Gioacchino Volpe

storico e politico italiano (1876-1971)

Gioacchino Volpe (1876 – 1971), storico e politico italiano.

Gioacchino Volpe nel 1954

Citazioni di Gioacchino Volpe modifica

  • Ed anche l'odio alla borghesia industriale e finanziaria pute di Medio Evo feudale. E si capisce. Guardiamo un po' i condottieri del socialismo cattolico. Ricordammo il Manning, il von Ketteler, ecc.: ebbene, costoro sono in politica ultra-conservatori, autoritari ed assolutisti, cattolici-romani e clericali, pronti a richiamarsi a Roma contro ogni forma di liberalismo, avversari anche di ciò che della borghesia liberale è stata conquista benefica e, crediamo, definitiva.[1]
  • I primi socialisti cattolici tedesci, anzi, chierici oltre che laici, erano quasi lassialliani[2] ed il von Ketteler fu addirittura accusato di socialismo, dopo le sue famose lettere sulla proprietà di cui metteva in rilievo l'elemento e le finalità sociali, sopra quelli individualistici.[3]
  • Siamo, saremo per chi sa quanto tempo, un paese screditato, un paese malamente vinto, un paese che ha affondato mani e braccia nel sangue civile, e scavato solchi non colmabili di odio, un paese senza forza e senza coscienza di forza, un paese senza posto nel mondo, che non vi rappresenta niente, non ha niente da dare se non nuove masse di forza da lavoro, se gli altri lo vorranno.[4]

L'Italia che nasce modifica

Incipit modifica

Chi oggi, per rendersi conto di questa complessa realtà che si chiama Italia, si mette a risalire il corso accidentato e vario della sua storia, ora turbinoso, ora quasi stagnante, ora ben definito, ora aperto a cento correnti che vi confluiscono (ed anche defluiscono), dovrà fermarsi innanzi tutto, come è naturale, al XIX sec. ed al «Risorgimento», spingendosi sino a quella prima fase rivoluzionaria del 1796-9, quando taluni ceti e gruppi di Italiani cominciano ad agitare i loro problemi nazionali e piccoli manipoli passano anche all'azione, debba pur costare sacrifici ed esilii e galere e morte; e le masse popolari e contadinesche, anche contrapponendosi ai «patrioti» ed ai «giacobini», non sono più indifferenti ai mutamenti di governo e di padrone ma hanno anche esse una parola da dire ed un'arma da impugnare bravamente e sangue da dare per qualcosa che è pure, rudimentalmente, un ideale.

Citazioni modifica

  • Abbondano gli uomini come quel Guglielmo della Pusterla, milanese, di cui Bonvesin della Riva racconta che sedici volte podestà in nove comuni diversi, fra il XII e il XIII secolo, superava per naturale sapere, sebbene ignaro di lettere, i letterati. Tutto ciò che da un uomo non istruito può essere visto, egli aveva visto. (pp. 94-95)
  • Come Dante e Tommaso, Marsilio si ispira ad Aristotele, a quell'Aristotele degli Arabi che aveva avuto nel '200 il suo secolo d'oro. E da Aristotele, Marsilio, come Federico II, attinge il concetto dello Stato fornito di sufficiente individualità e autonomia e autorità, lo Stato creazione naturale e spontanea dell'uomo. (p. 148)
  • Ma quanto più energicamente affermato è da Marsilio il concetto della individualità e autosufficienza e nobiltà dello Stato, in confronto con San Tommaso e anche con Dante, che questo concetto avevano cercato di conciliare – né vi erano riusciti senza contraddizioni – con quello medievale che limitava lo Stato e lo faceva vivere all'ombra della Chiesa, illuminato come da una luce riflessa, e considerava lo Stato, i poteri civili tutti quanti come una dura necessità, imposta dalla corruzione in cui il già innocente uomo primitivo era caduto! Quanta più convinzione e concretezza nell'idea del popolo come fonte della legge! Marsilio batte e ribatte su questo che è come il motivo centrale dell'opera. Lasciando nell'ombra il primo e trascendente momento creativo o ispiratore della legge, egli mette in piena luce il momento umano, volontario, popolare. Questo diritto popolare non è per lui un diritto astratto, ma un diritto sempre vivo e operante. (pp. 148-149)

