Eugenio Salomone Camerini

linguista, critico letterario, giornalista e traduttore italiano
(Reindirizzamento da Eugenio Camerini)

Eugenio Salomone Camerini (1811 – 1875), letterato e giornalista italiano.

Eugenio Camerini

Donne illustri modifica

  • Gaetana Agnesi accoppiò in sé le virtù di due gran donne straniere: il sapere della Marchesa di Chatelet, l'amica di Voltaire e di Saint-Lambert, e la carità eroica di Santa Elisabetta. In altre età ella non avrebbe soltanto avuto un rapporto pieno di lodi per le sue Instituzioni analitiche dall'Accademia francese delle scienze e i complimenti di Benedetto XIV. Un papa, che non fosse stato corrispondente di Voltaire, e ove fossero corsi tempi di maggior fede, la avrebbe santificata. (p. 13)
  • [...] è opinione che lo spirito geometrico vada a rilento nel credere, e tuttavia la Agnesi fu piissima. – Visitata dal figlio del re di Svezia, di religione riformata, e richiesta dall'ajo di lui d'una parola di ricordo, gli disse in greco: È meglio creder molto che poco. (p. 15)
  • [Gaetana Agnesi] [...] la massima gloria di lei fu nelle matematiche. Le sue Instituzioni furono dall'Accademia delle scienze di Parigi giudicate il trattato più completo e meglio fatto che fosse fino a quei tempi uscito e il più acconcio al massimo progresso degli apprendenti. (p. 15)
  • Il Petrarca, il Tasso e Dante le rivelarono il suo genio poetico. Datasi, per vivere, al ballo, [Teresa Bandettini] tra una danza e l'altra leggeva la Divina Commedia. Esordì a Bastia, dove la chiamavano La Ballerina letterata [...]. Non era bella, ma
    I caldi occhi movean voci e parole,
    come cantò un senatore bolognese, ed il Cerretti che s'ideò di rispondere a questo sfavillìo, lanciandole un motto ardito all'orecchio, n'ebbe in cambio uno schiaffo. (p. 20)
  • Il Fornaciari[1] racconta che ella [Teresa Bandettini] non avea il gesto aggraziato né voce chiara: non bella: e tuttavia il suo fascino era irresistibile, e piacean senza fine
    Gl'incolti fior che del Parnaso in vetta
    nascean, figli dell'estro e dell'istante.
    (p. 20)
  • La Bandettini nella sua più tarda età ebbe gravi dolori d'animo: le morirono tre figliolette e poi il marito – Ella patì di un tremolìo in tutta la persona che per reggersi dovea puntellarsi al braccio di altri – Ella dicea scherzando che finiva come avea cominciato: ballando. (p. 23)
  • Ella [Tarquinia Molza] si ritrasse a Ferrara, nel 1580 o 1581, e quivi con le sorelle del duca Alfonso II, la Lucrezia e la Leonora del Tasso, si trattenne, e instituì un concerto di dame che fece furore. La sua bellezza, il suo spirito, le sue rare virtù di poesia, di suono e di canto innamorarono tutti i cavalieri di quella coltissima città. Il duca Alfonso mantenne una giostra per lei, e il Tasso immortalò questo onore resole in un sonetto:
    Donna ben degna, che per voi si cinga
    la gloriosa spada e corra in giostra
    il grande Alfonso, e s'altri a prova giostra
    e de' vostri color le piume ei tinga;
    non fia ch'a più begli occhi adorni e pinga
    l'arme dove i pensieri accenna e mostra,
    né da più bella man che dalla vostra
    prenda bel dono e in ballo indi la stringa.
    (p. 57)
  • [Irene di Spilimbergo] [...] donna di elevato spirito, perita in musica e di molta lettura. Fu allevata parte ove nacque[2] e parte in Venezia. D'ingegno vivace, non stette contenta ai lavori d'ago e di ricami, ove assai valse, ma attese con profitto alle lettere.
    Leggeva attentamente, notando ne' margini, od estraendo quello che a lei pareva degno d'osservazione. (p. 89)
  • [Irene di Spilimbergo] Era nemica mortale dell'ozio. Aveva preso il costume di levarsi il verno due o tre ore innanzi al giorno, e con poca sollecitudine della sua salute, che soffriva dal troppo vegliare e dal freddo. Quando le era detto di aversi cura, ella rispondeva: «A che aver tanto riguardo a questo corpicciuolo, ch'altro non è che vil fango e poca polvere?» (p. 90)
  • [Irene di Spilimbergo] Era bella di corpo, e tanto amabile e graziosa nel volto e in tutti i movimenti della persona, che era quasi impossibile che uomo l'incontrasse per istrada e non si fermasse a contemplarla. Era di statura mediocre ma formatissima di tutto il corpo. Aveva il volto ben misurato, pieno d'una certa venustà, e d'un sangue così dolce e benigno, che era soavissimo a contemplare. (p. 90)
