, appartenevano soprattutto alla borghesia, che poté finalmente, dopo secoli di governo prelatizio, avere una parte preminente nella vita politica ed amministrativa dello Stato. Medici, avvocati e membri del basso clero occuparono le principali cariche pubbliche e furono i più attivi tra i giornalisti e i propagandisti repubblicani. Un notevole appoggio diedero alla Repubblica, sia a Roma che ad Ancona, gli ebrei, i quali furono per la prima volta parificati in tutti i diritti agli altri cittadini. (cap. III, pp. 248-249)
- La situazione finanziaria della Repubblica romana fu ancor più grave di quella della Cisalpina, sia per la povertà del paese, sia per lo stato di grave crisi in cui già si trovavano le finanze romane nel momento in cui la Repubblica fu proclamata. Per far fronte alle contribuzioni imposte dai francesi la Repubblica romana dovette procedere alla vendita dei beni della Chiesa (già iniziata del resto da Pio VI) a ritmo accelerato, mentre l'inflazione, già grave sotto il governo pontificio per le eccessive emissioni di biglietti, detti "cedole", non solo non poté essere arginata dal governo repubblicano, ma raggiunse proporzioni enormi. (cap. III, p. 251)
Vol. II Dalla Restaurazione alla Rivoluzione nazionale 1815-1846
modifica- La Restaurazione è [...] un'età di reazione, ma anche di profondi contrasti sociali, politici e culturali. La lotta della borghesia contro la nobiltà, la lotta dei popoli divisi ed oppressi contro i loro dominatori per conseguire un'esistenza politica nazionale, i contrasti tra gruppi aristocratici tendenti ad imborghesirsi e gruppi rimasti essenzialmente feudali, la diffidenza tra Stato e Chiesa che minava l'alleanza del trono e dell'altare, infine le rivalità tra le potenze, tutte queste contraddizioni esistono allo stato latente fin dai primi anni della Restaurazione. (cap. I, p. 14)
- Negli articoli di economia, di tecnica, di statistica, di geografia, come pure in una parte notevole di quelli di morale, di legislazione e di storia, il legame del "Conciliatore" col pensiero illuministico è particolarmente evidente, anche per la presenza fra i collaboratori del giornale di uomini di formazione illuministica come Gian Domenico Romagnosi e Giuseppe Pecchio. (cap. I, p. 33)
- [...] "Il Conciliatore" assunse un carattere che dal punto di vista puramente dottrinale può dirsi eclettico; questo eclettismo resterà tipico di gran parte del liberalismo moderato italiano del Risorgimento. (cap. I, p. 35)
- Ferdinando III di Lorena, tornato in Toscana alla fine del '14[1], era uomo prudente e pacifico che volle dare al suo governo un'impronta di grande moderazione; secondo certe testimonianze, sarebbe stato addirittura favorevole alla concessione di una Costituzione e ne sarebbe stato distolto solo dall'ostilità del governo di Vienna. (cap. I, p. 53)
- Il papa Pio VII ritornò a Roma nel 1814 con l'aureola delle sofferenze morali patite durante la prigionia in Francia, sopportate con fermezza e dignità, e con la fama meritata di uomo equilibrato, moralmente integro e sinceramente religioso. Di non grande levatura intellettuale e di scarsa capacità politica, Pio VII aveva coraggiosamente affrontata l'ostilità del dominatore del continente[2] ed aveva col suo atteggiamento riguadagnato al Papato un prestigio morale che esso da molto tempo non aveva più avuto. (cap. I, p. 56)
- La Rivoluzione del '31, come quella del 1820-21, fu caratterizzata in primo luogo dalla scarsissima resistenza opposta dai governi alle forze insurrezionali, pur male organizzate e mediocremente dirette, in secondo luogo dalla grande facilità con cui le forze austriache operarono la repressione. Tuttavia, sebbene fosse scoppiata sotto la spinta di un'ondata rivoluzionaria europea assai più vasta di quella di dieci anni prima e fosse stata preceduta e accompagnata da talune formulazioni programmatiche più avanzate in senso nazionale, essa ebbe un'area di espansione territoriale e una durata assai più limitate. (cap. III, p. 192)
- Il cattolicesimo liberale fu un movimento non soltanto italiano ma europeo, come europeo fu il movimento romantico nel quale esso rientrava. Nacque e maturò più o meno rapidamente in parecchi paesi cattolici d'Europa nel periodo 1815-1848 per effetto di una convergenza di idee liberali e di idee reazionarie, di concezioni tradizionalistiche e di concezioni idealistiche ed eclettiche. (cap. V, p. 356)
- La funzione storica concreta del cattolicesimo liberale fu diversa nei vari paesi in cui esso si sviluppò a seconda delle particolari condizioni sociali e politiche localmente esistenti. Tuttavia si può affermare che il cattolicesimo liberale prima del '48[3] ebbe quasi ovunque una funzione progressiva, perché, favorendo lo sviluppo di alcuni movimenti nazionali e appoggiando alcune rivendicazioni liberali, contribuì a rompere il fronte delle forze reazionarie e conservatrici e a spingere infine il Papato stesso ad un mutamento di politica. (cap. V, p. 357)
Vol. III La rivoluzione nazionale 1846-1849
modifica- Federico Guglielmo IV, divenuto re di Prussia nel 1840, sentiva vagamente che la situazione della Prussia e della Germania intera esigeva una politica innovatrice, ma, profondamente autoritario e imbevuto di romanticismo reazionario, credeva che bastasse modificare solo formalmente l'assolutismo amministrativo con l'adozione di istituzioni rappresentative di tipo medioevale. (cap. I, p. 11)
- La questione operaia, divenuta gravissima negli anni immediatamente precedenti il 1840, aveva determinato il sorgere del movimento cartista, che fu il primo tentativo fatto in Inghilterra di dare un carattere politico al movimento operaio. I cartisti infatti giudicavano che la realizzazione di un programma decisamente democratico (enunciato nella loro Carta del Popolo) fosse una condizione indispensabile per dare alla classe operaia la possibilità di ottenere una serie di riforme sociali. (cap. I, p. 16)
