Andrea Camilleri

scrittore, sceneggiatore, regista teatrale e drammaturgo italiano (1925-2019)

Andrea Calogero Camilleri (1925 – 2019), scrittore, sceneggiatore e regista italiano.

Andrea Camilleri nel 2010
Per approfondire, vedi: Andrea Camilleri e Saverio Lodato.

Citazioni di Andrea Camilleri

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  • A seconda dell'ora, la notte cangia odore.[1]
  • Agrigento mi fa pensare al fascismo, Girgenti a Pirandello.[2]
  • [Il certificato di esistenza in vita] cima abissale d'imbecillità burocratica. Cosa avrebbe strumentiato Gogol', con le sue anime morte, davanti a un certificato simile? Franz Kafka, se gli fosse capitato tra le mani, avrebbe potuto ricavarne uno dei suoi angosciosi racconti. E ora, con l'autocertificazione, come si sarebbe dovuto procedere? Qual era la prassi, tanto per usare una parola amata dagli uffici? Uno scriveva su un foglio di carta una frase tipo «Io sottoscritto Montalbano Salvo dichiaro d'essere esistente», lo firmava e lo consegnava all'impiegato addetto?[3]
  • Credo di capire la sorpresa e l'interesse che le nove poesie che Lucio Piccolo stampò a sue spese e inviò a Montale suscitarono appunto in Montale. Il fatto è che quelle nove poesie si distaccavano completamente, del tutto, da quella che era la linea predominante fino a quel momento della poesia italiana.[4]
  • Come fa uno a farisi capace che il tempo passa, e lo cangia, se tutti i jorni e tutte le notti non fa altro che ripetiri squasi meccanicamenti gli stissi gesti e diri le stisse paroli? (da Un giro in giostra, in Gran Circo Taddei e altre storie di Vigàta, Sellerio editore, Palermo, 2011, p. 235)
  • Penso al paradiso: il paesaggio rasenterebbe la sicilianità visiva, che pace! Montalbano me lo immagino disoccupato, circondato da un placido volteggiare di anatre. E una tazzina di caffè fumante.[5]
  • Confesso, con Neruda, che ho vissuto. Ma mi corre l'obbligo di confessare anche che, alla mia veneranda età, molte delle cose per le quali ho vissuto mi appaiono come fatte da una persona che aveva il mio nome, le mie fattezze, ma che sostanzialmente non ero io. (da Segnali di fumo, Utet, 2014)
  • [Su Il Gattopardo] È un romanzo sopravvalutato. Tomasi di Lampedusa è bloccato in un'idea astorica della Sicilia, crede di fare la storia invece fa il pianto su quel che una certa parte della nobiltà è stata per la Sicilia.[6]
  • [Su Il giorno della civetta] È uno di quei libri che non avrei voluto fossero mai stati scritti. Ho una mia personale teoria. Non si può fare di un mafioso un protagonista, perché diventa eroe e viene nobilitato dalla scrittura. Don Mariano Arena, il capomafia del Giorno della civetta, giganteggia. Quella sua classificazione degli uomini – omini, sott'omini, ominicchi, piglia 'n culo e quaquaraquà – la condividiamo tutti. Quindi finisce con l'essere indirettamente una sorta di illustrazione positiva del mafioso e ci fa dimenticare che è il mandante di omicidi e fatti di sangue. Questi sono i pericoli che si corrono quando si scrive di mafia. La letteratura migliore per parlare di mafia sono i verbali dei poliziotti e le sentenze dei giudici.[7]
  • [Su Leonardo Sciascia] Fummo quasi obbligati all'amicizia, avevamo tante cose in comune, vivevamo a trenta chilometri di distanza, lui aveva avuto come professore Vitaliano Brancati, che era mio amico, e poi tutti e due eravamo sotto il segno di Pirandello, il nostro nume tutelare. Io feci uno sceneggiato da un suo racconto, lui portò un mio libro a Elvira Sellerio e fu grazie a lui che iniziai la mia collaborazione con la casa editrice. Eravamo veri amici perché litigavamo, la vera amicizia è quella, sennò sai che noia... Leonardo per me è una medicina: quando mi sento un po' scarico, e a 88 anni suonati ne ho anche il diritto, piglio un suo libro, leggo tre pagine e mi sento ricaricato: è come l'elettrauto.[6]
  • Il problema da qualche anno nel nostro Paese che si va facendo sempre più gravoso, fino a diventare insopportabile, è la violenza sulle donne.
    Questo tipo di violenza che spesso e volentieri arriva all’omicidio, magari effettuato nei modi più crudeli e più barbari, ha una caratteristica: nella maggior parte dei casi viene compiuto da fidanzati, ex fidanzati, mariti, ex mariti. Viene fuori un desolante quadro di arretratezza dei nostri costumi, di sconsolante angustia mentale.
    In Italia una gran quantità di maschi, di qualsiasi classe sociale, considera la donna oggetto di sua proprietà in aeternum, come se non dovesse avere mai più la libertà… Questa concezione è il modo più degradante e più abietto di considerare la persona umana.
    Il rifiuto alla sottomissione non ha che un verdetto possibile: la morte, l’annullamento totale dell’esistenza di una donna che ha osato opporsi.
    Potremo vantarci della ripresa economica, della disoccupazione diminuita, dei tanti passi avanti ma in realtà sono dei passi falsi in avanti che ci riportano indietro nel Medioevo.
    Fino a quando non raggiungeremo questo concetto di parità assoluta tra uomo e donna, non riusciremo ad andare avanti. Speriamo di farcela... [8]
  • [La Scala dei Turchi] Il profilo della parte più alta della collina di marna candida s'incideva contro l'azzurro del cielo terso, senza una nuvola, ed era incoronato da siepi di un verde intenso. Nella parte più bassa, la punta formata dagli ultimi gradoni che sprofondavano nel blu chiaro del mare, pigliata in pieno dal sole, si tingeva, sbrilluccicando, di sfumature che tiravano al rosa carrico. Invece la zona più arretrata del costone poggiava tutta sul giallo della rina. Montalbano si sentì sturduto dall'eccesso dei colori, vere e proprie grida, tanto che dovette per un attimo inserrare l'occhi e tapparsi le orecchie con le mano. C'era ancora un centinaro de metri per arrivare alla base della collina, ma preferì ammirarla a distanza: si scantava[9]di venirsi a trovare nella reale irrealtà di un quadro, di una pittura, d'addivintare lui stesso una macchia – certamente stonata – di colore.
    S'assittò sulla sabbia asciutta, affatato.[10]
  • "Il prossimo sdilluvio universale" pinsò "non sarà fatto d'acqua, ma di tutti i nostri rifiuti accumulati nei secoli. Moriremo assuffucati dalla nostra stissa merda."[11]
  • L'assedio universale alla bellezza delle nostrane terre coltivate e innaffiate dal sudore freddo di calorosi contadini paesanotti mi fa pensare allo stesso rapporto che sussiste tra lu cielu niuru della notte e 'u suli stricatu su la volta cieleste d'estate: la morte me la immagino proprio così, una lotta ('na sciàrra) tra l'una e l'altro. Sarà bello quando potrò finalmente vederlo nel giorno della mia morte.[12]
  • Il rapporto tra la Sicilia e gli Stati Uniti è sempre stato strettissimo. Prima ancora dell'Unità d'Italia, quindi ancora con i Borbone, il Regno delle due Sicilie fu il primo stato italiano a possedere un transatlantico, e la quantità di gente che andava negli Stati Uniti fece sì che il governo borbonico stabilisse la partenza del transatlantico non da Napoli ma da Palermo.[13]
  • [Su José Borjes] In pochissimo tempo si fece alleato un ex sottufficiale borbonico diventato brigante di primissimo rango, Carmine Crocco, e diede inizio a una impresa veramente leggendaria che mise spalle a muro l'esercito italiano. (da Romanzi storici e civili, Mondadori, 2004, p. 308)
  • Insomma ci sono uomini di qualità che, messi in certi posti, risultano inadatti proprio per le loro qualità all'occhi di gente che qualità non ne ha, ma in compenso fa politica. (da La prima indagine di Montalbano, ne La prima indagine di Montalbano, Oscar bestsellers Arnoldo Mondadori Editore, novembre 2005, p. 126)
  • L'omo, va a sapiri pirchì, si fa pirsuaso istintivamenti che ogni cangiamento comporti un certo movimento, 'nveci i cangiamenti veri succedono ammucciati sutta all'apparenza dell'immobilità. (da Un giro in giostra, in Gran Circo Taddei e altre storie di Vigàta, Sellerio editore, Palermo, 2011, p. 235)
  • Morirò prima di Montalbano nonostante lui morì prima di me. La mia morte segnerà la fine di Montalbano e, nonostante tutto, Montalbano sopravviverà senza di me. Montalbano vivrà nei miei romanzi così come io vivrò nei suoi pensieri. Sicilia, chistu è 'u mio lascito alla mia bedda terra.[14]
  • La felicità per me non ha motivazioni, non ne ha mai avute, per me è fatta di cose ridicole… Io la felicità l’ho trovata sempre nelle cose terrene, concrete, negli odori, nei sapori, nei rapporti umani, non nella letteratura.[15]