  • Parecchi bei ritratti si citano di Caterina [Corner]: l'uno, e fu quello mandato ad innamorarne il re di Cipro, era opera di un Dario da Trivigi. Ella aveva allora dai quattordici ai quindici anni. Il Corbeltaldo[3], rifatto dal Carrer, dice miracoli della bellezza di lei: la fronte pari ad un chiaro cielo; le guancie, rose vermiglie; le labbra, coralli; i denti, perle; il collo, neve; le ciglia, nere, vaghe, lucide; gli occhi due stelle. Dal velo che non bene lo copriva, tralucea il colmo e ben tornito seno – le chiome d'oro – avvolte in rete pure di color d'oro. Più tardi queste bellezze dell'adolescenza scemarono un poco per la statura traente al piccolo male accompagnata ad un corpo alquanto pinguetto (Carrer); ma gli occhi sfolgoravano più vivaci che mai [...]. (p. 100)
  • [Sofonisba Anguissola] Nobile di nascita, bellissima d'aspetto, come già notammo, graziosa in ogni suo tratto e gesto, di soavissimo cantare e di buone lettere, ella venne ogni dì più in favore del re [Filippo II di Spagna]. Egli la elesse fra le altre dame alla custodia dell'infanta. Deliberando poi di maritarla altamente, ella gli chiese di grazia di unirla ad uomo italiano. (p. 105)
  • Ella [Sofonisba Anguissola] continuò a dipingere finché accecò. Né allora lasciò di trattenersi dell'arte diletta e delle sue difficoltà con gli altri pittori, e Antonio Van Dyck diceva aver ricevuto più luce, in ciò che alla sua professione apparteneva, da una cieca, che dall'opere de' più celebrati pittori. (p. 106)
  • Ella [Eleonora d'Arborea] ancora giovanetta sentiva che a reggere Stati non bastano le serene virtù dell'animo, se all'uopo non vanno congiunte colla sapiente vigoria dell'armi: ond'ella piaceasi nell'apprendere le cose di guerra, e ragionandone accendevasi in volto di ardore militare. (p. 111)
  • [Eleonora d'Arborea] Tanta era l'inclinazione sua alle armi, che, secondo si ritrae dal biografo di lei don Giovanni Cupello di Oristano, non ancora quattordicenne si finse oppressa da mal di capo, e rimasta sola nel suo palagio, avvicinossi al soldato di guardia con maniere dolci ed amabili richiedendogli la lancia; ma negandola lui, la richiese con voce più severa, e niegatale ancora la seconda e la terza volta, gli diede un pugno sì forte nella mano, che lasciò scappare la lancia. La prese ella tosto, e a lui voltasi gli chiese perdono dell'insulto; e mostrando gran contento ed allegria di stringere quell'arme si a pregarlo che volesse ammaestrarla a ben maneggiare lancia e spada, non senza minacciarlo della sua indegnazione se ogni giorno di nascosto non la istruisse. (p. 111)
  • Una peste letale nel 1404 desolava la Sardegna coprendola di orrenda strage, e la morte entrata in Oristano mieteva moltitudine di vittime. Allora la guerriera e la legislatrice [Eleonora d'Arborea] tutta fu intesa a provveder spedali, ad accorrere con medici e farmachi dove più il morbo infieriva e qui assisteva ai miseri appestati, là ricoverava gli orfani, largheggiando di affetti e di soccorsi, e tale divenne che oggi sarebbe sembrata una delle più zelanti suore di carità che vanno fra gl'infermi dei due mondi, angeli della misericordia a confortare le miserie umane. (pp. 113-114)
  • Nel 1616 [Arcangela Paladini] [...] fu chiamata alla Corte medicea dall'arciduchessa Maddalena d'Austria, moglie di Cosimo II. Ella vi ottenne gran plauso per la sua maestria così nel disegno, come nel canto, ed altresì pel suo genio poetico. [...]. Valse soprattutto nel ricamo a colori, arte difficilissima. (p. 125)
  • [Caterina Bon Brenzoni] Dello scrivere e del verseggiare, nota il Messedaglia, mai in sua vita conobbe ella altrimenti le regole che per averle sentite e indovinate nei classici; né mai seppe che fossero arte poetica e prosodia. (p. 165)
  • Bellissima e costumata secondo le più fine norme di quell'età, [Beatrice Lascaris] attrasse gli animi più fieri e schivi; e tra gli altri Facino Cane[4], capitano di feroci soldati, se ne invaghì per forma, che, impaziente d'ogni indugio, dicono la rapisse al padre. La prima vaghezza si fece amore saldo e riverente quando la vide consorte anche alle sue imprese di guerra, dove fu eccitatrice di valore e persuaditrice di mitezza e di temperanza. (p. 174)