- Uomo dalla parola facile, vivace e combattivo, dotato di un certo intuito politico e di capacità organizzative, Ciceruacchio dieci o quindici anni prima dell'elezione di Pio IX[4] era entrato probabilmente in qualche società carbonara e poi forse nella Giovine Italia; comunque era stato per parecchio tempo in contatto con ambienti influenzati dal mazzinianesimo e più tardi aveva subito anche lui, come tanti altri patrioti, una certa influenza del neoguelfismo. (cap. I, p. 20)
- Autore di tragedie classicheggianti e di mediocri poesie non prive talvolta di sincera ispirazione patriottica, lo Sterbini era uomo ambizioso, turbolento, aspro nelle polemiche, sicché già nell'esilio era stato oggetto di attacchi personali e più tardi fu persino accusato, ma senza che l'accusa fosse mai provata, di aver denunciato al governo napoletano alcune trame della Giovine Italia. (cap. I, p. 21)
- [...] [Pietro Sterbini] era un democratico imbevuto di retorica giacobina che accettava il programma riformista soltanto come un mezzo per spingere avanti il movimento popolare, sicché nel corso del '47[5] venne accentuando la sua ostilità per i moderati e nel '48 divenne uno dei capi della rivoluzione romana. (cap. I, p. 21)
- Gioberti [...], non solo collega strettamente la storia della Chiesa a quella dell'Italia secondo lo schema guelfo ormai corrente nella storiografia cattolico-liberale, ma sostiene anche che il risorgimento della Chiesa è inscindibilmente legato al risorgimento dell'Italia. (cap. V, p. 362)
- La Repubblica romana rappresentò la punta più avanzata della rivoluzione quarantottesca in Italia anche per la Costituzione, che l'Assemblea romana volle proclamare solennemente nel momento in cui i francesi entravano in Roma per mostrare al mondo di non essere venuta meno alla sua funzione costituente e per lasciare all'Italia una testimonianza del proprio ideale democratico. (cap. V, p. 451)
Vol. IV Dalla rivoluzione nazionale all'Unità 1849-1860
modifica- La Compagnia di Gesù, che per anni era stata bersagliata dal fuoco incrociato dei liberali, dei democratici e di una parte dei cattolici-liberali e che nel '48 era stata colpita in vari Stati da provvedimenti di espulsione, ebbe in questa lotta [contro il cattolicesimo liberale e contro tutte le tendenze che, all'interno della Chiesa, auspicavano riforme più o meno vaste dell'ordinamento ecclesiastico] una funzione di avanguardia e accrebbe grandemente la sua influenza a Roma e in tutto il mondo cattolico. (cap. I, p. 28)
- La nuova rivista dei gesuiti, la "Civiltà Cattolica", fondata nel 1850, fu l'espressione tipica dell'intransigentismo: sul piano teorico i gesuiti si preoccuparono di tenere distinta la causa del cattolicesimo da quella dei governi reazionari, ma in pratica, poiché la loro polemica si rivolse soltanto contro le correnti politiche innovatrici, di qualunque specie esse fossero, la loro attività tendeva a rafforzare lo schieramento reazionario. (cap. I, p. 28)
- L'uomo che si oppose a Mazzini nel modo più netto dal punto di vista programmatico e che fece nel 1851 il più notevole tentativo per organizzare un partito repubblicano-federalista e democratico-sociale fu Giuseppe Ferrari. (cap. I, p. 62)
- I miti storiografici e letterari, che il romanticismo aveva rinverditi e che fornirono un'impalcatura ideologica al moderatismo italiano prequarantottesco, come l'idea del primato italiano, il neoguelfismo, ecc., ebbero scarsissima presa su Cavour, il quale concepiva il Risorgimento essenzialmente come un movimento destinato a portare a poco a poco l'Italia al livello dei paesi più progrediti d'Europa e concentrava la sua attenzione sul complesso sviluppo economico e sociale di questi paesi e sulle ripercussioni che esso avrebbe necessariamente avuto sull'Italia. (cap. I, p. 126)
- Questa operazione politica [il nuovo schieramento politico guidato da Cavour e da Rattazzi], passata alla storia col nome di "connubio", datogli allora polemicamente dal Pinelli[6], condizionò lo sviluppo ulteriore della politica piemontese. Da essa derivò, se non proprio un partito, una formazione politica che bloccò le manovre reazionarie dell'estrema destra e rinvigorì le forze liberali. (cap. I, p. 140)
- [...] nella situazione interna e internazionale del 1852, il connubio fu un fatto progressivo importante, poiché non solo contribuì a rintuzzare le nuove minacce della destra estrema al regime costituzionale, ma permise al Piemonte di andare avanti sulla via della politica liberale e nazionale. Esso in sostanza sanzionò l'alleanza tra la parte più attiva della vecchia nobiltà e la borghesia agraria, mercantile e professionistica, i cui interessi erano in larga misura espressi dalla politica economica propugnata e in parte attuata dal Cavour. (cap. I, p. 141)
- [...] se si considera il connubio nell'ambito di uno svolgimento storico più ampio, si deve dire che esso ebbe anche un aspetto conservatore. Infatti non solo indebolì la cosiddetta estrema sinistra, ma pose le basi per l'assorbimento di una parte notevole di essa nel movimento cavouriano che si realizzò successivamente, In questo senso il connubio fu la prima manifestazione di quella tendenza al trasformismo, che poi caratterizzò la vita politica italiana dopo l'unità. (cap. I, pp. 141-142)
- La guerra di Crimea, [...], ebbe un'importanza decisiva nella storia europea del secolo XIX, poiché determinò la rottura definitiva del blocco reazionario medio-orientale e aprì la strada ad una serie di importanti mutamenti dell'assetto europeo stabilito nel 1815. Essa insomma incise sulla situazione generale dell'Europa in modo molto più profondo di tutte le precedenti fasi acute della Questione d'Oriente. (cap. II, pp. 152-153)