  • La massima fortuna che un omo può aviri nella vita è quella di non arrivare mai a un punto di disperazione dal quale non puoi tomare narrè. (da Il medaglione, Piccola Biblioteca Oscar Mondadori, 2005, p. 23)
  • La percezione era che Sacco, un calzolaio, e Vanzetti, un pescivendolo, fossero le vittime di un'ondata repressiva che stava investendo l'America di Woodrow Wilson. In Italia, comitati e organizzazioni contrari alla sentenza spuntarono come funghi non appena essa fu annunciata. Quando la sentenza fu eseguita, nel 1927, il fascismo era al potere in Italia da quasi cinque anni e consolidava brutalmente la propria dittatura, perseguitando e imprigionando chiunque fosse ostile al regime, inclusi naturalmente gli anarchici. Eppure, quando Sacco e Vanzetti furono giustiziati, il più grande quotidiano italiano, il Corriere della sera, non esitò a dedicare alla notizia un titolo a sei colonne. In bella evidenza tra occhielli e sottotitoli campeggiava un'affermazione: "Erano innocenti".[16] 
  • La perdita della solidarietà dell’uomo con l’uomo è gravissima, più grave di un fatto politico. Sta cambiando il nostro dna e non so spiegarmene le ragioni.[17]
  • La sicilitudine è il lamento che il siciliano fa di sé. Vittorio Nisticò fece un giornale leggendario che era l'Ora di Palermo. Vittorio diceva che i siciliani si dividono in due grandi categorie. I siciliani di scoglio e i siciliani di mare aperto. Il siciliano di scoglio è quello che riesce ad allontanarsi fino al più vicino scoglio. Il siciliano di mare aperto invece prende il largo e se ne va. Leonardo [Sciascia] era un siciliano di scoglio, non c'è dubbio. Però il suo scoglio era così alto che lui da lassù poteva guardare il mondo. Non riusciva a stare lontano dalla Sicilia. [...] Sicilitudine è una condizione segnata con l'evidenziatore da alcuni particolari. È, come dire, un gusto compiaciuto per l'essere isolati, per il sentirsi diversi. Invece non lo siamo, diversi. Siamo semplicemente separati dalla terra ferma. La questione divenne la sicilianità, soprattutto per quanto riguarda i caratteri negativi: la sicilianità è molto semplicemente il prodotto di 13 o 14 dominazioni diverse che si sono susseguite in Sicilia. È il senso dell'isola. I siciliani di queste 13 dominazioni hanno preso il meglio e il peggio. Quindi si sono creati un carattere prismatico, cioè assolutamente contraddittorio. Tra persona e persona, tra siciliano e siciliano.[7]
  • La Torre era un siciliano di scoglio che se si metteva in mare poteva scoprire l'America.[18]
  • Leggere le pagine dei quotidiani siciliani è, purtroppo spesso, assai più appassionante di un romanzo giallo. Una volta Italo Calvino scrisse a Leonardo Sciascia che era praticamente impossibile ambientare una storia gialla dalle nostre parti essendo la Sicilia, disse pressappoco così, prevedibile come una partita a scacchi. Il che dimostrava inequivocabilmente come Italo Calvino non sapesse giocare a scacchi e soprattutto non conoscesse né la Sicilia né i siciliani. (da La mafia e le alte sfere, la Repubblica, 11 luglio 1999)
  • Ma tengo a precisare, onde evitare gelosie, che io ero un amico di Sciascia di secondo grado. Perché ci sono gli amici di primo grado, quelli ai quali si fanno confidenze. E io non appartenevo a questa cerchia. Ero nella cerchia immediatamente dopo, tra quelli che lo chiamavano Leonardo e non lo chiamavano Nanà, come facevano gli amici intimi.[7]
  • Mi hanno domandato come abbia fatto a essere comunista appena diciassettenne e ancora col fascismo al potere. La domanda era però incompleta, perché prima ancora di chiedermi come avevo fatto a essere, avrebbero dovuto domandarmi come avevo fatto a non essere.[19]
  • Moravia amava marcare con Leonardo Sciascia la differenza tra un siciliano e un milanese: un milanese tende a rendere essenziali anche le cose più complesse; un siciliano, diceva Moravia a Sciascia, rende complicate anche le cose più semplici.[20]
  • Noi non mettiamo in discussione l'accoglienza. Abbiamo dimostrato di saperlo fare meglio degli altri. Per secoli siamo stati terra di passaggio e di scambio. Il problema è che sono troppi. E noi non siamo in grado di gestire queste masse di disperati.[21]
  • [Sulla festa dei morti in Sicilia] Noi siamo stati un popolo che ha subito ben tredici dominazioni. Forse la dominazione che avrebbe potuto riscattarci, in un certo senso, dal carattere, sarebbe stata quella francese. Ma le altre, la greca, la romana, l'araba e la spagnola, sono state dominazioni che avevano un acutissimo senso della morte ed un altissimo senso della ritualità connessa ad essa. Quando ero bambino, ricevevo il regalo il 2 novembre, vale a dire il giorno dei morti, perché la tradizione voleva che in quel giorno i morti, durante la notte precedente, fossero tornati nelle loro case e portassero i regali ai loro discendenti. Come si svolgeva questo rito? Prima di andare a dormire, mettevamo sotto il letto un canestrino, e aspettavamo che il morto o la morta di casa, a cui avevamo scritto una letterina, come si fa oggi con Babbo Natale, ci portasse i regali. I dolci erano il regalo che avevamo scelto. Nessuna paura di un morto, anzi la voglia di averlo in qualche modo presente. Quindi di mattina, appena svegliati, andavamo alla ricerca di questo cestino. La ricerca dei regali era una cosa fantastica. Finalmente trovavi il cestino e quindi si andava tutti assieme al cimitero per ringraziare il morto che ci aveva portato i regali. Quel cimitero il 2 novembre si animava come a festa, perché noi bambini, nei vialetti, ci scambiavamo i doni, e il giorno dei morti era una festa meravigliosa. Poi nel 1943 arrivarono gli americani, lentamente i morti persero la strada di casa e vennero sostituiti dell'albero di Natale. Credo che però le tradizioni non si perdano del tutto. Non si trovano più i regali, i bambini non mettono più il cestino sotto il letto. Ciò non toglie che tutte le pasticcerie siciliane, per il 2 novembre, preparino quei dolci speciali che servivano una volta per il cestino dei bambini. Mi riferisco ai pupi di zucchero, ai frutti di martorana, oppure a quei dolci di miele, tra l'altro squisiti, detti ossa di morto. Questo è un modo di conservare comunque la memoria delle tradizioni. Credo non possa esserci un popolo senza memoria delle proprie tradizioni. Le tradizioni si modificano ma è fondamentale continuare a conservarle, in qualche modo, perché in un'epoca come la nostra, che è un'epoca di mutamenti, l'unico modo per non avere paura di tutto ciò che sta avvenendo, è sapere chi sei, senza bisogno di dirlo, di proclamarlo. Ma se sai chi sei, con le tue tradizioni, non perderai mai la tua identità.[22]
  • Non mi piace la parola sicilitudine, preferisco la sicilianità espressa dagli uomini, la prismatica composizione del siciliano.[23]
  • Ogni parola che viene detta vibra in un modo suo particolare. Le parole che dicono la verità hanno una vibrazione diversa da tutte le altre.[24]
  • [Su Leonardo Sciascia] Per me è stato uno dei maggiori letterati del Novecento, assieme a Carlo Emilio Gadda. Molti gli rimproverano una scrittura professorale. Non è così. Il suo italiano, che sembra accademico, è una lingua che lui affilava quotidianamente per farne qualche cosa che somigliasse a un bisturi.[7]
  • Quella era l'amicizia siciliana, la vera, che si basa sul non detto, sull'intuìto: uno a un amico non ha bisogno di domandare, è l'altro che autonomamente capisce e agisce di conseguenzia. (da Il ladro di merendine, Sellerio editore, maggio 2007, p. 170)
  • Se mentre mangi con gusto non hai allato a tia una pirsona che mangia con pari gusto allora il piaciri del mangiare è come offuscato, diminuito. (da La prima indagine di Montalbano, ne La prima indagine di Montalbano)
  • [«Cosa le manca di più della Sicilia?»] Tutto, tutto, tutto: il mare, i profumi, perfino le pietre. Sempre più spesso – come accade ai vecchi – ripenso al passato, agli anni dell'infanzia. E questi giorni di Natale mi fanno venire una grande nostalgia del passato. I pranzi da mia nonna, la gioia semplice dello stare insieme.[25]
  • [«Il cantautore Roberto Vecchioni ha definito la Sicilia "isola di merda". Come replica?»] Che se lo poteva risparmiare. Vorrei ricordare al signor Vecchioni che oltre alla merda da noi c'è cultura, storia, monumenti, arte, civiltà millenarie.[26]
  • [Su Lucio Piccolo] Una poesia, la sua, tutta di ombre, dove difficilmente raggia la luce. [27]