  • [Elena Lucrezia Corner, dopo la laurea in filosofia] Dovea laurearsi anche in teologia, che avea studiata sotto un cotal Marchetti da Camerano; ma perché donna, e secondo San Paolo mulieres non docent, o per una malattia sopravvenuta, il pensiero non ebbe effetto. (p. 180)
  • Nella sua città [Elena Lucrezia Corner] fu onoratissima. Il Consiglio dei Pregadi[5] differì ad un altro giorno il deliberare, perché i senatori potessero intervenire ad una sua Orazione. E fu tenuta di sì perfetto giudizio ed equità, che fu eletta arbitra in una lite importante di due famiglie. (p. 181)
  • [Elena Lucrezia Corner] Abbiamo parlato della scienza; tocchiamo ora della sua religione e pietà. Già da fanciullina si mostrava aliena dalle vanità del mondo. Vedendo un giorno spendersi dal padre in intagli e dorature, a fregio del proprio palazzo, non poco denaro : «Padre mio, disse la fanciulletta, e perché non dispensare piuttosto ai poveri questo denaro?». Giovanetta, non prendeva parte volentieri alle gale e feste di casa: e quando, adulta, andò a stare a Padova, non si valeva che raramente della carrozza; andava il più a piedi; gli argenti non metteva fuori se non alle visite del padre; e del suo assegno spendeva la massima parte in elemosine ed altre opere di pietà. (pp. 181-182)
  • [Sarah Siddons] Byron, che la nominò con grande onore ne' suoi versi, diceva degli attori più celebri: che Cooke era il più naturale, Kemble il più sovrannaturale, Kean un che di mezzo tra l'uno e l'altro, ma che la Siddons valeva quanto essi presi tutti insieme. (p. 193)
  • È notevole ch'ella [Rosa Bonheur] non indovinò alla prima il genere in cui sarebbe riuscita. Ella andava tutte le mattine al Louvre a copiare i capolavori dei pittori italiani, i quadri di Rubens, di Poussin, di Lesueur; disegnava dai marmi antichi, e spregiava il naturalismo olandese. Trascurava le tele di Paul Potter, i paesaggi di Ruysdäel, i cieli limpidi di Carlo Dujardin. Dopo quattr'anni di questi forti studi, s'avvide che né la pittura storica, né la pittura di genere si affacevano al suo ingegno, e ch'ella era nata a pingere paesi ed animali. (p. 196)
  • Un giorno uno straniero avendo chiesto ad Angelica [Kauffmann] un dipinto non troppo pudico, ella rappresentò una ninfa che, sorpresa nel momento di svestirsi, si ammanta in fretta d'un velo bianco. Così salvò il pudore e contentò lo straniero. (p. 203)
  • Maria Stuarda passava per la più bella donna del suo tempo; era assai colta, e si hanno sue graziose poesie in francese [...]. (p. 213)
  • Questa donna ebbe virtù, dice il Mignet[6], di appassionare i posteri e veramente non i soli cattolici, che la tengono per una martire della loro religione, ma le anime gentili di qualunque credenza si sentono attratte dalla pietosa immagine della Stuarda. (p. 215)
  • Ella [Madamigella Rachel] avea diciott'anni. Grande della persona, di nobile portamento, appassionata, facea vibrare di tutta la potenza della sua altera anima, i versi della vecchia tragedia, e tutta la Francia andò presa all'arte sublime e in gran parte inconscia della attrice miracolosa. (p. 224)
  • [Madamigella Rachel] Il suo nobile gesto, le sue attitudini scultorie si avvenivano all'idea che ci siamo formati delle regine e donne illustri dell'antichità. Meno potente nell'espressione dei sentimenti teneri e delicati che nell'ironia, nell'ira e nello sdegno si accostava anche per ciò a quella certa rigidità che troviamo nell'antica rappresentazione degli affetti. (p. 224)
  • Eugenio Alberi[7] ne scrisse la vita e tentò invano difendere [Caterina de' Medici] questo verme uscito dal sepolcro d'Italia, come la chiamò il Michelet[8], che, come il verme della leggenda scandinava, crebbe in uno smisurato e voracissimo serpente della libertà religiosa[9]. (p. 233)
  • Ella [Juliette Récamier] aveva un'onestà naturale e come una ritrosia di macchiare la sua celeste bellezza. Anche il vecchio letterato Laharpe la adorò e le scrivea: Je vous aime comme on aime un ange et j'espère qu'il n'y a pas de danger. Ma il più notevole si era che le donne la adoravano non meno che gli uomini; e le più serie, come la Svetchine, la corteggiavano. (p. 243)