- Nobile e molto ricco, ma incline alle idee democratiche o per lo meno progressiste, il Pallavicino era un patriota sincero ed entusiasta, sebbene troppo corrivo ad autodefinirsi "martire", pronto ad utilizzare per la causa nazionale le molteplici relazioni che, grazie al suo prestigio sociale e personale, era in grado di stabilire negli ambienti più diversi. Ostile anch'egli al municipalismo piemontese, si era però convinto dopo il '49 che solo sulla monarchia sabauda si poteva contare per la liberazione d'Italia. Di questa idea per dieci anni egli si fece assertore in Piemonte e tra gli esuli delle varie tendenze esponendola in termini alquanto semplicistici, ma con grande tenacia e profonda convinzione. (cap. III, pp. 220-221)
- Pisacane [nel suo Testamento politico] lasciava così all'Italia un messaggio di fede nell'azione insurrezionale e insieme un altissimo insegnamento morale; ma lasciava altresì all'Italia dell'avvenire l'indicazione, sia pure permeata di estremismo utopistico, di una soluzione integrale, unitaria e socialista del problema della rivoluzione nazionale. (cap. III, p. 269)
- Il Boncompagni non era un diplomatico di carriera, ma una personalità in vista del partito moderato piemontese: era stato ministro e presidente della Camera ed era noto come studioso di problemi pedagogici e giuridici. Era quindi persona adatta a tenere i contatti coi moderati toscani e probabilmente proprio per questo fu scelto da Cavour per la legazione di Firenze. Tuttavia, quando gli avvenimenti precipitarono, il Boncompagni rivelò scarsa capacità di affrontare situazioni di emergenza. (cap. IV, p. 336-337)
- Il fatto che il processo di formazione dello Stato unitario si concludesse con la vittoria del partito moderato condizionò tutta la storia successiva dell'Italia unita, ed ebbe per molti aspetti un peso negativo sullo sviluppo dell'Italia nel suo complesso. (cap. VI, p. 533)
Vol. V La costruzione dello Stato unitario 1860-1871
modifica- La data del 1860 è da preferirsi a quella del 1870 come punto di arrivo del periodo propriamente risorgimentale e di inizio di quello dell'Italia unita perché, sebbene i fini fondamentali della lotta per l'indipendenza e l'unità possano dirsi pienamente raggiunti soltanto con le annessioni di Venezia e di Roma[7], queste annessioni non modificarono la conclusione politica del Risorgimento, cioè il sistema monarchico-moderato che aveva trionfato nell'autunno del '60, e perché nel 1860 si iniziò una continuità di vita statale, che dura ormai da più di in secolo e conserva ancora oggi in misura notevole l'impronta che le fu data nel decennio 1860-70. (cap. I, p. 9)
- Convinto che l'economia fosse una scienza fondata su leggi naturali, Ferrara si ricollegò essenzialmente alla tradizione ottimistica della scuola francese del Say e del Bastiat. Egli respinse perciò ogni concezione antagonistica o dualistica dei fenomeni economici, a cominciare da quella di Ricardo, e cercò di delineare una visione unitaria della produzione e dello scambio risolvendo i fenomeni di produzione in quelli di scambio in un solo sistema di armonie di mercato. In sostanza giunse al concetto di equilibrio generale, pur senza dare di esso una formulazione matematica, come fecero poi i teorici dell'utilità marginale. (cap. I, p. 75)
- [...] Ferrara si poneva come innovatore rispetto alla tradizione di studi fino a quel momento prevalente in Italia, poiché subordinava decisamente alla scienza economica, fondata, secondo lui, su leggi universalmente valide, ogni ricerca statistico-induttiva ed ogni problema di politica economica. (cap. I, pp. 76-77)
- Gli scapigliati, animati da un esasperato individualismo, assunsero atteggiamenti cinici e si sforzarono di rompere con la morale corrente anche nel loro modo di vivere. Influenzati dal Baudelaire e da alcuni romantici tedeschi essi contribuirono in una certa misura al generale processo di europeizzazione della cultura italiana. Sebbene ostilissimi al romanticismo vaporoso del Prati e dell'Aleardi, rimasero sostanzialmente dei romantici, vicini per i loro atteggiamenti ribelli ed individualistici allo spirito del romanticismo tedesco originario e di una parte del romanticismo francese; ma subirono anche l'influenza del positivismo e prepararono lo sviluppo successivo del realismo. (cap. I, p. 87)
- La Convenzione di settembre diede luogo subito ad interpretazioni contrastanti da parte dei due contraenti, che diedero origine a scambi di note diplomatiche e a polemiche di stampa. Essa si prestava a queste contrastanti interpretazioni non solo per il carattere sommario ed impreciso del suo testo, ma anche e soprattutto perché intimamente contrastanti erano le intenzioni delle due parti. Da parte francese si cercò di presentare la Convenzione come un'implicita rinuncia dell'Italia al voto del 27 marzo 1861[8] e si insistette sull'impegno italiano a non attaccare lo Stato Pontificio. Da parte italiana si cercò di presentarla come un passo verso la soluzione della questione romana, poiché si insistette sul fatto che essa non conteneva una rinuncia a Roma e si affermò che il ritiro delle truppe francesi apriva la possibilità di accordi diretti col papa e non escludeva la possibilità che i romani facessero sentire la loro voce. (cap. III, pp. 210-211)
- Anche la battaglia di Lissa [come quella di Custoza] in sostanza fu più un insuccesso che una sconfitta[9], perché fu uno scontro di non grande entità, che non modificò in modo sostanziale il rapporto di forza fra le due flotte[10]. Divenne una sconfitta, perché non fu seguita da un'azione di rivincita e perché determinò nell'opinione pubblica italiana, che tanto aveva sperato nella marina, un senso profondo di umiliazione e di depressione. (cap. IV, p. 291)
- La legge sul macinato stabiliva a partire dal 1º gennaio 1869 una tassa sulla macinazione dei cereali nella misura di 2 lire al quintale per il grano, 0,80 per il granturco e la segala, 1,20 per l'avena, 0,50 per gli altri cereali, la veccia e le castagne. Il pagamento doveva avvenire nelle mani dei mugnai prima del ritiro delle farine. La tassa era assai più gravosa per le popolazioni rurali che per quelle urbane, sebbene si sia calcolato che essa sottraesse in media dieci giornate lavorative all'anno all'operaio delle città settentrionali.[11] (cap. IV, pp. 339-340)
