Leo Longanesi

giornalista, pittore e disegnatore italiano (1905-1957)
(Reindirizzamento da Longanesi)

Leo Longanesi (1905 – 1957), giornalista, editore, disegnatore e aforista italiano.

Leo Longanesi (1950)

Citazioni di Leo Longanesi

modifica
  • [Su Curzio Malaparte] Ai funerali vuol essere il morto, ai matrimoni la sposa.[1]
  • Creda a me: non creda a nulla.[2]
  • Il paradosso è il lusso delle persone di spirito, la verità è il luogo comune dei mediocri.[3]
  • Flaiano è come me. Né io né lui ci rassegneremo mai a scrivere una frase come: "Ella staccò la fronte dal vetro della finestra e venne verso il centro della stanza". Purtroppo un romanzo esige anche passaggi banali: nemmeno Tolstoj può esimersene. Flaiano, come me, preferisce rinunziare al romanzo.[4]
  • L'amore è l'attesa di una gioia che quando arriva annoia.[5]
  • L'esperto è un signore che, a pagamento, ti spiega perché ha sbagliato l'analisi precedente.[6]
  • L'omosessualità è un'estetica come la massoneria è una religione.[7]
  • La borghesia usciva allora vittoriosa dalla prima guerra mondiale... la Romagna era rimasta rossa... mio zio custodiva intatta la fiamma del Progresso... la tradizione era un frutto dell'indolenza... leggevo Rimbaud... aderii al fascismo... le mie idee erano vaghe... oscillavano fra il lirismo socialista e il desiderio di epica... si succhiava ancora il latte della scuola carducciana]... provai l'esperienza cubista... la borghesia cercava un costume... scoppiò un militarismo violento e casalingo... mentre i romani mangiavano le granite di panna, cadde Mussolini... quel giorno, dopo aver sputato sulla salma di Mussolini, i milanesi andarono di corsa al cinematografo... fui epurato... col petto gonfio di dolore, videro cadere la monarchia... ritornai alla fede cattolica e a quel grande rebus che è Roma... la Patria col p maiuscolo si allontanò... futurismo, sindacalismo, pragmatismo, Dio mio, come passa il tempo!...[8]
  • Le apparenze hanno per me uno straordinario valore e giudico tutto dall'abito. Il mio motto è: Si vede subito. Non conosco il «più profondo dell'io» ed ho il coraggio di essere superficiale.[9]
  • Moravia è come il tweed inglese, il rovescio è meglio del dritto.[10]
  • Mussolini ha sempre ragione![11]
  • Noi italiani vorremmo fare la rivoluzione col permesso dei carabinieri.[12]
  • Non comperate quadri moderni, fateveli in casa.[13]
  • Non credo che in Italia occorra servirsi di scenografi per costruire un film. Noi dovremmo mettere assieme pellicole quanto mai semplici e povere nella messinscena, pellicole senza artifizi, girate quanto più si può dal vero.
    È appunto la verità che fa difetto nei nostri film. Bisogna gettarsi alla strada, portare le macchine di presa nelle vie, nei cortili, nelle caserme, nelle stazioni.
    Basterebbe uscire di strada, fermarsi in un punto qualsiasi e osservare quel che accade durante mezz'ora, con occhi attenti e senza preconcetti di stile, per fare un film italiano naturale e logico.[14]
  • [Su Vitaliano Brancati] Passava i giorni con Interlandi[15] Fu redattore di "Quadrivio" e scrisse una commedia intitolata Piave, nella quale appariva il duce in cielo. Mussolini ricevette Brancati e si congratulò con lui. Tutto questo non ha valore, perché Brancati, "il Mondo" e tutta la compagnia liberale è destinata a finire a calci nel sedere e a leccare le scarpe al prossimo dittatore. Non c'è scampo.[16]
  • Una fila di carrozze è elegante: una fila di Vespe disturba.[2]

I giusti pensieri del signor di Bonafede

modifica
  • I filosofi, è cosa strana, non capiscono nulla di arte, mentre gli artisti capiscono assai di filosofia: segno è che l'arte è anche filosofia, ma la filosofia non è arte.
  • I nostri deputati leggono poco, si sente dal loro silenzio.
  • Il popolo italiano è sempre in buona fede.
  • Noi [italiani] siamo il cuore d'Europa, ed il cuore non sarà mai né il braccio né la testa: ecco la nostra grandezza e la nostra miseria.
  • Sotto ogni italiano si nasconde un Cagliostro e un San Francesco.