Citazioni tratte da interviste

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Il Secolo XIX

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A cura di Maruzza Loria, 31 luglio 2001
  • Montalbano è meteoropatico, come molti siciliani. Le stagioni oggi hanno perso la strada, una volta erano gente d'onore, si presentavano in modo appropriato. Non c'erano inverni caldi, ma moderati.
  • Montalbano dice di amare quel che resta della Sicilia ancora selvaggia: avara di verde, con le casuzze a dado poste su sbalanchi in equilibrio improbabile, e questo piace anche a me ma credo che sia piuttosto un gioco della memoria.
  • Lo scirocco è uno dei momenti più belli che possano essere concessi all'uomo, in quanto l'incapacità di movimento in quei giorni ti porta a stare immobile a contemplare una pietra per tre ore, prima che arrivi un venticello. Lo scirocco ti dà questa possibilità di contemplazione, di ragionare sopra alle cose, anche se è un po' difficile, in quelle circostanze, sviluppare il pensiero che è un po' "ammataffato", collosa, come la pasta quando scuoce.
  • Rispetto alla natura, la gente è ancor più complessa e variegata. Il bello della Sicilia è la scoperta quotidiana di siciliani sempre diversi. Chiudere il siciliano in un ruolo di tanghero scostante è un errore grosso. Certo che esiste un siciliano di questo tipo ma c'è anche il sangue di tredici dominazioni. Credo che oggi, noi siciliani, abbiamo l'intelligenza e la ricchezza dei bastardi, la loro vivacità e arguzia.
  • [Leonardo Sciascia] Lui non si laureò mai. Riuscì ad avere un diploma per insegnare alla scuola elementare: riteneva che per un bambino, in Sicilia quegli anni fossero importantissimi e formativi, tanto da diventare una sorta di assoluto. A meno di non essere un altissimo maestro di filosofia non equivarrai mai all'importanza che ha per un bambino. Quando l'Università di Messina voleva conferirgli la laurea honoris causa, Sciascia rispose "...perché? Già maestro sugnu", e questo sottolinea l'importanza delle scuole "vascie", basse, le scuole elementari.
  • Colui che una volta scriveva poesia, racconti, romanzi, nella Sicilia della mia giovinezza era un perditempo o un pazzo "pirinnello" cioè "un Pirandello", che perdeva tempo in cose campate in aria, inutili. Credo che cinquant'anni siano serviti a far capire che la cultura a qualche cosa serve. Cioè chi fa cultura oggi può non sentirsi una cimice che succhia il sangue di quelli che lavorano, quindi questo nuovo atteggiamento ha aperto alcuni orizzonti a nuove case editrici, a scrittori, a saggisti. Il problema è che siano letti e a questo ancora non ci siamo arrivati. La nostra regione ha uno dei tassi di lettura più bassi d'Italia, che è già tra i livelli più bassi d'Europa.
  • All'interno di un ordine costituito colui che fa cultura è sempre imprevedibile, può risultare pericoloso. La nostra società è stata per sempre ferma, una società dove, come dice il Principe di Salina nel Gattopardo, "deve cambiare tutto per non cambiare niente". Solo negli ultimi anni qualcosa sta cambiando, ma veramente, senza avere l'aria del cambiamento.
  • I siciliani vivono male la loro condizione di essere siciliani, sono sempre alla ricerca di qualcosa di diverso dal presente. Anche in politica, sono sempre insoddisfatti della realizzazione del proprio voto nell'atto stesso nel quale si realizza, perché attraverso di esso hanno ottenuto solo normalità. Si dicono: "vogliamo vedere se cambia qualche cosa?" votano e cambiano, e qui torniamo al Principe di Salina in tutto il suo splendore. Hanno cambiato tutto e non hanno cambiato niente.
A cura di Andrea Casazza, 16 ottobre 2002
  • C'è chi dice che adopero il siciliano come l'uva passa: ne lascerei cadere qualche chicco su una struttura italiana. Non è così. La cosa è più complessa. Io utilizzo le parole che mi offre la realtà per descriverla in profondità. Non potrei mai ambientare un mio libro in una città che non conosco. Non è un problema di topografia. Oggi esistono guide che ti dicono anche come si chiama il tabaccaio all'angolo. Nessuno però ti può dire come e cosa pensa chi vi entra: quali sono i codici di comportamento dei clienti di quel tabaccaio. Detto questo non ho la pretesa di innovare la lingua. Semplicemente utilizzo la mia, il mio modo di scrivere.
  • Le mie opere sono uova fresche di giornata e i miei cassetti sono pieni di cose che riguardano i miei nipoti. Dirò di più. Mi disfo di tutto quanto ha a che fare con un libro non appena l'ho pubblicato. Distruggo le prove del reato, insomma.
A cura di Renzo Raffaelli, 23 marzo 2005
  • Nel mercato italiano c'è bisogno di sfornare libri che abbiano acquirenti e lettori. Giova all'intero settore, anche perché da noi si legge poco. E avere tanti lettori non vuol dire necessariamente abbassare il livello. Non dimentichiamo che il nostro è un piccolo mercato esposto alle incursioni di scrittori popolari come Dan Brown e Stephen King che guidano sempre le classifiche di vendita ad ogni loro uscita.
  • [La morte] La trovo disdicevole, citando una celebre battuta. Ma l'aspetto con serenità.
  • [Il codice da Vinci di Dan Brown] Sono arrivato a metà, poi l'ho mollato. È una sciocchezza dal punto di vista storico e culturale.
  • Il romanzo con la erre maiuscola [...] lavora, lentamente, nella memoria del lettore. Se leggi Il Gattopardo non lo scordi più, come se leggi, da adulto però, I Promessi sposi.