- Alle 5 della mattina del 20 settembre l'artiglieria italiana cominciò il fuoco contro le mura di Roma[12]; alle 10 la fanteria e i bersaglieri entrarono per la breccia aperta presso Porta Pia, mentre i pontifici alzavano bandiera bianca. Lo scontro costò complessivamente agli italiani 49 morti e 141 feriti; ai pontifici 19 morti e 68 feriti. Alle 14 il generale Cadorna[13] e il generale Kanzler[14], comandante pontificio, firmarono la capitolazione della città. Il giorno dopo, in seguito a scontri nel rione Borgo tra popolazione e gendarmi pontifici, il Cadorna, su richiesta del papa, occupò anche la Città Leonina, salvo il Vaticano. Finiva così il potere temporale dei papi. (cap. IV, pp. 366-367)
Vol. VI Lo sviluppo del capitalismo e del movimento operaio 1871-1896
modifica- I grandi avvenimenti del 1870-71 conclusero un periodo di guerre e di rivolgimenti politici durato una ventina d'anni e aprirono un'epoca di pace in Europa che durò fino al 1914, turbata soltanto da alcune guerre nei Balcani, a cui fece riscontro il grande sviluppo delle conquiste coloniali in Africa e in Asia. Quest'epoca fu caratterizzata inoltre dalla relativa stabilità dei regimi politici, accompagnata in molti paesi dal consolidamento delle istituzioni liberali, da una graduale evoluzione verso la democrazia e dallo sviluppo dei partiti socialisti e dei sindacati operai. (cap. I, p. 7)
- La diffusione delle idee socialiste in Italia, [...], era stata tutt'altro che trascurabile già prima del '48. Tuttavia i primi tentativi di passare dalle discussioni puramente teoriche alla formulazione di programmi, che possono dirsi per vari aspetti socialisti, connessi con la concreta situazione dell'Italia, si manifestarono nella polemica antimazziniana, svolta nel 1850-51 dagli uomini dell'Estrema sinistra democratica, primi fra tutti Giuseppe Ferrari e Carlo Pisacane. Questi ultimi sulla base dell'esperienza del '48 affermarono la necessità di identificare la rivoluzione nazionale con la rivoluzione sociale e di far leva per attuarla soprattutto sui contadini. (cap. I, pp. 35-36)
- Il declino del cattolicesimo liberale, iniziatosi alla metà del secolo, si accelerò nel decennio 1860-70, sia per motivi ideologici di carattere generale, sia per motivi politici. Infatti, mentre da un lato il Papato accentuava col Sillabo la sua intransigenza di fronte al pensiero moderno e ai tentativi di conciliarlo con la dottrina cattolica, dall'altro la diffusione del positivismo e del materialismo favoriva l'affermarsi nella cultura e nella politica di principî laici e di tendenze fortemente anticlericali. Per di più in Italia l'aspro contrasto del nuovo Stato unitario col Papato e con la Chiesa, imperniato sulla questione romana e sui problemi della legislazione laica e dell'eversione della proprietà ecclesiastica, stimolò da una parte l'anticlericalismo dei liberali e dei democratici e dall'altra l'irrigidimento della maggior parte dei cattolici militanti su posizioni di intransigenza verso il nuovo Stato e verso il liberalismo. (cap. I, p. 58)
- Secondo Jacini, era urgente reagire alla politica estera megalomane e alla politica finanziaria disastrosa di Crispi chiamando a raccolta le forze conservatrici intorno a tre punti programmatici principali: politica estera di raccoglimento e di equilibrio; politica interna di decentramento regionale; politica religiosa di ravvicinamento al Vaticano in vista di una conciliazione fondata possibilmente sulla soluzione già da lui indicata nel 1887. (cap. V, pp. 403-404)
Vol. VII La crisi di fine secolo e l'età giolittiana 1896-1914
modifica- Il 22 aprile 1897 un fabbro di idee vagamente anarchiche, certo Pietro Acciarito, tentò di colpire con un pugnale Umberto I, mentre questi si recava in carrozza all'ippodromo delle Capannelle[15]. Il re rimase illeso e l'attentatore, arrestato poco dopo, dichiarò di avere agito di sua iniziativa senza alcun complice. Ma la polizia, sulla base di labili indizi, volle sostenere la tesi contraria, incitata in questo senso da personaggi della corte e del governo. (cap. I, p. 39)
- [...] i fatti del '98[16], [...], non furono soltanto una rivolta della fame, poiché ebbero anche alcuni caratteri politici abbastanza evidenti. Infatti i tumulti contro il caropane si accompagnarono dovunque alla richiesta, essa pure diffusa dai socialisti, della gestione municipale dei forni; inoltre di fronte alla reazione generalmente molto dura della forza pubblica, i tumulti assunsero il carattere di una lotta elementare per la libertà, tanto è vero che raggiunsero il punto culminante proprio a Milano, dove il rincaro del pane era stato nel complesso meno gravoso che altrove, perché i salari erano un po' più elevati e la disoccupazione un po' meno diffusa; infine l'estrema durezza della repressione governativa, assolutamente sproporzionata alla gravità dei tumulti, accentuò in modo drammatico il carattere politico degli avvenimenti novantotteschi rendendoli memorabili come esempio di operazione reazionaria di vasta portata attuata col pretesto di reprimere un preteso tentativo rivoluzionario. (cap. I, pp. 55-56)
Vol. VIII La prima guerra mondiale, il dopoguerra, l'avvento del fascismo 1914-1922
modifica- [...] la Nota[17] di Benedetto XV, in particolare la definizione della guerra come "inutile strage", ebbe larga risonanza poiché contribuì ad accentuare le speranze dei popoli in una prossima pace e al tempo stesso pose il papa in una posizione di grande prestigio morale rafforzando la sua autorità di capo religioso e di campione dell'umanità tanto gravemente offesa dagli orrori del conflitto in corso. (cap. II, p. 179)