In piedi e seduti

modifica

Il quattro novembre 1918 l'Italia firma l'armistizio con l'Impero Austro-Ungarico; a distanza di pochi giorni la Francia firma quello con la Germania. In Europa si combattono ancora piccole guerre di chiusura, ma la parola PACE appare a grandi lettere nei titoli dei giornali.
I soldati ritornano dopo aver combattuto per quattro anni «la più grande guerra della storia»; otto milioni di uomini sono stati uccisi.
Ansiosa di un nuovo ordine, l'Europa non scorge che due strade: Lenin e Wilson. È in tutti la convinzione che il «mondo di prima» sia al tramonto. Con la guerra del '14 è caduto il sipario sull'800.

Citazioni

modifica
  • «Dove andremo a finire?» si domandano le direttrici dei collegi leggendo sulla Tribuna del ventun febbraio 1919 questa notizia: «Enrico Cavicchioli ha ultimato la sua nuova commedia in tre atti dal titolo: La danza del ventre, che ha per protagonista un eunuco.» (1968, p. 39)
  • La minoranza dei giovani borghesi reduci, che non sanno quale distintivo mettere all'occhiello, si domanda: «Perché fare il processo a una guerra vinta?»
    «La guerra si accetta in blocco o si respinge in blocco. Se questo processo deve essere eseguito, saremo noi che lo faremo e non altri». [Benito Mussolini] (1968, p. 40)
  • Nei caffè apparivano piccoli cartelli con queste parole: «La mancia è un residuo medioevale: offende chi la riceve e degrada chi la offre». (1968, p. 42)
  • Gli ideali che nascono dal pane, fanno perdere il pane. (1968, p. 44)
  • «Il socialismo puzza di formaggio», disse un giorno il nostro professore alludendo agli scandali delle cooperative rosse. (1968, p. 46)
  • L'arte di trascorrere il tempo [...] è l'arte di non inseguirlo. (1968, p. 54)
  • Distratta, indolente, prudente, la nostra borghesia ama i suoi figli viziati e ribelli. (1968, p. 60)
  • «Suo figlio studia?»
    «No, ora fa il fascista». (1968, p. 68)
  • Fra Facta e Mussolini, il paese aveva già fatto la sua scelta: il primo è un onest'uomo, con due baffi bianchi, ignoto a tutti, incapace di uscire dalla tutela giolittiana; il secondo ha due occhi autoritari, il passo spedito, la voce risoluta. Il primo spera, il secondo vuole, e tutti gli italiani vogliono. (1968, p. 113)
  • Alla storia non si chiede né il numero dei morti né il costo delle grandi imprese! (1968, p. 124-125)
  • Di tutte le marce che rallegrarono la nostra penisola, da quella di Quarto in poi, la marcia su Roma è la più gaia, la più numerosa, la più riuscita. Nessun triste incidente la rattrista, tutto si svolge in perfetto ordine fascista. (1968, p. 125)
  • [Benito Mussolini] Se si osserva attentamente il nascere della sua personalità, se si leggono tutti i suoi scritti dal 1910 in poi, ci si accorge che il segreto della sua fortuna è racchiuso, soprattutto, nella sua eclettica cultura, in quel suo continuo passare da una tendenza all'altra, da una precisa ideologia a una opposta, in quel suo costante contraddirsi e ripetere sempre due o tre formule a lui care. (1968, p. 142)
  • La pubblica opinione, fino a ieri in maggioranza fascista, è attonita. La borghesia ha la sua prima vera crisi di coscienza: ubbidire a un governo omicida le repugna. La Magistratura, l'Esercito, il Clero, la Burocrazia, dopo un attimo di incertezza, guardano con simpatia le opposizioni. I combattenti, gran parte dei fascisti, la stampa e alcuni ministri del governo Mussolini si dichiarano ostili alle camicie nere: è un piccolo affare Dreyfus italiano. Trascorrono giorni grigi, afosi; tutti mormorano, ci si toglie dall'occhiello il distintivo del fascio; i carabinieri sono timidi, incerti. Mussolini, pallido, tremante, è solo nelle grandi sale di Palazzo Chigi; egli chiama la vedova di Matteotti, vuol vederla, scusarsi, rassicurarla. Le promette che sarà fatta giustizia, che il cadavere del marito sarà ritrovato a tutti i costi, se ne fa garante lui stesso. L'Italia dubita. È il primo grande dubbio del popolo italiano. Il paese si è accorto che il Duce è un uomo debole, timido, che annaspa, che cerca aiuto, che si confonde. Tutti sanno che il fascismo è finito, che Mussolini non ha più forza, che è solo col cadavere di Matteotti sotto il letto. I memoriali dei suoi fidi lo accusano; la paura, una paura folle, ha colto i suoi luogotenenti; essi vogliono difendersi e additano in lui il colpevole. La folla si reca ogni giorno sul Lungotevere a porre fiori sul luogo dove fu rapito Matteotti. (1980, pp. 147-148)