Il Venerdì di Repubblica

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A cura di Antonello Caporale, n.° 744, 21 giugno 2002
  • Io sono stato povero e ho conosciuto il successo in tarda età. Tutto è arrivato tardi nella mia vita, e questa è una fortuna: mi sento come di aver vinto alla Sisal. Il successo fa venire in prima linea l'imbecillità. Se avessi ottenuto da giovane quel che ho oggi, non so come sarebbe finita. Non conosco il mio livello di imbecillità.
  • I soldi mi hanno tolto l'ansia di offrire una sicurezza alla mia famiglia, questo mi basta.
  • Io ho assistito a una strage mafiosa, per un pelo sono salvo. E mi sono salvato perché sono rimasto al bancone del bar della sparatoria invece di avvicinarmi a colui che mi aveva invitato al tavolo e venne crivellato di colpi. Era un capo mafioso e io non lo sapevo! La borghesia col suo silenzio è stata complice: ha fatto sempre finta di non sapere.

l'Unità

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A cura di Salvo Fallica, 5 novembre 2001
  • La lettura dei processi storici, priva di un supporto interpretativo, è inconsistente. La storia senza una chiave di lettura sarebbe una successione incomprensibile dei fatti. Ritengo che l'importanza della lettura marxista della storia sia essenziale per spiegare la struttura e la dinamica delle classi sociali.
  • La rivoluzione la intendo come una forza propulsiva, come il convergere di alcune situazioni storiche che determinano l'esplosione di tutte le valvole di sicurezza. La rivoluzione è un avvenimento che cambia il mondo.
  • L'affidarsi alla memoria, è la volontà dell'uomo di non scomparire. E quando la conoscenza si arresta, subentrano i sensi, che alimentano la fantasia.
  • Non ho mai rappresentato in negativo la Sicilia. I giornali tedeschi, francesi, inglesi, hanno scritto che Camilleri evita i luoghi comuni, descrive una Sicilia diversa da quella della Piovra, non utilizza vecchi e triti stereotipi. Non capisco perché in Italia vi siano alcuni autorevoli commentatori che scrivono il contrario. Siccome ho rispetto culturale per alcuni di questi opinionisti, li invito a leggere con più attenzione i miei libri.
  • La critica letteraria, o parte di essa, predilige le classificazioni schematiche, dentro le quali si addormenta. Allora Camilleri è stato classificato come scrittore di gialli. Tutto deve rientrare in questo schemino.
  • Io credo che si stia verificando una opposizione di civiltà, e ritengo che questo sia un grave errore. Si è ampliato il concetto di terrorismo, estendendo tale termine all'Islam. Non c'è dubbio che Bin Laden ed i suoi seguaci siano dei terroristi, ma è sbagliato legare il concetto di terrore sic et simpliciter al mondo islamico.
  • Le bombe non risolvono la questione, se non si eliminano le radici dalle quali scaturisce il terrorismo.
  • Se Bin Laden verrà catturato, vi è il timore che altri prendano il suo posto, come per diritto ereditario. Perché rimane il substrato, rimangono le condizioni che permettono al terrorismo di attecchire.
A cura di Salvo Fallica, 5 agosto 2002
  • Ho iniziato a considerare il Manzoni come un autore contemporaneo, dopo la lettura de La colonna infame, quello scritto me ne ha fatto cogliere la grandezza, ma questo è avvenuto in età adulta. Da ragazzo, non lo nascondo, non sopportavo l'autore de I promessi sposi. La lettura che ci veniva propinata a scuola lo rendeva odioso, noioso. Il Manzoni appariva come un baciapile, la critica letteraria ne ha costruito per decenni e decenni una immagine stereotipata, agiografica, rasserenante e pedagogica. Insomma, Manzoni veniva presentato come un secchione. Uno che in vita sua non ha mai sorriso. A quel punto persino Leopardi, che se ne stava ad osservare la luna, mi era più simpatico. La colpa non era del Manzoni, ma della lettura penitenziale e penitenziaria, che ne veniva fatta.
  • Qualche anno dopo aver finito gli studi, mi capitò inopinatamente fra le mani una copia de La colonna infame. La lessi, ne rimasi incuriosito, colpito, addirittura turbato. Avvenne in me un risveglio di attenzione. Ma era possibile che quel baciapile di Manzoni avesse scritto quell'opera così profonda, che scandagliava l'animo umano nei suoi meandri più nascosti, che rappresentava la drammaticità e le contraddizioni dell'esistenza, con acutezza e sguardo critico?
  • [Il romanzo storico] È uno strumento letterario essenziale, che permette di raccontare la realtà nel suo divenire processuale, dialettico, di cogliere e delineare le sfumature dell'esistenza, di prospettare e sviluppare sui piani diversi la storia umana.
  • In tutti i miei romanzi il piano dell'indagine coincide con il piano della ricerca della verità, sociale, filosofica, o direi più semplicemente "umana". Vi è l'uomo che si confronta con se stesso, o cerca se stesso.
  • Il commissario Montalbano, dopo aver superato i cinquanta anni, compie un bilancio della propria vita ma ha paura di guardare la sua vera immagine, di scavare nei meandri della sua psiche, così come tutti gli uomini. Perché in fondo ognuno di noi preferisce restare all'immagine ufficiale che di sé ha dato, la quale non crea turbamenti, inquietudini.
  • Spesso abbiamo un'idea distorta della gente in carcere. Ho trovato delle persone lucide, attente, acutissime, che hanno una capacità di elaborazione culturale.
A cura di Salvo Fallica, 26 novembre 2002
  • Il giallo funziona, ed è vera letteratura. In televisione la tecnica del giallo, se ben riprodotta, può dare ottimi risultati.
  • Una tv di Stato che utilizza gli stessi parametri dei privati, abdica alla sua funzione altissima di divulgazione culturale. Ora è evidente che la cultura non paga in termini commerciali, o meglio la pubblicità non paga la cultura. Ma la Rai usufruisce del canone, deve dare un servizio pubblico, che è un suo dovere. Invece la televisione di Stato ha preferito strizzare l'occhio ai privati, ha fatto sparire le rubriche dei libri. Oggi gli unici programmi culturali in Rai, sono quelli sugli elefanti, sulle gazzelle, su rare specie di uccelli.
  • Ho lavorato per trent'anni in Rai. È un'azienda misteriosa dalla quale non riesci mai a liberarti. Vedere in difficoltà l'azienda dove hai lavorato per tanti anni, ti addolora e ti fa rabbia.
  • Vi era una sorta di aristocrazia intellettuale che disdegnava il teatro perché contaminazione di generi. Del resto in Italia siamo lenti, la prima opera di Cechov è arrivata nel '24. Gli altri paesi avevano capito prima di noi che il teatro era fusione di cultura e letteratura.
Citazioni su Il commissario Montalbano, la serie televisiva tratta dai suoi romanzi
  • Le ragioni del successo, non le conosco. Quel che so, è che il programma è fatto molto bene. Vi è una cura minuziosa dell'insieme e dei dettagli. Una cura che va dalla ottima sceneggiatura alla sapiente regia, agli interpreti tutti. Zingaretti in testa, bravissimi. L'ambientazione è straordinaria, si tratta di un prodotto di qualità ed il pubblico lo gradisce.
  • Il mio commissario è meno aitante, meno scattante, ha reazioni diverse, non è così giovane, ma il modo di ragionare è simile. Nella sostanza, il commissario della fiction rispecchia perfettamente il Salvo Montalbano letterario. "U ciriveddu ci camina" a tutti e due allo stesso modo.
  • Il pubblico televisivo è più ampio, eterogeneo. Anzi sono convinto, che non vi sia esatta corresponsione, nemmeno fra quelli che leggono i libri e guardano Mantalbano in tv. Vi sono molti telespettatori che si divertono a vedere un programma, ben fatto, che riproduce con brevi immagini il senso autentico del testo.
  • Hanno fatto bene in tv, ad utilizzare un dialetto più superficiale, meno caratterizzato, meno colorito, ma comprensibile. La tv deve comunicare con ampio pubblico, è giusto che sia così. Del resto anche i libri, con le dovute differenze tecniche, dovrebbero essere scritti per essere letti, non per una ristretta aristocrazia intellettuale.
A cura di Salvo Fallica, 20 ottobre 2003
  • Questo continuo spostamento dei confini tra legalità e illegalità produce un disagio altissimo, che non è solo morale. Diventa un fatto di costume sociale. È quel che io chiamo la morale del motorino, che imperversa in Italia. Con il motorino si può evitare la fila, destreggiarsi tra le auto e poi passare con il rosso. Tanto con il motorino si ha facilità di manovra, si può andare contromano, si fa lo slalom. Insomma, si fa quel che si vuole, fregandosene delle regole. Che anzi, diventano un elemento di fastidio, di disturbo.
  • Se viene una critica da sinistra, molti buoni giornalisti ti dicono: questo non si dice, i toni sono troppo alti. Se le critiche vengono dall'altra parte, si tratta di normale dibattito politico, di espressioni colorite.
  • Con Gianfranco Fini potrei dialogare, usare lo stesso linguaggio, pur da posizioni diametralmente opposte. Perché quello di Fini è un linguaggio che ha un substrato cultural-politico, seppur diverso dal mio. Con Berlusconi invece non puoi ragionare in termini politici, perché ha un linguaggio aziendale. A volte irresponsabile. Pronto a menar fendenti a destra e a manca. A definire chi non pensa come lui un comunista, a delegittimare gli avversari.
  • Berlusconi è un Don Chisciotte che riesce a convincere gli altri che non sta combattendo contro i mulini a vento. Ha un po' troppe ossessioni: il comunismo, la magistratura... Ristabilire alcune verità, ed avere un maggior equilibrio nell'analisi delle vicende, farebbe bene a tutti.
  • Quando si dice che i giudici sono antropologicamente matti, diversi. Berlusconi dice una cosa vera. Perché bisogna essere matti come Falcone, Borsellino, Livatino, Chinnici e tanti altri eroi civili, per sacrificare la propria vita in nome della legalità. In questo i giudici sono diversi, per combattere la mafia hanno il coraggio di rischiare la vita. Spero che mi facciano giudice ad honorem, per condividere ed onorare questa diversità dei giudici.
A cura di Saverio Lodato, 14 novembre 2003
  • Non si costruisce nulla con l'uso delle armi. Questa stessa frase potrebbe essere usata da qualsiasi popolo oppressore contro quelli che difendono la loro libertà.
  • Vorrei prima di tutto si definisse esattamente, una volta per tutte, la parola terrorismo. Quando ammazzano D'Antona e Biagi o quando mandano il pacco esplosivo che scoppi in faccia al povero carabiniere, io, onestamente, cerco di dare una definizione alla parola: è terrorismo bello e buono. Ma quando c'è un esercito occupante dentro una nazione, qual è la sottile linea di demarcazione fra azione terroristica e azione bellica? Se non ci chiariamo questi punti, è difficile combattere il terrorismo.
  • La cosa che alla nostra mentalità ripugna è il fatto che possa costruirsi un uomo che sia una micidiale macchina da guerra. Ma se tu non hai micidiali armi da guerra che puoi scindere da te, lasciare in caserma, tornando a essere un uomo fuori dall'orario di servizio, sei costretto a farti arma. E a esserlo sempre, sin quando sei vivo. Il soldato combattente, nel momento in cui ingaggia un conflitto a fuoco, spera sempre di non imbattersi nella pallottola mortale, mentre il kamikaze sa che l'atto di guerra si identifica fatalmente nella sua stessa morte.
A cura di Saverio Lodato, 3 aprile 2005
  • Credo che il comunismo, nei termini in cui lo abbiamo letto, anche perché noi italiani ne siamo stati felicemente fuori pur essendo molti di noi comunisti, era destinato a una implosione. Come quando si vedono crollare su se stessi i grattacieli americani precedentemente minati.
  • Può un vero cristiano amare il capitalismo? Perché se è vero che da un lato è stato possibile quantificare le vittime del comunismo, le vittime del capitalismo, invece non vengono quantificate da nessuno.
  • È stato, fra i tanti pontefici che io ho visto avendo ottant'anni, quello che più concretamente si è dato da fare per il mondo, per gli uomini. Certo che ha sempre tenuto alta la sua bandiera di cristiano, però non ha mai selezionato fra le varie fedi chi potevano essere i preferiti o meno.
  • È stato il Papa veramente di tutti. E per esserlo non si è mai risparmiato fisicamente. Basta vedere la quantità enorme di viaggi che ha compiuto. Voleva conoscere in prima persona la gente, i luoghi, i problemi della gente e i problemi del mondo.
  • Il Papa Uomo. E posso dirlo soprattutto degli ultimi tempi, quando non ha esitato a mostrare la decadenza fisica, la malattia che lo colpiva dando coraggio a tutti i malati i sofferenti, dandoci il coraggio per il passo ultimo. Non ha voluto che la sua decadenza fisica fosse circonfusa di mistero. Mi tornava in mente una frase di Merleau-Ponty che diceva: l'eroe dei contemporanei è l'uomo. L'uomo che sa che può vincere o perdere, che sa che il suo destino, in terra, è segnato. Il destino dell'uomo è la malattia e la morte. E questo Papa questo ci ha mostrato.
  • È stato un uomo che ha capito l'importanza dei media. Su questa strada ha potuto rendere palese a tutto il mondo quello che faceva per il mondo. E sempre su questa strada non ha reso palese la sua politica di mantenimento dello status quo. Ha detto delle cose. Ma non ha insistito: come se volesse ribadirle una volta sola. I cattolici osservanti lui non aveva da convincerli sull'ortodossia, semmai aveva da convincere i non cattolici e gli stessi cattolici su altre questioni che gli stavano a cuore.
  • Lui ha accelerato [...] il corso della storia. E del comunismo, che resta un fenomeno storico senza precedenti, è stato veramente un degno e fiero avversario. Un avversario vittorioso.
  • Questo eroe contemporaneo che è l'uomo conosce la vittoria e la sconfitta. Lui ha vinto sul comunismo. È stato sconfitto dal proliferare delle guerre. Ciò però non lo ha smosso di un millimetro su quella che era la sua opinione. E la sua sconfitta, in questo caso specifico, è stata la sconfitta di moltissimi uomini nel mondo.
  • Noi oggi vediamo tanti uomini che hanno responsabilità mondiali, mancare assai spesso ai loro impegni. Questo Papa ha fatto impallidire l'immagine di questi uomini.
A cura di Salvo Fallica, 3 maggio 2005
  • Non tendo ad una verità assoluta, dogmatica. Credo a verità relative. Ma quando anche la verità relativa viene stravolta ti domandi a cosa devi credere.
  • La letteratura è uno strumento critico che può aiutare a svelare le verità, a smascherarle. La fantasia narrativa può aiutare a riflettere e capire la realtà che ci circonda.
  • Siamo in un regime mediatico in Italia. Se non fosse così, oggi Enzo Biagi avrebbe la sua trasmissione. Così come Michele Santoro avrebbe la sua. Luttazzi lavorerebbe in tv. Così come lavorerebbero in tv la Guzzanti, Paolo Rossi e tanti altri, che evidentemente hanno creato con il loro spirito libero problemi al potere. Ma qualcuno dalla Bulgaria ha detto che Biagi, Santoro, Luttazzi, non debbono lavorare, e così è. Il diktat è stato rispettato. Queste per me sono limitazioni della democrazia. E c'è talmente fumo negli occhi che ti viene da soffocare.
  • Berlusconi è l'antipolitica, anzi metaforicamente potrei dire che è l'antimateria, ovvero la sua è una politica virtuale, non si occupa dei problemi della gente, quelli reali. Tranne i suoi, ovviamente. Per risolvere i suoi problemi, ha una intera maggioranza che vota in maniera compatta.
  • Gli italiani stanno iniziando a capire Berlusconi, ma non l'hanno ancora capito completamente. La questione è più complessa. Anche la vicenda del regime mediatico non l'hanno ancora compresa a fondo. Il punto è [...] che il bicchiere è mezzo pieno, e debbono berlo tutto questo amaro calice. Solo allora capiranno completamente, ed il vaccino potrà funzionare.
  • Il fascismo, malgrado la sistemazione teorica, lo sforzo intellettuale di Gentile, era tutto e il contrario di tutto, era una sorta di blob. Assumeva le forme che era necessario assumere, per abbattere i democratici. Era una dittatura autentica, che ha prodotto tante vittime. Tante persone hanno subito il carcere, e venivano mandate al confino, al duro confino, altro che villeggiatura! Il fascismo si verificò in Italia, quando l'Europa era malata. Estremamente malata. Per fortuna vinsero le democrazie, quelle vere!
  • Potremmo dire che [il fascismo] fu una solenne minchiata. Una atroce minchiata. Il fascismo sarebbe stato grottesco, se non fosse stato tragico. Se non avesse comportato la morte di tanti innocenti, ricordo Matteotti e Gramsci solo per fare qualche esempio, il fascismo sarebbe stata solo una buffonata. Purtroppo invece è stato un evento tragico.

Liberazione

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A cura di Vittorio Bonanni, 15 aprile 2005
  • Le televisioni, che fino ad un certo momento sono state fabbriche del consenso, oggi hanno fatto un salto in avanti e sono diventate fabbriche del credere. Del credere in che cosa? In una fede di comodo.
  • Un revisionismo storico che sia un sano revisionismo, è ammesso, è giusto, è doveroso. Tu non puoi sentire sui fatti della storia una sola voce. Ne devi sentire anche altre.