- In realtà alle origini della sconfitta [di Caporetto] c'erano gravi errori militari, di cui Cadorna stesso era il primo responsabile, derivati dalla impostazione esclusivamente offensiva data fin dal principio alla guerra da lui e da tutti i dirigenti politici e militari italiani. Questi errori facilitarono il successo del piano di battaglia austro-tedesco, peraltro assai ben congegnato e messo in atto con grande precisione. (cap. II, p. 189)
- La nascita del partito comunista fu senza dubbio un grande fatto nella storia dell'Italia contemporanea. Basta pensare alla lunga e difficile strada che il PCd'I (poi PCI) doveva percorrere e all'importanza che esso doveva assumere nella lotta contro il fascismo e nella vita nazionale dopo la seconda guerra mondiale. Ma la scissione di Livorno, sebbene fosse il punto di partenza di un chiarimento teorico e pratico divenuto ormai necessario, non risolse la crisi profonda che travagliava il movimento operaio italiano e non rafforzò questo nella lotta contro il fascismo. Infatti anzitutto il PSI, che fu seguito dalla maggioranza del proletariato (come si vide nelle elezioni del maggio 1921), continuò ancora ad essere lacerato da un'aspra crisi interna che portò alla scissione tra riformisti e massimalisti nel 1922. D'altra parte il partito comunista non solo fu internamente meno compatto di quanto sembrò in un primo momento ma in pratica fu assai più piccolo di quanto i suoi fondatori avevano sperato. (cap. IV, pp. 361-362)
- [...] l'immagine di un fascismo di sinistra nella fase iniziale è sostanzialmente errata e fuorviante. Il fascismo diciannovista[18] infatti usò una fraseologia di sinistra nel programma, ma nella pratica fu un movimento antisocialista e nazionalistico. (cap. IV, p. 421)
Vol. IX Il fascismo e le sue guerre 1922-1939
modifica- L'imperialismo fascista per alcuni aspetti fu la continuazione di quello prefascista, sia per la preminenza dell'azione dello Stato rispetto alle forze capitalistiche private (che peraltro accettarono e sfruttarono l'iniziativa dello Stato), sia per le direttrici geografiche dell'espansione, che furono ancora i paesi balcanici, ed ora anche quelli danubiani a causa della dissoluzione dell'Impero asburgico, da un lato; il Mediterraneo e l'Africa dall'altro. Ma vi furono anche nell'imperialismo fascista alcuni caratteri nuovi, molto significativi per la comprensione storica del fascismo in generale. Il più appariscente, ma non il più importante di essi, che impressionò particolarmente l'opinione pubblica italiana e straniera, fu il modo di procedere mussoliniano, punteggiato da colpi a sorpresa, da improvvisi mutamenti di obiettivi, da discorsi roboanti e minacciosi. Esso si dovette in parte al carattere esibizionista, vanitoso e demagogico di Mussolini, in parte alla tattica da lui usata a ragion veduta per disorientare gli avversari, in parte a qualche sua subitanea ritirata di fronte a difficoltà oggettive insuperabili. (cap. II, p. 160)
- Per circa venticinque anni Volpe si interessò soprattutto di storia medioevale, della quale fu allora il maggior cultore italiano. Scrittore efficacissimo, animato da un vivace senso della storia come perenne trasformazione, egli rivolse via via sempre più il suo interesse al problema della nascita dello Stato moderno e alla formazione della nazione italiana. All'epoca della grande guerra fu interventista ed assunse una posizione politica liberal-nazionale, dalla quale passò al fascismo. (cap. III, p. 191)
- Secondo Rocco lo Stato è l'unica forma possibile di organizzazione della nazione, da lui concepita a sua volta come unica forma naturale di società umana in perpetua lotta con le altre nazioni. Tutta la società civile deve pertanto essere assorbita e regolata dallo Stato, unica forza capace di dominare i conflitti tra le classi, i ceti, le categorie produttive, i gruppi sociali. I sindacati, le associazioni di ogni genere e lo stesso partito fascista dovevano quindi divenire organi dello Stato ed essere guidati da questo alla realizzazione dei fini generali della nazione, cioè alla sempre maggiore potenza di questa. (cap. III, p. 192)
- Mentre veniva attuata la costruzione del regime fascista, i partiti e i gruppi antifascisti, messi fuori della legalità dalle leggi del novembre 1926, furono costretti a rifugiarsi nell'esilio e nella clandestinità oppure ad abbandonare a lotta politica e ad assumere un atteggiamento di attesa in un avvenire, giudicato via via sempre più lontano dagli osservatori più attenti, nel quale per effetto di avvenimenti imprevedibili, l'Italia sarebbe tornata ad una situazione di libertà. (cap. III, p. 213)
- Gli anni[19] in cui i partiti comunisti legali e clandestini dell'Occidente portarono avanti la collaborazione con gli altri partiti antifascisti per difendere o per riconquistare la libertà e la democrazia furono dunque anche quelli nei quali si svolsero in Unione Sovietica i famigerati processi e le grandi purghe volute da Stalin, che annientarono non solo la maggior parte dei vecchi bolscevichi che avevano guidato la rivoluzione di Ottobre, come Kamenev, Zinoviev, Bucharin, Rykov e tanti altri, ma anche la maggior parte del comitato centrale in carica nel 1934, una grande quantità di quadri intermedi, di generali e di ufficiali delle forze armate. E le stragi staliniane non risparmiarono i partiti "fratelli", alcuni dei quali furono praticamente decapitati dei loro gruppi dirigenti, mentre migliaia di comunisti stranieri, divenuti sospetti alla polizia staliniana, finirono nei campi di concentramento e molti furono uccisi o morirono di stenti. Tra gli italiani, comunisti e simpatizzanti, emigrati in URSS durante il fascismo, molti (forse più di cento o addirittura duecento) caddero vittime del terrore staliniano. (cap. V, pp. 462-463)
Vol. X La seconda guerra mondiale, il crollo del fascismo, la Resistenza