I precursori del Goldoni modifica

  • G. B. Porta è famoso come scienziato, ma la scienza in Italia non fu mai nemica delle lettere e dei geniali esercizii. Galileo scrisse l'abbozzo d'una commedia; il Torricelli parecchie: lasciando stare le graziose effusioni poetiche dei Redi e dei Bellini. Se non che il Porta vive più nelle sue commedie che ne' suoi scritti scientifici. Per contra a quei tempi la sua scienza attraeva più e facea più romore che la sua vena comica. (p. 4)
  • Il Porta, che fu dei Lincei, amò l'esperienza, la cercò così ne' suoi studj, come ne' suoi viaggi. Egli fu l'Erodoto della scienza. Egli interrogò sapienti ed artefici; visitò scuole ed officine; andò tracciando segreti con ingegni sottili ed amici; tantoché è difficile vedere qual parte del vero che contengono i suoi libri sia proprio sua o accattata d'altronde. (p. 5)
  • Io ho sempre pensato, dice Bartolomeo Zanetti editore del Porta, che l'ingegno di lui somigli alle palme di Babilonia, delle quali si dice che gli Assiri faccian mèle[10], preparino cibi, raccolgano vino, tessano vesti, e cavino cento altre utilità così per sostentare la vita come por adornarla. Così egli produsse o elaborò infiniti ornamenti od aiuti. Alla coltura dell'animo provvide con le disputazioni filosofiche e le elucubrazioni matematiche; a riaverlo e ristorarlo con la Villa , il Pomario e le commedie lepidissime. Ad ornarlo scrisse volumi delle cose mirabili ed altri di molteplice erudizione. Brevemente, tu trovi in lui quanto è riposto nella maestà della natura o si aggira nella luce di questo universo. (p. 6)
  • Il Bernini nel recitar commedie a soggetto valeva assai più del [Salvator] Rosa, non tanto por lo spirito, quanto per l'invenzione. Fece egli mirabilmente, dice il Baldinucci, tutte le parti serie e ridicole e in tutti i linguaggi (dialetti)[11]. Talvolta durò un mese intero a rappresentare tutte le parti da per se stesso per insegnare agli altri e poi fare a ciascheduno la parte sua. (pp. 79-80)
  • Il Bernini vinceva poi il [Salvator] Rosa per un altro lato, assai importante nelle cose sceniche. Egli era solenne maestro di macchine, ed ora figurando un incendio, ora un'inondazione spauriva gli spettatori che fuggivano temendo di annegare o d'ardere. (pp. 80-81)
  • Quali si siano i difetti delle lettere dell'Aretino, a noi paion preziose come uno dei più espressivi ritratti della vita letteraria ed artistica del suo tempo. Egli solo osava dir tutto e lo diceva con certa efficacia e verità tanto che si fa leggere con sommo diletto. (p. 144-145)
  • Fra gl'ingegni eterocliti, come si diceva nel cinquecento, od eccentrici come si direbbe oggi, spiccò mirabilmente Antonfrancesco Doni, fiorentino. Aggiratosi per diverse città e stamperie, serbò il sapore del dir nativo non ostante la bassa lega, presa altrove, con cui ne intorbidò la chiarezza [...]. (p. 166)