Storia d'Italia moderna modifica

Volume primo 1815-1898 modifica

  • Il suo repubblicanesimo nacque anche dalla persuasione che l'Italia potesse unificarsi solo abbattendo le sue dinastie. Ma se una di queste dinastie si fosse mostrata disposta a mettere le sue forze militari e il suo credito internazionale a disposizione dell'Italia, per conquistarle l'unità, allora, Mazzini era pronto a transigere con la Monarchia. E alla Monarchia più di una volta, dal 1830 in poi, Mazzini tese la mano, si offrì di aiutarla «a corpo perduto», se essa, cioè i Savoia, avesse consentito di cambiare la meschina corona piemontese con la corona d'Italia. L'avvenire poi avrebbe pensato esso a realizzare la Repubblica. (vol. 1, cap. 1, p. 7)
  • Gioberti attingeva un po' dai De Maistre, dai Lamennais, dai Saint-Simon; un po' dall'esempio concreto delle nazioni cattoliche d'Europa; Belgio o Polonia, dove il moto liberale e nazionale traeva vigore dal sentimento religioso e cattolico. (vol. 1, cap. 1, p. 11)
  • Giuseppe Garibaldi che fra il 1848 e il 1849 era tornato fieramente antisabaudo, e poi molti compagni suoi e di Mazzini, molti superstiti della difesa di Roma e di Venezia, stanchi di attendere, stanchi di discutere di repubblica e monarchia, stanchi di programmi che mai si realizzavano, stanchi di esilî, anzi fattisi persuasi proprio durante gli esilî del credito internazionale dello Stato sabaudo, cominciarono a sentire il fascino di Vittorio Emanuele, il Re semplice e leale, popolare nel tratto e insieme, quando necessario, grande signore, ricco di buon senso e impaziente di agire, ambizioso certo ma capace di volgere ad alti scopi l'ambizione. (vol. 1, cap. 1, p. 16)
  • In vero la Triplice Alleanza, non ostante che ci desse qualche impaccio in un momento che poteva essere fortunato per il nostro avvenire mediterraneo e coloniale, segnò per l'Italia l'inizio di una ripresa, dopo le audaci iniziative del Risorgimento. Essa rappresentò, tutto sommato, il primo nostro sforzo di risalite la corrente, dopo esserci lasciati andare alla deriva. (vol. 1, cap. 4, p. 112)