modifica- La seconda guerra mondiale, come la prima, fu il risultato di una serie di contraddizioni e di tensioni internazionali ed interne, tipiche dei paesi economicamente più sviluppati e politicamente più forti del mondo. In sostanza fu anch'essa il prodotto dell'imperialismo o, più esattamente, di una certa fase di sviluppo a cui era giunto al principio del secolo XX la società capitalistica, e insieme di un certo tipo di civiltà (quindi di istituzioni, di cultura, di ideologie e di costume), che i paesi più progrediti avevano in parte ereditato dal passato e in parte fatto sorgere nel corso dell'Ottocento e dei primi anni del Novecento. (cap. I, p. 13)
- Di scarsa intelligenza e poco esperto di politica, Muti si rivelò ben presto poco propenso a seguire i consigli del suo protettore [Galeazzo Ciano] e fece pessima prova nella difficile carica [di segretario del Partito Nazionale Fascista] che gli era stata affidata, sicché l'ambizioso ministro degli esteri finì per rimpiangere quasi il filotedesco Starace. (cap. I, p. 30)
- Finite le ostilità contro la Francia e sfumate rapidamente le speranze tedesche e italiane che l'Inghilterra accettasse di trattare la pace, Hitler decise il 16 luglio [1940] di dare esecuzione al piano per l'invasione dell'Inghilterra (denominato operazione "leone marino") e respinse l'offerta fattagli da Mussolini già il 26 giugno in vista della probabilità dell'operazione stessa, di un corpo di spedizione italiano per partecipare all'invasione motivando il rifiuto con difficoltà logistiche. (cap. I, p. 65)
- Sostenitore di una religiosità indipendente da qualsiasi forma di chiesa o di setta, fondata sulla fratellanza umana, la non violenza e il pacifismo, Capitini rimase sempre decisamente antifascista, sebbene non volesse mai far parte di alcuna organizzazione propriamente politica (neppure del partito d'azione) e si limitasse ad una funzione di ispiratore morale. (cap. II, p. 144)
- Per il governo Badoglio, l'armistizio di Cassibile ebbe un aspetto positivo e uno negativo. Il primo consistette nel riconoscimento da parte degli anglo-americani del governo stesso, come controparte legittima che servì a confermare per l'avvenire la continuità dello stato italiano e, per un certo periodo, anche della monarchia. Il secondo consistette invece nel fatto che l'armistizio sanzionò la fine della linea politica adottata dal gruppo badogliano subito dopo il 25 luglio, imperniata sull'idea che si potesse operare un rovesciamento delle alleanze anziché accettare un documento di resa, e soprattutto di ottenere che gli anglo-americani sbarcassero in Italia con forze così grandi da rendere possibile una rapida eliminazione dei tedeschi dal Centro e dal Sud del paese senza che fosse necessaria una forte azione dell'esercito italiano contro i tedeschi stessi, in particolare senza che questa azione assumesse fin dall'inizio un carattere apertamente offensivo. (cap. II, pp. 215-216)
- [...] in pratica il nuovo stato fascista [la Repubblica Sociale Italiana] fu per i tedeschi il mascheramento del loro dominio militare, mentre Mussolini fu costretto a scendere un altro gradino della carriera a ritroso che aveva cominciato a percorrere da quando si era alleato con Hitler: egli infatti passò dal grado di alleato subalterno a quello di governante fantoccio di questo Stato italiano vassallo del Grande Reich. (cap. III, p. 242)
- [Rastrellamento del ghetto di Roma] [...] nella notte tra il 15 e il 16 ottobre [1943], [Kappler] fece circondare il ghetto, dove risiedevano gli ebrei più poveri, da reparti delle SS arrivati appositamente a Roma e fece dare la caccia agli israeliti che abitavano in altri quartieri della città. Più di mille ebrei furono catturati e rinchiusi provvisoriamente nel locali dell'ex Collegio militare; quindi il 18 ottobre furono caricati su di un treno composto di carri merci, che, dopo un viaggio bestiale di sei giorni, li scaricò al campo di sterminio di Auschwitz in Polonia, ove quasi tutti furono uccisi nelle camere a gas. In tutto, tenuto conto degli ebrei catturati negli altri quartieri della città durante i nove mesi dell'occupazione tedesca, 2.091 israeliti di Roma furono inviati nei campi di sterminio. Di essi sarebbero ritornati soltanto 73 uomini e 28 donne. (cap. III, p. 264)
- L'operazione "Shingle", come fu chiamato dagli anglo-americani lo sbarco ad Anzio e a Nettuno, fu voluta soprattutto da Churchill, il quale, pur avendo accettato nelle già ricordate conferenze di Teheran e del Cairo che il principale sforzo alleato in Europa fosse effettuato nella Francia settentrionale, era rimasto del parere che fosse possibile anche un'operazione in Italia allo scopo di prendere Roma e di conseguire così un grosso successo di prestigio oltre che strategico, in quanto i tedeschi sarebbero stati probabilmente costretti ad abbandonare l'Italia centrale. (cap. III, p. 268)
Vol. XI La fondazione della Repubblica e la ricostruzione. Considerazioni finali
modifica- [...] la dottrina Truman fu anche il punto di partenza di una rottura tra Occidente e Oriente che, per molti aspetti dura tuttora. Infatti non solo essa provocò come conseguenza immediata il fallimento della conferenza di Mosca sulla sistemazione della Germania, peraltro già pregiudicata nel senso della divisione con la creazione della Bizona, ma implicò una serie di altre decisioni contrapposte sia degli Stati Uniti sia dell'Unione Sovietica. In questo senso si può porre nel marzo 1947 l'inizio di quella forma nuova di conflitto, che pochi mesi dopo il giornalista americano Walter Lippmann, con un'espressione che ebbe grande fortuna, definì la "guerra fredda". (cap. II, pp. 98-99)
- [...] l'elaborazione della nuova carta costituzionale [italiana], sulla cui importanza è superfluo insistere, fu caratterizzata fino alla sua conclusione da una collaborazione tra la democrazia cristiana e gli altri partiti antifascisti, che invece nel campo politico ed economico si era definitivamente rotta con la crisi del maggio '47. L'approvazione della Costituzione repubblicana fu pertanto l'ultimo atto comune dei partiti che avevano lottato contro il fascismo e aveva contribuito al suo abbattimento col movimento della Resistenza. (cap. II, p. 141)