Che tempo che fa

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  • Il sapere, chi ce l'ha, lo deve seminare come si semina il grano. Buttarlo sulla terra, sugl'uomini il proprio sapere, spenderlo. Il sapere non deve essere un'"élite", il sapere dev'essere l'uso quotidiano nostro. Il giorno in cui questo avverrà, saremo veramente uomini sulla terra.[28]

Gli arancini di Montalbano

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La nottata era proprio tinta, botte di vento arraggiate si alternavano a rapide passate d'acqua tanto malintenzionate che parevano volessero infilzare i tetti. Montalbano era tornato a casa da poco, stanco perché il travaglio della jornata era stato duro e soprattutto faticante per la testa. Raprì la porta-finestra che dava sulla verandina: il mare si era mangiato la spiaggia e quasi toccava la casa. No, non era proprio cosa, l'unica era farsi una doccia e andarsi a corcare con un libro. Sì, ma quale? A eleggere il libro col quale avrebbe passato la notte condividendo il letto e gli ultimi pinsèri era macari capace di perderci un'orata. Per prima cosa, c'era la scelta del genere, il più adatto all'umore della serata. Un saggio storico sui fatti del secolo? Andiamoci piano: con tutti i revisionismi di moda, capitava che t'imbattevi in uno che ti veniva a contare che Hitler era stato in realtà uno pagato dagli ebrei per farli diventare delle vittime compatite in tutto il mondo. Allora ti pigliava il nirbùso e non chiudevi occhio. Un giallo? Sì, ma di che tipo? Forse era indicato per l'occasione uno di quelli inglesi, preferibilmente scritti da una fìmmina, tutto fatto di intrecciati stati d'animo che però dopo tre pagine ti fanno stuffare. Allungò la mano per pigliarne uno che non aveva ancora letto e in quel momento il telefono sonò. Cristo! Si era scordato di telefonare a Livia, certamente era lei che chiamava, preoccupata. Sollevò il ricevitore.

[Andrea Camilleri, Gli arancini di Montalbano, Mondadori, 2000]

Citazioni

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  • Gustare un piatto fatto come Dio comanda è uno dei piaceri solitari più raffinati che l'omo possa godere, da non spartirsi con nessuno, manco con la pirsona alla quale vuoi più bene.
  • Gesù, gli arancini di Adelina! Li aveva assaggiati solo una volta: un ricordo che sicuramente gli era trasùto nel Dna, nel patrimonio genetico. Adelina ci metteva due jornate sane sane a pripararli. Ne sapeva, a memoria, la ricetta. Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve còciri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno appresso si prìpara un risotto, quello che chiamano alla milanisa (senza zaffirano, pi carità!), lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddàre. Intanto si còcino i pisellini, si fa una besciamella, si riducono a pezzettini gna poco di fette di salame e si fa tutta una composta con la carne aggrassata, triturata a mano con la mezzaluna (nenti frullatore, pì carità di Dio!). Il suco della carne s'ammisca col risotto. A questo punto si piglia tanticchia di risotto, s'assistema nel palmo d'una mano fatta a conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e si copre con dell'altro riso a formare una bella palla. Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d'ovo e nel pane grattato. Doppo, tutti gli arancini s'infilano in una padeddra d'oglio bollente e si fanno friggere fino a quando pigliano un colore d'oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta e alla fine, ringraziannu u Signiruzzu, si mangiano![29]

La forma dell'acqua

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Lume d'alba non filtrava nel cortiglio della «Splendor», la società che aveva in appalto la nettezza urbana di Vigàta, una nuvolaglia bassa e densa cummigliava completamente il cielo come se fosse stato tirato un telone grigio da cornicione a cornicione, foglia non si cataminava, il vento di scirocco tardava ad arrisbigliarsi dal suo sonno piombigno, già si faticava a scangiare parole.

Citazioni

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  • Si avviarono verso il paese, diretti al commissariato. Di andare dai carabinieri manco gli era passato per l'anticamera del cervello, li comandava un tenente milanese. Il commissario invece era di Catania, di nome faceva Salvo Montalbano, e quando voleva capire una cosa, la capiva.
  • «Pareva, ma non era così. Sa, in politica sono tutti come cani. Appena sanno che non puoi difenderti, ti azzannano. Sembra che a Londra gli abbiano messo due bypass, è stata, dicono, una cosa difficile».
  • «Commissario, lei u sapi megliu di mia, se uno non trova ventu a favuri, nun naviga».
  • Per le parole? Le parole cose d'aria, sono.
  • Mangiarono parlando di mangiare, come sempre succede.
  • [...] come ogni buona cuoca, godeva dell'estatica espressione che si formava sulla faccia dei commensali mentre gustavano una sua portata.
  • A un amico di cui conosco l'intelligenza, l'acume, e soprattutto una civiltà nei rapporti umani assai rara al giorno d'oggi.

[Andrea Camilleri, La forma dell'acqua, Sellerio, 2000]

Il cane di terracotta

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A stimare da come l'alba stava appresentandosi, la iurnata s'annunziava certamente smèusa, fatta cioè ora di botte di sole incaniato, ora di gelidi stizzichii di pioggia, il tutto condito da alzate improvvise di vento. Una di quelle iurnate in cui chi è soggetto al brusco cangiamento di tempo, e nel sangue e nel ciriveddo lo patisce, capace che si mette a svariare continuamente di opinione e di direzione, come fanno quei pezzi di lattone, tagliati a forma di bannèra o di gallo, che sui tetti ruotano in ogni senso ad ogni minima passata di vento.

Citazioni

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  • [...] «Lei peró non mi pare il tipo che si tira sparte di testa sua».
    «Di testa mia, commissario, glielo assicuro, di testa mia. Certo, c'è modo e modo di convincere una pirsuna ad agiri liberamenti di testa sua. Una volta un amico che leggeva assà e che era struìto, mi contó una storia che io riporto a lei para para. L'aveva liggiuta in un libro tedesco. C'è un omo che dice a un suo amico: scommessa che il mio gatto si mangia la senape ardosa, di quella tanto ardosa che ti fa un pirtuso nella panza? Ai gatti non ci piace la senape – dice l'amico. E inveci al mio gatto ci la faccio mangiari – fà l'omo. Ci la fai mangiari a botte e a lignate? – addomanda l'amico. Nossignore, senza violenza, se la mangia liberamente, di testa só – risponde l'omo. Scommissa fatta, l'omo piglia un bello cucchiaro di senape, di quella che solo a taliarla si senti àrdiri la vucca, agguanta il gatto e, zaff!, gli schiaffa la senape in culo. Il poviro gatto, a sentirsi abbrusciare in quel modo il culo, Si mette a leccarselo. Licca che ti licca, si mangia, liberamente, tutta la senape. E questo è quanto, egregio.» (p. 19)

Le affinità elettive erano un gioco rozzo a paro degli insondabili giri del sangue, capace di dare peso, corpo, respiro alla memoria. Taliò il ralogio e sobbalzò. L'ora era ampiamente passata. Trasì nella càmmara di letto. Il vecchio si stava godendo un sonno sereno, il respiro lèggio, l'ariata distesa, calma. Viaggiava nel paese del sonno senza più ingombro di bagaglio. Poteva dormire a lungo, tanto sul comodino c'erano il portafoglio coi soldi e un bicchiere d'acqua. Si ricordò del cane di peluche che aveva comprato a Livia a Pantelleria. Lo trovò sopra il comò, nascosto dietro una scatola. Lo pigliò, lo mise a terra, ai piedi del letto. Poi chiuse adascio adascio la porta alle sue spalle.

[Andrea Camilleri, Il cane di terracotta, Sellerio editore, Palermo 1996.]

La stagione della caccia

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Il pacchetto a vapore che faceva navetta postale da Palermo, il «Re d'Italia» – ma dai siciliani testardamente continuato a chiamare «Franceschiello» per un miscuglio di abitudine, luffarìa e omaggio al re borbone che aveva istituito il servizio – attraccò, spaccando il minuto, alle due del dopopranzo del capodanno del 1880, nel porto di Vigàta.

Citazioni

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  • A me, che non sono nobile, fa piacere appartenere proprio al Circolo dei nobili, mentre al contrario, di fare parte di un qualsiasi circolo Garibaldi non mi fotte un'amata minchia. (p. 18)

[Andrea Camilleri, La stagione della caccia, Sellerio editore, Palermo 1998.]

La pensione Eva

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Fu tanticchia prima dei suoi dodici anni che Nenè finalmente capì quello che capitava dintra alla Pensione Eva tra i màscoli grandi che la frequentavano e le fìmmine che ci abitavano.

Citazioni

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  • «Maledetta guerra» disse Grazia a voce vascia.
    E lo taliò nell'occhi, di certo per vedere come lui la pinsava. Pirchì aveva detto una cosa perigliosa, proprio il jorno avanti avevano 'mpiccicato strate strate manifesti che mostravano un soldato in cammisa nìvura che diceva:
    "Morte ai disfattisti!".
    «Guerra schifosa» disse Nenè. (p. 96)
  • «'Sta guerra è una gran rottura di cabasisi» disse Ciccio. (p. 98)
  • Talè che cosa stramma. L'angili erano tali e quali all'òmini! (p. 160)

[Andrea Camilleri, La pensione Eva, Sellerio editore, Palermo 2021.]

Il campo del vasaio

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Citazioni

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  • La prima cosa che il commissario notò sopra la scrivania di Pasquano,'n mezzo a carte e fotografie di morti ammazzati, fu una guantera di cannoli giganti con allato 'na buttiglia di passito di Pantelleria e un bicchieri. Era cosa cognita che Pasquano era licco cannaruto di dolci. Si calò a sciaurare i cannoli: erano freschissimi. Allura si versò tanticchia di passito nel bicchiere, affirò un cannolo e principiò a sbafarselo talianno il paesaggio dalla finestra aperta. Il sole addrumava i colori della vallata, li staccava nettamente dall'azzurro del mare lontano. Dio, o chi ne faciva le veci, qua si stava addimostrando un pittore naïf. A filo d'orizzonte, uno stormo di gabbiani che se la fissiavano a fare finta di scontrarsi tra loro, in un virivirì di piacchiate, virate, cabrate che parivano 'na stampa e 'na figura con una squatriglia aerea acrobatica. S'affatò a taliarne le evoluzioni. Finito il primo si pigliò un secondo cannolo. (p. 51-52)
  • Meglio piccamora non pinsaricci, meglio starsene a taliare il mari che, a Vigàta o a Boccadasse, sempre mari è. (p. 273)

[Andrea Camilleri, Il campo del vasaio, Sellerio editore, Palermo 2008.]

Incipit di alcune opere

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Andrea Camilleri 2010

Gran Circo Taddei e altre storie di Vigàta

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La congiura

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Nell'anni che furo 'ntorno al milli e novecento e trenta, 'na quinnicina di jorni prima di ogni cangio di stascione, ogni lunidì Ciccino Firrera, 'ntiso «Beccheggio», immancabilmenti arrivava a Vigàta col treno delle otto del matino che viniva da Palermo. Carricava supra a 'na carrozza un baullo e dù enormi baligie chine chine ligate con lo spaco e si faciva portari all'albergo «Moderno» indove, come al solito, pigliava 'na càmmara per dormirici e affittava per tri jorni il saloni «Mussolini» per fari l'esposizioni. Appena ghiunto in albergo, svacantava il baullo e le baligie e apparava nel saloni 'na mostra di abiti fimminili ultima moda della premiata sartoria palermitana Stella Del Pizzo, allura di grannissima fama 'n Sicilia, della quali egli s'acqualificava come l'unico rappresentanti ambulanti autorizzato alla vinnita.