La sua signora

modifica
  • Alla manutenzione, l'Italia preferisce l'inaugurazione. (Milano, 3 agosto 1955)
  • Buoni a nulla, ma capaci di tutto. (Milano, 29 marzo 1955)
  • C'è una sola grande moda: la giovinezza. (Milano, 23 novembre 1949)
  • Chi rompe, non paga e siede al Governo. (Milano 4 ottobre 1956)
  • Ci sono anche i dolori di lusso, che recano lustro a chi li sopporta. (Milano, 19 novembre 1954)
  • Eppure, è sempre vero anche il contrario. (Milano, 25 marzo 1955)
  • I buoni sentimenti promuovono sempre ottimi affari. (Milano, 30 novembre 1955)
  • I debiti di riconoscenza si pagano entro le ventiquattro ore con l'antipatia. (Milano, 28 agosto 1953)
  • I difetti degli altri assomigliano troppo ai nostri. (Milano, 1° aprile 1955)
  • I problemi sociali non si risolvono mai: invecchiano, passano di moda e si dimenticano.
  • I ricordi si interpretano come i sogni. (Milano, 28 marzo 1955)
  • Il contrario di quel che penso mi seduce come un mondo favoloso. (Milano, 12 maggio 1948)
  • Il moderno invecchia; il vecchio ritorna di moda. (Milano, 29 aprile 1952)
  • «Il signore è andato a sinistra, ma ritorna a destra per l'ora di cena. Può richiamarlo più tardi.» (Milano, 17 settembre 1955)
  • In Italia, tutti sono estremisti per prudenza. (Milano, 19 febbraio 1956)
  • L'arte è un appello al quale troppi rispondono senza essere stati chiamati. (Milano, 3 giugno 1956)
  • L'intellettuale è un signore che fa rilegare i libri che non ha letto. (Milano, 27 novembre 1955)
  • L'italiano non lavora, fatica. (Roma, 1° luglio 1953)
  • L'italiano: totalitario in cucina, democratico in parlamento, cattolico a letto, comunista in fabbrica. (Milano, 11 agosto 1956)
  • La domenica è il giorno in cui ci si propone di lavorare anche la domenica. (Milano, 6 marzo 1957)
  • La libertà tende all'obesità. (Milano, 28 maggio 1955)
  • La virtù affascina, ma c'è sempre in noi la speranza di corromperla. (Milano, 1° aprile 1955)
  • Montanelli: un misantropo che cerca compagnia per sentirsi più solo. (Milano, 27 marzo 1955)
  • Non è la libertà che manca; mancano gli uomini liberi. (Milano, 8 gennaio 1957)
  • Non si ha idea delle idee della gente senza idee. (Milano, 1° agosto 1956)
  • Nulla si difende con tanto calore quanto quelle idee a cui non si crede. (Milano, 16 marzo 1955)
  • Quando era fascista abusava di verbi al tempo futuro; ora, democratico, si serve del condizionale. (Milano, 15 dicembre 1956)
  • Quando suona il campanello della loro coscienza, fingono di non essere in casa. (Milano, 20 gennaio 1951)[17]
  • Se c'è una cosa che funziona in Italia è il disordine. (Milano, 17 novembre 1955)
  • Un anno passa rapido, un mese mai. (Milano, 23 giugno 1953)
  • Un tempo, il benessere era un mito, un sogno di giustizia; oggi no, esso è soltanto un desiderio immediato. E i miti a breve scadenza non accendono più la fantasia. Un ribelle, ora, si placa appena conquista il bagno. (Milano, 16 dicembre 1955)
  • Un vero giornalista: spiega benissimo quello che non sa. (Milano, 22 marzo 1957)
  • Un'idea che non trova posto a sedere è capace di fare la rivoluzione. (Imola, 13 agosto 1956)
  • Un'idea imprecisa ha sempre un avvenire. (Milano, 5 settembre 1956)
  • Una società fondata sul lavoro non sogna che il riposo. (Milano, 18 febbraio 1957)
  • Quando potremo dire tutta la verità, non la ricorderemo più. (Milano, 6 agosto 1957)