- [...], l'estromissione dei comunisti e dei socialisti dal governo nel maggio 1947 non fu imposta dal governo americano, ma da questo fu approvato e incoraggiato in seguito alle sollecitazioni di De Gasperi, che sua volta si fece interprete delle pressioni delle forze conservatrici e moderate italiane. (cap. III, p. 157)
- Dopo l'enunciazione della dottrina di Truman[20] e il fallimento della conferenza di Mosca del marzo-aprile 1947, la prima mossa importante del governo di Washington fu il lancio del piano Marshall (detto poi ufficialmente ERP: European Recovery Program), così chiamato dal nome del segretario di Stato, George Marshall, che ne indicò le linee generali in un discorso tenuto all'Università di Harvard il 5 giugno 1947, al quale fu dato un grande rilievo propagandistico. (cap. III, p. 157)
- Il piano [Marshall], preparato dal Dipartimento di Stato per opera soprattutto di Dean Acheson e di George Kennan, partiva dalla constatazione che al principio del '47 la ripresa economica dei paesi europei procedeva lentamente e non aveva ancora raggiunto il livello dell'anteguerra, pur con differenze tra un paese e l'altro. Di conseguenza, secondo i dirigenti americani, anche la situazione politica di vari paesi europei presentava elementi di incertezza di cui potevano approfittare i comunisti per tentare azioni eversive o per appoggiare una penetrazione sovietica. Pertanto il principale scopo del piano era quello di facilitare la ripresa economica europea con grossi interventi finanziari americani rivolti a stabilizzare la situazione sociale e politica dell'Europa occidentale e a rendere quindi impossibile eventuali azioni espansionistiche dell'URSS appoggiate dai comunisti. (cap. III, pp. 157-158)
- La fondazione del Cominform (ufficialmente: Ufficio informazione dei partiti comunisti ed operai) fu stabilita da un convegno, tenuto a Szklarska Poreba in Polonia dal 22 al 27 settembre 1947, a cui parteciparono i rappresentanti dei partiti comunisti sovietico, polacco, cecoslovacco, ungherese, romeno, bulgaro, jugoslavo, francese e italiano. Questa nuova organizzazione non ebbe quindi un 'estensione mondiale, come la Terza Internazionale (Comintern) sciolta nel 1943, ma riguardò soltanto i sette partiti al potere nell'Europa orientale, e i due maggiori partiti di opposizione dell'Europa occidentale. I limiti geografici del Cominform indicavano dunque abbastanza chiaramente che esso nasceva in contrapposizione ai governi europei che avevano aderito al piano Marshall. (cap. III, p. 159)
- La trasformazione delle democrazie popolari dell'Est Europeo in regimi di tipo staliniano avvenne nel corso di alcuni mesi con un processo che, pur con diversità nei vari paesi, presenta alcuni caratteri comuni. Tra questo sono da ricordare l'assorbimento dei partiti socialisti da parte di quelli comunisti, la soppressione dei partiti contadini che avevano collaborato coi comunisti all'attuazione di vaste riforme agrarie; l'eliminazione di partiti democratici e moderati, preceduti o seguiti dalla fuga all'estero o dalla eliminazione dei rispettivi leaders. Queste misure furono accompagnate o seguite da una serie di processi che colpirono con condanne a morte o alla prigione dirigenti comunisti invisi a Stalin. (cap. III, p. 160)
- Fanfani, che pure proveniva dalla sinistra dossettiana, non osteggiò i governi centristi ma si allontanò sensibilmente dalla linea prevalentemente liberista seguita da De Gasperi per favorire una tendenza neocapitalistica caratterizzata da un'accentuazione dell'intervento pubblico nell'economia. Il nuovo leader democristiano favorì lo sviluppo degli enti pubblici come l'IRI e l'ENI, e l'insediamento di uomini della DC o a questa graditi nei quadri dirigenti degli enti stessi, degli istituti di credito, della RAI-TV ecc. (cap. V, p. 328)
- La crisi di alcune impostazioni ideologiche non significa rinuncia agli ideali di libertà, di democrazia e di progresso, purché sia chiaro che il progresso non è una legge della storia ma è un obiettivo che la volontà umana deve proporsi. (cap. V, p. 339)
Il problema generale che oggi si pone è quello di indirizzare il progresso tecnologico verso il conseguimento della democrazia del massimo possibile di benessere e di cultura per gli uomini comuni, che lavorano, soffrono e lottano per una vita migliore. Si tratta di un problema che ovviamente riguarda tutto il mondo e non solo l'Italia, ma alla cui soluzione l'Italia può dare un contributo importante anche se non decisivo.
Citazioni su Giorgio Candeloro
modifica- [Commentando la pubblicazione del quinto volume della Storia dell'Italia moderna] Il Candeloro pone una distinzione tra il significato fortemente positivo che la linea politica del Cavour ebbe rispetto ad altre che furono elaborate dalla classe dirigente (si veda il paragone col Filangieri) ed il suo significato assoluto, che contemperava elementi progressivi e conservatori. Egli afferma infatti che «il liberalismo cavouriano era strettamente amalgamato al conservatorismo sociale», sicché se esso favorì il processo unitario e rafforzò l'unità politica non poté avviare a soluzione i fondamentali problemi del Mezzogiorno e della ristrettezza delle basi su cui si fondava il nuovo stato. (Aurelio Lepre)
- [Commentando la pubblicazione del settimo volume della Storia dell'Italia moderna] Se il problema dello sviluppo capitalistico costituisce l'asse portante dell'analisi del Candeloro, va però subito aggiunto che essa non si limita a questo. Da buon lettore di Gramsci, il Candeloro sa molto bene che il rapporto tra fenomeni economici, di base, e i fenomeni di ordine sociale e politico non è un rapporto meccanico. Lo sviluppo capitalistico e l'industrializzazione non generano necessariamente una effettiva «modernizzazione», senza l'intervento delle forze politiche e sociali ad essa maggiormente interessate.