Regali di Natale

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Dicino che dopo 'na guerra che ha fatto caterve di morti, ridotto a pruvolazzo intere cità, abbrusciato campi e fabbriche, l'umanità supertiti si voli pigliari 'na speci di rivincita. Accussì si metti a figliare a tinchitè, a spassarisilla, a godiri quella vita che tante volte rischiò di perdiri.

Il merlo parlante

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IL jorno stisso che Nìnuzzo Laganà fici vintott'anni, sò patre Nunziato morse cadenno da un'impacatura del palazzo di otto piani che la sò ditta stava flabicanno. Nunziato aviva accomenzato a guadagriarisi il pani a sidici anni come apprendista muratori, trent'anni appresso era addivintato il cchiù ricco e 'mportanti costruttori di Vigàta. Le malelingue dicivano che Nunziato era bravo nel misteri sò, ma che non avrebbi mai potuto fari la fortuna che aviva fatto senza l'appoggio di don Balduccio Sinagra, capo di una delle dù famiglie mafiose del paìsi. Don Balduccio l'aviva pigliato a cori pìrchì Nunziato si era maritato con Sariddra Gangitano, che era la sò nipoteddra prifirita. Dal matrimonio era vinuto fora un figlio unico, Ninuzzo, che Nunziato aviva fatto studiati fino a farlo addivintari 'ngigneri.

Gran Circo Taddei

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La matina del tri jugno del 1940 il Potestà di Vigata, il camerata Ciccino Cannaruto, attrovò supra alla sò scrivania 'na littra con la quali il cavaleri Erlando Taddeis, propietario e direttori del gran circolo questri Taddeis, in quel momento attendato a Sìcudiana, addimannava il primisso d'affissione di 'na decina di manifesti e la concessione temporanea, per la precisioni dal jorno setti al tridici dello stisso misi, della piazzetta Cavour particolarmenti adatta a ospitare il circolo questri in quanto che si trattava di uno spiazzo allato al porto che non aviva case torno torno.

La fine della missione

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L'avvocato Totino Mascarà fici trentacinco anni il jorno setti maggio del 1940 e ancora non s'addecidiva a farisi Zito. Picciliddro di otto anni, ristato orfano, era stato pigliato 'n casa da 'na soro della matte, la zà 'Rnistina, che era maritata con un ricco possidenti e non aviva figli. In quella casa vinni trattato come un principino, chiossà di un figlio. Mano a mano che crisciva, Totino addivintava un bed dro picciotto: àvuto, spalli larghi, corporatura atletica, granni occhi nìvuri. Era studiosissimo, sempri il primo della classi. Tutte le sò compagnuzze del liceo spasimavano per lui, avivano la testa persa, ma Totino pariva che non se ne addunava. Né scu né passiddrà, 'ndiffirenti. Certo, gentili e cortese con tutte, passava il compito, suggeriva, era sempri a disposizioni, ma non faciva un passo oltre.

Un giro in giostra

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Breve, la vita felice di Benito Cirrincione, si potrebbe diri citanno il titolo di un racconto di un celebrissimo scrittori miricano. Benito, detto Nito dai famigliari e dalli scarsi amici che ebbe, nascì nel pricìso 'ntifico momento nel quali Binito Mussolini s'affacciava dallo storico balconi di Piazza Venezia, a Roma, per proclamari all'urbi e all'orbo che l'Italia fascista trasiva 'n guerra con i bissini d'Abbissinia. La potenti voci di Mussolini, portata dall'altoparlanti assistimati nelle strate di Vigàta fino a dintra alla càmmara di letto della signura Concetta Ficarra maritata Cirrincione, sopraffici il primo chianto del neonato.

La trovatura

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Il secunno sabato del misi di majo del 1939 non ci fu strata di Vigàta che non comparse tappizzata, già dalle prime del matino, da granni manifesti di carta gialla con le scrivute in nìvuro. Dicivano:

IN VIA ECCEZZIONALE

LA MAGA DI ZAMMUT

ARSENIA

CHIROMANTE CHIAROVIGGENTI

RICEVERA' I CLIENTI

SABATO E DOMENICA

DALLE 10 ALLE 19

ALL'ALBERGO PATRIA

AMORE & FORTUNA!!!

ATTINZIONI: NON SI FANNO FATTURE


La rivelazione

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Mano a mano che miricanì e 'nglisì, sbarcati in Sicilia nel misi di luglio di lu milli e novicento e quarantatri, ghivano liberanno a lento l'Italia dai todischi, tutti l'antifascisti che Mussolini tempo tempo aviva fatto connannari al càrzaro o al cunfino vinivano mittuti in libbirtà e sinni tornavano alle casuzze sò. E squasi tutti, doppo un piriodo di riposo, arripigliavano a fari politica.

[Andrea Camilleri, Gran Circo Taddei e altre storie di Vigàta, Sellerio editore Palermo, 2011]

Il birraio di Preston

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Era una notte che faceva spavento, veramente scantusa. Il non ancora decino Gerd Hoffer, ad una truniata più scatasciante delle altre, che fece trimoliare i vetri delle finestre, si arrisbigliò con un salto, accorgendosi, nello stesso momento, che irresistibilmente gli scappava. Era storia vecchia, questa della scappatina di pipì: i medici avevano diagnosticato che il picciliddro era lento d'incascio, cioè di reni, fin dalla nascita e che quindi era naturale che si liberasse a letto. Ma il padre, l'ingegnere minerario Fridolin Hoffer, da quell'orecchio mai aveva voluto sentirci, non si dava pace d'avere messo al mondo un figlio tedesco di scarto, e quindi sosteneva che non si trattava di cure ma di kantiana educazione della volontà, per cui ogni mattina che Dio mandava in terra si metteva a ispezionare, sollevando coperta o lenzuolo a secondo di stascione, il letto del figlio e, infilata la mano inquisitoria, al subito immancabile vagnaticcio reagiva con una potente timbulata al bambino la cui guancia colpita a vista d'occhio pigliava a gonfiarsi come un muffoletto di pane ad opera di lievito di birra.
[Andrea Camilleri, Il birraio di Preston, Sellerio di Giorgianni]

Il ladro di merendine

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S'arrisbigliò malamente: i linzòla, nel sudatizzo del sonno agitato per via del chilo e mezzo di sarde a beccafico che la sera avanti si era sbafàto, gli si erano strettamente arravugliate torno torno il corpo, gli parse d'essere addiventato una mummia. Si susì, andò in cucina, raprì il frigorifero, si scolò mezza bottiglia d'acqua aggilàta. Mentre beveva, taliò fòra dalla finestra spalancata. La luce dell'alba prometteva giornata bona, il mare una tavola, il cielo chiaro senza nuvole. Montalbano, soggetto com'era al tempo che faceva, si sentì rassicurato circa l'umore che avrebbe avuto nelle ore a venire. Era ancora troppo presto, si ricurcò, si predispose ad altre due ore di dormitina tirandosi il linzòlo sopra la testa. Pensò, come sempre faceva prima d'addormentarsi, a Livia nel suo letto di Boccadasse, Genova: era una prisenza propiziatrice a ogni viaggio, lungo o breve che fosse, in «the country sleep», come faceva una poesia di Dylan Thomas che gli era piaciuta assà.

[Andrea Camilleri, Il ladro di merendine, Sellerio, 1996]

Il medaglione

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Il maresciallo Antonio Brancato, comandante la Stazione dei Carabinieri di Belcolle, cangiando il foglio del calendario, come faciva ogni matina appena trasuto nel suo ufficio, Vitti che era il ventisei di maggio, vale a dire che mancavano quattro giorni al compleanno di Giacomina, la sua unica sorella, maritata a Genova e matte di tre figli. Doviva provvidire subito, prima che qualche facenna improvisa gli faciva passare la cosa di mente.

[Andrea Camilleri, Il medaglione, Piccola Biblioteca Oscar Mondadori, 2005]

Il re di Girgenti

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Ora comu ora, i Zosimo se la passavano bona. Ma sidici anni avanti, quanno erano di frisco maritati, Gisuè e Filònia la fame nìvura avevano patito, quella che ti fa agliuttiri macari il fumo di la lampa. Erano figli e niputi di giornatanti e giornatanti essi stessi, braccianti agricoli stascionali che caminavano campagne campagne a la cerca di travaglio a sicondo del tempo dei raccolti e quanno lo trovavano, il travaglio, potevano aviri la fortuna di mangiare per qualiche simanata, pre sempio una scanata di pane con la calatina, il companaticu ca poteva essere un pezzo di cacio, una sarduzza salata, una caponatina di milanciani. La notte, se si era di stati, dormivano a sireno, a celu stiddrato; se si era di 'nvernu, s'arriparavano in quattro o cinco dintra a un pagliaro e si quadiavano a vicenda con il sciato.
[Andrea Camilleri, Il re di Girgenti, Sellerio, 2001]

Il tailleur grigio

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Raprì l'occhi come tutte le matine alle sei spaccate.
Susennosi di un quarto e sporgendosi di lato a rischio di cadere dal letto, branculiò con la mano mancina sopra al comodino, trovò il ralogio da polso, lo pigliò, si stinnicchiò nuovamente, con l'altra mano addrumò la luce, taliò il ralogio ed ebbe la conferma che erano le sei.
D'altra parte, non avrebbe potuto essere diversamente: doppo quarant'anni e passa, oramà tutto il suo corpo si era abituato e aveva puntato a quell'orario una sua particolare sveglia interna che non fallava mai. Per cui, macari se la sera avanti si era corcato col proposito d'arrisbigliarsi un'ora doppo del solito, la sveglia corporale sempre alle sei spaccate sonava, e non c'era verso di cangiarle orario.

L'età del dubbio

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Aviva appena pigliato sonno doppo 'na nottata che pejo d'accussì nella sò vita ne aviva avuto rare, quanno l'arrisbigliò di colpo un trono che fu come 'na cannonata sparata a cinco centilimetri dal sò oricchio. Satò susuto a mezzo dal letto, santianno. E accapì che il sonno non sarebbi cchiù tornato, inutili ristassinne corcato.