Parliamo dell'elefante

modifica
  • B. C.: Non capisce, ma non capisce con grande autorità e competenza. (7 maggio 1939)
  • Bisogna trovare un fratello al Milite Ignoto. (26 luglio 1938)
  • Ci si conserva onesti il tempo necessario che basta per poter accusare gli avversari e prendergli il posto. (Roma, 16 agosto 1944)
  • Cielo chiaro, sole splendente; se non piove, siamo tutti ottimisti. (Roma, 17 gennaio 1943)
  • Conservatore in un paese in cui non c'è nulla da conservare. (Milano, 18 novembre 1946)
  • È meglio assumere un sottosegretariato che una responsabilità. (Roma, 4 novembre 1944)
  • Ezra Pound viene a trovarmi in ufficio, accompagnato da un comune amico ungherese. È un vecchio uccellaccio, con gli occhiali a pince-nez, alto, trasandato nel vestire, caotico nel discorrere, timido e impostore. Le sue idee sono molto confuse; crede nella grandezza del fascismo, nell'ingegno di Rossoni, nel tramonto delle razze anglosassoni, nel corporativismo, nel futurismo, in Rimbaud e in Ibsen. (18 dicembre 1938)
  • Fanfare, bandiere, parate.
    Uno stupido è uno stupido. Due stupidi sono due stupidi. Diecimila stupidi sono una forza storica. (15 dicembre 1938)
  • Il napoletano non chiede l'elemosina, ve la suggerisce. (Napoli, 11 novembre 1943)
  • Il nazionalismo è davvero l'unica consolazione dei popoli poveri. (19 ottobre 1939)
  • La carne in scatola americana la mangio, ma le ideologie che l'accompagnano le lascio sul piatto. (Napoli, 14 gennaio 1944)
  • La noia segue l'ordine e precede le bufere. (22 marzo 1938)
  • La nostra bandiera nazionale dovrebbe recare una grande scritta: Ho famiglia. (Roma, 26 novembre 1945)
  • La parola pompiere è stata messa al bando. D'ora innanzi si dovrà dire Vigile del fuoco. È un ordine personale di Mussolini, ordine che piace a tutti: accontenta dannunziani e socialisti. (20 dicembre 1938)
  • Non c'è posto per la fantasia, ch'è la figlia diletta della libertà. (Napoli, 9 dicembre 1943)
  • Non sono le idee che mi spaventano, ma le facce che rappresentano queste idee. (Roma, 9 ottobre 1944)
  • Se le religioni fossero molto chiare perderebbero, coll'andar del tempo, i credenti. (Napoli, 7 dicembre 1943)
  • Soltanto sotto una dittatura riesco a credere nella democrazia. (Roma, 19 agosto 1944)
  • Sono un carciofino sott'odio. (11 dicembre 1938)[18]
  • Tutte le rivoluzioni cominciano per strada e finiscono a tavola. (27 maggio 1940)
  • Usciamo. Nella piazza deserta stride una civetta e i nostri passi risuonano sul selciato come quelli di un'antica ronda. La luce dell'osteria si spegne e nelle larghe pozzanghere la luna lascia riflessi d'argento.
    «È triste il mondo, signori miei», dice Stefano. «Non so chi, ma qualcuno ha detto: Ci ricorderemo di questo pianeta. Sì, ce ne ricorderemo!». (Roma, 27 settembre 1943)
  • Vissero infelici perché costava meno. (15 marzo 1938)
  • Veterani si nasce. (15 novembre 1938)

Incipit di Un morto fra noi

modifica

Quando Roma ci apparve dall'alto dei colli Albani, nel gran sole di quella mattina, credemmo davvero che la nostra storia fosse finita. Dopo un anno di vita randagia, divisi dai parenti da un fronte di battaglia, incerti sul nostro destino, abituati a vivere alla giornata, quel ritorno ci indispettiva più che rallegrarci.
«La giovinezza è finita!» esclamò Soldati. «Pensiamoci prima di bussare al nostro uscio. Domani saremo più vecchi di dieci anni. Questo è il confine fra due età: è qui che si decide!»
La sua voce aveva un accento melodrammatico: capivamo che Soldati recitava la parte del profugo che ritorna. Ora gli piaceva giocare quel ruolo letterario, e piaceva anche a noi ascoltarlo e far finta di credergli. Le nostre barbe lunghe, i nostri abiti sudici e a brandelli, le nostre robe avvolte in fazzoletti laceri, gli zaini gonfi di libri e il bastone da pellegrino s'intonavano a quel discorso.