Volume secondo 1898-1910 modifica

  • Fra i «Giovani liberali» o «monarchici» è già apparso con singolari qualità di animatore, Giovanni Borelli, figlio di un garibaldino della spedizione Medici, nipote di un impiccato del duca di Modena nel 1831, generoso e disinteressato, pronto sempre, con animo di cavaliere antico, al cimento. (vol. 2, cap. 1, pp. 6-7)
  • Caldissimo per la Monarchia è Borelli: ma abbraccia di eguale amore Garibaldi e Mazzini. E la Monarchia, poi, la ama in quanto vede in essa l'antica alleata della classe produttrice e la nemica dei parassitismi feudali, la auspicata fiancheggiatrice della nuova rivoluzione nazionale. Di qui, la sua sconfinata ammirazione per Cavour, quale intermediario e artefice primo di quella alleanza: per cui il rinnovamento del vecchio liberalismo doveva consistere in un ritorno a Cavour, cioè ai principî. (vol. 2, cap. 1, p. 7)
  • [Enrico Corradini] [...] poneva a fondamento della vita la forza, la volontà, la lotta, e guardava con intimo rapimento gli oceani popolarsi di navi, le strade di ferrovie, le officine di strumenti sempre più potenti, il mondo di interessi contrastanti, vòlti a superarsi l'un l'altro, e passava per guerraiuolo, anticristiano, fomentatore di male passioni: [...]. (vol. 2, cap. 5, p. 332)
  • [Alfredo Oriani] Difficile definire politicamente questo uomo che era e voleva essere e si considerava essenzialmente un artista, uno «scrittore», innanzi tutto di drammi. Ma aveva anche affrontato con un volume scritto di getto un grosso problema morale e sociale, quello del divorzio. (vol. 2, cap. 6, p. 354)
  • Anche come pensiero politico, [Alfredo Oriani] non si immobilizzò dogmaticamente in un rigido credo di partito. Era stato repubblicaneggiante e antisabaudo, tutto Mazzini e Garibaldi, da autentico romagnolo. Ma poi aveva riconosciuto che il rinnovamento, l'ascesa ulteriore, la nuova rivoluzione si dovessero e potessero compiere su la base dell'Italia quale la storia aveva voluto che fosse, e si era idealmente conciliato con la Monarchia, anche e specialmente come più efficace strumento di rapporti internazionali. (vol. 2, cap. 6, p. 354)
  • [Angelo Conti] [...] rifuggiva, sì, dalla violenza, anzi professava la «religione dell'amore» e profetava morte e dissolte ben presto nella ruggine quelle macchine [esaltate da Corradini] e si raccoglieva tutto nella contemplazione, nel sogno, nella ricerca della pura bellezza, ma appunto per questo faceva una critica ultraestetica, sciolta da ogni contingenza, da ogni storia, tutta impressioni soggettive, tutta fantasia personale, tutta individualismo. (vol. 2, cap. 5, p. 332)
  • Polemiche tra Murri e l'avv. Filippo Meda attorno al 1900. Lo Stato, per Meda, lo Stato italiano uscito dalla rivoluzione non era quell'assoluto male, quell'irriducibile nemico che l'altro proclamava; non si mostrava, anche così com'era, impenetrabile agli ideali dei cattolici. Esso poteva sussistere e vivere in armonia con la Chiesa, se così piaceva agli uomini che erano al governo; poteva anzi diventare esso lo strumento di quella rinnovazione sociale che, auspice la Chiesa e secondo le sue direttive, si stava preparando e che era destino si dovesse compiere. (vol. 2, cap. 7, p. 399)
  • Poco conciliante fu solo con l'Italia nata con la rivoluzione unitaria. Con tutte le Potenze, anche non cattoliche, Leone XIII si mostrò sollecito di ristabilire contatti, aderenze, possibilità di collaborazione: con l'Italia no. Di essa fu quasi sempre critico acerbo. (vol. 2, cap. 7, p. 404)
  • Si direbbe che, con gli anni, con la scomparsa di Umberto[5] e l'avvento di Vittorio Emanuele III, quello assai vòlto a religione e questo piuttosto indifferente, riaffiorasse in Leone [XIII], nell'uomo che pure esisteva sotto il manto papale, un fondo come di rancore, per la ferita sempre aperta di Porta Pia; che in lui tornasse a riprender forza l'idea di certe rivendicazioni, se risponde al vero quel che pochi mesi prima di morire egli avrebbe detto ad un alto personaggio della Chiesa su la necessità del potere temporale. (vol. 2, cap. 7, p. 407)
  • [Nell'Italia del 1905] Covava da per tutto uno spirito di rivolta contro i ceti dirigenti e le autorità locali, che solo la forza teneva a freno. Bastava un tumulto: e allora, se la folla aveva via libera, cominciava l'assalto al Municipio, la distruzione dell'archivio e dei caselli daziari, il saccheggio delle case dei civili e, perché no?, atti d'ostilità contro la scuola. Poiché, proprio a Granmichele[6], nel programma della lega dei contadini c'era l'abolizione della scuola, come spesa improduttiva, responsabile anche essa delle troppe tasse. (vol. 2, cap. 7, pp. 428-429)