[Andrea Camilleri, L'età del dubbio, Sellerio, 2008]

La concessione del telefono

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A Sua Eccellenza Illustrissima
Vittorio Parascianno
Prefetto di
Montelusa

Vigàta lì 12 giugno 1891

Eccellenza,
il sottoscritto GENUARDI Filippo, fu Giacomo Paolo e di Posacane Edelmira, nato in Vigàta (provincia di Montelusa), alli 3 del mese di settembre del 1860 e quivi residente in via dell'Unità d'Italia n. 75, di professione commerciante in legnami, desidera venire a conoscenza degli atti occorrenti per ottenere la concessione di una linea telefonica per uso privato.
Gratissimo per la benigna attenzione che V.E. vorrà dedicare alla richiesta, si professa devot.mo in fede

Genuardi Filippo

La mossa del cavallo

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«Dominivobisco»
«Etticummi spiri totò» risposero una decina di voci sperse nello scuro profondo della chiesa, rado rado punteggiato da qualche lumino e da cannìle di grasso fetente.
«Itivìnni, la missa è.»

La paura di Montalbano

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Appena arrisbigliatosi, decise di telefonare in commissariato per avvertire che quel giorno proprio non era cosa, non ce l'avrebbe fatta ad andare in ufficio, durante la nottata una botta d'influenza l'aveva assugliato di colpo come uno di quei cani che manco abbaiano e li vedi solo quando già ti hanno azzannato alla gola. Fece per susìrisi, ma si fermò a mezzo, le ossa gli dolevano, le giunture scricchiolavano, dovette ripigliare il movimento con quatèla, finalmente arrivò all'altezza del telefono, allungò il braccio e in quel preciso momento la soneria squillò.
[Andrea Camilleri, La paura di Montalbano, Mondadori, 2002]

La presa di Macallè

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Venne arrisbigliato, a notti funna, da un gran catunio di vociate e di chianti che veniva dalla càmmara di mangiari. Ma era cosa stramma assà pirchì tanto le vociate quanto i chianti erano assufficati, squasiche chi stava facendo catunio non vulisse fari sentiri il catunio che stava facendo.
[Andrea Camilleri, La presa di Macallè, Sellerio, 2003]

La prima indagine di Montalbano

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Sette lunedì

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I dù òmini che sinni stavano arriparati sutta la tettoia che era stata messa alla firmata, aspittando con santa pacienza l'arrivata della circolare notturna, macari senza acconoscersi si scangiarono un surriseddro pirchì da dintra di un grosso scatolone di cartone arrovisciato in un angolo proveniva un runfuliare accussì forte e persistente che manco una sega elettrica.
Un povirazzo, un pizzente certamente, che aveva trovato provisorio riparo al friddo e all'acqua di cielo e che, conortato da quel tanticchia di calore del suo stesso corpo che il cartone tratteneva, aveva addiciso che la meglio era inserrare gli occhi, futtirisinni di lu munnu sanu sanu e bonanotti. Finalmenti la circolare arrivò, i dù òmini acchianarono, ripartì. Di cursa arrivò uno: «Ferma! Ferma!»
Il conducente sicuramenti lo vitti, ma tirò di longo.

La prima indagine di Montalbano

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Della sua prossima promozione a commissario, a Montalbano ne venne fatta una specie di predizione, per strate del tutto traverse, esattamente dù misi avanti della comunicazione ufficiale con tanto di timbro. In ogni ufficio statale che si rispetta infatti la predizione (o previsione, se meglio vi piace) del futuro, più o meno prossimo, di ogni componente di quell'ufficio – e degli uffici limitrofi – è esercizio quotidiano, banale, ovvio; non c'è bisogno, presempio, di taliare le viscere di un animale squartato o di stare a vidiri la direzione di volo degli storni come facivano gli antichi. E non c'è manco nicissità di ricorrere alla lettura dei fondi di cafè, come si usa fare in tempi più moderni. E dire che di cafè, in quegli uffici, ogni jorno se ne beve un mare. No, per una predizione (o previsione, se meglio vi piace) basta meno di mezza parola, un accenno di taliata, un murmurio a vucca chiusa, un avvio d'isata di sopracciglio. E queste predizioni (o previsioni, se ecc.) non riguardano solo le facenne delle carriere dei burocrati, trasferimenti, promozioni, richiami, note di merito o di demerito, ma spisso vulanteri ne investono la vita privata.

Ritorno alle origini

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Aviva passato la prima parte della jornata di vacanza della pasquetta in una pace di paradiso. La sira avanti la televisione aviva comunicato all'urbi e all'orbo che la matinata del jorno appresso, vale a dire il lunedì dell'Angelo, sarebbe stata tutta da godersi: temperatura quasi estiva, nenti nuvole e manco un alito di vento. Nel doppopranzo, invece, era previsto qualichi annuvolamento, ma non c'era da farsi prioccupazione, cosa leggera, robba di passaggio.

[Andrea Camilleri, La prima indagine di Montalbano, Arnoldo Mondadori Editore]

La vampa d'agosto

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Stava dormenno che manco le cannonate l'avrebbero arrisbigliato. O meglio: le cannonate no, ma lo squillo del telefono sì.
Un omo che ai jorni nostri campa in un paìsi civilizzato come il nostro (ah ah) se percepisce nel mezzo del sonno botte di cannonate, certamente le scangia per truniata di temporale, spari per la festa del santo patrono o spostamento di mobili da parte di quei garrusi che abitano al piano di supra e continua bellamente a dormiri. Ma lo squillo del telefono, la marcetta del cellulare, il campanello della porta, quelle no, quelle sono tutte rumorate di richiamo al quale l'omo civilizzato (ah ah) non può fari altro che assumare dalle profondità del sonno e arrispunniri.
[Andrea Camilleri, La vampa d'agosto, Sellerio, 2006]

La voce del violino

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Che la giornata non sarebbe stata assolutamente cosa il commissario Salvo Montalbano se ne fece subito persuaso non appena raprì le persiane della càmmara da letto. Faceva ancora notte, per l'alba mancava perlomeno un'ora, però lo scuro era già meno fitto, bastevole a lasciar vedere il cielo coperto da dense nuvole d'acqua e, oltre la striscia chiara della spiaggia, il mare che pareva un cane pechinese. Dal giorno in cui un minuscolo cane di quella razza, tutto infiocchettato, dopo un furioso scaracchìo spacciato per abbaiare, gli aveva dolorosamente addentato un polpaccio, Montalbano chiamava così il mare quand'era agitato da folate brevi e fredde che provocavano miriadi di piccole onde sormontate da ridicoli pennacchi di schiuma. Il suo umore s'aggravò, visto e considerato che quello che doveva fare in mattinata non era piacevole: partire per andare a un funerale.
[Andrea Camilleri, La voce del violino, Sellerio, 2001]

Le pecore e il pastore

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Il bosco che c'era tra Santo Stefano e Cammarata, a quasi mille metri d'altizza, era un tempo accussì selvaggio et aspro e forte che la luce del sole non ce la faciva a passare attraverso il fitto del fogliame e chi ci si avventurava non arrinisciva più a distinguere se era jorno o se era notte. I primi arabi conquistatori lo chiamarono koschin, che veni a dire loco oscuro. Po', a picca a picca, il nome si cangiò in Quisquina.
La picciotta palermitana Rosalia Sinibaldi, nata a Palermo nel 1130, bellissima e ricchissima, figlia del duca Sinibaldo e di Giscarda cugina di re Ruggero II, vuoi per non maritarsi col principe Baldovino, futuro re di Gerusalemme, come era desiderio del re Guglielmo II di Sicilia, del quale era nipote (ah! gli intrichi delle famiglie siciliane, tanto della nobiltà quanto del popolino!), vuoi perché la società nella quale viveva secondo lei non era cosa, essendo la vita di corte troppo peccaminosa, troppo dedita ai piaceri materiali, all'accumulo della ricchezza e all'esibizione dello sfarzo (lo stesso senso di rifiuto che avrebbe provato, qualche decina d'anni appresso, un picciotto di nome Francesco), addecise, verso il 1150, appena vintina, di scapparsene dalla città natale e andarsene a campare in solitudine e preghiera.

Privo di titolo

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Verso la metà d'aprile del 1941, il professore di cultura militare del ginnasio-liceo «Empedocle» di Giurgenti, avvocato Francesco Mormino, principiò, previa autorizzazione del signor preside s'intende, a firriare classi classi per spiegare a noi alunni (io allora andavo in prima liceo), il comu e il pirchì della grande adunata giovanilfascista che si sarebbe svolta a Caltanissetta il 21 di quello stesso mese.
E correva voce che a quell'adunata avrebbero partecipato macari avanguardisti e giovani italiane di tutte le altre province siciliane.
Nella nostra classe il professore avvocato Mormino s'appresentò a mezza matinata interrompendo una tirribili interrogazione di greco. E perciò fu ricevuto dalla classe in piedi, venne salutato romanamente e ricevette uno spontaneo applauso liberatorio.
[Andrea Camilleri, Privo di titolo, Edizioni Sellerio di Giorgianni]

Riccardino

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Il tilefono sonò che era appena appena arrinisciuto a pigliari sonno, o almeno accussì gli parsi, doppo ore e ore passate ad arramazzarisi ammatula dintra al letto. Le aviva spirimintate tutte, dalla conta delle pecore alla conta senza pecore, dal tintari d'arricordarisi come faciva il primo canto dell'Iliade a quello che Cicerone aviva scrivuto al comincio delle Catilinari. Nenti, non c'era stato verso. Doppo il Quousque tandem, Catilina nebbia fitta. Era 'na botta d'insonnia senza rimeddio, pirchì non scascionata da un eccesso di mangiatina o da un assuglio di mali pinseri.

[Andrea Camilleri, Riccardino, Sellerio Editore, Palermo, 2020. ISBN 978-88-389-4102-3]

Un filo di fumo

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Lo fanno correre da Ponzio a Pilato, il cavaliere Ignazio Xerri tutto zucchero e miele e naturalmente fàvuso, che uno lo capisce da come mette le mani, da come si ingiarma a guardarsi la punta delle scarpe.
«Sul serio, sono mortificato, ma ho i magazzini vacanti. Al suo posto, provare per provare, farei un salto da Michele Navarrìa»
e don Michele Navarrìa, incazzato com'era sempre per niente, magari perché il sole spuntava il mattino e calava la notte
«No, manco un grammo ch'è un grammo, di sùlfaro. Ho i magazzini sciutti all'osso».
e lui ancora più affannato, perso per strada l'aplombo che sudando sangue s'era guadagnato in Svizzera, quando suo padre aveva avuto la bella pensata di mandarlo a studiare chimica per fargli fare col sùlfaro lo stesso preciso miracolo di Gesù col pane e coi pesci.
[Andrea Camilleri, Un filo di fumo, Sellerio, 2003]

Un mese con Montalbano

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Annibale Verruso ha scoperto che sua moglie gli mette le corna e vuole farla ammazzare. Se la cosa càpita, la responsabilità è vostra!