Citazioni su Leo Longanesi

modifica
  • Al cimitero ci si ritrovò in una decina di persone, non di più. Non ci furono cerimonie né discorsi. Solo la piccola Virginia, che avrà avuto quattordici anni, mentre la bara di suo padre calava nella tomba, mormorò: «E dire che gli orfani mi sono sempre stati così antipatici...» Una frase che sarebbe piaciuta moltissimo a Leo. (Indro Montanelli)
  • [In tutto quel che faceva, Leo immetteva] Il graffiante segno di un sogno anarco-conservatore. (Mario Praz)
  • Leo Longanesi. Il Toulouse-Lautrec della Brutta Époque. (Marcello Marchesi)
  • Longanesi
    Mi sentivo qualcuno | quando | mi ascoltava. (Marcello Marchesi)
  • Longanesi appartiene alla schiera degli spavaldi, degli ammazzasette di tutti i tempi. Uno di quei rari uomini che rimangono sempre all'opposizione in tutti i regimi. Scontento di Dio e del mondo. Pronto ad usare la spada in ogni torneo cavalcando un focoso cavallo con lo stesso ardimento dei capitani medioevali. (Francesco Grisi)
  1. Citato in Marcello Veneziani, Imperdonabili, Marsilio, Venezia, 2017, p. 420. ISBN 978-88-317-2858-4
  2. a b Da Fa lo stesso.
  3. Da L'italiano, 30 settembre 1927.
  4. Citato in Indro Montanelli, Ennio Flaiano: genio e sregolatezza, Corriere della Sera, 4 febbraio 1996, p. 29.
  5. Da Una vita, Longanesi.
  6. Citato in Focus N.108, pag. 204
  7. Citato in Alberto Burgio, Nel Nome Della Razza: Il Razzismo Nella Storia D'Italia 1870-1945, Il Mulino, Bologna, 1999, p. 507.
  8. Da Una vita, Longanesi; citato in Storia della letteratura italiana del Novecento, a cura di Giacinto Spagnoletti, Newton Compton, Roma, 1994, p. 467.
  9. Dall'autobiografia scritta per L'Assalto nel 1927, ora in 20 giovani leoni. Autobiografie pubblicate su "L'Assalto" negli anni 1927-'28, a cura di Calimero Barilli e Mario Bonetti, Volpe, Roma, 1984, p. 77.
  10. Citato in Paolo Granzotto, Indro Montanelli, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 41. ISBN 88-15-09727-9
  11. Da L'italiano, 11 febbraio 1926; poi in Vademecum del perfetto fascista, Vallecchi.
  12. Citato in Beppe Severgnini, La vita è un viaggio, Rizzoli, 2015, p. 27. ISBN 9788858680834
  13. Citato in Piero Buscaroli, La vista l'udito la memoria. Scritti d'arte, di musica, di storia, Fògola Editore in Torino, Torino, 1987, p. 154.
  14. Da L'occhio di vetro, L'Italiano, n. 13, agosto 1932; ora ne L'Italiano, Ciarrapico, Roma, 1985, p. 177.
  15. «Telesio Interlandi, direttore di "Tevere", fascista e filogermanico.» Cfr. Roberto Gervaso, Ve li racconto io, Milano, Mondadori, 2006, p. 88.
  16. Da una lettera a Giovanni Ansaldo; citato in Roberto Gervaso, Ve li racconto io, Milano, Mondadori, 2006, p. 88. ISBN 88-04-54931-9
  17. Riportato anche in Fa lo stesso, Longanesi.
  18. Citando, secondo Ruozzi, la definizione che Ugo Ojetti dava di Arrigo Cajumi, "Un limone sott'aceto", riportata da Cajumi in Pensieri di un libertino.

Bibliografia

modifica
  • AA. VV., Scrittori italiani di Aforismi – Il novecento, a cura di Gino Ruozzi, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1996. ISBN 88-04-41029-9
  • Leo Longanesi, Fa lo stesso, a cura di Paolo Longanesi, Longanesi, Milano, 2017. ISBN 9788830446458
  • Leo Longanesi, I giusti pensieri del signor di Bonafede, L'Italiano, 5 luglio 1926; in Scrittori italiani di Aforismi – Il novecento.
  • Leo Longanesi, In piedi e seduti, presentazione di Indro Montanelli, Longanesi & C., Milano, 1968.
  • Leo Longanesi, In piedi e seduti, Longanesi & C., Milano, 1980. ISBN 978-88-304-4646-5
  • Leo Longanesi, La sua signora, Longanesi, Milano, 2017. ISBN 9788830448506
  • Leo Longanesi, Parliamo dell'elefante, Longanesi, Milano, 2017. ISBN 9788830446472
  • Leo Longanesi, Un morto fra noi, Longanesi & C., Milano, 1952.

Altri progetti

modifica