  • [...] gettato il cappuccio de' Servi, e rimasto prete, [Anton Francesco Doni] voleva spretarsi come s'era sfratato, e non potendo, usurpava dal suo grado la licenza dei costumi e della parola; cortigiano e cinico, amico fino all'entusiasmo, nemico fino alla delazione, musico, novelliere, bibliografo, scrittore pieno di capricci, e che avrebbe voluto, come in quella fola di Perrault, che le parole, uscendogli di bocca, diventassero oro; erano in effetto oro e piombo. (p. 166-167)
  • L'Aretino fu, secondo il Chasles[12], il gran giornalista del secolo decimosesto [...]. (p. 167)
  • [Anton Francesco Doni] [...] non fu novelliere di proposito, ma d'occasione; non raccontò con solennità, ma con disinvoltura ariostesca; disse naturalmente ed efficacemente come chi, trovandosi in una conversazione, s'abbatta a narrar un caso ch'altri ascolta con affetto, non come chi si ponga a magnificar con parole una storia inetta. Fatta ragione del tempo, che aveva modi di sentire e d'esprimere non poco vari dai nostri, il Doni è moderno per la franchezza, per l'efficacia, per quell'andare difilato al suo fine, senza strascichi o ammennicoli ciceroniani. (p. 168)
  • Onorato Balzac raccoglieva i suoi capolavori sotto il titolo di Commedia umana; erano gran frammenti che rappresentavano la vita dei nostri tempi, ma con tali particolarità e svolgimenti che i volumi s'ammassavano e la piena rappresentazione era di là da venire. Erasmo in uno scorcio magistrale fece quel che Balzac tentò invano nelle sue superbe tele; l'Elogio della Pazzia è la commedia umana, ne' suoi principali lineamenti, colta in un tempo fecondo di contrasti e ricco d'originalità. (p. 187-188)
  • [Erasmo da Rotterdam] Promotore possente degli studj classici, maestro di stile elegante a' suoi stessi avversarj, che lo maledicevano con le sue frasi, egli si levò contro all'idolatria di Cicerone, che trascinava anche i segretari dei brevi pontificj a render pagana la lingua della liturgia e della gerarchia cattolica. (p. 189)
  • [Erasmo da Rotterdam] Mancata a noi e a lui la fortuna che fosse nato in Italia, dove era una lingua fiorente e nobile, che gli Amasei e i pedanti suoi pari non potevano abbuiare, costretto a servirsi di una favella morta [il latino], egli voleva almeno avvivarla con l'indipendenza dotta e ingegnosa, e scrisse quel libro contro i Ciceroniani, che ne vennero in tal furore da paragonarlo a Catilina. – Il più furioso, Giulio Cesare Scaligero, gli versò addosso tutte le sozzure della sua penna, sostenendo fra l'altre cose, che, abbagliato dal vino, aveva guasto le edizioni di Aldo Manuzio, quando in quella stamperia faceva l'ufficio di correttore [...]. (p. 189)
  • [Tommaso Garzoni] Era d'immensa lettura, di straordinaria memoria; scriveva spagnuolo; sapeva d'ebraico; componeva versi spirituali. (p. 207)
  • Il Garzoni, grande infilzatore di citazioni, è pur pregevole per le notizie che dà de' suoi tempi, e per tale suo merito, vedendolo appena citato nelle nostre storie letterarie, ne fo quest'appunto. (p. 210)