La lettera anonima, scritta a stampatello, con una biro nìvura, era partita da Montelusa genericamente indirizzata al Commissariato di Pubblica Sicurezza di Vigàta. L'ispettore Fazio, che era addetto a smistare la posta in arrivo, l'aveva letta e immediatamente consegnata al suo superiore, il commissario Salvo Montalbano. Il quale, quella mattina, dato che tirava libeccio, era insitàto sull'agro, ce l'aveva a morte con se stesso e con l'universo criato.
«Chi minchia è questo Verruso?»
«Non lo saccio, dottore.»
«Cerca di saperlo e poi me lo vieni a contare.»

Un sabato, con gli amici

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«Quando tonna papà?»
«Uffa, quanto sei noioso!»
«Pecché andato via papà?»
«Te l'ha detto lui stesso: vado a Palermo per affari ma torno presto.»
«E quand'è plesto?»
«Non ti reggo più!»
«Pecché non mi dici quando tonna papà?»

Visioni di Palio

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Se prendiamo le contrade e le consideriamo come delle regioni, o come potevano essere gli stati italiani prima dell'unità fra di loro, se noi pensiamo a quanta abilità agonistica è necessaria, ma nello stesso tempo quale e quanto lavorìo di furberia, di accordi sottobanco, di piccole corruzioni, di genialità di trovate, cominci ad avere un ritratto dell'Italia e dell'Italiano estremamente concentrato, che culmina, in quei minuti strepitosi della corsa, nella bellezza. Altra componente italiana. Si dice: ma questo attaccamento a un evento in fondo provinciale, che addirittura spezzetta una piccola città come Siena in tante contrade – le piccole patrie ancora più ridotte in piccolissime patrie – oggi che siamo davanti all'Europa, non è anacronistico? Non credo.

Citazioni su Andrea Camilleri

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  • Andrea Camilleri è il maestro di noi tutti, l'uomo che ha sdoganato il giallo italiano, l'ha fatto uscire dalle edicole e camminare per il mondo. Nessuno può immaginare non dico di eguagliare, ma neppure di ereditare il suo ruolo. (Maurizio De Giovanni)
  • Camilleri ha scritto delle storie che rappresentano i tempi che viviamo. Nelle occasioni in cui ci siamo visti, magari anche in quelle ufficiali durante le quali gli venivano poste delle domande, all'inizio c'era sempre una lunga pausa, in cui ti chiedevi "Ma risponde o no?". E invece poi ti rendevi conto che è quello che dovrebbero fare tutti: prima pensare e poi parlare. (Cesare Bocci)
  • È un vero fenomeno, ma un fenomeno sarà destinato ad iscriversi nella durata? Lo spero perché Camilleri è, a volte, un ottimo scrittore. Sciascia mi diceva che se avesse voluto avrebbe scritto un romanzo al mese. Me lo diceva con una certa ironia. Ma Camilleri è il contrario di Sciascia e viceversa. Sciascia, che non avrebbe mai voluto essere Camilleri, mi diceva appunto nella sua prima intervista di essere troppo letterato per mettersi a giocare con la letteratura. Era scrittore di "cose", non di "parole". (Jean Noel Schifano)
  • Il successo è arrivato anche per Andrea Camilleri, è in testa alla lista dei "best seller" con quattro o cinque titoli di romanzi. Mai visto. Dopo vent'anni il suo commissario Montalbano è diventato popolare. Mi fa piacere per lui e per Elvira Sellerio che ha creduto in quel riservato e composto sceneggiatore e regista televisivo che, a 75 anni, vede riconosciuto il suo talento. Da mezzo secolo vive e lavora a Roma, ma gli è rimasto l'accento degli agrigentini. È un'altra scoperta di Sciascia. Dice infatti: "Siciliano è Sciascia. E un siciliano è anche Vittorini. Parlo dei due esempi: dei siciliani di scoglio, quelli che rimangono attaccati, anche se per un po' si allontanano, e quelli di mare aperto, come era Vittorini. (Enzo Biagi)
  1. Da L'odore della notte, cap. 11, Sellerio, Palermo, 2012.
  2. Citato in Agrigento, ritorno al passato. Il sindaco. si chiamerà Girgenti (ma solo nel centro storico), Corriere.it, 27 aprile 2016.
  3. Da Otto, in La gita a Tindari, Sellerio, Palermo, 20004, pp. 126-127. ISBN 978-88-389-1574-1
  4. Video disponibile in Il meridiano della solitudine. Letteratura e nobiltà: un film sul poeta Lucio Piccolo e la Sicilia d'un secolo fa, artribune.com, 21 novembre 2015.
  5. Da Montalbano, l'attesa e la morte, in Corriere della Sera, 12 luglio 2013
  6. a b Citato in Alessandra Vitali, Camilleri superstar: insieme a Pif, la strana coppia, Repubblica, 12 aprile 2014.
  7. a b c d Da Camilleri: Il giorno della Civetta "Leonardo Sciascia non avrebbe mai dovuto scriverlo", ilFattoQuotidiano.it, 20 novembre 2009.
  8. Da intervento su Rai Uno, 8 novembre 2017
  9. Provava spavento.
  10. Da La prima indagine di Montalbano, Mondadori, Milano, 2010, pp. 104-105.
  11. Da La prima indagine di Montalbano, in Ritorno alle origini, Oscar bestsellers Arnoldo Mondadori Editore, novembre 2005, p. 244.
  12. Da Tutto Camilleri di Gianni Bonina, Sellerio Editore, marzo 2012, p. 722.
  13. Dal film-documentario di John Turturro, Prove per una tragedia siciliana, 2009. Video disponibile su Rai.tv.
  14. Dal film-documentario di John Turturro, Prove per una tragedia siciliana, 2009. Video disponibile su Rai.tv.
  15. Citato in Raffaella De Santis, Quell’arancino sulla tomba di Camilleri, la Repubblica, 24 luglio 2019, pp 30-31.
  16. Da Sacco e Vanzetti, una sporca faccenda nell'America della pena capitale, Repubblica.it, 24 agosto 2007
  17. In Stefano Salis Camilleri, il «peso» del successo e il dna degli italiani che cambia, Il Sole 24 Ore, 9 dicembre 2018.
  18. Dalla prefazione a Paolo Mondani e Armando Sorrentino, Chi ha ucciso Pio La torre?, Castelvecchi, 2012.
  19. Andrea Camilleri, Segnali di fumo, Utet Libri, Roma, 2014, p. 33. ISBN 9788851123086
  20. Da William Shakespeare siciliano? di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale, Quotidiano Legale.it, 9 ottobre 2013.
  21. Da Camilleri: "Sicilia, resisti e fai pagare chi sbaglia", Repubblica.it, 28 dicembre 2015.
  22. Da [1], dal film-documentario di John Turturro Prove per una tragedia siciliana (2009).
  23. Citato in Camilleri a Palermo: "Così creo una Sicilia desiderabile", Repubblica.it, 6 giugno 2014.
  24. Da Un mese con Montalbano, Sellerio Editore, Palermo, 2017, p. 285. ISBN 978-88-389-3728-6
  25. Citato in Camilleri: "Sicilia, resisti e fai pagare chi sbaglia", Repubblica.it, 28 dicembre 2015.
  26. Da Camilleri: "Sicilia, resisti e fai pagare chi sbaglia", Repubblica.it, 28 dicembre 2015.
  27. Citato in Il meridiano della solitudine. Letteratura e nobiltà: un film sul poeta Lucio Piccolo e la Sicilia d'un secolo fa, artribune.com, 21 novembre 2015.
  28. Da Che tempo che fa, Rai 1, puntata del 24 febbraio 2019. Video disponibile su Raiplay.it.
  29. Citato in Debora de Fazio, Un «paradisiaco sapore»: Montalbano a tavola, treccani.it, 5 novembre 2019.

Bibliografia

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  • Andrea Camilleri, Gli arancini di Montalbano, Mondadori, 2000. ISBN 8804483172
  • Andrea Camilleri, Il birraio di Preston, Sellerio di Giorgianni.
  • Andrea Camilleri, Il campo del vasaio, Sellerio editore, Palermo, 2008.
  • Andrea Camilleri, Il re di Girgenti, Sellerio, 2001. ISBN 8838916683
  • Andrea Camilleri, Il tailleur grigio, Mondadori, 2008. ISBN 9788804573555
  • Andrea CAmilleri, La concessione del telefono, Palermo, Sellerio, 2003. ISBN 8838913447
  • Andrea Camilleri, La forma dell'acqua, Sellerio, 2000. ISBN 8838910170
  • Andrea Camilleri, La mossa del cavallo, Milano, Superpocket, 2000, ISBN 8846201418
  • Andrea Camilleri, La paura di Montalbano, Mondadori, 2002. ISBN 8804506946
  • Andrea Camilleri, La presa di Macallè, Sellerio, 2003. ISBN 8838918961
  • Andrea Camilleri, La prima indagine di Montalbano, Arnoldo Mondadori Editore.
  • Andrea Camilleri, La stagione della caccia, Sellerio editore, Palermo, 1998.
  • Andrea Camilleri, La vampa d'agosto, Sellerio, 2006. ISBN 883892144X
  • Andrea Camilleri, La voce del violino, Sellerio, 2001. ISBN 8838914052
  • Andrea Camilleri, Privo di titolo, Edizioni Sellerio di Giorgianni.
  • Andrea Camilleri, Riccardino, Sellerio Editore, Palermo, 2020. ISBN 978-88-389-4102-3
  • Andrea Camilleri, Segnali di fumo, Utet, 2014. ISBN 9788851122492
  • Andrea Camilleri, Un filo di fumo, Sellerio, 2003. ISBN 8838913382
  • Andrea Camilleri, Un mese con Montalbano, Mondadori, 1999. ISBN 8804470895
  • Andrea Camilleri, Un sabato, con gli amici, Mondadori, 2009. ISBN 9788804586135
  • AA.VV., Visioni di Palio, Protagon, 2004. ISBN 8880241303

Filmografia

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