Incipit di Studi sulle istituzioni comunali a Pisa modifica

Il Comune pisano, nato dalla organizzazione privata degli armatori e dei mercanti di mare la quale si era tirata dietro nel moto di evoluzione e di rivoluzione che aveva messo quelli a capo della città, gli altri elementi sociali più affini e preparati; ed aveva trovato nel Comune e nella istituzione dei Consoli il suo logico e necessario assetto come forza sociale, si conserva nel XII secolo un comune marittimo per eccellenza i cui consoli sono gli eredi legittimi – come tali erano nei rapporti del sangue – di quegli arditi navigatori che avevan spazzato via dal Mediterraneo occidentale, prima e con più vigore di Genova, i pirati arabi della Spagna, della Sicilia, dell'Africa; che avevan spinto le prore contro le catene del porto di Palermo nel 1063 e raccolto attorno a sé, per la spedizione africana del 1088, tutti i navigatori e gli avventurieri del Tirreno.

Citazioni su Gioacchino Volpe modifica

  • Gioacchino Volpe, lo storico entusiasta del movimento, descrisse con tocchi delicati questo guazzabuglio osservando che il fascismo, come diceva Mussolini, non era un partito ma un anti-partito, non un organo di propaganda ma di combattimento, una sintesi di ogni negazione e di ogni affermazione, ammettendo infine che gli obbiettivi precisi per i quali esso combatteva non erano troppo chiari - cosa che agli occhi di Volpe non era né sorprendente né deplorevole. (Denis Mack Smith)
  • In Volpe, a differenza di quanto accadde a studiosi suoi contemporanei, il materialismo storico non fu mai volgare, perché egli lo intese come uno strumento atto a consentire l'individuazione del nesso strettissimo esistente tra i fatti della cultura e i fatti della vita. In lui era certo presente l'attenzione della struttura sociale, ma questa non diveniva mai il motore, primo e unico, degli eventi storici. (Francesco Perfetti)
  • L'Italia[7] di Volpe cammina ma non pensa. (Benedetto Croce)
  • Per circa venticinque anni Volpe si interessò soprattutto di storia medioevale, della quale fu allora il maggior cultore italiano. Scrittore efficacissimo, animato da un vivace senso della storia come perenne trasformazione, egli rivolse via via sempre più il suo interesse al problema della nascita dello Stato moderno e alla formazione della nazione italiana. All'epoca della grande guerra fu interventista ed assunse una posizione politica liberal-nazionale, dalla quale passò al fascismo. (Giorgio Candeloro)
  • Storico ben più robusto dell'antifascista Croce. (Gian Carlo Pajetta)

Note modifica

  1. Da Chiesa e democrazia medievale e moderna, in Nuova Antologia di lettere, scienze ed arti, quinta serie, settembre ottobre 1908, Direzione della «Nuova Antologia» Roma, 1908, p. 455.
  2. seguaci di Ferdinand Lassalle.
  3. Da Chiesa e democrazia medievale e moderna, in Nuova Antologia di lettere, scienze ed arti, quinta serie, settembre ottobre 1908, Direzione della «Nuova Antologia» Roma, 1908, p. 453.
  4. Da una lettera a Federico Chabod, 23 marzo 1946.
  5. Umberto I di Savoia, padre di Vittorio Emanuele III.
  6. Comune siciliano nell'attuale città metropolitana di Catania.
  7. Il riferimento è all'opera del Volpe, L'Italia che nasce

Bibliografia modifica

  • A. Frangioni, Gioacchino Volpe e Federico Chabod, una lunga storia, in Nuova Storia Contemporanea, VI, settembre-ottobre 2002, pp. 91 ss., in particolare pp. 110 ss.
  • Gioacchino Volpe, Studi sulle istituzioni comunali a Pisa, Tipografia successori fratelli Nistri, Pisa, 1902.
  • Gioacchino Volpe, L'Italia che nasce, Economica Vallecchi, Firenze, 1969.
  • Gioacchino Volpe, Storia d'Italia moderna, 2 voll., il Giornale Biblioteca storica, Milano, 2002.

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