Profili letterari modifica

  • Egli [Jules Michelet] combatté tutte le battaglie della vita; le privazioni e le sofferenze accompagnarono i suoi primi studii; le persecuzioni, il suo splendido insegnamento; e i potenti andarono fin sulla cattedra a mozzargli in bocca la parola di vita. Ebbro dell'amore dell'umanità, gli ostacoli fecero scattare più vivamente quel suo pensiero affettuoso, tenero, che sembra il battito del cuore dei secoli. Chi può leggerlo e non amarlo, e non sentire avverata quella fantasia pitagorica di ricordarsi tutte le vite per cui l'anima nostra è trascorsa? Noi ci sentiamo uni, identici, eterni nei libri del Michelet, sopraffatti da cumuli di dolori inenarrabili, e pur consolati dal sorriso della natura, che nelle sue vicende ci rinnova agli affanni e alla gioia. (p. 33)
  • Letterato, [François Guizot] non fu studioso di leggiadria, ma assai geloso della proprietà del dire, come mostrano i suoi Sinonimi; egli amò ed onorò l'arte, non la minuta, ma la grande, quella di Corneille e di Shakespeare. Egli illustrò l'uno e tradusse l'altro. (p. 65)
  • Oratore, il Guizot ebbe l'intrepidità di una coscienza pura e ferma, e l'eloquenza che viene da un vasto sapere e dalla pratica delle cose del mondo: perito sovra ogni altro nelle norme costituzionali e nella storia inglese, era sovrano nell'angusto cerchio della Carta. Come nelle interne, così nelle questioni esterne vinceva facilmente i declamatori della sinistra. Le cause più disperate gli crescevan l'ingegno; e gl'insulti più acerbi elevavan la sua parola. Non era mai colto sprovveduto: e le folgori più acute gli cadevano spente ai piedi. (pp. 65-66)
  • Il Vacchero, ricco, animoso, cinto di clienti, non potea patire quella viltà da servi, e qui batteva principalmente la sua guerra ai patrizi. Egli andava a cercarli nelle lor vie. Si parava loro innanzi con le mani sui fianchi, e miratili in faccia con manifesto sprezzo, non faceva loro un menomo segno di civiltà o di cortesia. Munito d'armi vietate, col cappello tirato in sulle ciglia, coi mustacchi rabbuffati in alto, spirava l'odio e presagiva la morte in quella sua faccia pallida, esangue. (p. 78)
  • Il 16 maggio 1862 moriva in Napoli un uomo, che la nuova libertà avea trasformato di dotto scrittore, in fecondo e possente giornalista. Nei primi e gravi lavori di Aurelio Bianchi-Giovini tralucea già la facilità e versatilità dell'ingegno, la prontezza e l'arguzia della parola, l'inesauribile vigor polemico: ma non si sarebbe facilmente argomentato ch'egli nella novità della stampa, senza esperienza e quasi senza esempii, potesse riuscir così eccellente da star a paro co' provetti scrittori d'Inghilterra e di Francia. (p. 79)
  • [...] padre Bresciani ha i difetti della scuola gesuitica; scuola troppo plastica, troppo ornativa, troppo rettorica [...]. (p. 85)
  • [Padre Bresciani] [...] è spesso azzimato, lezioso e privo dei doni della grande eloquenza. Egli cura molto, anzi troppo, le parti di un libro; fa graziose miniature; non ha mai la sprezzatura, ma neppure l'unità e il sublime di un gran quadro storico. Ogni pagina si può leggere da sé e ammirare; leggerle tutte di filo è difficile. Egli è padrone della lingua; ne gira tutti i tesori; ma li va sciorinando a pompa, e non ne usa soltanto ai bisogni del pensiero. Utilissimo a studiare dai giovani, non potrebbe darsi loro ad esempio troppo domestico e assiduo; imparerebbero il ricamo, non la meccanica della gran produzione letteraria. (pp. 86-87)
  • Il Gioberti non sapeva dividere lo studio dalla vita, gli assunti dello scienziato dai doveri del cittadino. Fedele ai maestri, e pronto a rimettere della grazia del principe per incuorarli, se non poteva sostenerli, come nel caso del Dettori, si porgeva amorevole maestro e confortatore ai suoi coetanei, ch'egli organizzava primo in una scuola normale, a dir così, di studi civili e di libertà. (p. 96)
  • Un giovane compatriota d'Empedocle [...], il signor Lioy ha tentato un Cosmos sotto l'idea della vita. La vita nell'Universo è un poema, ma tramezzato di dissertazioni più specialmente e particolarmente scientifiche. Quando egli mostra la materia vitalizzarsi e sublimarsi fino alle raffinatezze umane, quando egli, combattendo securo e vittorioso sullo stretto ponte del Rodomonte ariostesco, mostra che l'anima è la più alta sublimazione della vita, egli è non solo scienziato, ma anche poeta; quando egli entra in discussioni più minute, come, per esempio, in quella delle relazioni dei generatori e dei generati, egli è istruttivo, ameno; ma rompe il corso della sua alta poesia; e forse rimandando alle note e agli schiarimenti una parte di particolari che non servono a dimostrare direttamente la sua tesi, il libro n'acquisterebbe un maggiore effetto; sebbene a dispetto di tutte queste slargature riesca bellissimo ed ammaliante. (pp. 107-108)
  • Fu bello al giovane autore [Paolo Lioy] il rincorarsi di spiegare tutti i fenomeni naturali e morali con le progressive vitalizzazioni della materia, e di poter tuttavia riconciliare lo spiritualismo e il materialismo. Il suo è certo uno spiritualismo, ma sì universale che potrebbe confondersi col panteismo. (p. 110)