Si comprende perciò come egli dedichi un'attenzione particolare alla ricostruzione delle vicende e degli sviluppi del movimento operaio e socialista, non limitandosi ad utilizzare per questo i lavori esistenti sull'argomento, ma in più di un caso procedendo per proprio conto a verifiche ed approfondimenti, con il risultato di delineare un quadro esauriente e ricco di sfumature. (Giuliano Procacci) - [Commentando la pubblicazione del quinto volume della Storia dell'Italia moderna] Si tratta, come è noto, della più importante opera generale di carattere non rigidamente specialistico, anche se mantenuta sempre ad un alto livello scientifico, che sia stata pubblicata nel dopoguerra sulle vicende dell'Italia moderna (le si può paragonare, per il periodo risorgimentale, soltanto quella Spellanzon - Di Nolfo, che però ha un impianto più narrativo, mentre in Candeloro, pur nella completezza dei dati, è avvertibile una impostazione più problematica). (Aurelio Lepre)
Note
modifica- ↑ Nel settembre del 1814, dopo la caduta di Napoleone.
- ↑ Napoleone Bonaparte.
- ↑ 1848.
- ↑ 1846.
- ↑ 1847.
- ↑ Pier Dionigi Pinelli (1804–1852), politico italiano, presidente della Camera dei deputati del Regno di Sardegna.
- ↑ Nel 1866 (terza guerra d'indipendenza) e nel 1870 (breccia di Porta Pia).
- ↑ La Camera dei deputati, riunita a Torino il 27 marzo 1861, dopo un discorso del presidente del Consiglio Cavour, aveva approvato «alla quasi unanimità»: «La Camera, udite le dichiarazioni del Ministero, confidando che, assicurata la dignità, il decoro e l'indipendenza del pontefice e la piena libertà della Chiesa, abbia luogo di concerto con la Francia l'applicazione del non intervento, e che Roma, capitale acclamata dall'opinione nazionale, sia congiunta all'Italia, passa all'ordine del giorno.» Cfr. Portale storico della Camera dei deputati.
- ↑ Giustamente l'ammiraglio A. Iachino, La campagna navale di Lissa, 1866, Milano Mondadori, 1966, pp. 484-485, rileva che il Tegetthoff non parlò di vittoria nel rapporto che fece all'imperatore e nell'ordine del giorno alla squadra dopo la battaglia. [N.d.A., p. 291]
- ↑ La flotta italiana e quella austriaca.
- ↑ G. Alessio, Saggio sul sistema tributario italiano e sui suoi effetti economici e sociali, Torino, 1883, vol. II, p. 327. [N.d.A., p. 340]
- ↑ Mura aureliane.
- ↑ Raffaele Cadorna (1815–1897), il figlio Luigi comandò l'esercito italiano nella prima guerra mondiale fino al 1917.
- ↑ Hermann Kanzler (1822–1888).
- ↑ Ippodromo romano, situato nell'omonima zona, sulla via Appia.
- ↑ Rivolta di una parte della popolazione di Milano contro il governo, che si svolse tra il 6 e il 9 maggio del 1898.
- ↑ Nota ai capi dei popoli belligeranti, datata 1º agosto 1917.
- ↑ Del 1919, anno di fondazione dei Fasci italiani di combattimento, movimento trasformatosi nel 1921 in Partito Nazionale Fascista.
- ↑ La seconda metà degli anni trenta del Novecento.
- ↑ Strategia di politica estera del Presidente statunitense per contrastare l'espansionismo comunista nel secondo dopoguerra.
Bibliografia
modifica- Giorgio Candeloro, Storia dell'Italia moderna, vol. primo, Le origini del Risorgimento 1700-1815, quarta edizione nell'"Universale economica", Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 1992. ISBN 88-07-80796-3
- Giorgio Candeloro, Storia dell'Italia moderna, vol. secondo, Dalla Restaurazione alla Rivoluzione nazionale 1815-1846, prima edizione nell'"Universale economica", Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 1978.
- Giorgio Candeloro, Storia dell'Italia moderna, vol. terzo, La rivoluzione nazionale 1846-1849, prima edizione nell'"Universale economica" - Storia, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 2011. ISBN 978-88-07-72293-6
- Giorgio Candeloro, Storia dell'Italia moderna, vol. quarto, Dalla rivoluzione nazionale all'Unità 1849-1860, prima edizione nell'"Universale economica" - Storia, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 2011. ISBN 978-88-07-72281-3
- Giorgio Candeloro, Storia dell'Italia moderna, vol. quinto, La costruzione dello Stato unitario 1860-1871, seconda edizione nell'"Universale economica", Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 1989. ISBN 88-07-80800-5
- Giorgio Candeloro, Storia dell'Italia moderna, vol. sesto, Lo sviluppo del capitalismo e del movimento operaio, seconda edizione nell'"Universale economica", Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 1986. ISBN 88-07-80801-3
- Giorgio Candeloro, Storia dell'Italia moderna, vol. settimo, La crisi di fine secolo e l'età giolittiana, terza edizione nell'"Universale economica", Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 1989. ISBN 88-07-80802-1
- Giorgio Candeloro, Storia dell'Italia moderna, vol. ottavo, La prima guerra mondiale, il dopoguerra, l'avvento del fascismo, terza edizione nell'"Universale economica", Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 1989. ISBN 88-07-80803-X
- Giorgio Candeloro, Storia dell'Italia moderna, vol. nono, Il fascismo e le sue guerre. 1922-1939, prima edizione nell'"Universale economica" - Storia, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 2014. ISBN 978-88-07-88451-1
- Giorgio Candeloro, Storia dell'Italia moderna, vol. decimo, La seconda guerra mondiale, il crollo del fascismo, la Resistenza. 1939-1945, seconda edizione nell'"Universale economica", Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 1988. ISBN 88-07-80805-4
- Giorgio Candeloro, Storia dell'Italia moderna, vol. undicesimo, La fondazione della Repubblica e la ricostruzione. Considerazioni finali. 1945-1950, prima edizione nell'"Universale economica", Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 1987. ISBN 88-07-80806-4
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