Citazioni su Eugenio Salomone Camerini modifica

  • Un critico originale ed ardito, che, fra i primi, ebbe il coraggio di francarsi dalla soggezione delle vecchie tradizioni, è il Camerini, nei cui scritti non si trova tutta la vita letteraria del popolo italiano, ma alcune delle sue faccie più caratteristiche. Egli vede ed apprezza tutto quello che é di buono nella nostra letteratura, e vede e nota molte cose, che mancano. Sdegnoso di calcare le strade battute, anima artistica e culta, severo con sé stesso, troppo indulgente verso gli altri, non è però sempre risoluto ne' suoi giudizi, e oscilla tra il determinato e un non so che di vago e di nebbioso. (Pompeo Gherardo Molmenti)

Note modifica

  1. Luigi Fornaciari (1798 – 1858), scrittore italiano.
  2. Spilimbergo, comune del Friuli-Venezia Giulia.
  3. Antonio Colbertaldo, biografo di Caterina Corner.
  4. Bonifacio Cane, detto Facino (1360 – 1412), condottiero italiano.
  5. Organo costituzionale della Repubblica di Venezia, chiamato anche Consiglio dei Rogadi o, più comunemente, Senato.
  6. François-Auguste Mignet (1796 – 1884), scrittore e storico francese.
  7. Eugenio Alberi (1807 – 1878), erudito e poligrafo italiano.
  8. Jules Michelet.
  9. Allusione alla vicenda degli ugonotti in Francia, culminata nella strage avvenuta tra il 23 e il 24 agosto 1572 (notte di san Bartolomeo).
  10. Variante poetica o popolare di "miele".
  11. Il Bandello IV. 2. – Parlava poi ogni linguaggio di tutte le città d'Italia sì naturalmente come in quelli luoghi fosse nasciuto e stato da fanciullo nodrito. [N.d.A.]
  12. Philarète Chasles (1799 – 1873), critico letterario, giornalista e traduttore francese.

Bibliografia modifica

Altri progetti modifica